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catalogo mostra 18 calligrafi gruppo ticino 2012

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Progetto a cura di Enzo Pelli

Graphic design e realizzazione: Paola Rezzonico e Vince Cammarata

Ringraziamenti

Peter AeberhardRoberto ConteNicola GardinSeverino De Angeli

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Gruppo Calligrafia Ticino

Testi di grandi scrittori

nell’interpretazione di 18 calligrafi

Biblioteca cantonale di Lugano 18 ottobre – 30 novembre 2012

unapaginaOgni

storia

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La più grande opera letteraria, in fondo, non è che un alfabeto in disordine.

Jean Cocteau

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Gerardo Rigozzi

Il cammino della parola scritta

Platone, nel Filebo e nel Fedro, afferma che la parola scritta altro non è che una copia del Logos scritto nell’anima. Le scritture esterne, inerti o tecniche, sarebbero soltanto il riflesso dell’interiorità.In realtà il fenomeno della scrittura è qualcosa di più complesso, per il semplice fatto che, se non ci fossero stati dei supporti, mai l’anima si sarebbe pensata come un libro: essa sarebbe rimasta forma “anemus”, spirito informe che avvolge il corpo. In un certo senso ha ragione Jacques Derrida allorquando afferma che “nulla esiste fuori del testo”.

Non si sa come e quando nacque la scrittura. Si presume che ciò av-venne oltre 5’000 anni fa in Mesopotamia attraverso i segni impressi su tavolette di cera. Dalla scrittura pittorica si è poi passati alla scrit-tura ideografica e poi analitica, su su fino alla scrittura sillabica e alfabetica.In quel lungo percorso, possiamo affermare che abbia prevalso l’arte dello scrivere in belle forme, la calligrafia appunto.Chi non ricorda gli straordinari codici miniati dell’Occidente cris-tiano medievale? Oppure le scritture arabo-islamiche orientate alla Gnosis e alla mistica? Oppure ancora i Romani che scolpivano le loro lettere con le aste che terminavano in un’espansione detta “grazia”? Lettere equilibrate, leggere ma forti, certamente eleganti, frutto dell’incontro tra la leggerezza e l’eleganza del pennello con la forza e la solennità della scrittura.

C’è inoltre chi sostiene1 che tra i segni visivi della scrittura e i segni uditivi delle parole ci sarebbe un legame profondo, risalente alla più remota preistoria dei graffiti paleolitici delle incisioni sul fondo delle caverne.

A mio parere, le opere dei 18 calligrafi esposte in Biblioteca – che si confrontano in un dialogo sottile con Dante, Bradbury, Baricco, Kundera, Pusterla, Montale, Murakami e altri ancora – sono un ten-

1Cfr. Alfred Kallir, Segno e disegno. Psicogenesi dell’alfabeto, Milano 1994

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tativo riuscito di ripercorrere questo lungo cammino della scrittura per ritrovare gli antichi archetipi, naturalmente reinterpretati nel nostro tempo.

I supporti utilizzati dai 18 calligrafi con perizia e abilità gestuale - i collage, le carte e cartoncini, le incisioni, le tempere, gli acrilici, i pastelli, ecc. - pur attingendo al magma archetipico della filogenesi (l’anima in senso platonico), conferiscono nuova sostanza e pienezza iconica. Si avvera qui quanto sostenuto da Barthes2 , ovvero che una lettera può dire tutto, se liberata dal suo ruolo linguistico; e può per così dire infrangere il diaframma tra il nome e la cosa rappresentata per reinventare una nuova porzione di realtà, nuovi significati nelle parole, nei ritmi e nella forma di una poesia.

Questo andare oltre la dimensione del discorso e della consuetudine è ciò che caratterizza l’impronta dell’artista, come sottolineava il filol-ogo Giovanni Pozzi: “L’artista sommo non è tanto colui che infrange la regola, quanto colui che varia la convenzione, così come il buon giocatore non è il baro, ma l’inventore di soluzioni inconsuete”3

Farebbe bene la scuola a chinarsi su queste modalità espressive dei nostri calligrafi, e a recuperare un po’ di senso del bello, del ritmo e dello stile, che purtroppo spesso viene trascurato. Come dare torto a Umberto Eco che in un’intervista pubblicata nel quotidiano inglese The Guardian giudica la perdita della calligrafia una vera tragedia nella formazione dei giovani? E come non pensare che i caratteri che hanno fatto la fortuna di Apple e di Windows sono stati inventati ben 250 anni fa da Giam-battista Bodoni, che seppe interpretare lo spirito dei Lumitraducendolo nelle forme neoclassiche dalle proporzioni piene e un po’ altere?

1Cfr. Roland Barthes, L’ impero dei segni, Torino 20022Cfr. Giovanni Pozzi, La parola dipinta, Milano 1981

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Renato Giovannoli

Il paradosso della calligrafia

Gli ambigrammi, dei quali Francesca Rigotti scrive in queste stesse pagine, sono certo un caso molto particolare di calligrafia, il quale tuttavia è emblematico del carattere in generale paradossale della cal-ligrafia. Non è un caso che gli ambigrammi siano stati studiati dal filosofo americano Douglas R. Hofstadter (1945), che ha fatto del paradosso l’argomento principale della propria ricerca fin dal for-tunato libro di esordio1 Gödel. Escher, Bach: un’Eterna Ghirlanda Brillante (1979), e che anzi crede di aver trovato nel paradosso la soluzione del mistero della coscienza.2 Sto parlando dei paradossi nel senso che a questo termine attribuisce la logica moderna, o per usare un sinonimo, delle antinomie. Pren-diamo, per fare un esempio, il celebre “paradosso del mentitore”. Normalmente le proposizioni assertive che pronunciamo sono vere, se corrispondono allo stato del mondo che descrivono, o false, se non gli corrispondono. La proposizione «Sto mentendo», invece, non è vera né falsa (i logici dicono che è “indecidibile”). Ammettiamo in-fatti che corrisponda allo stato del mondo che descrive, cioè che io stia effettivamente mentendo. Essa dovrebbe essere vera, ma allora (attenzione!) una frase di questo tipo è vera solo se è falsa, cioè ap-punto se sto mentendo. Viceversa, se essa è falsa, se cioè io non sto mentendo, ciò significa che sto dicendo la verità, dunque essa è falsa solo se è vera. Non tentate di risolvere questo rompicapo, non ci rius-cireste. Se la proposizione «Sto mentendo» viene pronunciata, scatta il paradosso ed è impossibile uscirne.È possibile però comprendere come questo singolare fenomeno possa prodursi. Bertrand Russell nei Principia Mathematica (1913) scritti in collaborazione con Alfred North Whitehead, suggerì che i paradossi siano una conseguenza della confusione tra “tipi logici”. Facciamo un esempio. La proposizione «Il cane ha quattro zampe» non è dello stesso tipo logico, o per dirla in maniera più intuitiva non è allo stesso

1.

1Douglas R. Hoftadter, Gödel. Escher, Bach: un’Eterna Ghirlanda Brillante. Una fuga metaforica su menti e macchine nello spirito di Lewis Carroll [Gödel. Escher, Bach: an Eternal Golden Braid], Milano, Adelphi, 1984.2Si veda in particolare idem, Anelli nell’ io [I Am a Strange Loop, 2007], Milano, Mondadori, 2008.

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livello logico della proposizione «“Cane” ha quattro lettere». La prima parla del mondo, la seconda parla del linguaggio: la prima appartiene al linguaggio, la seconda al “metalinguaggio”, cioè al linguaggio che parla del linguaggio. (Nella seconda proposizione “cane” è tra virgo-lette, proprio per segnalare che non si tratta dell’animale ma di una parola.) E così come parliamo del linguaggio con il metalinguaggio, possiamo parlare del metalinguaggio con il meta-metalinguaggio, per esempio se diciamo: «“ ‘Cane’ ha quattro lettere” è composta di quattro parole». Questa proposizione è di un altro tipo logico ancora, collocato a un diverso livello rispetto al tipo logico della precedente.Torniamo al paradosso del mentitore. La frase «Sto mentendo» di cosa parla? Di me che sto parlando, ed è dunque una frase del nor-male linguaggio, o di se stessa, e appartiene dunque al metalinguag-gio? Parla di me e di sé, ed è proprio qui che sta il problema. È una frase che parla del mondo, ma è anche una frase autoreferenziale, che parla di sé stessa, il che provoca una confusione tra linguaggio e metalinguaggio. Una confusione ineliminabile: è impossibile mettere virgolette dentro quella frase per distinguere il “linguaggio oggetto” dal metalinguaggio. Se avessi detto «La frase “Oggi piove” è falsa» non sarebbe successo niente di strano. Ma se dico «La frase che sto pronunciando è falsa» (che è un’altra formulazione del paradosso del mentitore) sono guai.Hofstadter definisce i paradossi con la metafora “strani anelli”, e pensa che la coscienza non sia altro che uno strano anello che una mente non cosciente, come può essere quella di un calcolatore, ha prodotto autoreferenzialmente con se stessa, divenendo per così dire meta-mente di se stessa.Nel caso del paradosso del mentitore è uno strano anello anche il cir-colo vizioso che si produce tra verità e falsità (se la proposizione è vera allora è falsa, ma se è falsa allora è vera, e se vera allora è falsa…), ma al fondo di questo come di tutti i paradossi c’è uno strano anello che unisce due tipi logici che dovrebbero invece restare rigorosamente separati.

Ancora un po’ di pazienza e arriviamo alla calligrafia. Prima devo parlarvi di un altro filosofo americano, Gregory Bateson (1904-1980), il quale è stato il primo a formulare il concetto di “paradosso prag-matico” o “doppio vincolo [double bind]”, in seguito ampiamente ap-plicato in ambito psichiatrico. Un doppio vincolo è l’incresciosa situ-azione di chi è sottoposto a un’ingiunzione contraddittoria che non gli permette né di ubbidire né di disubbidire. Se qualcuno vi dice: «Sii spontaneo!», oppure «Dimmi che mi vuoi bene, ma non perché ti ho detto io di dirmelo!», potete disubbidire, ma se tentate di ubbidire

2.

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vi trovate comunque a disubbidire. Come vedete si tratta di qual-cosa di analogo al paradosso del mentitore, ma che non riguarda le proposizioni assertive e il loro valore di verità, bensì proposizioni che appartengono piuttosto all’ambito degli “atti linguistici” e la loro effi-cacia. Secondo Bateson, doppi vincoli subiti ripetutamente in ambito familiare potrebbero all’origine della schizofrenia, ma non è questo che qui ci interessa. Per noi è più interessante il fatto che i doppi vincoli più subdoli siano quelli in cui l’ingiunzione contraddittoria si produce grazie a una cornice metacomunicativa che contraddice l’enunciato comunicativo. Per esempio, una madre dice alla figlia, piangendo mentre lava i piatti: «Esci, cara, è giusto che tu vada a di-vertirti!» Secondo il contenuto dell’enunciato la madre sta invitando la figlia a uscire, ma il contesto metacomunicativo dice che farebbe meglio a restare in casa a far compagnia alla mamma. Tutti i giorni, in realtà, contraddiciamo o, meglio riqualifichiamo, i nostri enun-ciati, cioè le proposizioni che diciamo, attraverso i modi della loro enunciazione, cioè con l’atto di dirle. In genere il messaggio è chiaro perché uno dei due livelli logici prevale sull’altro e non avviene tra di loro una vera confusione. Posso manifestare il mio affetto per un amico insultandolo allegramente, e più in generale fare dell’ironia dando tutti i segnali che non sto parlando sul serio. Ma se il mio in-terlocutore resta perplesso perché non capisce se parlo sul serio o sto scherzando, ecco che non siamo lontani dal paradosso e dal doppio vincolo.3 Buona parte dei contenuti metacomunicativi che riqualificano i nos-tri enunciati sono veicolati attraverso il tono della voce. Eccoci alla calligrafia, che utilizzata in funzione espressiva, è per molti aspetti, nell’ambito della lingua scritta, un analogo dell’intonazione. Per fare subito un esempio di calligrafia paradossale, nella quale l’enunciazione contraddice l’enunciato, immaginiamo la parola “pace” scritta con i caratteri gocciolanti sangue utilizzati spesso nei titoli dei film horror. O ancora la parola “immobilità”, scritta con i caratteri del logo delle storie del supereroe Flash, dotati di quei “segni di movimento” che nei fumetti significano che un oggetto o un personaggio si sta muov-endo velocemente. Anche con la calligrafia possiamo fare dell’ironia, e, se rendiamo indecidibile il senso del nostro messaggio, compiere degli atti linguistici contraddittori e paradossali.

3Di Gregory Bateson si veda in particolare Una teoria del gioco e della fantasia [A Theory of Play and Fantasy. A Report on Theoretical Aspects of the Project for Study of the Role of Paradoxes of Abstraction in Communication, 1955] e Verso una teoria della schizophrenia [Toward a Theory of Schizophrenia, 1956], entrambi in idem, Verso un’ecologia della mente Milano, Adelphi, 1976.

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4Non si può non citare a questo proposito quello che è ormai un classico: Alfred Kallir, Segno e disegno. Psicogenesi dell’alfabeto [Sign & Design. The Psychogenetic Source of the Alphabet, [1980], Milano, Spirali, 1994.

Ben più neutro, da questo punto di vista, è il disegno dei caratteri tipografici, che pure è senza dubbio un proseguimento della calligra-fia, nella cui storia affonda le proprie radici. Anche i caratteri tipogra-fici hanno una loro semantica connotativa (tra un carattere con le grazie e uno senza c’è una differenza non solo stilistica, ma persino ideologica), ma tendono alla pura digitalità, alla comunicazione delle sole informazioni necessarie alla loro lettura in quanto segni di suoni della lingua.Anche nella calligrafia manoscritta bisogna per altro fare una distin-zione tra i caratteri alfabetici e quelli ideografici. Per i primi vale in parte il discorso appena fatto a proposito della tipografia, mentre nei secondi la confusione tra il piano figurativo e verbale è certamente più forte. In un ipotetico carattere cuneiforme raffigurante un cane, potremmo davvero trovarci di fronte a un cane con quattro “lettere” che sono anche quattro zampe.È per questo motivo, probabilmente, che la tradizione della calligra-fia si è indebolita in Occidente dopo la diffusione della stampa e che il recente revival della calligrafia occidentale è così fortemente influen-zato dalla calligrafia orientale, come credo anche questa esposizione dimostri.Permettetemi di schizzare uno schema molto astratto della storia del-la calligrafia. La calligrafia occidentale, proprio per il suo carattere alfabetico (digitale), ha sempre avuto come prima funzione la leggi-bilità. Basta guardare i caratteri romani, sia quelli supporto su carta-ceo che su supporto lapidario. È noto però che i caratteri alfabetici derivano da quelli ideografici, e che non hanno mai perduto del tutto un aspetto figurativo.4 Vanno così considerate importanti eccezioni

3.

Anzi, la calligrafia è in qualche modo intrinsecamente paradossale, perché in essa il tipo logico del contenuto comunicativo enuncia-tivo e quello del contenuto metacomunicativo enunciazionale lungi dall’essere ben distinti sono uniti in un unico segno. Per di più nella calligrafia si confondono i livelli del digitale e dell’analogico, del ver-bale e del figurativo. Pittura o scrittura? È una domanda che ci viene spontanea di fronte alle opere esposte in questa mostra. In qualche caso non facciamo fatica a dare la risposta, o almeno a notare che uno dei due codici prevale sull’altro. Ma talvolta restiamo indecisi, preda del paradosso.

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all’affermazione che ho appena fatto, per esempio l’uso figurativo dell’alfabeto nelle iniziali maiuscole dei manoscritti nel Medioevo, o certi alfabeti figurati déco. In Oriente, invece, la calligrafia (shufa in cinese, shodo in giapponese, “la via della scrittura”) è sempre stata una forma di pittura, realizzata non a caso con il pennello e non con lo stilo di canna o il pennino come la calligrafia occidentale. Soprattutto certi esempi di calligrafia zen, corredati talvolta da piccole illustrazioni, fanno sì che ci doman-diamo, come Roland Barthes nella didascalia (manoscritta e quasi calligrafata) di una di queste opere: «Où commence l’écriture? Où commence la peinture?»5 Un caso a parte è la calligrafia araba, che pur essendo alfabetica ha dato esiti decisamente “pittorici”. Questa particolarità deriva proba-bilmente dal fatto che l’interdizione della raffigurazione della figura umana e animale e quindi di fatto della pittura nell’Islam, ha favorito il nascere di una calligrafia figurativa, di una vera e propria arte del calligramma.Dicevo che con l’invenzione della stampa la tradizione calligrafica occidentale è stata sul punto di spegnersi. Va registrata una prima rinascita per opera di William Morris e del movimento, contiguo al neomedievismo dei Preraffaelliti, Art & Crafts, che però ha avuto ricadute soprattutto nella tipografia (basti pensare al fantasioso de-sign dei font di epoca liberty). Il recente revival della calligrafia in Occidente, non avendo un vero background tradizionale su cui svi-lupparsi, ha così dovuto intrecciare il proprio albero genealogico con rami provenienti dal mondo arabo ed estremo-orientale (il che non significa che non abbia salvato e rivitalizzato ciò che rimaneva della tradizione calligrafica occidentale). La nuova calligrafia ha inoltre fatto tesoro dell’uso del carattere al-fabetico da parte della pittura delle avanguardie novecentesche. L’alfabeto era pressoché scomparso dalla pittura occidentale alla fine del Medioevo. Esso ricompare con prepotenza nell’arte delle avan-guardie, nel cubismo per esempio, proprio mentre tende ad assumere una qualità figurativa nella grafica e nella tipografia della stessa ep-oca, in particolare nei futurismi.

5Roland Barthes, L’empire des signes [1970], Paris, Flammarion, 1980, p. 31.6Lo prendo a prestito dal titolo una mostra di Orio Galli. Cfr. Orio Galli, Fantagrafie, con un testo di Ceronetti e uno di chi scrive, edizione a cura dell’autore, 2003.

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In alcuni autori, e ricorderò soprattutto Paul Klee, più che vere lettere alfabetiche compaiono però delle “fantagrafie”. Con questo termine, coniato da Guido Ceronetti,6 dobbiamo intendere quel disegno o

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quella pittura che imitano la scrittura, che appaiono come ideogram-mi o caratteri alfabetici ma che sono in realtà segni astratti, non vera scrittura. La pittura del Rinascimento conosce per esempio dei carat-teri “ebraici” del tutto fantagrafici, e al nome di Klee si dovrebbero aggiungere i nomi di Saul Steinberg, di Cy Twombly, dello stesso Roland Barthes in veste di pittore e di molti altri, tra cui alcuni dei partecipanti a questa mostra. Anche nella fantagrafia abbiamo un paradosso: quello di un segno che si presenta come scrittura, e al tempo stesso si sottrae alla lettura. Ma la fantagrafia non è che il caso limite della normale calligrafia, dal momento che ogni segno alfabetico o ideografico in cui l’aspetto figurativo tenda a prevalere su quello digitale mette a rischio la pro-pria leggibilità. È proprio in ciò, d’altra parte, che risiede il piacere della calligrafia, perché – se non convince l’ipotesi che la coscienza sorga da uno strano anello – è dagli strani anelli che nasce il piacere della mente.

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Francesca Rigotti

Calliambigrammi

Per onorare l’arte della calligrafia cui è dedicata questa mostra con-durrò alcune riflessioni intorno a un tipo molto particolare di esercizio calligrafico, e ai suoi legami con filosofia e creatività: l’ambigramma. Che cos’è l’ambigramma? E’ un modo di giocare con la parola scritta; è un disegno calligrafico che possiede due letture, talvolta della stessa parola, talvolta di due parole diverse, e in cui si passa da una lettura all’altra cambiando l’angolo visuale o esercitando uno sforzo di deci-sione percettiva. La definizione è di Douglas Hofstadter, l’autore di un libro molto famoso negli anni ‘80, Gödel, Escher, Bach: An Eternal Golden Braid, uscito nel 19791, il cui titolo è già un gioco di lettere, GEB, EGB. Hofstadter è uno studioso e professore americano le cui ricerche sono rivolte al pensiero analogico, alla creazione artistica, alla scoperta scientifica ecc. Nell’ottobre del 1988 Hofstadter venne invitato a Locarno a partecipare ai lavori della Terza Conferenza in-ternazionale su Scienza e Società e io andai a Locarno, quell’ottobre, portandomi dietro la baby-sitter e i due figli più piccoli, i gemellini nati quell’anno e che ancora allattavo. Non riuscii certo a partecipare ai lavori del convegno, fu un viaggio più che altro simbolico, ma due anni dopo mi procurai, alla sua uscita, il libro che raccoglieva i con-tributi del simposio, Creativity in the Arts and Science, a cura di Wil-liam R. Shea e Antonio Spadafora2 , tra i quali il saggio di Hofstadter dal quale sono tratte, accuratamente citate, alcune asserzioni che qui riporterò, accompagnate da mie personali ricerche e riflessioni.Gli ambigrammi dunque, di cui qui presento alcuni esempi. Quello di sinistra (fig.1) è un omogramma, cioè un ambigramma le cui let-tere sono identiche perché vi si legge la stessa parola rotandolo di 180°:

Gli ambigrammi

fig.1 fig.2

La fig.2 è invece un eterogramma: le lettere sono diverse e le parole che si leggono sono due: Inversions e Scott Kim, il titolo di un libro e il nome del suo autore.

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Ma perché mi interessano gli ambigrammi, anzi gli eterogrammi o ambigrammi che contengono parole diverse? Per lo stesso motivo per il quale mi interessano le metafore, tanto che continuo a lavorarci sopra da trent’anni e passa. Perché hanno la proprietà di condensare più messaggi in una sola forma espressiva. Perché mi intriga il mec-canismo mentale tramite il quale dicendo «il prato ride» sto affer-mando che il prato fiorito è come un volto sorridente. Lo sto dicendo in forma abbreviata, contratta e compatta, con una similitudo brevis, come definiva la metafora il retore romano Quintiliano. Dico «il prato ride» e evoco con tre parole l’idea di un prato coperto d’erba e di fiori in una giornata di sole, sereno come un volto dove la bocca si apre al sorriso. E gli altri, quel che più conta, mi capiscono. La metafora a livello verbale, come l’ambigramma a livello grafico e og-nuno con le sue modalità espressive, è insomma figura della duplicità nell’unità, compresenza di molti nell’uno, connessione di identità e alterità, uno e molti, endiade e persino paradosso, in quanto affer-mazione di un’apparente falsità, di una conclusione apparentemente inaccettabile (i prati non ridono). Ma non è anche ogni calligrafia paradossale nella sua forma di scrittura-pittura che scrive e dipinge insieme?La definizione di metafora non ha niente a che fare con l’apparenza visuale della frase che la esprime, eppure se dovessi immaginare l’«essenza» della metafora la riprodurrei con un ambigramma, come se i due fossero lontani cugini che condividono un’aria di famiglia; oppure anche con una di quelle immagini doppie, endiadi anch’esse, testa/vaso (o coniglio/anatra o vecchia/giovane o il cubo di Necker (fig. 3), che tutte oscillano tra due letture: e ciò che conta in questa storia è proprio, lo vedremo alla fine, l’oscillazione.

Ambigrammi e metafore

fig.3

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Torniamo però ora agli ambigrammi e veniamo ad occuparci del loro rapporto con la calligrafia o bella scrittura, l’arte visiva della quale il catalogo e la mostra raccolgono mirabili esercizi. Dopo gli studi seminali di Hofstadter, che ne coniò anche il nome, benché tali fig-ure fossero state scoperte ben prima di lui, gli ambigrammi hanno ricevuto negli ultimi anni molte attenzioni per l’essere stati rilanciati alla ribalta da Dan Brown che ne inserì uno nel suo romanzo Angeli e demoni, la parola «illuminati» che ambigrammata si legge una sec-onda volta rotando il foglio di 180° (fig. 4):

Ambigrammi e calligrafia

Ora, l’ambigramma dipende strettamente dalla scrittura del carat-tere, dalla grafia e dalla calligrafia, a differenza del palindromo o parola che si legge nei due sensi in qualunque modo si scriva, per es. OSSO (che è anche, casualmente, un ambigramma naturale. Dal-la calligrafia, ovvero dalla bellezza della scrittura. E’ essenziale che l’ambigramma sia un oggetto elegante dal punto di vista calligrafico; la linea deve essere armoniosa e dimostrare uniformità di stile senza eccessivi ghirigori. Ma la bellezza e l’uniformità di stile sono soltanto componenti estetiche o qualcosa di più? Certo sono essenziali alla calligrafia, che deve per definizione essere bella. Ma sono anche es-senziali alla composizione dell’ambigramma e fondamentali per la sua comprensione? Certo. Per creare un ambigramma devo inventare ogni volta un nuovo alfabeto, anzi non tutto l’alfabeto quanto soltan-to le lettere che compongono i nomi e le parole che voglio unificare con questo esperimento grafico. Per esempio se voglio unire Kim e Scott posso farlo in questo modo (fig. 5):

fig.4

fig.5

ma non arriverò ad alcun risultato ambigrammatico se cercherò di ripetere con la stessa grafia gli stessi caratteri che compongono Kim e Scott in un’altra combinazione, es. mots kitc.Lo studio calligrafico ambigrammatico concerne quindi ogni volta solamente i caratteri dell’alfabeto che compongono quelle parole e solamente quelle. Per tale motivo gli ambigrammi eterogrammi sono

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molto più interessanti degli omogrammi, che scrivono una sola paro-la in maniera leggibile secondo più orientamenti. Oltre a ciò non avrebbe senso inventare, magari al computer, un alfabeto ambigram-maticale buono per tutte le stagioni perché le lettere non sarebbero combinabili se non con un procedimento ad hoc. E dal momento che le combinazioni sono innumerevoli, forse infinite, quali criteri si privilegeranno nella selezione? Semplicità, comprensibilità, eleganza estetica, che sono gli stessi criteri di ogni calligrafia.

La semplicità è uno dei criteri preferiti, non solo da me, in ogni or-dine di creazione mentale. Il suo impiego viene chiamato in filosofia «il rasoio di Occam», dal nome di un monaco francescano inglese vissuto nel sec. XIV, William of Ockham, importante pensatore nominalista che insiste sulla necessità di tagliar via il superfluo e preferire la sobrietà nel numero di enti. E’ un principio di parsimonia ed economia che, esteso alla logica, consiglia di scegliere, tra più ipo-tesi in competizione, quelle che offrono la spiegazione più semplice con il minor numero di assunzioni. Il principio di semplicità, lungi dal collidere con quello di gradevolezza estetica, accentua l’eleganza della soluzione e contribuisce alla comprensibilità del tutto grazie alla riduzione di complessità data dall’eliminare le pieghe in cui si annida l’oscurità («semplice» e «complesso» significano etimologicamente «con una sola piega» e «con molte pieghe»).I calliambigrammi - gli ambigrammi belli, e già che ci siamo, meglio definibili come amfigrammi, per mantenere le radici greche di en-trambe le componenti del termine - presentano, proprio come la cal-ligrafia, il giusto equilibrio, più difficile da definire che da percepire, tra il disegno elegante e l’arzigogolo gratuito e imperdonabile. Come in ogni esercizio calligrafico anche nella scrittura ambigrammatica le lettere devono essere piegate in molti modi, talvolta facendo comp-iere loro curve inusuali, talaltra tagliando piedini e gambette, talaltra ancora aggiungendo riccioletti, affinché la distorsione delle linee e l’amputazione o l’aggiunta dei trattini facilitino la doppia lettura.

Semplicità, comprensibilità, eleganza estetica

Per creare ambigrammi occorrono – precisa Hofstadter3 - tre doti principali: buona immaginazione per guardare una cosa e vedere in quella molte altre; capacità di autocensura per capire se e quando l’operazione risulta troppo forzata, nonché abilità manuale nel tracci-are curve eleganti, linee rette, angoli ecc. Aggiungerei, da parte mia, un requisito filosofico, anzi metafisico: conoscenza dell’«essenza» di

Creare ambigrammi

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una lettera, la sua «A-ità» o «B-ità» ecc. Quando una A finisce di es-sere una a, una B una b? Fino a che punto posso forzare la mente e l’immaginazione e chiederle di riconoscere una M in due T, o due T in una M come nell’ambigramma KIM/SCOTT della fig. 5?Una volta negli Stati Uniti, a una scuola di lingua dello YMCA, una signora coreana mi disse che nel mio esercizio avevo «sbagliato» a scrivere la p, perché avevo tracciato un anello tornando in su dalla gambetta. Questa non è una p, mi sgridò compunta la mia compagna di corso, per la quale la mia p corsiva non era evidentemente ricono-scibile, probabilmente perché i suoi criteri di definizione ontologica della p erano molto più rigidi di quelli di una persona abituata a scrivere in caratteri latini.Credo che, per avvicinarci alla conclusione, sia importante riconoscere una buona dose di creatività alla base del processo di composizione di un ambigramma, che coincide in gran parte con la creatività richiesta per esercizi calligrafici non banali come quelli presentati in questa mostra. La componente creativa è data dalla capacità di cambiare, di muoversi, di oscillare, di vedere le cose in più modi, di andare e tornare prendendo e portando ogni volta qualcosa di nuovo, anche così piccolo da apparire insignificante, come mi è capitato di scrivere in un mio libro4 . Occorre insomma praticare un’interazione costante tra le lettere intese come categorie astratte, nella loro «letterità» (A-ità, B-ità ecc.) e le forme delle lettere come figure geometriche, cercando soluzioni nuove e anche azzardate che però garantiscano leggibilità e comprensibilità. Lo spirito della creatività è infatti quello di uscire dal seminato, creare nuovi collegamenti e agganci senza trascendere nel mistico e nell’indicibile, che è un’altra storia che ha a che fare con la creazione divina, non con la creatività umana. Senza dimenticare che la ricerca di una soluzione creativa, i.e. semplice, comprensibile e esteticamente gradevole è faticosa, quanto il raggiungimento del risultato, nel nostro caso un buon ambigramma o un bell’esito cal-ligrafico, è liberatorio e appagante.

1Douglas R. Hofstadter, Gödel, Escher, Bach: An Eternal Golden Braid, Hassocks, Harvester Press, 19792William R. Shea e Antonio Spadafora (editors), Creativity in the Arts and Science, Canton, MA, Science History Publications, 1990, che contiene il contributo di Hof-stadter, Ambigrammatics and Creativity, pp. 26-54. 3D. Hofstadter, Ambrigrammatics and Creativity, cit., p. 42.4Francesca Rigotti, Il pensiero pendolare, Bologna, il Mulino, 2006.

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Che nessuno insegua il passato, né coltivi aspettative per il futuro, perché il passato non c’ è più e il futuro non è ancora ar-rivato...Che nessuno insegua il passato, né coltivi aspettative per il futuro, perché il passato non c’ è più e il futuro non è an-cora arrivato...Che nessuno insegua il pas-sato, né coltivi aspettative per il futuro, perché il passato non c’ è più e il futuro non è ancora arrivato...Che nessuno insegua il passato, né coltivi aspettative per il futuro, perché il passato non c’ è più e il futuro non è ancora arrivato...Che nessuno insegua il passato, né coltivi aspettative per il futuro, perché il passato non c’ è più e il futuro non è ancora arrivato...Che nessuno insegua il passato, né coltivi aspettative per il futuro,

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Eliana [email protected]

�Tra due ondeacquarello e inchiostro su carta, 29 x 29 cm, 2012

�Domani potrebbe sopraggiungere la morte acquarello, inchiostro e cotone su carta, 29 x 29 cm, 2012

da Corrado Pensa, Il silenzio tra due onde

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Che nessuno insegua il passato, né coltivi aspettative per il futuro, perché il passato non c’ è più e il futuro non è ancora ar-rivato...Che nessuno insegua il passato, né coltivi aspettative per il futuro, perché il passato non c’ è più e il futuro non è an-cora arrivato...Che nessuno insegua il pas-sato, né coltivi aspettative per il futuro, perché il passato non c’ è più e il futuro non è ancora arrivato...Che nessuno insegua il passato, né coltivi aspettative per il futuro, perché il passato non c’ è più e il futuro non è ancora arrivato...Che nessuno insegua il passato, né coltivi aspettative per il futuro, perché il passato non c’ è più e il futuro non è ancora arrivato...Che nessuno insegua il passato, né coltivi aspettative per il futuro,

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…La parola “vita” è la regina di tutte le parole. Una regina attorniata da altre grandi parole: “avventura”, “avvenire”, “speranza”! …Possiamo rimproveraci un gesto, una frase, ma non un sentimento; su di esso non abbiamo alcun potere…”Com’è nata un’amicizia? Sicuramente come alleanza contro le avversità, un’alleanza senza la quale l’uomo si sarebbe trovato disarmato di fronte ai suoi nemici. Forse oggi un’alleanza di questo genere non rappresenta più una necessità vitale”. …La parola “vita” è la regina di tutte le parole. Una regina attorniata da altre grandi parole: “avventura”, “avvenire”, “speranza”! …Possiamo rimproveraci un gesto, una frase, ma non un sentimento; su

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Loredana [email protected]

�La finestra dell’animainchiostro su carta di cotone e foglia d’oro, 108 x 78 cm, 2012

�L’identitàinchiostro, stampa su carta di cotone, appoggio su tela con collage e acrilico, 100x80 cm, 2012 da Milan Kundera, L’identità

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…La parola “vita” è la regina di tutte le parole. Una regina attorniata da altre grandi parole: “avventura”, “avvenire”, “speranza”! …Possiamo rimproveraci un gesto, una frase, ma non un sentimento; su di esso non abbiamo alcun potere…”Com’è nata un’amicizia? Sicuramente come alleanza contro le avversità, un’alleanza senza la quale l’uomo si sarebbe trovato disarmato di fronte ai suoi nemici. Forse oggi un’alleanza di questo genere non rappresenta più una necessità vitale”. …La parola “vita” è la regina di tutte le parole. Una regina attorniata da altre grandi parole: “avventura”, “avvenire”, “speranza”! …Possiamo rimproveraci un gesto, una frase, ma non un sentimento; su

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Gojko, s’accese una sigaretta, non diede nemmeno un tiro. Si mise le mani sulla faccia e cominciò a singhiozzare forte, senza ritegno. Guardavo quella sigaretta che si consumava tra le dita chiuse e che a un certo punto cadde, morì in terra. Fu un pianto terribile, sgraziato come quello di una bestia. Con quelle mani incollate al viso sosteneva le macerie di quel futuro tragico che ormai lo aveva raggiunto. Se ci ripenso so che per me quel pianto fu l’ inizio della guerra. Gojko, s’accese una sigaretta, non diede nemmeno un tiro. Si mise le mani sulla faccia e cominciò a singhiozzare forte, senza ritegno. Guardavo quella sigaretta che si consumava tra le dita chiuse e che a un certo punto cadde, morì in terra. Fu un

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Lorenza [email protected]

��Gojkotecnica mista su carta, dittico, ogni foglio 70 x 25 cm, 2012 da Margaret Mazzantini, Venuto al mondo

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Gojko, s’accese una sigaretta, non diede nemmeno un tiro. Si mise le mani sulla faccia e cominciò a singhiozzare forte, senza ritegno. Guardavo quella sigaretta che si consumava tra le dita chiuse e che a un certo punto cadde, morì in terra. Fu un pianto terribile, sgraziato come quello di una bestia. Con quelle mani incollate al viso sosteneva le macerie di quel futuro tragico che ormai lo aveva raggiunto. Se ci ripenso so che per me quel pianto fu l’ inizio della guerra. Gojko, s’accese una sigaretta, non diede nemmeno un tiro. Si mise le mani sulla faccia e cominciò a singhiozzare forte, senza ritegno. Guardavo quella sigaretta che si consumava tra le dita chiuse e che a un certo punto cadde, morì in terra. Fu un

Page 26: una pagina una storia

Libri gli bombardavano le spalle, le braccia, il viso volto all’ insù. Un volume scese, quasi docilmente, come un colomba bianco, tra le sue mani, le ali tremule. Nella luce fioca, vacillante, una pagina rimase aperta e ferma ed era come una penna nivea, con le parole delicatamente dipintevi sopra. In tutta quella confusione, quella fretta, Montag ebbe soltanto il tempo di leggere una riga, ma quella riga gli fiammeggiò nella mente nel minuto successivo come se vi fosse stata impressa con un ferro rovente. “ Il tempo si è assopito nel gran sole del meriggio”. Libri gli bombardavano le spalle, le braccia, il viso volto all’ insù. Un volume scese, quasi docilmente, come un colomba bianco, tra le sue mani, le ali tremule. Nella luce fioca,

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Gabriela Carbognani [email protected]

�Censura libro bruciato posto in un cubo di plexiglass, 30 x 30 cm, 2012

�Alchimiapagina bruciata e calligrafia con foglia d’oro, 32 x 22 cm, 2012

da: Ray Bradbury, Fahrenheit 451

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Libri gli bombardavano le spalle, le braccia, il viso volto all’ insù. Un volume scese, quasi docilmente, come un colomba bianco, tra le sue mani, le ali tremule. Nella luce fioca, vacillante, una pagina rimase aperta e ferma ed era come una penna nivea, con le parole delicatamente dipintevi sopra. In tutta quella confusione, quella fretta, Montag ebbe soltanto il tempo di leggere una riga, ma quella riga gli fiammeggiò nella mente nel minuto successivo come se vi fosse stata impressa con un ferro rovente. “ Il tempo si è assopito nel gran sole del meriggio”. Libri gli bombardavano le spalle, le braccia, il viso volto all’ insù. Un volume scese, quasi docilmente, come un colomba bianco, tra le sue mani, le ali tremule. Nella luce fioca,

Page 28: una pagina una storia

Être sans sujet aucun de livre, sans aucune idée de livre, c’est se trouver, se retrouver devant un livre. Une immensité vide. Un livre éventuel. Devant rien. Devant comme une écriture vivante et nue, comme terrible, terrible à surmonter. Je crois que la personne qui écrit est sans idée de livre, qu’elle a les mains vides, la tête vide, et qu’elle ne connaît de cette aventure du livre que l’ écriture sèche et nue, sans avenir, sans écho, lointaine, avec ses règles d’or, élémentaires : l’orthographe, le sens. Être sans sujet aucun de livre, sans aucune idée de livre, c’est se trouver, se retrouver devant un livre. Une immensité vide. Un livre éventuel. Devant rien. Devant comme une écriture vivante et nue, comme terrible, terrible à surmonter.

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Martine [email protected]

��Écrireinstallazione, 110 x 20 cm, + 4 quadri, ognuno 30 x30 cm da Marguerite Duras, Écrire

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Être sans sujet aucun de livre, sans aucune idée de livre, c’est se trouver, se retrouver devant un livre. Une immensité vide. Un livre éventuel. Devant rien. Devant comme une écriture vivante et nue, comme terrible, terrible à surmonter. Je crois que la personne qui écrit est sans idée de livre, qu’elle a les mains vides, la tête vide, et qu’elle ne connaît de cette aventure du livre que l’ écriture sèche et nue, sans avenir, sans écho, lointaine, avec ses règles d’or, élémentaires : l’orthographe, le sens. Être sans sujet aucun de livre, sans aucune idée de livre, c’est se trouver, se retrouver devant un livre. Une immensité vide. Un livre éventuel. Devant rien. Devant comme une écriture vivante et nue, comme terrible, terrible à surmonter.

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I numeri primi sono divisibili soltanto per 1 e per sé stessi. Se ne stanno al loro posto nell’ infinita serie dei numeri naturali, schiacciati come tutti fra due, ma un passo in là rispetto agli altri. Sono numeri sospettosi e solitari e per questo Mattia le trovava meravigliosi. Certe volte pensava che in quella sequenza ci fossero finiti per sbaglio, che vi fossero rimasti intrappolati come perline infilate in una collana. Altre volte, invece sospettava che anche a loro sarebbe piaciuto essere come tutti, solo dei numeri qualunque… I numeri primi sono divisibili soltanto per 1 e per sé stessi. Se ne stanno al loro posto nell’ infinita serie dei numeri naturali, schiacciati come tutti fra due, ma un passo in là rispetto agli altri. Sono numeri

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Nathalie [email protected]

�Tormentoinchiostro e acquarello su carta, 100x70 cm, 2012

�Gabbiainchiostro e acquarello su carta, 70x50 cm, 2012 da Paolo Giordano, La solitudine dei numeri primi

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I numeri primi sono divisibili soltanto per 1 e per sé stessi. Se ne stanno al loro posto nell’ infinita serie dei numeri naturali, schiacciati come tutti fra due, ma un passo in là rispetto agli altri. Sono numeri sospettosi e solitari e per questo Mattia le trovava meravigliosi. Certe volte pensava che in quella sequenza ci fossero finiti per sbaglio, che vi fossero rimasti intrappolati come perline infilate in una collana. Altre volte, invece sospettava che anche a loro sarebbe piaciuto essere come tutti, solo dei numeri qualunque… I numeri primi sono divisibili soltanto per 1 e per sé stessi. Se ne stanno al loro posto nell’ infinita serie dei numeri naturali, schiacciati come tutti fra due, ma un passo in là rispetto agli altri. Sono numeri

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Alice cominciava a non poterne più di stare seduta sulla sponda accanto alla sorella, senza far niente; una volta o due aveva provato a sbirciare il libro che la sorella leggeva, ma non c’erano figure né dialoghi, “e a che serve un libro” aveva pensato Alice “senza figure e senza dialoghi?”. Ragion per cui stava tentando di decidere fra sé (meglio che poteva, perché il caldo della giornata la faceva sentire torbida e istupidita) se il piacere di confezionare una collana di margherite sarebbe valso la pena di alzarsi e cogliere i fiori, quand’ecco che d’un tratto le passò accanto di corsa un coniglio bianco dagli occhi rosa. In questo non c’era niente di tanto notevole; né ad Alice parve dopotutto così straordinario sentire un Coniglio dire

Giovanna Croci Maspoli - [email protected]

��Vedo quello che vedotecnica mista (carta, inchiostro, acrilico, tessuto), 120x100 cm, 2012

da Lewis Carroll, Alice nel Paese delle Meraviglie

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Alice cominciava a non poterne più di stare seduta sulla sponda accanto alla sorella, senza far niente; una volta o due aveva provato a sbirciare il libro che la sorella leggeva, ma non c’erano figure né dialoghi, “e a che serve un libro” aveva pensato Alice “senza figure e senza dialoghi?”. Ragion per cui stava tentando di decidere fra sé (meglio che poteva, perché il caldo della giornata la faceva sentire torbida e istupidita) se il piacere di confezionare una collana di margherite sarebbe valso la pena di alzarsi e cogliere i fiori, quand’ecco che d’un tratto le passò accanto di corsa un coniglio bianco dagli occhi rosa. In questo non c’era niente di tanto notevole; né ad Alice parve dopotutto così straordinario sentire un Coniglio dire

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Sapeva leggere. Fu la scoperta più importante di tutta la sua vita. Sapeva leggere. Possedeva l’antidoto contro il terribile veleno della vecchiaia. Sapeva leggere. Ma non aveva niente da leggere. Sapeva leggere. Fu la scoperta più importante di tutta la sua vita. Sapeva leggere. Possedeva l’antidoto contro il terribile veleno della vecchiaia. Sapeva leggere. Ma non aveva niente da leggere. Sapeva leggere. Fu la scoperta più importante di tutta la sua vita. Sapeva leggere. Possedeva l’antidoto contro il terribile veleno della vecchiaia. Sapeva leggere. Ma non aveva niente da leggere. Sapeva leggere. Fu la scoperta più importante di tutta la sua vita. Sapeva leggere. Possedeva l’antidoto contro il terribile

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Manuela [email protected]

�Sapeva leggere I inchiostri su carta 50x65 cm., 2012

�Sapeva leggere II inchiostri su carta 50x65 cm., 2012

da Luis Sepulveda, Il vecchio che leggeva romanzi d’amore

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Sapeva leggere. Fu la scoperta più importante di tutta la sua vita. Sapeva leggere. Possedeva l’antidoto contro il terribile veleno della vecchiaia. Sapeva leggere. Ma non aveva niente da leggere. Sapeva leggere. Fu la scoperta più importante di tutta la sua vita. Sapeva leggere. Possedeva l’antidoto contro il terribile veleno della vecchiaia. Sapeva leggere. Ma non aveva niente da leggere. Sapeva leggere. Fu la scoperta più importante di tutta la sua vita. Sapeva leggere. Possedeva l’antidoto contro il terribile veleno della vecchiaia. Sapeva leggere. Ma non aveva niente da leggere. Sapeva leggere. Fu la scoperta più importante di tutta la sua vita. Sapeva leggere. Possedeva l’antidoto contro il terribile

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Dolce tesoro mio, come stai? Anche oggi ti ho cercata al telefono e tu non c’eri, ma lì, nella tua lontananza, ti trattano bene? Mi raccomando, se solo ti sfiorano un capello, tu mandami a dire, che con la rabbia del corpo mi mangio le strade e ti raggiungo, e dopo voglio proprio vedere. Dolce tesoro mio, come stai? Anche oggi ti ho cercata al telefono e tu non c’eri, ma lì, nella tua lontananza, ti trattano bene? Mi raccomando, se solo ti sfiorano un capello, tu mandami a dire, che con la rabbia del corpo mi mangio le strade e ti raggiungo, e dopo voglio proprio vedere. Dolce tesoro mio, come stai? Anche oggi ti ho cercata al telefono e tu non c’eri, ma lì, nella tua lontananza, ti trattano bene? Mi raccomando, se solo ti sfiorano

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Cinzia [email protected]

��Mandami a direlinoleografia stampata a mano, su carta, 70 x 50 cm, 2012 da Pino Roveredo, Mandami a dire

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Dolce tesoro mio, come stai? Anche oggi ti ho cercata al telefono e tu non c’eri, ma lì, nella tua lontananza, ti trattano bene? Mi raccomando, se solo ti sfiorano un capello, tu mandami a dire, che con la rabbia del corpo mi mangio le strade e ti raggiungo, e dopo voglio proprio vedere. Dolce tesoro mio, come stai? Anche oggi ti ho cercata al telefono e tu non c’eri, ma lì, nella tua lontananza, ti trattano bene? Mi raccomando, se solo ti sfiorano un capello, tu mandami a dire, che con la rabbia del corpo mi mangio le strade e ti raggiungo, e dopo voglio proprio vedere. Dolce tesoro mio, come stai? Anche oggi ti ho cercata al telefono e tu non c’eri, ma lì, nella tua lontananza, ti trattano bene? Mi raccomando, se solo ti sfiorano

Page 38: una pagina una storia

…Jasper Gwyn ebbe d’un tratto la limpida sensazione che quanto faceva ogni giorno per guadagnarsi da vivere non era più adatto a lui. Voleva in qualche modo mettersi spalle al muro perché sapeva che solo in quel modo avrebbe avuto una chance di trovare, in se stesso, quello che cercava. Le risoluzioni definitive si prendono sempre e soltanto per uno stato d’animo che non è destinato a durare. Jasper Gwyn mi ha insegnato che non siamo personaggi, siamo storie. Ci fermiamo all’ idea di essere un personaggio impegnato in chissà quale avventura, anche semplicissima, ma quel che dovremmo capire è che noi siamo tutta la storia, non solo quel personaggio. Siamo il bosco dove cammina, il cattivo che lo frega,

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Anita [email protected]

��Possibilmente imperscrutabile inchiostro su carta Fabriano e legno di faggio, 77 x 57 x 6 cm, 2012 da Alessandro Baricco, Mr. Gwyn

Page 39: una pagina una storia

…Jasper Gwyn ebbe d’un tratto la limpida sensazione che quanto faceva ogni giorno per guadagnarsi da vivere non era più adatto a lui. Voleva in qualche modo mettersi spalle al muro perché sapeva che solo in quel modo avrebbe avuto una chance di trovare, in se stesso, quello che cercava. Le risoluzioni definitive si prendono sempre e soltanto per uno stato d’animo che non è destinato a durare. Jasper Gwyn mi ha insegnato che non siamo personaggi, siamo storie. Ci fermiamo all’ idea di essere un personaggio impegnato in chissà quale avventura, anche semplicissima, ma quel che dovremmo capire è che noi siamo tutta la storia, non solo quel personaggio. Siamo il bosco dove cammina, il cattivo che lo frega,

Page 40: una pagina una storia

“Padre,” disse il mattino del suo compleanno, in riva al fiume argentato, “voglio diventare poeta.” “La poesia non è un mestiere. È un passatempo. Le poesie sono acqua che scorre. Come questo fiume.” Yuko tuffò lo sguardo nell’acqua silenziosa e lesta. Poi si voltò verso il padre e disse: “ È esattamente quello che voglio fare. Imparare a guardare il tempo che scorre.” “Padre,” disse il mattino del suo compleanno, in riva al fiume argentato, “voglio diventare poeta.” “La poesia non è un mestiere. È un passatempo. Le poesie sono acqua che scorre. Come questo fiume.” Yuko tuffò lo sguardo nell’acqua silenziosa e lesta. Poi si voltò verso il padre e disse: “ È esattamente quello che voglio fare. Imparare a guardare il tempo che scorre.” “Padre,”

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Nicoletta [email protected]

�Il tempo che scorre collage, inchiostro, tempera su carta velina, 48 x 19 cm, 2012

�Yoko amava l’arte dell’haiku, la neve e il numero 7 collage, inchiostro, tempera su carta velina, 33 x 20 cm, 2012 da Maxence Fermine, Neve

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“Padre,” disse il mattino del suo compleanno, in riva al fiume argentato, “voglio diventare poeta.” “La poesia non è un mestiere. È un passatempo. Le poesie sono acqua che scorre. Come questo fiume.” Yuko tuffò lo sguardo nell’acqua silenziosa e lesta. Poi si voltò verso il padre e disse: “ È esattamente quello che voglio fare. Imparare a guardare il tempo che scorre.” “Padre,” disse il mattino del suo compleanno, in riva al fiume argentato, “voglio diventare poeta.” “La poesia non è un mestiere. È un passatempo. Le poesie sono acqua che scorre. Come questo fiume.” Yuko tuffò lo sguardo nell’acqua silenziosa e lesta. Poi si voltò verso il padre e disse: “ È esattamente quello che voglio fare. Imparare a guardare il tempo che scorre.” “Padre,”

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Mi segui con un pensiero, sei un pensiero che non devo nemmeno pensare, come un brivido mi strini piano la pelle, muovi gli occhi verso un punto chiaro di luce. Sei un ricordo perduto e luminoso, sei il mio sogno senza sogno e senza ricordi, la porta che chiude e apre sulla corrente di un fiume impetuoso. Sei una cosa che nessuna parola può dire e che in ogni parola risuona come l’eco di un lento respiro, sei il mio vento di foglie e primavere, la voce che chiama da un posto che non so e riconosco e che è mio. Sei l’ululato di un lupo, la voce del cervo vivo e ferito a morte. Il mio corpo stellare. Mi segui con un pensiero, sei un pensiero che non devo nemmeno pensare, come un brivido mi strini piano la pelle, muovi gli

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Maurilia Minoli - [email protected]

�Corpo stellare 7 inchiostro e gouache su carta velina e cartone, 70x50 cm, 2011

�Corpo stellare 1 inchiostro e carboncino su carta 68 x 55 cm, 2012 da Fabio Pusterla, Corpo stellare

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Mi segui con un pensiero, sei un pensiero che non devo nemmeno pensare, come un brivido mi strini piano la pelle, muovi gli occhi verso un punto chiaro di luce. Sei un ricordo perduto e luminoso, sei il mio sogno senza sogno e senza ricordi, la porta che chiude e apre sulla corrente di un fiume impetuoso. Sei una cosa che nessuna parola può dire e che in ogni parola risuona come l’eco di un lento respiro, sei il mio vento di foglie e primavere, la voce che chiama da un posto che non so e riconosco e che è mio. Sei l’ululato di un lupo, la voce del cervo vivo e ferito a morte. Il mio corpo stellare. Mi segui con un pensiero, sei un pensiero che non devo nemmeno pensare, come un brivido mi strini piano la pelle, muovi gli

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Il vento che stasera suona attento - ricorda un forte scotere di lame -gli strumenti dei fitti alberi e spazza l’orizzonte di rame dove strisce di luce si protendono come aquiloni al cielo che rimbomba (Nuvole in viaggio, chiari reami di lassù! D’alti Eldoradi malchiuse porte!) e il mare che scaglia a scaglia, livido, muta colore lancia a terra una tromba di schiume intorte; il vento che nasce e muore nell’ora che lenta s’annera suonasse te pure stasera scordato strumento cuore Il vento che stasera suona attento - ricorda un forte scotere di lame -gli strumenti dei fitti alberi e spazza l’orizzonte di rame dove strisce di luce si protendono come aquiloni al cielo che rimbomba (Nuvole in viaggio, chiari reami di lassù! D’alti Eldoradi malchiuse

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Enzo [email protected]

�Scordato strumento tecnica mista su carta, 84 x 55 cm, 2012

�Meriggiare tecnica mista su carta, 56 x 42 cm, 2012 da Eugenio Montale, Ossi di seppia

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Il vento che stasera suona attento - ricorda un forte scotere di lame -gli strumenti dei fitti alberi e spazza l’orizzonte di rame dove strisce di luce si protendono come aquiloni al cielo che rimbomba (Nuvole in viaggio, chiari reami di lassù! D’alti Eldoradi malchiuse porte!) e il mare che scaglia a scaglia, livido, muta colore lancia a terra una tromba di schiume intorte; il vento che nasce e muore nell’ora che lenta s’annera suonasse te pure stasera scordato strumento cuore Il vento che stasera suona attento - ricorda un forte scotere di lame -gli strumenti dei fitti alberi e spazza l’orizzonte di rame dove strisce di luce si protendono come aquiloni al cielo che rimbomba (Nuvole in viaggio, chiari reami di lassù! D’alti Eldoradi malchiuse

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Sospes a sull’abisso, la vita degli abitanti d’Ottavia è meno incerta c he in altre città. Sanno che più di tanto la rete non regge Sospesa sull’abisso, la vita degli abitanti d’Ottavia è meno incerta che in altre città. Sanno che più di tanto la rete non regge Sospesa sull’abisso, la vita degli abitanti d’Ottavia è meno incerta che in altre città. Sanno che più di tanto la rete non regge. Sospesa sull’abisso, la vita degli abitanti d’Ottavia è meno incerta che in altre città. Sanno che più di tanto la rete non regge. Sospesa sull’abisso, la vita degli abitanti d’Ottavia è meno ince in alt re città. Sanno che più di tanto la rete non regge Sospesa sull’abisso, la vita degli abitanti d’Ottavia è meno incerta che in

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Aymone [email protected]

��Ottavia, la città invisibileelaborazione digitale, 30x30 cm, 2012 da Italo Calvino, Le città invisibili

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Sospes a sull’abisso, la vita degli abitanti d’Ottavia è meno incerta c he in altre città. Sanno che più di tanto la rete non regge Sospesa sull’abisso, la vita degli abitanti d’Ottavia è meno incerta che in altre città. Sanno che più di tanto la rete non regge Sospesa sull’abisso, la vita degli abitanti d’Ottavia è meno incerta che in altre città. Sanno che più di tanto la rete non regge. Sospesa sull’abisso, la vita degli abitanti d’Ottavia è meno incerta che in altre città. Sanno che più di tanto la rete non regge. Sospesa sull’abisso, la vita degli abitanti d’Ottavia è meno ince in alt re città. Sanno che più di tanto la rete non regge Sospesa sull’abisso, la vita degli abitanti d’Ottavia è meno incerta che in

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…lo spazio è il respiro dell’arte: Frank Lloyd Wright …lo spazio è il respiro dell’arte: Frank Lloyd Wright …lo spazio è il respiro dell’arte: Frank Lloyd Wright …lo spazio è il respiro dell’arte: Frank Lloyd Wright …lo spazio è il respiro dell’arte: Frank Lloyd Wright …lo spazio è il respiro dell’arte: Frank Lloyd Wright …lo spazio è il respiro dell’arte: Frank Lloyd Wright …lo spazio è il respiro dell’arte: Frank Lloyd Wright …lo spazio è il respiro dell’arte: Frank Lloyd Wright …lo spazio è il respiro dell’arte: Frank Lloyd Wright …lo spazio è il respiro dell’arte: Frank Lloyd Wright …lo spazio è il respiro dell’arte: Frank Lloyd Wright …lo spazio è il respiro dell’arte: Frank Lloyd Wright …lo spazio è il respiro dell’arte:

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Paola [email protected]

��Qualcosa da sentirecollage fotografico su carta cotone, 50 x 75 cm, 2012 da Axel Vervoordt, Dove il tempo diventa arte

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…lo spazio è il respiro dell’arte: Frank Lloyd Wright …lo spazio è il respiro dell’arte: Frank Lloyd Wright …lo spazio è il respiro dell’arte: Frank Lloyd Wright …lo spazio è il respiro dell’arte: Frank Lloyd Wright …lo spazio è il respiro dell’arte: Frank Lloyd Wright …lo spazio è il respiro dell’arte: Frank Lloyd Wright …lo spazio è il respiro dell’arte: Frank Lloyd Wright …lo spazio è il respiro dell’arte: Frank Lloyd Wright …lo spazio è il respiro dell’arte: Frank Lloyd Wright …lo spazio è il respiro dell’arte: Frank Lloyd Wright …lo spazio è il respiro dell’arte: Frank Lloyd Wright …lo spazio è il respiro dell’arte: Frank Lloyd Wright …lo spazio è il respiro dell’arte: Frank Lloyd Wright …lo spazio è il respiro dell’arte:

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“E se si considerasse la questione da un punto di vista diverso? Se il problema non fosse mio, ma del mondo che mi circonda? Se l’anomalia non avesse origine nella mia coscienza o nel mio spirito, ma fosse il mondo intorno a me ad aver subito una trasformazione sotto l’ influsso di una forza incomprensibile?….Allora decise di portare ancora più avanti la sua riflessione. “A generare disordine non sono io, ma il mondo”. “A un certo punto il mondo che conoscevo è scomparso, o uscito di scena, e gli si è sostituito un altro mondo.Come quando la corsia di un treno devia da un binario all’altro.“…..E’ meglio che pensi a un nome adatto per la nuova situazione in cui mi sono venuta a trovare. Servirà anche

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Luisa [email protected]

�Andare in un luogo sconosciuto a incontrare una persona sconosciutainchiostro su carta, 32,5x25 cm, 2012

�Cose che non si possono contare sulle ditainchiostro su carta, 32,5x25 cm, 2012

da Haruki Murakami, 1Q84

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“E se si considerasse la questione da un punto di vista diverso? Se il problema non fosse mio, ma del mondo che mi circonda? Se l’anomalia non avesse origine nella mia coscienza o nel mio spirito, ma fosse il mondo intorno a me ad aver subito una trasformazione sotto l’ influsso di una forza incomprensibile?….Allora decise di portare ancora più avanti la sua riflessione. “A generare disordine non sono io, ma il mondo”. “A un certo punto il mondo che conoscevo è scomparso, o uscito di scena, e gli si è sostituito un altro mondo.Come quando la corsia di un treno devia da un binario all’altro.“…..E’ meglio che pensi a un nome adatto per la nuova situazione in cui mi sono venuta a trovare. Servirà anche

Page 52: una pagina una storia

L’esperienza è un passaggio forte della vita quotidiana: un luogo in cui la percezione del reale si raggruma in pietra miliare, ricordo e racconto. È il momento in cui l’umano prende possesso del suo reame. Per un attimo ne è padrone e non servo. Fare esperienza di qualcosa, significa salvarsi. Non è detto che sia sempre possibile. L’esperienza è un passaggio forte della vita quotidiana: un luogo in cui la percezione del reale si raggruma in pietra miliare, ricordo e racconto. È il momento in cui l’umano prende possesso del suo reame. Per un attimo ne è padrone e non servo. Fare esperienza di qualcosa, significa salvarsi. Non è detto che sia sempre possibile. L’esperienza è un passaggio forte della uotidiana: un luogo

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Philipp [email protected]

��I Barbari: saggio sulla mutazioneelaborazione digitale, 30x30 cm, 2012

da Alessandro Baricco, I Barbari: saggio sulla mutazione

Page 53: una pagina una storia

L’esperienza è un passaggio forte della vita quotidiana: un luogo in cui la percezione del reale si raggruma in pietra miliare, ricordo e racconto. È il momento in cui l’umano prende possesso del suo reame. Per un attimo ne è padrone e non servo. Fare esperienza di qualcosa, significa salvarsi. Non è detto che sia sempre possibile. L’esperienza è un passaggio forte della vita quotidiana: un luogo in cui la percezione del reale si raggruma in pietra miliare, ricordo e racconto. È il momento in cui l’umano prende possesso del suo reame. Per un attimo ne è padrone e non servo. Fare esperienza di qualcosa, significa salvarsi. Non è detto che sia sempre possibile. L’esperienza è un passaggio forte della uotidiana: un luogo

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Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura ché la diritta via era smarrita. Ahi quanto a dir qual era è cosa dura esta selva selvaggia e aspra e forte che nel pensier rinova la paura! Tant’ è amara che poco è più morte; ma per trattar del ben ch’ i’ vi trovai, dirò de l’altre cose ch’ i’ v’ ho scorte. Io non so ben ridir com’ i’ v’ intrai, tant’era pien di sonno a quel punto che la verace via abbandonai. Ma poi ch’ i’ fui al piè d’un colle giunto, là dove terminava quella valle che m’avea di paura il cor compunto, guardai in alto, e vidi le sue spalle vestite già de’ raggi del pianeta che mena dritto altrui per ogne calle. Allor fu la paura un poco queta. Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una

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Peter [email protected]

��Dante senza fineInstallazione: tecnica mista (legno, cartone, china, tempera), 200x100 cm, 2012 da Dante Alighieri, Divina Commedia Inferno, canto 1 (1-19)

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Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura ché la diritta via era smarrita. Ahi quanto a dir qual era è cosa dura esta selva selvaggia e aspra e forte che nel pensier rinova la paura! Tant’ è amara che poco è più morte; ma per trattar del ben ch’ i’ vi trovai, dirò de l’altre cose ch’ i’ v’ ho scorte. Io non so ben ridir com’ i’ v’ intrai, tant’era pien di sonno a quel punto che la verace via abbandonai. Ma poi ch’ i’ fui al piè d’un colle giunto, là dove terminava quella valle che m’avea di paura il cor compunto, guardai in alto, e vidi le sue spalle vestite già de’ raggi del pianeta che mena dritto altrui per ogne calle. Allor fu la paura un poco queta. Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una

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Scrivere a mano non ha quasi più una funzione pratica; in compenso il calligrafo moderno è molto più libero degli antichi scrivani. Può avvicinarsi alle parole in modo nuovo, interpretandole secondo mo-tivazioni interiori, senza doversi attenere a canoni e regole. Può sceg-liere liberamente autori e testi, e perfino decidere di renderli parzial-mente illeggibili, sacrificando ad altri valori la loro comprensibilità. In questa mostra, 18 calligrafi attivi in Ticino hanno scelto di met-tersi in gioco e di confrontarsi con autori che hanno avuto un signifi-cato particolare nella loro esperienza di vita: troviamo in questa lista scrittori diversissimi, Dante Alighieri e Ray Bradbury, Italo Calvino e Marguerite Duras, Pusterla Montale Giordano Murakami Baricco Sepulveda Kundera…Ogni artista ha scelto la sua strada per trasporre in calligrafia (traden-doli?) i testi prediletti, spinto dalle proprie emozioni ma anche da consapevoli scelte stilistiche. Queste vanno a formare due correnti principali: una predilige la correttezza, la leggibilità e l’eleganza delle lettere – creando opere che nella loro modernità si richiamano comunque alla tradizione; l’altra ricerca invece forme espressive che rimandano ai testi iniziali attraverso soluzioni meno dirette, legate sì alle lettere, alla loro forma, ai loro ritmi, ma non necessariamente alla comprensibilità.Il calligrafo moderno cerca un livello di espressività più profondo di quello che può fornire la scrittura meccanica. Cerca, ma forse è la stessa cosa, una pausa dalla velocità che caratterizza i nostri tempi, per ritrovare la lentezza e la quiete delle emozioni profonde. La sua è un’arte che si esercita meglio nel silenzio. Come dice Roland Barthes, “colui che scrive, tace”.

Enzo Pelli

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Dante Alighieri, La Divina Commedia. Editing digitale Kindle, 2010 Alessandro Baricco, I Barbari: saggio sulla mutazione. Feltrinelli, 2006Alessandro Baricco, Mr. Gwyn. Feltrinelli, 2011Ray Bradbury, Fahrenheit 451. Mondadori, 1953Italo Calvino, Le città invisibili. Mondadori, 1972Lewis Carroll, Alice nel Paese delle Meraviglie. Rizzoli, 2010Lewis Carroll, Alice nel Paese delle Meraviglie. illustr. da R. Dautremer. Rizzoli, 2011Marguerite Duras, Écrire. Gallimard, 1993Maxence Fermine, Neve. Bompiani, 1999Paolo Giordano, La solitudine dei numeri primi. Mondadori, 2008Milan Kundera, L’identità. Adelphi, 2001Margaret Mazzantini, Venuto al mondo. Mondadori, 2008Eugenio Montale, Ossi di seppia. Mondadori, 1948Haruki Murakami, 1Q84. Einaudi, 2011Corrado Pensa, Il silenzio tra due onde. Mondadori, 2010Fabio Pusterla, Corpo stellare. Marcos y Marcos, 2010Pino Roveredo, Mandami a dire. Bompiani, 2005Luis Sepulveda, Il vecchio che leggeva romanzi d’amore. Narratori della Fenice, 2000Axel Vervoordt, Dove il tempo diventa arte. L’ippocampo, 2010

Bibliografia

Il gruppo Calligrafia in Ticino si è costituito nel 2008. Conta una ventina di membri che hanno scelto l’arte della scrittura come forma di espressione artistica e come strumento di crescita personale.

Informazioni e immagini: http://enzopelli.jimdo.com

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