"Golosi bye bye" (pagina 1) e "L'arte di cucire la storia" (pagina 12)

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Quattro colonne Q Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in A.P. 70% regime libero – ANNO XXI n°4 APrIle 2012 – AUT.Dr/CBPA/CeNTrO1 – VAlIDA DAl 27/04/07 SGRT NOTIZIE Popolo di cicciottelli, da oggi basta schifezze. Il ministero della Salute ha in mente per voi una tassa sul cibo-spazzatura. Esorcizzate con un sorriso la trovata originale? Non lo è. San Francisco ha bandito i gadget degli happy me- al; New York, Mecca del junk food, castiga le bollicine con la “soda tax”. E c’è cascato pure “monsieur”: snack a peso d’oro con la “Sarkò- slim tax”. Certo, il problema c’è: 5 milioni di obesi. Ma possibile che, da che Italia è Italia, la cura per noi popolo di discoli sia “stangare, non educare”? E dire che ha imparato pure Londra, la “testona” del fish and chips bisun- to: con la campagna “5 a day” per ogni porzio- ne vegetale i british collezionano un punto-sa- lute. E verdure tristi come i broccoli hanno packaging sexy, curati come un giardino zen. Insomma: tolta la dieta mediterranea, slogan tricolore che ci fa belli nei Paesi grigi, l’educa- zione alimentare da noi deve proprio finire a due anni, con le lezioni per l’uso autonomo della forchetta? E poi:la parmigiana di mia nonna, 100% mediterranea, è più light di un hot dog? Per lei sarebbe un insulto. SPOrT UrbANI Si preannuncia un’estate molto difficile per l’Umbria sul fronte idrico: tra siccità e acquedotti colabrodo l’acqua rimane un problema per il territorio Junk food ANZIANI & PATENTI golosi bye-bye emergenze Micol pieretti CALENDIMAGGIO anniversario la scuola compie vent’anni Le testimonianze dei fondatori e di chi ha vissuto i primi dieci bienni la crisi consuma i l futuro in italia dall’inizio dell’anno si sono suicidati 23 imprenditori. in Umbria boom di vendite di far- maci antidepressivi, ma non è l’unico segnale allarmante: l’agri- coltura è in difficoltà e le condut- ture perdono il 40% dell’acqua potabile servizi alle pagg. 2-3-4-5 Dalla recessione degli anni ‘30 ad oggi, quando i problemi economici fanno aumentare i suicidi Margherita Hack alla guida dell’esercito degli ultraottantenni al volante servizio a pag. 9 L’eterna sfida per celebrare la primavera catapulta per pochi giorni Assisi nel Medioevo servizio a pag. 12 Arrampicata in centro storico, acrobazie e salti per superare gli ostacoli “naturali” della città servizio a pag. 10 Da quest’estate si navigherà gratis anche in qualche parte dell’Umbria. Non sul lago Tra- simeno ma sul web, grazie all’attivazione di hotspot wi-fi a Perugia e Terni. Se pensate pe- rò di sedervi in piazza IV Novembre, accen- dere il vostro portatile e collegarvi a Internet per ore, vi sbagliate. La libertà di accesso alla rete pubblica, infatti, non sarà assoluta. Prima di connettersi sarà ne- cessario registrarsi fornendo un documento di identità e un numero di cellulare, sul quale si riceverà un sms con codice utente e password. E per fortuna che era stato abolito l’obbligo di identificare gli utenti del wi-fi gratuito. La navigazione poi è tutt’altro che illimitata: se si superano i 120 minuti o i 500 megabyte di traffico giornalieri si viene disconnessi auto- maticamente. E per chi non possiede una sim italiana le procedure per connettersi sono an- cora più complicate. I turisti dovranno rivol- gersi agli uffici preposti, che il Comune deve al- lestire. Insomma non si spenderanno soldi, ma tempo e pazienza sì. internet rete (quasi) libera paola cUtini «Ciao casalinga, sono Paolo Perrone. Alto, brizzolato, slanciato, tennista. Cucino, lavo stiro. Se vuoi conoscermi sono sempre in Co- mune. Astenersi perditempo. Si accettano an- che comuniste». Il testo non è tratto da un an- nuncio personale ma da un manifesto elettora- le. L’autore è l’attuale sindaco di Lecce (Pdl) che alle elezioni amministrative del 6 e 7 mag- gio prossimi correrà per un secondo mandato. L’audacia del suo linguaggio è solo la punta dell’iceberg. Le liste e i candidati negli oltre 700 Comuni al voto riservano decine di sor- prese colorite. L’unica regola, come insegna il “maestro” Dario di Francesco, che nel 2008 si candidò a sindaco della capitale appoggiato dalle liste “Forza Roma” e “Avanti Lazio”, è cercare voti dappertutto, senza precludersi al- cuna strada. Anche Ilona Staller, in arte “Cic- ciolina”, ha colto la palla al balzo. La sua can- didatura a sindaco di Monza è saltata all’ul- timo momento. Occhio, però, al suo movimen- to “Democrazia, natura, amore”: potrebbe es- sere la novità delle Politiche 2013. elezioni aaa voto cercasi riccarDo Milletti Vigor Bovolenta, Piermario Morosini e Vero- nica Lopez sono solo gli ultimi esempi di spor- tivi morti facendo quello che gli piaceva di più. Tre atleti di età e discipline diverse, qua- si a sottolineare come i malori in campo sia- no un fenomeno trasversale e, soprattutto, im- possibile da cancellare. «È fisiologico», com- menta Lamberto Boranga, ex portiere di Pe- rugia e Fiorentina e attualmente medico spor- tivo, «bisogna capire che siamo davanti a eventi imprevedibili e trattarli come tali». Ma si può fare prevenzione e ridurre i rischi, soprattutto per gli sportivi amatoriali, che svolgono attività senza essere sottoposti ai nu- merosi controlli medici riservati ai professio- nisti? L’unica strada percorribile è anche la più semplice: evitare sforzi per i quali non si è ade- guatamente preparati e effet- tuare con scrupolo i controlli periodici richiesti dal Coni per ottenere l’idoneità agonistica, almeno una volta all’anno con prova sotto sforzo. «Non si può fare molto di più, nell’ambito della prevenzione, rispetto alle richieste del Coni», assicura Boranga, che a 66 anni è tor- nato in campo tra gli amatori della Seconda categoria. «Forse i controlli obbligatori solo per il calcio, l’unico sport riconosciuto come ‘professionistico’ dalla legge italiana, si potreb- bero estendere a tutti gli sportivi di alto li- vello. Ma io stesso tre anni fa ho visitato Bo- volenta per l’idoneità sportiva ed era sano co- me un pesce». Responsabilità prima di tutto. Alla prima av- visaglia di qualcosa che non va è necessario fermarsi. Allenatori e preparatori possono e devono essere di grande aiuto, perché voler su- perare i propri limiti è nella natura di un atleta. sport&salute più responsabilità contro il destino lUca cesaretti gianlUca rUggirello Da tutta italia a villa Bonucci con il sogno comune di diventare giornalisti. Un percorso di for- mazione che dal 1992 a oggi ha dato al mondo dell’informazione quasi 250 professionisti. in occasione del ventennale non solo celebrazioni ma anche una novità. servizi alle pagg. 6-7 servizi a pag. 11

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QuattrocolonneQ

Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in A.P. 70% regime libero – ANNO XXI n°4 APrIle 2012 – AUT.Dr/CBPA/CeNTrO1 – VAlIDA DAl 27/04/07

SGRTNOTIZIE

Popolo di cicciottelli, da oggi basta schifezze. Ilministero della Salute ha in mente per voi unatassa sul cibo-spazzatura. Esorcizzate con unsorriso la trovata originale? Non lo è. SanFrancisco ha bandito i gadget degli happy me-al; New York, Mecca del junk food, castiga lebollicine con la “soda tax”. E c’è cascato pure“monsieur”: snack a peso d’oro con la “Sarkò-slim tax”. Certo, il problema c’è: 5 milioni diobesi. Ma possibile che, da che Italia è Italia,la cura per noi popolo di discoli sia “stangare,non educare”? E dire che ha imparato pureLondra, la “testona” del fish and chips bisun-to: con la campagna “5 a day” per ogni porzio-ne vegetale i british collezionano un punto-sa-lute. E verdure tristi come i broccoli hannopackaging sexy, curati come un giardino zen.Insomma: tolta la dieta mediterranea, slogantricolore che ci fa belli nei Paesi grigi, l’educa-zione alimentare da noi deve proprio finire adue anni, con le lezioni per l’uso autonomodella forchetta? E poi:la parmigiana di mianonna, 100% mediterranea, è più light di unhot dog? Per lei sarebbe un insulto.

SPOrT UrbANI

Si preannuncia un’estate molto difficile per l’Umbria sul fronte idrico:tra siccità e acquedotti colabrodo l’acqua rimane un problema per il territorio

Junk food

ANZIANI & PATENTI

golosi bye-byeemergenze

Micol pieretti

CALENDIMAGGIO

anniversario

la scuola compie vent’anniLe testimonianze dei fondatori e di chi ha vissuto i primi dieci bienni

la crisi consuma il futuroin italia dall’inizio dell’anno sisono suicidati 23 imprenditori. inUmbria boom di vendite di far-maci antidepressivi, ma non èl’unico segnale allarmante: l’agri-coltura è in difficoltà e le condut-ture perdono il 40% dell’acquapotabile servizi alle pagg. 2-3-4-5

Dalla recessione degli anni ‘30 ad oggi, quando i problemi economici fanno aumentare i suicidi

Margherita Hack alla guida dell’esercitodegli ultraottantennial volante

servizio a pag. 9

L’eternasfida percelebrarela primaveracatapultaper pochigiorniAssisi nelMedioevo

servizio a pag. 12

Arrampicatain centrostorico,acrobaziee salti persuperaregli ostacoli “naturali”della città

servizio a pag. 10

Da quest’estate si navigherà gratis anche inqualche parte dell’Umbria. Non sul lago Tra-simeno ma sul web, grazie all’attivazione dihotspot wi-fi a Perugia e Terni. Se pensate pe-rò di sedervi in piazza IV Novembre, accen-dere il vostro portatile e collegarvi a Internetper ore, vi sbagliate. La libertà di accesso alla rete pubblica, infatti,non sarà assoluta. Prima di connettersi sarà ne-cessario registrarsi fornendo un documento diidentità e un numero di cellulare, sul quale siriceverà un sms con codice utente e password.E per fortuna che era stato abolito l’obbligo diidentificare gli utenti del wi-fi gratuito. La navigazione poi è tutt’altro che illimitata:se si superano i 120 minuti o i 500 megabytedi traffico giornalieri si viene disconnessi auto-maticamente. E per chi non possiede una simitaliana le procedure per connettersi sono an-cora più complicate. I turisti dovranno rivol-gersi agli uffici preposti, che il Comune deve al-lestire. Insomma non si spenderanno soldi, matempo e pazienza sì.

internet

rete (quasi) libera

paola cUtini

«Ciao casalinga, sono Paolo Perrone. Alto,brizzolato, slanciato, tennista. Cucino, lavostiro. Se vuoi conoscermi sono sempre in Co-mune. Astenersi perditempo. Si accettano an-che comuniste». Il testo non è tratto da un an-nuncio personale ma da un manifesto elettora-le. L’autore è l’attuale sindaco di Lecce (Pdl)che alle elezioni amministrative del 6 e 7 mag-gio prossimi correrà per un secondo mandato.L’audacia del suo linguaggio è solo la puntadell’iceberg. Le liste e i candidati negli oltre700 Comuni al voto riservano decine di sor-prese colorite. L’unica regola, come insegna il“maestro” Dario di Francesco, che nel 2008 sicandidò a sindaco della capitale appoggiatodalle liste “Forza Roma” e “Avanti Lazio”, ècercare voti dappertutto, senza precludersi al-cuna strada. Anche Ilona Staller, in arte “Cic-ciolina”, ha colto la palla al balzo. La sua can-didatura a sindaco di Monza è saltata all’ul-timo momento. Occhio, però, al suo movimen-to “Democrazia, natura, amore”: potrebbe es-sere la novità delle Politiche 2013.

elezioni

aaa voto cercasi

riccarDo Milletti

Vigor Bovolenta, Piermario Morosini e Vero-nica Lopez sono solo gli ultimi esempi di spor-tivi morti facendo quello che gli piaceva dipiù. Tre atleti di età e discipline diverse, qua-si a sottolineare come i malori in campo sia-no un fenomeno trasversale e, soprattutto, im-possibile da cancellare. «È fisiologico», com-menta Lamberto Boranga, ex portiere di Pe-rugia e Fiorentina e attualmente medico spor-tivo, «bisogna capire che siamo davanti aeventi imprevedibili e trattarli come tali».Ma si può fare prevenzione e ridurre i rischi,soprattutto per gli sportivi amatoriali, chesvolgono attività senza essere sottoposti ai nu-merosi controlli medici riservati ai professio-

nisti? L’unica strada percorribile èanche la più semplice: evitaresforzi per i quali non si è ade-guatamente preparati e effet-tuare con scrupolo i controlli

periodici richiesti dal Coni perottenere l’idoneità agonistica, almeno unavolta all’anno con prova sotto sforzo.«Non si può fare molto di più, nell’ambitodella prevenzione, rispetto alle richieste delConi», assicura Boranga, che a 66 anni è tor-nato in campo tra gli amatori della Secondacategoria. «Forse i controlli obbligatori soloper il calcio, l’unico sport riconosciuto come‘professionistico’ dalla legge italiana, si potreb-bero estendere a tutti gli sportivi di alto li-vello. Ma io stesso tre anni fa ho visitato Bo-volenta per l’idoneità sportiva ed era sano co-me un pesce».Responsabilità prima di tutto. Alla prima av-visaglia di qualcosa che non va è necessariofermarsi. Allenatori e preparatori possono edevono essere di grande aiuto, perché voler su-perare i propri limiti è nella natura di unatleta.

sport&salute

più responsabilitàcontro il destino

lUca cesaretti

gianlUca rUggirello

Da tutta italia a villa Bonucci con il sogno comune di diventare giornalisti. Un percorso di for-mazione che dal 1992 a oggi ha dato al mondo dell’informazione quasi 250 professionisti. inoccasione del ventennale non solo celebrazioni ma anche una novità.

servizi alle pagg. 6-7servizi a pag. 11

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2 3APRILE 2012 APRILE 2012PRIMO PIANO PRIMO PIANO

Il sociologo Enrico Finzi è il presidente diAstraRicerche, un istituto che si occupa diindagini sociali e di marketing.

Quali sono i principali cambiamenti della

società per effetto della crisi?

Partiamo da due dati chiave. Noi facciamo deisondaggi mensili per capire il vissuto degli italia-ni e all’inizio di aprile il 70% dei connazionaligiudicava la condizione socio-economica propria e dei fami-liari pessima. Non si era mai vi-sto, o almeno da moltissimotempo a questa parte, che settepersone su 10 dicessero che laloro qualità di vita fosse forte-mente negativa.Il secondo dato si basa sulladomanda: “Come crede cheandranno le cose nel 2012?”.La risposta indica una forte do-se di malessere, per il 61% de-gli intervistati le cose peggiore-ranno. Descrivono situazionipreoccupanti di depressionecollettiva economica e sentimentale.Le generazioni future risentiranno in termi-

ni sociali di questa crisi?

Io sto ai dati, quindi non posso fare previsionisul futuro. Si può vedere però quello che è suc-cesso nel passato. I consumi interni delle fami-glie sono aumentati dagli Anni Cinquanta, ma lacrescita del Boom è rallentata progressivamen-te, fino alla stagnazione dal 2000 al 2008. Il 2008

è stato l’anno del cambiamento. Prima di allorasi pensava che le cose sarebbero andate sempremeglio. Ora l’aspettativa è decrescente. Il quadropsicologico del Paese è cambiato in relazione so-prattutto ai giovani. La mia generazione è con-vinta che i ragazzi staranno peggio dei loro pa-dri. I giovani prima erano quasi derisi perché fi-gli della pace, oggi questo non lo dice più nes-

suno. Qual è la sensazione gene-

rale?

La sensazione generale èd’impoverimento, ci si sentesempre più poveri.Inoltre si è indebolita la pro-gettualità, non si ha fiducia,mentre l’intraprendenza è ilmotore dell’economia. Paesicome la Cina, l’India, il Brasi-le seppur poveri hanno giova-ni creativi, che tendono a fa-re progetti. In Italia non è piùcosì, in passato si rischiava,oggi c’è troppa sfiducia per

lanciarsi in nuove avventure.Gli italiani dichiarano di essere sempre più stres-sati, soprattutto le donne. Un altro aspetto è il ri-sparmio, ad oggi è impossibile risparmiare permolti italiani.Insomma c’è una sofferenza collettiva?

Sì, ma la crisi pesa soprattutto sulle donne. So-no loro a dover gestire, oltre al lavoro, la fami-glia e la casa.

La Confapi è la Confederazione italiana del-la piccola e media industria privata. Natanel 1947, oggi rappresenta gli interessi di

oltre 120mila imprese manifatturiere. È presenteanche in Umbria, dove riunisce aziende che nellamaggior parte dei casi – oltre il 98% – sono di pic-cole o piccolissime dimensioni. Attività rese piùvulnerabili dal fatto che spesso dipendono dacommittenze esterne, legatequindi alle esigenze di altre im-prese. «Solo le poche che hannoinvestito nella ricerca e innova-to la produzione con originali-tà, trovando nicchie autonomedi mercato, sono riuscite a con-tenere le perdite», spiega il dott.Guido Perosino, direttore diConfapi Umbria.

Il tessile e l’edilizio sono sta-ti i settori più colpiti dalla crisi,ma nessuno ne è rimasto inden-ne. Tanti i problemi comuni, apartire dall’erosione del credito.«Le aziende si scontrano con larigidità dimostrata dalle banche negli ultimi anninella concessione di prestiti e agevolazioni – con-tinua Perosino – è difficile arginare questo climadi sfiducia generalizzata».

Nel 2009, Confapi Umbria ha introdotto un nu-mero verde, mettendo a disposizione un pool diavvocati e commercialisti per consulenze gratuiteagli imprenditori della regione. «All’inizio ci arri-vavano tante richieste di aiuto, mentre oggi ci chia-

ma solo chi è davvero “alla frutta”, come chi sitrova nella morsa dell’usura – racconta il diretto-re – O, in altri casi, chi ha bisogno di un suppor-to specialistico, ad esempio per l’attivazione dellacassa integrazione».

Problemi economici, ma non solo. Vergogna epaura di essere giudicati sono dietro l’angolo, so-prattutto in una realtà locale in cui è difficile te-

nere nascoste le proprie difficol-tà. Ecco perché a volte si arrivaa compiere gesti disperati: la cri-si dell’attività viene vista come ilfallimento di una vita intera. «Ilpunto è che l’azienda non puòessere considerata solo comeuna macchina produttiva. Per ilproprietario rappresenta la sua“creatura”, tutto ciò in cui hacreduto e investito. Se perdel’impresa, perde tutto – dice Pe-rosino – questa è la differenzacon i manager delle grandi socie-tà, che hanno sempre la possibi-lità di spostarsi se quella in cui la-

vorano fallisce». Per superare il periodo di stagna-zione che stiamo attraversando, bisogna rimette-re in moto il mercato. «È fondamentale lanciare unmessaggio di fiducia e di speranza per il futuro»,conclude il direttore.

La Sabatini Calzature, con i suoi 30 dipendenticirca, è una delle tante aziende riunite nella Con-fapi. Federico Sabatini rappresenta la terza gene-razione che guida l’azienda di famiglia. Fu infatti

il bisnonno Luigi ad aprire a Spoleto quel piccololaboratorio artigianale in cui si producevano cal-zature in pelle su misura. Un’attività che è stata tra-mandata di padre in figlio e che si è allargata conil tempo. «Il 95% della nostra produzione è desti-nata a commesse esterne – spiega Federico Saba-tini – lavoriamo in collaborazione con tante mi-cro-aziende che acquistano i nostri prodotti».L’impresa, quindi, risente di unmercato nazionale in grandedifficoltà. Gli effetti dell’infeli-ce congiuntura economica, tut-tavia, qui hanno tardato a mani-festarsi. Dal 2008 al 2010, infat-ti, l’azienda non sembrava toc-cata dalla crisi. «Le difficoltà so-no iniziate nel 2011, quando ab-biamo notato un cambiamentonell’atteggiamento dei consu-matori. Sono diventatati più at-tenti ai prezzi e hanno ridottogli acquisti, cercando di far du-rare i prodotti più a lungo», rac-conta l’imprenditore. «Da allo-ra abbiamo registrato un calo produttivo tra il 3 eil 5%. Un risultato di cui non ci possiamo lamen-tare, se si considera la situazione generale della no-stra economia»

Cosa fa allora una piccola azienda per reagire al-la contrazione della domanda? La diversificazionedella produzione è il primo passo per cercare di ar-ginare i limiti del mercato. Ecco perché l’aziendaspoletina ha deciso di implementare la produzio-

ne di articoli alternativi, che fino a quel momentovenivano trascurati. «Avevamo sempre puntatosulle calzature da donna, quelle con maggiore mer-cato. Nell’ultimo periodo, invece, abbiamo riser-vato uno spazio più ampio anche a quelle da uo-mo, riducendo i prezzi e diversificando l’offerta inbase all’età e ai vari target dei potenziali acquiren-ti», spiega.

La Sabatini ha poi deciso diguardare sempre di più al mer-cato straniero. «Nel lungo pe-riodo l’estero rappresenta il no-stro futuro. Ecco perché stiamocercando di aumentare la pro-duzione destinata all’esporta-zione, che oggi si limita al 30%».

Al di là delle difficoltà che siriscontrano giorno per giorno,poi, sta cambiando la mentalitàstessa dell’imprenditore. «Quan-do ci chiamano le testate giorna-listiche per proporci delle pub-blicità, siamo costretti a dire dino. Oggi preferiamo fare inve-

stimenti che grantiscano un rendimento più imme-diato», spiega Sabatini. Anche un’azienda da decen-ni radicata nel territorio umbro, quindi, non rima-ne indenne dal senso di precarietà e insicurezza ge-nerale. « Nel mio piccolo, da imprenditore coscien-zioso, ho ridotto gli acquisti superflui, rimandan-do tutto ciò che non è strettamente necessario. Icampanelli d’allarme sono troppi per restare ina-scoltati».

aziende umbre, tra difficoltà economiche e paura della gogna sociale«L’impresa non può essere considerata solo una macchina produttiva. Per il proprietario è tutto ciò in cui ha creduto», spiega il direttore della Confapi regionale

depressione e sfiducia, viviamo senza guardare al domani

Mauro Capitanio è il presidente dellafondazione dei Consulenti per ilLavoro, un’agenzia del Consiglio

nazionale dell’Ordine. Ogni giorno si confrontacon la realtà e le esigenze delle piccole e medieimprese. Negli ultimi mesi si assiste a dei tragici casi

di cronaca che riguardano soprattuttto gli

imprenditori, ma quali sono le maggiori dif-

ficoltà per le piccole e medie imprese?

Primo: la mancanza di lavoro.Una carenza che riguarda ingenerale il manifatturiero, masoprattutto l’edilizia. E non miriferisco solo ai costruttori, ma atutta la filiera: dalle travi all’elet-tricista. Secondo: il costo dellavoro troppo alto. Terzo: lamancanza di liquidità. Le ammi-nistrazioni, anche pubbliche,non pagano e quando pagano lofanno in tempi lunghissimi, inquesto modo non si riescono aversare i contributi.Quali sono le principali richieste da parte

dei lavoratori e degli imprenditori?

Abbassare il costo del lavoro e semplificare laburocrazia.Manca l’iniziativa, la spinta alla progettuali-

tà degli anni passati?

Manca la fiducia. Gestisco 200 piccoli-mediimprenditori in Lombardia, quello che è ilmotore dell’Italia. E qui si sta spegnendo la fidu-

cia. Se non sei incentivato a produrre anchequelle aziende che ne hanno l’opportunità noninvestono. Da non sottovalutare è la campagnamediatica contro l’evasione che fa di tutta l’erbaun fascio e quindi anche l’imprenditore serio sisente visto dallo Stato e dalla società come sefosse un evasore.Parlando della lotta all’evasione – e ricor-

dando che ovviamente c’è sempre una pos-

sibilità di scelta – si può dire che i commer-

cianti e gli imprenditori

sono sottoposti a un’inge-

stibile pressione fiscale?

La lotta all’evasione fiscale èovviamente giusta. Il proble-ma è la quantità di tasse che ipiccoli e medi imprenditori sitrovano a dover pagare. Traqualche anno rischiamo diaver recuperato i soldi del-l’evasione, ma di non averepiù imprese. Quando viene dame un giovane che vuole apri-re un’azienda o un’attività

commerciale gli faccio un esempio: il primoanno poniamo che guadagnerai 100mila euro –che sono tanti – l’anno dopo, a giugno-luglio,dovrai pagare il 45-50% di tassazione, ed entronovembre dovrai versare il 98% dell’acconto.Insomma i 100mila euro se ne sono andati.E qual è la reazione?

I ragazzi mi guardano negli occhi come se stes-si raccontando delle frottole.

sempre peggio per i giovaniPrima si progettava la vita, ora le prospettive non sono incoraggianti

Dalla recessione del 1929 a quella del nuovo millennio. Con la crisi aumentano i gesti disperati: boom di suicidi in tutta Italia. L’Umbria è maglia nera per il consumo di psico-farmaci. E il 2012 non promette meglio

troppe tasse per le imprese«Manca il lavoro, la burocrazia è lenta e non c’è liquidità. Troppa sfiducia»

Èil 1929 quando crolla la borsa di WallStreet. Numerosi i suicidi, 11 nel sologiovedì nero. Più di ottantant’anni dopo

e nel mezzo di una nuova recessione il numero del-le persone che si toglie la vita a causa delle ristret-tezze economiche torna a preoccupare. Dall’iniziodel 2012 in Italia 23 imprenditori sono morti sui-cidi. A dirlo è un rapporto della Cgia di Mestre. Idati, seppur impressionanti, non tengono conto ditutti quei casi non denunciati dalle famiglie. Lamancanza o la perdita del lavoro sono le ragioniprevalenti del dilagare di questi gesti estremi. A Pa-dova è nata l’associazione “Speranza al lavoro”.Tra i fondatori, nonché presidente, c’è la ventino-venne Laura Tamiozzo. Suo padre, l’imprenditorevicentino Antonio Tamiozzo, si è tolto la vita loscorso 12 dicembre. L’iniziativa è nata per sostene-re e tutelare le vittime della recessione e le loro fa-

miglie. L’associazione intende puntare l’attenzionesui lavoratori, sui consumatori, sui piccoli impren-ditori e sui loro parenti, in difficoltà per la pres-sione fiscale e per la crisi economica. Negli ultimimesi, tragici casi di cronaca hanno riempito le pa-gine dei giornali. A iniziare la lunga lista dei suici-di del 2012 un pensionato di 74 anni che il 2 gen-naio si è buttato dal balcone dopo aver ricevutouna lettera dell’Inps in cui si chiedeva la restituzio-ne di cinquemila euro.

Roma, Milano, Gela, Trento, Lucca e Matera.Nessuna città è stata risparmiata dall’ondata di ca-si di nera. A Bologna uno degli esempi più eclatan-ti è stato quello di un artigiano edile, titolare di unapiccola impresa, che si è dato fuoco davanti alla se-de dell’Agenzia delle Entrate di Bologna. E poi aCatania il 13 febbraio un imprenditore di 57 annisi è impiccato con una corda legata a un muletto.

La sua azienda di macchinari agricoli ad Acirealeera strozzata dai debiti. Ma i gesti estremi sono so-lo l’ultimo anello di una catena ben più lunga. Lafotografia è quella di un’Italia in ginocchio, fragilea livello economico e psicologico. A essere colpi-to dalla crisi è soprattutto il Nord. Dall’inizio del-l’anno nel solo Veneto ci sono stati già nove suici-di per cause finanziarie. Insomma il cuore pulsan-te dell’imprenditoria italiana si sta fermando. Tul-lio Perleonardi, proprietario di un’azienda di dispo-sitivi antinfortunistici, la Pinna srl di Brescia, hasofferto un calo della produzione del 40%. «Attual-mente nella mia impresa ho otto dipendenti, quat-tro sono stati licenziati e cinque persone sono incassa integrazione. Il momento che stiamo viven-do è il più difficile: il 2012 si prospetta pessimo».Quello che sottolinea il signor Perleonardi è peròun rischio più generale, che non riguarda solo

l’aspetto economico. «È la forma mentis dell’im-prenditore che sta cambiando. Non si ha più l’en-tusiasmo di guardare al futuro e viene meno l’es-senza stessa di questo mestiere. Fare impresa oggiè una missione, abbiamo tutto contro di noi».

Anche in Umbria si sentono le conseguenze del-la crisi. Secondo il “Rapporto Osservasalute 2010”dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma,la recessione economica sta cambiando i consumidegli italiani anche in termini di medicinali. Tra leregioni con i più alti consumi di farmaci per le for-me depressive spicca l’Umbria. Nel cuore verded’Italia, secondo i dati forniti da Federfarma, dal2009 al 2010 il consumo di prodotti utilizzati nel-la cura del sistema nervoso è aumentato del 7,2%.

Un dato allarmante per una regione considerataancora vivibile, ma in cui lo stress e le forme de-pressive sono sempre più diffusi.

enrico finzi, astraricerche guido perosino,direttore di confapi umbria

federico sabatini,titolare di un’impresa di calzature

mauro capitanio, presidente

fondazione consulenti per il lavoro

«Dobbiamo evitare di creare sensa-zionalismo». Con queste paroleFrancesco Ferroni, segretario

regionale di Adiconsum Umbria, parla delfenomeno drammatico dei casi di suicidio e deitentativi di suicidio che stanno riempendo lecronache. Non è un’emergenza bensì altro:uno spaccato della realtà sì basato sui numerima fatto innanzitutto di persone. Perché dietroogni gesto estremo, dietro ogni freddo numeroc’è una vita.

La posizione di Ferroni nasceda un’esperienza ricca di volti,di «persone che con gli occhipieni di desolazione ti guarda-no alla ricerca di una soluzio-ne». È il punto di vista di chi,da lavoratore e da sindacalista,segue le difficoltà delle personeche non riescono più a tapparei buchi della quotidianità: lebollette, le spese per i figli, letasse, le tariffe. Un rosario didifficoltà che diventano irrisol-vibili quando il reddito rimane fisso e la spesacorrente cresce. O peggio ancora quando unreddito non c’è più.

Non si tratta più di arrivare a fine mese. Si èdi fronte a una condizione di incapacità. «Cisentiamo impotenti noi stessi – dice Ferroni –Possiamo snocciolare dati; realizzare analisi;ma la verità è che possiamo fare poco da unpunto di vista psicologico». Secondo il sindaca-lista bisogna stare attenti a nuove possibili evo-luzioni: «La situazione in Umbria non è dram-matica come in Veneto. Eppure ho l’impressio-ne che rischi di peggiorare a breve per il peso

di alcuni fattori». Uno su tutti la mancanza dicredito. Il motivo? Per Ferroni la risposta èsemplice: «Non esiste un banca umbra vera epropria che conosca la realtà. C’è solo un gran-de distacco».

La chiusura dei rubinetti da parte delle ban-che è un problema che non riguarda solo gliimprenditori. A pagare sono in misura maggio-re i lavoratori, soprattutto quelli del compartoprivato che devono fare i conti con la cassa

integrazione. Uno strumentoche nella migliore delle ipote-si si attiva in tre mesi.

Sempre più spesso allosportello dell’Adiconsum sirivolgono persone che nonriuscendo ad avere un presti-to bancario, hanno optatoper le finanziarie. S’inizia conuna. E si prosegue fino aquando l’indebitamento è taleche diventa incolmabile.«Non è un aspetto positivo,certo. Ma almeno significa

che le persone reagiscono», ammette Ferroni.«Bisogna preoccuparsi, invece, quando le per-sone non sono più reattive. Si lasciano andare».La gente si guarda attorno e spesso è costrettaa fare scelte sbagliate. Come con l’usura. I sin-dacati possono dare dei consigli, educare i con-sumatori, creare dei fondi antiusura. MaFerroni ammette che ci vuole anche altro: soli-darietà tra le persone. Un aiuto nella e dellacomunità. «In Umbria è ancora forte il soste-gno all’interno del nucleo familiare. Ma peraffrontare questa crisi ci vorrebbe più aiuto trale famiglie».

«lavoratori ormai impotenti»Per Francesco Ferroni (Adiconsum) ci vuole più solidarietà tra le famiglie

francesco ferroni,segretario adiconsum

La crisi economica ha colpito molti setto-ri, ma c’è un comparto farmaceuticoche fa affari d’oro: quello degli antide-

pressivi. Aumentano anche i suicidi, insommaè la depressione a farla da padrona. Abbiamochiesto spiegazioni a Gianfranco Salierno, psi-chiatra responsabile del Centro di SaluteMentale del Trasimeno.Dottor Salierno, conferma questo aumento

dei fenomeni depressivi?

Purtroppo sì, i dati parlanochiaro, come dimostra l’aumen-to del 24% dei suicidi per que-stioni economiche. Si crea sem-pre più spesso uno squilibrioche porta a depressione e crisidi ansia e così si arriva a un altoconsumo di antidepressivi e aun aumento dei suicidi, inUmbria in particolare. Ma nonsolo, resistono le vecchiedipendenze patologiche comeabuso di droga e alcool. E negliultimi anni è esplosa la dipen-denza da gioco: ci si illude di poter recuperarefacilmente i soldi persi.Quali fasce di età riguarda questo triste

fenomeno?

Sicuramente non i giovani che ancora vivono acasa coi genitori, ma parte dagli over 40, da chiinsomma una famiglia la deve mantenere.Alcuni, sempre più spesso, non ci riescono esono pronti a tutto per superare le difficoltà,che in molti casi sono psicologiche.Nel vostro centro notate questa situazio-

ne?

Me ne accorgo personalmente: lavoro molto

più di prima, non mi fermo un attimo dallamattina alla sera, e nonostante questo possaessere visto come un lato positivo professio-nalmente, ovvio che vedo risaltare una situa-zione molto difficile.Come arrivano da voi i pazienti?

Solitamente vengono accompagnati dai fami-liari, ma in casi peggiori hanno crisi o attacchidi panico, sono ricoverati al Pronto Soccorso e

poi li prendiamo in cura noi.Dai primi sintomi depressivisi capisce la causa. In fondo ildiscorso per lavoratori dipen-denti o imprenditori è simile:i primi hanno un rischio difamiglia e perdono al tempostesso lavoro e reddito perandare avanti, mentre isecondi hanno un rischiod’impresa e magari si indebi-tano per non mandare fallitoil lavoro di anni.Ci sono delle soluzioni

realistiche al problema?

In teoria si dovrebbe prevedere allo stessotempo l’utilizzo di farmaci mentre ci si sotto-pone a psicoterapia, ma non sempre è così.Eppure le pillole non sono magiche, e la tera-pia serve a non sentirsi abbandonati, a nonrestare soli e iniziare così a essere aiutati. Ma èchiaro che una vera soluzione si ottiene soloritrovando il lavoro o comunque una certa sta-bilità economica. Cosa sempre più difficile,considerando che dal punto di vista psicologi-co siamo solo all’inizio della crisi, e nel corsodel 2012 la situazione rischia seriamente dipeggiorare.

«i farmaci non sono tutto»Per lo psichiatra Gianfranco Salierno è necessaria la psicoterapia

gianfranco salierno, psichiatra

pagina a cura di

raffaele cappuccio

annalisa fantilli

chiara garzilli

giorgo matteoli

Page 3: "Golosi bye bye" (pagina 1) e "L'arte di cucire la storia" (pagina 12)

4 PRIMO PIANO APRILE 2012

Aprile è il più crudele dei mesi. Così reci-ta una poesia di Thomas Eliot. E que-st’anno lo è stato veramente, almeno in

Umbria, e non per la pioggia bensì per la sicci-tà. L’ombrello l’hanno preso in pochi: le precipi-tazioni sono state dell’83 per cento inferiori, concirca 59 mm in meno rispetto all’anno scorso. Ele prime gocce del mese non bastano a rinvigo-rire corsi e bacini idrici. L’estate potrebbe esse-re molto dura.

«Una situazione preoccupante» ha detto l’as-sessore regionale Fernanda Cecchini, che ha lan-ciato l’allarme siccità chiedendo lo stato di emer-genza idrica al Governo. Secondo un rapportoche la Regione ha inviato alle province, la scar-sità si protrae dal gennaio 2011 e nei mesi di ago-sto e novembre ha fatto registrare picchi del 90%di precipitazioni in meno. Angelo Viterbo, diri-gente regionale del servizio Risorse idriche e ri-schio idraulico, sta lavorando con la Giunta re-gionale al piano che verrebbe messo in atto se ilGoverno concedesse lo stato d’emergenza allaRegione. «Sicuramente c’è un cambiamento cli-matico – spiega Viterbo – ma al di là del trendnegativo della media delle precipitazioni c’è il da-to effettivo: quest’anno è piovuto molto di me-no». E aggiunge: «È da gennaio che siamo pre-occupati. L’estate prossima questa crisi potreb-be assumere proporzioni maggiori di quelle del2001 e del 2005». A dirlo sono anche i livelli deicorsi d’acqua di fiumi e laghi. Il Trasimeno, per

esempio, è a meno 93 centimetri rispetto allo ze-ro idrometrico. «Difficile parlare con certezza –spiega Riccardo Pani, ufficiale idraulico del lago– ma questo livello è preoccupante e il rischio èche continui a scendere. In autunno si potrebbearrivare a meno 140 centimetri, anche perchéquando c’è meno acqua l’evaporazione è più ve-loce».

Meno acqua, dunque, che potrebbe voler diremeno turismo: «Un lago basso è un lago che at-tira meno visitatori – spiega ancora Pani – e tral’altro se le sponde scoperte si allungano la ma-nutenzione diventa più costosa». Ma non solo:questo potrebbe significare anche meno acqua dausare per scopi irrigui. Moreno Giannetti, della

comunità montana del Tra-simeno, fa sapere che nel2010 sono stati erogati609.042 metri cubi, mentrenel 2011 sono stati 582.934.L’erogazione è diminuitaperché «le colture irrigue so-no sempre meno praticateanche per via del prezzo ele-vato dell’acqua». Il consumoper l’irrigazione, comunque,non incide in modo partico-lare sul livello del lago: «Perprosciugare un centimetrodi superficie dovremmo

erogare 1 milione e 400mila metri cubi d’acqua».Fonte importante è anche il Tevere. La Comu-

nità montana dell’Alta Umbria, che gestisce le ri-sorse idriche in questa zona, ha erogato nel 2011oltre 5 milioni di metri cubi d’acqua, utilizzati so-prattutto da aziende agricole, ma anche da pic-coli orti privati. Ma questo potrebbe non basta-re. «Abbiamo constatato una diminuzione di tut-

te le sorgenti – diceAlessandro Carfì,amministratore de-legato di UmbraAcque – il rischioriguarda soprattut-to le zone non col-legate direttamentea sorgenti o con-dotte e che si rifor-niscono solo attra-verso dei pozzi.Qui, in caso di sic-cità, si dovrebbe fararrivare acqua solocon le autobotti e i

sindaci dovrebbero emettere ordinanze per chie-dere l’utilizzo solo per scopi alimentari».

Al di là dell’Umbria, la siccità è un dramma cheinteressa oltre tre miliardi e mezzo di persone nelmondo: un miliardo non ha accesso all’acqua po-tabile, mentre i restanti due miliardi e 600 milio-ni non conoscono i servizi igienici. Che l’acquanon sia una risorsa infinita è innegabile. I nume-ri parlano chiaro. Le riserve mondiali per abitan-te ammontavano a 16.800 metri cubi nel 1950,entro il 2025 si ridurranno di quasi un quarto, ar-rivando a quota 4.800. A dirlo è il Consigliomondiale dell’acqua, un’organizzazione interna-zionale nata per risolvere i problemi legati alla di-sponibilità di oro blu.

Diretta conseguenza della siccità è la desertifi-cazione. Sembra quasi un paradosso ma anchel’Umbria, cuore verde d’Italia, è a rischio. Secon-do un’analisi dell’Ispra (Istituto per la protezio-ne e la ricerca ambientale) una percentuale tra il30 e il 50% del suo territorio sarebbe minaccia-to dal fenomeno.

Ma desertificazione non vuol dire solo avan-zamento del deserto. La Convenzione delle Na-zioni Unite contro la desertificazione, approva-ta nel 1994 e ratificata dall’Italia nel ’97, la defi-nisce come un processo di «degrado dei terrenicoltivabili in aree aride, semi-aride e asciutte sub-umide, in conseguenza di numerosi fattori, com-prese variazioni climatiche e attività umane». At-tività umane come le coltivazioni intensive cheimpoveriscono il suolo. L’allevamento del bestia-me che elimina la vegetazione. Il disboscamentoeccessivo che abbatte gli alberi e la loro capaci-tà di trattenere il manto superficiale del terreno.Infine l’irrigazione che, con tubi e canali scaden-ti, rende salmastre le terre coltivabili. È semprel’Onu a sottolineare che l’attività irrigua deserti-fica in media 500mila ettari di terreno all’anno.

In fin dei conti, il deserto non è poi così lon-tano.

elena Baiocco e riccarDo cavaliere

Nei primi giorni di aprile le piogge sono tornate ma gli ultimi mesi hanno registrato un calo netto delle precipitazioni

La regione ha chiesto al Governo lo stato di emergenza. Si lavora a un piano contro la mancanza d’acqua: l’estate si preannuncia arida

allarme siccità: la pioggia non basta

La siccità che minaccia l’Umbria potrebbeavere ripercussioni sulle future coltiva-zioni. Ma già ora gli agricoltori si preoc-

cupano per il raccolto. «Parlare di emergenza misembra un po’ eccessivo. Certo è che se a mag-gio continua questa situazione, per tabacco emais potrebbe essere un problema». Così FabioRossi, presidente dell’Opta, l’organizzazionedei produttori di tabacco nata in Umbria loscorso marzo e che raggruppa oltre 300 azien-de, commenta il rischio cui la regione va incon-tro. Spiega che per questo tipo di piantagioni ènecessario un consumo di acqua superiore adaltre, e che le piogge degli ultimi giorni noncambiano nulla perché sono già state assorbitedai terreni secchi.

Altro problema è la diga di Montedoglio,fonte principale di approvvigionamento idricoper uso irriguo. Il suo invaso, dopo l’incidenteavvenuto nel dicembre del 2010, presenta undeficit di pioggia del 29,6% (-337mm) e attual-mente contiene 27,8 milioni di metri cubi diacqua. «Per ora stiamo sfruttando la micro-irri-gazione, ma è solo un palliativo, non la soluzio-ne» sostiene Rossi. Si tratta di un meccanismoche si avvale di tubi di plastica per inondare i

campi di acqua, anziché aspergerlicon l’irrigatore a pioggia.

Piantare il tabacco è indispensabi-le. Ci sono in ballo migliaia di postidi lavoro. Il mercato, nonostante lacrisi, dà da vivere a cinquemila per-sone in Umbria, tra produzione, tra-sformazione e indotto. Quasi il 30%della manodopera è straniera.

A gravare sul settore anche lariduzione delle sovvenzioni da partedell’Unione Europea. «Fino al 2009usufruivamo dei cosiddetti finanzia-menti accoppiati: per ogni quintaleprodotto, ricevevamo 170 euro.Oggi appena 27» dice sconsolatoFabio Rossi.

Poco fiducioso anche Domenico Brugnoni,presidente della sezione regionale della Cia,laConfederazione italiana agricoltori, una dellepiù grandi organizzazioni agricole professiona-li d’Europa. «Senza sovvenzioni è difficilesopravvivere. Il tabacco in Umbria assorbemolta manodopera e crea un grande indottoeconomico. Perdere questa coltura sarebbe unduro colpo, anche perché è l’unica industriale

rimasta. Prima c’era anche la barbabietola, maoggi non si coltiva praticamente più».

In effetti secondo gli ultimi dati dell’Inea,Istituto nazionale di economia agraria, dal 2000al 2010 la coltivazione della barbabietola dazucchero ha subito una flessione del 98%. Ingenerale, stando al rapporto Inea, il numerodelle aziende agricole umbre è diminuito del31%. Un trend negativo per un settore ancoramolto importante nell’area.

Fatto sta che il problema siccità rimane. «I

fattori principali sono due – spiega Brugnoni –,il primo è meteorologico ed è dovuto alla pio-vosità degli ultimi 13-14 mesi, che è stata circala metà delle medie stagionali. Il secondo è losvuotamento dell’invaso di Montedoglio, dopola rottura della diga».

I cereali e le colture arboree, come la vite el’olivo, se la possono cavare, ma le colture orto-frutticole sono più a rischio.

In realtà c’è anche un altro problema, legatoall’inquinamento delle acque del Tevere.Brugnoni sottolinea che «in alcuni tratti il fiumeè poco pulito, ma ci sono delle centraline cherilevano il livello di inquinamento e se questo ètroppo elevato bloccano l’erogazione di acqua,impedendo che questa venga utilizzata perinnaffiare le coltivazioni».

Entrambi gli agricoltori auspicano una mag-giore attenzione verso un settore che spessopassa in secondo piano quando si parla di cre-scita. Per andare incontro agli agricoltori, laRegione Umbria ha messo a disposizione undi-ci milioni di euro, provenienti dal programmadi sviluppo rurale 2007-2013, destinati a chicoltiva in zone con svantaggi naturali e chi col-tiva biologico. e.B. r.c.

l’agricoltura che rischia grossoI produttori spiegano la situazione di mais e tabacco, coltivazioni che richiedono un elevato consumo idrico

crepe nel sUolo DovUte alla scarsità D’acqUa

Un tratto Del tevere nella zona Di ponte pattoli

poche gocce

-83% la percentuale di precipi-tazioni rispetto all’anno scorso

-93cm il livello del Trasimenorispetto allo zero idrometrico

30-50% il territorio umbrominacciato dalla desertificazione

500mila gli ettari desertificatiogni anno dall’attività irrigua

agricoltori al lavoro. in UMBria le azienDe agricole sono 36.201, nel

2000 erano invece 52.035 (fonte istat 2012)

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5PRIMO PIANOAPRILE 2012

Dell’acqua che arriva al rubinetto di ca-sa, oltre il 35 per cento si perde perstrada. Dalle tubature umbre secondo

la relazione al Parlamento redatta dalla commis-sione nazionale per la vigilanza sulle risorse idri-che, ne fuoriesce il 40%.

Le situazioni più critiche sono quelle del cen-tro-sud: dagli acquedotti del Molise esce il 65 percento delle risorse idriche, mentre durante l’esta-te Sicilia, Sardegna e Puglia sono bersagliate daemergenze per settimane. Si perde acqua dun-que, ma anche molto denaro. Una ricerca di Al-thesys dimostra che per circa 3-4mila miliardi dimetri cubi vanno in fumo tra i 4 e i 5 miliardi dieuro all’anno (45 milioni solo per l’Umbria).

Nel frattempo gli italiani continuano a consu-mare 220 litri d’acqua a testa ogni giorno, quan-do i nord-europei non superano i 160. L’Italiacon 980 metri cubi di prelievo d’acqua annuopro-capite è la prima consumatrice in Europa ela terza nel mondo, dopo Usa e Canada.

Pochi investimenti, tanto inquinamento -

«Il problema principale è la mancanza di inve-stimenti sulle infrastrutture, non ci sono risorse– spiega Alessandra Paciotto, presidente Legam-biente Umbria – e quella degli acquedotti cola-brodo non è considerata una prerogativa di in-tervento». Eppure sistemando la rete si potreb-be avere il 40 per cento di acqua in più. «Non ècosì semplice. C’è anche il problema dell’inqui-namento. Arpa e Asl controllano le falde acqui-fere e stabiliscono se una certa acqua si può be-re oppure no. Se si rileva inquinamento si avvi-sa il sindaco il quale emette un’ordinanza e vie-ta l’utilizzo dell’acqua. Poi – aggiunge Paciotto –

sempre il Comune dovrebbe provvedere a rifor-nire l’area interessata attraverso cisterne o auto-botti. Ci sono paesi o alcune case isolate sullecolline che non hanno condutture idriche e uti-lizzano i pozzi. In parecchi di questi l’acqua è in-quinata. È accaduto a San Martino in Campo,Assisi, Bastia Umbra.A Foligno i pozzi sonostati inquinati da versa-menti di lavanderie e diattività artigianali».

Ma entro sei anni,per quanto riguardal’acqua pubblica, qual-cosa dovrà cambiare.L’impegno arriva dallaRegione: «Abbiamoapprovato un regola-mento regionale –spiega l’assessore al-l’Ambiente SilvanoRometti – che prevede,oltre a ribadire un usoconsapevole degliutenti, una riduzionedelle perdite del 20 percento in sei anni. Unaparte dei 213 milioni dei fondi per le aree sottou-tilizzate sarà destinata a questo, circa 7 o 8 milio-ni e un’altra parte cospicua andrà per la depura-zione delle acque».

Bottiglia o rubinetto? - Negli ultimi tempi inmolti hanno riscoperto l’acqua di casa, forse an-che come conseguenza diretta della crisi econo-mica. Nonostante questo però gli italiani riman-

gono i primi consumatori in Europa di acquaminerale in bottiglia: 196 litri a testa, in media,ogni anno. L’acqua imbottigliata è presente suquasi ogni tavola italiana ma costa da cinquecen-to a mille volte in più rispetto a quella pubblicadel rubinetto, e contribuisce tra lavorazioni, im-

ballaggi e trasporti all’inqui-namento dell’atmosfera.

«Perché è meglio l’acquadel rubinetto rispetto a quel-la in bottiglia? Perché – com-menta il presidente di Le-gambiente – non si rischianocontaminazioni di materialidi imballaggio e di stoccag-gio».

Tentare una soluzione -

L’unica via possibile sem-bra essere quella di investiree lavorare sulla manutenzio-ne. Fino ad oggi tutti i citta-dini hanno contribuito inquesta direzione con il bal-zello del 7 per cento applica-to dai gestori della bolletta.Secondo Legambiente si

tratta di fondi che hanno cambiato poco le co-se, vista la situazione generale degli acquedottilocali. «È fondamentale ridurre le perdite – ri-badisce il presidente di Legambiente – sia per ilpresente sia per le future crisi idriche. Stiamo ri-buttando in mare l’acqua che sta inondando lanostra barca. Ma l’unica soluzione per non af-fondare è tappare la falla».

giorgia carDinaletti

rete idrica, l’Umbria fa acqua

Acquedotti, pozzi e cisterne. Opere com-plesse, a volte mastodontiche, che resi-stono ai secoli e, in alcuni casi, conserva-

no la loro funzione. Il percorso alla scoperta deisistemi idraulici in Umbria attraversa tutta la re-gione e almeno due epoche: quella romana equella medievale.

Si inizia da Perugia con l’acquedotto della Fon-tana Maggiore. Durante il XII secolo il progres-sivo aumento della popolazione rese necessarioun maggiore approvvigionamento idrico. Ai fra-ti il compito di individuare e incanalare nuove ac-que sorgive: la raccolta di Montepacciano, vici-no all’attuale frazione di San Marco, sembrava lafonte più adatta. Nel 1254 le prime delibere delConsiglio Generale del Popolo. Il progetto fu af-fidato al maestro veneziano Boninsegna. Un la-birinto di cunicoli per oltre 500 metri di lunghez-za e una cisterna di raccolta, la Conserva delle ve-ne, ne assicuravano il funzionamento. Più a mon-te, venne costruito un altro serbatoio, il Conser-vone Vecchio, per raccogliere la pioggia da utiliz-zare in caso di siccità. Il 13 febbraio 1280, l'acquafinalmente sgorgava dall'appena ultimata Fonta-na Maggiore. Gli interventi di manutenzione or-dinaria furono nei secoli numerosi. Spesso bersa-glio di saccheggi e sabotaggi, l’acquedotto fu di-

sattivato nel 1799. Tredici anni dopo un trattovenne trasformato in un percorso pensile ches’immette in città attraverso l’arco di Via Appia.

E poi c’è Spoleto con il maestoso Ponte delleTorri lungo 236 metri e alto 76. L’opera fu co-struita nel tardo Medioevo sulle basi dei resti diepoca romana e rappresenta la parte più spetta-colare dell’acquedotto che portava risorse idrichedal Cortaccione, da Patrico e dalla Valcieca. Sulponte si innalza una muraglia di 12 metri, in cuiancora scorre l’acqua usata dagli spoletini in lar-ga parte per irrigare gli orti.

È invece inutilizzato, ma comunque di grandefascino, l’acquedotto romano di Spello. Partendoda Collepino segue le pendici del Monte Suba-sio fino ad arrivare all’ingresso del centro stori-co della cittadina. L’opera, lunga quasi cinque chi-lometri, crea un terrazzamento artificiale che at-traversa uliveti e una fitta macchia mediterranea.Sulla parete a valle del condotto sono ancora vi-sibili aperture rettangolari che permettevanol’ispezione del cunicolo e sfiatatoi per la circola-zione dell’aria. Durante i secoli l’acquedotto fuspesso ristrutturato anche perché era la fonte idri-ca principale della città; alla fine dell’Ottocentofu tuttavia sostituito con una tubazione in ghisache fece perdere memoria dell’antica costruzio-

ne per diversi decenni. Il viaggio continua a Todi con la sua comples-

sa rete sotterranea: tre chilometri di cunicoli didrenaggio, 484 pozzi e 12 cisterne se si contanosolo quelle romane. Il sistema serviva all’approv-vigionamento idrico, allo smaltimento delle ac-que sotterranee e a evitare smottamenti e frane.La rete di canali, riscoperti a partire dagli anni Ot-tanta dal gruppo speleologico locale, venne di-smessa con la costruzione di un moderno acque-dotto nel 1925. Tuttavia le cisterne duecentesche,che si trovano sotto la zona orientale della piaz-za principale, sono ancora utilizzate per l’impian-to antincendio dei Palazzi comunali.

Storie di scoperte speleologiche anche nel Ter-nano. A Narni, a partire dalla fine degli anni Set-tanta, gli esploratori dei sottosuoli urbani scopri-rono ciò che restava della piccola Chiesa di San-t’Angelo e una stanza ricca di graffiti dei reclusidel Tribunale dell’Inquisizione. Non solo, furonoindividuati anche cunicoli e cisterne. Del restouno degli acquedotti umbri più interessanti è pro-prio quello narnese: la “Formina”. Costruita dalcurator aquarum Nerva nel 27 d. C., la struttura èlunga circa 13 km e mantiene una pendenza co-stante: si snoda lungo le pendici delle colline, at-traversa tre monti e supera alcuni corsi d'acqua.

Ad oggi si può visitare una parte di condotto lun-ga 700 metri. Le strutture non sono più destina-te a usi idropotabili. A eccezione del primo trat-to dell’acquedotto della Formina: per alcune cen-tinaia di metri il sistema funziona e serve, con unmoderno meccanismo di pompaggio, la frazio-ne di Sant'Urbano. Le cisterne sono usate per rac-cogliere l'acqua piovana, sfruttata per irrigare igiardini del centro storico o, come a Todi, per gliimpianti antincendio.

A Orvieto sono state ritrovati anche ipogei diepoca etrusca utilizzati per l’approvvigionamen-to idrico. E qui c’è uno dei capolavori umbri diingegneria legata all’acqua: il cinquecentesco poz-zo di San Patrizio. Dotato di due rampe elicoi-dali a senso unico, completamente autonome eservite da due diverse porte, permetteva di tra-sportare con i muli l'acqua del pozzo.

Ad Amelia le cisterne romane, dislocate in va-rie parti della città e rimaste perfettamente intat-te, testimoniano un sistema efficiente che garan-tiva la sopravvivenza alla comunità anche nei pe-riodi di siccità. Il complesso idraulico compren-de dieci ambienti con volte a botte e risale al IIsecolo d.C. Gli anziani giurano di aver usato le ci-sterne fino agli anni Cinquanta.

valentina parasecolo

cisterna roMana Dei voltoni, toDi (foto: faBrizio arDito) ingresso Delle cisterne Di aMelia (foto: ass. i poligonali) ponte Della torre, spoleto (foto: torsten henning)

viaggio nel tempo tra antichi acquedottiLabirinti sotterranei e ponti secolari del territorio. Ecco i capolavori idraulici di etruschi, romani e frati medievali

il panoraMa Dal percorso lUngo l’acqUeDotto Di spello

Dispersione del 40% e problema investimenti. Interviene rometti: «Entro sei anni le perdite dovranno essere dimezzate. Otto milioni a disposizione»

Tubature colabrodo, in Italia buttati via tra i 4 e i 5 miliardi di euro all’anno. Si continuano a preferire le bottiglie, il Paese primo consumatore d’Europa

Dati a confronto

• Il 40% dell’acqua fuoriesce dagliacquedotti umbri. In Italia oltreil 35%. Situazione drammaticaal Sud. Entro sei anni l’Umbriapunta a ridurre le perdite al20%.

• L’87% degli italiani consumaacqua in bottiglia. Il mercatodelle acque minerali vale 3,2miliardi di euro.

• In 15 anni (1988-2003) il consu-mo italiano di acqua in bottigliaè più che raddoppiato (da 80 a182 litri), un fenomeno unico almondo.

• Gli italiani consumano 220 litri diacqua a testa ogni giorno, 30solo lasciando il rubinetto aper-to mentre ci si lava i denti.

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20 AN

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SGRTV20 AN

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«Alle selezioni eravamo una folla immensa, ionon ci speravo proprio, anzi è stata mia mam-ma a mandare i documenti». Così Monica

Maggioni, volto noto del Tg1, ricorda il primo passo perdiventare una praticante della Scuola di giornalismo radio-televisivo. Era il 1992 e a Perugia nasceva il centro italia-no per la formazione al giornalismo. Un luogo dove daventi anni si formano i cronisti del futuro. Il primo sco-glio da superare, allora come oggi, è l’esame d’ammissio-ne. Solo in venticinque ce la fanno, studenti ma anche pra-ticanti che formano una classe dove si impara a diventare

dei professionisti delmestiere.

Un percorso lun-go diciotto mesi, unamiscela perfetta trapratica e nozioniteoriche, dall’econo-mia al diritto penale,passando per la de-ontologia professio-nale. Tutti tassellifondamentali perraccontare in manie-

ra corretta e precisa le notizie. «Quei due anni a scuolafurono un vero e proprio esperimento – ricorda Monica– eravamo tutti impegnatissimi e molto coinvolti nei no-stri lavori quotidiani. Anzi a volte eravamo noi a metterein crisi il sistema, tanta era la voglia di fare».

E certo i ritmi non sono mai stati leggeri: «Si entrava al-le 9, una mezz’oretta davanti al pc per controllare mail eagenzie e poi si iniziava la giornata lavorativa, tra labora-tori pratici e lezioni teoriche» ricorda Alessandro Tabal-lione, con una passione per la radio che poi si è trasfor-mata in una carriera a Sky Tg24. Una scuola sì, ma conmomenti da vera e propria redazione, come quando la no-tizia dell’attacco alla base italiana di Nassiriya, in Iraq, fairruzione tra le mura di Villa Bonucci: «Quel giorno –continua Alessandro, allievo del sesto biennio – dovevocondurre un giornale radio. Invece, dopo l’arrivo della no-tizia, abbiamo stravolto la scaletta per realizzare uno spe-ciale su quello che era accaduto e coprire, come fossimo

in diretta, la notizia.Io andavo a braccio,mentre gli altri mieicolleghi si destreg-giavano tra appro-fondimenti e finticollegamenti. Ab-biamo vissuto unagiornata come sefossimo stati dei ve-ri e propri giornali-sti».

Quella fu unagiornata da reporter,

con tempi ed emozioni che solo una vera diretta ti può da-re, ma anche con la simulazione quotidiana si costruisco-no le basi per affrontare al meglio la vita professionale. Co-me racconta Costanza Miriano, studentessa del secondobiennio, oggi giornalista al Tg3 e scrittrice: «Tutto quelloche oggi so del giornalismo lo devo alla Scuola. La gavet-ta, come la si faceva una volta, bussando alle porte dei di-rettori, oggi non credo esista più. Ecco perché la scuolarappresenta il miglior modo possibile e meritocratico perdiventare giornalista».

Sulla stessa lunghezza d’onda è Giuseppe De Bellis, vi-ce direttore del Giornale: «A volte si hanno dei pregiudi-zi sulle scuole perché non si impara il mestiere sul cam-po, ma io sono convinto che non sia così». Parola di chi èpartito dalla Gazzetta del Mezzogiorno e ad un certo mo-mento si è trovato di fronte ad un bivio: continuare a col-laborare, facendo esperienza sul campo, o provare ad en-trare in una scuola?

«Aver frequentato la Scuola di giornalismo radiotelevi-sivo è stata la grande svolta della mia vita, lo rifarei altreduecento volte. Grazie a questa esperienza sono riuscitoad allargare i miei orizzonti e a comprendere come fun-ziona l’informazione. Solo la scuola ti dà la possibilità didiventare un giornalista del futuro. La carta vincente èquella di insegnare ad avere un approccio professionale,a prescindere dal mezzo con il quale si trasmette la noti-zia». E a giudicare dalla sua carriera, come quella di tantialtri, l’obiettivo è stato centrato. Oggi è il vicedirettore diuno dei maggiori quotidiani italiani e «pensare – racconta– che alle selezioni non fui ammesso. Ero arrivato venti-cinquesimo, quell’anno ne prendevano solo 24, per for-tuna però qualcuno rinunciò».

A Perugia non si impara ad essere solo dei bravi croni-sti radiotelevisivi, anche se è la spiccata vocazione dellaScuola, ma si lavora in una vera e propria realtà multime-diale, all’avanguardia coi tempi, soprattutto per quanto ri-guarda la frontiera, sempre in evoluzione, del web e delletecnologie. Ogni mezzo ha un proprio linguaggio, ogni lin-guaggio le sue regole da imparare e decodificare. «È unmodo poliedrico di fare giornalismo – sostiene MichelaAnastasi Proietti, ex allieva e oggi redattrice al Corrieredella Sera – la scuola ti prepara a gestire tutti i mezzi a di-sposizione, e questo è un valore aggiunto che mi portocon me al Corrie-re». Non solo l’usodegli strumenti tec-nici e delle compe-tenze pratiche, «laScuola è stato illuogo dove abbia-mo potuto espri-mere la nostra crea-tività, senza limiti.Una capacità chemi ha permesso difare il mio attualelavoro». Francesco Delzio, infatti, dopo la scuola di Pe-rugia e quattro anni vissuti in una redazione, ha intrapre-so la carriera manageriale e oggi è direttore delle relazio-ni esterne di Autostrade per l’Italia.

Quello che contraddistingue un vero professionista èanche l’attenzione alle piccole cose, quella precisione chefa la differenza, come una pronuncia perfetta e una buo-na lettura, abilità sulle quali la Scuola di Perugia punta mol-to, come testimonia Martino Villosio, da poco giornalistaprofessionista ma che ha già fatto esperienze professiona-li importanti: «Imparare la dizione mi ha aiutato a non sfi-gurare nella redazione del telegiornale di La7 – raccontaMartino –. Per chi lavora in quest’ambito è sicuramenteuna carta in più». Tra gli aspetti interessanti ci sono gli sta-ge estivi nelle redazioni. Un’opportunità per entrare in unarealtà nuova e da cui possono aprirsi porte inaspettate, co-me racconta Giovanna Mancini: «Alla fine del primo an-no ho fatto lo stage al Sole 24 Ore. Dopo quest’esperien-za mi hanno chiesto di rimanere lì. Ho lasciato la scuolae ho proseguito il mio praticantato in questa redazione,dove lavoro anco-ra oggi». Tante levoci da sentire e iricordi da raccon-tare, ma una cosaaccomuna tutti:l’esperienza uma-na che si vive. Ungruppo di colleghima soprattutto diamici, che giornodopo giorno im-para a vivere inuna vera e propriaredazione, a rispettare tutte le professionalità, e a capireche è sempre il gruppo a vincere.

Aprimavera il colore che prevale sulla parte poste-riore di Villa Bonucci è il giallo. Il merito è di cir-ca cento limoni che, fino a qualche anno fa, nel

periodo invernale erano conservati in un edificio adiacen-te alla residenza padronale. Oggi quella stessa struttura èpronta per ospitare gli allievi del prossimo biennio. Dallaporta posteriore della Villa si attraversa il giardino. Da quisi entra in un edi-ficio che all’ester-no mantiene ilsuo stile sette-centesco, ma cheall’interno rac-chiude i mezzi diproduzione piùaggiornati. Lepareti bianche, letarghe ancora lu-cide e rigorosa-mente blu, che riprendono i colori della Scuola, danno su-bito l’idea di essere in uno spazio moderno. Al piano ter-ra si trova un largo atrio dal quale si accede all’aula magna:154 posti per una sala conferenze, grazie alla quale gli al-lievi potranno seguire convegni e seminari.

Salendo le scale, immediatamente a sinistra si nota su-bito una targa inricordo dell’allie-vo del IV bien-nio, Matthias Fi-lippone Thaule-ro. Qui i futuripraticanti lavore-ranno in un openspace con i do-centi responsabi-li delle varie testate. Ai lati di questo ambiente, oltre ad unostudio di registrazione radiofonica, si trovano le regie ra-dio e tv. Dall’altra parte, lungo il corridoio, si susseguonole salette di montaggio per entrambi i mezzi, tutte inso-norizzate. Molte delle strumentazioni che occuperanno inuovi spazi della ex limonaia saranno recuperati dalla lo-ro sede attuale, nella Villa. Altri, invece, come gli schermi

della regia, sono stati acquistati e già installati. Nella resi-denza Bonucci, che ha ospitato tutte le attività nei vent’an-ni di vita della scuola, rimarranno comunque la mensa,un’aula, la segreteria e la biblioteca. L’idea di utilizzare laex limonaia per la produzione nasce durante la direzionedi Vittorio Fiorito, durata dal 1998 al 2004. «Quando so-no arrivato – spiega Fiorito – la limonaia settecentesca ri-

schiava di rovi-narsi, insieme ailimoni nei lorovecchi vasi. Ilmio primo pen-siero fu di realiz-zare una serraper salvare lepiante e ristrut-turare i locali, alfine di creareuna nuova reda-

zione». Conclusa la direzione di Fiorito, il progetto passaall’attuale presidente, Innocenzo Cruciani. «Quando so-no arrivato – racconta – ho trovato i progetti appesi al mu-ro, già impostati per la realizzazione.

Dopo qualche tempo siamo riusciti ad avviare i lavori.La Scuola ha una costante necessità di innovarsi; ristruttu-

rare i locali del-l’edificio ha per-messo di creareun’isola tecnolo-gica».

Un motivo disoddisfazioneulteriore, ha ag-giunto Cruciani,«è che la realiz-

zazione del progetto è stata portata avanti e conclusa conle sole forze della Scuola, uscendo dai lavori con la stessatranquillità finanziaria con cui si erano intrapresi». Gli al-lievi del decimo biennio stanno già utilizzando la parte del-le nuove strutture dedicata al montaggio radiofonico. Sisente ancora l’odore di vernice fresca, quello tipico dellenovità.

“Il centro italiano di studi superiori per la formazione e l’aggiornamentoin giornalismo radiotelevisivo” nasce nel 1992 nella frazione perugina diPonte Felcino. A ospitare l’istituto è villa Orinthia, grazie ad un accor-

do con la fondazione Bonucci, uno dei protagonisti della creazione della Scuola.Il rappresentante dell’ente, prof. Mario Bellucci, ricorda che «secondo il testamen-to del dott. Mario Bonucci la villa doveva essere destinata ad uno scopo cultura-le: prima si pensò all’Istituto nazionale di fisica nucleare, ma poi si optò per que-sta struttura di formazione giornalistica».

Sono passati venti anni da quando la Rai e l’Università di Perugia decisero difondare una scuola che desse la possibilità ai giovani di diventare giornalisti pro-fessionisti. Allora era una delle poche realtà formative in Italia; oggi non è piùcosì, le scuole riconosciute dall’Ordine sono quindici. Quella di Perugia, però, sidistingue per la sua vocazione prevalentemente radiotelevisiva. Il motivo princi-pale a spingere gli enti fondatori a creare la Scuola fu l’esigenza di avere profes-sionisti sempre specializzati e preparati nell’uso delle tecnologie. A ricordarlo so-no Gianni Pasquarelli e Pier Vincenzo Porcacchia, rispettivamente primo presi-dente e primo direttore dell’istituto. Ed è proprio Porcacchia a sottolineare il va-lore aggiunto di un praticantato svolto in una scuola di giornalismo: «Se una vol-ta la capacità di dire le cose e di capire la realtà bastava per fare questo mestiere,l’evoluzione del mondo dell’informazione oggi richiede titoli diversi ed un baga-glio di esperienze specifiche». Paolo Mancini, primo coordinatore didattico della

Scuola, ha contribuito a creare un corso di studi che fosse il più completo possi-bile. Da sempre Nunzio Bassi segue le attività: «Questa Scuola ha sempre punta-to a far svolgere un praticantato serio, dal quale uscissero professionisti veri».

In nove bienni sono stati 219 gli allievi diventati giornalisti. A questi si aggiun-gono i venticinque del corso che sta per concludersi. Come ogni anno, a settem-bre alcune centinaia di neolaureati si presenteranno all’esame di ammissione, cheprevede prove scritte e orali. Gli allievi selezionati, per poter frequentare il corso,pagano una retta che, tuttavia, come ricorda l’attuale presidente Innocenzo Cru-ciani, «è inferiore a quella richiesta altrove per quanto gli insegnamenti offerti sia-no di altissima qualità».

«La Scuola di Perugia – come ricorda il presidente del Comitato scientifico, ilprofessore Antonio Pieretti – ha sempre più spostato l’attenzione sul piano pro-fessionale, in modo da far sì che le competenze acquisite fossero subito spendi-bili nel mondo del lavoro».

In venti anni di formazione l’insegnamento principale che ricordano molti exallievi è quello che il secondo direttore, Vittorio Fiorito, riassume ancora oggi trai più importanti: «Prima di tutto viene la notizia. Per fare bene questo mestiere,bisogna evitare di cadere nella tentazione di anteporre la propria firma, la pro-pria voce o il proprio volto alla ricerca delle verità».

Sono trascorsi dieci anni da quan-do è stata istituita la borsa di stu-dio intitolata a Matthias Filippo-

ne Thaulero. A partire dal quinto biennio, un al-

lievo per ogni corso ha potuto fre-quentare la Scuola di giornalismo ra-diotelevisivo di Perugia grazie al soste-gno economico dell’associazione, na-ta in memoria di Matthias, allievo del-la Scuola dal 1998 al 2000, vittima diun tragico incidente automobilistico ilquattro novembre del 2001. I suoiscritti sono raccolti in un libro, L'Eradel Silenzio, che è una bella testimo-nianza di impegno civile e di entusia-smo per la vita.

Chi era il ragazzo, morto a 29 anni,quando vedeva avverarsi il sogno didiventare giornalista professionista? Siera laureato a pieni voti in filologia eletteratura medioevale e conoscevaperfettamente il francese, l’inglese e iltedesco. Matthias era un ragazzo ap-passionato, estroverso e curioso, ama-va la politica, la musica, la letteratura,

ma in particolare il giornalismo.La borsa di studio copre i costi del-

la retta scolastica e viene assegnata inbase al merito e alle condizioni econo-miche. «Un anno dopo la sua morte,un gruppo di amici si è adoperato – ri-corda Carla Sabine Kowohl, la madredi Matthias – perché la molteplicitàdei suoi interessi, l'entusiasmo intelli-gente e maturo, la forza trascinatricerispetto ad ogni nuova iniziativa po-tessero continuare ad essere stimoloper altri giovani». Così nasce l’associa-zione Matthias Filippone Thaulero el’idea di istituire una borsa di studio.Carla Sabine Kowohl osserva come«Matthias da sempre aveva voluto da-re forma alle sue idee; durante l'uni-versità aveva lavorato ad una rivista,La Pallacorda, da lui creata, e a La Fie-ra Letteraria, per approfondire temi diriflessione politica e letteraria. LaScuola di giornalismo radiotelevisivodi Perugia ha poi rappresentato per luiun'occasione per dare uno sguardomaturo ai problemi del mondo, utiliz-

zando gli strumenti propri della pro-fessione giornalistica, quelli che avran-no a disposizione i giovani vincitoridel premio».

La borsa, che ha consentito fino adoggi a due ragazze e a tre giovani direalizzare il sogno di diventare profes-sionista, non vuole essere solo un so-stegno economico. Alla signora Ko-wohl piace pensare «che un po' dellospirito che animava Matthias nelle suetante esperienze di disincantato, libe-ro, appassionato confronto di idee,possa entrare a far parte del baga-glio umano e professionale di altriragazzi». È con questa speranza chela signora conosce i borsisti, portan-doli tutti nel cuore: «con ciascuno diloro, Giovanna Mancini, Luca DiBella, Senio Bonini, Luca Patrigna-ni, Valentina Antonelli, sono rima-sta per qualche tempo in contatto.Sono sempre felice quando leggoun loro articolo, quando li ascoltoper radio o li vedo in tv, sempreprofessionali e competenti».

Carla Sabine Kowohl parla dellaScuola di Perugia come una tappafondamentale per Matthias nel suobreve, ma intenso viaggio di crescitapersonale e professionale: «La Scuolaha dato la possibilità attraverso la bor-sa di studio e l'intitolazione di un’auladell’ex limonaia, di fare in modo che ilcapitale delle sue esperienze e dellesue riflessioni non sia andato disper-so».

scuola di perugia, il racconto di un viaggio lungo vent’anniDalla fondazione nel 1992 al 2012 attraverso dieci bienni e 244 studenti. Una residenza settecentesca dove si insegna che essere giornalisti professionisti è una questione di tecnica, impegno e umiltà

Un’associazione che nasce da un ideale: far capireche chi esce da una scuola di giornalismo è unprofessionista dell’informazione. «All’inizio era-

vamo un gruppo di colleghi che avevamo frequentato laScuola di giornalismo di Perugia. Ci incontravamo dopo illavoro in un bar di Roma, poi piano piano è nata l’idea diriunirci in un gruppo, come accade tra gli studenti dellaLuiss o della Bocconi. Così otto anni fa è nata l’Associa-zione Giornalisti della Scuola di Perugia», raccon-ta Anna Piras, allieva del primo biennio e oggivolto di Rai Parlamento. L’obiettivo è quello dipuntare sulla formazione di chi vuole farequesto mestiere passando per le scuole digiornalismo, un luogo dove si incontrano pra-tica e teoria. L’idea di un’associazione era nel-l’aria sin dal 1992. Ogni biennio, infatti, avevaun coordinamento formato da tre studenti. Con ilpassare degli anni, però, quello che era un piccologruppo di amici e colleghi diventa sempre più numeroso,gli allievi della Scuola di giornalismo radiotelevisivo di Pe-rugia sono sempre di più, fino a diventare un centinaio dipersone. Un percorso che, soprattutto nei primi momenti, ha in-contrato anche qualche ostacolo: «All’inizio la cosa diffi-cile è stata quella di farci conoscere», continua la Piras, pre-sidente dell’assemblea. L’Associazione oggi conta più del-

la metà di tutti i ragazzi e le ragazze che hanno frequen-tato la Scuola di Perugia. Un lavoro costante, basato su progetti, conferenze e ma-nifestazioni, che punta a promuovere un messaggio: «Si di-venta professionisti tramite la formazione» e, per questo,non c’è luogo migliore di una scuola. Tante le iniziative promosse, tutte con un obiettivo di fon-

do: la condivisione del valore dell’insegnamento. «Loscoglio più grande – racconta la Piras – è stato

quello di abbattere il pregiudizio che c’è sul-le scuole di giornalismo. Ora, però, che sono passati otto anni dal-la fondazione dell’Associazione e venti daquella della Scuola di Perugia, tutti gli al-lievi che hanno varcato le porte di Villa

Bonucci hanno dimostrato quanto valgo-no».

Un lavoro e una passione quotidiana che spingetanti professionisti di oggi ad incoraggiare e aiutare chivuole intraprendere questo mestiere. Ecco perché l’Associazione sponsorizza e finanzia pre-mi giornalistici per gli studenti degli istituti di formazio-ne. Quest’anno, ad esempio, è stata promossa l’iniziativa“InFormazione”, una borsa di studio che permetterà adun praticante di frequentare gratuitamente una scuola digiornalismo.

l’ex limonaia, «un’isola tecnologica»Pronto il nuovo spazio per redazione, studi televisivi e radiofonici

Matthias, un esempio per diventare bravi giornalisti

Quei nostri due anni a Villa BonucciRacconti e curiosità: la quotidianità nelle testimonianze degli allievi

in prima linea dal mondo del lavoro

MoniCa MaGGioni, tG1

FranCesCo Delzio, ManaGer

Costanza Miriano, tG3

Giuseppe De Bellis, il Giornale

Matthias Filippone thaulero

paGine a Cura Di

FranCesCo Cutro, ilaria esposito

Giulia serenelli, elisaBetta teriGi

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8 CRONACA APRILE 2012

Le cronache rac-contano della stra-

na serata del 19 set-tembre 1958 quandocentinaia di personesi misero in fila da-vanti alle case di tolle-ranza, i bordelli che

per l’ultima volta avreb-bero soddisfatto i piaceri carnali degli italiani. Ilgiorno dopo sarebbe entrata in vigore la leggeMerlin, approvata otto mesi prima, e intitolata al-la senatrice Angelina Merlin. Questa donna perdieci anni aveva combattuto in Parlamento perabolire la regolamentazione della prostituzionenel Belpaese e per punire chi alimentava e tene-va in vita il mestiere più antico del mondo.

All’indomani del voto parlamentare Lina Mer-lin disse in conferenza stampa: «La mia leggenon pretende di abolire la prostituzione e il vi-zio, antichi quanto il mondo: vuole solo abolirela regolamentazione statale della prostituzione

che è immorale e indegna di un Paese civile. Nonè ammissibile che le donne traviate vengano tes-serate e schedate come le bestie: questo è con-trario alla Costituzione e contrario alle normeche regolano l’ingresso di una nazione all’Onu».Fu un momento storico che rimase impressonella memoria degli italiani per decenni. Una leg-ge che in qualche modo modificò il costume ses-suale degli italiani e che fu a lungo duramente av-versata. Ma Merlin era stata una partigiana anti-fascista, eletta nell’assemblea costituente con ilpartito socialista e dal 1948, quando promosseper la prima volta la normativa, non smise maidi combattere per quello che definiva un “prin-cipio di civiltà”. Per la coraggiosa senatrice nonsi trattava di una battaglia moralista contro il“piacere” ma piuttosto di una lotta per l’ugua-glianza e la libertà delle donne più sfruttate d’Ita-lia. Non a caso nel 1968 alla domanda del gior-nalista Enzo Biagi su quale fosse stato l’articolodella Costituzuione che più avesse visto un suoapporto, Merlin rispose: «Eh, l’articolo 3! Quel-

lo che parla dell’uguaglianza dei cittadini di fron-te alla legge». Inaccettabile per lei uno Stato cheesigeva tasse e contributi sulla prostituzione,iscrivendo le lucciole su appositi registri. Le don-ne che esercitavano la professione in strada osenza permesso venivano arrestate. Dopo la leg-ge Merlin la prostituzione non fu più punita, madivenne un reato “favorire e sfruttare la prosti-tuzione”. Colpiti i clienti e gli sfruttatori, non piùle donne che per scelta, per disgrazia o costrizio-ni vendono il proprio corpo.

È chiaro che la prostituzione non finì il 20 set-tembre 1958, anzi si spostò dal chiuso delle ca-se all’aperto delle strade. Un fenomeno che sa-rebbe peggiorato nei decenni successivi ancheper l’aumento dell’immigrazione. Le ammini-strazioni comunali hanno provato con diversistrumenti legislativi ad intervenire ma semprepuntando a colpire i clienti e non le donne. Èquesta l’eredità lasciata dalla senatrice AngelinaMerlin.

antonio zagarese

Multe e lucciole, una notte con i vigiliLe forze dell’ordine controllano Settevalli, Pian di Massiano, Olmo e Sant’Andrea delle Fratte: queste le vie del sesso a pagamento

Il giro per le strade frequentate dalle luccio-le a Perugia inizia intorno alle 22.30. Le duepattuglie della polizia municipale sono in

servizio già dalle 19 ma aspettano ovviamente lanotte per far rispettare la nuova ordinanza antiprostituzione in vigore dal 2 aprile fino al pros-simo 31 ottobre. Si cercano clienti che avvicina-no, contrattano sulla prestazione o fanno saliresulle proprie auto le prostitute. Il provvedimen-to prevede infatti che la multa a chi frequenta lezone del sesso a pagamento può arrivare solo secolto in flagrante. Il massimo della sanzione è450 euro.

Questa volta toc-ca ai marescialli Ro-berta Rondini eFrancesco Mezzet-ti e agli agenti Lau-ra Bianconi e LuciaCavaliere effettuarei controlli. Si partedalla stazione Fon-

tivegge per andare verso via Settevalli. Qui si in-contrano le prime prostitute lungo i marciapie-di. Non sono molte, così come le auto dei pos-sibili clienti: «È lunedì, c’era da aspettarselo –spiega Mezzetti, il più anziano della pattuglia –il viavai vero e proprio è nel weekend». Nono-stante questo, bisogna continuare. Si prosegueper via Piccolpasso, via Dottori, via Penna e viaBarteri. Dopo la zona di Settevalli si va versoPian di Massiano e la zona dello stadio Curi.Nessuna traccia di prostituzione e quindi nean-che auto in sosta che contrattano: «Questa, unavolta, era la zona delle ragazze nigeriane, adessosi sono spostate» dice Mezzetti.

Le prostitute, a Perugia così come in tante al-tre realtà urbane, si dividono le zone e per ognu-na di queste si concentrano spesso a seconda del-le nazionalità o dei gusti dei clienti. Il veteranoMezzetti ha bene in mente la mappa: «I trans, die-ci anni fa, si trovavano tutti dietro la stazione o invia Martiri dei Lager. Adesso invece sono soprat-tutto nella zona industriale di Sant’Andrea delleFratte. Le rumene invece sono a Settevalli o adOlmo, sulla via Trasimeno Ovest». Proprio men-tre si sta per imboccare la strada per arrivare adOlmo, i vigili notano due ragazze che indubbia-mente sono lì in attesa di qualche cliente ma sem-brano anche essere minorenni. Le due auto si fer-mano, i quattro della polizia municipale scendo-

no dalle vetture e chiedono i documenti: «Le ab-biamo fermate perché non ci sembravano averepiù di diciotto anni, – dice il maresciallo Rondi-ni – ovviamente noi abbiamo il compito di con-trollare anche questo. In più poi c’è da vedere sesono extracomunitarie o meno. Nel primo casopotrebbero non avere i documenti e quindi do-vremmo portarle con noi. Questa volta erano dueragazze romene, e quindi cittadine comunitarie, ecomunque maggiorenni».

Il controllo nei confronti delle prostitute si fer-ma qui. Non c’è il reato di prostituzione in Ita-lia mentre invece si colpisce quello di sfrutta-mento che può essere imputato anche nei con-fronti della clientela. Clientela e ragazze che dal-le parti di Olmo sono più presenti. Oltre alla mu-nicipale si vedono passare più volte le volanti deicarabinieri e della polizia stradale, le altre forzedell’ordine insieme anche alla guardia di finanza,impegnate nel giro notturno. Proprio una gazzel-la dei carabinieri ferma una Punto che si era av-vicinata ad una piazzola di sosta dove c’eranodue prostitute. Altri clienti invece sembrano piùinteressati a tre ragazze che sono ferme ad un in-crocio e che con i loro abiti lasciano pochi dub-bi sulle intenzioni. Ma quando da lontano arri-va l’auto dei vigili, è palese come chi stava per ral-lentare e avvicinarsi, d’improvviso accelera, cer-cando anche di evitare di ritrovarsi davanti la pat-

tuglia, deviando sulla prima strada: «Questo è undanno collaterale della prostituzione – sottolineasubito Mezzetti – questi comportamenti sullastrada sono pericolosi. Una frenata di colpo el’auto che arriva dietro ti tampona o finisci fuo-ri strada».

Prima dell’ordinanza erano questi i motivi percui i vigili urbani potevano fermare i clienti.Adesso invece il turno dalle 19 all’una di notte haanche questo compito, come dice il marescialloRondini: «Usciamo sempre in quattro, due perogni auto. Ci coordiniamo con i comandi dei ca-rabinieri, polizia e finanza solo se ci sono da fa-re grandi operazioni, altrimenti è routine. Nonè cambiato molto rispetto a quando non c’eral’ordinanza. Questo comunque è un turno cheabbiamo sempre avuto». Il maresciallo Mezzettipoi ci tiene a precisare le conseguenze dell’ordi-nanza proprio sulla prostituzione: «Finora dalnostro comando sono state fatte sei multe maabbiamo notato che da quando è arrivata l’ordi-nanza le prostitute si spostano dai soliti posti eanche di clienti se ne vedono meno». In moltiforse sono scoraggiati dal rischio di pagare 450euro ma difficilmente il problema verrà risoltosolo con questa ordinanza temporanea se già lelucciole hanno trovato nuovi posti per offrire leloro prestazioni.

alBerto gioffreDa

la legge Merlin che cambiò l’italiaNel 1958 fu approvata dal Parlamento la norma che istituiva il reato di sfruttamento della prostituzione

La polizia municipale di Perugia impegnata a far rispettare l’ordinanza anti prostituzione: fino a 450 euro per chi è colto in flagrante

Dopo l’ordinanza

meno clientima le prostitute

si stanno spostando

In Italia gli ultimi rilevamenti sul fenomenodella prostituzione risalgono al 2003 e

sono stati pubblicati dalla commissioneAffari sociali della Camera. Sarebbero tra50mila e le 70mila le donne che esercitano ilmestiere più antico del mondo. Di queste25mila sono immigrate, 2mila minorenni e2mila le ragazze ridotte in schiavitù ecostrette a “battere”.

La maggior parte delle prostitute lavora instrada (65%) mentre il 29,1% riceve inalbergo i clienti e il 5,9% in case private. Laprostituzione è un fenomeno femminile maoltre alle donne (94,2%) ci sono il 5% ditransessuali e lo 0’8% di trevestiti. La rileva-zione statistica esclude prostitui maschi edescort.

Le province in Italia che sono più interes-sate dal fenomeno sono quella di Milanodove si concentra il 40% delle lucciole.Segue il torinese con il 21%. In generale ildipartimento Pari Opportunità ha stimatoche sono nove milioni gli italiani che conmotivazioni e cadenze diverse frequentanole prostitute. Il giro d’affari oscilla tra i duee i sei miliardi di euro.

Ogni paese ha una differente legislazionein materia di prostituzione. In Olanda,Germania e Svizzera è legale e le donne chela esercitano pagano le tasse e sono tutela-te da un sindacato. In Turchia è legale sia laprostituzione in strada sia quella nei bordel-li ma in entreambi i casi le donne devonoavere una licenza. Non altrettanto fortunatele professioniste del sesso dei paesi a mag-gioranza musulmana: in alcuni casi si rischiala pena di morte. Particolare la legislazionegiapponese dove è consentito solo il sessoorale a pagamento perché non è ritenutouna forma di prostituzione.

a.z.

nove milionidi clienti

a sinistra le zone Di perUgia Dove si concentrano le pro-stitUte. la nUova orDinanza Del sinDaco Boccali interviene

solo in qUesti lUoghi. nella foto in Basso a sinistra la

senatrice lina Merlin. in Basso Una lUcciola in straDa

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CRONACA 9APRILE 2012

reduce dal “gran rifiuto” – un medico le ha ne-gato la visita per il rinnovo della patente – l’ot-tantanovenne astrofisica vuole continuare a gui-dare la sua auto e non demorde.professoressa hack, com’è andata a fini-re?Mi farò visitare da un altro medico. Mi sottopor-rò alla visita e, se idonea, non rinunceròa un mio diritto. Il medico che non ha voluto vi-sitarmi ha commesso un abuso.È stata vittima di un pregiudizio?Sì, essere anziani significa essere consideratipotenziali pericoli. Lo stesso pregiudizio c’è suigiovani. La verità è che i rischi maggiori vengo-no da alcol, velocità e stravizi del sabato sera.non ha paura che la vista, l’udito o i rifles-si possano giocarle brutti scherzi?Sì, ma la visita serve proprio ad appurare que-sto: se uno vede male, la patente non gli si dà,a prescindere da quanti anni abbia. quanto usa la sua panda?Guido solo in città. Fa molto comodo perché ul-timamente cammino male.non può farsi accompagnare da qualcu-no?In linea di massima sì, ma sa com’è, preferiscosempre far da me. Per me l’automobile restamolto importante.

niente paura, guida nonnoGli ultrasessantenni sono il 25% della popolazione. Cresce l’esercito degli anziani al volante. Nel 2018 l’Italia sarà la “vecchia” d’Europa

Nonna Rosa è riuscita a rinnovare la pa-tente. Pensava, con le vecchie norme,di dover rinunciare a quel suo picco-

lo mezzo di indipendenza. Ottantatré anni, ve-dova, folignate, è ancora vispa e lucida. La suaMicra grigia in realtà la usa poco, la domenica,per andare a pranzo fuori con i figli e i nipoti,ma anche, sporadicamente, durante la settima-na, per visitare qualche parente. La sorella adesempio, immobilizzata a casa. «Non avrei po-tuto più recarmi da lei, visto che la zona èmal collegata dai mezzi pubblici».

Il Codice della strada entrato in vigo-re due anni fa aveva reso la vita degliultraottuagenari al volante un calva-rio. Introducendo un vortice buro-cratico capace di scoraggiare an-che il più arzillo dei vecchietti.Principali novità: l’accorciamen-to dei tempi di rinnovo, da tre adue anni, e l’istituzione di unaCommissione medica locale.

Un percorso a ostacoli tra fileagli sportelli, liste d’attesa e percor-si kafkiani per raccogliere certifica-ti medici e bollettini richiesti dallacommissione: «Prima le lungaggini perottenere la visita geriatrica e cardiologi-ca alla Asl. Poi altre attese per approdare,finalmente, davanti alla Commissione».

Un pool di tre medici che neanche un ploto-ne d’esecuzione. «Possono sottoporti a qualsia-si tipo di controllo» aggiunge Rosa. Un iter chenella migliore delle ipotesi richiedeva sei mesidi spasimi. E, nella peggiore, un anno. Presa ingiro bella e buona, perché dopo un anno e mez-zo il processo ricomincia daccapo.

Ma adesso il governo ha deciso di fare dietro-front. Con il decreto sulle semplificazioni si tor-na alle regole di prima, a parte l’accorciamentodei tempi di rinnovo da tre a due anni. NonnaRosa ha avuto il rinnovo che le spettava, senzadoversi fare venire ulteriori capelli bianchi. Ba-sta una visita dal medico curante e, dopo aver-

la consegnata alla motorizzazione, si ottienel’agognata idoneità.

«Sono soddisfatta. Probabilmente è l’ultimorinnovo che chiedo, ma ora mi sento sollevata,

l’idea di dover pesare per ogni tragitto su figlie nipoti m’immalinconiva, mi faceva sentireinutile».

Togliere l’affezionata macchina a un anzianoin effetti è triste. Aggiunge dispiacere a una vi-ta che troppe volte è fatta di solitudine dome-stica e interminabili ore davanti al televisore.

Nonni che sono tanti. Secondo i dati del mi-nistero dei trasporti sono oltre centocinquanta-mila gli italiani di 80 anni che guidano, 64milaa 85 anni, più di tredicimila a 90 anni. E cre-

sceranno ancora di molto.Eppure essere anziani non è né unamalattia né un vulnus. L’equazione tra

vecchietto e rimbambito è un luogocomune. Le statistiche provano che èdavvero raro che dietro a un inci-dente ci sia un nonno al volante.Vanno piano, nessuno è certosinocome loro nello scegliere la corsiagiusta, ricordarsi le frecce, fermar-si religiosamente agli stop. Usano lamacchina soprattutto nelle festività,

quando finalmente i nipotini arresta-no un momento i loro tour de force

settimanali e si ricordano dei nonni.L’argomento adesso passa in sordina,

al netto delle disavventure di MargheritaHack. Ma tempo qualche anno e non sarà

più trascurabile. La cittadinanza invecchia e inumeri parlano chiaro. Già oggi gli over 65 rap-presentano circa il 25% della popolazione. Nel2018 l'Italia sarà il Paese più vecchio d'Europa.Una realtà che si tradurrà inevitabilmente inschiere sempre più cospicue di automobilistianziani.

laUra cervellione

L’agricoltura biologica, perl’Umbria, resta un settore chiave.Secondo gli ultimi dati disponibi-li del Sinab (sistema d'informa-zione nazionale sull'agricolturabiologica) sono più di 1300 lerealtà regionali legate alla produ-zione e commercializzazione deiprodotti coltivati secondo natura.

Rendere visibili sul mercatoanche le aziende più piccole –molte delle quali ancora poco‘‘tecnologiche’’, sprovviste di sitointernet ed email – non è compi-to facile. Le imprese di dimensio-ni ridotte, talvolta a conduzionefamiliare, rischiano la morteimprenditoriale per mancanza di visibilità. Alproblema cerca di rispondere una “piccola goo-gle” italiana del settore, Piazzabio.it.

Un portale interamente dedicato al mangiarsano e naturale, che ha deciso di puntare, findall’inizio, su Umbria, Toscana e Marche: «Tre

regioni dell’Italiacentrale partico-larmente attiveper l’agricoltura el’enologia biolo-gica – spiega An -to nella Padalino,r e s p o n s a b i l edella comunica-

zione del sito – bisognava dare alle aziende,specie alle più piccole, uno strumento per esse-

re raggiunte». I prodotti che vanno per la mag-giore sono i cereali (aumentati dal 2008 al 2009,come superficie coltivata, dell’80%), le olive (laproduzione di extravergine è un fiore all’oc-chiello della regione), gli ortaggi e l’uva.

L’interesse per il mangiar sano, da parte deiconsumatori, resta alto. Basti pensare che, nel-l’ultimo anno di attività, il sito ha registrato piùdi 75mila visite. Il portale Piazzabio.it è soloparte di un progetto più ampio portato avantidalla Regione Umbria; “Le strade del bio” siarticola in tre ambiti: comunicare il biologicovia internet, portarlo nelle scuole – per insegna-re ai bambini dai 6 agli 11 anni l’importanza diun’alimentazione corretta – e creare, per il turi-smo, delle opportunità che vadano al di là della“semplice” vendita di prodotti.

Spiega Antonella Padalino:«In Piazzabio.it cerchiamo dimettere in luce le aziende che,accanto alla produzione bio,organizzano attività turistiche,come la ristorazione, la venditadiretta, le escursioni sul territo-rio, le visite aziendali e le fattoriedidattiche».

Sono otto, in Umbria, gli itine-rari enogastronomici previsti,nei comprensori dell’Eugubino,del Perugino, del Trasimeno, delFolignate, dello Spoletino e dellaValnerina: cinquanta comuni epiù di cento le aziende coinvolte.

Accanto ai bio-turisti ci sono iconsumatori abituali, che fanno del mangiarsano un’abitudine quotidiana.

A farla da padrone, in questo caso, sono i“Godo” (gruppi organizzati di domanda eofferta), piccoli mercatini ortofrutticoli gestitidall’Aiab, l’associazione italiana per l’agricoltu-ra biologica, e i “Gas” (gruppi di acquisto soli-dale). Quindici quelli presenti in tutta l’Umbria,tutti raggiungibili attraverso la sezione “gruppid’acquisto” del portale Piazzabio.it.

Consumi alimentari più responsabili, territo-rialità, stagionalità, prezzi giusti per alimentisempre sani: questi gli obiettivi di chi propone,sfidando l’imperante globalizzazione, un rap-porto più stretto, umano, fra produttori e con-sumatori.

roBerto Morelli

Bio: da soli è bene, insieme è meglioUmbria, Toscana e Marche contano più di 6000 imprese legate al biologico. Ora scommettono sulla rete

Più di 75mila visite annue, 250 produttori, 15 gruppi d’acquisto. È Piazzabio.it, il portale di chi mangia bene

Over 80: il rinnovo della patente era diventato un calvario. Ora il governo fa dietrofront, eliminando la commissione medica

Bisognava darealle aziende

specie alle piccoleuno strumento

per essere raggiunte

Roberto di Filippo è il titolare, assieme alla so-rella Emma, di un’azienda enologica. Produco-no vino biologico, coltivando la loro vigna inmaniera naturale.

Qual è la differenza fra un vino prodotto

con uva convenzionale e uno biologico?

Innanzitutto un minor contenuto di antiparassi-tari. L'uva bio-coltivata ha una qualità superio-re per complessità e maturità polifenolica. Na-turalmente questo non vuol dire che con l’agri-

coltura convenzionalenon si raggiungano ri-sultati simili.

Il biologico vende

prodotti che costano

in media fino al 40%

in più. Quanti euro

bastano per bere un

buon vino?

I costi sono spesso do-vuti a difficoltá di distribuzione, piuttosto che diproduzione. Non è facile prezzare un vino, macon 5-10 euro si può già comprare una buonabottiglia.

Nel biologico la credibilità è un fattore

chiave. Per le cantine, alcune certificazioni,

sono necessarie. Qual è il peso economico

che grava sulle aziende per procurarsele?

Il problema è sicuramente più evidente per le re-altà di piccole dimensioni, in cui i costi delle cer-tificazioni incidono maggiormente sul bilancio.Ad ogni modo non stiamo parlando di nulla didrammatico. L’incidenza, sul prezzo finale, è dipochi cent per bottiglia. Chi gonfia troppo iprezzi sta solo facendo il furbo.

sono 634 gli ettari coltivati a ortaggi Biologici in UMBria (fonte sinaB)

«chi gonfia i prezzifa solo il furbo»

roBerto Di filippo

la guerradi Margherita

vino

Page 8: "Golosi bye bye" (pagina 1) e "L'arte di cucire la storia" (pagina 12)

10 SPORT APRILE 2012

Quattro ColonneSGRT Notizie

Periodico del Centro Italiano di Studi Superiori

per la Formazione e l’Agg.to di Giornalismo Radiotelevisivo

Presidente:Innocenzo Cruciani

Coordinatori didattici:Nunzio BassiDario Biocca

Numero 3 – Anno XXIDirettore responsabile:

Antonio SocciRedazione degli allievi della Scuola

a cura di Sandro PetrolliniRegistrazione al Tribunale di Perugia

N. 7/93 del aprile 1993.

Segreteria: Villa Bonucci06077 Ponte Felcino (PG)

Tel. 075/5911211Fax. 075/5911232

e-mail: [email protected]://www.sgrtv.it

Spedizione in a.p. art.2 comma 20/clegge 662/96 Filiale di Perugia

Stampa: Graphic Masters - Perugia

Salti e acrobazie per strada: uno sport ma an-che una filosofia di vita. È il parkour, di-sciplina nata nelle periferie parigine che da

qualche anno si sta diffondendo anche in Italia.«Consiste nel fare un percorso da un punto A auno B nel modo più veloce e meno dispendiosopossibile», racconta Massimo Baffoni, fondato-re del gruppo perugino di parkour. In pratica sisaltano muretti, ci si arrampica sulle ringhiere enei casi più estremi si passa da un tetto all’altro.“Ci si avvicina a questo sport per vari motivi –continua Massimo – alcuni lo fanno per esibizio-nismo o per fare il ‘ganzo’ con le ragazze, per al-tri è un modo di confrontarsi con i propri limiti.Io per esempio sto superando la mia paura del-l’altezza, soffro da sempre di vertigini”.

Nella palestra del liceo scientifico Alessi diPerugia ogni martedì circa 15 ragazzi, dai 14 ai 30anni, si incontrano per gli allenamenti. Per tuttiè d’obbligo un abbigliamento comodo con tuta escarpe da ginnastica: «Non usiamo protezioni oattrezzature specifiche perché limitano i movi-menti». Si parte con il riscaldamento: corsa, fles-sioni e piegamenti per almeno mezz’ora. Poi ini-zia il divertimento. Sedie, cattedre, materassini,

panche e cavalline servono a simulare gliostacoli che si incontrerebbero in città:«D’inverno ci alleniamo qui, dividendo tra dinoi le spese per l’affitto della palestra – con-tinua Massimo – ma appena il tempo lo con-sente ci spostiamo all’aperto. Preferiamo zo-ne fuori dal centro storico come la Stazioneo Elce, perché troviamo più barriere archi-tettoniche ‘naturali’».

Chi crede che il Parkour sia una discipli-na improvvisata e senza regole, sbaglia. Fat-ta salva la creatività di ognuno, esistono tec-niche e metodi specifici per svolgere i mo-vimenti in modo corretto e senza farsi ma-le. Massimo ha scritto ‘Giocando con cieloe terra’, una sorta di manuale scaricabile gratison-line, per dare un’idea più precisa a chi si av-vicina a questo sport per la prima volta, magaridopo aver visto le acrobazie dei professionisti ininternet. In realtà, il parkour è il nome genericocon cui i non esperti indicano le diverse discipli-ne, come spiega Massimo: «Quello classico, fon-dato in Francia da un gruppo di atleti noti con ilnome di Yamakasi, consiste nel coprire una di-stanza nel più breve tempo possibile, puntandosu velocità ed efficienza. Poi c’è il ‘free running’,più spettacolare, che aggiunge salti mortali e pi-roette; e infine ‘l’arte dello spostamento’, che por-

ta a muoversi tra gli ostacoli con grazia, intelli-genza e dinamicità, adattandosi all’ambiente e ri-leggendolo in maniera creativa. Mira a tornare al-le radici dell’umanità, alle modalità di spostamen-to primordiali».

In questo sport non si compete, non ci sonogare né medaglie, ognuno si confronta solo conse stesso e i propri limiti. «L’importante è lo spi-rito di gruppo, la collaborazione con gli altri ‘tra-ceurs’ (i praticanti dello sport, ndr) e l’idea di con-dividere sforzi, sacrifici e acido lattico, così co-me la gioia per i risultati raggiunti».

claUDia BrUnoeleonora MastroMarino

«In Umbria non abbiamo ‘sassi’ da scala-re, tutta la pietra disponibile è stata usa-ta per costruire i centri storici dei nostri

paesini. Per questo abbiamo pensato di usareproprio le mura delle città per fare arrampicatasportiva». Così è nato il Kukkoblock, come spie-ga Giulia Marras, 31enne di Costacciaro, tra gliorganizzatori dell’evento estivo.

Si tratta di uno ‘street boulder contest’, garadi arrampicata sportiva sulle mura urbane, che siterrà dal 6 all’8 luglio a Costacciaro, borgo me-dievale alle pendici del monte Cucco. La mani-festazione è organizzata da diverse associazionitra cui il Club alpino italiano (Cai) e la Federazio-ne arrampicata sportiva italiana (Fasi). «Si sale

senza corde fino ad una altezzamassima di 5 metri – spiega Giu-lia – le attrezzature richieste so-no uno specifico materasso diprotezione e le scarpette adatte».Quella che si svolgerà il prossimoluglio è la seconda edizione dellamanifestazione. L’anno scorsohanno partecipato oltre 200 per-sone, «quest’anno pensiamo chesaranno molti di più, a tre mesidall’evento abbiamo registrato già70 adesioni». Non c’è limite di etàe di esperienza, chiunque puòiscriversi anche se in media i par-

tecipanti hannotra i 18 e i 35 anni.«Sono previsti circa 60 tracciaticon diversi livelli di difficoltà, se-gnalati da vari colori. Il bianco lopossono fare tutti, anche i prin-cipianti».

A chi reputa l’arrampicatauno sport estremo, Giulia rispon-de: «Sono una mamma, ho unabambina piccola, e non credo diessere una persona spericolata.Una percentuale di rischio c’è inogni cosa, per esempio è moltopiù pericoloso andare in macchi-na». Per quanto riguarda il Kuk-

koblock, i partecipanti sonocostantemente seguiti daprofessionisti esperti: il ri-schio è ridotto al minimo.

Secondo Giulia l’arram-picata è uno sport da colpodi fulmine: «Non so se è perl’adrenalina, ma dopo la pri-ma scalata è impossibile fer-marsi. Qualcuno dice chedia dipendenza». Lei si è av-vicinata alla disciplina soloqualche anno fa, anche seha sempre frequentato lemontagne: «Faccio escur-sionismo da quando erobambina e sono appassio-

nata di speleologia, anche perché il monte Cuc-co è ricco di grotte da scoprire. Proprio così hoconosciuto mio marito che fa l’istruttore delCai. La prima arrampicata era una scusa per ve-derlo, ma poi mi sono innamorata di questosport». A contorno della manifestazione saràaperta al pubblico, per tutto il mese di luglio, unamostra fotografica con gli scatti più belli dellascorsa edizione.

L’arrampicata in città diventa un modo perscalare pareti ripide senza andare troppo lonta-no, trasferendosi dalle montagne ai centri abita-ti. Residenti permettendo.

c. B. e. M.

parkour, la città diventa palestra

Gareggia da anni, a 13 ha vinto il primocampionato interregionale under 16 di arram-picata, nel 2008 era già campione nazionale ju-niores. Riccardo Piazza, diciassettenne di Pe-rugia, è l’orgoglio umbro della disciplina. «L’ar-rampicata – racconta – è uno sport completoche allena tutti muscoli e permette di stare acontatto con la na-tura, per questo mipiace. Ho iniziatoquando avevo solo10 anni insieme adun amico di fami-glia che mi ha ac-compagnato nellaprima scalata».

Da quel mo-mento Riccardonon si è più ferma-to, di pareti ne hascalate tante, sia inmontagna sia in città. «Certo l’ambientazionecambia, le sensazioni sono diverse ma l’adre-nalina e la passione rimangono le stesse».

Un talento naturale che lo ha portato a par-tecipare a molti tornei in tutta Italia. Oltre al ti-

tolo nazionale vinto nel 2008, Ric-cardo ha conquistato il primo postoin tutti i campionati interregionali dal2005 a oggi. Continua a gareggiaree ad allenarsi sperando di poter faredell’arrampicata una professione:«Sto frequentando il terzo anno del-l’istituto per geometri – prosegueRiccardo – non ho ancora le ideeben chiare sul futuro ma di sicuroquesto sport ne farà parte. Penso di

iscrivermi ad una facoltà di scienze motorie perpoi magari diventare istruttore».

Con un pizzico di incoscienza, dato anchedalla giovane età, non dimostra alcuna pauranei confronti di una disciplina spesso conside-rata pericolosa: «Non c’è nessun rischio, siamosempre legati con cinture di sicurezza che im-pediscono la caduta. Con queste protezioninon ho paura e la possibilità di incidenti è mol-to bassa». c.B. e.M.

La disciplina, nata in Francia negli anni ‘80, è sempre più diffusa. Corsa e salti per muoversi creativamente negli spazi urbani

assalto alle mura: gli alpinisti in paeseIn luglio a Costacciaro la seconda edizione del Kukkoblock, gara d’arrampicata per esperti e principianti

A Perugia un gruppo di ragazzi si allena regolarmente. Non è solo divertimento: per prepararsi servono impegno e sudore

riccardo piazza, la scalata inizia a 10 anni

gli allenaMenti in città Del grUppo perUgino Di parKoUr

alcUni partecipanti alla scorsa eDizione Del KUKKoBlocK a costacciaro

riccarDo piazza in arraMpicata

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SPORT 11APRILE 2012

Dell’uso del defibrillatore si parla da 8-9anni. Dovrebbe essere in ogni luogodove c’è gente, e da qualche anno se ne

stanno dotando aeroporti e supermercati. Ma neicampi sportivi non ci sono. La situazione è fo-tografata così dal responsabile di Medicina spor-tiva dell’Asl di Perugia, Bruno Strafisso.Perché è indispensabile dotare anche i cam-

pi sportivi di un defibrillatore?

«Ogni minuto che passa dall’arresto cardiaco, lepossibilità di superarlo senza massaggio cardiacoelettrico diminuiscono dell’8%, fino ad arrivare auna sopravvivenza nel 5% dei casi, contro il 75%a defibrillazione immediata.Ma quello che in pochistanno mettendo in risaltoè che avere un defibrillato-re a bordo campo non èuna tutela solo per gli spor-tivi, ma anche per il pubbli-co, che negli stadi italianipuò arrivare anche a 80mi-la persone».Di chi è la colpa di que-

ste carenze?

«Delle società sportive, evorrei sottolineare che par-lo di società in generale,perché lo sport non è soloil calcio. Loro dovrebbero acquistare i defibrilla-tori. Eppure, nonostante il costo di un apparec-chio non superi i 1.500 euro, non lo fanno».Cosa servirebbe per evitare altre morti?

«La tutela sanitaria che offriamo in Italia vienepresa a modello dagli altri Paesi. Infatti le mortinello sport sono minori rispetto all’estero. Il pun-to è sensibilizzare i dirigenti delle società sporti-ve. Ho la senazione che prima vengano gli alle-namenti, i massaggiatori e la tattica, e che le visi-te siano un problema marginale. In Italia c’è sta-

ta una prima presa di coscienza su queste tema-tiche solo qualche anno fa. Per questo siamo piùimpreparati». I soccorsi a Morosini ne sono stati un esem-

pio? Molti hanno polemizzato che troppi si

sono accalcati intorno al giocatore nei primi

momenti dopo il malore.

«Io ho visto in televisione i soccorsi. A distanzaè difficile esprimere un giudizio. Ho notato cheda quando il calciatore è caduto a terra sono pas-sati solo 15 secondi perché arrivassero i primisoccorsi. Effettivamente, però, c’erano 50-60persone attorno a lui, e questo è sbagliato».

Le visite mediche an-

drebbero riformate?

«Non credo ce ne sia il biso-gno. Si potrebbero aggiun-gere altri controlli, ma difronte a un caso come quel-lo di Morosini, in cui la cau-sa del malore sarebbe unamalformazione congenita,non sarebbero utili. Non sipossono prevedere control-li genetici per tutti gli spor-tivi. È anche vero che la me-dicina sportiva è la Cene-rentola della sanità. I pochistanziamenti vengono gira-

ti ad altre branche della medicina, come quella dellavoro. Chiedere un medico o una attrezzatura inpiù per noi è complesso». Perché la medicina sportiva è importante?

«Dopo l’abolizione della visita scolastica e diquella di leva, l’unico controllo pubblico e gratui-to sulla salute dei giovani resta la visita sportiva.Per questo è importante non ricordare la preven-zione solo in caso di un evento luttuoso, ma du-rante tutto l’anno, specie quando dev’essere de-ciso a chi destinare i fondi della sanità».

Perugia-Juventus, 30 otto-bre 1977. Una data sto-

rica per la società umbra.Nello stadio di Pian di Mas-siano la piccola squadra diprovincia si stava prendendo

una bella rivincita sulla “Vecchia signora” torine-se. Al 5’ del secondo tempo, però, il mediano re-nato Curi si accascia colpito da un arresto car-diaco. Mentre a bordo campo si tenta di rianima-re il giocatore con il massaggio cardiaco e la re-spirazione bocca a bocca, i compagni ignari con-tinuano a giocare. Lo portano al Policlinico di Pe-rugia, ma Curi arriva lì già morto proprio quan-do l’arbitro Menegatti fischia la fine del match.Ci fu un processo contro i medici del PerugiaCalcio, finito con una lieve condanna. Ma le ac-cuse lanciate dal pm durante l’ultima arringa re-stano scolpite nella memoria di chi conoscevail giovane: «Quando un giocatore entra in unasqua dra professionistica, diventa solo un nume-ro per tecnici, medici, dirigenti». La malattiacardiaca di renato Curi era nota, sosteneva ilmagistrato, ma nulla è stato fatto per impedir-gli di giocare. Oggi lo stadio di Madonna Alta èintitolato al mediano. Una targa ricorda il tra-gico evento della sua morte proprio su quel pra-to che continua a ospitare le partite della stori-ca società perugina.

Il 24 marzo il mondo della pallavolo pian-geva il suo “uomo mascherato”, il cam-pione che doveva il soprannome al debut-

to con una fasciatura al volto nella finale Olim-pica di Atlanta che lo aveva fatto scoprire almondo. Victor Bovolenta, a 37 anni, ha avutoappena il tempo di dire ai suoi compagni «Aiu-tatemi, mi gira la testa» e si è accasciato sul par-quet del Palasport di Fontescodella, a Macerata.Il 24 aprile, ventuno giorni dopo, le telecamereche riprendevano la partita di serie B Pescara–Livorno trasmettono in diretta la morte di Pier-mario Morosini, centrocampista 24enne dellasquadra toscana.

Per entrambi i campioni la causa è la stessa: unarresto cardiacoin campo. Macom’è possibileche due giovanisportivi muoianotraditi da un cuo-re impazzito?Sulle 224 mortidi arresto cardia-

co degli ultimi trent’anni, più della metà sono av-venute sul prato di uno stadio. Ad essere colpitimaggiormente i dilettanti (84% dei casi), mentrei professionisti sono stati il 6,4% del totale. Pertutti, la vita resta appesa al filo dei soccorsi, chedevono essere tempestivi. Nel 75% dei casi, sesottoposto a defibrillazione, il malato di cuoresopravvive. Senza defibrillatore la percentualecrolla al 5%, e ogni minuto dell’8%.

Morire giovani, sportivi in forma. Il pensierocorre subito al doping, ma spesso il motivo diquesti decessi non è il desiderio di arrivare a su-perare i propri limiti a qualunque costo. Sia Mo-rosini sia Bovolenta, infatti, avevano passato icontrolli antidoping. E per entrambi si ipotizzaun difetto genetico alla base dell’arresto cardia-co che li ha uccisi.

A ventuno gior-ni di distanza la si-tuazione si è ripe-tuta: un giocatoretrafitto dal doloreal petto si accasciae partono i soc-corsi. Ma se per ilpallavolista tuttoprocede come daprotocollo, il casodi Morosini offreil fianco alle pole-miche: l’ambulan-za deve aspettare5 minuti fuori dal-lo stadio perché l’accesso è bloccato da un’au-to della Municipale; attorno al calciatore in pre-da alle convulsioni una cinquantina di persone;il defibrillatore viene acceso ma non è utilizza-to per tentare di salvare il giovane.

La magistratura sta indagando. Un paramedi-co della Misericordia, Marco Di Francesco, la-menta che gli è stato impedito di usare il defi-brillatore, nonostante fosse in dotazione alle

squadre. In Inghilterra, invece, proprio 16 scos-se elettriche hanno salvato la vita al centrocam-pista del Bolton Fabrice Muamba. Durante lapartita contro il Tottenham del 17 marzo erastato colpito da un arresto cardiaco. Il defibril-latore era a bordo campo e il medico del club,Jonathan Tobin, non ha esitato a usarlo. Il risul-

tato è che dopo unmese di ricovero, ilgiocatore 23enne ètornato a casa e sista lentamente ri-prendendo.

Questi sono so-lo alcuni casi cheemergono dallecronache. Il mon-do dello sport,dunque, non è tut-to rose e fiori. C’èuna parte che restasommersa, speciea livello dilettanti-stico. La lista dei

morti “di calcio” o “di pallavolo” è, purtroppo,lunga. Compito delle società sportive, dei medi-ci e di tutti coloro che lavorano nel settore del-lo sport, è fare sì che si interrompa presto. Lesoluzioni sono tante e diverse, ma bisogna agi-re in fretta. Prima che sia troppo tardi per un al-tro atleta.

pagina a cUra DiDiana BeneDetti e ilaria raffaele

Dalla pallavolo al calcio, da bovolenta a Morosini: aprile nel segno del lutto. E delle polemiche sulla gestione dei soccorsi

la triste lista si allungaMorire di sport sotto i fari di un campo da gioco. È il tragico destino di oltre duecento atleti italiani negli ultimi trent’anni

in molti stadi mancanoi defibrillatori

a bordocampo

Più controlli e attrezzature nei campi dagioco. Questi sono i fattori essenziali persalvare la vita ai giocatori. Tutte le società

sportive – anche quelle non professioniste – do-vrebbero avere gli strumenti per soccorrere i gio-catori in caso di malore. Questo il parere di Giu-lio Mola, giornalista che per lungo tempo ha la-vorato per il quotidiano «Tuttosport». Mola è an-che autore di «L’ultima partita», libro-inchiestasulle morti improvvise nel mondo del pallone.Giulio Mola, ci sono degli sport in cui la me-

dia dei decessi è più alta rispetto ad altri?

«Negli Stati Uniti questo fenomeno è più fre-quente nel basket e nel fo-otball, mentre in Italia cisono più decessi nel mon-do del calcio. Le cause dimorte più frequenti sonoproprio le patologie cardia-che come l’infarto. Anchese i recenti casi di cronacadimostrano che si può mo-rire anche nei campi di se-rie A o B, questo fenome-no riguarda soprattutto ilsettore dilettantistico, dovei controlli sono inferiori».Quali sono le attrezzatu-

re di cui le strutture

sportive devono dotarsi per le emergenze?

«Per prima cosa i defibrillatori, poi le masche-re per l’ossigeno e i farmaci per riattivare il cuo-re. Inoltre è necessario che negli stadi ci sia unprofessionista che sappia fare i massaggi cardia-ci. È inoltre indispensabile che i medici sporti-vi siano cardiologi. Purtroppo chi lavora in que-sto settore spesso non ha questo tipo di specia-lizzazione. Infine devono essere sempre pre-senti nei campi durante le partite gli operatoridel 118».

Cosa pensa della polemica nata sui giorna-

li a proposito dei soccorsi a Morosini?

«Solo un medico può stabilire se sono state ri-spettate tutte le procedure. Ho notato però unadifferenza fra i soccorsi a Morosini e quelli alcentrocampista del Bolton Fabrice Muamba(colpito il 17 marzo da un arresto cardiaco men-tre giocava contro il Tottenham ndr). Per Muam-ba sono intervenute meno persone che hannogestito l’emergenza con più sangue freddo. ».Prima la morte Morosini, poi quella di Car-

lo Petrini. Al di là dello spettacolo e degli in-

gaggi milionari sembra che il calcio presen-

ti un lato oscuro.

«Purtroppo il lato oscuronel mondo del pallone c’èsempre stato. La vicendadei decessi sul campo èemersa grazie alle denuncedi madri e vedove dei gio-catori morti per cause an-cora da chiarire. C’è unatendenza da parte delle so-cietà sportive a mettere lapolvere sotto il tappeto inquesti casi». Come può il calcio rilan-

ciare la sua immagine?

«L’unico modo è evitarepolemiche inutili sulla morte di un giocatore ecercare di non strumentalizzare questi eventi»Da giornalista pensa che le morti di Vigor

Bovolenta e Morosini siano state eccessiva-

mente mediatizzate?

«Non mi sembra che ci sia stato un eccessivo ac-canimento mediatico su queste tragedie, anchese è normale che la morte di un atleta che giocain squadre celebri attiri il mondo dell’informa-zione, come anche che certi sport abbiano piùrilevanza mediatica di altri».

«professionisti a bordo campo»La soluzione del giornalista Giulio Mola per i soccorsi durante le partite

«polemiche sui controlli inutili»

il “grifo” rivivela storia di curi

la foto Di pierMario Morosini e vigor Bovolenta, entraMBi Morti DUrante Una partita, Di calcio e pallavolo

bruno Stafisso accusa: Medicina sportiva è la Cenerentola della sanità

giUlio Mola, aUtore Del liBro “l’UltiMa partita” BrUno stafisso, MeDicina sportiva Di perUgia

piermarioMorosini14/4/2012

vigorBovolenta

24/3/2012

Perché?renato cUri

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12 CALENDIMAGGIO APRILE 2012

Nasce come una tregua e si trasforma inuna sfida. È il Calendimaggio, per As-sisi la riscoperta del Medioevo. Ogni

anno la città si divide in due fazioni: la Nobilissi-

ma Parte de Sopra e la Magnifica Parte de Sotto com-battono per aggiudicarsi la vittoria del palio.

Le due parti rispec-chiano un’antica ri-valità cittadina traNepis e Fiumi, leprincipali famiglienobili del tempo. Ese all’epoca erano ilegami di sangue adividere gli assisani,oggi è più semplice-mente la geografia

cittadina. Guardando il Palazzo del Capitano delPopolo (in piazza del Comune) tutto ciò che sitrova a destra è Parte de Sopra e, viceversa, ciòche sta a sinistra è Parte de Sotto. Anche il gon-falone della città rispecchia questa divisione: blue rosso sono i colori che lo compongono, glistessi dei vessilli delle due contrade. Stendardiche, prima della sfida, vengono benedetti nellabasilica di San Francesco (De Sotto) e nella cat-tedrale di San Rufino (De Sopra).Diversamente dal Medioevo quando le famiglienobili combattevano tutto l’anno aspettandomaggio per la tregua, oggi le fazioni si sfidano a

colpi di fiori e canzoni per pochi giorni.Nasce così il Calendimaggio, festa che, dai pri-mi del ‘600, celebra l’arrivo della primavera. Maè dal 1954 che l’evento ha assunto la forma at-tuale: una sfida tra le due Parti di Assisi per rie-vocare l’atmosfera medievale. La città nei primigiorni di maggio torna all’epoca delle dame, deicavalieri, dei giullari. Costumi, strumenti, sceno-grafie sono costruite grazie allo spirito d’inven-tiva dei cittadini. «Malgrado la festa duri soltanto tre giorni – spie-ga Elodia Lazzari, vicepresidente dell’Ente orga-nizzativo – gli assisani lavorano tutto l’anno alla

realizzazione dell’evento». De sopra contro Desotto per rappresentare al meglio usanze, canti,balli e costumi dell’Età di mezzo. I partaioli ognianno ricostruiscono scene di vita medievale, poiindossano gli abiti storici e danno vita ai perso-naggi dell’epoca. Ognuno ha la sua parte da re-citare. Ognuno contribuisce alla veridicità dellarappresentazione. Unica festa laica nella città se-rafica, il Calendimaggio aggrega tutti, senza didistinzioni anagrafiche o di ceto. Un musicologo, un personaggio dello spettaco-

lo e uno storico. Sono espertidi grande fama a decretare lavittoria di una delle

Parti. Chivince gode echi perde sidispera, per-ché questo

evento è so-prattutto una sfida

tra due contendenti. Da sempre mi-

gliaia di turistiaffollano Assi-si durante il fi-

ne settimana della fe-sta. Anche in passato

la rievocazione riscuoteva successo, stranieri in-clusi. Nel 1977 il medievalista Jean Claude Marie Vi-guer, in una lettera indirizzata all’Ente organiz-zativo, descriveva così la sua esperienza in cittàdurante quei giorni: «Il Calendimaggio è qualco-sa di diverso da unarievocazione perchécontamina il rigoredella tradizione stori-ca con la delicatezzadi una leggenda.Non è uno spettaco-lo al quale assistere,ma un’avventura col-lettiva a cui parteci-pare, un viaggio disola andata in cui perdersi per poi ritrovarsi». Molto lavoro e tanta fatica dietro questo even-to. La passione degli abitanti di Assisi è il moto-re della festa, ma a mettere la benzina sono il Co-mune, la Regione Umbria e i numerosi sponsor.«Servono molti soldi per organizzare il Calendi-maggio – assicura Lazzari – e ogni anno è sem-pre più difficile trovarli». Non a caso le polemi-che sulla gestione economica quest’anno hannomesso a rischio l’evento, proprio quando è can-didato a diventare Patrimonio mondiale del-l’Unesco.

paola cUtinigianlUca rUggirello

È primavera, sveglia MedioevoCalendimaggio: fiori e colori vestono Assisi per l’evento candidato a diventare Patrimonio immateriale dell’Unesco

Nella città serafica Parte de Sopra e Parte de Sotto tornano all’Età di mezzo e si sfidano per celebrare l’arrivo della bella stagione

l’arte di cucire la storiaFili, amore e fantasia. Sono gli ingredienti

dell’arte di Daniele Gelsi, costumista e sar-to nato a Gualdo Tadino quaranta anni fa,

e dal 2004 “stilista” per la Nobilissima Parte deSopra.

Un vero “ago d’oro”, l’artista gualdese, tantoche molti cortei storici umbri portano la sua fir-ma. Ma per la festa di Assisi Daniele prova un af-fetto tutto particolare: «Del Calendimaggio amo“la materia”, che è sì storica ma anche teatrale –racconta –. Posso sbizzarrirmi con colori e so-luzioni originali, ma sempre nella cornice dellapiù totale fedeltà storica».

Entusiasmo e – perché no – divertimento, maanche fatica e impegno: «Il corteo del Calendi-maggio ha almeno seicento figuranti. Comincia-mo a lavorare dall’inverno precedente, sceglien-do lo spettacolo da mettere in scena, poi i costu-mi e i tessuti». A mandare avanti questa macchi-na sono le mani di tanti partaioli volontari che,sera dopo sera, si riuniscono nel laboratorio del-la propria contrada.

Qui, in gran segreto, tagliano sete, tingono la-ne, pungendosi le dita tra chiacchiere e zelo pro-duttivo. E grazie a loro a maggio, infallibilmen-te, il Medioevo va in scena nella sua veste più ric-ca, eppure sobria come la città che lo ospita: «Icostumi del Calendimaggio, come quelli di altre

feste umbre, hanno fogge nobiliari. Qui però, perscelta dei partaioli, usiamo tessuti poveri, nel ri-spetto dell’anima francescana di questa terra».

Quando ha mollato tutto per dedicarsi a vel-luti e ricami, Daniele aveva un lavoro e uno sti-pendio sicuri. Ma pensarci bene, forse il destinogli ha sempre suggerito un’altra strada. Già da ra-gazzo nella sartoria di mamma Ivana ha appre-so non solo i rudimenti del mestiere, ma ancheciò che non si insegna: il gusto per il taglio sapien-te, l’amore per il particolare ricercato, la dedizio-ne che fa nascere, filo su filo, l’abito finito.

Qui ha scoperto il costume storico, passione dicasa Gelsi che – specie a settembre – faceva dellaboratorio di Ivana una fucina di sarti indaffa-rati, chi più esperto e chi alle prime armi: tutti al-l’opera tra damascati e broccati per preparare ilcorteo dei “Giochi” medievali della città. Danie-le assorbe tutto e va molto oltre: dopo i primicorsi, va a bottega da Giorgio Tani della Casad’arte Cerratelli di Firenze, già costumista diZeffirelli e Visconti. Il passo che lo porta al ci-nema è breve: sarà sarto, tra gli altri, per “La fi-glia di Elisa. Ritorno a Rivombrosa”, “Il falcoe la colomba” e “Il commissario Nardone”.Ma quando a Gualdo è festa, assicura, non c’èfilm che tenga.

Micol pieretti

la festa dura

tre giorni,ma la cittàci lavora

tutto l’anno

Un viaggiodi sola andata

per perdersie poi

ritrovarsi

sopra: Una Messa in scena Della “parte De sopra”a Destra: Daniele gelsi a lavoro e Una Delle sUe creazioni