Una Storia di Fatti e Protagonisti per lo Sviluppo dell’Economia e della Cultura Frusinate
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Una Storiadi Fatti e Protagonistiper lo Sviluppo dell’Economia edella Cultura Frusinate
Una Storiadi Fatti e Protagonistiper lo Sviluppo dell’Economia edella Cultura Frusinate
Presentazionedi Bruno Di Cosimo, Francesco Scalia, Paolo Vigo
Le Banche Popolari ovvero: “La mutualità che visse due volte”del Prof. Luigi Salamone
Costituzione e Sviluppo della Banca Popolare del Frusinatedel Prof. Fausto Piola Caselli
Società ed Economia nelle Valli del Frusinatedel Prof. Francesco Salerno
La Banca Popolare del Frusinate. Una banca con nome e cognomedi Pino Parente
L'Origine della Banca. Storia, Fatti e Protagonistidi Luigi Conti
Dinamiche di una Gestione
Note Bibliografiche
Appendice
7
13
55
79
87
95
109
122
128
Una Storiadi Fatti e Protagonistiper lo Sviluppo dell’Economia edella Cultura Frusinate
Una Storiadi Fatti e Protagonistiper lo Sviluppo dell’Economia edella Cultura Frusinate
Presidente Bruno Di Cosimo
Presentazione
Banca Popolare del Frusinate
Il Consiglio di Amministrazione, dopotredici anni di operosa attività della
Banca Popolare del Frusinate, ha
voluto onorare questo significativo ed impor-
tante traguardo con una ricerca documentata
e scrupolosa, volta a ripercorrere le vicende ed
i protagonisti che hanno fatto la storia del
nostro istituto di credito popolare.
È nato così il primo volume dedicato alla
Banca, “Una Storia di Fatti e Protagonisti per lo
Sviluppo dell’Economia e della Cultura
Frusinate” che mi onoro di presentare all’atten-
zione e alla lettura dei Soci e dei Clienti, ma
anche di tutte quelle persone vicine al nostro
lavoro e in ogni caso interessate alla nostra storia.
Sono, infatti, da sempre convinto che gli eventi
di cui una Banca locale è protagonista, di una
Banca che abbia le caratteristiche della nostra,
sono profondamente intrise nelle radici culturali
e sociali del territorio nel quale essa opera, rievo-
candone profondamente la forma e la sostanza.
Gli illustri autori della prima parte dell’opera
hanno analizzato, da un punto di vista pretta-
mente economico e distintamente, i diversi
momenti della crescita e dello sviluppo della
Banca, mettendoli sempre in rapporto con il
contesto nazionale; si va dalla trattazione del
prof. Francesco Salerno, che offre una sintetica e
pregevole panoramica storica della graduale tra-
sformazione del tessuto socio-economico della
provincia di Frosinone, all’intervento del Prof.
Salamone, che studia in modo didascalico ed
esaustivo, il complesso fenomeno delle Banche
Popolari Italiane con diretti riferimenti alla BPF.
La terza monografia del volume, ultima
della prima parte, curata dal Prof. Piola
Caselli, analizza sistematicamente le origini
del mondo bancario italiano, esaminando in
modo dettagliato e con rigore scientifico le
motivazioni della nascita della nostra Banca.
La seconda parte del volume è dedicata inte-
ramente alla Banca Popolare del Frusinate, ai
suoi protagonisti, e quindi alle tante personalità
del mondo imprenditoriale e della vita associa-
tiva culturale, civile ed amministrativa della
nostra provincia. Molta attenzione è posta ai
princìpi ispiratori della banca, a tutti quegli ele-
menti che fanno diretto riferimento al credito
popolare e mutualistico.
Con l’occhio attento alle innovazioni che nel
campo bancario quotidianamente s’impongono,
questa seconda parte del volume vuole anche
ricordare che i criteri di gestione attuali sono
rimasti e resteranno l’attenzione allo sviluppo
economico locale, l’autonomia della Banca ed il
consolidamento della sua attiva presenza nel ter-
ritorio. Sono messi in evidenza, di volta in volta,
gli aspetti legati alle politiche intraprese dalla
Banca a sostegno delle iniziative culturali, turisti-
che e solidaristiche, direttamente e nei confronti
di enti ed associazioni che operano nel territorio.
Ed è proprio questo particolare atteggiamento
che voglio qui richiamare all’attenzione, come
elemento giustificatore del rafforzamento conti-
nuo del sano e stretto legame tra la Banca e la
comunità in cui la Popolare è presente.
Infine, rivolgendo un vivo ringraziamento a
quanti hanno collaborato alla realizzazione del
volume “Un futuro che viene da lontano”,
esprimo l’auspicio che lo stesso susciti un vivace
interesse nei suoi potenziali destinatari, ai quali
colgo l’occasione per rivolgere un caloroso
saluto ed un augurio di buona lettura.
Bruno Di CosimoPresidente del Consiglio di Amministrazione
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Presentazione
Banca Popolare del Frusinate
La Banca Popolare del Frusinate
festeggia un traguardo importante:
13 anni (ma il primo nucleo risale
alla metà degli anni '80) di attività, di impe-
gno, di servizio a favore dei cittadini e delle
imprese del territorio.
Il sostegno all'economia locale, l'attenzione
alle esigenze della comunità, le iniziative nel
campo della promozione della cultura e del-
l'arte, hanno caratterizzato l'azione della
Banca ed hanno svolto un ruolo importante
per lo sviluppo della realtà provinciale.
La Provincia di Frosinone ha visto affer-
marsi, sempre più, un sistema produttivo
caratterizzato da dinamiche coerenti con le
esigenze del territorio, nel quale non mancano
punte di eccellenza, dall'industria tessile al
manifatturiero, dalle aziende che operano nel
chimico - farmaceutico, all'aeronautica, all'in-
dustria cartaria, e che ha consentito che la
Ciociaria, negli ultimi anni, si attestasse tra le
prime realtà provinciali in Italia per creazione
di nuovi posti di lavoro.
E' in questo contesto che si pone la mission
della Banca Popolare del Frusinate, con il
sostegno in particolare all'artigianato e alla
Piccola e Media Impresa, che rappresentano
quei pilastri della nostra economia, capaci di
sviluppare un sistema economico diversificato
ed equilibrato e di rendere stabile e creare
nuova occupazione.
La Banca Popolare del Frusinate, senza
allontanarsi da quelli che erano gli originari
ideali di banca cooperativa del primo nucleo
fondativo di Boville, Veroli, Monte S.
Giovanni Campano, è oggi un moderno isti-
tuto di credito, al passo con i tempi ed in
grado di dare delle risposte valide alle comu-
nità della nostra Ciociaria; una realtà finanzia-
ria capace di reagire alle sollecitazioni omolo-
ganti della globalizzazione testimoniando un
particolare ed autentico radicamento territo-
riale e confermando la sua vocazione al soste-
gno dell'economia locale ed alla crescita del
tessuto produttivo.
La BPF è, in definitiva, una banca del terri-
torio e per il territorio, che è locale non
rispetto alle dimensioni, ma per la fondamen-
tale caratteristica di aver saputo essere vicina ai
cittadini, alle famiglie, alle loro aspirazioni, e
di essere stata in grado di identificare la sua
filosofia, i suoi obiettivi, la sua azione con le
problematiche, le esigenze, i bisogni della
comunità in cui opera.
Francesco ScaliaPresidente della Provincia di Frosinone
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Far parte di un sistema territoriale
coeso è, per una Università giovane
come la nostra (fondata nel 1979),
una opportunità di sviluppo che non può non
essere colta con orgoglio e passione, ed è con
questi sentimenti che noi docenti e ricercatori
dell'Università di Cassino partecipiamo alle
tante iniziative culturali ed ai progetti di svi-
luppo a noi proposti dal nostro naturale
bacino, il Lazio Meridionale.
Un territorio policentrico, ricchissimo di
storia e di cultura, e che recentemente, anche
grazie alla presenza fattiva della nostra
Università, ha via via preso coscienza della Sua
valentia culturale ed economica, sfatando con i
fatti i tanti luoghi comuni che lo avevano rele-
gato ad essere, negli anni della industrializza-
zione selvaggia, solo la parte più settentrionale
del meridione d'Italia, più vicina solo geografi-
camente alla capitale ed alle aree industriali
storicamente più produttive ed economica-
mente avvantaggiate dalla nazione.
In questi ultimi anni invece, anche in conse-
guenza del forte ripensamento imposto dalle
nuove logiche del mercato mondiale e della
libera circolazione delle merci, tutti i sistemi
territoriali e quindi anche la Ciociaria hanno
dovuto, per competere, far leva sulle proprie
specificità e capacità al fine di ripensare la loro
collocazione produttiva ed economica e proiet-
tarsi coesi verso nuovi modelli di sviluppo.
Il sistema Lazio Meridionale ed in partico-
lare la provincia di Frosinone hanno infatti
anch'essi partecipato alle dinamiche su esposte
esprimendo numerose progettualità sociali ed
economiche che si inquadrano proprio nelle
linee già tratteggiate, tanto da dar luogo ad un
completo e complesso ripensamento della
politica e dell'economia locale, che ha portato
in questi ultimi anni tra l'altro all'attivazione
sul territorio di sistemi autonomi di credito a
valenza territoriale di cui la pubblicazione di
oggi è buon testimone.
Plaudo all'iniziativa di voler illustrare le
attività svolte dalla Banca Popolare del
Frusinate con un volume dotto e che, grazie al
coinvolgimento degli studiosi dell'Ateneo di
Cassino, dà una lettura attuale e storica di una
banca quale quella popolare che per sua ori-
gine è espressione di un territorio operoso e
ricco della cui maestria culturale ed econo-
mica noi dell'Università di Cassino siamo
onorati di essere partecipi ed anche se così si
può dire mentori. In un afflato culturale ed
umano che ormai unisce sempre più la
Comunità Accademica e la Società Civile di
cui l'una si sente espressione dell'altra.
La collaborazione tra l'Università ed il terri-
torio è ovviamente una delle chiavi vincenti
dello sviluppo e se la mutualità territoriale che
deve caratterizzare una banca popolare si tra-
sformerà virtuosamente anche in un incentivo
all'innovazione, soprattutto tecnologica allora
il circolo virtuoso Università/Imprese/
Territorio si realizzerà dando linfa vitale alla
competizione territoriale. Ed è con questo
auspicio che faccio i miei personali auguri alla
Banca Popolare del Frusinate ringraziando per
la stima umana ed istituzionale che la sua diri-
genza ha sempre mostrato per me e per tutta
la comunità accademica di Cassino.
Ad maiora
Paolo VigoRettore dell’Università di Cassino
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Presentazione
Prof. Luigi Salamone
Le Banche Popolari ovvero:“La mutualità che visse due volte”
Banca Popolare del Frusinate
PRIMA PARTE
Le Banche Popolari ovvero:“La mutualità che visse due volte”
1. Un romanzo giallo.2. La storia di una dialettica. Tra «forma»e «sostanza» di società cooperativa
(evoluzione).
2.1. Le origini delle banche popolari. Nascita econsolidamento delle banche popolari in Italia(1864-1942). Una «sostanza» sui generis disocietà cooperativa in un universo giuridico privodi una precisa nozione di mutualità.2.2. Segue: dal codice civile del 1942 allaCostituzione del 1948 al Testo Unico Bancariodel 1993 ed oltre. La «forma» cooperativa dellebanche popolari esterna all’universo dellamutualità protetta.
3. Una disciplina sui generis e tantiproblemi (diritto scritto).
15
Le Banche Popolari ovvero: “La mutualità che visse due volte”
3.1. Il Testo unico bancario del 1993, nellavigenza del vecchio diritto societario.3.2. Segue: metodi d’analisi ed itinerari dellaricostruzione.3.3. Segue: «neutralità causale» del modelloorganizzativo della banca popolare.3.4. La riforma del diritto societario del 2003 el’autonomia del diritto delle banche popolari.3.5. Notizie (ed un commento)dell’ultima ora.
4. Tipologia sociale (prassi statutarie).4.1. Alla ricerca delle «identità statutarie» dellebanche popolari: a) la causa sociale.4.1.1. Segue conclusioni sul punto.4.2. Segue: b) l’organizzazione cooperativa sui generis.4.2.1. Segue conclusioni sul punto.
5. Conclusioni: dalla «banca popolare» alle
«banche popolari». Modelli legali e
statutari a confronto.
1. Un romanzo giallo.Un’alternativa meno didascalica al sottoti-
tolo prescelto avrebbe potuto all’incirca suo-
nare come «una indagine, molti errori». Infatti
l’esperienza delle banche popolari potrebbe
essere ripercorsa a grandi tappe, come fosse il
viluppo della trama di un romanzo giallo.
C’è la sparizione di una persona. Ci sono i
soliti sospetti. Più d’uno indaga, qualcuno con
metodo, qualcun altro guidato più che altro
dall’istinto. Non mancano, secondo la migliore
tradizione, tentativi di depistaggio del lettore.
Si viene a sapere, intanto, che la vittima con-
duceva da tanto tempo una doppia vita.
Ma sarà proprio tesi credibile, quella
secondo cui la banca popolare è, contempora-
neamente, dottor Jekill e Mr. Hyde?Il fatto è che tentare una risposta articolata
a questa domanda è come entrare in un campo
minato. Da un lato, chi si misura con temi
come la mutualità delle banche popolari è
spesso tacciato dagli operatori di occuparsi di
cose che non conosce; mentre, dall’altro, nel-
l’accademia è sempre richiesto di ripresentare
le credenziali dell’indipendenza del proprio
pensiero. Per queste ragioni chi scrive ha scelto
di confrontarsi non solo con il diritto positivo
di fonte scritta, ma anche con il momento
della sua applicazione, passata e presente.
2. La storia di una dialettica. Tra«forma» e «sostanza» di societàcooperativa (evoluzione).La storia delle banche popolari appare scan-
dita dalle tappe di un difficile incontro tra una
funzione mutevole ed il codice organizzativo
della società cooperativa. Tanto da indurre, intempi lontani, un indimenticato Maestro del
diritto commerciale, Giuseppe Ferri, a soste-
nere – in una memorabile voce di enciclopedia
– che le banche popolari abbiano la «forma»,
ma non la «sostanza», della società cooperativa.
2.1. Le origini delle banche popolari.Nascita e consolidamento delle banchepopolari in Italia (1864-1942). Una«sostanza» sui generis di societàcooperativa in un universo giuridicoprivo di una precisa nozione dimutualità.La storia comincia in un paese lontano e in
un passato remoto. Il protagonista è la mutua-lità nel credito. Vanta natali forestieri; vienepresto trapiantato in un paese povero, nel
quale si ambienta però benissimo e consolida,
progressivamente, una fisionomia sui generis,più che altro grazie alla grande misura di
libertà lasciata alle sue iniziative.
Notoriamente, il modello della banca popo-
lare venne importato nel nostro ordinamento
in un’epoca remota, nel neonato Regno
d’Italia, caratterizzato da una economia rurale,
per iniziativa di un imprenditore e filantropo,
il cattolico Luigi Luzzatti, preoccupato di rin-
venire nuove modalità di sostegno delle inizia-
tive economiche agricole oppure commerciali
di ridotte dimensioni. Il suo progetto politico,
al quale non è estranea una visione liberale del
mercato, risale al 1863, quando, ventiduenne,
dava alle stampe la celebre monografia La dif-fusione del credito e le banche popolari. Correval’anno 1864, quando veniva costituita la
16 Banca Popolare del Frusinate
PRIMA PARTE
Banca Popolare di Lodi. Il credito popolare
non era – come si accennava – uno schema
inventato in Italia: le prime esperienze datano
della metà del secolo XIX in Germania, dove
andava affermandosi il modello della
Volksbank, espressione la cui traduzione prestodivenne d’uso corrente anche nella nostra lin-
gua. Segno, questo, della compatibilità tra
cooperazione nel credito e realtà della «rivolu-
zione industriale». Ma anche nell’economia
italiana dell’epoca la cooperazione nel credito
poteva fungere da cinghia di trasmissione per
lo sviluppo: lo attesta il fatto che già negli anni
Settanta del Secolo XIX in Italia era sorto un
così esteso numero di operatori da far ritenere
necessaria la costituzione di un’associazione di
categoria, l’Associazione nazionale delle banchepopolari (anno 1876), sempre per iniziativa diLuigi Luzzatti. La formula organizzativa
comunemente prescelta era la società coopera-tiva, basata sul tipo della società anonima; pren-dendo ad esempio l’esperienza tedesca delle
Volksbanken, enti ascritti all’ordine delleGenossenschaften (più precisamente, delle
Gewerbliche Kreditgenossenschaften: così anzi-tutto la classica monografia di Schulze-
Delitzsch; nella letteratura contemporanea v.
Claussen; Schmidt; Schönle). Peraltro, in
Italia verso la forma cooperativa il credito
popolare si era orientato per decenni più che
altro per via di prassi: sarà solo molti anni
dopo, con il r.d.l. 21 ottobre 1923, n. 2413,
che verrà legislativamente vietato l’uso della
qualifica di «popolare» nella denominazione
di qualsiasi società bancaria che non fosse
costituita in forma di società cooperativa
(Costi). La raccolta del risparmio e l’esercizio
del credito avvenivano secondo un criterio di
specializzazione, ad un tempo geografico e
sociologico: al radicamento territoriale faceva
riscontro una distinzione della clientela, poi-
ché, da un lato, le casse rurali ed artigiane, oggidette «banche di credito cooperativo» (v. artt.
33-37 d. lgs. 1° settembre 1993, n. 385 - Testo
unico delle leggi in materia bancaria e crediti-
zia; la derivazione delle seconde dalle prime è
avvenuta tuttavia in assenza di esplicito rac-
cordo dell’art. 150 testo unico cit.: Marasà)
sostenevano con il credito iniziative economi-
che lato sensu agricole; dall’altro, le banchepopolari, guardavano invece alla iniziativacommerciale ed industriale medio-piccola.
Queste, in estrema sintesi, le premesse o, se
si preferisce, la preistoria della mutualità nelcredito. Ma – per aderenza al dato normativostorico – bisogna chiarire che in quel tempo le
espressioni «mutualità» e «società cooperativa»
rivestivano nell’ordinamento italiano un signi-
ficato del tutto diverso da quello oggi comu-
nemente attestato nell’uso. Anzitutto, il
codice di commercio del 1865 non conteneva
alcuna disciplina delle società cooperative,
mentre dedicava solo poche disposizioni alle
«associazioni mutue» (artt. 183-187). Lo sce-
nario cambiava tuttavia radicalmente appena
pochi anni dopo, con l’entrata in vigore nel
1882 di un nuovo codice di commercio, adot-
tato – fra l’altro – anche per dare adeguata
regolamentazione proprio alla diffusa mutua-
lità nel settore creditizio (Bassi). Le società
cooperative facevano, sì, ingresso nel nostro
universo giuridico; a queste, però, non si
imponeva, dopo la scelta statutaria del
modello organizzativo della società coopera-
tiva, alcunché sul piano del concreto persegui-
mento della «funzione mutualistica», nell’or-
17
Le Banche Popolari ovvero: “La mutualità che visse due volte”
Banca Popolare del Frusinate
dine di limitazioni a) alla prestazione dei ser-vizi della società a terzi piuttosto che ai soci
e/o b) alla disposizione del patrimonio socialein vista di quello scopo (v. Bonfante; Costi).
Non una, infatti, delle disposizioni degli artt.
219-226 c. comm. 1882 accennava alla «fun-
zione mutualistica»; benché il pensiero
comune la ritenesse lo scopo naturale dellasocietà cooperativa (Vivante). Per questa
ragione la nozione di «mutualità» era percepita
a quel tempo molto più lata ed indefinita che
non oggi: le società cooperative erano caratte-
rizzate soltanto per l’applicazione di regole
sull’organizzazione [«l’istituto delle coopera-
tive (…) non è dalla legge informato ai criteri
rigorosi della mutualità»: Vivante]; ma anche
sotto questo profilo il sistema era profonda-
mente diverso. La società cooperativa non
costituiva infatti autonomo tipo di società: la
scelta del modello cooperativo determinava
l’applicazione di un regime di mere «altera-
zioni» rispetto ai tipi di società menzionati
dall’art. 76 c. comm. 1882; alterazioni corri-
spondenti essenzialmente alla variabilità del
capitale sociale nominale ed al voto capitario
(v. le non sempre chiare disposizioni degli artt.
222 e 225, c. comm. 1882; nella dottrina a
noi contemporanea v. Spada, del quale il vir-
golettato; nella dottrina dell’epoca v. per tutti
Vivante, del quale la celebre definizione delle
società cooperative come «società a capitale
variabile regolate in modo da favorire gli
scambievoli servigi della società verso i soci e
dei soci verso la società»). Reciprocamente,
come si è detto, il regime legale lasciava pieno
spazio all’autonomia statutaria quanto ai
poteri dispositivi del patrimonio netto. Fra
l’altro, sotto la vigenza dei codici di commer-
cio del 1865 e del 1882, le società esercenti
attività bancaria erano a tutti gli effetti società
di diritto comune, soggette soltanto ad isolate
disposizioni speciali, quali ad es. l’art. 177 c.
comm. 1882 in tema di periodico deposito di
situazioni patrimoniali presso le cancellerie dei
tribunali. Ne risultava, così, che la cooperativa
di credito, ed in particolare la banca popolare,
si attestasse come società cooperativa di diritto
comune, non obbligata in quanto tale a perse-
guire alcun preciso scopo mutualistico.
Tuttavia, proprio questo periodo storico data
18
PRIMA PARTE
1951 1961 1971 1981 1991
U.L. Add. U.L. Add. U.L. Add. U.L. Add. U.L. Add. Industria5.172 18.242 4.097 21.212 4.352 34.773 6.347 61.858 8.387 64.358Frosinone 316 1.607 385 2.475 478 6.620 625 10.027 894 9.366Terziario 6.290 12.473 9.477 18.964 11.448 23.154 14.712 33.410 15.194 37.888Frosinone 544 1.691 1.033 3.288 1.238 4.056 1.647 6.279 1.875 7.348Commercio4.928 8.460 7.706 13.568 9.101 16.136 11.459 22.444 11.268 23.538Frosinone 431 1.024 825 2.151 931 2.531 1.213 3.438 1.237 3.764Totale 11.462 30.715 13.815 40.848 16.031 58.429 24.610 119.551 28.641 132.962Frosinone 860 3.298 1.424 5.816 1.728 10.759 2.8832 22.790 3.740 24.327
tab. 4 Andamento delle unità locali e degli addetti nella provincia di Frosinone 1951-1991
Fonte: mia elaborazione da CCIAA Frosinone, tabb. a.1.24 e segg.
l’inizio di una emersione per via di autonomiastatutaria di quelli che molti anni dopo sareb-bero divenuti regimi speciali di legge (Costi):clausole statutarie via via più frequenti intro-
ducevano a) limiti alla distribuzione degli utilidi esercizio o del patrimonio di liquidazione,
oppure b) obblighi di destinazione dei servizidella banca ai soci, a condizione che rivestis-
sero certe qualità. È questo l’embrione della
«mutualità» quale la intendiamo nel vigente
ordinamento statale.
2.2. Segue: dal codice civile del 1942alla Costituzione del 1948 al TestoUnico Bancario del 1993 ed oltre. La«forma» cooperativa delle banchepopolari esterna all’universo dellamutualità protetta.Si intuisce facilmente che, quando l’epoca
delle «libertà» cedette il passo all’epoca dell’
«autorità», fosse troppo tardi per ricondurre la
mutualità nel credito, il nostro protagonista ora-mai maturo, negli schemi predefiniti: la fisio-
nomia sui generis era oramai – per ragioni stori-che – tanto, fin troppo marcata. E, come sem-
pre accade in questi casi, l’individuo fuori dagli
schemi paga un prezzo per le sue singolarità.
Con l’entrata in vigore della prima legge
bancaria del 1926 e soprattutto della seconda,
del 1936, le società bancarie cominciarono a
dotarsi di un più consistente corpo di regole
speciali; ma per le banche popolari il quadro
delineato non mutava granché, perché, sul
versante del diritto societario, la società (ban-
caria) cooperativa risultava ancora regolata dal
codice di commercio, il quale non le impo-
neva testualmente alcuna «funzione mutuali-
stica»; mentre, sul versante del diritto pub-
blico, la legge bancaria accomunava la banca
popolare alle ordinarie aziende di credito
(esercenti credito a breve termine), assogget-
tandola alla vigilanza bancaria, anche sotto il
profilo contabile, ed al principio di specializ-
zazione dell’attività [v. art. 5, comma 1, lett.
b), legge bancaria del 1936] (Costi).
L’inizio dell’epoca dell’ «autorità» cui si
accennava – il momento di svolta radicale –
coincise con la entrata in vigore del codice
civile unificato, nel 1942, che sostituì, in uno
con il codice civile del 1865, anche il codice di
commercio del 1882. Non che sotto questo
codice fossero mancate normative speciali che
legassero le agevolazioni fiscali ad un più rigo-
roso perseguimento della mutualità; ma si
trattava pur sempre di normative sporadiche e
marginali e – soprattutto – non di rilevanza
giusprivatistica. Sotto il codice civile unificato
del 1942, invece, le società cooperative veni-
vano ordinariamente obbligate a perseguire lafunzione mutualistica, anche soltanto nella ver-sione «spuria» (art. 2518, n. 9; art. 2536, c.c.
– si citano per adesso le disposizioni del vec-
chio diritto societario, non più applicative dal
1° gennaio 2004 per effetto del d. lgs. 17 gen-
naio 2003, n. 6). Questa volta anche con rile-
vanza giusprivatistica. In altri termini, pur
non vietandosi alla società cooperativa di
cedere a terzi contro denaro i beni o i servizi
prodotti e conseguentemente di distribuire
utili ai soci, ciò non poteva non incontrare dei
limiti, nel nuovo ordinamento. Questo impli-cava l’inizio di una lunga transizione dalla spe-
cificità de facto alla specificità de iure dellebanche popolari nell’universo societario.
19
Le Banche Popolari ovvero: “La mutualità che visse due volte”
Il nuovo disegno del sistema della coopera-
zione si completava nel giro di qualche anno,
in due tappe ravvicinate, sostanzialmente
coeve ed ispirate ai medesimi principi, allor-
ché a) dapprima era adottata una normativa di
vigilanza pubblica sulle cooperative con il pre-
ciso scopo di fissare requisiti della mutualità al
fine del riconoscimento di agevolazioni fiscali
e di altra natura (d. lgs. 14 dicembre 1947, n.
1577 – più noto come «legge Basevi»,
tutt’oggi vigente, pur con modifiche ed inte-
grazioni); b) quindi la Costituzione repubbli-
cana entrata in vigore il 1° gennaio 1948 –
delimitando la cornice dei principi in cui si
poneva la legge Basevi – ritagliava un impor-
tante spazio di tutela della cooperazione: «la
Repubblica riconosce la funzione sociale della
cooperazione a carattere di mutualità e senza
fini di speculazione privata. La legge ne pro-
muove e favorisce l’incremento con i mezzi
più idonei e ne assicura, con gli opportuni
controlli, il carattere e le finalità» (art. 45,
comma 1, Cost.).
La Costituzione, com’è noto, metteva e
mette legislatore ordinario ed interpreti di
fronte alla necessità di una distinzione: non
ogni forma di cooperazione pare meritevole
di promozione, ma soltanto quella condotta
a) con carattere di mutualità e b) senza finispeculativi.
Dal punto di vista della struttura organiz-
zativa, la Costituzione non circoscrive i suoi
programmi di promozione ed incremento alle
sole società cooperative, poiché sono inclusi
anche enti organizzati in forma diversa, pur-
ché ispirati a scopo mutualistico. Restano
fuori dall’area della protezione costituzionale
allora enti organizzati in forma di società coo-
perativa privi di scopo mutualistico ovvero
nei quali la causa mutualistica conviva con
altre finalità.
Va così osservato come il modello di coope-
razione e di mutualità inizi a dissociarsi, tra
codice civile, da un lato, Costituzione e legi-
slazione speciale, dall’altro: il primo riassume
principi giusprivatistici sull’organizzazione di
enti collettivi e sui loro scopi in generale; ilsecondo, strettamente funzionale ad un pro-
gramma di agevolazioni, si interessa invece a
particolari atteggiamenti della causa mutuali-stica. Ma passerà ancora del tempo prima che
maturi la consapevolezza della duplicazionefunzionale dei modelli di cooperazione (tutta-via se ne avvedeva già, in tempi risalenti,
Alessandro Graziani; v. ora Bonfante): vi sarà
così chi, medio tempore, ipotizzerà lo scosta-mento dalla funzione mutualistica (tout court)della cooperativa collocatasi fuori della
Costituzione (Messineo, pur se implicita-
mente). Né tale ordine giuridico bipartito
della cooperazione è stato disatteso dalla
recentissima riforma del diritto societario,
introdotta con il d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 6
(infra, § 3.4.).
Questo discorso non può tuttavia affron-
tarsi ex professo in questa sede. Bisognerà quiricordare invece le ricadute di questo mutato
assetto istituzionale nella materia delle banche
popolari, allorché il legislatore fu posto di
fronte alla necessità di scelte drastiche. Ben
presto si cominciava a distinguere tra «coope-
razione costituzionalmente riconosciuta» e
non; la classificazione fu subito fatale per le
banche popolari, la cui prima legislazione
organica prendeva corpo già nel 1948 – v. il d.
lgs. 10 febbraio 1948, n. 105, oggi non più in
20 Banca Popolare del Frusinate
PRIMA PARTE
vigore –: questi enti creditizi venivano a) auto-rizzati alla integrale distribuzione degli utili di
esercizio e del patrimonio netto di liquida-
zione e b) esonerati dai controlli di cui agliartt. 2542 ss. c.c., marcando, secondo l’opi-
nione dei più, il primo allontanamento dalsistema della cooperazione (Costi). La nuovanormativa imprimeva una svolta al dibattito,
perché fu da allora che la saggistica giuridica
cominciò ad interrogarsi sulla funzione –
mutualistica o meno – delle banche popolari.
Nella frattura che si è ricordata fra modelli
codicistici e modelli costituzionali della coo-
perazione vanno ricercate le radici della ten-
denza, prima giurisprudenziale – si ricordi per
tutte l’importante sentenza della Cassazione
26 novembre 1985, n. 5887 –, quindi legisla-
tiva, a disapplicare la legge Basevi e le altre disci-pline di agevolazione fiscale delle cooperative. Sicomprende pertanto in quale quadro istituzio-
nale, alla fine degli anni Cinquanta, maturasse
la convinzione di Giuseppe Ferri, per cui le
banche popolari avessero «forma» ma non
«sostanza» di società cooperativa.
Questo orientamento diveniva diritto posi-
tivo in quattro tappe, molto tempo dopo, nei
primi anni Novanta del Secolo XX, con l’en-
trata in vigore:
a) della legge di riforma delle società coope-rative, espressamente dichiarata non applica-
bile alle banche popolari (v. art. 21, comma 8,
legge 31 gennaio 1992, n. 59);
b) della legge 17 febbraio 1992, n. 207 [poirifluita nel Testo Unico di cui si dice più sotto
alla lett. d): v. art. 30, commi 5 e 6], che det-
tava una disciplina sui generis del gradimento,da cui fonte tra le più autorevoli desumeva che
nelle banche popolari non tutti i soci, bensì
solo quelli legittimati all’esercizio dei diritti
c.d. corporativi, debbano condividere il pro-
gramma mutualistico (Costi);
c) del d. lgs. 14 dicembre 1992, n. 481, cheprevedeva una limitata ammissibilità della tra-
sformazione e della fusione delle banche
popolari in società per azioni, in espressa
deroga del divieto di trasformazione delle
società cooperative in società lucrative (art. 14
legge 17 febbraio 1971, n. 127) [pure tale
norma è rifluita nel Testo Unico di cui si dice
alla lettera appresso (v. art. 31)]. Si trattò tut-
tavia di un importante elemento di novità, da
cui pure fu tratto argomento per la vistosa
attenuazione, quando non per la scomparsa,
della funzione mutualistica (Costi);
d) finalmente, del vigente d. lgs. 1° settembre1993, n. 385 - Testo unico delle leggi in mate-
ria bancaria e creditizia (d’ora in avanti «t.u.b.»),
che, nel ribadire espressamente la inapplicabi-
lità della legge Basevi alle banche popolari (v.
art. 29, comma 4), abroga la legge bancaria del
1936, il d. lgs. n. 105/48, la legge n. 207/92,
il d. lgs. n. 481/92 (v. art. 161 t.u.b.).
Questo quadro normativo, in tempi recenti,
ha fatto sorgere l’interrogativo se l’organizza-
zione cooperativa (variabilità del capitale e
voto capitario) disunita dalla funzione lucra-
tiva non sia lo stratagemma, peraltro autoriz-
zato dalla legge, per eludere – almeno nelle
grandi banche popolari quotate in borsa –
molte delle regole su trasparenza e responsabi-
lità nella gestione sociale (c.d. corporate gover-nance) e per consolidare un management
autoreferenziato. È così che in questi anni
sono sorte talune associazioni di categoria con
la dichiarata missione del «contrasto» assem-
bleare dei gruppi di comando che esprimono
21
Le Banche Popolari ovvero: “La mutualità che visse due volte”
gli amministratori di banche popolari, utiliz-
zando ogni mezzo consentito dal principio
«una testa, un voto». In una filosofia liberale
del mercato, queste azioni non sono mai da
biasimare a priori; benché di fatto non sem-brino ancora riuscite ad approdare ad alcun
apprezzabile risultato, né in sede politica, né
in sede giudiziaria. D’altro canto, proprio in
considerazione del rapporto giuridico di
natura associativa sul quale esse intendono
edificare una tutela sui generis del consuma-tore, rectius: del socio debole e minoritario,escluderei senza esitazione l’applicabilità a
questi enti della legge 30 luglio 1998, n. 281,
che nella parte debole presuppone la qualità di
consumatore o di utente (la controparte di un
rapporto di scambio, di natura non associa-
tiva) (v. in particolare art. 1 legge cit.).
3. Una disciplina sui generis e tantiproblemi (diritto scritto).Che ne è, dunque, della mutualità delle
banche popolari, scomparsa di circolazione? È
stata uccisa? Chi l’ha uccisa? Qualcuno la dà
per morta, qualcun altro afferma di averla
vista ancora in vita di recente; entra in scena
un investigatore, costretto a mettere insieme le
tessere di un puzzle valutando l’attendibilitàdegli indizi raccolti.
Fra gli anni ’90 e i primi del 2000 – e si
passa ora a considerare il diritto vigente –,
sembra definitivamente consumato il divorzio
tra funzione mutualistica e organizzazione
cooperativa della banca popolare: vi è chi legge
una tale indicazione nella lettera dell’art. 29,
comma 1, t.u.b., secondo cui «le banche
popolari sono costituite in forma di societàcooperativa a responsabilità limitata» (corsivo
mio), la legge stessa rimanendo quantomeno
neutrale in punto di sostanza (Bassi). Ma l’ar-
gomento è, per altri, di quelli che provano
troppo se, a livello sistematico, la «forma» coo-
perativa si attesta come lo strumento giuridico
necessario e residuale al raggiungimento di un
particolare interesse «sostanziale», qual è la
causa mutualistica (Oppo).
Certo è che lo scenario normativo, anche
all’esito della recente riforma del diritto socie-
tario, si presenta quanto mai farraginoso. Ma
non basta: anticipando parzialmente le con-
clusioni, ancor prima che sulla «mutualità»
delle banche popolari, non si registrano con-
cordi opinioni sulla stessa nozione generale di
«mutualità cooperativa», posto che sin da
epoca remota il diritto positivo presenta note-
vole frammentarietà tra codice civile, da un
lato, e Costituzione e legislazione speciale, dal-
l’altro. La semantica «di settore» non è meno
confusa di quella «di sistema».
Varie sono, dunque, le piste che si deli-
neano per l’investigatore.
3.1. Il Testo unico bancario del 1993,nella vigenza del vecchio dirittosocietario.Al di là del ricordato art. 29, comma 1,
t.u.b. e dell’anodino riferimento alla «forma»
della società cooperativa a responsabilità limi-
tata, significativa pare invece una norma che
spicca per sensibile divergenza rispetto al vec-
chio diritto comune delle società cooperative
(v. art. 2536 c.c. - testo ante riforma ex d. lgs.
22 Banca Popolare del Frusinate
PRIMA PARTE
n. 6/2003): la banca popolare deve destinareuna quota di utili netti annuali pari almeno al10% a riserva legale; gli utili residui non asse-gnati a riserva legale, ad altre riserve, ad altre
destinazioni previste dallo statuto o non distri-
buita ai soci, è destinata a beneficenza o assi-stenza (art. 32 t.u.b.). La maggioranza deglistudiosi ne ha tratto ulteriore indice dell’atte-nuazione – quando non della sparizione – dellafunzione mutualistica.Si impongono alcuni rilievi, sin da ora.
a) Per il nostro ordinamento non bisognaconfondere tra destinazione filantropica
(beneficenza ed assistenza) dell’utile residuo e
mutualità: la filantropia costituisce invero
una delle manifestazioni dello scopo c.d.
ideale delle associazioni e delle fondazioni del
Libro primo del codice civile. Si direbbe
allora – ma la domanda è retorica – che le
banche popolari all’occorrenza fuoriescano
dall’area delle società?
b) Se poi la norma dell’art. 32 t.u.b. vieneraffrontata anche alla diversa regola concer-
nente le limitazioni alla destinazione dell’utile
di esercizio nelle banche di credito coopera-
tivo (v. art. 37 t.u.b.), ci si avvede che il solco
tra mutualità e banche popolari si allarga sem-
pre di più.
c) Cosa dire, peraltro, della struttura orga-nizzativa, che ricalca invece il modello bennoto della società cooperativa: variabilità delcapitale; principio del voto capitario («unatesta, un voto»); numero minimo di soci; limitidella partecipazione sociale; disciplina artico-lata e sui generis del gradimento, raccordata alprincipio della «porta aperta» (infra, § 4.1.1.);
quanto ad un ultimo carattere – la nominaesclusivamente assembleare degli organi sociali
(art. 29, comma 3, t.u.b.), usualmente posto
in relazione all’art. 2535 c.c. (testo anteriforma ex d. lgs. n. 6/2003) – bisognerà
aprire una riserva da sciogliersi più avanti,
commentando il diritto riformato delle società
cooperative (infra, § 3.4.).
La breve rassegna dei caratteri scaturenti dal
testo unico bancario sollecita una duplice
indagine, attorno alla funzione ed all’organiz-zazione dell’ente collettivo. La diversa impo-stazione dell’analisi può condurre a risultati
sistematici ed applicativi anche contrastanti.
3.2. Segue: metodi d’analisi ed itineraridella ricostruzione.Secondo una prima traiettoria d’indagine,
lo scomparso dovrebbe essere tuttora in vita.
Si tratta di quell’itinerario di ricerca che
parte dalla premessa che la tipizzazione delle
società cooperative segua la funzione e che la
struttura organizzativa altro non sia che la
forma necessaria (o quantomeno residuale) del
perseguimento di un tale scopo sociale. Se si
preferisce: ogni volta che si rinvenga il nomeniuris di «cooperativa» si deve presumere la
funzione mutualistica dell’ente. Nella versione
più equilibrata ed autorevole, questo approc-
cio argomenta da una disposizione del codice
civile – «l’indicazione cooperativa non può
essere utilizzata da società che non hanno
scopo mutualistico» [v. art. 2515, comma 2,
c.c., rimasto immutato dopo la novella del d.
lgs. n. 6/2003] –; quindi prende atto che
anche nel codice civile si attesta la compatibi-
lità tra utile di esercizio e funzione mutuali-
stica (art. 2518, comma 1, n. 9; art. 2536, c.c.
23
Le Banche Popolari ovvero: “La mutualità che visse due volte”
– testo ante riforma ex d. lgs. n. 6/2003; v. oraart. 2521, comma 3, n. 8; art. 2545 quater;art. 2545 quinquies c.c., testo novellato dal d.lgs. n. 6/2003), creandosi allora una situa-
zione evocata con l’espressione la «mutualità
spuria»; conseguentemente, il dato caratteriz-
zante della mutualità cooperativa andrebbe
semmai ravvisato a) sia in una particolarelimitazione dei poteri di destinazione dell’utile
b) sia in un’attività giuridica extra-societariatra socio e società. Quali ricadute abbia questa
impostazione generale dell’analisi è presto
detto: di fronte alla evidente diversità delle
discipline sulla destinazione dell’utile netto
d’esercizio, la tendenza è a valorizzare dogma-
ticamente tutti quei dati normativi nei quali è
utilizzato il nomen iuris della società coopera-tiva in relazione alla banca popolare, sia nel
codice civile (v. art. 2517 c.c., ora divenuto
art. 2520 c.c. nel testo novellato dal d. lgs. n.
6/2003), sia nel t.u.b. (v. art. 28 t.u.b.; v. art.
29, comma 1, t.u.b.; v. il riferimento allo «spi-
rito della forma cooperativa» nell’art. 30,
comma 5, t.u.b., nell’ambito della disciplina
del gradimento) (Oppo).
Ma, nonostante tanto rispetto verso il diritto
scritto (comune al più accreditato séguito
scientifico ricevuto da questa tesi: v. per tutti
Buttaro), non si può non osservare che molti
segnali ambigui – forse dissonanti – vengono
proprio dalla lettera del testo unico bancario,
soccorrendo il dubbio a) che la formula dello«spirito della forma cooperativa» rinvii ad un
modello organizzativo – il principio della
«porta aperta» – piuttosto che funzionale
(Pennisi; sul punto va però aperta una riserva
da sciogliersi infra, § 4.1.1.); b) che ad un’a-stratta compatibilità anche con la causa lucra-
tiva esclusiva si debba la sottrazione delle ban-
che popolari alle disposizioni della c.d. legge
Basevi (art. 29, comma 4, t.u.b.) e della legge
di riforma delle cooperative (torna a vedere art.
21, comma 8, legge n. 59/92); c) che le previ-sioni di devoluzione filantropica dell’utile
netto d’esercizio non abbiano niente a che
vedere con la mutualità (v. art. 32, comma 2,
t.u.b.); la quale è causa imprenditoriale e non
può prescindere – nella cornice dell’art. 2082
c.c. – dalla economicità (copertura dei costi
con i ricavi) del metodo (Bonfante).
Quanto all’ammissibilità, seppur circo-
scritta, della trasformazione in, o della fusione
da cui risulti una società per azioni (art. 31
t.u.b.), non parrebbe invece desumibile alcun-
ché sul piano della causa del contratto sociale:
sia perché di tale previsione è stato messo in
evidenza il carattere eccezionale rispetto all’or-
dinario regime della cooperativa ante riforma2003, in ragione delle limitazioni testualmente
espresse dalla disposizione in esame (v., con la
consueta obiettività, lo stesso Oppo; ed inoltre:
Salerno; Schiuma), sia perché altra norma
avente finalità analoga ammette che all’anzi-
detta fusione eterogenea possa partecipare a
certe condizioni persino una banca di credito
cooperativo, sulla cui funzione mutualistica si
avanzano meno perplessità (art. 36 t.u.b.).
Tutt’altra ratio – la settorialità dei controllipubblici; i principi della «sana e prudente
gestione» e della stabilità sistemica come
valori fondanti la vigilanza bancaria (art. 5
t.u.b.) – sorregge invece la sottrazione, in via
generale, sia delle banche popolari sia delle
banche di credito cooperativo dagli ordinari
controlli dell’autorità governativa sulle
società cooperative di diritto comune (art.
24 Banca Popolare del Frusinate
PRIMA PARTE
28, comma 2, t.u.b.). Peraltro, questa sottra-
zione va raffrontata con il recente riordino
della disciplina di vigilanza sugli enti coope-
rativi, realizzato con il d. lgs. 2 agosto 2002,
n. 220, che nell’art. 18 dichiara le banche di
credito cooperativo – non le popolari, invece
– soggette ai controlli dell’autorità governa-
tiva ai soli fini del rispetto delle disposizioni
dell’art. 21, comma 3, legge n. 59/92, fatte
salve le competenze della Banca d’Italia.
Seguendo una seconda pista, che parte più
o meno dalle premesse della prima, l’investi-
gatore potrebbe giungere alla conclusione
opposta, ma le ragioni d’insoddisfazione
sarebbero destinate a permanere: lo scom-
parso viene dato per morto, ma nessuno sa
indicare dove ritrovare il cadavere.
Infatti, lo stesso metodo di analisi – esal-
tazione del momento funzionale e svaluta-
zione del codice organizzativo – conduce
alcuni fra i più autorevoli studiosi anche al
risultato opposto: si è così ritenuto – in base
alle regole da cui si desume il divorzio tra
banca popolare e funzione mutualistica –
che l’organizzazione della banca popolare sia
definitivamente uscita dal modello della
società cooperativa (M. Rescigno;
Capriglione; con toni più prudenti,
Schlesinger). Ma la reale posta in gioco di
quest’operazione, culturale e politica ad un
tempo, sembra piuttosto la (difficile, per
non dire impossibile) trasposizione dei prin-
cipi di governance dell’organizzazione azio-naria a quella cooperativa.
In fondo, queste prime due traiettorie
d’indagine inseguono lo scomparso utiliz-
zando un fallace identikit: ne viene così chenon si è in grado di ritrovarlo.
3.3. Segue: «neutralità causale» delmodello organizzativo della bancapopolare.Seguendo una terza, più affidabile, pista,
l’investigatore potrebbe essere tentato di
annunciare incautamente il colpo di teatro, cheperò tarderà a venire, accrescendo il rischio di
deludere il lettore.
Si tratta di quell’itinerario di ricostruzione
che affonda le radici nella folgorante intui-
zione di Giuseppe Ferri, per cui le banche
popolari avrebbero la «forma» ma non la
«sostanza» della società cooperativa, e trova
ora approdo nella suggestiva formula della
«neutralità causale»; formula cui non può tut-
tavia riconoscersi alcuna semantica estranea al
nostro diritto positivo, e che alla luce di que-
sto deve essere rimeditata, sulla base di più
moderni strumenti di ricerca, maturati nei più
recenti trent’anni. Si può discernere così tra
identità funzionale ed identità organizzativa diun ente collettivo; per individuare un duplicelivello di tipizzazione delle società (Spada).In estrema sintesi ed approssimazione: se l’i-
dentità funzionale della banca popolare è (a
livello legale) neutra – perché della mutualità
codicistica non si rinviene la fisionomia – e (a
livello statutario) compatibile con le cause più
varie, lucrative e non, difficilmente si potrà
contestare che l’identità organizzativa sia
diversa da quella della società cooperativa: lo
denunziano anzitutto la variabilità del capitaleed il voto capitario.A chi scrive si impongono alcune osservazioni.
a) Sul piano della struttura organizzativa,cioè dello schema utilizzato per configurare
l’«ordinamento dei poteri della produzione
dell’attività sociale» (Sciuto), non conducono
25
Le Banche Popolari ovvero: “La mutualità che visse due volte”
fuori dal modello della cooperativa [retro, n.
3.1., lett. c)] talune particolarità disciplinaridivergenti dal diritto comune, quali ad es.: a)in materia di gradimento (infra, § 4.1.1.); b)in materia di limitazione della entità della par-
tecipazione sociale; c) in materia di trasforma-zione o fusione della banca popolare da cui
risulti una società per azioni (art. 31 t.u.b.),
posto che nel nuovo diritto societario la tra-
sformazione eterogenea della società coopera-
tiva (tranne che a mutualità prevalente) non
costituisce più un tabù ordinamentale (si veda
l’art. 2545 decies c.c. – testo riformulato dal d.lgs. n. 6/2003).
b) Sul versante funzionale, non si deve
sopravvalutare la portata della disapplicazione
della legge Basevi (art. 29, comma 4, t.u.b.):
nessuno può dubitare del carattere settoriale
dei principi ispiratori del c.d. sistema speciale
della cooperazione, correlati alla concessione
di agevolazioni fiscali, previdenziali e quant’al-
tro. La mutualità prescritta dal codice civile
come scopo delle società cooperative è invece
una fattispecie non definita e di sicuro più
ampia. Poco utile applicativamente è la
nozione offerta dalla Relazione ministeriale al
codice civile (al n. 1025), secondo cui l’im-
presa mutualistica sarebbe diretta a «fornire
beni, o servizi od occasioni di lavoro diretta-
mente ai membri dell’organizzazione a condi-
zioni più vantaggiose di quelle che otterreb-
bero sul mercato»: più descrittiva che altro,
poiché l’esperienza ha mostrato che le moda-
lità di trasferimento dall’impresa sociale ai soci
di siffatte economie possano essere le più
varie. È seguendo questa linea che autorevole
corrente di pensiero ha rinvenuto ragione di
sostenere che la cooperativa sia modalità facol-
tativa, anziché necessaria, del perseguimentodella causa mutualistica (in tempi più remoti:
Romano-Pavoni; Ferri; Verrucoli; successiva-
mente, Spada; infine, per un riepilogo del
dibattito, Bonfante): attualmente, mutato con
la riforma del 2003 l’art. 2511 c.c., è caduto il
principale aggancio testuale di questa tesi; ma
il problema è tutt’altro che uscito dal nostro
sistema. Si potrebbe così essere indotti a ricer-
care una più ampia nozione d’impresa mutua-
listica; ma in questa sede ci si deve limitare ad
indagare soltanto lo scopo che sorregge l’im-
presa mutualistica condotta in forma di
società cooperativa. Qui occorre assumere
come punto di partenza – come in qualsiasi
fenomeno societario – l’art. 2247 c.c. ed argo-
mentare dalla esigenza (per aversi una fattispe-
cie societaria) di uno «scopo di divisione degli
utili» di gestione, a sua volta distinguibile
nello scopo diretto dell’ente collettivo (c.d.
scopo-mezzo) e nello scopo di chi partecipa
all’ente collettivo (c.d. scopo-fine). Se – come
detto – la parola «mutualità» è usualmente
impiegata per contraddistinguere la realizza-
zione di una economia nella sfera dei titolari
d’impresa, il senso della operazione è tutto
nelle modalità del trasferimento di una tale
economia dall’impresa sociale a coloro che vi
partecipano. Sotto il primo profilo, dello
scopo-mezzo, non da ieri ci si è avveduti che la
mutualità non è affatto incompatibile con la
ricerca di un lucro oggettivo, cioè con la pro-
duzione d’un utile netto di gestione, ciò che
postula anche rapporti di scambio con terzi:
«una cooperativa ridotta a lavorare coi soci
avrebbe una vita meno aleatoria; potrebbe
regolare le sue provviste sovra un consumo
prevedibile almeno approssimativamente,
26 Banca Popolare del Frusinate
PRIMA PARTE
avrebbe a sua garanzia le azioni dei soci, ma
per lo scarso giro dei suoi capitali, si consume-
rebbe per lo più dentro di sé, con un lento e
screditato esercizio, con poca fortuna pei soci
e pei suoi creditori (…) Se la legge italiana
infliggesse alle cooperative l’interdetto di ope-
rare coi terzi, le condannerebbe ad una vita
rachitica» (Vivante). Da ultimo, gli scambi
con terzi sono ammessi anche dalle disposi-
zioni di carattere agevolativo sulla «preva-
lenza» della mutualità (v. artt. 2512; 2513;
2514 c.c.; testo novellato dal d. lgs. n.
6/2003), ma vengono da altro lato subordinati
ad espressa previsione statutaria (art. 2521,
comma 2, c.c. – testo novellato dal d. lgs. n.
6/2003). È semmai sotto il secondo profilo,
dello scopo-fine, che il discorso si mostra più
articolato. Le modalità del trasferimento del-
l’economia dall’impresa sociale ai soci possono
essere le seguenti: a) l’autodestinazione informa diretta delle economie, mediante acqui-sizione dai soci delle prestazioni della impresa
sociale (la c.d. «gestione di servizio») a condi-
zioni più vantaggiose di quelle di mercato –
nel caso delle banche popolari si tratterà d’un
accesso più vantaggioso ai servizi della banca e
di questa tecnica ci si darà carico di svolgere
riscontri negli statuti sociali (infra, § 4.1.) –;
b) l’autodestinazione in forma indiretta, che siha quando i soci accedono a condizioni di
mercato ai beni o ai servizi prestati dalla
società cooperativa, ottenendo il trasferimento
delle economie mediante destinazioni di
somme di denaro (c.d. ristorni; oggi fattioggetto di disciplina dall’art. 2545 sexies c.c.,introdotto dal d. lgs. n. 6/2003). Va tuttavia
chiarito che queste modalità di trasferimento
delle economie possono convivere – per
diritto scritto – con parziali destinazioni del-
l’utile netto ai soci, cioè con forme di remune-
razione capitalistica dell’investimento, nel
qual caso usualmente si parla di «mutualità
spuria» (v. art. 2518, comma 1, n. 9; art. 2536
c.c., testo ante riforma 2003; v. ora art. 2521,comma 3, n. 8; art. 2545 quater, comma 2;art. 2545 quinquies c.c., testo novellato dal d.lgs. n. 6/2003). In tal caso, la funzione mutua-
listica è sempre riconoscibile quando la disci-
plina vieti la integrale – non dunque la par-
ziale – distribuzione ai soci degli utili netti
prodotti dalla cooperativa (Campobasso).
Riassumendo: è questa la «mutualità» in sensotecnico – autodestinazione, in forma diretta oindiretta –; è «mutualità» in senso tecnico anchela versione «spuria», da intendersi allora comeuna «non illimitata lucratività», che si haquando si divide tra i soci in forma di dividendola parte residua di utile netto che non è obbliga-torio destinare a fini mutualistici (Spada,approfondendo un illuminante spunto di
Alessandro Graziani; v. ora art. 2545 quater,comma 3, c.c., introdotto dal d. lgs. n.
6/2003). In ultima analisi (riassuntivamente):
la nozione tecnica di mutualità nel nostro
diritto delle società cooperative si desume
dalla disciplina di disposizione del patrimonionetto di bilancio. Nelle società cooperative,solo parte di questo può essere diviso tra i soci
alla conclusione dell’esercizio e/o della inizia-
tiva sociale in forma di utile, cioè secondo un
criterio capitalistico di remunerazione dell’in-
vestimento. Nella materia delle banche popo-
lari, dunque, il lavoro ricostruttivo deve muo-
vere dalle regole legislative che presiedono alla
devoluzione dell’utile netto di gestione e del
patrimonio di liquidazione della società.
27
Le Banche Popolari ovvero: “La mutualità che visse due volte”
Regole che non compromettono la compatibi-
lità di un certo codice organizzativo tanto con
la causa mutualistica quanto con la lucrativa:
in estrema sintesi, si parla di «neutralità cau-
sale» della banca popolare, una volta ravvisata
nel t.u.b. una normativa di eccezione ai prin-
cipi residuali del codice civile sulle cooperative
(v. Belli/Brozzetti; Calandra Buonaura;
Marasà; Pennisi; Salerno; Schiuma). Qui biso-
gna però distinguere: da un lato, la mutualità
in senso tecnico, che – anche soltanto nella ver-sione «spuria» – è divenuta facoltativa e con-vive pur all’interno della organizzazione coo-
perativa con le finalità più disparate, nulla
impedendo l’autodestinazione, totale o par-
ziale, dei servizi bancari o la devoluzione del-
l’utile sociale a fini mutualistici. La facoltati-
vità rinvia dunque all’autonomia statutaria
(Presti); rinviando ogni approfondimento
(infra, § 4. ss.), per il momento si deve osser-
vare che se il regime causale va facendo della
banca popolare un «abito» buono per una
varietà indefinita di occasioni, si deve conclu-
dere, provvisoriamente, che le banche popo-
lari stiano alle cooperative come le società per
azioni di diritto speciale stanno alla società per
azioni comune (Marasà): tutte si rapportano
all’art. 2247 c.c., ma – quanto all’elemento
funzionale – si moltiplicano i vincoli di desti-
nazione dell’utile netto di bilancio; dall’altro,
le previsioni di filantropia, cioè di «non econo-micità», che si fanno soltanto intravedere nel-
l’art. 32, comma 2, t.u.b. e che invece sono
più fortemente radicate negli statuti delle
società (infra, § 4. ss.) non hanno evidente-
mente nulla a che vedere con la «mutualità» in
senso tecnico. Si tratta piuttosto di cause non
societarie che si innestano sull’organizzazione
cooperativa della società, con quest’ultima
compatibili mercè il loro rilievo secondariorispetto alla causa principale (v. anzitutto art.
13 c.c.). Invero, alla «neutralità causale» non
potrà non porsi un limite: la non prevalenzadella causa filantropica su quella economica,cioè, ad un tempo, lucrativa e/o mutualisticaglobalmente considerate. In caso contrario la
banca popolare si chiamerebbe fuori dal para-
digma societario dell’art. 2247 c.c., mentre
verrebbe attratta all’area concettuale degli enti
collettivi del Libro primo del codice civile. Ed
è a questo punto che dovrebbero sorgere seri
dubbi sul valore quantomeno relativo della
formula della «neutralità». Infatti, gli elementi
funzionali passati in rassegna dovrebbero rite-
nersi sufficienti per giustificare l’impiego del
codice organizzativo della cooperativa fuori
dai rigori dell’art. 2511 c.c. (nuovo testo): la
«neutralità causale» è modalità di argomenta-
zione di quelle che possono sfuggire dal con-
trollo; di quelle che potrebbero indurre alla
costruzione dell’ «ircocervo». E allora – in
fondo a tutto (ed il quesito è stato voluta-
mente lasciato insoluto fino a questo punto) –
quale significato può legittimamente rivendi-
care nel nostro sistema positivo la formula di
cui si discute? L’unica semantica che questa
possa legittimamente esibire non può prescin-
dere da un principio ordinamentale – espresso
nell’art. 2247 c.c. – secondo cui la fissazione
di un paradigma funzionale resta pur sempre
un elemento della fattispecie societaria: la for-
mula della «neutralità causale» designa un par-
ticolare atteggiarsi della causa societatis; nonindica invece alcuna abdicazione alla raziona-
lità del nostro ordinamento, secondo cui ogni
codice organizzativo corrisponde legislativa-
28 Banca Popolare del Frusinate
PRIMA PARTE
mente una giustificazione funzionale (v. tutti
gli studi di Spada riportati in nota bibliogra-
fica; da ultimo v. Sciuto/Spada).
Nell’orizzonte normativo delle banche
popolari la formula evoca 1) un universo dimodelli funzionali tipici, non sempre coinci-denti con quelli dell’art. 2511 c.c., ma com-
prensivi di iniziative speculative e non, ascrivi-
bili all’area dell’art. 2247 c.c., nonché altrui-
stiche, ascrivibili all’area concettuale del Libro
primo del codice civile, purché non prevalenti
rispetto alle prime (si torni a vedere l’art. 32,
comma 2, t.u.b.); 2) una delimitazione delle
«zone di interessi» disponibili all’autonomia
statutaria, perché riconosciuti dall’ordina-
mento generale tutti come compatibili alla fat-
tispecie societaria (sempre ex art. 2247 c.c.).
In questa prospettiva, dire che la banca popo-lare è «causalmente neutra» equivale ad averrinvenuto la ragione stessa di giustificazione delcodice organizzativo delle società cooperative.Tuttavia – ed è questo il caveat conclusivo –«neutralità causale» non va intesa come compa-tibilità con qualsiasi causa od anche con nessunacausa: non sarebbe valida, ad es., una clausolastatutaria che in una banca popolare vietasse
qualsiasi distribuzione di dividendo azionario,
qualsiasi destinazione di utilità di natura
mutualistica, a vantaggio di esclusive devolu-
zioni filantropiche. La fattispecie della banca
popolare è pur sempre quella di una società:
nessuno può dubitare che questi enti vadano
ascritti – come si diceva – nell’area dell’art.
2247 c.c.; ed in quest’area, sarà lo statuto
sociale a contemperare una ipotesi sui generisdi «mutualità spuria» e/o di lucratività miste a
cause filantropiche (che mai possono divenire
predominanti). Diviene così fondamentale
indagare su di un altro piano: su quello statu-
tario. Ma dapprima occorrerà valutare quanto
di questi dibattiti sopravvive ad una sotterra-
nea ed insidiosa innovazione, giunta con la
recente riforma del diritto societario, che in
linea astratta si assume non dovrebbe aver toc-
cato le banche popolari.
3.4. La riforma del diritto societario del2003 e l’autonomia del diritto dellebanche popolari.Con la riforma del diritto delle società di
capitali e cooperative – introdotta per novella-
zione del codice civile attraverso il ricordato d.
lgs. n. 6/2003 – viene, da un lato, operata una
più rigorosa distinzione tra cooperative aventi
diritto alle agevolazioni tributarie e non [v. art.
5, comma 1, lett e), legge 3 ottobre 2001, n.
366 - delega per la riforma del diritto societa-
rio; v. anche Relazione ministeriale al d. lgs. n.
6/2003, § 15]: è introdotta infatti la nozione
di «(società cooperative a) mutualità preva-
lente» proprio a discriminare tra le prime e le
altre (artt. 2512-2514 c.c., nuovo stile).
Dall’altro, l’art. 223 terdecies, comma 2, disp.att. c.c. (nuovo testo) dispone espressamente
che alle banche popolari continuino «ad appli-
carsi le norme vigenti alla data di entrata in
vigore» della legge delega di riforma del diritto
societario (legge n. 366/2001): non, si badi, al
tempo della entrata in vigore del decreto legi-
slativo delegato (n. 6/2003). La disposizione è
ambigua e, per adesso, nessun chiarimento
viene dalla circolare della Banca d’Italia (n.
245408 del 16 marzo 2004) concernente le
modifiche statutarie conseguenti alla riforma
29
Le Banche Popolari ovvero: “La mutualità che visse due volte”
societaria. Secondo una prima interpretazione,
non dovrebbe trattarsi di altro, riguardo alle
banche popolari, che dell’ultrattività delle vec-
chie disposizioni, incluso di quelle del codicecivile, in materia di società cooperative e diquelle sulla società per azioni dalle prime
richiamate (Buonocore). Certamente si tratta
di una posizione che getta un cono d’ombra su
molti problemi operativi. Quale diritto regola
ad es. una impugnativa di deliberazione
assembleare di banca popolare? E secondo
quale rito – quello ordinario del codice di pro-
cedura civile o quello societario introdotto dal
d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 – si solleva la
contestazione in sede giudiziaria? Non solo;
seguendo questa linea, vi è chi ha rilevato che
così opinando addirittura si finisce per disap-
plicare alle cooperative il nuovo diritto penale
societario (perché entrato in vigore successiva-
mente alla legge delega con d. lgs. 11 aprile
2002, n. 61) (Morera). Non meno importanti
interrogativi suscita poi la interpretazione
restrittiva, secondo la quale alle banche popo-
lari dovrebbe applicarsi il nuovo diritto codi-
cistico delle cooperative, mentre a sopravvi-
vere sarebbe il solo materiale normativo spe-
ciale, dedicato alle banche popolari, consi-
stente essenzialmente nelle disposizioni del
t.u.b. (Marasà). Se così fosse, le popolari di
sicuro ne guadagnerebbero perché si dissolve-
rebbero anche molti dei problemi più avanti
messi a fuoco (oltre che di seguito, v. anche
infra, § 4.2.); ma il fatto è che la disposizione
eccettuativa del legislatore delegato rinnova il
contenuto dell’art. 5, comma 3, legge delega
n. 366/2001, secondo cui «sono esclusi dal-
l’ambito di applicazione delle disposizioni dicui al presente articolo [: le linee guida della
riforma del diritto comune delle cooperative –
notazione mia] i consorzi agrari, nonché le
banche popolari, le banche di credito coopera-
tivo e gli istituti della cooperazione bancaria in
genere, ai quali continuano ad applicarsi le
norme vigenti salva l’emanazione di norme di
mero coordinamento che non incidano su
profili di carattere sostanziale della relativa
disciplina» (la disposizione delegante risulta
più nitida rispetto a quella delegata).
Un’ultima corrente di pensiero pretende,
infine, di mediare tra le precedenti, propo-
nendo una interpretazione «correttiva» della
normativa delegata sulla base della lettera della
legge delega, considerando in particolare il
ricordato art. 5, comma 3, là dove esclude le
cooperative di credito «dall’ambito di applica-
zione delle disposizioni di cui al presente arti-
colo» (corsivo mio) anziché dalla complessiva
portata precettiva della riforma societaria. Se
ne deduce così la disapplicazione del nuovo
diritto delle cooperative e l’applicabilità,
invece, a) dei principi suppletivi desumibilidal nuovo diritto delle società per azioni (non
viene in considerazione, per ragioni connesse
ai presupposti per l’esercizio dell’attività ban-
caria, il diritto della società a responsabilità
limitata, che può essere ora richiamato in fun-
zione suppletiva, così edificando la novità
della «cooperativa s.r.l.» - v. art. 2519 c.c.,
nuovo stile); b) del nuovo diritto processualesocietario (introdotto con il d. lgs. n. 5/2003);
c) del nuovo diritto penale societario (intro-dotto, come detto, con d. lgs. n.61/2002)
(Condemi). Lettura cui va dato atto di analiti-
cità e sforzo di razionalizzazione; ma forse
arbitraria, perché le difformità tra normativa
delegata e delegante non dovrebbero indurre
30 Banca Popolare del Frusinate
PRIMA PARTE
alla interpretazione correttiva della prima sugli
indici testuali della seconda, quanto piuttosto
all’accertamento di un vero e proprio eccesso didelega, valutabile solo in sede di giudizio dicostituzionalità sotto il profilo della violazione
dell’art. 76 Cost. E forse proprio questa
dovrebbe essere la prospettiva meno insoddi-
sfacente, secondo il sommesso parere di chi
scrive: l’art. 223 terdecies, comma 2 disp. att.esibisce una norma viziata per eccesso di delegarispetto all’art. 5, comma 3, legge n.
366/2001 e dunque costituzionalmente illegit-tima in ragione dell’affermazione di regole inpalese travalicamento dei limiti posti dalla
normativa delegante. Potrebbe allora essere il
sindacato di costituzionalità la sede nella quale
opportunamente «rettificare» l’ambito della
disapplicazione del nuovo regime societario,
anche nel senso in cui si è espressa la dottrina
della interpretazione «correttiva», la quale
pure lascia insoluti non pochi problemi opera-
tivi. Ma fino a quel pronunciamento, unica
interpretazione legittima non può essere che
quella prospettata dal Buonocore, precisan-
dosi che la disapplicazione della riforma socie-
taria si estende anche ai profili penali e proces-
suali; e su quella (pur provvisoria) certezza si
fonderanno gli argomenti di qui in avanti.
La riforma – nell’ambito di un disegno poli-
tico di respiro generale – rafforza il legame tra
l’organizzazione cooperativa ed il programma
mutualistico, infittendo i controlli, inasprendo
le sanzioni (civilistiche) per il caso della inat-
tuazione, nell’ordine adesso (anche) della persi-stenza della iniziativa sociale (cade così l’esi-genza della tesi del Graziani, che ravvisava nel
mancato perseguimento della funzione mutua-
listica una «grave irregolarità» gestoria che, ai
sensi dell’art. 11 legge Basevi e dell’art. 2544
c.c. vecchio stile giustificava lo scioglimento
della società per atto dell’autorità di vigilanza).
Tale novità potrebbe spiegare – ma il condizio-
nale è d’obbligo e si vedrà tra breve perché – la
scelta di disapplicazione del nuovo diritto alle
banche popolari, a livello legislativo non stret-
tamente legate alla mutualità.
Sarà opportuno procedere con sistematicità.
La riforma ha, notoriamente, sovvertito
l’ordine tradizionale, secondo cui nel codice
civile si collocano i principi generali di diritto
privato, mentre al di fuori le regole «setto-
riali». Così, almeno tendenzialmente, sotto il
vecchio diritto, con la parziale eccezione –
forse – degli artt. 2542 ss. c.c. (già dichiarati
inapplicabili alle banche popolari dal d. lgs. n.
105/48). Viceversa, oggi le nuove disposizioni
del codice civile si occupano (anche) di deli-
neare fattispecie a rilevanza extra-privatistica –
v., ad es., la «mutualità prevalente» (v. art. 223
duodecies, commi 6 e 7, disp. att. c.c., testoriformulato dal d. lgs. n. 6/2003) –.
È intuitivo così che l’espressione «mutua-
lità» (tout court) debba attingere ancora moltoalla nozione enucleata dalla giurisprudenza,
sia teorica che pratica, ancor prima che alla
nozione di «mutualità prevalente»; è indiscuti-
bile che da una riforma (legge delega più
decreto delegato), il cui disegno politico è
nella restituzione alla mutualità di tutte le
cooperative, a «mutualità prevalente» e non –
v. art. 5 legge delega (n. 366/2001); art. 2511
c.c., testo riformulato dal d. lgs. n. 6/2003;
Relazione ministeriale al d. lgs. n. 6/2003, §
15 (ove si afferma testualmente che lo scopo
mutualistico caratterizza anche le società coo-perative prive della «mutualità prevalente») –,
31
Le Banche Popolari ovvero: “La mutualità che visse due volte”
fosse legittimo attendersi di più nei riguardi
delle banche popolari.
Ad ogni modo, l’esclusione di queste dalla
riforma, avvenuto nel pieno rispetto della
legge delega, ne fa ancora di più una entitàibrida, racchiusa in una realtà settoriale.Orientavano invero verso la disapplica-
zione del nuovo diritto le seguenti ragioni
politiche: a) l’intento di non andare controla tradizione, lasciando intatta la «neutralità
causale», conformatasi prima per via di
prassi poi per diritto scritto; b) una proba-bile volontà di procedere presto ad una
riforma organica ad hoc, diretta a collocareuna volta per tutte le banche popolari fuori
dai modelli cooperativi. Il disegno politico,
pur se opinabile, avrà pure una sua raziona-
lità; ma sotto il profilo tecnico, le scelte del
legislatore sono davvero prive di costrutto! Si
osservi l’intima contraddittorietà di talune
disposizioni (torna a considerare l’art. 223
terdecies disp. att. c.c. - nuovo testo),
secondo cui le banche di credito cooperativo
sono da un lato incluse nell’area delle agevo-
lazioni fiscali riservate della «mutualità pre-
valente», beninteso alla condizione che
rispettino le norme previste dalle leggi spe-
ciali (comma 1); ma sono dall’altro estro-
messe dall’area di applicazione delle nuove
disposizioni del codice civile sull’organizza-
zione delle società cooperative – incluso per-
tanto il nuovo art. 2545 septiesdecies c.c.! –,al pari delle banche popolari (comma 2),
rispetto alle quali il divario funzionale non
potrebbe essere più netto.
Chi non rinunzi a tentare la razionalizza-
zione dei testi giuridici dovrebbe prendere atto
almeno di alcuni dati.
a) Funzione mutualistica e persistenza dellainiziativa sociale. Si potrebbe opinare che l’iso-lamento delle banche popolari dal nuovo
diritto delle società cooperative segni un defi-
nitivo distacco delle prime dalla funzione
mutualistica. Come si accennava, però, ciò
non spiegherebbe l’isolamento anche delle
«cugine» banche di credito cooperativo. Si è
detto che viene rafforzato nel nuovo diritto il
legame tra mutualità ed organizzazione coope-
rativa; lo dimostra tecnicamente – è giunto il
momento di chiarirlo – il nuovo corredo delleconseguenze giuridiche della ricorrenza o dellamancata attuazione del programma mutuali-stico. Sotto il nuovo diritto le società cooperative– tutte e non solo quelle a «mutualità preva-lente» – sono soggette a scioglimento per atto del-l’autorità di vigilanza, ove di fatto non perse-guano lo scopo mutualistico (così per il nuovoart. 2545 septiesdecies c.c., testo riformulatodal d. lgs. n. 6/2003). È evidente che ad egualesanzione di eliminazione della iniziativa socialenon vadano incontro le banche popolari, perdisapplicazione della riforma. Ci si potrebbe
chiedere allora se trovi applicazione il princi-
pio del vecchio art. 2544 c.c. (testo anteriforma ex d. lgs. n. 6/2003), esprimendosi
dunque non la necessità ma solo la facoltati-vità della funzione mutualistica. Tale norma,come si è detto ripetutamente, finché vigeva il
d. lgs. n. 105/48 era espressamente dichiarata
non applicabile; mentre manca oggi una cor-
rispondente disposizione di disapplicazione
nel testo unico bancario, che si riferisce espres-
samente soltanto alla c.d. legge Basevi (art. 29,
comma 4, t.u.b.). Ora, considerato che gli
artt. 2542-2545 c.c. (testo ante riforma 2003)si raccordano al sistema della vigilanza sulla
32 Banca Popolare del Frusinate
PRIMA PARTE
cooperazione che trova i principi fondamen-
tali proprio nella c.d. legge Basevi (v. per tutti
– da ultimo – Bonfante), pare fondato opi-
nare a) che non solo permanga inapplicabile(anche) il vecchio art. 2544 c.c., ma – più in
generale – b) che il rinvio al vecchio dirittosocietario compiuto dall’art. 223 terdeciesdisp. att. c.c. vada riferito esclusivamente alleregole sull’organizzazione. Gli agganci testualidella comune organizzazione cooperativa alla
funzione mutualistica, ravvisabili nel vecchio
diritto societario (v. art. 2511; art. 2515,
comma 2; art. 2518, comma 2, n. 9; art.
2536 c.c. – tutti nel testo ante riforma ex d.lgs. n. 6/2003), risultano inapplicabili alle
banche popolari oggi ancor più plausibil-
mente che in passato. Ma, nonostante questa
più accentuata disconnessione causale dalle
cooperative comuni, la sottrazione delle
popolari alla riforma del diritto delle società
cooperative non rappresenta alcuna necessità
logica correlata al divario tra le prime e la fun-
zione mutualistica, bensì soltanto il frutto di
una decisione politica. Infatti, la disapplica-zione alle banche di credito cooperativo della
riforma societaria e segnatamente dell’art.
2545 septiesdecies c.c., che enuncia un princi-pio di carattere generale, non trova razionalespiegazione nelle sole disposizioni eccettua-
tive in tema di vigilanza cooperativa (v. artt.
18 d. lgs. 220/2002 e 21, comma 3, legge n.
59/92; già ricordati retro, § 3.2.): il che sot-
trae logicità e aggiunge politicità alle scelte
legislative del 2003.
b) Anche sul piano dell’organizzazione lalaconicità dell’art. 223 terdecies disp. att.c.c. nasconde uno scenario abbastanza
complesso:
b1) un primo interrogativo sorge a marginedella nomina esclusivamente assembleare degli
organi sociali (art. 29, comma 3, t.u.b.). è
venuto tempo di sciogliere la riserva altrove
aperta (retro, § 3.1.). ci si trova di fronte ad
una formula usualmente posta in correlazione
all’art. 2535 c.c. (testo ante riforma ex d. lgs.n. 6/2003), così desumendone a) che gliamministratori delle popolari possano essere
soltanto scelti fra i soci e b) ulteriore argo-mento di parentela tra organizzazione delle
popolari e delle cooperative. Queste conclu-
sioni vengono oggi messe in crisi dalla riforma
introdotta con il d. lgs. n. 6/2003, che nel
nuovo art. 2542 c.c. impone ora che solo la
maggioranza dei componenti dell’organo
amministrativo sia costituita da soci, sia per
dare spazio ai rappresentanti dei portatori
degli strumenti finanziari di cui si dirà tra
breve, sia – forse – per concedere spazi ai
sistemi di amministrazione mutuati dal nuovo
regime della società per azioni (v. art. 2544
c.c., nuovo stile).
Ora, il nuovo diritto societario non si applica
alle popolari; dunque esse rinviano al codice
organizzativo delle vecchie cooperative; così le
prime non potranno avvalersi dei nuovi sistemi
d’amministrazione (c.d. alternativi) della
società per azioni. Forse non tutto il male viene
per nuocere, si direbbe, considerato lo scarso
coordinamento tra l’art. 2543 c.c. (nuovo stile)
e questi regimi (Costi). Ma non è chi non veda
come, anche dal punto di vista dell’amministra-
zione, vada aprendosi il divario;
b2) gli strumenti finanziari, che le coopera-tive possono oggi emettere, dovrebbero nello
spirito della riforma moltiplicare i canali d’af-
flusso di capitali di debito verso la mutualità
33
Le Banche Popolari ovvero: “La mutualità che visse due volte”
(v. art. 2526 c.c., testo riformulato dal d. lgs.
n. 6/2003). Ma questi strumenti sono preclusi
alle popolari. Secondo una interpretazione
restrittiva, la ragione risiederebbe nel fatto che
tutti i finanziamenti destinati alla società coo-
perativa dovrebbero esclusivamente correlarsi
alla funzione mutualistica; la facoltatività di
questa spiegherebbe allora la inaccessibilità di
questi strumenti alle banche popolari. Ove
invece si ritenga che qualche spazio vi sia per
la convergenza dei medesimi finanziamenti
verso iniziative speculative, considerato che
neanche nel nuovo diritto è respinta l’idea
della «mutualità spuria» (art. 2521, comma 3,
n. 8; art. 2545 quater, comma 2; art. 2545
quinquies c.c., come riformulati dal d. lgs. n.
6/2003), l’impraticabilità di queste modalità
di raccolta di capitali di debito denunzia uno
scollamento tra codici organizzativi delle
popolari e delle cooperative comuni spiegabile
solo parzialmente in base a ragioni funzionali.
Ma lo scollamento si è prodotto anche con le
cooperative comuni vecchio stile, quando si
consideri che, reciprocamente, le banche
popolari possono finanziarsi emettendo, al
pari di tutte le altre banche, «obbligazioni
bancarie», «titoli di deposito» e «prestiti subor-
dinati» ai sensi dell’art. 12 t.u.b. (Salanitro).
Ma non basta, perché, da ultimo, alle società
bancarie – a tutte ed a prescindere dal codice
organizzativo prescelto, e dunque anche allepopolari – è stato consentito indebitarsi emet-tendo strumenti finanziari con causa «parteci-
pativa» al rischio dell’impresa sociale ai sensi
dell’art. 2411, ult. comma, c.c. (nel testo rifor-
mulato dal d. lgs. n. 6/2003): merita segnala-
zione infatti che il d. lgs. 6 febbraio 2004, n.
37 (coordinamento dei d. lgs. 17 gennaio
2003, nn. 5 e 6, recanti la riforma del diritto
di societario, con il testo unico bancario, d.
lgs. 1° settembre 1993, n. 385 e con il testo
unico della intermediazione finanziaria, d. lgs.
24 febbraio 1998, n. 58), nel riformulare il
testo dell’art. 12, comma 3, t.u.b., ha omesso
di dichiarare inapplicabile il nuovo art. 2411
c.c. (Portale).
Si può allora azzardare una prima, provviso-
ria, conclusione. Ancorché la riforma del
diritto societario non abbia sovvertito, in
apparenza, l’ordine delle banche popolari,
questo non è tuttavia uscito indenne dalla rivo-luzione prodottaglisi tutt’intorno, poiché
accanto all’allargarsi del distacco funzionale,
varie regole denunziano che già è in embrione
l’edificazione di un codice organizzativo suigeneris, più prossimo a quello delle vecchiesocietà cooperative, che a quello delle nuove,
mentre la struttura finanziaria è più vicina a
quella delle società bancarie (azionarie e non)
che non di diritto comune. Non viene perciò
smentita la tesi della divaricazione fra «forma»
e «sostanza» della cooperativa, ossia fra tipolo-
gia funzionale ed organizzativa; ma, così come
vengono introdotti elementi di autonoma
caratterizzazione dell’organizzazione, direi
anche che, a mano a mano che il diritto scritto
del 2003 rafforza il legame tra iniziativa
sociale regolata in forma cooperativa e causa
mutualistica, per le banche popolari si rie-
spandono invece gli spazi già lasciati all’auto-nomia statutaria sotto la vigenza del codice dicommercio del 1882. Non è questo, del resto,
l’unico paradossale «eterno ritorno» della
riforma societaria del 2003, poiché nel nuovo
art. 2511 c.c., che definisce le società coopera-
tive come «società a capitale variabile con
34 Banca Popolare del Frusinate
PRIMA PARTE
scopo mutualistico», par di sentire riecheg-
giare le parole di Vivante («le società coopera-
tive sono società a capitale variabile regolate in
modo da favorire gli scambievoli servigi della
società verso i soci e dei soci verso la società»).
3.5. Notizie (ed un commento)dell’ultima ora.Come in ogni giallo che si rispetti, a questo
punto c’è una «notizia dell’ultima ora»; un
tentativo di depistaggio del lettore e dell’inve-
stigatore, che non poteva certo mancare.
Nel dicembre del 2003 la Commissione
europea ha formalmente richiesto all’Italia
informazioni per sospetta violazione dell’art.
56 del Trattato CE sulla libertà di circolazione
dei capitali con specifico riferimento al princi-
pio del voto capitario delle banche popolari
quotate nei mercati regolamentati. Non è stata
aperta al momento alcuna procedura di infra-
zione contro l’Italia; ma merita attenzione l’ar-
gomentazione di autorevoli giuristi espres-
sione delle associazioni di tutela dei c.d. soci
deboli delle banche popolari (v. retro, § 2.2.),
attese stavolta ad una «prova di maturità».
Particolare considerazione va riservata alla
(affermata) equiparazione tra voto capitario
delle popolari e golden shares, che caratterizzala disciplina speciale della privatizzazione di
alcune società azionarie derivanti dalla trasfor-
mazione di enti pubblici. In entrambi i casi
l’impatto è esaminato nella prospettiva delle
sole società quotate in borsa (banche popolari
o società per azioni) e viene identificato in una
sostanziale discriminazione fra i componenti
della compagine sociale atta a limitare la
libertà comunitaria di circolazione dei capitali
(art. 56 Tr. CE; Cafari Panico).
A questi argomenti è tuttavia dato obiettare
una sostanziale diversità dei codici organizza-
tivi sui quali vengono ad innestarsi: da un lato,
la golden share è un potere speciale che effetti-vamente può squilibrare uguaglianza e parità
di trattamento dei soci di una società per
azioni (per un’analisi della più recente giuri-
sprudenza comunitaria v. Ballarino/Bellodi).
Dall’altro, il voto capitario è (invece) nel
diritto comune delle società cooperative, si
innesta nella organizzazione democratica
funzionale alla causa mutualistica. Forse che
se un domani dovessero quotarsi altre società
cooperative, diverse dalle banche popolari,
sarebbero tutte costrette – in forza dell’art.
56 Tr. CE – a mutare la propria organizza-
zione in azionaria e la propria causa in lucra-
tiva? Più realisticamente, l’argomento comu-
nitaristico, ancora una volta ripropone –
strumentalmente ed in chiave di organizza-
zione e di governo della società – la mai con-
ciliata antitesi tra «forma» e «sostanza» di
società cooperativa.
4. Tipologia sociale (prassistatutarie).È tempo di tornare alla nostra (faticosa)
investigazione. Ogni volta che sembra di
essere sulle tracce dello scomparso si torna più
o meno al punto di partenza; il colpo di teatroincautamente annunciato, la svolta nella
trama del giallo sono ancora una volta rin-
viati. Ma, intanto, è già qualcosa l’aver accer-
tato – pur se in negativo – che non un indi-
zio incoraggia a ritenere morto il protagonista
35
Le Banche Popolari ovvero: “La mutualità che visse due volte”
e ad avvertire l’esigenza di spostare il piano
dell’indagine. Infatti, si comprende sempre
meno del destino del nostro: indizi contra-
stanti spingono a pensare ora alla sua morte,
ora alla sua sopravvivenza. Da un lato è
impossibile provare che sia tuttora in vita rac-
cogliendo testimonianze che lo scambiano
per un’altra persona (la mutualità delle società
cooperative codicistiche; così ha fatto il detec-tive che lo ha inseguito sulle tracce dell’art.2515, comma 2, c.c.); dall’altro chi lo dà per
morto non è stato in grado di ritrovarne il
cadavere, probabilmente perché è andato a
cercarlo in un territorio nel quale non ha mai
abitato (così ha fatto chi ha visto nell’organiz-
zazione delle banche popolari la struttura
azionaria).
Da altro lato ancora, quando si è detto –
con grande plausibilità – che la ricerca del
protagonista è tanto difficile perché al
momento della sparizione era vestito di un
abito buono per tutte o quasi le occasioni
(c.d. «neutralità causale» dello schema orga-
nizzativo della cooperativa) non si sono for-
niti indizi sufficienti al nostro investigatore,
che non pare così tuttora in grado di rispon-
dere all’interrogativo se il protagonista sia
vivo o morto. Affaticato, ma ancora non
demotivato, l’investigatore si mette ricercarlo
cambiando completamente versante.
Precisamente, dirige le indagini verso gli sta-
tuti sociali: possibile – la domanda sorge
spontanea – che di tutte le iniziative non spe-
culative fino ad oggi svoltesi sotto l’etichetta
«banca popolare» non si riesca a trovare
riscontro nella vigente normativa statale,
all’infuori di una epifania nell’art. 32,
comma 2, t.u.b.?
4.1. Alla ricerca delle «identitàstatutarie» delle banche popolari: a) lacausa sociale.L’identità funzionale delle banche popolari
è, attualmente, nel collegamento stretto, per
via statutaria, fra lucratività, qualche forma di
mutualità a radicamento territoriale e filan-
tropia. E ciò basterebbe – secondo ricordata
voce autorevole – a giustificare l’utilizzazione
dello schema organizzativo della cooperativa
(retro, § 3.3.). Chi scrive premette di non
voler utilizzare, in materia societaria, la parola
«mutualità» in altro significato che in quello
di disciplina dispositiva del patrimonio
sociale funzionale all’autodestinazione in via
diretta, cioè mediante «gestione di servizio»,
oppure in via indiretta, cioè mediante appro-
priazione in denaro, dei vantaggi consistenti
nella migliore condizione di accesso al mer-
cato (in questo caso del credito) o di rispar-
mio di spesa (v. retro, § 3.3.). Il rigore lessi-
cale è raccomandabile anche perché la
«mutualità» delle banche popolari è sempre
cresciuta fuori dal diritto scritto.
A questo punto l’indagine, preso atto della
divergenza tra «forma» e «sostanza» della coo-
perativa, deve esplorare a quali risultati nel
mercato può condurre il fatto che la organiz-
zazione cooperativa ci appaia come una chiave
buona ad aprire tutte le porte.
L’osservazione delle prassi sembra attestare
che all’assenza della obbligatorietà della causa
mutualistica nella legge corrisponda la diffu-sione a livello statutario di cause «non lucra-tive», talora addirittura «non economiche»,
più frequenti nelle società meno patrimonia-
lizzate, con esigua compagine di soci, con atti-
vità concentrate in una ristretta zona del terri-
36 Banca Popolare del Frusinate
PRIMA PARTE
torio nazionale: dalla filantropia alla promo-
zione dello sviluppo imprenditoriale del terri-
torio; ai «principi tradizionali del credito
popolare», tuttavia ignoti alla legge, sollevan-
dosi allora il problema del valore giuridico di
un richiamo dal senso apparentemente socio-
logico; alla mutualità – dulcis in fundo – insenso tecnico. Il senso di questa ricerca “sul
campo” è nell’analisi degli interessi, nel con-
creto della realtà storica, al di là degli slogan.È stato esaminato un campione di n. 12 sta-
tuti su di un totale di n. 44 quante oggi sono
le banche popolari (dal computo sono ovvia-
mente escluse quelle trasformatesi in società
per azioni e che abbiano tuttavia mantenuto
nella denominazione sociale la locuzione
«banca popolare»). Il campione è stato assor-
tito tenuto conto delle fasce di classificazione
delle banche iscritte presso l’AssociazioneNazionale Banche popolari. La ricerca sulleclausole statutarie ha dato un esito profonda-
mente diverso da una analoga condotta nel
1991 (Santosuosso), quando l’universo delle
banche era anzitutto molto più affollato, al
pari dell’assetto istituzionale, profondamente
mutato medio tempore. L’aggregazione dei datiinduce a dividere in due gruppi fondamentali
le clausole statutarie significative. Da un lato,
le clausole da cui si desumono le funzioni dellabanca popolare (il plurale come si vedrà è
d’obbligo); dall’altro le clausole che ne identi-
ficano l’organizzazione cooperativa sui generis.Qui di seguito vengono presentati in forma
sintetica i risultati della indagine, con un cor-
redo di commenti. Nell’appendice a fine testovengono invece riprodotte le clausole statuta-
rie, ordinate in tabelle, in modo che si possano
riscontrare le conclusioni raggiunte senza
troppo appesantire l’esposizione. Si inizia con
l’esame delle clausole sulle funzioni.
A) Ripartizione degli utili netti [vedi tabella1]. La ricerca ha evidenziato dati che si
lasciano classificare al modo che segue: a)clausole che non impongono alcun obbligo di
devoluzione filantropica; b) clausole cheimpongono la devoluzione filantropica di una
percentuale fissa di utili netti; c) clausole cheimpongono la devoluzione filantropica sol-
tanto d’una percentuale massima di utili netti;
d) clausole che impongono la devoluzionefilantropica di una percentuale che viene sta-
bilita di volta in volta dall’assemblea; e) clau-sole che non quantificano l’obbligo di devolu-
zione filantropica degli utili netti lasciando
alla discrezionalità del c.d.a. l’an, mentre la fis-sazione del quantum rispetto all’utile netto
complessivo è stabilita dall’assemblea, affer-
mando tuttavia che la devoluzione debba
avvenire in via residuale, cioè dedotte tutte le
altre destinazioni dell’utile netto. Talora l’esi-
genza di fissazione del limite dall’assemblea è
espressa in maniera puntuale; talora invece
viene menzionata genericamente la necessità
di fissazione di “criteri” o “decisioni” dall’as-
semblea. Riassumendo: solo le clausole di cui
alla lett. e) attribuiscono alla devoluzionefilantropica il carattere di residualità (apparen-
temente) imposto dall’art. 32, comma 2,
t.u.b., peraltro non sempre in modo esplicito.
Negli altri casi la fissazione di una percentuale
– talora in forma di “tetto” – alla devoluzione
filantropica non è presentata come residuale,
ma come “pre-deduzione” dall’utile netto
prima della distribuzione ai soci. Ci sarebbe da
chiedersi se invece l’art. 32, comma 2, t.u.b.
richieda una devoluzione a tutti gli effetti resi-
37
Le Banche Popolari ovvero: “La mutualità che visse due volte”
duale. Si potrebbe tuttavia replicare che l’in-
terpretazione recepita dagli statuti possa rive-
larsi anche più garantista rispetto ad un crite-
rio di mera residualità. Ma poi tale garanzia
viene di fatto vanificata nel momento in cui è
attribuita al c.d.a. una discrezionalità non solo
di scelta delle iniziative filantropiche da soste-
nere, ma anche di fissazione della misura della
devoluzione entro un limite massimo prede-
terminato nello statuto, senza indicare il
minimo della contribuzione. Inoltre, non è
mai prevista la devoluzione a scopi filantropici
ad es. dei dividendi non riscossi dopo un
quinquennio [ma sul punto bisogna rinviare
più sotto, al sotto-gruppo di clausole C)].
B) Voci del netto e del passivo reale [veditabella 2]. Lo stile delle clausole che vengono
riprodotte a campione è comune a tutti gli sta-
tuti esaminati. La ricerca ha evidenziato totale
assenza di clausole istitutive sia di attribuzioni
a titolo di «ristorni» (cfr. nuovo art. 2545 sexiesc.c.) sia di stanziamenti a fini mutualistici, ai
quali l’art. 2518, comma 1, n. 9 e l’art. 2536
c.c. (versione ante riforma 2003, consideratoche il nuovo diritto non si applica alle banche
popolari; ma nel nuovo diritto v. comunque
art. 2521, comma 3, n. 8; art. 2545 quinquiesc.c.) affidano tuttavia l’attuazione del pro-
gramma mutualistico. Si tratta di disposizioni,
come si è già rilevato, manifestamente
difformi dall’art. 32 t.u.b. L’assenza di indica-
zioni negli statuti circa destinazioni a scopi
mutualistici potrebbe orientare verso conclu-
sioni alternative. a) Chi sostiene che le banchepopolari debbano a tutt’oggi perseguire una
causa mutualistica, benché magari «spuria»,
dovrebbe coerentemente risolversi perché le
due ricordate disposizioni codicistiche trovino
comunque applicazione – a parte la previsione
sulla riserva legale, fissata nella misura del
dieci per cento degli utili netti annuali dall’art.
32, comma 1, t.u.b. –: corollario sarebbe
allora che la totalità degli statuti qui esaminati
sarebbe viziata, pur se non a pena di nullità,
trovando in questi casi comunque applica-
zione la norma imperativa (sulle devoluzioni).
b) Chi invece è persuaso della neutralità cau-sale delle banche popolari ritiene che l’art. 32
t.u.b. pienamente prevalga sull’art. 2536 c.c.
(vecchio testo); il che trova testuale conferma
negli statuti, in questa prospettiva niente
affatto viziati. c) La lettura, infine, di talunibilanci di esercizio accentua la complessità
della realtà che qui si va osservando. Spesso le
piccole popolari (quelle per intenderci classifi-
cate nella 3° fascia dall’Associazione Nazionale
di categoria) – almeno in certe fasi della loro
operatività – non distribuiscono utili per
molti esercizi. Potrebbe essere questo un argo-
mento a conforto della mutualità; ma ad un’a-
nalisi più attenta non è detto che sia così.
Infatti, se la non distribuzione indiscutibil-
mente sposta le attese di remunerazione del-
l’investimento del socio nell’area della
«gestione di servizi» (bancari), non è detto che
l’utile così accantonato sia necessariamente
destinato ai fondi mutualistici (di cui si è
appena detto). Può essere destinato in conto
futuri aumenti di capitale; oppure può essere
accantonato in fondi per rimborso delle quote
dei soci recedenti [v. numerosi esempi ancora
in tabella 1]. È quest’ultimo un validissimo
espediente che permette di conciliare la «porta
aperta» con le esigenze di stabilità del capitale
nominale. Ciò a riprova – ove mai ve ne sia
ancora bisogno – che nel nostro ordinamento
38 Banca Popolare del Frusinate
PRIMA PARTE
societario una nozione ontologizzante di
mutualità è completamente fuori luogo; che la
nozione di mutualità deve piuttosto rappor-
tarsi ai poteri dispositivi del patrimonio netto
di bilancio.
C) Diritti individuali del socio [vedi tabella3]. Quest’ultimo gruppo di clausole dalle
quali si è tentato di leggere in controluce la
mutualità nelle banche popolari ha carattere
residuale e pertanto eterogeneo. Dal campione
di statuti esaminato si sono espunte due clau-
sole attinenti diritti individuali del socio e
ricorrenti pressoché in tutti gli statuti. a) «Ilsocio partecipa per intero al dividendo delibe-
rato dall’assemblea qualunque sia l’epoca del-
l’acquisto della qualità di socio; i sottoscrittori
di nuove azioni devono però corrispondere
alla società gli interessi di conguaglio nella
misura fissata dal c.d.a.». b) «I dividendi nonriscossi entro un quinquennio dal giorno in
cui divennero esigibili restano devoluti alla
società». A dispetto delle apparenze, è la
seconda clausola che congiura contro la
mutualità, poiché le somme non riscosse rien-
trano nella più totale libertà dispositiva della
società; mutualità viceversa avrebbe suggerito
di devolvere a fini coerenti al programma que-
ste somme. Non così la prima clausola, che –
pur confessando la mutualità «spuria» - rinvia
ai poteri assembleari di disposizione del patri-
monio sociale.
D) Enunciazioni di criteri generali nelle clau-sole sulla costituzione e sulla denominazionedella società [vedi tabella 4] e/o sull’oggettosociale [vedi tabella 5]. La ricerca ha rilevato invari statuti enunciazioni di criteri generali del-
l’azione e del perseguimento dell’oggetto
sociale. Si possono aggregare a questo modo le
formule in uso negli statuti esaminati: «finalità
peculiari delle banche popolari» (talora la
variante è insignificante: «di una banca popo-
lare»); «principi/criteri tradizionali del credito
popolare»; «principi di mutualità»; «principi
della mutualità e della cooperazione»; «prin-
cipi della mutualità e (principi) tradizionali
del credito popolare»; «principi normativi
della cooperazione e della mutualità e (…) cri-
teri tradizionali del credito popolare». La
varietà lessicale potrebbe così condensarsi: a)finalità peculiari delle banche popolari; prin-
cipi/criteri tradizionali del credito popolare; b)principi della mutualità e della cooperazione.
Si possono così osservare [punto a)] enun-
ciazioni che attingono il significato da dati del
tutto empirici: dall’esperienza, dalla tradizione
culturale, quindi dalla storia e dalla sociologia
del settore creditizio. Si tratta di ciò che autore
accreditato ha detto «mutualità in senso socio-
logico» (Gambino), percorrendo itinerario già
battuto qualche decennio prima, secondo cui
la mutualità della impresa cooperativa si iden-
tifica nello scopo di una collettività caratteriz-
zata per omogeneità sociologica e di interessi
(Verrucoli), in contrapposizione ad una
nozione più ristretta e tecnica [di cui v. retro,
§ 3.3., nonché infra, tra breve, punto b)]. Le
formule dovrebbero pertanto indirizzare la
gestione sociale – lasciando piena libertà d’a-
zione – a conformarsi ai parametri noti del
c.d. radicamento territoriale delle banchepopolari, sia in senso geografico – riferimento
oggi scomparso dagli statuti esaminati – sia in
senso sociologico, con riguardo cioè a partico-
lari categorie sociali di clientela [come si tor-
nerà a vedere anche esaminando il prossimo
gruppo di clausole, sub E)]. A queste direttive
39
Le Banche Popolari ovvero: “La mutualità che visse due volte”
debbono essere raccordate formule, pur esse di
contenuto generico, che in questa prospettiva
non rivelano allora valore di clausole di stile,
quali l’incentivazione al risparmio di piccoli
capitali e il sostegno della iniziativa economica
medio/piccola, che si collocano sui versanti
della raccolta del risparmio e dell’esercizio del
credito. Così, ad es., un primo gruppo di clau-
sole che programmano di «attuare ogni oppor-
tuna iniziativa volta a diffondere ed incoraggiareil risparmio»; «incoraggiare il risparmio popo-lare in tutte le sue forme»; fare «opera di pro-paganda per il risparmio»; nonché un secondogruppo di clausole, che programmano il «fine
precipuo di favorire e sviluppare le attività
agricole, industriali, commerciali, artigiane e
di lavoro autonomo con particolare alle atti-
vità produttive minori ed alle imprese coope-
rative»; il «fine di favorire e sviluppare le atti-
vità agricole, industriali, commerciali, turisti-
che, artigiane e di servizi con particolare
riguardo alle piccole e medie imprese». Si
tratta di clausole di richiamo ad una tradi-
zione e ad una specificità sociologica, senza
alcun preciso radicamento territoriale della
clientela, vale a dire senza l’attestazione statu-
taria della preferenza di clienti provenienti da
zone geografiche determinate. Le preferenze
vengono semmai collegate all’appartenenza a
determinate categorie sociali (v. in particolare
il secondo gruppo appena riportato): in que-
sto caso il radicamento territoriale assume
forma indiretta, poiché – de facto – è facil-mente prevedibile la provenienza della clien-
tela di una banca i cui sportelli siano ubicati in
una certa parte del territorio nazionale; meno
invece quando la presenza delle filiali sia dif-
fusa su tutto il territorio nazionale. Si
potrebbe pertanto concludere che un dato d’e-
sperienza – il c.d. radicamento territoriale
delle banche popolari nella prestazione delle
operazioni bancarie – all’inizio del nuovo mil-
lennio si sia profondamente trasformato,
abbia perduto pressoché totalmente valenza
geografica, pur avendo mantenuto valenzasociologica; segnando un momento di distaccodalla esperienza delle banche di credito coope-
rativo, già casse rurali ed artigiane
(Schlesinger; Marasà). Altro è invece il radica-
mento territoriale della compagine sociale,
assente nel diritto delle banche popolari, con-
trariamente invece che nelle banche di credito
cooperativo (v. art. 34, comma 2, t.u.b.). Ma,
soprattutto, ci si chiede fino a che punto gli
obiettivi statutari a rilevanza sociologica
acquisiscano un valore giuridico forte, nel
senso della sanzionabilità dinanzi ad un giu-
dice di comportamenti trasgressivi di organi
sociali, segnatamente dell’amministrazione.
L’interrogativo potrebbe trovare adeguata
risposta ove fosse impostato al modo seguente:
questi richiami a valori sociologici e della tra-
dizione sono idonei ad influenzare, e se sì in
quale misura, la produzione dell’attività
sociale? Ove si concludesse negativamente,
bisognerebbe prendere atto che si tratti di
clausole di stile. Ma ove se ne provasse la ido-
neità – non rileva qui stabilire se in quanto
previsioni delimitative dell’oggetto sociale
oppure se in quanto specificative dell’interesse
sociale –, sarebbe ipotizzabile un recupero dellamutualità (quantomeno in senso sociologico)delle banche popolari in chiave statutaria. Unanalogo problema interpretativo è stato
affrontato nella letteratura giuridica, sia ita-
liana (Sciuto; Stella Richter), sia tedesca
40 Banca Popolare del Frusinate
PRIMA PARTE
(Schmidt; Mertens; Winkler), soltanto con
riferimento alla realtà delle società per azioni,
nei cui statuti si dà una casistica invero non
abbondante, ma neppure scarsa, di indicazioni
di obiettivi ideologici, politici, religiosi e di
altra natura volti in qualche misura a circoscri-
vere le occasioni speculative che peraltro l’ente
potrebbe legittimamente sfruttare ai sensi del-
l’art. 2247 c.c.: è il noto caso tedesco della casa
editrice che programma statutariamente di
rifiutare la pubblicazione di libri e periodici
contrari ad un certo credo politico o religioso.
Negli statuti delle banche popolari invece
clausole a contenuto sociologico sono assai
ricorrenti: sarebbe riduttivo spiegare questa
prassi come mero prodotto dell’azione
conformatrice delle associazioni di categoria,
perché viceversa si tratta del risultato opera-
tivo e dinamico dell’ampiezza delle scelte fun-
zionali che il nostro ordinamento autorizza
per questa categoria di enti creditizi. Per tali
obiettivi è ipotizzabile altresì una prospettiva
di recupero di significato anche giuspubblici-
stico (v. infra, 4.1.1.).
Si può inoltre osservare [punto b)] che èevidente l’utilizzo viceversa di locuzioni dal
valore giuridico fortemente evocativo.
Scontato che i «principi della cooperazione»
non abbiano alcun senso autonomo in questo
contesto, perché le banche popolari sono fuori
come si è detto dalla sfera di applicazione del-
l’art. 45 Cost. e perché in materia societaria
con la locuzione ricordata si evoca un codice
organizzativo, al limite anche regole speciali a
carattere «settoriale», piuttosto che una fun-
zione, bisogna allora concentrarsi sulla portata
concreta dei «principi della mutualità». Il pro-
gramma mutualistico nominato in statuto
delinea – astrattamente – la realizzazione
d’una economia, nella sfera di ciascun socio,
a) in forma diretta – come «gestione di servi-zio», vale a dire come autodestinazione ai soci
delle prestazioni della banca – oppure b) informa indiretta – attraverso la tecnica dei
ristorni e delle altre destinazioni a fini mutua-
listici dell’art. 2536 c.c. (vecchio testo). A
titolo di mera curiosità, si osserva che in uno
statuto il richiamo ai «principi della mutua-
lità» è fatto precedere dalla congiunzione
«anche»; ne risulta apertamente e testualmente
dichiarato che la mutualità non è la sola causa
ispiratrice dell’azione sociale e dunque un
espresso riferimento ai principi della «mutua-
lità spuria». Quanto alla coincidenza tra le
persone dei soci e dei destinatari dei servizi
prestati dalla impresa sociale, si dirà tra breve;
sotto il secondo profilo (ristorni ed altre desti-
nazioni), va ribadito che l’enunciazione di un
programma mutualistico non può non impe-
gnare in senso forte tutti gli organi sociali – cia-scuno per quanto di competenza – ad una
«non illimitata lucratività» nella disposizione
del patrimonio sociale (retro, § 3.3.). E ciò,
pur in assenza di espresse istituzioni statutarie
di accantonamenti a scopi mutualistici: la
distonia che passa fra enunciazione di un pro-
gramma mutualistico e la configurazione dei
poteri di disposizione del patrimonio sociale –
distribuzione di utili inclusa – in chiave spic-
catamente lucrativa non può non essere risolta
nei termini d’un obbligo degli organi sociali di
assumere le decisioni necessarie all’attuazione
del programma manifestato. Non pare infatti
legittimo (direi anche di più: sarebbe immo-
rale) lasciare da un lato libera l’autonomia sta-
tutaria di indicare qualsivoglia programma
41
Le Banche Popolari ovvero: “La mutualità che visse due volte”
consentendole dall’altro di sottrarsi dal gene-
rale principio dell’autoresponsabilità: si tratta
semplicemente di restituire concretezza alle
etichette, poiché è difficile dubitare sulla ido-
neità di questo gruppo di clausole a condizio-
nare – con efficacia «giustiziabile» – la produ-
zione dell’attività sociale. Si precostituisce così
un parametro di valutazione dell’attuazione
dell’intero rapporto sociale, ed in prima bat-
tuta dell’operato degli amministratori.
E) Autodestinazione ai soci dei servizi dell’im-presa sociale. Verrà osservato ora un ulterioreprofilo delle clausole relative all’oggetto
sociale, talune specificamente dedicate alle
operazioni bancarie, o meglio alla contratta-
zione d’impresa con i soci [vedi tabella 6]. Più
precisamente ci si riferisce:
a) alla ricorrente formula secondo cui i ser-vizi prestati dalla banca sono diretti tanto a soci,quanto a non soci [sul punto torna a vedereanche tabella 5]. Si è già osservato come – sin
dai tempi di Vivante – alla cooperativa non sia
mai stato vietato di operare con terzi (v. retro,
§ 3.3.): così ancora oggi, nonostante la restri-
zione imposta dall’art. 2521, comma 2, c.c.
(testo novellato dal d. lgs. n. 6/2003). Queste
clausole evocano il trasferimento dell’econo-
mia nella sfera dei soci attraverso la tecnica
dell’autodestinazione in forma diretta. Il fatto
che gli statuti prevedano la prestazione delle
attività anche ai non soci postula tuttavia: a1)una regolamentazione di favore delle condi-
zioni di accesso ai servizi della banca a benefi-
cio dei soci (c.d. autodestinazione diretta), su
basi meramente contrattuali; oppure a2) ladistribuzione dei ristorni, vale a dire il trasfe-
rimento delle economie dalla società ai soci in
forma indiretta, mediante assegnazione di
somme di denaro (va ricordato che alle banche
popolari non si applica l’art. 2545 sexies c.c.,introdotto dal d. lgs. n. 6/2003). Ora, quanto
ad a1), è noto che l’autodestinazione direttapostuli un momento di scambio a carattere
contrattuale, anziché societario, dalla società
al socio, come dimostrato autorevolmente già
da più di quarant’anni (Oppo; ma vedi già il
ricordato spunto del Vivante dello «scambio
di servigi» tra società e soci), salvo casi dubbi e
particolari, comunque estranei alla coopera-
zione bancaria (Spada), sicché nulla si oppone
ad intravedere in queste previsioni statutarie
un momento di mutualità. Quanto ad a2), siosserva tuttavia che negli statuti non si rin-
viene traccia di accantonamenti per questi
specifici fini mutualistici (v. retro, § 4.1.). E
questo segna viceversa un momento di allon-
tanamento dalla mutualità;
b) alla (meno frequente) istituzione d’unaregola di preferenza dei soci a parità di condi-zioni o di garanzie offerte con i non soci nelleoperazioni di concessione di credito (ciò
dovrebbe costituire, nell’ottica di dottrina
autorevole – Bonfante –, indizio di mutua-
lità). Si tratta in questo caso di veri e propri
criteri di gestione sociale nel compimento
delle operazioni bancarie, vale a dire della con-trattazione d’impresa. A questo proposito la
vaghezza delle previsioni statutarie deve essere
bilanciata attraverso una più puntuale disci-
plina nelle condizioni della contrattazione tra
società e socio. Del profilo dell’autodestina-
zione ai soci già si è detto; si è già detto in par-
ticolare che il trasferimento delle economie
dalla società al socio prende assetto – all’in-
fuori di casi particolari comunque estranei alla
materia bancaria – in un contratto. Proprio
42 Banca Popolare del Frusinate
PRIMA PARTE
per via contrattuale debbono essere colmate le
ambiguità che qui si segnalano: b1) da un lato,coerentemente con i programmi – divisati in
altri statuti – di sostegno della impresa
medio/piccola e delle imprese cooperative, si
sceglie di limitare le operazioni attive (proba-
bilmente il riferimento ai soli fidi è improprio
e va interpretato estensivamente) a quelle di
«modesto importo». Resta da vedere cosa ciò
significhi nel concreto: allo scopo pare neces-
sario tenere anzitutto considerazione delle
indicazioni rivenienti dalla normativa di vigi-
lanza bancaria; successivamente, l’attuazione
del precetto statutario postula la fissazione di
parametri precisi nelle condizioni contrattuali
con la clientela della banca; b2) dall’altro, vaconsiderata l’indicazione di «esclusione di
ogni operazione di mera speculazione». Si
tratta di un criterio di valore schiettamente
politico, che non si può valutare alla stregua
dell’art. 2247 c.c. e che intende sicuramente
raccordarsi all’art. 45 Cost., la cui lettera esso
riecheggia. Ma il significato risulta oggi inde-
cifrabile, dovendo così pensarsi ad un relitto di
un periodo storico in cui le operazioni di
borsa erano viste come fumo negli occhi da
tutte le culture che hanno dominato avvicen-
dandosi la scena politica italiana. Si ricordino
i provvedimenti di chiusura delle borse nel
1936 adottati dal regime fascista, ritenute
contrastanti con l’organizzazione corporativa
dello Stato e l’economia nazionale; si pensi poi
alla continuità d’ispirazione con l’art. 47
Cost., nel quale le forze politiche costituenti
scelsero di favorire esclusivamente «l’investi-
mento azionario nei grandi complessi produt-tivi del Paese» (corsivo mio). Basterà rileggereun memorabile saggio di Gerardo Santini,
risalente a più di venticinque anni fa benché
tuttora attualissimo, nel quale si ripercorre-
vano le evoluzioni strutturali delle operazioni
finanziarie, i mutamenti della communis opi-nio sulla funzione economico-sociale dellaspeculazione borsistica. Non è privo di signifi-
cato che oggi il legislatore conceda alle parti
dei contratti derivati una tutela forte, nei ter-
mini di sicura azionabilità delle loro pretese e
di esonero dall’art. 1933 c.c. [v. art. 23,
comma 5, d. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 –
testo unico della intermediazione finanziaria],
quella stessa tutela osteggiata a lungo (e tut-
tora, in certi limitati casi) dalla giurispru-
denza. Anche l’ambigua esclusione statutaria
delle operazioni a carattere speculativo può
assumere concretezza soltanto attraverso le
condizioni di contratto relative ai rapporti tra
società e soci.
4.1.1. Segue conclusioni sul punto.Riassumendo: a) nessuna clausola statuta-
ria istitutiva di riserve a fini mutualistici; per
converso frequenti clausole di autodestina-
zione diretta delle prestazioni della impresa
sociale ed espliciti richiami ai principi della
mutualità (cooperativa). Ed inoltre: b)richiami alla tradizione del credito popolare
ed enunciazione di programmi di sostegno
di categorie sociali, prevedendo sia l’opera di
propaganda per il risparmio, sia la presta-
zione del credito a condizioni agevolate per
determinate categorie sociali.
Si intuisce facilmente come quanto si racco-
glie sub a) costituisca materia di diretto inte-resse per il riconoscimento d’una mutualità
43
Le Banche Popolari ovvero: “La mutualità che visse due volte”
statutaria a fronte della neutralità causale della
banca popolare nel sistema legislativo. Si è
anche visto che l’enunciazione d’un tale pro-
gramma non può non avere un valore forte,
nel senso dell’impegno di tutti gli organi
sociali all’attuazione – anche nella fase dispo-
sitiva del patrimonio sociale – della funzione
mutualistica.
È forse sotto questo aspetto che può recupe-
rarsi un raccordo tra mutualità e disciplina del
gradimento: parte della dottrina, tanto quella
persuasa dello scopo mutualistico in senso tec-
nico (Oppo), quanto quella convinta invece
che le banche popolari si facciano carico di
una mutualità sui generis (Costi), ritengonod’intravedere nel socio non gradito – che la
disciplina ammette comunque ad esercitare i
diritti patrimoniali – un soggetto portatore di
interessi esclusivamente speculativi (: massi-
mizzazione del valore della propria partecipa-
zione e percezione del dividendo); un soggetto
cioè che eccezionalmente non condivide il
programma mutualistico come invece coloro
che il gradimento hanno ricevuto e che sono
pertanto legittimati ad esercitare anche i diritti
di natura corporativa. Come già detto,
aprendo una riserva che qui è venuto il
momento di sciogliere (retro, § 3.2.), la for-
mula di legge dello «spirito della forma coope-
rativa» allude al contemperamento tra «chiu-
sura» tendenziale della banche popolari e prin-
cipio della «porta aperta» della struttura orga-
nizzativa a carattere «democratico» (Schiuma),
con conseguente esigenza di fissazione di cri-
teri che circoscrivano la discrezionalità dell’or-
gano amministrativo, visto del resto che nean-
che nelle cooperative di diritto comune la
«porta aperta» significa diritto soggettivo ad
entrare nella compagine sociale (Pennisi) (con-tra v. tuttavia Bonfante): principio che si ricol-lega sì alla funzione mutualistica nelle ordina-
rie società cooperative; ma non nelle banche
popolari, per le quali la normativa dell’ordina-
mento generale opera una scelta che si è detta
– tra molte precisazioni – di «neutralità cau-
sale» (retro, § 3.3.; infra, § 5.). Ove tuttavia la
banca popolare – per statuto anziché per legge
– si sia data carico di perseguire una funzione
mutualistica, i parametri del gradimento
dovrebbero recuperare – ad avviso di chi scrive
– una dimensione coerente con la causa
sociale (ed a queste condizioni riguadagnano
plausibilità le tesi ricordate di Oppo e Costi).
Quanto alla mutualità «in senso sociolo-
gico» – siamo così passati a b) – si è posta inluce l’esigenza di un chiarimento, in ultima
analisi, della espressione d’una prospettiva
funzionale delle nozioni giuridiche (fattispe-
cie). Il dato sociologico deve essere raccordato
a quello normativo, secondo il quale il voca-
bolo «mutualità» evoca la «gestione di servi-
zio» oppure una speciale disciplina dispositiva
del netto di bilancio: è chiaro che unica diret-
trice di ricerca da percorrere sia, nel caso delle
banche popolari, la prima. Se l’enunciazione
di tali programmi – diversamente da quelli
esposti sub a), sulla cui giuridicità possono
nutrirsi meno dubbi – sia idonea a creare posi-
zioni di interesse non coercibili o, al contrario,
idonee a regolare la produzione dell’attività
sociale, è dato sicuramente controvertibile e
dipendente dal riconoscimento di una valenza
giuridica ai valori della tradizione culturale e
della sociologia. Certo è che, se ciò fosse
dimostrato, questi assurgerebbero a parametro
valutativo dell’attuazione del rapporto sociale
44 Banca Popolare del Frusinate
PRIMA PARTE
complessivo; con maggiore certezza si
potrebbe affermare, inoltre, che la «neutralità
causale» del sistema legale disvelerebbe nel
sistema statutario un insieme di funzioni –
lucratività, mutualità, cause da Libro primo
del codice civile – tali da giustificare, fuori dai
limiti imposti dal diritto comune, l’adozione
del codice organizzativo della società coopera-
tiva. Direi anche di più: la «mutualità» si
apprezzerebbe come una «non illimitata lucra-
tività» dal punto di vista oggettivo, nel senso
che tra le iniziative istituzionali la banca popo-
lare sarebbe statutariamente obbligata ad
includere anche iniziative a carattere non spe-
culativo a beneficio dei soci.
Pure sotto altro profilo, una conclusione in
termini costruttivi sul valore giuridico della
c.d. mutualità «in senso sociologico» pare pos-
sibile, alla luce del nuovo principio costituzio-
nale della «sussidiarietà orizzontale» [v. art.
118, ult. comma, Cost. (come riformulato
dalla legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3); v. poi
in ultima battuta sempre l’ art. 2 Cost.], per-
ché potrebbero ravvisarsi i presupposti per
coordinamento ed incentivazioni pubbliche
(quali ad es. mirati sgravi fiscali) dell’azione
delle banche popolari a fini di sostegno della
crescita economica di determinate comunità
sociali, ove ne fosse accertata la natura di «atti-
vità di interesse generale». Tanto dovrebbe
bastare, da un lato, per tornare a giustificare
l’adozione della organizzazione cooperativa
pur in assenza di una precisa opzione mutua-
listica (a livello legislativo); dall’altro, per
affermare che non vi sarebbe violazione del
principio comunitario del divieto di aiuti di
stato almeno quante volte le misure anzidette
si mantengano entro i limiti descritti dall’art.
87, comma 3, lett. c), Tratt. CE [«possono
considerarsi compatibili con il mercato
comune (…) gli aiuti destinati ad agevolare lo
sviluppo di talune attività o di talune regionieconomiche, sempreché non alterino le condi-zioni degli scambi in misura contraria al
comune interesse» (corsivo mio)].
A parte si è registrato come molteplici sta-
tuti prevedano in misura variabile destina-
zioni di patrimonio sociale a scopo filantro-
pico: si è già avuto modo di mettere in luce
come queste cause fuoriescano dalla cornice
dell’art. 2247 c.c. e dunque dall’area delle
società, spostandosi piuttosto in quella delle
associazioni del Libro primo del codice civile.
E ciò, senza ovviamente opinare che le coope-
rative, anche bancarie, siano (né in tutto né in
parte) associazioni (era la tesi di Ascarelli,
rimasta isolata). Mette conto qui segnalare
come pure la filantropia delle banche popo-
lari potrebbe e forse dovrebbe da ultimo valo-
rizzarsi – anche fiscalmente – ed indirizzarsi
in conformità del ricordato principio costitu-
zionale della «sussidiarietà orizzontale». Non
dovrebbe riscontrarsi violazione dei ricordati
principi comunitari di divieto di aiuti di stato
nella misura nella quale si consideri che tali
agevolazioni non avrebbero ad oggetto atti-
vità economiche; ma, sotto altro profilo, è l’e-
quilibrio di mercato stesso ad esigere una rap-
presentazione contabile veritiera, corretta e –
soprattutto – distinta per i rami di attività
profit e non profit della banca popolare e rela-tivi spostamenti di flussi finanziari all’interno
del patrimonio sociale.
Infine, un rilievo (una illazione?) sul piano
delle dimensioni della iniziativa sociale.
Mentre tutti gli statuti di banche
45
Le Banche Popolari ovvero: “La mutualità che visse due volte”
medio/piccole (fasce 2° e 3°) inclusi nel cam-
pione esaminato programmano di ispirare l’a-
zione sociale alla mutualità, in senso giuridico
(anche sotto la forma dell’autodestinazione
delle operazioni bancarie) o in senso sociolo-
gico, non in tutti gli statuti di banche grandi
(fascia 1°) inclusi nel campione viceversa si
incontrano tali enunciazioni.
Questo dato, che come tutti i rilevamenti
statistici finisce involontariamente per fare
torto a qualcuno, costituisce ad ogni modo
indizio della diversificazione per via statuta-ria delle identità funzionali: se il modellolegale ha una identità astrattamente compo-
sita, perché – come usa dire – è «casual-
mente neutro», la caratterizzazione funzio-
nale avviene in sede statutaria, in conse-
guenza di talune variabili, fra le quali la
patrimonializzazione, la dislocazione geo-
grafica degli sportelli (ciò che denunzia
anche la concentrazione o meno della clien-
tela in una determinata zona, la diretta
conoscenza o meno di questa, il rapporto
fiduciario, etc.), la estensione della compa-
gine sociale.
È anzi affermazione comune che proprio
quest’ultimo aspetto – che raggiunge la
massima dimensione in caso di quotazione
delle azioni della società in borsa – tradisca
l’esistenza di rilevanti componenti non inte-
ressate a condividere il programma mutuali-
stico, in senso tecnico-giuridico (ivi incluso
sotto il profilo dell’autodestinazione delle
operazioni bancarie prestate dalla società)
od anche soltanto sociologico (Pennisi). Si
deve iniziare qui allora un discorso che sarà
sviluppato più avanti (infra, § 5.): dalla«banca popolare» alle «banche popolari».
4.2. Segue: b) l’organizzazionecooperativa sui generis.Concessa l’ascrizione della banca popolare
al tipo della società cooperativa, si è detto che
la prima può avvicinarsi alla struttura organiz-
zativa della società cooperativa ante riforma2003 (retro, § 3.4.).
Bisogna ora spostare l’attenzione dal
modello (organizzativo) legale a quello statu-
tario, esaminando in particolare le clausole
che inducono ad una specifica caratterizza-
zione. In questa sede l’attenzione si concentra
su quelle relative al procedimento deliberativo
assembleare.
Mentre sul piano della funzione negli sta-
tuti si registra diversità di modelli socio-eco-
nomici conseguenti alla patrimonializzazione,
al numero ed alla dislocazione geografica degli
sportelli sul territorio, sul piano della organiz-
zazione non si riscontrano viceversa dissomi-
glianze relazionabili alla dimensione. Non
potendosi affrontare con pretese di comple-
tezza la tematica, si prenderanno in considera-
zione le sole clausole che vengono ad inserirsi
negli spazi che oggi la legge lascia all’autono-
mia statutaria e che invece in passato necessi-
tavano di un’autorizzazione dell’autorità di
vigilanza. L’interesse di queste clausole è
duplice, sia – come si è accennato – quanto
alla caratterizzazione, sia quanto al governo
della società, nel senso della partecipazione dei
soci (cooperatori e non) alle deliberazioni del-
l’organo assembleare, della formazione delle
maggioranze e dunque della non autoreferen-
zialità degli organi amministrativi e di con-
trollo interno. Si considerano così le clausole
attinenti a: a) convocazione/svolgimento delleassemblee [vedi tabella 7]: non uno degli sta-
46 Banca Popolare del Frusinate
PRIMA PARTE
tuti esaminati contempla la istituzione delle
assemblee separate; b) esercizio del diritto divoto [vedi tabella 8]: non uno degli statuti esa-
minati introduce la tecnica del voto per corri-
spondenza. Inoltre, la già severa disciplina del
voto per delega dell’art. 2534 c.c. (testo anteriforma 2003) subisce ulteriori limitazioni sta-
tutarie nel campione esaminato.
Ragioni di affinità tematica spingono a trat-
tare congiuntamente i due punti. È noto che
gli strumenti appena riferiti costituiscano
regole speciali dirette al coinvolgimento del
singolo socio nel procedimento deliberativo
collegiale, strettamente funzionali, nell’argi-
nare l’assenteismo dei soci, a) a restituire effi-cienza alla regola decisionale democratica
(voto per teste) delle società cooperative, in
modo da contrastare fenomeni di autoreferen-
zialità nel governo; b) a diffondere e rafforzarela condivisione del programma mutualistico
(v., sul diritto riformato, Costi). È anche noto
che l’adozione di queste tecniche speciali,
rimessa nel diritto comune ante riforma 2003all’autonomia statutaria, per le banche popo-
lari fosse sottoposta alla ulteriore condizione
dell’autorizzazione dell’autorità di vigilanza
bancaria dal d. lgs. n. 105/48. L’abrogazione
di quest’ultimo, da parte del t.u.b., induce a
riflettere se il silenzio della legge si traduca in
un divieto assoluto per le banche popolari di
richiamare nel proprio statuto assemblee sepa-
rate e voto per corrispondenza oppure se torni
ad applicarsi anche a queste il regime comune,
ovviamente ante riforma 2003. La secondaopinione pare senz’altro preferibile, conside-
rato che l’autorizzazione ai sensi del d. lgs. n.
105/48 rappresentava una mera condizione
aggiuntiva per l’efficacia della clausola statuta-
ria. Ma, pur in questa prospettiva, il problema
è un altro. Il fatto è che la indefinita identitàfunzionale delle banche popolari finisce peraccompagnarsi a deboli norme di democraziacooperativa, le quali – almeno in certi casi –garantiscono inamovibilità ed irresponsabilitàdel management. Anche sotto questo aspetto siapre un divario tra la riforma societaria del
2003 e la disciplina delle banche popolari: il
nuovo art. 2540 c.c. (testo novellato dal d. lgs.
n. 6/2003) impone infatti le assemblee sepa-
rate al superamento di certi limiti, quanto
all’estensione della compagine sociale ed
all’ambito geografico di svolgimento dell’atti-
vità sociale. Ed è deplorevole della imperati-
vità del nuovo art. 2540 c.c. non abbiano a
beneficiare le banche popolari.
Un discorso a parte deve infine essere svolto
in merito al voto per delega. La disciplina limi-
tativa dell’art. 2534 c.c. (vecchio testo), resa
appena di poco meno restrittiva dal nuovo art.
2539 c.c. (testo novellato dal d. lgs. n.
6/2003), si basa sulla idea che la partecipazione
assembleare debba essere personale, diretta,
secondo collegialità, non solo e non tanto per-
ché personale e diretta debba essere la condivi-
sione del programma mutualistico (se così
fosse, ad identiche restrizioni andrebbe incon-
tro anche il voto per corrispondenza), ma
soprattutto perché attraverso la incetta di dele-
ghe non sia vanificato il principio del voto
capitario. Un principio organizzativo tipologi-
camente rilevante, in coerenza del quale pure il
testo unico sulla intermediazione finanziaria
del 1998 – una normativa adottata con il
dichiarato proposito di rendere la gestione
delle società quotate trasparente, responsabile
ed intercambiabile – disapplica le regole sulle
47
Le Banche Popolari ovvero: “La mutualità che visse due volte”
deleghe di voto nei riguardi delle società coo-
perative quotate (attualmente solo banche
popolari) (art. 137, comma 4, t.u.f.). Ciò pre-
messo, non si mancherà di osservare come le
clausole statutarie più rigorose nel limitare,
quando non addirittura nel vietare, il voto per
delega, si rinvengano proprio negli statuti delle
banche di fascia prima, cioè delle banche con
maggiore patrimonializzazione, presenza degli
sportelli diffusa su ambiti territoriali dislocati
attraverso l’intero territorio nazionale, più
larga compagine sociale, piuttosto eterogenea e
non sempre interessata al programma mutuali-
stico, quando espresso nello statuto sociale.
È evidente che all’estendersi della compa-
gine sociale tutti i disincentivi alla partecipa-
zione assembleare personale e diretta del socio
manifestano distonie con le ricordate esigenze
di un governo trasparente, responsabile ed
intercambiabile della società, nella misura
nella quale essi vengono a costituire strumento
di elusione del principio del voto capitario;
anzi, dirò di più: nella misura nella quale si
assiste all’eterogenesi del mezzo (voto capita-
rio) rispetto al fine (condivisione del pro-
gramma mutualistico). Il rischio in altri ter-
mini è che il codice organizzativo della coope-
rativa possa nella realtà statutaria delle banche
popolari divenire solo formalmente democraticopoiché, se in una organizzazione azionaria è
sempre dato sperare che l’autoreferenzialità
del management consolidata sull’assenteismodella maggioranza dei soci possa essere contra-
stata attraverso un passaggio di mano della
partecipazione di controllo, anche attraverso
una offerta pubblica d’acquisto ostile, in una
organizzazione democratica non è lecito spe-
rare neppure in questo.
4.2.1. Segue conclusioni sul punto.Le osservazioni appena esposte legittimano
una conclusione. La cooperativa sui generis,pur reprensibilmente impermeabile ad «accor-
gimenti statutari» in tema di governo della
società, garantisce tuttavia trasparenza,
responsabilità ed intercambiabilità del mana-gement proprio attraverso la «partecipazionemilitante» dei soci nelle realtà medio/piccole.
Non si dica che questo dato socio-economico
è irrilevante, a meno di confessare che la pro-
spettiva della «corporate governance» incroci
quella del neo-istituzionalismo. Dubbi sor-
gono viceversa per le grandi realtà, per le quali
- almeno per quelle giunte alla quotazione di
borsa - il testo unico sulla intermediazione
finanziaria del 1998 prevede una tutela delle
minoranze adattata alle società cooperative,
cioè ad organizzazioni sorrette dal voto capita-
rio (art. 135 t.u.f.). Si tratta per la verità della
quadratura del cerchio, posto che di «tutela
delle minoranze» si parla tradizionalmente in
connessione ai temperamenti, per via legale o
statutaria, della organizzazione della società
per azioni basata sul voto per quote di inte-
ressi, sulla proporzionalità (oggi «naturale»)
fra potere assembleare e rischio d’impresa. Ma
è già abbastanza per accertare una divarica-zione tra modelli di organizzazione e dinamichedel rapporto sociale. Sul punto il dibattito – chein tema di banche popolari trae oggi spunto
da riferimenti normativi testuali (v. art. 135
t.u.f.) mentre deve prescindere dalle non
poche innovazioni della riforma societaria
introdotta con il d. lgs. n.6/2003 [che invece
ha esteso l’applicabilità di strumenti quali il
controllo ex art. 2409 c.c. (v. il nuovo art.
2545 quinquiesdecies c.c.)] – trova rinnovato
48 Banca Popolare del Frusinate
PRIMA PARTE
impulso in una recente ed importante sen-
tenza del Consiglio di Stato (10 aprile 2002,
n. 1964), in cui si afferma che «nelle società
cooperative sono configurabili minoranze, e
che esiste un criterio [quello dell’art. 135
t.u.f.] che rende più facilmente applicabili
alcune norme poste a loro tutela». Pur consi-
derando che ci troviamo di fronte ad obiterdictum, poiché la materia del contendere eranel concreto l’applicazione dell’art. 148,
comma 2, t.u.f. ad una banca popolare quo-
tata e che il discorso è qui circoscritto alle ban-
che popolari – uniche cooperative quotate, cui
non è applicabile il nuovo diritto societario (v.
art. 223 terdecies, comma 2, disp. att. c.c.) –,la pronuncia del Consiglio di Stato resta in
prospettiva come un’indicazione di ricerca nelmateriale normativo della società per azioni,
benché ante riforma 2003 (salvo rettifiche
provenienti da un ipotetico giudizio di costi-
tuzionalità: v. retro, § 3.4.), peraltro con la
(ovvia) clausola «in quanto compatibile».
Infatti, questa importante sentenza non legit-
tima alcuna assimilazione della banca popo-
lare al modello della public company, desi-gnando piuttosto questa espressione - nella
realtà anglo-americana e, per assimilazione,
anche nella nostra - una esperienza di accorgi-
menti (legali e/o statutari) diretti da un lato a
restituire effettività, ma dall’altro anche acreare contrappesi alla proporzionalità tra potereassembleare e rischio d’impresa rendendo le par-tecipazioni (quantitativamente) simili, quali:
a) limiti di varia natura al possesso azionarioed ai sindacati di voto; b) clausole di voto dilista per l’elezione degli amministratori; c)deroghe vistose al principio di collegialità,
quali ad es. voto per delega, voto per corri-
spondenza, etc., volte ad arginare l’assentei-
smo assembleare dei soci. In una parola: il
punto di partenza e di arrivo della esperienza
della public company è pur sempre nella societàper azioni, vale a dire un’organizzazione (che
bene si definì «plutocratica» sotto la vigenza
del diritto societario abrogato: Schiuma) nella
quale la divisione capitalistica delle partecipa-zioni giustifica la regola della formazione delle
maggioranze assembleari per quote di interessi(almeno in via residuale, nel nuovo diritto: v.
ora Sciuto/Spada); non certo invece di un’or-
ganizzazione democratica basata su variabilità
del capitale e maggioranze per teste. In altritermini, nel passaggio da un codice organizza-tivo ad altro pare indispensabile «ri-semantiz-zare» la «tutela delle minoranze».
5. Conclusioni: dalla «bancapopolare» alle «banche popolari».Modelli legali e statutari a confronto.Se spostiamo l’attenzione dalla legge agli
statuti delle società, non si può parlare più
della «banca popolare», ma ci si deve riferire
all’universo composito delle «banche popo-
lari». La patrimonializzazione può incidere
notevolmente determinando effetti a cascata
che allontanano l’azione sociale dalla mutua-
lità, pure se «spuria», quali ad es. a) la esten-sione e la eterogeneità della compagine
sociale, particolarmente accentuata nei casi di
quotazione in borsa della società; b) la esten-sione su tutto il territorio nazionale degli spor-
telli, che a sua volta rende necessario un perso-
nale destinato a spostarsi attraverso aree geo-
grafiche molto vaste, con conseguente perdita
49
Le Banche Popolari ovvero: “La mutualità che visse due volte”
del rapporto diretto con la clientela e passag-
gio ad una contrattazione d’impresa sempre
più spersonalizzata, più standardizzata e più
rigida. Queste diversità si riflettono negli sta-
tuti, che ora chiudono a qualsiasi scopo sociale
che non sia la lucratività; ora lasciano uno spi-
raglio aperto sulla tradizione del credito popo-
lare ed individuano obiettivi di interesse socio-
logico; ora pongono dei criteri di scelta relativi
alla contrattazione d’impresa, sia dal punto di
vista soggettivo, sia dal punto di vista ogget-
tivo; ora fanno espresso riferimento alla
mutualità. Anche sotto il profilo delle opera-
zioni bancarie lo sviluppo è andato avanti sim-
metricamente verso la rottura della unitarietà
della categoria delle banche popolari: le radici
di questi mutamenti vanno ricercate nella pro-
gressiva despecializzazione delle banche, corri-
spondente ad una tendenza in atto dagli anni
’70 in avanti e conseguente anche alla transi-
zione dal modello di mercato dirigista e chiuso
della legge bancaria del 1936 e della
Costituzione repubblicana del 1948 al
modello liberista, aperto e concorrenziale, dei
Trattati comunitari (v., sotto il primo profilo,
Belli/Brozzetti; sotto il secondo, Merusi).
Pertanto, se a livello legale la banca popo-
lare assume precisa identità solo sotto il pro-
filo organizzativo – l’ente collettivo a struttura
democratica ricalcato sulla società cooperativa
ante riforma 2003, ma con talune specificitàad es. con riguardo alle tecniche di raccolta di
provvista finanziaria –, l’autonomia statutaria
è chiamata a dare una più solida identità cau-
sale all’ «ordinamento dei poteri». Quando si
dice: un modello legale funzionalmente «neu-
tro», vari modelli funzionali statutari
(Pennisi), secondo me si deve intendere non
che lo schema organizzativo sia slegato da
qualsiasi giustificazione funzionale, ma che il
nostro ordinamento assume come legittima
una giustificazione funzionale in astratto com-
prensiva di una composizione di interessi
tipizzati ascrivibili sia all’area dell’art. 2247c.c. sia all’area del Libro primo del codice
civile; composizione che nel concreto è chia-
mata a realizzare l’autonomia statutaria.
Insomma, si tratta di allargare sempre di più ilconcetto – già di per sé estremamente elastico –di mutualità come «non illimitata lucratività»(retro, § 3.3.). «Neutralità causale» non vaintesa come compatibilità con qualsiasi causa odanche con nessuna causa: nessuno può dubitareche le banche popolari vadano ascritte – si è
detto – nell’area dell’art. 2247 c.c.; ed in que-
st’area, sarà lo statuto sociale a contemperare
una ipotesi sui generis di «mutualità spuria»e/o di lucratività miste a cause filantropiche
(che mai possono divenire predominanti).
L’esaltazione dell’autonomia statutaria è oggi
massima per effetto anche delle poche (non
perspicue, forse viziate) disposizioni intro-
dotte dalla riforma societaria del 2003; ciò che
sotto altro profilo induce una sorta di ritornoall’antico: la funzione mutualistica, ai tempi incui vigeva il codice di commercio, era affidata
completamente agli statuti delle società
(Calandra Buonaura; Costi). E probabilmente
a questi complessi modelli funzionali, a questi
«contemperamenti statutari» intende alludere
Renzo Costi, una dottrina giusbancarista
imprescindibile, quando descrive la causa delle
banche popolari come una «mutualità suigeneris», in senso lato ed atecnico: a queste, esolo a queste condizioni d’uso della formula,
chi scrive può dunque associarsi. La ricerca
50 Banca Popolare del Frusinate
PRIMA PARTE
condotta sul campo ha del resto evidenziato
una realtà statutaria orientata decisamente
verso la mutualità (lato sensu) e la filantropiache non verso la stretta lucratività.
Dalla configurazione causale al modello
organizzativo della società cooperativa.
Questo «abito» – si dice – non sempre riesce a
soddisfare tutte le esigenze: la grande popolare
quotata soffre infatti del principio del voto per
teste come di un «abito stretto» perché la
rende di fatto non scalabile e di conseguenza
nei mercati finanziari le sue azioni rischiano di
divenire merce poco appetibile. Ecco perché il
t.u.b. ha offerto a questa esigenza la via d’u-
scita della trasformazione o della fusione da
cui risulti una società per azioni; ma questa è
una porta stretta, con sbarramenti tali da farparlare a ragione della trasformazione o della
fusione nei termini di una eccezione alla
regola generale (retro, § 3.2.). Secondo voci
autorevoli si tratterebbe anche di via d’uscita
necessitata, pur se soltanto economicamente,perché chi vuol mietere successi nei mercati
finanziari deve presentarsi con un «abito» che
assicuri contendibilità del controllo della
società (Schlesinger). Ad autore tanto accredi-
tato sia tuttavia consentito sollevare una obie-
zione. Pur in assenza delle divisate condizioni
di apprezzamento, l’investimento azionario
nelle banche popolari sembra spuntare quota-
zioni crescenti nel medio/lungo periodo sui
mercati finanziari: mi piace qui citare i dati
raccolti da una fonte imparziale, sicuramente
mai indulgente verso il mondo delle banche
popolari (v. Plus, supplemento de “Il Sole – 24Ore”, nei numeri di sabato 31 agosto 2002,pagg. 4-5 e soprattutto di sabato 13 dicembre
2003, pagg. 4-5); dati che smentiscono gli
analisti finanziari, che assumono che se non
c’è contendibilità non c’è gradimento dei mer-
cati, per il motivo che non si acquistano par-
tecipazioni in attesa del dividendo, ma di una
vantaggiosa occasione di rivendita. Ebbene,
questo assunto merita una qualche revisione.
Pur nella consapevolezza che le azioni delle
banche popolari siano da trattarsi alla stregua
di un «prodotto di nicchia», bisogna distin-
guere tra investitori di breve e di medio/lungo
periodo. Se non pare discutibile che i primi
comprino per rivendere a migliori condizioni,
per i secondi si delineano più diversificate pro-
spettive, incluso l’investimento in beni desti-
nati ad una costante valorizzazione nel
medio/lungo periodo, quali ad es. i titoli a
reddito fisso o gli immobili. Obiettivamente,l’investimento in azioni emesse da banche popo-lari risente poco o nulla delle repentine fluttua-zioni delle quotazioni di mercato, mentredischiude la prospettiva, oltreché del dividendo,soprattutto di un graduale incremento di valore,connesso alla patrimonializzazione dell’emit-tente; incremento che legittima un’assimilazione(sotto il profilo economico) alla categoria del«reddito fisso». Dunque – come si diceva –poco appetibili per l’investimento a breve, ma
compatibilissime con un programma a
medio/lungo termine. In tutto questo, senza
dimenticare che il socio può trovare ulteriore
attrattiva in prestazioni lato sensu mutualisti-che, variamente qualificabili ed atteggiate,
nella forma – spesso conveniente – di opera-
zioni bancarie a condizioni agevolate per i
soci; ma – ad onor del vero – ciò diviene raris-
simo nelle popolari di prima fascia, le sole
peraltro quotate in borsa. Senza dire delle pre-
stazioni filantropiche a terzi, cui – almeno in
51
Le Banche Popolari ovvero: “La mutualità che visse due volte”
certe cerchie sociali – viene riconosciuto
grande prestigio e che peraltro oggi potreb-
bero rivendicare valorizzazione, coordina-
mento ed incentivazione fiscale nel nuovo
quadro costituzionale della «sussidiarietà oriz-
zontale» (retro, § 4.1.1.). Non sarebbe del
tutto infondato opinare che forse proprio que-
ste funzioni non speculative abbiano permesso
alle banche popolari di «resistere» – fornendo
alle associazioni di categoria seri argomenti di
ordine politico – sui mercati finanziari, dai
quali invece è scomparsa la società in accoman-dita per azioni, altra entità non contendibile,che evidentemente non poteva invocare gli
stessi argomenti a propria difesa.
Ad ogni buon conto, neppure mi pare seria-
mente contestabile che il codice organizzativo
della cooperativa meglio si coordini con le esi-
genze della banca medio-piccola che non con
quelle della grande (retro, §§ 4.2., 4.2.1.). Ed
è proprio la prima - operando in una dimen-
sione di concentrazione geografica degli stabi-
limenti, di c.d. radicamento territoriale (pur
nell’accezione più evoluta: retro, § 4.1.), in
una dimensione di ridotta ed uniforme com-
pagine sociale - quella nella quale si possono
per via statutaria rinvenire una serie di fun-
zioni «non lucrative», comprese od estranee
all’ordine concettuale dell’art. 2247 c.c.
La convivenza di causa lucrativa ed altre
cause «non lucrative» e/o «non economiche»
(quando «non egoistiche») potrebbe dunque
costituire ragion sufficiente dell’organizza-
zione cooperativa alle banche popolari, magari
– de iure condendo – con qualche ritocco dellavigente normativa sul piano della trasparenza
e della responsabilità nella gestione sociale; sul
piano della incentivazione dei soci alla parteci-
pazione alla organizzazione di stampo demo-
cratico; id est – come si dice oggi – sul pianodel governo: il vero è che nel dibattito attuale
alle banche popolari non si rimprovera più
l’assenza della causa mutualistica nello statuto
legale; non si censura più come negli anni ’50
il divario tra «forma» e «sostanza» della coope-
rativa, una volta escluse le popolari dalle age-
volazioni fiscali e previdenziali; si disapprova
piuttosto un (supposto) deficit di governanceconnesso alla «forma» cooperativa. Ed è
reprensibile scelta, quella del legislatore del
2003, di tener fuori le popolari dalla riforma
societaria, che sicuramente apporta progressi
in materia di governo delle cooperative.
Riprendiamo le fila del nostro romanzo
giallo e cerchiamone, se possibile, una con-
clusione realistica. Il nostro investigatore,
sconsolato, abbandona finalmente le inda-
gini: ogni volta che crede di essere sulle tracce
dello scomparso, qualcosa gli sfugge e non
stringe nulla.
Per ragioni che si intuiscono facilmente,
consistenti in un fuorviante identikit inizial-mente messogli a disposizione: posto che già
nel nostro ordinamento societario comune la
nozione di «mutualità» presenta un elevato
grado di elasticità, la mutualità delle banche
popolari costituisce un problema piuttosto cheun istituto. Un problema della dottrina, dellagiurisprudenza e poi della politica legislativa.Un problema che non si risolve utilizzando unlessico ed uno strumentario di argomentazionigiuridiche ontologizzanti. Un problema che simisura soltanto con le regole e se si confessanoapertamente gli interessi che di volta in voltaentrano in gioco. Si è detto che la causa dellebanche popolari è mutevole e – quando non
52 Banca Popolare del Frusinate
PRIMA PARTE
inclina verso la più completa lucratività –
risulta da un mix di cause societarie e nonsocietarie: alla «neutralità causale» del modello
legale fa riscontro una realtà assai varia sul
piano statutario.
Una ricerca della «mutualità» delle banche
popolari, pensando esclusivamente ad una
disciplina della disposizione del netto di bilan-
cio, è una ricerca mal impostata; un’assurda
pretesa di chiudere in un letto di Procuste un
secolo e mezzo di storia del nostro ordina-
mento, fatta di autonomia statutaria, di libertà
prima concesse e poi negate, di sostegno all’im-
prenditoria e al risparmio e – sia consentito –
anche di qualche poco commendevole autore-
ferenzialità gestionale.
Ma si non pensi di aver fatto un lavoro inu-
tile: la ricerca è anche accertamento della falsità
di piste prima ritenute virtuose. La sua indagine
sarà servita soprattutto a capire che la neutralità
causale fa delle banche popolari, a livello legale,
un «abito» buono per (quasi) tutte le occasioni.
I programmi statutari di funzioni lato sensu«non lucrative» non sono il volto rispettabile di
un dottor Jekill, pronto a mutarsi in un terribileMr. Hyde, cioè la lucratività innestata su diun’organizzazione solo apparentemente demo-
cratica ma sostanzialmente autoreferenziata.
Al contrario, tutto fa del credito popolare un
universo funzionale da indagare sia nella pro-
spettiva (giusprivatistica) della cogenza dei pro-
grammi statutari che variamente orientano
verso la «gestione di servizio», sia nella prospet-
tiva (giuspubblicistica) delle «nuove frontiere»
del federalismo costituzionale.
53
Le Banche Popolari ovvero: “La mutualità che visse due volte”
Prof. Fausto Piola Caselli
Costituzione e Sviluppo dellaBanca Popolare del Frusinate
Banca Popolare del Frusinate
SECONDA PARTE
1.Le origini del sistema bancario italiano.
La parabola del credito nei secoli.
Il nostro Paese vanta un’antichissima tradi-
zione bancaria, che risale ai tempi della prima
espansione romana in età repubblicana e che
ha lasciato tracce in tutta l’area mediterranea,
nord africana e medio orientale. Superato poi
il periodo tormentato del declino imperiale e
quello delle invasioni barbariche, in pieno
medio evo, con l’affermarsi delle autonomie
comunali e la ripresa dei rapporti mercantili
tra Mediterraneo ed Europa centro settentrio-
nale, il sistema creditizio italiano conobbe un
impulso particolare, che portò il nostro Paese
a primeggiare ovunque per capacità tecniche e
ampiezza di traffici.
Verso il Mille, l’attività bancaria era con-
centrata prevalentemente nelle città mari-
nare, in particolare a Venezia, con operazioni
di deposito, di custodia e giroconto. Ma già a
partire dal secolo successivo i mercanti-ban-
chieri toscani, genovesi e padani moltiplica-
vano le proprie attività, utilizzando le prime
scritture in partita doppia e maneggiando
con competenza centinaia di monete europee
in oro e in argento. I primi strumenti della
banca e del credito, come l’assegno e la cam-
biale, nacquero e vennero diffusi proprio
dalle grandi case bancarie italiane.
Nonostante i divieti canonici contro l’usura,
il credito venne largamente negoziato nei
confronti delle amministrazioni pubbliche e
dei privati cittadini. In qualità di tesorieri di
fiducia dei principi e dei signori italiani, i
banchieri italiani tessevano rapporti interna-
zionali a largo raggio, moltiplicando reti
commerciali e filiali all’estero.
Il predominio dell’attività creditizia italiana
rimase indiscusso fino all’inizio del 1500. Più
tardi, con l’emergere dei grandi stati nazionali
europei e con lo spostamento dei traffici mer-
cantili dall’area mediterranea a quella oceanica,
gli italiani furono costretti a cedere il passo alle
nuove dinastie bancarie olandesi ed inglesi, che
a loro volta seppero emanciparsi dalla tradizio-
nale struttura a base famigliare, ottenendo dai
governi il privilegio della responsabilità limi-
tata. Gli affari si svilupparono allora, a partire
dal 1600, grazie alle nuove joint stock compa-
nies, società dalla base azionaria diffusa, che
consentivano una raccolta del capitale sociale
più capillare. Il sistema del credito in Italia si
ridusse sostanzialmente all’attività di routine di
alcune grandi famiglie aristocratiche ed alle
banche pubbliche, incaricate del controllo delle
emissioni monetarie, della collocazione dei
titoli del debito pubblico e della gestione dei
cespiti fiscali per conto dei rispettivi governi.
La Chiesa e l’usura.
Anche le vicende del credito minuto, con-
cesso per il consumo privato o per le esigenze
periodiche dei campi e della piccola bottega
artigiana, si svilupparono in Italia seguendo
un percorso del tutto originale. Com’è noto,
fin dai primi secoli la Chiesa di Roma si era
pronunciata con fermezza contro l’usura,intendendo con questa qualsiasi forma di
remunerazione dei prestiti. L’esortazione evan-
gelica di S. Luca mutuum date, nihil inde spe-rantes, che invitava a concedere gratuitamentei prestiti per le necessità quotidiane, era presa
in modo fin troppo letterale, ma anticipava
una visione mutualistica che sarà sempre
sostenuta con coerenza e che molti secoli dopo
57
Costituzione e Sviluppo della Banca Popolare del Frusinate
si troverà alla base della dottrina sociale della
Chiesa. In realtà, in un modo povero di mezzi
di sostentamento e di capitali, il divieto cano-
nico dell’usura finiva per rappresentare un
valido aiuto per le famiglie contadine, soprat-
tutto attraverso i prestiti gratuiti “di saldatura”
tra il momento della semina e quello del rac-
colto. Le autorità civili non potevano che pro-
seguire nella stessa direzione: lo stesso Carlo
Magno, con l’Admonitio generalis del 789,aveva ripreso senza esitazione la tradizionale
proibizione religiosa dell’usura, esigendone il
rispetto in tutta Europa. Poco per volta, tutta-
via, i mercanti più scaltri riuscirono comun-
que ad aggirare i divieti canonici sull’usura,
sostenuti sul piano dottrinario dalla nuova
teologia aperta e realistica di SanTommaso. La
notevolissima diffusione delle cambiali, che
venivano negoziate nelle fiere internazionali in
Francia e in Italia, era dovuta proprio alla pos-
sibilità di mascherare l’interesse di un debito,
che veniva rimborsato alla scadenza in una
moneta diversa da quella originaria, calcolata
con un rapporto di cambio che non teneva
conto di quello corrente di mercato.
Tuttavia, l’erogazione del credito al consumo
per i ceti più deboli continuava a rappresentare
un’esigenza sociale, ancor prima che economica.
I banchi ebraici, che non erano toccati dai
divieti canonici contro l’usura, prestavano a
breve termine con tassi di interesse elevatissimi.
Su ispirazione francescana, nacquero così i primi
monti di pietà, che in un primo momento vol-
lero sposare la causa della carità ai poveri in
modo del tutto radicale, concedendo piccoli
prestiti su pegno senza alcuna remunerazione. Il
primo monte nacque a Perugia nel 1462,
seguito subito da altri sorti nell’Italia centro-
nord e poi altrove: in meno di mezzo secolo i
monti di pietà dilagarono in Italia, in Spagna e
in parte della Francia meridionale.
Si trattava però di istituzioni esclusivamente
cittadine, rivolte alle famiglie delle piccole e
grandi città. Ben presto sorsero così nelle cam-
pagne i monti frumentari, che prestavano ai
contadini le sementi in natura, a basso tasso di
interesse. I prestiti venivano restituiti sempre in
natura, al termine del raccolto e raramente la
durata del contratto poteva superare l’annata
agraria. I monti frumentari divennero presto
una realtà vivacissima in tutto il panorama agri-
colo italiano, specializzandosi non solo nelle
operazioni di prestito al minuto ma anche nello
stoccaggio e nella distribuzione delle granaglie.
Nel Mezzogiorno, i monti frumentari si diffu-
sero particolarmente tra il basso Lazio e la
Puglia, con una concentrazione particolare nel
Beneventano, dovuta all’opera di Pietro
Francesco Orsini, vescovo di Benevento alla fine
58 Banca Popolare del Frusinate
SECONDA PARTE
Fig. 1 – I Monti frumentari nel LazioFonte: Piola Caselli, Monti di Pietà, p. 229
monte di pietà
Roma
Viterbo Rieti
Latina
Frosinone
monte granatico
monte granatico e di pietà
del Seicento e salito poi al soglio con il nome di
Benedetto XIII. Come si può vedere dalla car-
tina, nel Lazio, i monti frumentari o granatici si
localizzarono particolarmente nell’area di Rieti e
di Frosinone. Nell’Archivio di Stato di
Frosinone è tuttora conservata una ricca docu-
mentazione sui monti della provincia, attivi fino
ai primi decenni successivi all’Unità.
Il problema del risparmio nell’Italia
preunitaria.
Intorno alla metà del Settecento, insieme al
primo sviluppo delle fabbriche, iniziò a
diffondersi in Europa una concezione più
dinamica del risparmio, inteso ormai come
una ricchezza produttiva che avrebbe dovuto
prendere il posto dell’usuale carità, affidata
fin’ora alla buona volontà dei privati e delle
parrocchie. L’esigenza degli investimenti pro-
duttivi si poneva in modo più evidente in
Inghilterra, che nei primi decenni della rivolu-
zione industriale si trovava per la prima volta
a fronteggiare l’imprevedibilità dei mercati. I
conti delle prime imprese del cotone e del
ferro oscillavano tra i rapidi profitti nelle fasi
di espansione e le altrettanto rapide cadute
nelle crisi di sovrapproduzione, con violenti
picchi congiunturali negativi che provocavano
disoccupazione e miseria.
Cambiava la mentalità nei confronti del
risparmio e diventava chiara la necessità del suo
utilizzo nel sistema produttivo. Se il medico
olandese BernardMandeville (1670-1733) nella
Fable of the bees aveva giustificato il lusso e laricerca del profitto, sostenendo che i vizi dei pri-
vati finivano comunque per accrescere la ric-
chezza del paese, lo scrittore inglese Daniel
Defoe (1661-1731), poteva dichiarare con insi-
stenza nel Robinson Crusoe la necessità delrisparmio per fronteggiare le avversità future,
tanto da venire considerato in seguito come l’i-
spiratore dell’idea di cassa di risparmio. Per
David Hume (1711-1776), solo la laboriosità
dell’intera nazione poteva creare la ricchezza
destinata a creare le condizioni per il migliora-
mento delle condizioni di vita di tutti. Adam
Smith (1723-1790) sosteneva con la chiarezza
del suo limpido linguaggio che il risparmio con-
tribuiva alla ricchezza delle nazioni. David
Ricardo (1772-1823) si pronunciava contro le
imposte a favore dei poveri e riteneva che la
soluzione del problema della miseria dovesse
essere trovata nel lavoro e nelle workhouses pro-mosse dai governi, contrapponendole alla carità
improduttiva delle parrocchie. Cresceva anche
la consapevolezza del valore morale del rispar-
mio, purché saggiamente investito. Nelle
nazioni industrializzate nascevano i primi sinda-
cati, mentre nell’Europa centro meridionale le
vecchie corporazioni cittadine cedevano il passo
alle associazioni di mestiere ed al mutualismo.
Risparmio e credito iniziavano a rivestire un
ruolo fondamentale nella nuova società che
emergeva con grande lentezza, tra le crisi econo-
miche e l’ostilità della vecchia classe dirigente.
L’Italia, un tempo terra di vivaci imprese ban-
carie, non aveva più una rete creditizia che non
fosse quella delle banche al servizio dei governi.
Eppure c’era chi teneva in vita il mito del cre-
dito, se non nelle intraprese d’affari, almeno
nella libellistica d’occasione. Il sacerdote ed eco-
nomista napoletano Francesco Fuoco pubbli-
cava nel 1824, sotto il nome di Giuseppe De
Weltz, con il titolo eloquente La magia del cre-dito svelata, istituzione fondamentale di pubblicautilità. Era una concezione enfatica del credito,
59
Costituzione e Sviluppo della Banca Popolare del Frusinate
basata sul concetto di magia più che quello di
investimento, ma che perlomeno si sforzava di
tracciare un orizzonte nuovo:
...il credito che stabilisce una specie di comu-nità tra le nazioni più remote del globo; il creditoche fa valere in favore del povero i tesori delricco;...(il credito) è pressocché sconosciuto nelnostro paese...magica è la sua forza per chiunquela segua nei suoi movimenti. Esso è l’anima ditutto il mondo economico...In Italia l’approvvigionamento del credito
per le aziende rappresenterà sempre un osta-
colo, ed un pesante costo aggiuntivo, nell’e-
spansione del processo produttivo, soprattutto
nella fase della sua prima industrializzazione.
2. Dalle casse di risparmio allebanche popolari.
Il mutualismo nel credito.
Pochi anni dopo la Restaurazione, in Italia
era sorta una cassa di risparmio veneta per ini-
ziativa del governo austriaco e nel 1823 era
stata fondata a Milano la Cassa di Risparmio
delle Province Lombarde, che si era presto
dedicata al credito fondiario sotto forma di
mutui ipotecari, devolvendo parte degli utili a
scopi di beneficenza. Altre casse di risparmio,
create per iniziativa dei locali monti di pietà e
dei monti frumentari, sorsero poco per volta
in tutta l’Italia preunitaria, con la sola ecce-
zione del Regno delle Due Sicilie. Nel 1870 si
contavano in Italia 249 Casse di Risparmio,
che per lo più venivano considerate come pie
istituzioni e non come reali istituti di credito
al servizio delle attività produttive. Il nostro
Paese, preso dai problemi dell’unificazione,
era ancora ben lontano dalla grande trasfor-
mazione economica che nel resto d’Europa era
già nel pieno del suo sviluppo. Altrove, gli
ideali di solidarietà e di mutualismo si realiz-
zavano in concrete forme bancarie. In Prussia
erano nate le banche popolari e le casse sociali
di credito, ideate da F.W. Raiffeisen e da
Hermann Schulze. In realtà, già da allora le
casse sociali operavano nell’ambiente rurale
della Renania prussiana, mentre le banche
popolari erano attive piuttosto nel regno di
Sassonia, caratterizzato dal dinamismo delle
piccole città. Mondo agrario e mondo citta-
dino reclamavano già da allora una diversa
specializzazione del credito.
Luzzatti e le banche popolari.
Seguendo una traccia simile, in Italia toccò
al giovanissimo economista e uomo politico
veneziano Luigi Luzzatti (1841-1927) di
diffondere nel 1863 con La diffusione del cre-dito e le banche popolari il principio del mutua-lismo e dell’autoaiuto, assegnando al credito
un ruolo preminente sia nei processi produt-
tivi che nei rapporti sociali e di solidarietà. Il
credito doveva rivolgersi ad un tempo ai pro-
blemi della produzione ed a quelli del con-
sumo, ponendo particolare attenzione al
risparmio inteso come sforzo per garantirsi le
risorse necessarie per i momenti più difficili
della vita. La storia straordinaria delle banche
popolari italiane può essere testimoniata dalla
successione dei congressi nazionali, che si ten-
nero a partire dall’incontro preparatorio di
Torino del 1865, promosso dalla Banca ope-
raia di Torino, alla presenza delle banche
popolari già costituite in quell’anno (Lodi,
60 Banca Popolare del Frusinate
SECONDA PARTE
Asola, Jesi) e di quelle che pur essendo costi-
tuite non esercitavano ancora il credito
(Milano, Torino, Como, Varese e Cremona).
A Torino era presente Luigi Luzzatti, che illu-
strò i progressi compiuti in Germania soste-
nendo, non senza provocare polemiche, che
l’accesso ai prestititi doveva essere concesso
solo a coloro che avessero dimostrato di saperselomeritare con preventivi atti di risparmio, met-tendo in risalto la potenziale azione mutuali-
stica delle popolari e sottolineando il ruolo
previdenziale che esse avrebbero potuto assu-
mere. Le banche popolari si moltiplicarono da
allora in poi con ritmo sempre più intenso.
Nel 1871 venne fondata la banca popolare di
Novara, destinata ad assumere presto una
notevole importanza ed a superare per capa-
cità di raccolta e dinamismo, all’inizio del
nuovo secolo, la più nota ed antica banca
popolare di Milano.
Sviluppo e crescita delle popolari.
Nel 1876, il successo e l’importanza assunta
ormai dalle popolari portò alla costituzione di
un istituto centrale di coordinamento,
l’Associazione nazionale delle banche popolari,
che tenne in quell’anno un primo congresso
ufficiale. Luzzatti riferì allora che contro le
2.830 banche popolari che si contavano tra
Austria e Germania, in Italia ne erano attive
solo 118 e di queste solo 16 erano localizzate
a sud di Roma. I congressi dell’Associazione si
tennero con cadenza periodica e poco dopo
nacquero le prime organizzazioni regionali tra
le banche popolari: in Abruzzo e Romagna nel
1888 e nel Veneto l’anno successivo. Le citta-
dine meridionali videro finalmente la nascita
di molte banche popolari, che presto sovrasta-
rono per numero le casse di risparmio e gli altri
istituti di credito ordinario:
vedi tab. 1Con poche eccezioni, le banche popolari, a
differenza delle casse di risparmio ed ad altri
istituti di credito ordinario, lavoravano nel-
l’ambito del territorio del comune di appar-
tenenza e non cercavano di espandersi in aree
geografiche sempre più grandi. E nelle citta-
dine grandi e piccole anche le nostre banche
61
Costituzione e Sviluppo della Banca Popolare del Frusinate
tab. 1 - Le banche in Italia tra 1860 e 1890 (con esclusione delle case bancarie)
CR= Casse di risparmio; SOC=Società ordinarie di credito; BP= Banche popolari
Area 1860 1873 1880 1890CR SOC CR SOC BP CR SOC BP CR SOC BP
Ex Regno di Sardegna 18 2 21 56 15 19 39 16 20 12 35
Lombardia, Veneto 7 8 16 37 12 18 54 1 27 158
Emilia, Marche e Umbria50 69 9 18 96 10 30 115 10 108
Toscana 12 1 13 19 10 13 21 10 13 7 35
Lazio 4 7 11 2 11 5 3 13 3 10
Province meridionali 18 13 6 32 20 27 44 61 283
Totale 91 4 136 124 88183 113 140 218 120 629
Fonte: Sannucci, p. 193.
popolari iniziarono la raccolta dei depositi.
Ma tra l’esperienza tedesca e quella italiana ci
fu fin dall’inizio una notevole differenza. La
base societaria delle popolari tedesche conti-
nuò per lungo tempo a mantenersi piuttosto
omogenea, contando tra i soci soprattutto
artigiani e piccoli commercianti. Le popolari
italiane allargarono invece fin dall’inizio la
base sociale, annoverando insieme ai piccoli
azionisti anche proprietari di immobili,
uomini d’affari ed i primi capitalisti della
nascente industria italiana. Spesso le opera-
zioni delle popolari non disdegnavano gli
impieghi di medio e lungo termine. Inoltre,
a differenza delle banche cooperative tede-
sche, dove i soci operavano con responsabi-
lità illimitata e si dimostravano quindi poco
favorevoli all’ampliamento delle attività, le
nostre popolari nacquero fin dall’inizio in
forma di società anonima a responsabilità
limitata, su indicazione dello stesso Luzzatti.
Nel 1882 il codice di commercio estese
infine alle popolari le norme che contraddi-
stinguevano le società cooperative: le azioni
divennero così nominative ed ai soci venne
riconosciuto un solo voto pro capite, qualun-
que fosse l’entità del capitale posseduto.
Intanto, per favorire ulteriormente la rac-
colta del piccolo risparmio, nel 1875 vennero
fondate le Casse di risparmio postali, con lo
scopo di raccogliere i depositi delle famiglie
più modeste e dei risparmiatori del
Mezzogiorno, che non avevano una rete ban-
caria capillare di riferimento. Con il finanzia-
mento della Cassa Depositi e Prestiti, le casse
di risparmio postali giocheranno poi un ruolo
decisivo nelle finanze comunali di fine secolo,
assicurando agli enti locali i finanziamenti a
lungo termine ed a basso tasso di interesse che
la rete del credito ordinario non avrebbe
potuto (o non voleva?) in alcun modo erogare.
Un’istituzione creditizia che mostra la sua
solidità nel tempo.
La storia successiva delle banche popolari
dimostra la bontà della concezione di Luigi
Luzzatti, che appariva in tutta la sua evidenza
proprio nelle frequenti crisi congiunturali del
sistema economico italiano. Nella generalizzata
depressione del 1893-94, che coinvolse nume-
rosi istituti di credito provocando alcuni falli-
menti clamorosi, il MAIC (Ministero dell’agri-
coltura, industria e commercio) osservava che:
...mentre gli istituti di credito ordinariocadono ad uno ad uno e alcune cadute segnanograndi catastrofi economiche pel nostro Paese...lebanche popolari resistono...traggono dalla crisioccasione di mostrare il loro valore economico emorale...Quelle che muoiono si può dire che “col-gano il buon momento per sparire dallascena”...ma qual differenza anche in questesospensioni e perfino in queste cadute! I deposi-tanti furono quasi sempre rimborsati perintero...e persino laddove le jatture sono piùprofonde, nelle Puglie a mo’ di esempio, quanteliquidazioni lente ma onorate...Secondo il Luzzatti, le banche popolari usci-
rono dalla depressione di quegli anni ridotte di
numero ma più robuste, con una base societa-
ria più compatta e fortificata. Poi lo sviluppo
delle popolari proseguì, con una singolare ten-
denza ad un recupero delle posizioni nel
Mezzogiorno. Nel 1908 su 690 banche popolari
regolarmente costituite in tutta Italia, 443
(64%) operavano ormai al centro nord e 247
(36%) al sud e nelle isole. Nel periodo fascista e
62 Banca Popolare del Frusinate
SECONDA PARTE
nel corso della depressione decennale, legata alla
politica deflattiva voluta da Mussolini a partire
dal 1926 ed in seguito alla grande crisi mon-
diale, tra fallimenti e concentrazioni il numero
degli istituti di credito in Italia si ridusse note-
volmente, con una perdita più consistente per le
casse di risparmio e per gli istituti di credito
ordinario, che vennero più che dimezzati. La
banche popolari, in controtendenza, ebbero
allora perdite decisamente più contenute.
La tradizione di solidità delle banche
popolari continua ancor oggi ed il sistema
italiano della banche popolari mantiene una
ragguardevole posizione nel sistema del cre-
dito nazionale. Il numero delle banche popo-
lari attive in Italia, negli ultimi trenta anni, è
diminuito da 195 a 68, in parallelo con il
processo di concentrazione bancaria che ha
caratterizzato la vita recente di tutti gli isti-
tuti di credito: tuttavia le popolari offrono al
pubblico al giorno d’oggi ben 6.000 sportelli,
con oltre 60.000 dipendenti, pari al 17% di
tutto il sistema del credito. In quasi la metà
delle province presenti sul territorio nazio-
nale, le popolari detengono una quota supe-
riore al 25% della raccolta complessiva men-
tre la rischiosità degli impieghi si attesta
intorno al 3,5%, quasi un punto e mezzo al
di sotto della media nazionale.
3. L’economia del frusinate.
Il punto di partenza: un mondo contadino.
All’indomani dell’unità d’Italia, l’economia
del frusinate si basava quasi esclusivamente
sull’agricoltura, con poderi di dimensione
minima e proprietà fondiaria notevolmente
frammentata. Da tempo immemorabile la cul-
tura tradizionale si basava sul ritmo biennale
mais-frumento, senza giovarsi di particolari
sistemi di irrigazione e la resa per ettaro non si
discostava da quella di età medievale, intorno
a 5-6 volte il seminato. I fondi erano gestiti in
regime di mezzadrìa o di colonia migliorataria.
Grazie ai poli di attrazione costituiti dai mer-
cati romani e napoletani l’allevamento era
invece più sviluppato, e si potevano contare
numerose razze equine e bovine di pregio. La
città di Frosinone era la sede di un modestis-
simo artigianato locale, ma il circondario –
divenuto provincia nel 1927 – era dotato di
qualche impianto di buona qualità. La lana si
lavorava ad Alatri, a Monte S. Giovanni esi-
steva una cartiera ed una fabbrica di polveri da
sparo, Ceprano era nota nella farmacopea per
l’olio di ricino e nei dintorni di Guarcino esi-
63
Costituzione e Sviluppo della Banca Popolare del Frusinate
Foto storica.Archivio BancaPopolare del Frusinate
stevano laboratori artigianali che producevano
buon vasellame, cappelli, mattoni, tele e
liquori. Era invece decisamente più vivace la
zona di Sora, lungo le direttrici del Liri e del
Fibreno, dove erano impiantate cartiere ed
opifici di varia grandezza specializzati nella
lavorazione della lana.
Mancava invece una vera e propria rete cre-
ditizia. Solo nel 1854 a Frosinone venne isti-
tuito un monte frumentario, che ebbe un
discreto sviluppo e che protrasse le operazioni
fino al 1907. All’inizio il monte prestava die-
tro corresponsione di un interesse, elevatis-
simo ma non raro a quei tempi sopratutto in
ambiente rurale, del 15%, ridotto nel 1882
all’8% per le sementi in grano e del 12% per
quelle in granturco. Cinque anni dopo, nel
1859, grazie all’iniziativa di una “società di
cittadini” che riuscì a raccogliere un modesto
capitale, venne fondata la locale cassa di
risparmio. La nuova banca lavorava a giorni
alterni, in funzione del ritmo dei mercati,
delle fiere e dei giorni di paga e inizialmente
raccoglieva i depositi la domenica mentre
provvedeva ai pagamenti il giovedì. La fonda-
zione della cassa di risparmio si inseriva ancora
nella concezione ideale che faceva del rispar-
mio la fonte di tutte le virtù, come ricordava
nel suo editto il Delegato apostolico, perché:
...soccorre da un lato l’industria, l’agricolturaed il commercio, ponendo in circolazione amodico frutto i capitali della Cassa, combattel’ozio e l’ignavia dall’altro, invitando i men ric-chi all’attività ed al risparmio con assicurare lorosulle somme che depositano nella Cassa mede-sima un progressivo risparmio...
Caso quasi unico in Italia, il monte di pietà
venne invece istituito solo nel 1864, come
ramo di attività della cassa e non viceversa.
Il primo sviluppo economico.
Il frusinate continuò per lunghi anni a costi-
tuire un’area depressa, caratterizzata da un’agri-
coltura povera e da un tessuto industriale allo
64 Banca Popolare del Frusinate
SECONDA PARTE
tab. 2 Dati demografici essenziali della provincia di Frosinone. 1951-1991 1951 1961 1971 1981 1991Popolazione della provincia468.594 438.254422.630 460.395 479.559
Variazione % nel ventennio precedente _ _ -9,8 _ 13,5
Abitanti nei Centri in %40,9 45,3 53,9 67,2 6
“nei Nuclei urbani“ 14,9 15,4 12,5 7,2 12,6
“in Case sparsi“ 44,1 39,2 33,6 25,0 2
Fonte: mia elaborazione da CCIAA Frosinone, pp. 22 e 23.
Foto storica.Archivio BancaPopolare del Frusinate
stato embrionale, che produceva nei settori tra-
dizionali dell’abitazione e dell’alimentazione
con aziende di pochi addetti. Gli unici poli di
un certo dinamismo restavano quelli tradizio-
nali della carta intorno ad Isola Liri e l’insieme
delle attività turistico-termali nella zona di
Fiuggi. Anche nel secondo dopoguerra le atti-
vità economiche del frusinate stentavano a
decollare e la struttura agricolo-artigianale non
venne radicalmente modificata, perlomeno in
un primo periodo, dall’istituzione della Cassa
del Mezzogiorno e dai provvedimenti del 1957
per lo sviluppo delle aree depresse. Del resto,
anche la demografia della regione si manteneva
su livelli modesti. Nella prima parte del qua-
rantennio 1951-1991 la popolazione della pro-
vincia si ridusse 10%, a causa delle ricorrenti
correnti migratorie verso le zone del nord
Italia, con punte che arrivavano al 50% per la
popolazione montana al di sopra dei 1000
metri. Poi la crescita demografica riprese,
mostrando una lieve tendenza alla concentra-
zione urbana, con casi di particolare evidenza
per il capoluogo, per Sora, Alatri e Cassino:
vedi tab. 2La crescita economica divenne invece più
evidente a partire dai primi anni Sessanta, sia
per l’apertura dell’Autostrada del Sole, sia per
una politica di intervento pubblico più effi-
cace. Senza dubbio gli anni Sessanta rappre-
sentarono un periodo di cerniera per lo svi-
luppo industriale del frusinate, che secondo
una ricerca dell’associazione regionale delle
Camere di commercio del Lazio vide raddop-
piare gli stabilimenti manifatturieri con più di
10 addetti e raddoppiare nello stesso periodo
la mano d’opera impiegata. Il potenziamento
dell’Area di Sviluppo Industriale nella valle del
Sacco (1969) sanciva le nuove prospettive di
crescita. In particolare, il movimento positivo
manifestatosi nel decennio 1961-1971
mostrava che le industrie manifatturiere con
più di 10 addetti iniziavano a crescere, sia in
termini di unità locali che di addetti. Le ini-
ziative di rilievo erano rappresentate, com’è
noto, dall’insediamento della FIAT, il cui sta-
bilimento iniziò ad essere progettato nel 1967
e dall’ampliamento dell’Area di Sviluppo
Industriale a ben 36 comuni, nell’anno succes-
sivo, gestiti da un apposito consorzio.
Di fatto, nel periodo 1968-1978 si poté
assistere ad un notevole incremento sia delle
unità locali che del numero dei loro addetti,
ben più evidente nei comuni inclusi nell’area
di sviluppo industriale, rispetto a quelli che
ne erano rimasti fuori:
vedi tab. 3Il fenomeno non riguardava tuttavia l’in-
tero territorio provinciale in modo omogeneo,
ma tendeva a privilegiare adesso l’asse territo-
riale che correva lungo la Roma-Napoli,
rispetto all’antico polo trasversale del Liri.
65
Costituzione e Sviluppo della Banca Popolare del Frusinate
tab. 3Unità locali e addetti per alcunicomuni dell’Area di SviluppoIndustriale (1968-1978)
1968 1978 U.L. Addetti U.L. Addetti
Anagni 20 1.371 32 6.214Cassino 30 1.686 26 2.050Frosinone 42 3.120 66 6.761Isola del Liri 18 1.762 19 1,572Sora 31 1.740 25 2.022Totale comuni A.S.I. 221 15.415 288 34.480Totale comuni non A.S.I. 28 1.329 30 1.533
Fonte: Tavone, p. 42
Crescita delle aziende e dell’occupazione.
Con riferimento all’intera provincia, una
prospettiva temporale di più ampio respiro
mette bene in evidenza l’incremento numerico
delle aziende e degli addetti sia per tutta la
provincia sia per i comuni a sviluppo econo-
mico più significativo, per i settori industriali
dei servizi e del commercio che facevano rife-
rimento alla CCIAA di Frosinone, nell’arco di
un quarantennio fal 1951 al 1991:
vedi tab. 4La tabella, nella quale sono stati inseriti i
soli dati del capoluogo per renderne più
immediata la lettura, mostra con chiarezza
l’andamento di quello che potremmo generi-
camente definire come lo sviluppo economico
della provincia, nell’ultimo periodo di tempo
significativo. Se ne possono trarre alcuno dati
di fatto che vanno sottolineati:
a. il settore del terziario e quello del commer-cio decollano per primi, negli anni Settanta eOttanta, per subire poi una battuta di arresto,mentre le aziende industriali, partite a loro voltacon maggior ritardo, proseguono la loro espan-sione anche negli anni Novanta
b. il settore industriale mostra un aumento degliaddetti per unità in misura decisamente superiorea quanto non accada per gli altri due compartic. il ruolo della città di Frosinone nell’intera
provincia aumenta considerevolmente. Seinfatti la presenza delle aziende attive aFrosinone rispetto a quelle dell’intero territorioprovinciale cresce dal 7,5% al 13%, il numerodegli addetti complessivamente impiegati aFrosinone passa dal 10% al 20%, conqui-stando una quota di tutto rispetto sul totaledella provincia.La considerazione più significativa, tutta-
via, al di là dei dati che mostrano palese-
mente in deciso incremento in tutti i settori
produttivi, riguardano proprio il rapporto tra
l’andamento demografico e quello degli
addetti alle aziende dell’intera provincia. Se si
tiene conto della sostanziale stabilità della
popolazione nel periodo, il numero degli
addetti cresce notevolmente, con un rialzo
che è particolarmente accentuato nel decennio
1979-1980, per poi mantenere un andamento
più stabile nell’ultimo periodo:
vedi fig. 2
66 Banca Popolare del Frusinate
SECONDA PARTE
1951 1961 1971 1981 1991
U.L. Add. U.L. Add. U.L. Add. U.L. Add. U.L. Add. Industria5.172 18.242 4.097 21.212 4.352 34.773 6.347 61.858 8.387 64.358Frosinone 316 1.607 385 2.475 478 6.620 625 10.027 894 9.366Terziario 6.290 12.473 9.477 18.964 11.448 23.154 14.712 33.410 15.194 37.888Frosinone 544 1.691 1.033 3.288 1.238 4.056 1.647 6.279 1.875 7.348Commercio4.928 8.460 7.706 13.568 9.101 16.136 11.459 22.444 11.268 23.538Frosinone 431 1.024 825 2.151 931 2.531 1.213 3.438 1.237 3.764Totale 11.462 30.715 13.815 40.848 16.031 58.429 24.610 119.551 28.641 132.962Frosinone 860 3.298 1.424 5.816 1.728 10.759 2.8832 22.790 3.740 24.327
tab. 4 Andamento delle unità locali e degli addetti nella provincia di Frosinone 1951-1991
Fonte: mia elaborazione da CCIAA Frosinone, tabb. a.1.24 e segg.
E’ proprio il particolare rapporto tra l’anda-
mento demografico e quello occupazionale
relativo alle diverse unità produttive che forni-
sce il quadro di sintesi più significativo dell’e-
voluzione economica di Frosinone nel periodo
più recente. Esso indica il momento di passag-
gio da un’economia prevalentemente agricola
a condizione famigliare, dispersa nel territorio,
ad uno sviluppo fondato su di una pluralità di
settori produttivi a carattere aziendale.
4. La Banca Popolare del Frusinate,dalla nascita ad oggi.Costituzione della banca e scelta della sede,
1991-1992. Saldamente radicata in questo con-
testo economico e sociale, caratterizzato da una
crescita dell’occupazione lenta ma continua, da
un’elevata propensione al risparmio delle fami-
glie, da una rete bancaria che poggia prevalen-
temente sulle filiali locali dei grandi istituti
nazionali, nasce da un qualificato gruppo di
imprenditori e di liberi professionisti del frusi-
nate il progetto della nuova banca. Al di là degli
aspetti strettamente economici, legati al poten-
ziale profitto dell’iniziativa, l’iniziativa acco-
muna un gruppo di persone legate alla propria
terra e che intendono guardare lontano: fare in
modo che il risparmio proveniente dal territo-
rio venga prevalentemente utilizzato nelle ini-
ziative destinate allo sviluppo locale, senza
essere più veicolato verso i grandi gruppi azien-
dali del centro nord del Paese, tradizionali
destinatari del risparmio proveniente dalla
Ciociaria. La scelta della società cooperativa
garantisce la parità di voto tra tutti i soci, indi-
pendentemente dal capitale personalmente
posseduto ed è questo un preciso segnale che il
gruppo promotore intende lanciare. E ancora,
il progetto prevede che la nuova banca dovrà
farsi promotore di iniziative culturali, scientifi-
che e assistenziali che possano dare uno smalto
particolare al nuovo istituto di credito, rivol-
67
Costituzione e Sviluppo della Banca Popolare del Frusinate
Fig. 2 - popolazione e addetti alle unità produttive nellaprovincia di Frosinone
1951 - 1991
Fonte: v. tab. 3.
1951
Popolazione Addetti
1961 1971 1981 1991
gendosi – ancora una volta – alle necessità di
volta in volta manifestate del territorio. Il
primo decennio di vita della banca dimostrerà
che gli obiettivi originari saranno centrati con
coerenza e continuità.
Dopo un periodo iniziale necessario ad otte-
nere le dovute autorizzazioni della Banca
d’Italia ed alla raccolta del capitale versato dai
soci fondatori, alle 9 di mattina del 12 luglio
1991 l’assemblea costituente si riunisce nella
sala convegni dell’hotel Henry, alla presenza del
notaio Piacitelli. Nasce la nuova società coope-
rativa a responsabilità limitata cui aderiscono
ben 1.347 soci, che sottoscrivono un importo
di 15 milioni di lire per quota, pagabili in tre
rate ciascuna. Il capitale così raccolto, pari a 20
miliardi di lire, garantisce l’immediata operati-
vità della banca, ponendola al primo posto tra
le banche popolari di recente costituzione
quanto all’entità del capitale sociale. Com’è
naturale, i soci provengono in larga misura dal
capoluogo; è importante tuttavia anche l’in-
fluenza di soci di Boville, di Veroli e di Alatri,
con un provenienza che in definitiva abbraccia
i centri più importanti di tutta la provincia.
Un altro elemento di notevole rilievo
riguarda l’attività professionale dei promotori.
L’analisi della professione dei soci, contribui-
sce a mettere in evidenza il ruolo preponde-
rante rivestito dagli imprenditori locali, dai
commercianti, dalle aziende di varia natura e
dai liberi professionisti. A testimoniare il
carattere composito del capitale della nuova
banca, sta tuttavia la presenza di numerosi
impiegati, di studenti, di casalinghe e di inse-
gnanti. Non mancano alcuni operai ed altri
esponenti di diversi settori professionali.
Per il primo triennio a dirigere il Consiglio di
amministrazione, composto da 11 membri, è
chiamato il presidente Bruno di Cosimo, coa-
diuvato dal vice presidente Gerardo Plocco. Gli
altri membri sono nell’ordine Benito Stirpe,
subito acclamato presidente onorario, Antonio
Annunziata, Luigi Celani, Luigi Conti, Bruno
68 Banca Popolare del Frusinate
SECONDA PARTE
tab. 5Soci della BPF per comune di residenza
Frosinone 388 Roma 60
Boville 132 Ripi 57
Veroli 99 Coreno Aus. 35
Alatri 91 Monte S. Giov. 35
Ferentino 61 Cassino 33
Isola Liri 26 Fiuggi 21
Anagni 22 Cervaro 20
Ceccano 22 Torrice 20
Ceprano 22 Altri <20 202
Sora 21
tab. 6Soci della BPF per ramo di attività
Imprenditore 223 Studente 92
Commerciante 164 Casalinga 72
Soc. r.l. 147 Att. varie 65
Professionista 135Insegnante 51
Impiegato 121 Artigiano 48
Pensionato 37 Soc. p.a. 20
Medico 33 Farmacista 18
Soc. n.c. 33 Operaio 17
Dirigente 26 Rappres.te 16
Soc. a.s. 24 Altri <5 15
Iannarilli, Nicolino Milani, Umberto Mizzoni,
Baldassarre Santamaria e Carlo Uccioli.
Maurizio Ferrante è nominato Presidente del
Collegio sindacale. Il Consigliere Celani è chia-
mato ad assumere le funzioni di direttore gene-
rale, per la vasta esperienza maturata nel settore
delle banche popolari. Dovrà così lasciare il
posto in Consiglio, sostituito l’anno dopo da
Giancarlo Salvatore. Come vice direttore viene
scelto Romano Marchini, a seguito di una sele-
zione affidata alla Cefor, la società di emana-
zione delle banche popolari che ha il compito di
selezionare il personale. Viene poi bandito un
concorso pubblico per la scelta del logotipo che
dovrà caratterizzare la nuova banca e già in sede
di assemblea costituente il gruppo dirigente
manifesta l’intenzione di acquistare un immo-
bile di prestigio, che dovrà essere all’altezza del
ruolo che la banca intende assumere. Il 19 otto-
bre del 1991, in sede di Consiglio di ammini-
strazione, viene nominato il comitato esecutivo
e se ne fissano le deleghe. In attesa dell’acquisto
della nuova sede sociale, si rende indispensabile
prendere in affitto i primi locali e la scelta cade
su di un ampio immobile in via Caduti di via
Fani, dove verrà aperto il primo sportello e già il
6 marzo il Consiglio di amministrazione è con-
vocato nei locali appena resi operativi. L’attività
della banca inizia ufficialmente il 30 maggio del
1992: per l’occasione viene stampata una carto-
lina primo giorno, con un annullo speciale con-
cesso dalle poste. Dal primo giugno, dunque, la
banca è al lavoro.
Il periodo di avvio, 1992-1996.
I primi anni rappresentano il periodo in cui
si pongono le fondamenta della banca, che deve
formare le strutture operative di base, trovare il
proprio spazio nella raccolta locale del credito e
riscuotere la fiducia della clientela, impostando
una politica gestionale convincente. I risultati
sono lusinghieri e ciò deve essere sottolineato
con particolare evidenza, perché la situazione
generale del Paese sta attraversando un periodo
di profonda crisi, che giunge a punte particolar-
mente aspre negli anni 1992-94, come testimo-
niano alcuni indicatori fondamentali. Il PIL ha
imboccato la strada di un lento ma inarrestabile
decremento annuo, la disoccupazione supera le
quote allarmanti del 13% senza mostrare segno
di ripresa, la lira si svaluta ampiamente con le
altre monete dello Sme e fluttua ormai - di fatto
- liberamente. Il tasso ufficiale di sconto tocca,
nel 1992, il livello elevatissimo del 15% e di
conseguenza il tasso sulle anticipazioni bancarie
arriva al 16.5%. Il governo è costretto ad una
politica di tagli e di rigidità sul piano fiscale,
imponendo addirittura un’imposta del 6% unatantum sui depositi bancari: quasi una patrimo-niale di antica memoria. Le finanziarie che si
succedono ad ogni dicembre sono sempre più
rigorose, strette tra la ricerca di nuove risorse
per l’erario ed i tagli alla spesa pubblica. Come
nota acutamente il presidente Di Cosimo nella
relazione di accompagno al bilancio al
31.12.1992, più che un problema congiuntu-
rale si tratta di prendere atto che siamo arrivati
alla fine di un’epoca:
...l’epoca del salario come variabile indipen-dente, la libertà degli enti pubblici di accumu-lare disavanzi, la possibilità di avere finteimprese sovvenzionate dalla stato.Per le banche popolari italiane, arriva adesso
una nuova disciplina, volta a stabilizzare gli
assetti interni attraverso un equilibrio generale
nell’influenza dei soci sulla gestione, impo-
69
Costituzione e Sviluppo della Banca Popolare del Frusinate
nendo che nessun socio possa detenere più
dello 0.50 del capitale sociale. Anche i vincoli
reciproci tra gli stessi soci possono essere rin-
saldati, e viene confermata la possibilità di
introdurre la clausola del gradimento per l’in-
gresso di nuovi soci.
La Banca Popolare del Frusinate sembra
navigare tranquilla nella tempesta economica
italiana, come dimostra il buon andamento
della raccolta e quello degli impieghi, dovuti
in gran parte alla fiducia che la neonata banca
riscuote tra i soci e le loro famiglie. Nei primi
sette mesi di attività vengono raccolti più di
15 miliardi di lire di risparmi e vengono ero-
gati più di 7 miliardi di crediti, ma nell’anno
successivo la raccolta tocca i 34 miliardi e gli
impieghi i 21 miliardi, triplicando il traguardo
già ragguardevole raggiunto l’anno prece-
dente. Ormai l’andamento della raccolta e
degli impieghi ha imboccato un percorso di
crescita continuo e con essi aumenta il ruolo
dei depositi a vista. Rispetto al sistema crediti-
zio italiano, la raccolta è remunerata dalla
banca mediamente con due punti percentuali
in più, a dimostrazione della grande conside-
razione in cui vengono tenuti i depositanti,
che sembrano a loro volta ricambiare la fidu-
cia. La curva della raccolta tende nel lungo
periodo a distaccarsi lentamente da quella
degli impieghi, testimoniando in concreto la
grande prudenza seguita dalla banca nella con-
cessione del credito:
vedi fig. 3
Nel 1994 viene aperta la filiale di Alatri, che
si aggiudica subito il servizio di tesoreria del
comune di Guarcino. Poco dopo, nel 1996,
apre i battenti la filiale di Ripi, con la quale si
conferma non solo l’elevato incremento della
clientela della banca ma anche la fiducia che la
stessa Banca d’Italia, nel concedere l’autorizza-
zione ad aprire il nuovo sportello, nutre per la
Banca Popolare del Frusinate. Nello stesso
anno partono importanti servizi, come il col-
locamento dei fondi di investimento ARCA,
l’emissione di prestiti obbligazionari e l’aper-
tura dei rapporti con l’estero: la banca è ben
decisa ad allargare la sfera delle proprie attività
nella consapevolezza che la diversificazione dei
servizi finisce per portare clientela agli spor-
telli. Che l’andamento generale delle opera-
70 Banca Popolare del Frusinate
SECONDA PARTE
Fig. 3 - Andamento della raccolta e degli impieghi
150.000
100.000
50.000
0
€X1.000
Impieghi:crediti verso la clientelaRaccolta: diretta
1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002
zioni mostri un incremento costante è dimo-
strato anche dalla crescita del numero dei
dipendenti. Includendo nel numero il diret-
tore ed il vice direttore, il personale sale a 12
unità nel 1992, all’indomani dell’inizio delle
attività, per aumentare di due unità l’anno
dopo, ed arrivare ad un organico di 20 dipen-
denti già nel 1994, cresciuto ancora a 24 unità
nel 1996. In termini di retribuzioni ed oneri
accessori, il costo medio dei dipendenti per la
banca è pari al 75% della media riscontrata
nel sistema creditizio italiano.
Nel 1996 il direttore generale Marchini
lascia l’incarico, sostituito dal suo vice Rinaldo
Scaccia. Nel consiglio di amministrazione,
escono Luigi Celani e Baldassarre Santamaria,
sostituiti da Sergio Armida e Arnaldo Zeppieri.
Gli utili iniziano a crescere e presto viene isti-
tuito un fondo, destinato alla restituzione della
quota di quei soci che intendessero monetiz-
zare i versamenti iniziali fatti a suo tempo. Il
valore effettivo della quota sociale, inizial-
mente fissato in 15 milioni di valore nominale,
supera ora i 20 milioni e tanto più si rende
necessario provvedere anche alla sede sociale,
che deve essere adeguata al ruolo che la banca
si sta guadagnando. Mantenendo fede alle pro-
messe fatte in sede di costituzione, il
23/12/1991 viene acquistato l’immobile di
piazza de Matthaeis e subito iniziano con il
Comune le procedure per ottenere la conces-
sione edilizia. L’immobile, sede prevista della
direzione generale e di una filiale, inizierà pre-
sto ad essere utilizzato per gli uffici della pre-
sidenza e della direzione generale, ma per la
piena operatività dell’edificio e l’apertura degli
sportelli per il pubblico a piano terra bisognerà
attendere ancora qualche anno.
In pieno sviluppo, 1997-1999.
Negli anni immediatamente precedenti gli
accordi monetari che porteranno al trattato
di Maastricht ed alla nascita dell’euro, l’eco-
nomia italiana sembra uscire lentamente
dalla recessione che aveva caratterizzato il
periodo precedente, pur mantenendo un PIL
nazionale intorno all’1,4% annuo, sempre
ben al di sotto della media europea. Anche la
provincia di Frosinone, soprattutto per il
maggiore dinamismo impresso dalla nascita
di nuove aziende, sembra avvertire i sintomi
della ripresa. Si può iniziare a sperare che sia
finalmente vinta in Italia la lotta all’infla-
zione e l’incremento dei prezzi inizia infatti
ad attestarsi su valori vicini al 2%. Il TUS
può finalmente scendere al 5.5%, per stabi-
lizzarsi l’anno dopo al 3%, in armonia con i
10 paesi dell’unione monetaria. E’ necessario
prepararsi con efficienza per i nuovi traguardi
imposti da un sistema economico che anno
71
Costituzione e Sviluppo della Banca Popolare del Frusinate
Grafica copertinaBilancio 1992
dopo anno si avvia ad una globalizzazione
sempre più marcata.
Il prime rate ABI è ormai al 6,375% e la
diminuzione dei tassi sugli impieghi e sui
depositi è inevitabile. Questo però rende più
problematici gli impieghi finanziari e la rac-
colta del sistema creditizio in Italia avverte
una decisa decelerazione, anche se nel loro
complesso le banche popolari continuano a
mantenere una buona dinamica complessiva,
sia nella raccolta che negli impieghi.. Nel
1997, con l’assunzione di cinque nuovi ele-
menti, il personale della nostra banca tocca
complessivamente le 29 unità. Un’ispezione
della Banca d’Italia alla Popolare del
Frusinate, durata ben due mesi, si risolve
favorevolmente con il pieno riscontro della
regolarità delle operazioni dell’Istituto e
quasi a conferma, nel 1998 giunge dalla
Banca d’Italia l’autorizzazione ad aprire un
nuovo sportello a Frosinone, destinato alla
sede sociale di piazza de Matthaeis. Del resto,
tutto sta a testimoniare della solidità della
banca e della fiducia che essa continua a
riscuotere tra i risparmiatori.
Nel 1998, nonostante la continua discesa
dei tassi di interesse, la raccolta si è incre-
mentata di ben il 22% ed il risultato finale
dell’anno è del tutto lusinghiero, sforando i 5
miliardi di lire lordi. Il certificato azionario
vale ora 21.700.000 lire. La banca, nel 1999,
è in grado di erogare ben 2.259 fidi ad arti-
giani, professionisti, commercianti ed
imprenditori, mantenendo fede all’impegno
assunto all’atto della costituzione, con cui si
vincolava a reinvestire i depositi all’interno
del territorio e non presso le aziende del nord
del paese. I conti correnti sono numerosi,
con 4.243 rapporti e 2.304 sono i libretti di
risparmio. Il R.O.E. (return on equity, chemisura il rendimento del capitale netto più le
riserve) sfiora adesso il 12,3% con un incre-
mento di quasi otto punti rispetto all’anno
precedente! Del resto, la fig. 3 dimostra che
l’andamento degli utili, mantenutosi piutto-
sto stabile nei primi cinque anni di attività,
tende ora a crescere in modo netto, consen-
tendo di conseguenza ai fondi di riserva un
incremento sempre maggiore. Una lieve fles-
sione in corrispondenza dell’esercizio 1999 è
72 Banca Popolare del Frusinate
SECONDA PARTE
Fig. 4 - Andamento degli utili e delle riserve
€X1.000
12.000
10.000
8.000
6.000
4.000
2.000
0
Utile: al netto delle imposteRiserve: ordinaria e straordinar
dovuta alla prudente decisione di accendere
un fondo di garanzia per crediti verso la
clientela:
vedi fig. 4Si può ora acquistare una partecipazione
del 5% di Invest banca spa, un istituto spe-
cializzato in materia di strumenti finanziari,
di consulenza e di investimenti, quasi a sot-
tolineare una volta di più la politica di diver-
sificazione impressa a tutte le attività. La
banca, fedele alla sua concezione originaria di
elevato profilo morale, aderisce nel 1998
all’invito formulato dalla Banca d’Italia e dal
Prefetto per l’istituzione – insieme alla banca
popolare del Cassinate, alla banca della
Ciociaria ed alle due casse di risparmio di
Anagni e di Frosinone - del fondo antiusura
della provincia di Frosinone.
Il fondo è stato espressamente voluto per
combattere un’antichissima piaga sociale, e
le banche consorziate versano ciascuna la
somma di 500.000.000 di lire, per favorire
la denuncia degli strozzini che operano sul
territorio. Inoltre, la Banca Popolare del
Frusinate, unica banca del Lazio, aderisce
per iniziativa della Confidi alla costituzione
di uno speciale Fondo di prevenzione dell’u-sura che ha lo scopo di concedere finanzia-menti a medio termine a piccole e medie
imprese ad elevato rischio finanziario, che
cioè non sono state ammesse al finanzia-
mento dalle grandi banche.
2000-2002.
Finalmente l’11 marzo del 2000 viene
inaugurata la nuova filiale di palazzo Minotti
a piazza de Matthaeis, alla presenza di tutte le
autorità cittadine e del direttore della Banca
d’Italia dott. Stefania Bucchi, che mette in
rilievo il servizio svolto dalla BPF al territo-
rio. E’ significativa anche la menzione fatta
dal Vescovo Mons. Boccaccio, che nel breve
commento ai presenti, prima di benedire il
nuovo edificio, sottolinea l’impegno della
banca contro l’usura. Ormai la Banca
Popolare del Frusinate è uscita dalla fase di
avvio e diversifica significativamente le sue
attività. Nel 2000 la raccolta relativa ai fondi
ARCA è passata da 8 a 17 miliardi di lire, con
importanti ricavi che provengono sia dalla
collocazione dei fondi, sia dal servizio delle
carte di credito e dalle polizze di assicura-
zione, il che dimostra come la gestione di
tutti i servizi offerti dalla banca sia in attivo.
I conti correnti crescono di numero e nel
complesso hanno una giacenza media di 13
milioni di lire, a riprova non solo della fidu-
cia che la banca riscuote tra la clientela, ma
anche dell’elevata propensione al risparmio
73
Costituzione e Sviluppo della Banca Popolare del Frusinate
Grafica copertinaBilancio 1998
delle famiglie ciociare.I dipendenti salgono a
35 unità nel 2000 ed il valore della quota ini-
zialmente di 15.000.000 di lire tocca adesso
i 25.000.000, con un incremento del 67%,
che rimane particolarmente elevato anche se
si tiene conto del leggero deprezzamento
subito dalla lira nel periodo. L’anno dopo,
infatti, la quota crescerà ancora toccando un
incremento record del 123% rispetto al
momento costitutivo. Nel Consiglio di
amministrazione si verifica un modesto cam-
biamento, con Augusto Pigliacelli che sosti-
tuisce Nicola Milani. Che la banca stia
andando a gonfie vele, comunque, è sotto gli
occhi di tutti gli operatori economici del fru-
sinate. Del resto, il giornale La Provincia del
24 dicembre 2000 intitolerà un significativo
articolo “Una banca al servizio del territorio”
mettendo in rilievo sia l’estensione degli
sportelli (due attivi a Frosinone, uno a Ripi
ed uno ad Alatri) e riprendendo da un’inter-
vista concessa dal Direttore Generale Scaccia
l’idea portante dell’intrapresa coraggiosa, masostenuta sempre da un’ottica di mutualismo
e di intervento nel sociale, particolarmente
rivolte al mondo della scuola.
Tra le altre iniziative, infatti, la banca ha
avviato le iniziative rivolte ai prestiti di onore
concessi agli studenti che si iscrivono ai
Master in discipline bancarie, ma concede
anche prestiti a tasso agevolato agli studenti
di scuola media e di scuola media superiore
per l’acquisto di computer. Sul fronte spor-
tivo, un accordo con la Frosinone calcio con-
sente ai clienti della banca di acquistare l’ab-
bonamento annuale per le partite, con paga-
mento rateale.
L’anno seguente, nel 2001, si manifestano
in seno al Consiglio di Amministrazione
alcune divergenze sugli obiettivi strategici
della banca, che già si erano manifestate nel
periodo precedente e che ora portano all’u-
scita di ben cinque consiglieri: dalla compa-
gine escono Stirpe, Bottini, Armida, Uccioli
e Zeppieri.
Il presidente Di Cosimo ritiene oppor-
tuno convocare un’assemblea straordinaria
nel novembre dell’anno per il reintegro del
Consiglio e vengono eletti al loro posto
Domenico Capogna, Massimo Chiappini,
Adriano Pistilli, Domenico Polselli, Giorgio
Toti e Gaetano Visocchi. Nella sua storia,
sono ben quaranta i soci che si sono alternati
per un motivo o per l’altro in seno al
Consiglio di Amministrazione, con una rota-
zione che rappresenta un segno di democra-
tica alternanza, pur nel solco della continuità
della gestione complessiva. La loro profes-
sione: imprenditori e liberi professionisti.
La banca affronta un periodo di generale
depressione della fase congiunturale, manifesta-
tasi negli USA, in Europa ed in Italia, dove in
74 Banca Popolare del Frusinate
SECONDA PARTE
Anno 2000.Inaugurazioneapertura filiale piazzaDe Matthaeis
un anno l’incremento del PIL passa dall’1,8%
allo 0,9%. Eppure la banca nel 1991 incre-
menta la raccolta del 13%, anche se gli impieghi
mostrano una flessione del 10%. E’ il momento
di migliorare il rapporto tra i soci e l’istituto e
viene creata un’apposita commissione
“Promozione e Sviluppo” per legare ai soci alla
banca in un vincolo più efficace. Il personale
dipendente passa a 40 unità. Nel 2002 viene
festeggiato il decennale di attività della banca
con un convegno presso l’Abbazia di Casamari
(8 giugno 2002) dal titolo Il ruolo delle banchepopolari nel’evoluzione del sistema bancario.E’ questo l’anno in cui il sistema creditizio
italiano, nonostante l’ampio movimento di
riorganizzazione e di concentrazione aziendale,
nel suo complesso registra un sostanzioso calo
dell’utile lordo e le banche popolari, diminuite
di ben 66 unità, registrano un totale di attività
inferiore a quelle del resto del sistema.
Nonostante ciò, la raccolta della banca
aumenta sensibilmente ed anche gli impieghi
mostrano una decisa tendenza al rialzo.
La quota sociale, dagli iniziali 15 milioni,
tocca ormai i 37 milioni di lire e la solidità
della banca viene consacrata dall’apertura di
un’altra filiale a Veroli, in frazione Casamari.
Si allarga l’area dei conti con prestiti agevolati
per giovani ed anziani.
Da un’indagine del “Giornale della banca e
della finanza”, su 463 istituti di credito ita-
liani valutati come “minori”, che contabiliz-
zano un attivo inferiore ai 650 milioni di
euro, la Banca Popolare del Frusinate viene
classificata al primo posto tra le popolari in
Italia per solidità e redditività, distanziando
di non poco le altre banche popolari della
Ciociaria, figurando addirittura all’11 posto
nella classifica complessiva. Il patrimonio, in
dieci anni, è raddoppiato toccando i 40
miliardi di vecchie lire. La quota iniziale, che
in euro era pari a 7.747,50, tocca ora i
19.595,00 euro. Alcuni consiglieri, sono
chiamati alla Bocconi a tenere un ciclo di
lezioni, quasi a confermare il prestigio dell’i-
stituto. La solidità della banca e le ampie pro-
spettive di ulteriore sviluppo fanno nascere –
come accade di frequente nel mondo azien-
dale – un tentativo di scalata ai vertici azien-
dali, che tuttavia fallisce nel corso della suc-
cessiva assemblea ordinaria dei soci, tenutasi
il 30 marzo 2003 in occasione del rinnovo
del Consiglio di Amministrazione.
La “cordata” guidata da Arnaldo Zeppieri
non riesce ad imporsi, mentre viene rinnovata
la fiducia all’intero consiglio uscente, con uno
scarto significativo di 100 voti tra maggio-
ranza e minoranza. Il trauma tuttavia viene
presto superato senza lasciare alcun segno nel-
l’operatività dell’istituto e nella fiducia che
esso continua a riscuotere nella clientela. La
banca cerca ora di espandere le attività legate
alla casa ed all’edilizia, unendo ai tassi agevo-
75
Costituzione e Sviluppo della Banca Popolare del Frusinate
lati per i mutui sulla prima casa anche – in
convenzioni con diversi comuni della provin-
cia – i tassi agevolati per i prestiti a chi vorrà
ristrutturare le abitazioni nei centri storici.
Un…utilissimo 5%.
Fin dalle prime norme che ne disciplinavano
l’istituzione, nell’Ottocento, le banche popo-
lari sono state obbligate a destinare a scopi di
pubblica utilità un ventesimo degli utili netti
ricavati ogni anno. Anche la Banca Popolare
del Frusinate rispetta, come è ovvio, l’obbligo
di legge ed accantona in vista delle future sov-
venzioni la quota dovuta, che va ad accrescere
l’apposito fondo di riserva. Dai primi 21
milioni di vecchie lire accantonate fin dal
primo anno, il 1991, si sale progressivamente a
toccare i 50.000.000 nel 1995 ed i
139.000.000 tre anni dopo e per stabilizzarsi
infine intorno ai 200.000.000 di lire accanto-
nate annualmente annue. In totale, considerati
dodici esercizi dal 2001 al 2002, la banca rie-
sce ad accantonare per scopi di pubblica utilità
un fondo di riserva vicino ai 600.000 euro.
Con questa somma, piuttosto cospicua, inizia
una politica di assistenza e di sostegno alle
iniziative culturali, sociali, sportive ed assi-
stenziali nel territorio, che si affina anno dopo
anno giungendo ad interventi di grande
rilievo, che aggiungono prestigio alla banca.
Questo capitolo della storia della Banca
Popolare del Frusinate non va dimenticato,
perché rappresenta il segnale di un mecenati-
smo intelligente, aperto e sensibile. Tanto per
ricordare i maggiori interventi di tipo cultu-
rale, oltre alle sovvenzioni di importo minore
destinate alle più svariate iniziative locali,
citiamo come esemplare il restauro del quadro
di San Bartolomeo nella chiesa di San
Benedetto a Frosinone, realizzato nel 1998 e,
l’anno dopo, il restauro del simulacro di
Cristo morto a Sant’Agostino a Ripi e di
Cristo Crocifisso nella parrocchia di SS.
Salvatore a Veroli. Ancora nel 1999 la BPF
finanzia incontri di studio e di divulgazione di
matematica mentre sul piano dello sviluppo
del turismo locale eroga vari contributi, tra cui
6.000.000 di lire per modernizzare gli
impianti di risalita a Campocatino.
A Novembre del medesimo anno iniziano gli
importanti interventi di restauro de “L’albero
della vita”, presso la chiesa di Santa Salome a
Veroli, lavori affidati alla ditta Francesco
Antonucci di FR. Il restauro viene portato a ter-
mine l’anno dopo. mettendo in luce un’impor-
tante opera di ignoto, che viene attentamente
studiata. Si può pensare ad una scoperta inno-
vativa nel quadro della pittura di autori minori
locali, ed in particolare una sigla apparsa nel
corso del restauro potrebbe farci ricondurre
all’Autore, forse Girolamo Siciolante di
Sermoneta, allievo di Pierin del Vaga.
76 Banca Popolare del Frusinate
SECONDA PARTE
ConcertoAbbazia di Casamari.
Il dipinto è del tardo Cinquecento o del primo
Seicento. Sul restauro effettuato e sulle sue tecni-
che la banca promuove una giornata di studio il
18 marzo 2000, con successiva pubblicazione
degli atti, ricchi di spunti artistici e storici.
Segue poi, nel medesimo anno, un’affollata
esposizione ad Alatri curata dalla società di
scienze “Mathesis” con il contributo della
banca. Sul piano assistenziale, la banca aderisce
all’inziativa promossa dall’Associazione fra le
Banche Popolari per raccogliere contributi per
l’ospedale di Tirana. Sempre nel 2000 si inizia
il recupero del noto affresco di palazzo Minotti
a piazza De Matthaeis e, tra le altre iniziative, la
banca eroga vari contributi, tra cui 5 milioni di
lire per la XII edizione del raduno nazionale
auto storiche (35 equipaggi) con giro delle città
fortificate (Alatri, Anagni, Ferentino e Veroli).
Vengono poi acquistati i camici bianchi per i
volontari dell’Arvas (associazione regionale dei
volontari assistenza sanitaria). La mostra “Oltre
il compasso – la geometria delle forme” allestita
presso il chiostro di San Francesco ad Alatri e
sponsorizzata dalla banca, vede ben 6.000 visi-
tatori. Nel 2003 La BPF sponsorizza una
ricerca che dà vita ad un bel volume di
Francesco Antonucci: I Santi Patroni di
Frosinone. Percorso storico iconografico dedi-
cato alla ricostruzione storica delle figure dei
santi Ormisda e Silverio, pontefici del VI
secolo, promuovendo nello stesso tempo una
serie di concerti estivi all’abbazia di Casamari.
Ma sempre nel 2003 si moltiplicano le inizia-
tive sportive e culturali che vengono sostenute
dalla banca, come dimostrano l’intesa con il
CONI per l’educazione e la formazione spor-
tiva degli studenti di Frosinone e di Veroli.
Nasce il protocollo di intesa con l’Ateneo di
Cassino, con il quale si mettono in palio alcune
borse di studio per tesi dalle discipline identifi-
cate via via ogni anno e ancora si finanziano
contratti di insegnamento per discipline giuridi-
che, economiche ed aziendali presso le Facoltà
di Economia e di Giurisprudenza, inserendosi
in quel solco così frequente all’estero ma ancora
poco conosciuto da noi, di enti esterni che
finanziano – nella piena autonomia didattica –
corsi di studio ritenuti di particolare rilievo per
lo sviluppo economico locale. Con lo stesso spi-
rito di collaborazione e promozione della cul-
tura nel territorio nasce l’accordo con il conser-
vatorio di musica “Licinio Refice di Frosinone.
La Banca Popolare del Frusinate ha dimostrato
in questo modo di assolvere pienamente le pro-
messe avanzate al momento della fondazione,
non solo operando fattivamente nel settore cre-
ditizio che le compete, ma promuovendo anche
una nutrita serie di iniziative complementari.
Per gli anni futuri, la banca potrà senza dubbio
divenire un sicuro punto di riferimento per tutti
coloro che hanno a cuore lo sviluppo della cul-
tura e della vita sociale nel frusinate.
77
Costituzione e Sviluppo della Banca Popolare del Frusinate
Anno 2003.Firma stipulaconvenzionecon l’Universitàdi Cassino
Prof. Francesco Salerno
Società ed Economianelle Valli del Frusinate
Banca Popolare del Frusinate
TERZA PARTE
Società ed Economia nelle Vallidel Frusinate
Il contesto geo-economico nel quale, per
vocazione direi ‘naturale’, esplica la propria
attività la Banca Popolare del Frusinate è
attraversato da una delle due grandi vie di
comunicazione che, fin dall’antichità, hanno
congiunto alla Campania, forse, l’Etruria,
certamente, il Lazio. Accanto alla direttrice
costiera che attraversa la valle Pontina,
infatti, la via interna che segue le valli fluviali
del Sacco (per i Romani, Trerus o Tolerus) edel Liri (Liris) costituisce un corridoio dipenetrazione obbligato tra catene di monti
quasi ininterrotte (quelle degli Ernici, delle
Mainarde e de La Meta, a nord-est; dei
Lepini, degli Aurunci e degli Ausoni, a sud-
ovest). Passaggi trasversali, tra i sistemi mon-
tuosi, assicurano il collegamento tra l’interno
e le fertili pianure della costa tirrenica e, fin
dall’antichità, hanno rappresentato sia i per-
corsi della transumanza per le popolazioni
pastorali alla ricerca di pascoli stagionali, sia
le strade lungo le quali sono sorte stabili
strutture insediative di comunità.
La storia della regione è risalente. Le inda-
gini hanno posto in luce presenze umane già
a partire dal Paleolitico inferiore. Nell’età del
ferro, fra i luoghi occupati, compaiono già
Frosinone e Cassino. Come tutti i centri del-
l’epoca sono in realtà, più che ‘città’, rocche
fortificate intorno alle quali gruppi etnici, di
origine ernica (Alatri) o volsca (Frosinone,
Cassino), si sono organizzati in comunità di
villaggio.2
La penetrazione romana, a partire dal VI
secolo a. C., lenta e irta di difficoltà ma ineso-
rabile e definitiva,3 dall’ultimo scorcio del IV
secolo a.C., favorisce la nascita di un assetto
viario più complesso (via Latina, via Labicana,
via Appia) teso a rendere più agevoli i collega-
menti con la madrepatria delle colonie fon-
date sul territorio, e, nel contempo, idoneo a
garantire un maggior supporto alla politica di
espansione verso il Meridione.4
La romanizzazione dell’area ed il suo essere
partecipe del sistema politico-istituzionale
romano, le trasformazioni economiche e
sociali che la conquista romana comporta
favoriscono il sorgere di aristocrazie locali
sempre più legate economicamente e politica-
mente con le grandi famiglie dell’aristocrazia
romana ed, a volte, in grado di esprimere
uomini cui vengono affidate le sorti dello
stesso Stato romano. Se a Caio Mario, a
Varrone, a Cicerone (solo per citare alcuni fra
i più celebri) sono state dedicate pagine e
pagine, meno noti sono innumerevoli perso-
naggi il cui ruolo, pure, fu significativo per lo
sviluppo delle comunità locali. Sono magi-
strati, cittadini, amministratori, funzionari
imperiali, oscuri ai più, ma della cui opera il
ricordo è stato tradito, il più delle volte, da
iscrizioni funerarie oppure, meno frequente-
mente, da epigrafi onorarie.
L’esame del corpus epigrafico conservato
nel CIL consente di gettare uno sguardo sulla
vita di queste élites cittadine, particolarmente
attive fra II e III secolo d.C.
Una recente ricerca su «attori della vita giu-
ridica nel patrimonio epigrafico di Casinum e
del Cassinate», condotta dalle cattedre giusro-
manistiche dell’Università di Cassino, ha con-
sentito, attraverso l’esame del cospicuo patri-
monio epigrafico e delle significative fonti let-
81
Società ed Economia nelle Valli del Frusinate
terarie, una prima ricostruzione dell’organiz-
zazione amministrativa che la città ebbe fra i
secoli V a.C. e III d.C.5
La nostra indagine si è, così, inserita nel
solco tracciato da studi recenti che hanno
permesso di tratteggiare un quadro di una
classe dirigente locale, nel tempo sempre più
attiva, legata spesso al potere centrale e
vivace in misura molto maggiore rispetto a
quanto potevamo ritenere sulla base di studi
precedenti, forse meno sensibili ai temi di
‘storia locale’.6
Per quanto riguarda Cassino, dall’indagine
sono riemerse o hanno trovato più attento
esame, le figure di C. Futius, «praefectusCasinatium», in epoca tardorepubblicana,7 L.Luccius Hiberus, vissuto nel II sec. d.C., di
rango equestre, patronus di Casinum e della
vicina Interamna Lirenas (l’odierna Pignataro
Interamna), al quale i Cassinati dedicarono
un’epigrafe «ob merita publica»8 (una secondaiscrizione è a lui dedicata da un collegio di
artigiani, «fabri»).9 Ad essi si deve aggiungere
il ricordo di alcuni senatori romani originari
da questa città: i Q. Futii, consoli sotto
Claudio10 Obultronius Sabinus, governatore
della Baetica nel 67/8, C. Ummidius Durmius
Quadratus, governatore di Cipro e della
Lusitania, console del 40 d. C., legato impe-
riale in Illirico e, successivamente, in Siria11
(una sua discendente è Ummidia Quadratilla,
munifica nel restaurare a sue spese l’anfiteatro
cittadino).12
Ancora più ricchi sono i dati che proven-
gono dalle altre comunità laziali.13 Per
quanto riguarda il territorio che trova
nell’Ateneo cassinate il suo punto di riferi-
mento culturale, un riesame delle fonti epi-
grafiche provenienti dai centri sorti lungo il
Sacco ed il Liri, o nelle loro vicinanze, con-
sentirebbe una migliore conoscenza di un’a-
rea geografica che, seppur limitata nelle
dimensioni, si presenta eterogenea e con un
diverso sviluppo dei centri urbani. Non si
esclude, pertanto, che l’indagine condotta su
Cassino possa essere estesa anche ai centri
nei quali la Banca Popolare del Frusinate è
presente con le sue strutture. Già una prima
rapida lettura di saggi e di epigrafi relativi a
Frosinone, Alatri, Veroli, Casamari,
Ferentino, consente di individuare, per
alcune delle cinque comunità, l’esistenza,
tra il I secolo a.C e III d.C., di figure di
rilievo tra i gruppi cittadini egemoni.14
Sono, tra gli altri, i casi di A. Hirtius, il
famoso console del 43 a. C., vincitore di
Antonio a Modena, da Ferentinum, Q.
Paquius Rufus, legato nel 42 a.C., forse origi-
nario di Verulae15, di P. Betilienus Bassus,
monetale nel 4 a.C.,16 discendente da L.
Betilienus Varus, ricordato con un’iscrizione
82 Banca Popolare del Frusinate
TERZA PARTE
Fanciulla di Sora, 1827.Archivio BancaPopolare del Frusinate
dai concittadini grati per le opere pubbliche
da lui fatte costruire17 ad Aletrium, di Clodius
Proculinus, decurione «coloniae Frusinatium»,18
dei Laberii, forse originari di Ferentino, ricor-
dati da più fonti epigrafiche.19
Rappresentano, le comunità sopra ricor-
date, centri significativi di un territorio che si
segnala, fin dall’età romana, per attive pre-
senze di un’aristocrazia la cui economia è fon-
data sullo sfruttamento della terra, di artigiani
interessati a varie attività tecniche, di gruppi
dediti al commercio20 che, con frequenza, si
fa interprete delle esigenze della propria
comunità, come testimonia l’omaggio a C.
Paccius Felix, «patronus coloniae Casinatiumomnibus honoribus et honeribus perfunctus» alquale gli abitanti della città decisero di erigere
una «statua marmorea» «ob omnibus laboribusquos circa patriam civesque suos exibuit».21
Pur se le differenze di status fra le comunità
locali e Roma comportavano, per gli abitanti
delle prime, il mancato godimento delle pre-
rogative proprie dei cittadini romani, la tutela
del ius gentium rese possibile, sotto l’aspetto
privatistico, vari rapporti commerciali, obbli-
gatori, relativi a scambi patrimoniali e con-
sentì che fossero surrogati e, quindi, utilizza-
bili dai non romani, alcuni istituti tipici del
ius civile che era il «ius proprium civiumRomanorum».22 Più gravi, certo, erano le diffe-renze che, fra i cives Romani e gli abitanti dellealtre comunità, permanevano in campo pub-
blicistico (ad esempio, il ius migrandi limitato,l’esclusione dal godimento del diritto di provo-care ad populum, un diritto di suffragio limita-tissimo).23 Eppure questa situazione (immo-
dificata, almeno, fino al 90 ed all’89 a.C.,
allorché due provvedimenti - una lex Iulia,
83
Società ed Economia nelle Valli del Frusinate
Cassino, Abbaziadi Monte Cassino.La Cripta della Basilica
fatta approvare dal console L. Giulio Cesare,
lontano parente del futuro dittatore e, suc-
cessivamente, una lex Plautia Papiria - con-cessero la cittadinanza romana ai Latini)24
non impedì una progressiva assimilazione
delle classi dirigenti locali a quelle romane,
una loro integrazione nell’economia, nell’e-
sercito, nella stessa vita politica dell’Urbe.25
Il risultato, secondo alcuni studiosi, fu la
nascita di un ceto di ricchi proprietari ter-
rieri, impegnati nella commercializzazione
dei loro prodotti e, come trafficanti o ban-
chieri, impegnati nella vita economica del
Mediterraneo e, in ultimo, nella vita politica
della stessa Roma.26
A partire da Augusto le comunità locali
furono le palestre per un’ordinata carriera di
un cursus honorum percorso entro le cariche
municipali oppure all’ombra di una burocra-
zia centrale sempre più organizzata nei suoi
meccanismi.27
Come il resto dell’Impero, anche l’area fru-
sinate alimentò gli organi del governo cen-
trale. I funzionari civili e militari finirono con
il costituire il tramite fra la comunità locale ed
il principe, prima, l’imperatore, poi. Una
situazione che si mantenne, forse, anche
quando l’assolutismo intraprese una lotta per
l’annientamento delle aristocrazie dell’econo-
mia e della finanza.28
Un legame sinallagmatico si era instaurato,
così, tra gli esponenti dei gruppi dirigenti
locali ed il potere centrale: i primi mostravano
il consenso che riscuotevano nella loro terra
d’origine, il secondo appariva più vicino alla
comunità locale.29
Nella crisi del tardoantico che comporta la
destrutturazione delle realtà urbane, anche i
centri della valle del Liri e, più in generale,
del Frusinate appaiono in decadenza.30 Ad
esempio, ad Interamna Lirenas i rinveni-
menti ceramici diminuiscono nel III-IV
secolo e cessano dopo il tardo V secolo.31 In
quest’epoca Cassino subisce un riadatta-
mento della cinta muraria, ristretta alla parte
sud della città: ma nel 529, allorché arriva S.
Benedetto, le fortificazioni dovevano essere
in stato di abbandono.32
E’ in questo contesto che il discorso cri-
stiano sull’uomo e sulla sua prassi di vita
trova la sua massima espressione nella regola
pronunciata e diffusa da S. Benedetto e nella
realizzazione concreta di centri monastici.33
A Montecassino, a Casamari, le strutture
autonome di produzione e di scambio realiz-
zarono, nella prassi quotidiana, il pensiero
84 Banca Popolare del Frusinate
TERZA PARTE
Foto storica.Archivio BancaPopolare del Frusinate
innovativo dei cristiani nei confronti del
lavoro. Il monachesimo benedettino, labo-
rioso e produttivo, valorizzò in Europa le
forze attive, le orientò verso l’operosità, il ser-
vizio ai bisognosi, l’autosufficienza, affermò
la convivenza del lavoro con la preghiera.34
Nelle valli del Liri e del Sacco, la diffusione
della Regula monasteriorum avrebbe contri-
buito, fortemente, a segnare, per i secoli suc-
cessivi, pur nelle trasformazioni delle econo-
mie, degli assetti istituzionali e degli equilibri
sociali,35 il dna, culturale e sociale, di quelle
aree geografiche. In queste, pur se le condi-
zioni di vita, a partire soprattutto dai primi
dell’Ottocento, non resero possibile alle
popolazioni locali di sviluppare agevolmente
forme di riscatto sociale e di cultura e mise-
ria e povertà spinsero, in alcuni casi, a pro-
durre forme di violenza e di illegalità che
espressero fenomeni di brigantaggio come
più estremi momenti di protesta sociale,
restò, pur sempre, viva una sensibilità sociale
che favorì la genesi di una ‘politica sociale’
impegnata a sviluppare forme di assistenza e
carità istituzionalizzate.36
Queste avrebbero contribuito alla forma-
zione di ceti sociali nei quali era fortemente
radicata l’idea di un modello di sviluppo eco-
nomico fondato, oltre che sul lavoro agri-
colo, anche sul mercato e, successivamente,
sull’industrializzazione, soprattutto a partire
dai primi anni Sessanta del secolo scorso.37 E’
in queste aree ed in questa cultura, dunque,
che dal 30 maggio del 1992, opera la Banca
Popolare del Frusinate, impegnata, pur in
presenza di un processo di deindustrializza-
zione (dovuto, in parte, anche al venir meno
delle partecipazioni statali),38 ad individuare
forme di intervento idonee a contribuire allo
sviluppo di nuove realtà produttive ed a
sostenere l’economia di soggetti e di imprese
che, per dimensioni occupazionali e settori
d’attività, possono superare l’attuale con-
giuntura ed affrontare con successo il cam-
mino nell’Europa unita. In quest’ottica, la
feconda collaborazione che la Banca ha
avviato, da tempo, con l’Ateneo cassinate
rientra in una strategia di investimento e di
promozione dei valori rivolta soprattutto ai
giovani, nell’intento di offrire loro maggiori
opportunità di una formazione che si vuole
caratterizzare per il suo alto contenuto quali-
tativo e destinata ad incoraggiare la genesi di
nuove professionalità idonee a consentire un
concreto inserimento dei giovani nella realtà
economica e sociale del Frusinate.
85
Società ed Economia nelle Valli del Frusinate
Pino Parente
La Banca Popolare del Frusinate.Una banca con nome e cognome
Banca Popolare del Frusinate
QUARTA PARTE
Una banca con nome e cognome.
La Banca Popolare del Frusinate ha un
nome e un cognome.
Il nome e il cognome dei soci che vent’anni
fa l’hanno fondata.
Il nome e il cognome dei soci che oggi la
sostengono e la guidano.
Il nome e il cognome di chi la presiede, di
chi la dirige, di chi ci lavora.
Il nome e il cognome di artigiani, professio-
nisti, imprenditori che hanno creduto in que-
sta nuova realtà che nasceva sotto i loro occhi,
che cresceva insieme a loro.
Nella metà degli anni ‘80, tra Boville, Veroli
e Monte S. Giovanni Campano comincia a
prendere corpo un’idea di banca cooperativa
in grado di sottrarre le attività imprenditoriali
e artigiane locali al monopolio creditizio delle
banche nazionali presenti sul territorio.
Una risposta spontanea, dal basso, alla poli-
tica creditizia attuata fino a quel momento su
un territorio che aveva bisogno di crescere. La
banca che avevano in mente i primi soci-
sognatori si scontra inizialmente con la dura
realtà degli adempimenti burocratici, delle
autorizzazioni, degli studi di fattibilità, poi
declina verso un’ipotesi di cassa rurale interco-
munale, infine si arena nelle secche della diffi-
denza e dell’ostruzionismo.
Ma non muore. Anzi, risorge dalle ceneri
ancora calde della prima idea bruciata quando
incontra una iniziativa analoga che sta muo-
vendo i primi passi nella città capoluogo. E’
un incontro di entusiasmi, di volontà, di
determinazione. La “fusione” tra il primo
nucleo di Boville, Veroli e Monte S. Giovanni
Campano con i promotori di Frosinone porta
alla aggregazione di 1379 soci fondatori che
con una quota individuale di 15 milioni di lire
costituiscono la Banca Popolare del Frusinate.
E’ il 12 luglio 1991.
E nemmeno un anno dopo, il 30 maggio
1992, la Banca Popolare del Frusinate inizia la sua
attività a Frosinone in piazza Caduti di via Fani.
Ecco tratteggiata con rapidi cenni la storia
della Banca Popolare del Frusinate: una storia
che va approfondita in alcuni passaggi cruciali
che ne hanno segnato la fisionomia, il carat-
tere, la missione.
Torniamo all’inizio.
Il contesto storico, sociale e produttivo della
provincia di Frosinone negli anni ‘80 è caratte-
rizzato da una grande frammentazione di inizia-
tive, di progetti, di azioni. Una frammentazione
che ha sempre contraddistinto questo territorio
(basta ricordare le divisioni esistenti fin dalle ori-
gini tra le sue popolazioni: gli Ernici, i Volsci, i
89
La Banca Popolare del Frusinate. Una banca con nome e cognome
Anno 1992.Articolo “Mille sociper una banca”
Lepini, i Sanniti, gli Ausoni, gli Aurunci, tutti
divisi, gli uni contro gli altri, che favorirono l’oc-
cupazione finale da parte dei Romani).
Ma, senza andare così lontano e restando sul
terreno del credito, basta ricordare i tanti pro-
getti avviati in quegli anni: per esempio a
Monte San Giovanni Campano da Luigi
Conti, veterinario, che insieme ad altri ha l’i-
dea di costituire una cassa rurale artigiana (così
si chiamavano allora le banche di credito coo-
perativo) o l’altra iniziativa promossa da auto-
revoli imprenditori nella zona della valle del
Liri (Ceprano, Sora, Rocca d’Arce, Boville).
Entrambe non riescono ad andare in porto:
è un periodo storico in cui nel territorio della
provincia di Frosinone esistono solo alcune
casse rurali (Anagni, Fiuggi, Paliano) che
insieme alla banca della Ciociaria rappresen-
tano il nucleo fondamentale più importante
delle banche locali nel territorio.
La raccolta del risparmio è di gran lunga infe-
riore a quella che fanno registrare gli istituti di
credito nazionali (Banco di Santo Spirito, Cassa
di Risparmio di Roma, Commerciale) che rac-
colgono nel territorio della provincia risparmi
per trasferirli altrove, ad alimentare iniziative
imprenditoriali del centro nord.
Contemporaneamente, in quegli stessi anni
l’indagine annuale del Sole 24 Ore segnala la
provincia di Frosinone come la prima in Italia
per capacità di risparmio.
Questo succede per diversi anni. E’ da
questa constatazione di una duplice esigenza
che nasce l’idea di una banca locale: una
banca popolare, però, e non una banca di
credito cooperativo (che aveva più vincoli
giuridici e amministrativi, doveva muoversi
secondo vincoli di contiguità territoriale e,
soprattutto, si rivolgeva preferenzialmente al
credito rurale e artigiano).
Una banca popolare in grado di rappresen-
tare tutto il territorio del Frusinate e non solo
della Ciociaria (che abbraccia solo una parte
della provincia di Frosinone, mentre le cose
più importanti stanno al sud della provincia:
a Cassino con l’abbazia di Montecassino, a
Roccasecca, ad Aquino con San Tommaso,
ad Arpino con Cicerone).
Intorno a questo progetto si riunisce un comi-
tato promotore formato da professionisti e
imprenditori di Monte San Giovanni Campano,
Boville e Veroli che per un paio d’anni si incon-
trano e discutono presso lo studio di Carlo
Uccioli al Giglio di Veroli. A questo nucleo ori-
ginario si aggiunge Luigi Celani che era stato
direttore della cassa rurale di Ronciglione. E’ il
1986 e la banca che hanno in mente si chiama
ancora banca popolare degli Ernici.
90 Banca Popolare del Frusinate
QUARTA PARTE
Anno 1998.Frosinone, Chiesadi San Benedetto.Restauro del dipinto diSan Bartolomeo
Dopo un paio d’anni di lavoro e di riflessione,
diventa chiaro che, per decollare, il progetto di
una banca popolare deve avere una base più
ampia e più solida. L’entusiasmo, la passione, la
buona volontà da sole non bastano. Ecco allora
l’incontro con imprenditori e professionisti di
Frosinone che sotto la guida di Salvatore Trento
stanno perseguendo un progetto simile.
Trovare un accordo, mettersi tutti insieme
intorno a un tavolo, unire l’esperienza e l’en-
tusiasmo, la professionalità e la passione, la
competenza e la buona volontà è un evento
spontaneo e risolutivo.
Nasce così un comitato promotore più allar-
gato, di 18-20 persone, presieduto da Salvatore
Trento, che con la loro azione, la loro posizione,
il loro ruolo sociale, la stima di cui godono rie-
scono a coinvolgere commercianti, professioni-
sti e imprenditori, soggetti trainanti del territo-
rio, senza limiti e steccati geografici.
E coinvolgono anche le associazioni di cate-
goria: l’Associazione Provinciale Agricoltori con
Franco Baldassarre, direttore provinciale, le pic-
cole e medie imprese con Gerardo Plocco, presi-
dente della Federlazio, l’Associazione Industriali
con Annunziata, presidente, la cassa edile con
Benito Stirpe, l’Università di Cassino con
Giorgio Spinelli, Preside della facoltà di
Economia e Commercio, solo per citarne alcune.
L’idea si dimostra subito vincente: poter con-
tare su un gruppo consistente di soggetti trai-
nanti, in grado di coinvolgere altri soggetti e di
far condividere il progetto da una base sempre
più ampia e qualificata, diventa un moltiplica-
tore di idee, di iniziative, di progetti.
Un progetto che si svolge e si precisa nei
suoi lineamenti fondamentali man mano che
si attua e si concretizza. Si precisa attraverso
un ampio ed acceso dibattito sul ruolo e la
funzione che la banca deve svolgere, fino
all’affermazione decisa di un’idea di banca
popolare con forti risvolti mutualistici, un’ini-
ziativa non solo economica e finanziaria, ma
anche sociale, con un fortissimo radicamento
sul territorio, in grado di favorire lo sviluppo
economico del contesto in cui si realizza, dove
vivono e lavorano i suoi associati. E si concre-
tizza attraverso la nomina di Bruno Di
Cosimo a presidente del Comitato Promotore.
Il successo è immediato. In pochi mesi si rac-
colgono più di mille adesioni in tutto il territo-
rio della provincia, che riescono a dotare la banca
91
La Banca Popolare del Frusinate. Una banca con nome e cognome
Anno 1992.Lettera di convocazionedel Consiglio diAmministrazione
di un capitale iniziale di 20 miliardi di lire.
Nel gennaio del 1990 lo studio di fattibilità
della nuova Banca Popolare del Frusinate
affronta l’esame degli organi tecnici della
Banca d’Italia.
Il 12 luglio 1991, ottenuta l’autorizzazione,
si arriva all’atto costitutivo.
Il 30 maggio 1992 la Banca Popolare del
Frusinate inizia l’attività, simbolicamente rap-
presentata dal dono alla città di Frosinone del-
l’opera del Maestro Gismondi, la “Ciociara”,
nel giorno dell’inaugurazione della banca.
E’ un inizio travolgente: essere riusciti ad
aggregare tante persone e tanti capitali con-
sente importanti investimenti in risorse
umane qualificate e in risorse tecnologiche
d’avanguardia. E’ un esordio eclatante: la
banca pratica una politica dei tassi aggressiva
(allo 0,50-0,75% allora vigente si contrap-
pone un tasso a 2 cifre), trasformando i rispar-
miatori da soggetti passivi in soggetti attivi.
Negli anni successivi la Banca Popolare del
Frusinate apre nuovi sportelli ad Alatri (1994)
e a Ripi (1996), per andare incontro alle esi-
genze di tutto il territorio.
Con l’inizio dell'attività prende corpo e si
sviluppa l’attenzione della banca verso le isti-
tuzioni e le problematiche culturali presenti
nel territorio, portando così a compimento la
vocazione mutualistica propria della banca
popolare. Nel 1998, la Banca Popolare del
Frusinate è presenza attiva e riconoscibile in
iniziative di recupero, salvataggio e rilancio del
patrimonio culturale della provincia. Nel
1999 interviene nel restauro di due sculture in
cartapesta policroma presso le chiese di
Sant’Agostino e San Salvatore a Ripi e nel
restauro del dipinto di San Bartolomeo presso
la chiesa di San Benedetto a Frosinone. Nel
2000 partecipa al restauro dell’Albero della
Vita, un affresco della fine del ‘500, nella
chiesa di Santa Salome di Veroli.
Nei suoi anni di attività la Banca Popolare
del Frusinate assume una rilevanza e un ruolo
di primo piano nello scenario economico e
produttivo della provincia. Un ruolo rappre-
sentato simbolicamente dalla scelta della
nuova sede in piazza De Matthaeis, nella
“city”, nel cuore dell’attività economica e
finanziaria della città di Frosinone.
92 Banca Popolare del Frusinate
QUARTA PARTE
Anno 2000.Veroli, Chiesadi Santa Salome.Restauro dell’ affresco“Albero della Vita”
Un ruolo ormai ampiamente riconosciuto:
nella speciale classifica pubblicata nell’otto-
bre 2003 dal Giornale della banca e della
finanza sulle banche più solide, equilibrate,
redditizie, produttive la Banca Popolare del
Frusinate risulta all’undicesimo posto tra le
banche minori, distanziando notevolmente le
altre aziende bancarie della zona. E’ il giusto
riconoscimento di un progetto professionale
che implica una passione civile.
La grandezza del nostro paese risiede nella
ricchezza dei patrimoni e dei valori locali e
municipali: mettere insieme più esperienze,
più professionalità, più umanità per il pro-
getto di una banca popolare al servizio di
tutti è un’iniziativa non solo economica, ma
anche sociale e culturale, fa crescere un con-
cetto non solo di utilitarismo, di mercato, di
capitalismo, ma un concetto più vicino alle
radici storiche e culturali della provincia.
Un sogno? Una sfida? tutte e due.
Il successo della Banca Popolare del
Frusinate è la realizzazione di un sogno ali-
mentato dall’entusiasmo, dalla tenacia e dalla
volontà dei primi soci-promotori che hanno
fortemente creduto in un’idea innovativa.
La presenza sempre più diffusa della Banca
Popolare del Frusinate nella provincia è il risul-
tato di una sfida vincente ai luoghi comuni, alle
divisioni, alla frammentazione delle iniziative.
Una sfida culturale, prima che sociale ed
economica.
Oggi, dopo diversi anni di attività sul territorio
e per il territorio, la Banca Popolare del Frusinate si
presenta con una forte identità di banca popolare,
una chiara riconoscibilità nell’intera provincia,
una vera personalità economica e finanziaria.
E’ una banca con nome e cognome
E’ la Banca Popolare del Frusinate.
93
La Banca Popolare del Frusinate. Una banca con nome e cognome
Anno 2000.Inaugurazioneapertura filiale piazzaDe Matthaeis
Luigi Conti
L’Origine della Banca.Storia, Fatti e Protagonisti
Banca Popolare del Frusinate
QUINTA PARTE
Fatti e protagonisti
La Banca Popolare del Frusinate nacque dall’e-
sigenza di creare un punto di incontro tra i rispar-
miatori del territorio che condividevano la neces-
sità di una più consapevole e responsabile gestione
del proprio denaro e del suo potenziale valore di
investimento. Il principio al quale la Banca si è
ispirata fin dalla sua costituzione e si ispira
tutt’oggi, è fondato sulla realizzazione di iniziative
socio - economiche nel territorio, rispecchianti un
modello di sviluppo umano e sociale sostenibile,
ove la produzione della ricchezza e la sua distribu-
zione siano fondati sui valori della solidarietà, della
responsabilità civile e del compimento del bene
comune. La fedeltà a questo principio ha fatto sì
che l’incontro tra due realtà unite dalle stesse
intenzioni e da comuni obiettivi, generasse l’at-
tuale configurazione della BPF.
COSTITUZIONE COMITATO PROMOTORE
La storia della Banca inizia nel 1984,
quando era già in via di definizione il progetto
di costituzione della Cassa Rurale di Monte
San Giovanni Campano, portato avanti da
Luigi Conti, Antonio Reali e da un comitato
all’uopo costituito. Di questo nuovo istituto
di credito era già stata richiesta l’autorizza-
zione alla Banca d’Italia, avendo ottenuto nel
mese di febbraio dello stesso anno, il parere
favorevole dell’Amministrazione Comunale
all’istituzione di una Cassa Rurale ed
Artigiana, con il rinvio a successivi incontri
per determinarne l’ubicazione dello sportello.
L’iniziativa, nel suo complesso, godeva del
favore di più di un centinaio di sostenitori.
Le intenzioni del Comitato furono successi-
vamente intercettate da un cospicuo gruppo di
persone a loro volta intenzionate a creare una
banca, e confluirono in un unico comitato
promotore a carattere intercomunale, costi-
tuito da rappresentanti di Veroli, Monte San
Giovanni Campano e Boville Ernica.
Il neocomitato per l’istituzione della Banca
Popolare degli Ernici era così costituito:
Rappresentanti di Boville Ernica
Nicolino Milani,
Umberto Mizzoni,
Egidio Astolfi;
Rappresentanti di Monte S. Giovanni Campano
Luigi Conti,
Fernando Sili,
Domenico Buttarazzi;
Rappresentanti di Veroli
Franco Baldassarre,
Bruno Iannarilli,
Carlo Uccioli.
97
L’Origine della Banca. Storia, Fatti e Protagonisti
Anno 1985.Richiesta di costitu-zione Cassa Rurale edArtigiana nel comunedi Monte SanGiovanni Campano
In seguito, dopo una fitta rete di contatti e
di scambi di idee, si prospettò la possibilità di
fondere il comitato intercomunale con un
comitato promotore costituitosi a Frosinone e
capeggiato da Maurizio Ferrante, di cui presto
si seppe l’esistenza. L’obiettivo diveniva sem-
pre più grande e coalizzarsi significava poterlo
portare a termine.
Dalla fusione nacque il ComitatoPromotore Banca Popolare del Frusinate,composto dai signori Salvatore Trento, in
qualità di presidente, Antonio Annunziata,
Franco Baldassarre, Luigi Celani, Luigi
Conti, Umberto Coratti, Bruno Di Cosimo,
Maurizio Ferrante, Bruno Iannarilli,
Giovanni Battista Magni, Nicolino Milani,
Umberto Mizzoni, Gerardo Plocco, Marcello
Leonello Proietti, Spinelli, Benito Stirpe,
Carlo Uccioli, Renzo Villa.
Quella che segue è una breve elencazione
delle tappe fondamentali che hanno caratteriz-
zato l’opera del Comitato Promotore in circa
due anni di costante attività a favore della costi-
tuzione della Banca Popolare del Frusinate.
Il lavoro svolto, oltre a voler rappresentare
un implicito ringraziamento a tutti coloro che
in quegli anni vollero dedicarsi con passione
ed energia alla causa, investendo il proprio
tempo e le proprie risorse, è anche esaustivo
del difficile processo che lega la costituzione di
una Banca alle persone che se ne fanno pro-
motrici, ciascuna portatrice di sensazioni e
conoscenze proprie, con le dinamiche dettate
dal complesso iter burocratico e normativo.
ANNO 1990
18 Gennaio
Viene presentata la domanda per la costitu-
zione della Banca Popolare alla Banca d’Italia
di Frosinone. Alla domanda sono allegate oltre
1000 sottoiscrizioni di coloro che divente-
ranno i futuri soci fondatori.
27 Gennaio
Data della prima assemblea del Comitato
Promotore BPF, presso la sede di via Aldo
Moro, 1 a Frosinone.
Dopo aver apprezzato la risposta data
dagli imprenditori, dai professionisti e dai
cittadini della provincia di Frosinone, che
con la loro risoluta adesione hanno reso
possibile il progetto di costituzione della
nuova Banca, il Comitato elegge il proprio
Segretario, nella persona di Maurizio
Ferrante, il Tesoriere, Umberto Mizzoni e
contestualmente nomina un comitato ese-
cutivo con funzioni organizzative costituito
98 Banca Popolare del Frusinate
QUINTA PARTE
Anno 1990.Verbale n° 1 delComitato Promotore
dai signori Franco Baldassarre, Luigi Conti,
Nicolino Milani, Marcello Leonello
Proietti, Renzo Villa e di diritto, il
Presidente, il Segretario ed il Tesoriere.
Nella stessa occasione, Antonio Annunziata
manifesta la propria disponibilità e quella
della sua azienda, a mettere a disposizione la
sala convegni sita nello stabilimento di
Ceccano, per qualsiasi futura necessità del
Comitato Promotore.
ANNO 1991
11 Gennaio
Seconda assemblea del Comitato
Promotore presso la sala convegni del
C.E.D. della Annunziata Spa di Ceccano.
La Banca d’Italia rilascia l’autorizzazione
alla costituzione della società cooperativa a
responsabilità limitata denominata Banca
Popolare del Frusinate.
Il valore delle azioni che i soci sono a chia-
mati a sottoscrivere è di 15 milioni di lire cia-
scuno. Alla presenza dei notai Piacitelli e
Perna, ai fini della stesura dell’atto costitu-
tivo del nuovo istituto di credito ciociaro e
per la definizione delle modalità di gestione
del deposito dei versamenti necessari per la
costituzione del capitale sociale, si opta per
l’assemblea tramite procura.
17 Gennaio
Terza assemblea del Comitato Promotore
presso la sala convegni del C.E.D. della
Annunziata Spa di Ceccano. Viene definitiva-
mente approvato lo statuto della Banca.
E’ fissata al 5 Aprile 1991 la scadenza del ver-
samento iniziale della quota sociale in lire 5
milioni, entro il 5 luglio quella del secondo ver-
samento, sempre di 5 mln e al 4 ottobre l’ul-
timo versamento dei restanti 5 milioni di lire.
31 Gennaio
Quarta assemblea del Comitato Promotore
presso la sala convegni della FEDERLAZIO
di Frosinone.
Si delibera l’apertura del conto corrente per la
raccolta del versamento delle quote sociali presso
la filiale di Frosinone del Banco di Roma,
Agenzia 6054, Via AldoMoro, con la nomina di
quattro membri delegati alla apertura del conto,
i quali nominalmente ed in forma congiunta
sono chiamati ad assumerne la responsabilità
della gestione.I membri scelti nel Comitato
Promotore sono: Antonio Annunziata, Umberto
Mizzoni, Benito Stirpe, Salvatore Trento.
Viene istituito un comitato scientifico,
composto da Luigi Celani, Umberto Coratti,
Nicolino Milani, Marcello Leonello Proietti e
Renzo Villa, con lo scopo di esaminare lo stu-
dio di fattibilità presentato alla Banca d’Italia,
in ordine alla sede ed al personale da destinare,
nella fase iniziale, alla costituenda Banca.
15 Marzo
Nona assemblea del Comitato Promotore
presso la sede della Unione Provinciale
Agricoltori di Frosinone.
Il presidente Trento, dopo aver sottoscritto il
verbale della precedente assemblea, presenta le
sue dimissioni da Presidente del Comitato
Promotore della Banca Popolare del Frusinate.
In seduta stante i membri del Comitato
decidono per il ritiro delle dimissioni e fissano
la data della futura riunione, procrastinando
l’ordine del giorno.
28 Marzo
Decima assemblea del Comitato Promotore
presso la sede della FEDERLAZIO di Frosinone.
99
L’Origine della Banca. Storia, Fatti e Protagonisti
Il presidente Trento espone la sua volontà di
dimettersi da presidente del Comitato. I com-
ponenti del Comitato insistono con vigore per
la revoca delle dimissioni del presidente e per la
permanenza della sua carica, a testimonianza
dell’ottimo lavoro fino ad allora svolto.
Trento pone come condizione vincolante al
ritiro delle sue dimissioni che il Comitato deli-
beri sul proprio nominativo quale Presidente
del futuro Consiglio di Amministrazione della
Banca e sul nominativo di Proietti quale
Presidente del Collegio Sindacale.
Il Comitato non accetta le condizioni poste
determinando le dimissioni del presidente
Trento. Viene chiamato a fare le funzioni di
presidente pro tempore del Comitato,
Nicolino Milani, elemento trainante degli
imprenditori locali.
Nella stessa seduta, si decide di inviare una
lettera a tutti coloro che hanno sottoscritto
l’impegno a versare la quota sociale, postici-
pando la data del primo versamento al 20
maggio 1991.
5 Aprile
Undicesima assemblea del Comitato
Promotore presso la sede della FEDERLA-
ZIO di Frosinone.
Il Comitato elegge, all’unanimità, il nuovo
presidente nella persona di Bruno Di Cosimo.
Il nome del nuovo presidente viene aggiunto
ai quattro nominativi delegati alla firma sul
conto aperto presso il Banco di Roma.
Il neopresidente, ringraziando per la fidu-
cia accordatagli, precisa che la sua, derivata
dall’impellente necessità, sarà una presidenza
a carattere operativo e tesa esclusivamente alla
buona riuscita dell’iniziativa, con lo scopo
unico di raggiungere nel minor tempo possi-
bile la costituzione della Banca.
Essendo ancora da inviare la lettera ai futuri
soci della Banca, Annunziata mette a disposi-
zione la tipografia della propria azienda per il
lavoro di stampa.
13 Aprile
Dodicesima assemblea del Comitato
Promotore presso la sala convegni del C.E.D.
della Annunziata Spa di Ceccano.
Il Comitato, dopo aver attentamente valu-
tato le numerose assenze del promotore
Trento, decide all’unanimità che il conto cor-
rente bancario intestato al Comitato promo-
tore della Banca del Frusinate, sia intestato
esclusivamente, in modo nominale e con-
giunto, ai soci promotori, Antonio
Annunziata, Bruno Di Cosimo, Umberto
Mizzoni, Benito Stirpe.
19 Aprile
Tredicesima assemblea del Comitato
Promotore presso la sala convegni del C.E.D.
della Annunziata Spa di Ceccano.
Celani, precedentemente incaricato dal
Comitato, espone il proprio studio di fattibi-
lità sulla futura sede della Banca, determi-
nandone le superfici occorrenti, l’organi-
gramma e la struttura.
Il Comitato, con l’obiettivo di trovare
una struttura adeguata alla Banca, delibera,
dopo averne verificato la disponibilità, di
formalizzare una richiesta alla Annunziata
Spa per il locale di Piazza Caduti di Via Fani
a Frosinone.
20 Maggio
Quindicesima assemblea del Comitato
Promotore presso la sede della FEDERLAZIO
di Frosinone. Il Comitato Promotore prende
atto del superamento dell’obiettivo prefissato,
100 Banca Popolare del Frusinate
QUINTA PARTE
essendo il numero di coloro che hanno versato
la prima quota, superiore alle 1.250 unità.
1 Giugno
Sedicesima assemblea del Comitato
Promotore presso la sede della FEDERLAZIO
di Frosinone. Il Comitato delibera all’unani-
mità di comunicare al Banco di Roma i versa-
menti da respingere, essendo giunti fuori ter-
mine massimo. Viene concordato con il notaio
Piacitelli, il rilascio della procura.
24 Giugno
Ultima assemblea del Comitato Promotore
presso la sede della FEDERLAZIO di Frosinone.
Si prende atto del buon esito della raccolta
delle procure. Il presidente del Comitato è
delegato alla definizione della data per la sti-
pula dell’atto costitutivo, data che non deve
superare il 12 luglio.
Il presidente propone di indicare nell’atto
costituivo la sede della futura Banca, in
Piazza Caduti di Via Fani, salvo poi modifi-
care con assemblea ordinaria nel caso la scelta
ricada su altro immobile.
12 Luglio - Assemblea costituente
In ottemperanza agli accordi presi nel
corso dell’ultima riunione del Comitato
Promotore, alle ore 9.00 del 12 Luglio 1991
si riunisce la prima Assemblea costituente,
presso la sala convegni dell’Henry Hotel, alla
presenza del notaio Piacitelli.
Nell’occasione viene nominato il primo
Consiglio di Amministrazione: ne è Presidente
Bruno Di Cosimo, affiancato nel ruolo di
Vicepresidente da Gerardo Plocco. Gli altri mem-
bri sono: Benito Stirpe, Presidente Onorario,
Antonio Annunziata, Luigi Celani, Luigi Conti,
Bruno Iannarilli, Nicolino Milani, Umberto
Mizzoni, Giancarlo Salvatore e Carlo Uccioli.
Nasce la nuova Società Cooperativa a
Responsabilità Limitata “Banca Popolare del
Frusinate”, alla quale aderiscono 1.347 soci.
Si nota una stretta corrispondenza tra la
maggiore provenienza dei soci da quei
Comuni presso i quali hanno la residenza i
membri del Comitato Promotore.
Successivamente, presso quegli stessi Comuni,
saranno istituite le prime filiali della Banca.
23 Novembre
Luigi Celani si dimette da consigliere per
assumere la Direzione Generale, nel rispetto
di quanto comunicato in sede di presenta-
zione il programma di costituzione alla
Banca d’Italia.
Romano Marchini assume la
Vicedirezione. Viene istituita una
Commissione speciale per la scelta del mar-
chio Banca Popolare del Frusinate.
14 Dicembre
Il Prof. Baldassarre Santamaria viene nomi-
nato membro del Consiglio di Amministrazione
in sostituzione di Luigi Celani.
101
L’Origine della Banca. Storia, Fatti e Protagonisti
Anno 1991.Foglio presenze delComitato Promotore
ANNO 1992
4 Gennaio
Viene ratificato l’atto di acquisto dell’im-
mobile Minotti, effettuato il 23/12/1991.
8 Febbraio
Viene dato l’incarico all’artista Gismondi
per la realizzazione della statua della
“Ciociara”, offerta alla Città di Frosinone.
30 Aprile
Convocazione della prima Assemblea Sociale.
Nasce l’idea di un giornalino redatto dalla Banca
per l’informazione dei Soci e dei Clienti.
30 Maggio
Alle ore 9.15 viene inaugurata la BancaPopolare del Frusinate presso la sede diPiazza Caduti di via Fani.1 Giugno
Inizia ufficialmente l’attività della Banca
Popolare del Frusinate presso la sede di Piazza
Caduti di Via Fani.
9 Giugno
La Banca Popolare del Frusinate aderisce
all’ABI.
STORIA DEL CONSIGLIODI AMMINISTRAZIONE
Nel corso di questi anni, il Consiglio di
Amministrazione ha visto alternarsi diverse
persone nei ruoli di Consigliere.
Tutti coloro che hanno partecipato all’at-
tività della Banca, profondendo il massimo
impegno nel ruolo al quale erano stati
destinati dai soci attraverso l’elezione,
hanno contribuito in modo indispensabile
allo sviluppo ed alla crescita della Banca.
Il 09/10/1991 viene eletto il primo
Consiglio di Amministrazione, composto da 11
membri, dura in carica per tre anni.
Ne è Presidente Bruno Di Cosimo,
affiancato nel ruolo di Vicepresidente da
Gerardo Plocco.
Gli altri membri sono: Benito Stirpe,
Presidente Onorario, Antonio Annunziata,
Luigi Celani, Luigi Conti, Bruno Iannarilli,
Nicolino Milani, Umberto Mizzoni, Giancarlo
Salvatore e Carlo Uccioli.
Il 23/11/1991 Luigi Celani si dimette
dalla carica di consigliere del CDA.
Nel 21/12/1991 Baldassarre Santamaria
sostituisce Luigi Celani.
Il 17/02/1994 Bruno Iannarilli viene sosti-
tuito da Luigi Celani.
Nel 1995 Umberto Mizzoni è sostituito da
Pietro Fabrizi.
Nel 1996 Luigi Celani è sostituito da
Armida Sergio e Baldassarre Santamaria è
sostituito da Arnaldo Zeppieri.
Nell’Assemblea del 30/04/2000 Antonio
Annunziata viene sostituito da Roberto Bottini.
Il 15/03/2001 Nicola Milani si dimette e
viene cooptato Augusto Pigliacelli, il quale non
102 Banca Popolare del Frusinate
QUINTA PARTE
“La Ciociara” diTommaso Gismondi.
è confermato dall’Assemblea del 06/05/2001,
che elegge Manuela Mizzoni.
Il 23/05/2001 si dimettono Benito Stirpe,
Arnaldo Zeppieri, Roberto Bottini e Carlo
Uccioli. Il 29/06/2001 il CdA coopta Roberto
Turriziani e Domenico Capogna.
Il 04/07/2001 si dimette Sergio Armida. Nel
novembre 2001 l’Assemblea Straordinaria (con-
vocata su richiesta dei soci) elegge i nuovi consi-
glieri nelle persone di: Domenico Capogna,
Massimo Chiappini, Adriano Pistilli, Domenico
Polselli, Gaetano Visocchi e Giorgio Toti.
In data 02/04/2006 il CdA viene ampliato
a 15 membri con l’ingresso di: Sergio
Armida, Roberto Bottini, Ignazio Carbone e
Leonardo Zeppieri.
Il Consiglio di Amministrazione attual-
mente in carica è composto da:
Bruno Di Cosimo (Presidente), Gerardo
Plocco (Vice Presidente), Sergio Armida,
Roberto Bottini, Domenico Capogna,Ignazio
Carbone, Massimo Chiappini, Luigi Conti,
Pietro Fabrizi, Adriano Pistilli, Domenico
Polselli, Giancarlo Salvatore, Giorgio Toti,
Gaetano Visocchi, Leonardo Zeppieri.
STORIA DEL COLLEGIO SINDACALE
Il primo collegio sindacale è costituito da
Maurizio Ferrante (Presidente), Franco
Baldassarre e Maurizio Irti - supplenti Antonio
Gargano e Angelo Pagliuca.
Nel 1995 Maurizio Irti si dimette e viene
sostituito da Antonio Gargano; Adriano
Pistilli è nominato membro supplente.
Nel 1996 si dimette Angelo Pagliuca e viene
nominato Marcello Mastroianni. Nel 2001
MarcelloMastroianni si dimette e viene sostituito
da Gaetano Di Monaco. Adriano Pistilli è nomi-
nato consigliere d’amministrazione e viene sosti-
tuito nel Collegio Sindacale da Stefano Donati.
Il Collegio Sindacale attualmente in
carica è composto da:
Collegio Sindacale - effettiviMaurizio Ferrante (Presidente)
Franco Baldassare
Antonio Gargano
103
L’Origine della Banca. Storia, Fatti e Protagonisti
Anno 2001.Assemblea Straordinaria
Maurizio Ferrante.Presidente del CollegioSindacale
Collegio Sindacale - supplentiGaetano Di Monaco
Stefano Donati
STORIA DEL COLLEGIO
DEI PROBIVIRI
Il primo collegio è costituito da Aldo
Simoni (Presidente), Fabrizio Pagliei,
Tommaso Fusco, Pietro Fabrizi, Gaetano
Visocchi, membri supplenti Arnaldo Zeppieri
e Vitaliano Gerardi.
Nel 1995 Vitaliani Gerardi si dimette e viene
sostituito da Romeo Sardellitti come membro
effettivo, nello stesso anno Pietro Fabrizi entra
nel Consiglio di Amministrazione e viene sosti-
tuito da Arnaldo Zeppieri.
Nel 1996 Arnaldo Zeppieri entra nel CdA
ed entrano come membri Supplenti
Domenico Polselli e Filippo Turturro.
Gaetano Visocchi e Domenico Polselli,
nell’Assemblea del Novembre 2001, vengono
eletti nel Consiglio di Amministrazione. Al
loro posto vengono nominati Antonio
Iadicicco e Roberto Magliocchetti.
Nel 2003 viene nominato l’attuale Collegio
dei Probiviri e confermato con l’Assemblea del
02/04/2006.
Il Collegio dei Probiviri attualmente in
carica è composto da:
Aldo Simoni ( Presidente)
Probiviri EffettiviTommaso Fusco, Antonio Iadicicco,
Roberto Magliocchetti, Perlini Vittorio.
Probiviri SupplentiMarcello Grossi, CarloUccioli.
DIREZIONE GENERALE
Dal 1993 al 1993
Luigi Celani
Dal 1993 al 1996
Romano Marchini, già Vicedirettore
Dal 1996
Rinaldo Scaccia, già Vicedirettore
DIPENDENTI
Qualsiasi società basa la sua forza e la sua
immagine sulla professionalità dei propri
dipendenti. E’ alla costanza del loro lavoro
che si devono gli ottimi risultati raggiunti
nel corso di questi anni di attività.
Ogni socio ed ogni cliente che esce dagli
uffici e dalle filiali della Banca, porta con sé
104 Banca Popolare del Frusinate
QUINTA PARTE
Anno 1996.Rinaldo Scaccia.Direttore Generale
le impressioni lasciate dal rapporto umano e
professionale intrattenuto con il dipendente
dal quale è stato accolto e servito con la
massima cortesia e disponibilità.
L’efficienza nel proporre soluzioni imme-
diate e sicure, l’attuale problem solving,
fanno dei dipendenti della Banca un proto-
tipo di professionalità e di competenza.
Tutto ciò è la conseguenza di un luogo di
lavoro sereno e cordiale, dove lavorare non
equivale solo ad un semplice coesistere di
volti senza nome.
105
L’Origine della Banca. Storia, Fatti e Protagonisti
Anno 1996Mastronicola Daniela;Franchi Alfredo;Astolfi Domenico;Conte Dora.
Anno 1997Folcarelli Tommaso;Carinci Barbara;D’Ascani Cristina;Reatini Rocco;Papetti Pietro;Zaffi Borgetti Guido.
Anno 1998Salulini Giampaolo;Archilletti Amedeo.
Anno 1999Detta Gabriele;Carlino Mauro;Paniccia Massimiliano;Polidori Gianluca;Francazi Daniela.
Anno 2000Boni Antonella.
Anno 2001D’Aquino Vittorio.
Anno 2002Marchignoli Paolo;Rosa A. Maria;Tufano Paolo.
Anno 2003Favoriti Clara.
Anno 2004Diana Monia;Scaccia Claudia;
Anno 2005Stellati Antonio;
Anno 2006Lunghi Mario;Sabellico Dino;Fratangeli Daniele;Patrizi Alessandro;Chiappini Antonio.
Anno 1992Orrù Mario;Ferazzoli Maria;Mella Massimo;Petitti Roberto;Sciullo Giuseppe;Celani Guido;Crescenzi Giovanni;Manzi Marisa;Grandi Walter;Santurro Bernardino.
Anno 1993Moro Marco;Grande Luciana.
Anno 1994Straccamore Alberto;Cimaroli Roberta;Santopadre Marco;Giorgi Enrico;Cafolla Massimo;Stefano Stirpe.
FILIALE
Il mondo bancario è caratterizzato da pro-
cessi che un po’ si discostano dalle previsioni
di qualche tempo fa.
Sta crescendo l’importanza delle filiali,
(definite come le artefici del successo di una
banca) e stanno aumentando le fusioni, fatto
questo che porta anche a un aumento della
competizione.
Date queste premesse, un aspetto vincente
per il settore è oggi rappresentato dalla foca-
lizzazione su produzione (o acquisizione) di
servizi e sulla loro distribuzione (e quindi
segmentazione dei clienti), che deve però
contare anche su innovazione e integrazione
dei canali distributivi.
E’ proprio nella distribuzione che le filiali
giocano un ruolo determinante, formando
una rete di servizi e prodotti sempre ricon-
ducibili ad un’unica identità.
Inoltre, in ogni filiale deve essere presente
un sistema client-server, per permettere di
realizzare servizi personalizzati offerti attra-
verso diversi canali integrati tra loro.
1992
Filiale di Frosinone. (foto a)
1994
Apertura della filiale di Alatri. (foto b)
1996
Apertura della filiale di Ripi. (foto c)
1999
Apertura della filiale di DeMatthaeis a Frosinone,
sede legale che oltre ai tradizionali sportelli, ospita
la sede della Presidenza, della Direzione Generale
e di tutti gli Organi Statutari. (foto d)
2002
Apertura della filiale di Casamari. (foto e)
2003
Apertura della filiale del Tribunale della Città
di Frosinone. (foto f )
2005
Apertura della filiale di Ferentino. (foto g)
2007
Prevista nuova apertura filiale di Isola del Liri.
106 Banca Popolare del Frusinate
QUINTA PARTE
(Foto a) Anno 1992Inaugurazioneapertura filiale piazzaCaduti di Via Fani
Ringrazio sentitamente, per lacollaborazione e la disponibilitàdimostrata, tutti coloro che hannocontribuito al reperimento delle notiziestoriche e del materiale documentaleimpiegato per la stesura diquesta parte dell'opera.
Luigi Conti
107
L’Origine della Banca. Storia, Fatti e Protagonisti
(Foto b) Anno 1994Inaugurazioneapertura filiale diAlatri
(Foto c) Anno 1996Inaugurazioneapertura filiale di Ripi
(Foto d) Anno 1999Inaugurazioneapertura filiale piazzaDe Matthaeis
(Foto e) Anno 2002Inaugurazioneapertura filiale diCasamari
(Foto f) Anno 2003Inaugurazioneapertura filiale delTribunale di Frosinone
(Foto g) Anno 2005Inaugurazioneapertura filiale diFerentino
Dinamiche di unaGestione
Banca Popolare del Frusinate
SESTA PARTE
Banca Popolare del Frusinate
Dinamiche di una gestione
La Banca Popolare del Frusinate, nel corso
degli anni, ha perfezionato l’analisi delle proprie
dinamiche gestionali attraverso un accurato
sistema di valutazione della performance. Il
forte radicamento nel territorio, è derivato dal-
l’attivazione di strumenti per lo sviluppo del-
l’imprenditoria locale e per il progresso socio-
ambientale del contesto in cui la banca opera.
La BPF oggi affronta la sua attività con
responsabilità, massimo impegno, grande
serietà e trasparenza e con quell’integrità che
implica correttezza ed onestà oltre gli obblighi
previsti dalla legge.
Essere Soci
Rapporto privilegiato quello che i soci
intrattengono con la BPF. I primi benefici
sono ovviamente finanziari, potendo disporre
i soci di condizioni agevolate e godendo di
una gestione del risparmio a tassi di interesse
più alti. Inoltre, la notevole crescita del valore
nominale della quota sociale versata a suo
tempo, con un andamento crescente delle
azioni ad ogni chiusura di esercizio, insieme
all’allargamento promosso della base sociale,
sono ulteriori motivi di soddisfazione affian-
cando alla figura di socio la consapevolezza di
aver fatto un vero e proprio investimento.
Nondimeno, l’atteggiamento del socio negli
ultimi anni si è fatto legittimamente più
attento, contraddistinguendo un rapporto con
la Banca sostanzialmente più attivo.
L’inclinazione da parte del socio a segnalare i
propri motivi di insoddisfazione o i propri con-
sigli, ha trovato risposta nell’istituzione di un
numero verde pronto ad accogliere tutti i
reclami ed a valorizzare le indicazioni prove-
nienti dai soci. La Banca attraverso la gestione
combinata dei reclami, ha potuto effettuare
politiche di orientamento ai soci rivolte al con-
solidamento della loyalty. Allo scopo di raffor-
zare il collegamento con i soci ha realizzato e
realizza, con il supporto della rete distributiva
aziendale, incontri periodici e ricorrenti aventi
ad oggetto temi sensibili. Infine è garantita la
tutela della riservatezza nel trattamento delle
informazioni anche mediante l’affidabilità dei
sistemi tecnologici adottati per la loro gestione.
Il rapporto con la clientela
Nel perseguire la politica di orientamento al
cliente, ossia nel costante monitoraggio delle sue
esigenze, la BPF effettua ricerche sistematiche di
customer satisfaction suddividendo il target per
aree territoriali e per segmenti. L’utilizzo del
111
Dinamiche di una Gestione
Anno 2003.Crociera sul Nilo deiSoci della BancaPopolare del Frusinate
CRM – Customer Relationship Management,
prevede un approccio di gestione non solo collet-
tiva, ma personalizzata delle relazioni con la
clientela, riuscendo ad elaborare una visione uni-
taria del fenomeno.
Nel prossimo futuro, soprattutto nel rap-
porto con le aziende private e con le famiglie,
è intenzione della Banca implementare con
maggiore energia la figura del responsabile di
portafoglio clienti attraverso un proficuo per-
corso di formazione.
Sintomatico di tale comportamento è la
natura assegnata alle filiali aperte nel corso
degli anni, con obiettivi centrati sullo sviluppo
dei prodotti e l’acquisizione di nuovi clienti,
rivolti ai tassi di sviluppo della clientela, al suo
mantenimento e soddisfazione.Il singolo
cliente ha così potuto notare una capillare cre-
scita di attenzione nei suoi confronti, unita
all’incremento della remunerazione in denaro.
Comunicazione e tecnologia
La comunicazione di prodotti finanziari
innovativi e dei servizi offerti anche attra-
verso il supporto di soggetti esterni, è di per
sé un servizio che la Banca Popolare del
Frusinate offre ai suoi soci e clienti. Avendo
capito che la comunicazione può essere non
solo un elemento che costruisce posiziona-
mento distintivo, ma anche un meccanismo
che può generare ricadute virtuose in termini
commerciali, con il passare del tempo la
Banca ha costruito un’immagine distintiva in
un contesto molto standardizzato e omolo-
gato; pianificando alcune campagne locali in
appoggio alla struttura commerciale e utiliz-
zando media molto duttili - che si conciliano
con l’esigenza di non sovradimensionare la
comunicazione rispetto al bacino effettivo sul
quale vuole incidere - come i principali quo-
tidiani areali, le affissioni anche nei grandi
formati, allargando progressivamente il rag-
gio d’intervento man mano che lo sviluppo
della rete commerciale progrediva.
Sono state quindi realizzate le campagne
locali, più o meno ampie, su determinati
prodotti (mutui e conti correnti) che offrono
remunerazioni interessanti o tassi di interesse
particolarmente competitivi. La Banca ha
iniziato di conseguenza a canalizzare ed a
creare contatti all’esterno, monitorando con-
tinuamente le performance dell’attività pro-
mozionale. Quest’ultimo aspetto è partico-
larmente importante perché è sempre diffi-
cile verificare quanto incide la comunica-
zione, dal punto di vista della ricaduta com-
merciale, essendo essa parte di un mix, com-
prensivo delle leve del prezzo, del prodotto,
della rete distributiva.
112 Banca Popolare del Frusinate
SESTA PARTE
Copertina del periodicobimestrale de “Il Cent”
Attraverso il sito web, costantemente aggior-
nato, e la diffusione di volantini e brochures
presso le filiali della Banca, tutti gli interessati
possono entrare a conoscenza dell’attività
svolta. Recentemente, con il supporto di due
Società esterne, è stata ideata un’area per l’assi-
stenza e la consulenza alla PMI in materia di
operazioni di finanza straordinaria quali
fusioni, acquisizioni, cessioni.
Punta di diamante del sistema divulgativo
delle notizie riguardanti la BPF è la rivista “Il
Cent”, nata nel 1998 e distribuita a tutti i soci
e clienti. Il Cent soddisfa pienamente le esi-
genze comunicative della Banca e la domanda
informativa proveniente dalla clientela, per-
mettendo agli utenti di essere continuamente
aggiornati ed offrendo la possibilità agli inte-
ressati di intervenire direttamente. La rivista
trimestrale, della cui redazione si occupa un
apposito Comitato, è lo specchio dell’attività
della Banca, riporta le notizie relative alle
scelte direzionali ed organizzative, gli inter-
venti realizzati nel sociale, la partecipazione
alle iniziative culturali.
Nel campo della tecnologia e dell’informa-
tizzazione dei processi interni, la BPF ha intra-
preso una decisa azione di rinnovamento e di
adeguamento alle linee guida più recenti. Le
carte elettroniche ed i terminali POS sono
solo due facce della realtà che ad un livello più
alto contiene il “Trading on line”, il “Remote
Banking” ed il “Corporate Banking”. Una
delle più recenti innovazioni introdotte nel
settore è “MITO”, ossia la possibilità di colle-
garsi con la Banca attraverso una qualsiasi
postazione dotata di connessione Internet ed
effettuare tutte le operazioni finanziarie per le
quali si ha accesso.
Risorse umane: sviluppo e formazione
Grande è l’attenzione alle risorse umane, per
sviluppare le potenzialità di ogni dipendente,
fonte preziosa di vantaggio competitivo.
L’organico della Banca in questi anni di
attività si è notevolmente ampliato raggiun-
gendo un totale di oltre 40 persone. Nella
fase di selezione del personale la Banca si
avvale della consulenza di Società specializ-
zate nel settore. Le nuove risorse ingaggiate,
insieme a quelle già operative, partecipano
all’intensa attività formativa programmata
ogni anno. Nel settore finanziario, ma non
solo, la formazione risulta essere fondamentale
nel sostenere e favorire i cambiamenti organizza-
tivi e le esigenze strategiche aziendali.
L’accentuata complessità e l’accelerazione dei
mercati, fanno sì che il cliente esiga sempre più
una migliore qualità del servizio erogato, fatta di
competenza e professionalità. E’ stata necessaria,
quindi, e lo sarà ancora un’azione formativa spe-
113
Dinamiche di una Gestione
Home page del sitointernet della BancaPopolare del Frusinate
cializzata nella quale si abbinino interventi di
formazione tecnica ad altri di natura comporta-
mentale, con particolare attenzione al rafforza-
mento delle conoscenze normative.
Del resto, la BPF può contare sulla dimo-
strata disponibilità del proprio personale ad
assecondare, sviluppandole e consentendone
l’attuazione, le scelte organizzative disposte
dalla Direzione nell’interesse della Banca.
Gestione Patrimoniale
In questi ultimi anni di mercati finanziari
estremamente incerti e dai ritorni altamente
imprevedibili, è cresciuta la ricerca di nuovi
strumenti in grado di riconoscere meglio le
dinamiche di mercato. Tutti sappiamo che un
aspetto naturale dei mercati è quello di essere
soggetti a cicli. All’interno di questi cicli, è per
l’investitore sempre più difficile riconoscere
esattamente quando si è davanti ad un’inver-
sione di tendenza e quando invece ad una sem-
plice correzione di breve termine. Molto spesso
i momenti migliori per entrare o uscire da un
particolare mercato possono essere identificati
solo retroattivamente. Il timing giusto è reso
ancora più difficile dal fatto che i mercati rara-
mente si muovono in maniera razionale.
Pertanto ci sono sempre dei rischi dietro l’an-
golo che l’investitore non può prevedere, soprat-
tutto se alla base della crescita di un patrimonio
non vi è stata un’attenta valutazione dei desideri
e delle esigenze dell’investitore.
La gestione patrimoniale in titoli e/o fondi è
quindi un’operazione che richiede attenzione e
professionalità, un settore nel quale solo una
grande esperienza dei mercati, un’ottima cono-
scenza dei prodotti ed una costante analisi setto-
riale garantiscono una gestione davvero profes-
sionale. Gli specialisti della gestione patrimo-
niale della BPF mettono a disposizione il loro
“know how” acquisito in tanti anni di espe-
rienza sui mercati e sono sempre aggiornati sulle
peculiarità e le innovazioni degli stessi. Con
ogni cliente si stabilisce la strategia d’investi-
mento più consona alla sua tolleranza al rischio
ed ai suoi obiettivi finanziari. L’investimento è
costantemente monitorato; la scelta dei valori
inseriti nel portafoglio è effettuata nel rispetto
del mandato conferitoci, nell’ambito delle
moderne strategie d’investimento.
Inoltre, in ogni momento il cliente dispone
d’informazioni aggiornate sullo stato dei suoi
averi, la composizione del suo portafoglio, l’e-
voluzione e la performance degli investimenti.
Il sistema dei controlli
Il sistema dei controlli interni rappresenta
l’insieme delle regole, delle procedure e delle
strutture organizzative che consente la corretta
gestione di tutte le attività della Banca, nel
rispetto delle leggi, delle disposizioni dettate
dall’Organo di Vigilanza. Il suo continuo ade-
guamento alle diverse attività della Banca, è fon-
damentale per perseguire l’obiettivo di “sana e
prudente gestione” che deve accompagnare le
attività commerciali e la conseguente redditività.
Lo sforzo di riqualificazione del comparto
creditizio è iniziato con il conferimento in out-
sourcing alla società ME.TA. dell’attività di
internal auditing. Successivamente l’istituzione
di “Risk Controller” operante con la collabora-
zione dell’addetto dell’Ufficio Ispettorato e del
Direttore Generale, garantisce l’integrazione
dei controlli ispettivi tradizionali, verificando
presso le filiali l’affidabilità dei processi nonché
114 Banca Popolare del Frusinate
SESTA PARTE
la coerenza tra assetti organizzativi ed adegua-
tezza delle risorse disponibili. È funzionante il
sistema applicativo GIANOS (Generatore
Indici Anomalie delle Operazioni Sospette),
che nell’attività antiriciclaggio tende ad indivi-
duare le operazioni sospette da segnalare
all’U.I.C. (Ufficio Italiano Cambi).
Sintesi delle attività di prossimità al territo-
rio e di sviluppo dell’imprenditorialità
locale svolte dalla BPF:
• attività di project financing per lo svi-
luppo dell’imprenditorialità;
• accordi con associazioni di categoria del-
l’artigianato per migliorare l’accesso degli
associati al credito;
• collaborazione con onlus e non profit ope-
ranti in campo sociale, assistenziale, religioso,
culturale e sportivo;
• rapporti di collaborazione con il settore
dell’istruzione (borse di studio; realizzazione
nelle università di aule multimediali, organiz-
zazione di incontri con gli studenti);
• interventi di ristrutturazione su immobili
di interesse artistico.
CULTURA
Arte, Istruzione, Turismo, Sport
La cultura di un territorio è un concetto dal
significato molto vasto, una sorta di contenitore
che va continuamente riempito e dal quale
poter attingere in qualsiasi momento. Diversi
sono i soggetti deputati a tale compito e diverse
sono le forme di collaborazione e di interazione
che di volta in volta vengono definite. L’interesse
comune è il miglioramento della qualità della
vita di tutti gli individui alla base del quale vi è
l’indiscutibile disposizione di un ruolo determi-
nante attribuito alla crescita culturale.
Parlare di cultura significa comprendere che le
risorse umane costituiscono la risorsa principale
della nostra società. Esse sono al centro della
creazione e della trasmissione delle conoscenze e
sono un elemento determinante delle potenzia-
lità d’innovazione. Gli investimenti nell’istru-
zione e nella formazione sono un fattore chiave
della competitività, della crescita e dell’occupa-
zione e, di conseguenza, sono il requisito preli-
minare per conseguire predeterminati obiettivi
economici, sociali e ambientali. Analogamente, è
fondamentale rafforzare le sinergie e la comple-
mentarietà fra istruzione e altri settori d’inter-
vento, quali l’occupazione, la ricerca e l’innova-
zione, la politica macroeconomica.
A livello locale, le risorse degli enti pubblici
destinate al settore culturale non sempre sono
sufficienti a garantire la divulgazione e la pro-
mozione delle iniziative intraprese dagli artisti o
dalle numerose organizzazioni culturali attive
nel territorio. E’ in questo contesto che deve
necessariamente intervenire il privato, sponso-
rizzando le idee migliori e più stimolanti, ovvero
quelle meritevoli di analisi ed interesse, solleci-
tando l’attenzione dell’opinione pubblica.
Si metteva prima in risalto la vastità del con-
cetto di cultura; esso contempla la scuola, la
formazione professionale, la ricerca, l’arte, la
musica, le tradizioni popolari, lo sport. Tutte
espressioni della capacità intrinseca dell’indivi-
duo e di una specifica collettività a partecipare
fattivamente al progresso umano e civile e di
farlo apportando il proprio contributo innova-
tivo, le proprie esperienze, le proprie idee.
115
Dinamiche di una Gestione
La Banca Popolare del Frusinate è particolar-
mente attiva in tutto il campo delle attività filan-
tropiche e culturali con un’elevata diffusione di
interventi su tutto il territorio. Le modalità attra-
verso le quali la BPF svolge il rapporto tra banca
e cultura si articolano su due filoni principali:
mecenatismo e sponsorizzazione.
Quanto al mecenatismo, si tratta di un’atti-
vità di liberalità a beneficio di soggetti terzi
operanti nel settore culturale. Nel caso del-
l’arte, per esempio, spesso si tratta d’opere
moderne e d’idee degne della massima consi-
derazione. Certo, non tutte le banche possono
vantare il possesso di prestigiose collezioni
d’arte, ma affiancare determinate iniziative,
organizzare mostre e convegni, investire sulle
giovani promesse o rafforzare il valore di pre-
senze artistiche locali già conosciute ed affer-
mate, significa mettere a disposizione dei cit-
tadini i frutti dell’impegno nel campo della
cultura. Un ulteriore grado di partecipazione
attiva da parte della BPF si evidenzia nel
finanziamento di interventi di restauro e con-
solidamento per la salvaguardia del vasto
patrimonio artistico ciociaro.
D’altro canto, un simile atteggiamento
costituisce, indirettamente, anche un modo
innovativo ed informale per avvicinare il
grande pubblico alle banche, per renderne
noti, l’attività e gli obiettivi, offrendo consi-
derevoli ritorni in termini di notorietà e di
immagine.
Sponsorizzazioni di studi e ricerche,
offerta agli studenti universitari di stage
lavorativi, contributi all’ammodernamento
delle strutture, istituzioni di borse di studio.
Per quanto concerne la sponsorizzazione
culturale, si tratta di un’attività in crescita
per la BPF. Negli ultimi tempi, progressiva
importanza ha assunto l’attività di sponso-
rizzazione di mostre e di organizzazione di
spettacoli dal vivo (come concerti, opere liri-
che e teatrali). Strettamente connessa a que-
st’ultima, è l’attività editoriale, con la produ-
zione di volumi che rappresentano la sintesi
di rilevanti attività di ricerca nel campo del
restauro, dell’architettura, della musica e
dell’archeologia.
Presente in diverse manifestazioni spor-
tive, la BPF è particolarmente legata al
mondo dello sport in quanto ne condivide i
principi di competizione, divertimento,
entusiasmo e di solidarietà.
Molto è stato fatto anche per la
Formazione Professionale, attraverso la col-
116 Banca Popolare del Frusinate
SESTA PARTE
Anno 2000.Consegna Borsedi studio
Banca Popolare delFrusinate, sponsorufficiale del FrosinoneCalcio
laborazione con le Università e con l’istitu-
zione di Master e Corsi di Specializzazione
nelle discipline economiche.
L’organizzazione e la promozione di que-
sti corsi è la giusta risposta all’obbligo di
frequenza ad attività formative per aumen-
tare la crescita culturale e professionale dei
giovani e favorirne l’ingresso nel mondo del
lavoro a condizioni migliori: è una scelta
che ci pone alla pari con l’Europa ed è
rispettosa delle attitudini di ogni giovane.
Il forte legame con il territorio e la parti-
colare attenzione che la Banca Popolare del
Frusinate dedica ai suoi abitanti, con parti-
colare riferimento ai giovani, sono il filo
conduttore del nuovo modo di far banca
dell’Istituto, volto alla creazione di un rap-
porto personale di fiducia, semplicità, tra-
sparenza, concretezza e sincerità con tutti i
suoi clienti e soci. Il Conto dello sportivo,
riservato agli iscritti alle Società sportive
affiliate al Comitato Provinciale di
Frosinone. Il conto offre un insieme di ser-
vizi, agevolazioni ed opportunità molto inte-
ressanti, prevedendo condizioni particolari
per il finanziamento delle strutture sportive
della provincia.
ECONOMIA
Il tema dell’economia locale gravita essen-
zialmente sull’approccio della BPF con le pic-
cole e medie imprese. Negli ultimi anni si è
consolidato un rapporto banca-impresa di
consistente importanza, in virtù di singoli
processi interni relativi ai settori creditizi e
industriali. A livello nazionale si assiste all’evo-
luzione del primo grosso impulso verso una
maggiore attenzione nei confronti dell’acqui-
sizione di quote azionarie di imprese da parte
delle banche, impulso determinato anche dal
contesto normativo. Infatti, a partire dalla
seconda metà degli anni ‘80, dopo oltre cin-
quant’anni di rigida separazione tra banca e
impresa, il legislatore italiano ha gradualmente
riammesso la possibilità per gli istituti di cre-
dito di entrare a far parte del capitale aziona-
rio di imprese non finanziarie. In questo spe-
cifico canale la BPF ancora non ha sviluppato
una proficua politica d’inserimento essendo
l’esigenza del contesto locale proiettata verso
altri obiettivi economici.
Le aziende ciociare sono oggi impegnate in
una forte competizione. La crisi economica
innescatasi dai primi anni Novanta, la neces-
sità di adeguamento ai parametri richiesti dal
trattato di Mastricht, la rilevante diminuzione
dei tassi di inflazione, l’impossibilità di sot-
trarsi a un contesto competitivo allargato a
tutti i paesi membri dell’Unione Europea, ha,
infatti, recentemente generato all’interno del
nostro sistema creditizio un processo di ridi-
117
Dinamiche di una Gestione
Consegna Assegno diMerito per il consegui-mento della Laurea
mensionamento del margine di intermedia-
zione, riducendo considerevolmente la profit-
tabilità del settore.
La prima conseguenza per la Banca
Popolare del Frusinate, è stata l’immediata
necessità di orientare la propria attività verso
servizi a più alto valore aggiunto e con mag-
giori margini di profitto. Seppur con i limiti
della necessità di tutelare un servizio che,
pur avendo carattere di impresa, continua a
coinvolgere in larga parte l’interesse della
collettività risparmiatrice, la Banca Popolare
del Frusinate ha assimilato negli anni nella
sua cultura il concetto di assunzione del
rischio nella sua accezione più ampia, e
soprattutto differente rispetto al mero
rischio di credito.
In questo contesto si legge l’assunzione di
partecipazioni in imprese dinamiche e con
ampie potenzialità di crescita, rientrando a
pieno titolo nella gamma di prodotti-servizi
offribili al cliente-impresa, potendo costi-
tuire una sistematica, seppur non esclusiva,
modalità di impiego.
L’obiettivo preminente è rivolto all’assun-
zione di un importante ruolo per uno specu-
lare movimento dell’impresa verso la banca,
intesa come partner finanziario.
La necessità trasmessa dal territorio di
instaurare con l’istituto bancario un rap-
porto che vada oltre il tradizionale rapporto
di credito, trova le sue motivazioni nella
fisiologica evoluzione anagrafica del nostro
contesto imprenditoriale, mista all’intensifi-
cazione delle pressioni competitive nazionali
ed internazionali.
La forte concentrazione di fenomeni di crea-
zione d’impresa avutasi nei decenni ’60 - ‘70,
pone molte piccole e medie imprese ciociare
di fronte a problematiche di consolidamento
della struttura finanziaria e di sviluppo con
difficoltà di individuazione di un partner
finanziario in grado di sostenere il processo
di successione.
Contemporaneamente, la crescente globa-
lizzazione dell’economia sta richiedendo un
impegno in termini di investimenti qualita-
tivamente e quantitativamente superiore
rispetto al passato e quindi una finanza
aziendale ben diversificata e più equilibrata
tra mezzi propri e indebitamento.
L’insieme di queste esigenze muovono
verso una graduale diminuzione del peso
percentuale del debito bancario nel passivo
delle imprese, a favore di una maggiore
quota di capitale di rischio, senza tuttavia
dover significare un ridimensionamento del
ruolo delle banche nel complesso della
struttura finanziaria delle stesse imprese.
Al contrario, le PMI stanno oggi ricono-
scendo l’esigenza di poter ridimensionare il
numero degli interlocutori, di poter in defi-
nitiva disporre di un interlocutore unico in
grado di soddisfare completamente le neces-
sità finanziarie o comunque di svolgere una
valida attività di indirizzo in tal senso.
Un discorso analogo, qui considerato dal
punto di vista prettamente economico, è
destinato ai giovani ciociari, dei quali la
Banca sostiene le scelte e le idee, contribuen-
done all’inserimento nel mondo del lavoro.
Consapevole della loro forte propensione
verso l’iniziativa privata e dell’attrazione dal-
l’idea di “mettersi in proprio”, la BPF ha
ideato alcuni strumenti finanziari con l’o-
biettivo principale di facilitarne l’accesso al
118 Banca Popolare del Frusinate
SESTA PARTE
credito, attualmente il maggiore ostacolo
incontrato nel comune percorso formativo e
professionale.
Come se non bastasse, quando si arriva ad
ottenere un finanziamento, il costo dell’in-
tera operazione è sempre troppo elevato
rispetto ai benefici ottenuti. Anche su que-
st’aspetto la BPF ha lavorato molto, preve-
dendo dei tassi agevolati per la specifica ini-
ziativa.
Dal punto di vista relazionale e comunica-
tivo, la banca è alla continua ricerca di mezzi
e strumenti per accrescere l’interesse dei gio-
vani verso le tematiche di natura finanziaria
e bancaria, sensibilizzandone l’atteggia-
mento nei confronti del consumo e della
gestione dei bilanci familiari e progettando
originali sistemi di packaging.
Tra le iniziative intraprese, l’estensione
dell’offerta con prodotti/servizi connessi alla
gestione del risparmio per rispondere ai
bisogni di segmenti specifici (studenti e gio-
vani lavoratori), la recente incentivazione
delle carte di debito e di credito e della tele-
matica, canale innovativo prediletto dai gio-
vani ed utilizzato frequentemente per la
gestione del conto corrente.
Quello dei giovani è quindi un mondo
che sta particolarmente a cuore alla dirigenza
della banca. La politica messa in atto, infatti,
è finalizzata non solo all’offerta di una solu-
zione e di un sostegno a problematiche
immediate, ma tende ad instaurare con que-
sta particolare clientela un rapporto basato
sulla fiducia reciproca che consenta di
accompagnare il giovane, attraverso l’espe-
rienza, l’affidabilità e la completezza dell’of-
ferta, in tutte le fasi della sua vita.
Le crisi economiche: misure e provvedimenti
Nel corso della sua attività, la Banca ha assi-
stito a numerose crisi economiche derivanti e
da congiunture internazionali e dagli annosi
problemi di gestione del sistema economico
nazionale.
L’atteggiamento prevalente atto a fronteg-
giare le diverse situazioni che hanno gravato in
modo pesante sull’economia del territorio fru-
sinate è sempre stato finalizzato alla ricerca di
idonee soluzioni per le parti coinvolte e dovun-
que fosse stata possibile, l’intermediazione e la
ristrutturazione finanziaria.
In questo senso si ricorda uno degli
ultimi provvedimenti presi dalla Banca nella
nota vicenda della Parmalat che, coinvol-
gendo a macchia d’olio numerose imprese
italiane, non aveva certo risparmiato le PMI
del frusinate.
119
Dinamiche di una Gestione
Infatti, le aziende del settore lattiero della
provincia di Frosinone, subirono come
effetto immediato il congelamento dei crediti
pregressi, che innescò un naturale indeboli-
mento delle risorse finanziarie, necessarie al
prosieguo dell’attività produttiva.
La Banca, in sintonia con le intenzioni
dell’Unione Provinciale degli Agricoltori di
Frosinone, fu invitata dalla stessa ad interve-
nire finanziariamente ed in maniera mirata,
nei confronti degli operatori commerciali
direttamente coinvolti nella crisi.
Solidarietà e responsabilità sociale
Nel Libro Verde della Commissione UE
“Promuovere un quadro europeo per la
CSR” la Corporate Social Responsibility è
definita come “l’integrazione volontaria
delle preoccupazioni sociali ed ecologiche
delle imprese nelle loro operazioni com-
merciali e nei loro rapporti con le parti
interessate”.
Essere socialmente responsabili significa
non solo soddisfare pienamente gli obblighi
giuridici, ma anche andare oltre, investendo
“di più” nel capitale umano, nell’ambiente e
nei rapporti con le altre parti interessate.
Il bilancio sociale è ormai uno strumento
affermato attraverso cui un’impresa dà conto
ai suoi molteplici stakeholder dei valori e
delle attività in cui si esplicita la propria stra-
tegia di responsabilità sociale (RSI) e comu-
nica il proprio posizionamento su temi rile-
vanti anche per il mercato.
Esso si pone dunque come uno strumento
di rappresentazione e comunicazione della
Corporate Social Responsibility.
La responsabilità sociale è quindi conside-
rata come strumento etico e di sviluppo
sostenibile e viene esaminata nelle sue impli-
cazioni sulla gestione delle risorse umane,
sui rapporti con i sindacati, sull’equilibrio
con la tradizionale gestione di tipo econo-
mico-finanziaria.
La Banca Popolare del Frusinate è pre-
sente non solo nella vita economica, finan-
ziaria e produttiva del territorio in cui opera,
ma anche nell’ambito sociale, sostenendo i
valori della solidarietà con iniziative a scopo
di beneficenza, di assistenza e di pubblico
interesse. Lo Statuto della Banca, all’art. 147
stabilisce che una quota del 5% vada devo-
luta a questi scopi.
In dieci anni sono state effettuate nume-
rose e diversificate iniziative di rilievo aventi
per oggetto o il finanziamento verso strut-
ture sanitarie e sociali o la realizzazione di
120 Banca Popolare del Frusinate
SESTA PARTE
interventi specifici rivolti alla tutela del-
l’ambiente e delle condizioni esterne nelle
quali si opera.
Fanno parte di questa categoria (social
banking) anche gli interventi a favore di
soggetti che normalmente non avrebbero
accesso ai servizi bancari perché non in
grado di offrire garanzie reali/personali pro-
prie/di terzi o perché appartenenti a catego-
rie svantaggiate.
Una recente ricerca effettuata da
Uniocamere attraverso il censimento ISVI
dei bilanci sociali delle banche italiane e le
interviste a 8 tra le banche più sensibili ai
temi della RSI, evidenzia che le banche
esplicitano la propria sensibilità per i temi
socio-ambientali principalmente nei
seguenti modi: direttamente nello statuto (4
su 8 banche intervistate); nella mission
aziendale e nel codice di comportamento (6
su 8 banche intervistate).
Gli interventi realizzati dalla BPF, assegnati
alla unità organizzativa che generalmente pre-
sidia anche l’area ambiente/salute/sicurezza
avendo goduto sempre di una particolare pro-
grammazione, sono giunti in risposta alle
emergenze ed ai fabbisogni di volta in volta
individuati nel territorio.
121
Dinamiche di una Gestione
Veroli, donazione pul-mino alla “Casa diAccoglienza GiovanniXXIII”
122 Banca Popolare del Frusinate
Note Bibliografiche della Prima Parte
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II, 290, ed ora in Scritti giuridici, II, cit., 557; Oppo, Credito cooperativo e testo unico sulle banche, in Riv. dir. civ., 1994,
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dici, VI, cit., 415; Oppo, Mutualità e lucratività nella legislazione recente, in Scritti giuridici, VI, cit.,407; Oppo, Quesiti
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124 Banca Popolare del Frusinate
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G. Conti e S. La Francesca (a cura di), Banche e reti di banche nell’Italia postunitaria, t.I: Persistenze ecambiamenti nel sistema finanziario e creditizio, Bologna 2000.
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125
Costituzione e Sviluppo della Banca Popolare del Frusinate
126 Banca Popolare del Frusinate
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arcaiche (Roma 1978) 1 ss.3 F. Càssola, L. Labruna, Linee di una storia delle istituzioni repubblicane (Napoli 1991) 213 ss., e, soprattutto, A.J.
Toynbee, L’eredità di Annibale. I Roma e l’Italia prima di Annibale (Torino 1981) 106 ss. , II. Roma e il Mediterraneo
dopo Annibale (Torino 1983) 126 ss.4 F. de Martino, Storia economica di Roma antica I (Firenze 1979) 37 ss., nonché i saggi di L. Labruna, Il diritto mer-
cantile dei Romani e Romanizzazione, foedera, egemonia raccolti, rispettivamente, in Id., matrici romanistiche del diritto
attuale (Napoli 1999) 21 ss. e Adminicula (Napoli 1995) 19 ss.5 G. Merola, Intorno a Cassino romana, in corso di pubbl. in Index 32 (2004), F. Salerno, Un praefectus a Cassino, in
corso di pubbl. in Mél. M. Clavel-Lévêque (Besançon 2004).6 Per tutti, rinvio a O. Salomies, Senatori oriundi del Lazio, in AA.VV. (dir. H. S.), Studi storico-epigrafici cit. 23 ss., cui
si aggiunga A. Licordari, Ascesa al senato e rapporti con i territori d’origine. Italia: regio I (Latium), in Eos 2 (1982
[1984]) 9 ss.7 CIL. X 5193 e 5194.8 CIL. X 5197.9 CIL. X 5198.10 G. Camodeca, L’archivio dei Sulpicii (Napoli 1992) 245 ss.11 CIL. X 5182.12 G. Lena, Scoperte archeologiche nel Cassinate (Cassino 1980).13 O. Salomies, Senatori oriundi del Lazio cit. 22 ss.14 O. Salomies, Senatori oriundi del Lazio cit. 22 ss., M. Kajava, Nuove iscrizioni del Lazio meridionale, in AA.VV. (dir.
H. S.), Studi storico-epigrafici cit. 23 ss., A. Licordari, Ascesa al senato cit. 3 ss. Si v., altresì, le voci della Paulys
Realenciclopädie der classischen Altertumswissenschaft su «Aletrium», «Casinum», «Frusino», «Verulae», curate - rispetti-
vamente – da Hülsen, I/1 (Stuttgart 1893) 1372, Hülsen, III (Stuttgart 1899) 1652, Weiss, XIII (Stuttgart 1910) 188,
Radke, XVI (Stuttgart 1958) 1688 s.15 O. Salomies, Senatori oriundi del Lazio cit. 108, e si v. le osservazioni di G. Camodeca, Il primo frammento dei Fasti
consolari alifani, in Atti del I Convegno dei gruppi archeologici dell’Italia meridionale [1986] (1988) 37 nt. 14.16 O. Salomies, Senatori oriundi del Lazio cit. 3017 CIL. X/1 5807.18 CIL. X/1 566219 C. Etrilius Regillus Laberius Priscus, leg. Aug. pr. pr. Ciliciae (PIR2. E 104), C. Laberius Quartinus, cos. (CIL. X 5824).20 A Le popolazioni dell’Italia antica: società e forme del potere dedica interessanti pagine M. Torelli, in AA.VV. (dir. A.
Momigliano, A. Schiavone), Storia di Roma I Roma in Italia (Torino 1988) 53 ss.
Note Bibliografiche della Terza Parte
21 CIL. X 5200. Cfr. H. Solin, in (G. Camodeca cur.), Le Iscrizioni Latine nel Museo Nazionale di Napoli I Roma e
Latium (Napoli 2000) nr. 580 a p. 171 s.22 A. Guarino, Diritto privato romano (Napoli 2001) 123 ss., M. Lauria, Ius. Visioni romane e moderrne (Napoli 1997)
61 ss., 170 ss.23 Si v. i saggi di G. Clemente, Dal territorio della città all’egemonia in Italia e di U. Laffi, Il sistema di alleanze italico, in
AA.VV. (dir. A. Schiavone), Storia di Roma II/1 L’impero mediterraneo (Torino 1990) 19 ss., 285 ss.24 Sulla Lex Iulia de civitate Latinis (et sociis) danda fonti: Cic. pro Balbo 8.21, App. B.c. 1.49, Gell. N. A. 4.4.3; sulla
Lex Plautia Papiria de civitate sociis danda fonti: Cic. pro Archia 4.7, ad Fam. 13.33, Vell. Pat. 2.16-17, App. B.c. 1.53,
Livii ep. 80. Si v. G. Rotondi, Leges publicae Populi Romani (Hildesheim 1966) 338, 340, ma, soprattutto, G. Luraschi,
La questione della cittadinanza nell’ultimo secolo della repubblica, in (F. Milazzo, cur.), Atti del Convegno di Copanello
1994. Res publica e princeps (Napoli 1996) 63 ss.25 F. Salerno, Tacita libertas. L’introduzione del voto segreto nella Roma repubblicana (Napoli 1999) 177 ss.26 U. Laffi, Il sistema cit. 285 ss. Cfr., altresì, K. Lomas, Urban elites and cultural definition: Romanization in southern
Italy, in (T. J Cornell, K.L., edd.), Urban Society in Roman Ita y (London 1995) 107 ss.27 T. Spagnuolo Vigorita, Cittadini e sudditi tra II e III secolo, in AA.VV. (dir. A. Schiavone), Storia di Roma III/1. L’età
tardoantica. Crisi e trasformazioni (Torino 1993) 5 ss., Id., Città e impero (Napoli 1996).28 S. Roda, Nobiltà burocratica, aristocrazia senatoria, nobiltà provinciali, in AA.VV. (dir. A. Schiavone), Storia di Roma
III/1. L’età tardoantica cit. 643 ss.29 M. A. Levi, Collegia e patronatus ai tempi di Adriano, in Index 13 (1985) 557 ss.30 C. Pavolini, Le città dell’Italia suburbicaria, in AA.VV. (dir. A. Schiavone), Storia di Roma III/2 L’età tardoantica. I
luoghi e le culture (Torino 1993) 177 ss.31 G. Lena, Interamna Lirenas, in Quaderni del Museo civico di Pontecorvo 2 (1982) 57 ss.32 G. Carettoni, Casinum (Spoleto 1940) 21 ss.33 L. Orabona, il pensiero economico del Cristianesimo, in (L. Firpo), Storia delle idee politiche economiche e sociali II/1.
Ebraismo e Cristianesimo. Il Medioevo (Torino 1985) 634 s.34 P. Brown, Il filosofo e il monaco: due scelte tardoantiche, in AA.VV. (dir. A. Schiavone), Storia di Roma III/1. L’età tar-
doantica cit. 877 ss., Id., Povertà e leadership nel tardo impero romano (Roma, Bari 2003) 53 ss.35 Rinvio alle pagine di E. Sereni, Agricoltura e mondo rurale e di G. Galasso, Le forme del potere, classi e gerarchie sociali,
in Storia d’Italia I. I caratteri originali (Torino 1972) 136 ss., 401 ss.36 M. della Valle, Miseri e miserabili. Società ed economia nel xix secolo dall’Archivio della delegazione apostolica di
Frosinone (Alatri 1989) passim.37 C. Brezzi, C.F. Casula, A. Parisella (curr.), Continuità e mutamento. Classi, economie e culture a Roma e nel lazio
(1930) (Milano 1981), D. Di Vico, G. Fontana, F. M. Spirito, A. Spalvieri, Industrializzazione senza sviluppo. Indagine
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127
Società ed Economia nelle Valli del Frusinate
“L’utile netto risultante dal bilancio sarà ripartito come segue: a)una quota non inferiore a quella stabilita dalla legge alla riservalegale; b) una quota non superiore al 7% a disposizione del c.d.a.,da ripartire tra i suoi componenti secondo criteri e modalità cheverranno determinati dal consiglio stesso; c) una quota non supe-riore al 10% per devoluzione, ad insindacabile giudizio del c.d.a., ascopi di beneficenza, assistenza e pubblico interesse; d) ai soci, nellamisura che, su proposta del consiglio, viene fissata dall’assemblea.“L’eventuale residuo, pure su proposta del c.d.a., è destinato allariserva straordinaria o alla costituzione o all’incremento di ulterioririserve, nonché del fondo per l’acquisto o il rimborso di azioni dellasocietà”.
statutoBanca popolaredi San Felice suPanaro, art. 47
3°
statutoBanca popolaredell’EmiliaRomagna,art. 47
Similmente all’art. 47 statuto Banca popolare dell’Emilia Romagnaviene apposto un tetto del 2% per la devoluzione degli utili netti “ascopi di beneficenza, assistenza e di interesse sociale”.
statutoBanca popolaredel Lazio,art. 47 lettera d)
2°
“L’utile netto risultante dal bilancio approvato è ripartito comesegue: a) una quota non inferiore a quella stabilita dalla legge allariserva ordinaria legale; b) una quota non inferiore al 20% allariserva statutaria; c) una quota non superiore al c.d.a. , da assegnarsisecondo le modalità stabilite dal consiglio stesso; d) una quota nonsuperiore al 6% da destinarsi a scopi benefici, culturali e di interessesociale; e) ai soci a norma dell’art. 18, nella misura che, su propostadel consiglio, viene fissata dall’assemblea”.
1°
“Dall’utile netto risultante dal bilancio annuale approvato dall’as-semblea, vengono innanzitutto prelevate:- la quota destinata alla riserva legale o ordinaria, nella misura sta-bilita dalla legge;- una quota non inferiore al 20% e non superiore al 30% destinataalla riserva statutaria o straordinaria.Il residuo utile è ripartito: a) ai soci, nella misura che, su propostadel c.d.a., viene fissata con criteri di prudenza dall’assemblea; b) ilrimanente su proposta del c.d.a. e secondo le deliberazioni dell’as-semblea, la quale può costituire o incrementare riserve comunquedenominate, oltre che il fondo per l’acquisto di azioni della societàe un fondo utilizzabile per assistenza, beneficenza, iniziative culturalie d’interesse sociale”. (Omissis)
statutoBanca Popolaredi Sondrio,art. 58
1°
“Dall’utile netto risultante dal bilancio approvato dall’assemblea, vainnanzitutto destinata una quota pari a quella prevista dalla leggeper la formazione e l’incremento della riserva legale.Il residuo, detratta una congrua assegnazione alla riserva straordina-ria nell’entità stabilita dall’assemblea su proposta del c.d.a. nellamisura non inferiore al 10% e detratta una quota pari al 2,50% infavore del c.d.a. stesso, sarà ripartito secondo le determinazioni del-l’assemblea, sentito il c.d.a., fra i soci quale dividendo e/o accanto-nato per costituire ulteriori riserve, fondi ed accantonamenti, com-preso un eventuale fondo per l’acquisto di azioni proprie e compresauna eventuale assegnazione per opere di assistenza, beneficenza, culturae di interesse sociale”.
statutoVeneto Banca,art. 47
1°
TESTO CLAUSOLA RIFSTATUTO
FASCIA DICLASS I F ICA -ZIONE BANCA
128 Banca Popolare del Frusinate
Appendice della Prima Parte
Tabella 1: Ripartizione degli utili
“L’utile netto risultante dal bilancio sarà ripartito come segue: a)una quota non inferiore a quella stabilita dalla legge a riserva legale;b) il 20% alla riserva statutaria; c) una quota non superiore al 3% adisposizione del c.d.a., da ripartire tra i suoi componenti secondocriteri e modalità che verranno determinati dal consiglio stesso; d)una quota non superiore al 6% per devoluzione, ad insindacabile giu-dizio del c.d.a., a scopi di beneficenza, assistenza e di pubblico interesse;e) ai soci, nella misura che, su proposta del c.d.a., viene fissata dal-l’assemblea. L’eventuale residuo, pure su proposta del c.d.a., è desti-nato alla riserva statutaria o alla costituzione o all’incremento diulteriori riserve, nonché del fondo per l’acquisto o il rimborso diazioni della società”.
statutoBanca popolaredi Marostica,art. 47
3°
(nessuna menzione dei fondi per iniziative filantropiche)
“L’utile netto risultante dal bilancio sarà ripartito come segue: a)una quota non inferiore a quella stabilita dalla legge alla riservalegale; b) il 10% alla riserva straordinaria; c) una quota non supe-riore al 3% a disposizione del c.d.a. da ripartire secondo criteri emodalità che verranno determinati dal consiglio stesso; d) unaquota non superiore al 3% per devoluzione, ad insindacabile giudiziodel c.d.a. a scopi di beneficenza, assistenza e di pubblico interesse; e) aisoci, nella misura che, su proposta del consiglio, viene fissata dall’as-semblea. L’eventuale residuo, pure su proposta del c.d.a., è destinatoalla riserva straordinaria o alla costituzione o all’incremento di ulte-riori riserve, nonché del fondo per l’acquisto o il rimborso di azionidella società”.
statutoBanca popolaredi Lajatico,art. 47
2°
“L’utile netto risultante dal bilancio annuale viene destinato comesegue: a) una quota non inferiroe al 20% per la formazione o l’in-cremento della riserva legale fino a raggiungere la metà del capitalesociale. Raggiunto tale ammontare deve essere destinata alla riservalegale almeno la decima parte degli utili netti annuali; b) alla riservastraordinaria il 20%. Il residuo sarà ripartito secondo le decisionidella assemblea la quale, detratto il dividendo da assegnare ai soci,ha facoltà: 1) di incrementare o costituire ulteriori fondi di riservagenerali speciali; 2) di costituire o incrementare un fondo per acqui-sto o rimborso di azioni sociali; 3) di destinare parte degli utili alc.d.a. anche in aggiunta ai compensi di cui all’art. 33 del presentestatuto; 4) di istituire o incrementare un fondo per iniziative ed istitu-zioni aventi scopi benefici, sociali, di istruzione e di pubblica utilità,da erogarsi dal c.d.a.”.
statutoBanca popolaredi Fondi, art. 50
3°
(nessuna menzione dei fondi per iniziative filantropiche) statuto dellaBanca popolaredell’Alto Adige:v. in particolare47
3°
statutoBanca popolaredi Lodi(v. in particolarel’art. 58)
1°
129
Le Banche Popolari ovvero: La mutualità che visse due volte
Tabella 2: Patrimonio netto di bilancio
Tabella 3: Diritti individuali del socio.
“Il socio partecipa per intero al dividendo deliberato dall’assembleaqualunque sia l’epoca dell’acquisto della qualità di socio; i sotto-scrittori di nuove azioni devono però corrispondere alla società gliinteressi di conguaglio nella misura fissata dal c.d.a.”.
statutoVeneto Banca,art. 18.1.
1°
TESTO CLAUSOLA RIFSTATUTO
FASCIA DICLASS I F ICA -ZIONE BANCA
“L’utile netto risultante dal bilancio sarà ripartito come segue: a)una quota non inferiore al 10% alla riserva legale; b) una quota noninferiore al 5% sarà attribuita alla riserva straordinaria; c) una quotadi volta in volta fissata dall’assemblea sarà destinata ai consiglieri diamministrazione a titolo di partecipazione agli utili; d) una quota divolta in volta fissata dall?assembleaviene posta a disposizione delc.d.a. per essere devoluta a scopi di beneficenza, iniziative culturali e diinteresse sociale; e) una quota, su proposta del c.d.a., viene dall’as-semblea attribuita a titolo di dividendo ai soci in ragione delleazioni da ciascuno possedute; f ) il residuo, detratto il dividendo daassegnarsi ai soci in ragione delle azioni possedute, sarà devolutodall’assemblea alla costituzione o all’incremento di fondi e riservespeciali e del fondo per l’acquisto o il rimborso di azioni dellasocietà, ovvero riportata a nuovo”.
“Il patrimonio sociale è costituito: a) dal capitale sociale; b) dallariserva legale; c) dalla riserva statutaria; da ogni altra riserva o daogni altro fondo, senza specifica destinazione, comunque denomi-nati”.
statutoBanca popolaredi Marostica,art. 4
3°
2°statutoBanca popolaredel Lazio, art. 4
Il patrimonio sociale è costituito: a) dal capitale sociale; b) dallariserva legale; c) dalla riserva statutaria e da ogni altra riserva ofondo, senza specifica destinazione, comunque denominati”.
1°statutoVeneto Banca,art. 4
“Il patrimonio sociale è costituito: A) dal capitale sociale; B) dallariserva legale; C) da ogni altra riserva o fondo, senza specifica desti-nazione, comunque denominati”.
FASCIA DICLASS I F ICA -ZIONE BANCA
RIFSTATUTO
TESTO CLAUSOLA
3°statutoBanca popolaredel Frusinate,art. 47
“L’utile netto risultante dal bilancio viene innanzitutto destinato:- in misura non inferiore a quella stabilita dalla legge, alla riservalegale;- il 10% alla riserva straordinaria;Il residuo viene ripartito come segue:a) ai soci, nella misura che, su proposta del consiglio, viene fissatadall’assemblea;b) una quota non superiore al 5% per devoluzione, ad insindacabilegiudizio del consiglio di amministrazione, a scopi di beneficenza,assistenza e di pubblico interesse.L’eventuale residuo, pure su proposta del consiglio di amministra-zione, è destinato all’incremento della riserva straordinaria o allacostituzione o all’incremento di ulteriori riserve, nonché del fondoper l’acquisto o il rimborso di azioni della società”.
3°statutoBanca popolaredi Sviluppo,art. 51
130 Banca Popolare del Frusinate
Appendice della Prima Parte
Tabella 4: Costituzione e denominazione della società.
Tabella 5: Oggetto sociale
“La società ha per oggetto la raccolta del risparmio e l’esercizio delcredito, nelle sue varie forme, tanto nei confronti dei propri soci chedei non soci, ispirandosi ai principi della mutualità e a quelli tradi-zionali del credito popolare”.
statutoBanca popolaredell’Alto Adige,art. 3.1.
3°
“La società ha per oggetto la raccolta del risparmio e l’esercizio delcredito, nelle sue varie forme, tanto nei confronti dei propri soci chedei non soci, ispirandosi ai principi tradizionali del credito popo-lare”. (Omissis)
statutoBanca popolaredi San Felice suPanaro,art. 3
3°
“I dividendi non riscossi entro un quinquennio a giorno in cuidivennero esigibili restano devoluti alla società”.
statutoVeneto Banca,art. 18.3.
1°
“La società ha per scopo la raccolta del risparmio e l’esercizio delcredito, nelle sue varie forme, tanto nei confronti dei propri soci chedei non soci, ispirandosi ai principi tradizionali del credito popo-lare. (Omissis) La società si propone pure di attuare opera di propa-ganda per il risparmio”.
statutoBanca popolaredi Fondi,art. 2
3°
2°statutoBanca popolaredel Lazio, art. 3
“La società ha per oggetto la raccolta del risparmio e l’esercizio delcredito nelle sue varie forme, ispirandosi ai principi tradizionali delcredito popolare”. (Omissis)
1°statutoBanca popolaredell’EmiliaRomagna,art. 2
“La società raccoglie il risparmio ed esercita il credito nei confrontidei propri soci ed anche dei non soci, ispirandosi ai principi dimutualità.Essa si propone lo sviluppo delle attività produttive, con particolareriguardo alle imprese medie e minori, ed incoraggia il risparmiopopolare in tutte le sue forme”.
1°statutoBanca Popolaredi Sondrio,art. 2.4
“ (Omissis) Nell’azione istituzionale tesa a favorire lo sviluppo ditutte le attività produttive, la società, in sintonia con le finalitàpeculiari di una banca popolare, si propone di sostenere in modoparticolare le imprese minori e quelle cooperative; inoltre di attuareogni opportuna iniziativa volta a diffondere ed incoraggiare ilrisparmio”.
1°statutoVeneto Banca,art. 3.1.
“La società ha per oggetto la raccolta del risparmio e l’esercizio delcredito, nelle loro varie forme, tanto nei confronti dei propri soci,quanto dei non soci, ispirandosi ai principi tradizionali del creditopopolare”.
FASCIA DICLASS I F ICA -ZIONE BANCA
RIFSTATUTO
TESTO CLAUSOLA
1°statutoBanca Popolaredi Sondrio,art. 1.2.
“La società ispira la propria attività ai principi della mutualità e dellacooperazione ed è retta dalle disposizioni di legge e dalle norme delpresente statuto”. (Omissis)
FASCIA DICLASS I F ICA -ZIONE BANCA
RIFSTATUTO
TESTO CLAUSOLA
131
Le Banche Popolari ovvero: La mutualità che visse due volte
Tabella 6: Destinatari delle attività della banca nelle clausole relative all’oggetto socialeSi fa rinvio alla tabella di cui a nota precedente;si aggiungono inoltre le seguenti clausole relative alle operazioni bancarie:
Tabella 7: (a) Convocazione/svolgimento delle assemblee
Tabella 8: (b) Esercizio del diritto di voto.
“La società ha per scopo la raccolta del risparmio e l’esercizio delcredito nelle sue varie forme, tanto nei confronti dei propri soci chedei non soci, ispirandosi anche ai principi di mutualità”.
statutoBanca popolaredi Lajatico,art. 3.1.
3°
“La società ha per scopo la raccolta del risparmio e l’esercizio delcredito nelle sue varie forme, tanto nei confronti dei propri soci chedei non soci, ispirandosi ai principi tradizionali del credito popo-lare”.
statutoBanca popolaredi Marostica,art. 3
3°
“(Omissis) Non è ammesso il voto per corrispondenza”. statutoBanca Popolaredi Sondrio,art. 27.7.
1°
TESTO CLAUSOLA RIFSTATUTO
FASCIA DICLASS I F ICA -ZIONE BANCA
“L’assemblea dei soci è convocata nei modi e nei termini di legge dalc.d.a. presso la sede della società o in altro luogo del territorio nazio-nale indicato nell’avviso di convocazione”.
statutoVeneto Banca,art. 21.1
1°
TESTO CLAUSOLA RIFSTATUTO
FASCIA DICLASS I F ICA -ZIONE BANCA
3°statutoBanca popolaredi San Felice suPanaro, art. 3
“Nella concessione di fido la società, a parità di merito di credito,dà preferenza ai soci ed alle operazioni di più modesto importo, conesclusione di ogni operazione di mera speculazione”.
1°statutoBanca Popolaredi Sondrio,art. 13
“Il socio può ottenere il credito, a preferenza dei non soci e a paritàdelle garanzie offerte, nei limiti e con le modalità fissate dai compe-tenti organi sociali”. (Omissis)
FASCIA DICLASS I F ICA -ZIONE BANCA
RIFSTATUTO
TESTO CLAUSOLA
3°statutoBanca popolaredel Frusinate,art. 3.1.
“La società ha per scopo la raccolta del risparmio e l’esercizio delcredito, tanto nei confronti dei propri soci che dei non soci, ispiran-dosi ai principi della mutualità”.
3°statutoBanca popolaredi Sviluppo,art. 3.1.
“La società ha per scopo l’esercizio dell’attività bancaria e quindi laraccolta del risparmio e l’esercizio del credito, sia nei confronti deisoci sia di non soci, ispirandosi ai principi normativi della coopera-zione e della mutualità e ai criteri tradizionali del credito popolare,anche al fine di favorire e sviluppare le attività agricole, industriali,commerciali, turistiche, artigiane e di servizi con particolareriguardo alle piccole e medie imprese”.
132 Banca Popolare del Frusinate
Appendice della Prima Parte
“(Omissis) I soci minori possono essere tutti rappresentati in assem-blea da chi ne ha la legale rappresentanza, anche se questi si trova inuna delle situazioni contemplate dal 4° comma dell’articolo 2372del codice civile, e altresì nel caso in cui il legale rappresentante nonsia socio”.
statutoBanca Popolaredi Sondrio,art. 27.6.
1°
3°statutoBanca popolaredi Sviluppo,art. 24.4.
“Ogni socio non può rappresentare più di cinque soci, salvi i casi dirappresentanza legale”.
3°statutoBanca popolaredi Fondi,art. 24.5.
“Ogni socio non può rappresentare più di quattro altri soci. Non èammessa la rappresentanza di persona non socio, anche se munitadi mandato generale. Le limitazioni anzidette non si applicano aicasi di rappresentanza legale”.
3°statutoBanca popolaredi Lajatico,art. 22
“Ogni socio non può rappresentare più di tre soci, salvi i casi di rap-presentanza legale”.
3°statutoBanca popolaredi Marostica,art. 22
“Ogni socio non può rappresentare più di un socio. Non è ammessala rappresentanza da parte di persona non socia, anche se munita dimandato generale. Le limitazioni anzidette non si applicano ai casidi rappresentanza legale”.
2°statutoBanca popolaredel Lazio,art. 22.5.
“Ogni socio non può rappresentare più di un socio, salvi i casi dirappresentanza legale”.
1°statutoBanca popolaredi Lodi,art. 29.2
“La rappresentanza per procura non è ammessa”.
1°statutoBanca popolaredi Lodi,art. 29.4.
“Nessuno può rappresentare più di un socio”.
133
Le Banche Popolari ovvero: La mutualità che visse due volte
Finito di stampare nel mese digennaio 2007.Il presente lavoro è stato realizzato dalla:
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