Una Finestra Sul Cortile (Dei Gentili)

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Elena Tosato Una finestra sul Cortile (dei Gentili) Elena Tosato Una finestra sul Cortile (dei Gentili) 1

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Grande satira anticlericale ad opera di Elena Tosato.

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Elena Tosato

Una finestra sul Cortile(dei Gentili)

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Indice

Prefazione pag. 5Il Cortile dei Gentili 9Diario del Teologo 16Lettera di un matematico non impertinente 18Lipogramma in “a” 20La scuola di Erice 21Lanci di agenzia 28Diario del Teologo 31Canto dell’intellettuale letterato e poeta S.N. 35Interludio - Lettera del giornalista F.L. al suo defunto padre 39Diario del Teologo 41Mos maiorum - L’intercettazione telefonica 46Diario del Teologo 50Operette amorali - Dialogo di un ontologo e del suo proprio specchio 56Diario del Teologo - Sacro opificio di teologia potenziale 60Diario del Teologo - il Motore Immobile e altre storie 66Lo Spettacolo 71Etimasia 80I Gentili del Cortile 84

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Prefazione

Nel gennaio del 2010 il Papa Benedetto XVI ha parlato per la prima volta del Cortile dei Gentili. L’espressione, stando a quanto dice la Bibbia, dovrebbe designare lo spazio del tempio accessibile a tutti i popoli, e non solo gli Israeliti, che vi si recano per pregare il Dio ebraico, come ci dice Mons. Crepaldi, arcivescovo di Trieste, che aggiunge: “Il papa chiede che anche oggi si creino dei Cortili dei Gentili per permettere a costoro di avvicinare Dio almeno come Sconosciuto”. Subito dopo aver lanciato questa proposta di istituire uno spazio di dialogo con i non credenti, dal Vaticano si sono premurati di mettere dei paletti: lo spazio di dialogo non sarebbe stato un luogo neutro rispetto alla religione, ma un ambito in cui si accetta la proposta del Dio cristiano e il percorso dalla fede alla ragione. Inoltre, i non credenti non dovrebbero essere “folkloristici” come potrebbero esserlo, ci ricorda don Ravasi, i membri dell’UAAR (Unione Atei e Agnostici Razionalisti), ma sarebbe invece opportuno che fossero rispettosi dell’interlocutore e consapevoli del fatto che il dialogo presume da parte loro una adorazione del Dio cristiano anche come “Sconosciuto”. Cassati nomi del calibro di Dawkins, Hitchens, Hack(1) e Odifreddi(2) per manifesta irriverenza, finora (ottobre 2010) il grande pubblico ancora ignorava chi avrebbe avuto il privilegio di presenziare alle sedute del Cortile.

Grazie a fonti attendibili la cui provenienza debbo mantenere riservata, però, mi è oggi possibile rivelare che il Cortile dei Gentili è già stato aperto ed è già stato frequentato. Trapelano le prime notizie. In attesa che diventino scritture canoniche, ve le propongo in anteprima.

19 ottobre 2010 E.T.

(1) Della Hack si ricorda un incontro pubblico in cui dovette destreggiarsi con gli epicicli dialettici di Mons. Zenti, ma non si trattò del Cortile dei Gentili.(2) Odifreddi racconta il suo cammino verso Santiago di Compostela con Sergio Valzania nel libro a due mani “La via lattea”. Ma neanche quello è ascrivibile al Cortile dei Gentili.

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Diritti:

La legge morale naturale dice a proposito di questo libello:

puoi leggerlo senza farne menzione al tuo confessore, stamparlo e copiarlo su qualsiasi supporto elettronico, ottico o cartaceo non puoi modificarlo in alcun punto non puoi utilizzarlo per scopo di lucro non puoi utilizzarlo per commettere reati di alcun tipo

Contatti

mail: [email protected]: http://unaltraversione.blogspot.com/

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Godevo di una perfetta salute e d'una completa tranquillità, non avevo da temere il tradimento o l'incostanza di un amico, né le offese d'un nemico aperto o nascosto. Non avevo bisogno di corrompere né di adulare nessuno, né di leccare le scarpe di un grande o di un suo favorito per ottenerne la protezione; non ero minacciato dalla violenza né dall'astuzia.

J. Swift, I viaggi di Gulliver

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Il Cortile dei GentiliFarsa in Atto Unico (aristotelicamente parlando, la potenza è sottintesa)

Scena ICittà del Vaticano, A.D. MMX, interno di un chiostro lussureggiante. Pomeriggio soleggiato. Due poltrone di vimini con cuscini foderati di velluto rosso. Personaggi: il Teologo, porporato con aria colta e gesuita; l’Ateo Approvato Non Folkloristico, con aria accademica e blasée, aspetto curatissimo, loden e giacca di velluto con regolari toppe di pelle ai gomiti, nonostante il tepore primaverile; un servitore muto.

Teologo (indicando le poltrone e facendo strada) Prego, prego amico mio, accomodati.Ateo Approvato Non Folkloristico (sfilandosi il loden, sudato, e consegnandolo ad un servitore muto che, subito dopo, si ritira fuori scena) È un vivissimo piacere, mio stimato sodale.Teologo: Oh, non dirlo a me! Sai bene che è sempre stato nostro interesse dialogare con i non credenti, sempre nell’alveo del reciproco rispetto. Gradisci una tazza di tè?AANF: Volentieri, grazie.

Il Teologo batte due volte le mani. Appare il servitore muto.

Teologo (al servitore): Due tazze di tè. Prendi quello della Riserva Speciale.

Il servitore annuisce e, silenziosamente, esce di scena.

Teologo (riferendosi al servitore): una persona veramente preziosa. Ringrazio Iddio per averlo portato sulla mia strada. Non v’è nulla al mondo che in queste stanze s’apprezzi più della discrezione e del silenzio.AANF: il ragazzo è muto?Teologo: sì, ma estremamente sveglio. Per comunicare con lui a volte basta un semplice cenno.AANF (guardandosi intorno) Certo che è veramente bello, qui.Teologo: sì, un vero gioiellino, un’oasi di pace in questa chiassosa Babilonia che è diventata Roma oggidì. Costa un po’ di manutenzione, per fortuna che ci hanno tolto l’ICI.AANF: beh, era il minimo. In quanto Chiesa ne avete ben diritto... con tutto quello che fate per (ridacchia con aria complice) ...per i poveri.Teologo (scoppiando a ridere) Sì sì, per i poveri, ah ah! Quella è stata una campagna mediatica mica facile, sai? Ci veniva da ridere. Non riuscivamo a stare seri. “Col vostro aiuto avete fatto tanto...” ah ah ah! AANF (sorride compiaciuto) Sai che ti dico? mi sento onorato di essere al cospetto di un’intelligenza così sottile.

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Teologo: Beh... l’intelletto essendo uno dei doni dello Spirito Santo, ringraziamo il Signore (si fa il segno della croce)AANF (facendosi il segno della croce) Non credo in Dio, pur cercandolo, però per rispetto mi segno anche io.

Rientra il servitore con un carrello portavivande. Sopra di esso, un servizio da tè e un grande samovar. Riempie due tazze, s’inchina e se ne va.

Teologo (servendo lui stesso l’AANF) Prego, non fare complimenti.AANF: Uh, che bel samovar! Da dove viene?Teologo: San Pietroburgo, XIX secolo. Un regalo della comunità ortodossa di qualche anno fa.AANF: ne avevamo anche noi uno in sezione, regalo dei compagni di (calca la voce) Leningrado (torna normale) nel 1974.Teologo: Andaste voi a (calca la voce) San Pietroburgo?AANF (abbassando gli occhi in segno di resa) Sì, andammo noi a... a... San Pietroburgo. Dimentico sempre che ha cambiato nome.Teologo (conciliante) Suvvia, non siamo qui per parlare di toponomastica. Sai, il mondo laico e quello cristiano si aspettano molto dai nostri incontri. La base del dialogo è il nostro reciproco rispetto.AANF (concitato) Rispetto, sì! Rispetto! So che saranno anche pubblicati, giusto?Teologo: Sì, in folio, allegati all’Avvenire e a il Riformista, ogni seconda domenica del mese.AANF: A cadenza mensile! Così quei cialtroni di Micromega è la volta che li fottiamo sul tempo, loro che son bimestrali, ah ah!Teologo: L’abbiamo studiata apposta! E poi vuoi mettere, loro avranno i Carlomariamartini e i preti di frontiera, ma noi abbiamo tutto il Vaticano dietro. Ora, se non ti dispiace, suggerisco che l’argomento del nostro primo appuntamento si sviluppi attorno ad un punto molto sentito da ambo le parti, e la cui disamina può molto apportare alla crescita culturale dell’intera società, così piagata dalla secolarizzazione, ne converrai.AANF (ci pensa un po’) Hmmm... fammi pensare... ah! ci sono!Teologo: ...sìììì?AANF: Il Kerigma! Quale terreno migliore per un sereno dibattito che coinvolga tutti, nel reciproco rispetto e interesse?Teologo: e-sat-to! I laici perbene sono tutti interessatissimi al Kerigma. AANF (enfatico) cosa c’è di più cruciale per un laico della morte e della resurrezione di vostr... eh, di nostro signore? Certo, noi nel nostro campo ne daremo una lettura in chiave storica e di critica letteraria...Teologo (di rincalzo) sì sì, e a noi spetterà l’esegesi! Ah, che discussione erudita e importante ne verrà fuori! Ti posso garantire da parte mia l’appoggio di tutta la mia esperienza di gesuita...AANF (timido) ehm... sai, forse non te l’ho mai detto ma... ho un grande rispetto per i gesuiti in particolare. Ho frequentato le scuole da loro.

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Teologo: Davvero? Oh, questa è una bella notizia! Un altro punto che ci unisce, un altro importante tassello per il nostro dialogo costruttivo. Ma beviamo il tè, che si fredda.

Sorseggiano il tè.

AANF: Buono: che cos’è?Teologo: Una riserva speciale che ci mandano i nostri fratelli direttamente dalle Indie.AANF (estrae dalla tasca un notes e una penna) Cominciamo a stilare le linee guida del nostro dialogo? Un manifesto programmatico?Teologo (estraendo parimenti un notes e una penna dalle pieghe dell’abito talare) Certamente, mio caro, certamente! Ah, ne verrà una sinfonia, che dico!

(musica fuori campo che cresce mentre i due confabulano vorticosamente, appuntandosi le idee principali sui rispettivi notes. Si sente solo qualche stralcio di conversazione nel brusio concitato di sottofondo. Calano le luci)

Teologo: ...nella seconda lettera ai Corinti...AANF: ...l’estetica che ne deriva....Teologo: ...secondo il pronunciamento conciliare...AANF: ...i rotoli di Qumran...Teologo: ...erroneamente, la gnosi...

(buio)

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Scena II

Come nella scena I, solo che siamo all’imbrunire. Personaggi: il Teologo, l’Ateo Approvato Non Folkloristico, l’Ateo Folkloristico, due guardie svizzere.

AANF (massaggiandosi il collo indolenzito) Auff... che fatica! Quando Gramsci parlava degli intellettuali non credevo fosse un lavoro così duro.Teologo: Sai che anche lui si convertì, in punto di morte?AANF: oh, ma è risaputo! (cambiando discorso) Scusami se mi permetto, ma... non ti pare un po’ troppo buio per continuare a scrivere? Non ci vedo quasi più. Non si potrebbero accendere dei lumi?Teologo (inorridito) Aaaah! Sia anatema!AANF (mortificato) Che... che ho detto? Non va bene accendere la luce? È per via del paragone improprio con la luce divina?Teologo: no, sciagurato! Hai parlato dei Lumi! Voltaire! (schifato) Rousseau! (pietrificato) Montesquieu! (disgustato) Rivoluzione francese! Libertà di pensiero! Laicismo! Giacobini! Morte, morte, distruzione! (si alza, muove un paio di passi, poi si accascia nuovamente sulla poltrona, esausto e pallido)AANF: mi.. mi dispiace, io... ecco... non so come scusarmi... per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa. (il Teologo non risponde, sembra in trance)AANF (tra sé) Oh Gesù, e adesso cosa faccio? Se questo mi muore mi sputtano a vita... ma perché queste cose non capitano mai a Odifreddi? Però cazzo, è vero che è buio, non si vede niente... ah... aspetta... (a voce alta) Fiat Lux!Teologo (riprendendosi di colpo) Eh? Ah? Latino! Sacra Scrittura! (sorridendo) Parola del Signore! (riprendendo colore) Sì, convengo con te, caro amico e collega, è talmente buio che non distinguerei un tronco d’albero da un chierichetto. (Batte quattro volte le mani. Si accende la luce all’interno del chiostro)AANF (sollevato) Molto meglio, con questa luce!Teologo: Vero? Grande invenzione, la corrente elettrica. Certo, bisogna sempre ricordare che la scienza non può procedere disgiunta dalla fede.AANF: Solo con la grazia, diresti tu, possiamo evitare di abbrutirci nel bieco scientismo di matrice neo positivista. E ne convengo. Abbisogniamo di un’etica. Per questo sono qui.Teologo: È così, e ammiro la tua onestà intellettuale! A proposito, ti ho detto che ho chiesto personalmente al professor Zichichi di scrivere un’interpretazione cristiana delle equazioni di Maxwell per l’elettormagnetismo.AANF: Davvero? Sembra interessante.Teologo: Mi ha risposto entusiasta e dice che ci sta lavorando. Dice che toglierà tutti quei pigrechi, perché alla fisica bastano i numeri razionali. Fides et ratio.AANF: Magnifico!

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Teologo: Ma... di che stavamo parlando, prima di questa digressione?AANF: Ti stavo facevo presente che la tua citazione di quella ben nota glossa di San Frequenzio alla “Historia Universalis” di Bertone da Mulhouse, piissimo storico del XIII secolo, riecheggiava la rilettura dell’idealista minore Alois Von Knupper, attento studioso di Hegel. Ricordo di averne discettato in passato, nella mia università.Teologo: Certamente! Mi compiaccio di dirti che anche io apprezzo la tua esegesi in chiave laica del diario apocrifo del cardinale Benemerenzio Crisostomi nel Conclave che elesse Papa Clemente III, specialmente quando hai notato il suo precorrere dell’interpretazione di Copenaghen nei versi di lode al Signore, sfatando il mito che Scienza e Fede siano inconciliabili.AANF: Certo che siamo proprio colti e intelligenti.Teologo: Ma naturalmente, mio caro. Eruditi. Come mi piaccio, come mi piaci.AANF: Come mi piaci, come mi piaccio.AANF e Teologo, in coro: Come ci piacciamo!

Irrompe sulla scena, incespicando e quasi crollando a terra, l’Ateo Folkloristico. Il Teologo e l’Ateo Approvato Non Folkloristico, trasalendo, si voltano a guardarlo, come se fosse caduto dalla luna. Indi si alzano e gli vanno incontro, fermandosi a qualche passo di distanza.

Ateo Folkloristico: Fermi, in nome della Ragione, fermi!AANF: E questo chi accidenti è?Teologo (con aria di sufficienza) Oh, madre del Cielo. È un buffo esemplare di Ateo Folkloristico. Uno di quelli che irridono la fede, che hanno letto Dawkins e Dennett e magari persino la Bibbia da soli.AANF: Cosa? La Bibbia da soli? Senza un guida spirituale? Sia anatema. Culturale, ma anatema. (all’Ateo Folkloristico) Le pare un’azione rispettosa, amico mio? Si crede forse d’essere originale? Ci avevano già pensato i Luterani.AF (riprendendo fiato) Lo so. Teologo: Mi dica, buon uomo, a cosa dobbiamo la sua, diciamo così, rocambolesca entrata in scena?AANF: Si crede forse un deus ex machina in una tragedia greca?Teologo: ih, già conosco la risposta. Gonfierà il suo gracile petto di persona a cui manca qualcosa e ripeterà, con voce chioccia, il suo mantra: “la cattiva notizia è che il deus ex machina non esiste, quella buona è che non ne avete bisogno” Non è così?AF (offeso) Sono venuto qui perché questa discussione è monca. Facile, Monsignore, scegliersi gli interlocutori tra quelli più deferenti, tra quelli che mai oserebbero porre una domanda scomoda...Teologo (alzando gli occhi al cielo) Santa pazienza. Ora si metterà a dire che a questo dialogo sopra i due massimi sistemi manca un Filippo Salviati, che poi sarebbe lui.AANF: Toh! Un novello Galileo! È così, buon uomo?Teologo: Ma quale Galileo, quello era un serio uomo di scienza, un credente, un... (estrae un foglietto dalla tasca) un geniale iniziatore del metodo sperimentale, com’ebbe a dire sua Santità

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Giovanni Paolo II, Papa a cui tutti, e sottolineo tutti, dovreste essere riconoscenti. Sa, buon uomo, le Sue armi sono spuntate. Ormai Galileo l’abbiamo rivalutato.AF: Ma ci avete messo quattrocento anni!Teologo: Embè? Cosa vuole che siano quattrocento anni di fronte all’eternità? E poi non lo sa che di fronte a Dio tutto è presente?AF: Comunque non sono qui per parlare di Galileo.AANF: Ah no? E per cosa, allora?AF (rivolgendosi ad AANF) Sono qui per porre le domande che questo qui mai si sognerebbe di fare, asservito com’è.Teologo (annoiato) Basta, questa storia mi ha seccato. (batte tre volte le mani: accorrono due guardie svizzere)

Le guardie svizzere afferrano l’Ateo Folkloristico.

Prima Guardia: Che ne dobbiamo fare, Vostra Eminenza?Teologo: Ahimé, il secolarismo imperante ci obbliga ad averne cura. Dannata Breccia di Porta Pia. Maledetti diritti umani.AANF: Ma come? Non hai sempre detto che li avevate inventati voi, i diritti umani?Teologo (battendosi una mano sulla fronte) Ah già! Che idiota! È vero, ho detto così. Beh, dai, questo è quanto andiamo dicendo in giro. Sai, la stampa, i giornali, se no fanno storie. Comunque (alle guardie) accompagnatelo alla porta, e badate che non abbia più voglia di ripresentarsi.

Le guardie trascinano via l’Ateo Folkloristico che si dibatte e grida.

AF: Ma come... io protesto... e poi dovevo... insomma! Lo IOR! I preti pedofili! Lo scandalo immobiliare! Calvi! ...Sindona!... (sparisce dietro le quinte, ma la sua voce continua a farsi sentire, sempre più lieve) Il testamento biologico! La pillola del giorno dopo! I preservativi in Africa! L’ingerenza nella vita pubblica! ...

Il Teologo e l’Ateo Approvato Non Folkloristico rimangono soli e tornano a sedersi.

Teologo (scimmiottando la voce dell’Ateo Folkloristico) “e i crocifissi in classe, e gli stipendi agli insegnanti di religione, e i fondi alle scuole cattoliche...” (tornando alla sua voce) E che palle, dico io! Ma lo sa, lui, che cosa vuol dire muovere una macchina come quella vaticana? Sono un sacco di soldi, un sacco di grattacapi...AANF: Da grandi poteri derivano grandi responsabilità.Teologo: Mi piace! Questa la scriviamo nel resoconto che verrà pubblicato.AANF: Veramente è una citazione dall’Uomo Ragno. Ci sarebbero i diritti da pagare.Teologo: pfff, sai chi se ne frega. Noi siamo il Vaticano, mica la bocciofila di quartiere. Quanto a supereroi, non ci batte nessuno. Le leggi a cui obbediamo sono quelle di Dio. A meno che non

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siamo noi i creditori: sai come si dice, “rimetti a noi i nostri debiti, che poi ai nostri creditori ci pensiamo noi”. AANF: È vero.Teologo: riprendiamo col Kerigma?AANF: riprendiamo.

(breve pausa)

AANF: e se avesse avuto ragione? Dico, quel buffo tizio di prima.Teologo: Gesù benedetto, ma certo che aveva ragione! Credi che non sappia quelle cose molto meglio di lui? Ma tu credi veramente che alla gente importi qualcosa se ha ragione lui oppure no? La gente vuole sognare, vuole consolarsi, vuole un senso di appartenenza. Noi diamo alla gente quello che la gente vuole. È il mercato, bellezza. Vendiamo speranze. Le vuoi chiamare illusioni? Va bene. Però rendono bene, quindi tanto illusorie non sono. Come credi che siamo durati per duemila anni? con le belle parole? Tu non hai la minima idea di cosa voglia dire amministrare un potere del genere. AANF: Dio non esiste, vero?Teologo: ti dirò, non ce ne è mai importato niente (ride) AANF (scombussolato) A me sì, però.Teologo: e mi pare giusto! Sai come si chiama questo?AANF: Rispetto?Teologo: Esatto. Rispetto. AANF: Rispetto.

Tacciono ancora per un po’, poi ciascuno riprende a scribacchiare sul proprio notes.

(giù il sipario)

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Diario del Teologo

Rientro nelle mie stanze ben dopo l’ora di cena. Mi sono intrattenuto a lungo con il primo degli atei approvati e non folkloristici. Questi è un conoscente di lunga data, è uno storico, mi è sempre sembrato una persona per bene, e se non fosse stato per l’inopportuna intrusione di quell’altro invasato il pomeriggio sarebbe stato pienamente gradevole. Ma ahimè, per contratto m’è dato di dover sopportare pazientemente le persone moleste, così ho dovuto fare buon viso a cattivo gioco. La prima seduta di studi è stata comunque proficua: abbiamo discusso, bevuto del tè, preso appunti. Avrei volentieri invitato a cena il mio ospite, ma sfortunatamente questa sera aveva un impegno con dei suoi colleghi, un simposio a sua volta, sul ruolo dell’intellettuale critico nel postmodernismo sotto l’egida imperialista. Sarà per un’altra volta.

Quanto a me, ho giusto il tempo di fare una doccia e mettere sotto i denti un pasto così frugale che mi sarei fatto complimentare da San Francesco, e poi debbo uscire di corsa e andare a fare rapporto dal mio capo. Monsignore mi aspetta nel suo salottino, non si innervosisce per il piccolo ritardo; accenna un sorriso e mi fa sedere. “Com’è andata?” mi chiede, dopo i convenevoli. Gli stilo un rapido rendiconto. “Bene, molto bene” commenta “questo nostro primo ospite s’è proposto come coordinatore dei gentili, non è vero? È importante che sia uno storico, allora. Sai, tutta la faccenda delle radici giudaico cristiane, l’Europa secolarizzata, i valori, la legge morale naturale, la necessità del permanere del nostro status privilegiato presso le Nazioni Unite...” “Forse per questo ultimo aspetto dovremmo avvalerci di un esperto di diritto internazionale. Uno che non sia intriso di questi cascami libertari che fanno tanto chic nella giurisprudenza attuale” gli faccio sommessamente notare. “Tempi grami per trovare sponde legali, amico mio” sospira Monsignore, senza nascondere la sua amarezza: troppi scandali, non si riesce a sopire più niente, qui un pedofilo, lì una casa di Propaganda Fide, presto una corruzione, si ungano le ruote, e che fa l'Opus Dei, chi ha cifrato quei conti allo IOR, che posti si piglia Comunione e Liberazione, si scatenino gli scherani della stampa amica, come si fa a stare tranquilli. Subito però Monsignore si riprende perché pare che abbia in serbo una novità succulenta. “Vieni, debbo farti vedere una cosa” mi dice, e fa cenno ch’io lo segua. Docile, m’incammino dietro di lui. Ci lasciamo alle spalle le luci del salotto. Una notte blu e serena ci osserva dalle finestre alle quali non sono stati accostati gli scuri; sembriamo due cospiratori intenti a muoversi nell’ombra. Sua Eminenza mi fa strada verso lo studio. Anche questo è immerso nel buio, non fosse per il chiarore che emana dallo schermo di un computer. Mi fa cenno di sedermi

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accanto a lui. “Guarda” dice “mi è arrivata proprio oggi pomeriggio questa email. Volevo sapere che ne pensi”. Ammicca con aria complice e capisco perché non appena leggo il nome del mittente.

“È davvero lui” mormoro, stupefatto. “Già” risponde il prelato, soddisfatto “Noto agnostico, ma sempre attendo alla sensibilità religiosa, due anni fa collaborò come matematico a Tel Aviv nel gruppo Goyim Rispettosi, che come ricorderai fu un abbozzo dell’idea che abbiamo riutilizzato qui per fondare il Cortile dei Gentili.” “Mi ricordo” annuisco “ne uscì un lavoro che fece molto scalpore. “Certo! Qabbalah, Combinatoria e Analisi numerica: Teoria dei grafi nelle Sephiroth, a suo modo già una pietra miliare nel settore.” “E ora... ma chi l’ha contattato per il nostro progetto?” chiedo. “Sono stato io in persona” ridacchia Monsignore, con vivo compiacimento “Ti dirò, avevo molti dubbi sul fatto che rispondesse. È sempre impegnatissimo. E invece... non solo s’è detto disponibile, ma mi ha anche mandato l’abbozzo di un paper, come si dice in gergo di quegli scientisti, un articolo scritto alla bisogna.” Ammutolisco, visibilmente ammirato. Il rispetto dei gentili comincia a commuovermi. Fossero tutti così. “Te ne ho stampata una copia, tieni” mi dice il mio superiore, porgendomi una cartellina con dei fogli.

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Lettera di un matematico non impertinente

“Nel corso delle nostre ultime ricerche sulla matematica a cavallo tra il secolo XIX e il XX, i miei collaboratori ed io ci siamo imbattuti in un libriccino semisconosciuto scritto dal gesuita Werner Opfingen, erede di una tradizione geometrica che per quanto riguarda la i seguaci di sant’Ignazio di Loyola affonda le sue radici perlomeno nell’epoca del Saccheri e del suo quadrilatero: fu infatti con il trattato Euclides ab omni naevo vindicatus, in cui si affronta con una dimostrazione per assurdo il problema del postulato delle parallele, che si posero inconsciamente le basi per le geometrie non euclidee, sviluppate poi nel diciannovesimo secolo da Bolyiai, Gauss, Lobachevskij e, soprattutto, da Bernhard Riemann. Quinto di otto fratelli, due dei quali morti in tenera età, Werner Opfingen nasce in Baviera nel 1864, studia a Göttingen e in seguito prende i voti; pur non disdegnando mai la ricerca teorica pura, specie nell’ambito geometrico e topologico, il suo ruolo principale fu quello di insegnante in alcuni collegi della Compagnia di Gesù. Il solo lavoro matematico di una certa importanza prodotta dal nostro viene subito tacitato dagli ambienti elitari del mondo accademico, con il solito meccanismo del gettare disprezzo sui pensatori non allineati, vieppiù cattolici: il positivismo trionfa, la massoneria si compiace, la morale dissennata che unirà Darwin e Nietzsche nei grandi orrori del ventesimo secolo sgomita per diventare pensiero unico. L’opera principale di Opfingen si chiama “Sulle ipotesi che stanno alla base della geometria teologica” ed è stato pubblicato nel 1902: troppo tardi, quindi, perché David Hilbert potesse includerne i risultati e le idee rimaste a livello di congettura nell’elenco dei Problemi stilato in occasione del Congresso Internazionale di Parigi del 1900. Con questo nostro scritto speriamo di rendere parzialmente giustizia al genio di Opfingen e di stimolare la comunità di matematici, così come quella dei teologi, ad approfondirne gli spunti. Nei primi due capitoli del suo lavoro Werner Opfingen fa una attenta disamina delle pagine di Riemann sulle ipotesi che stanno alla base della geometria, da cui attinge, con ogni evidenza, anche il titolo. Parla con cognizione di causa del problema dello spazio e del concetto di varietà n-estesa di cui l’usuale spazio tridimensionale non è che un caso particolare; a margine nota anche come questo approccio scardini la concezione dello spazio geometrico come categoria a priori della conoscenza. Dopo aver ripreso ancora una volta le tematiche riemanniane sul problema della misura e dell’elemento lineare, Opfingen conclude il secondo capitolo con una osservazione interessante: ‘È da chiedersi’ riflette ‘quale sia il ruolo di Dio in questa nuova prospettiva geometrica. Mi sono permesso, umilmente, di considerare le teorie di un grande teologo e matematico del secolo XV e di rivederle alla luce dell’impostazione geometrica di Riemann’. Il terzo capitolo, infatti, tratta sommariamente dell’opera di Niccolò da Cusa e del suo Dio nascosto. Nel quarto capitolo Opfingen affronta finalmente l’argomento che gli sta tanto a cuore...”

A questo punto sollevo lo sguardo dai fogli che sto leggendo e mi rivolgo a Monsignore: “Sembra veramente stimolante. Non so se un approccio simile era mai stato tentato”

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Lui annuisce: “Come vedi, nel Cortile dei Gentili stiamo riuscendo non solo ad incentivare il dialogo tra credenti e non credenti, ma anche a produrre nuova scienza. Svincolata dai tecnicismi privi di morale, anzi, ben salda nell’alveo della tradizione culturale dell’Occidente cristiano, che ha bisogno di Verità, di libertà profonda e di amore gratuito. Finisci pure di leggere e dimmi che ne pensi. Tu te ne intendi più di me di questi argomenti”. Mi immergo nuovamente nella lettura.

“...È noto dal De docta ignorantia che il processo per cui ci si avvicina indefinitamente a Dio è paragonabile a quello del moltiplicare il numero di angoli di un poligono inscritto in un circolo. Opfingen estende questo concetto alle altre coniche, strizzando l’occhio alla più evangelica di tutte, la parabola, con una dimostrazione che, seppure abbozzata, si estende per alcune pagine, e si spinge, alla fine del quarto capitolo e per tutto il quinto (che è il più metafisico dell’intera opera) ad una trattazione sistematica delle geometrie non euclidee e del loro rapporto con Dio. Si tratta sempre del Dio cristiano, uno e trino: è molto suggestivo come per esempio Opfingen spieghi il concetto dell’incarnazione e della assunzione di Maria -all’epoca non era nemmeno un dogma- in coordinate iperboliche, introducendo il concetto di geodetica mariana. Questo sensazionale libriccino circolò negli ambienti gesuiti con una certa difficoltà e soltanto nel 1957, dodici anni dopo la morte di Opfingen, generò un pollone degno di nota: il giovane matematico francese Gérard D’Amboise, all’epoca appena ventenne, un Galois dei giorni nostri, scrisse un breve articolo in cui riprende sia Cusano che Opfingen, sviluppandone le intuizioni alla luce delle nuove scoperte in ambito matematico. Più specificatamente, è un articolo che mette in relazione l’universo come Dio contratto e il teorema di Banach sul punto fisso. Ora io credo che sia arrivato il tempo di dare nuova linfa a tali questioni, anche in luce di una migliore comprensione tra il mondo della fede e quello dei non credenti che ad essa guardano con interesse e rispetto, per il suo indubbio rigore epistemologico e per la sua levatura morale. Proporrei dunque che all’interno del Cortile dei Gentili si creasse un gruppo di lavoro, formato da matematici e da teologi, per discutere delle implicazioni gnoseologiche della geometria teologica. Ad esempio, a partire dal simbolo niceno-costantinopolitano, la necessità di una chiralità intrinseca per definire cosa si intenda per ‘la destra del padre’. Con i dovuti ossequi, mi firmo...”

“Straordinario!” esclamo, riponendo l’articolo nella cartellina. Devo immediatamente prendere contatto con il matematico e organizzare con lui il gruppo di lavoro. Ma nuove sfide mi attendono: trivio e quadrivio nel Cortile dei Gentili saranno rappresentati al completo, pertanto controllo l’agenda per sapere chi mi aspetta domani.

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Lipogramma in “a”

Qui allegato trovate il contributo di un celebre enigmista. La sua proposta, sebbene un po’ estremista, sta incontrando più d’un favore all’interno del Cortile dei Gentili. La riportiamo affinché il lettore possa farsi un’idea.

Perché espungere un certo vocoide

Esiste un vocoide, un fono che per dirlo ci si dischiude di molto il sorriso. Lo si emette per stupore, per dolore dei denti, nello svolgersi del supremo godimento erotico, perfino quello che non si svolge col consenso del prete, il che invero è ben poco degno di Nostro Signore. È dunque un vocoide indice di desiderio inconsulto, scevro di vincoli etici. Qui, in questo mio testo scritto che solerte vi invio, propongo che lo si levi sempre, se si discute con i teologi, e tosto dirò il perché. È solo questione di rispetto, in fondo: esso è pure il simbolo degli empi! Se gli si pospone il termine “teismo”, per esempio, diviene un’espressione infelice, un concetto incoerente e privo di equilibrio. Dunque deve - o meglio, dovrebbe- essere espunto, perché disconosce Dio, e con lui le nostre origini. Osservo, e lo trovo corretto, che in “cortile dei gentili” esso non c’è, perché i gentili sono persone col cervello ben pulito.

Come ottenere un discorso fluido dopo l’espunzione del detto vocoide? Non è difficile e lo spiego in breve: si nomini Benedetto Sedicesimo “pontefice” invece del termine comune più corto, intendo quello composto di due suoni conformi l’uno col secondo e cui è simile “genitore” però privo di tono; i suoi discepoli li si menzioni come “clero”; il luogo dove tengono i loro incontri e le loro funzioni, come “tempio di Cristo”. E per quel che concerne il sentimento splendido, quello che procurò le sventure dei due celebri riminesi nel cerchio dei lussuriosi, quello che si legge nei sonetti di quel noto inglese del Seicento, sì, proprio quel sentimento di cui preti e teologi rendono sé stessi testimoni e vessillo, beh! è sufficiente scegliere il termine “fede” se coinvolge il solo spirito, “sesso legittimo dopo le nozze con l’unico fine di emettere prole” se pertiene il corpo, “ciò che Gesù ti chiede per il prossimo tuo” in tutte le ulteriori evenienze.

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La scuola di Erice

Nel sesto secolo prima di Cristo, nella città di Mileto, sulle coste dell’Anatolia, sorse una scuola che annoverò grandi pensatori quali Talete, Anassimene, Anassimandro. Filosofi della natura, essi si interrogarono sul problema di quale fosse la sostanza primaria che aveva dato origine a tutte le cose e si svincolarono dalla necessità di una teogonia con divinità antropomorfe. Nel quarto secolo prima di Cristo, ad Atene, Aristotele e i suoi discepoli disputavano sul moto e sulla materia, camminando lentamente, soppesando concetti rifiniti a rigor di logica attorno alla statua di Apollo Licio: nasceva così la scuola peripatetica. Nel ventunesimo secolo dopo Cristo, i moderni filosofi della natura che vogliono discettare di scienza con rispetto per l’altrui credenza si riuniscono alla Scuola di Erice, ed è da qui che partiranno le menti più brillanti per andare a portare il loro contributo laico al Cortile dei Gentili. Ecco ciò che ho sentito io, menestrello e cantastorie il cui compito è quello di redigere i verbali degli incontri e delle lezioni della Scuola, ad uso di voi acusmatici.

L’ambiente, innanzitutto. Immaginate un giardino di profonda dolcezza, un piccolo eden su una rocca che schiude lo sguardo alle rive del Mediterraneo, il quale a sua volta è un mare che porta l’eco di poesie, di disperazioni e passioni, di morte e bellezza. Una vegetazione lussureggiante come uscita dal pennello rotondo di Rousseau il Doganiere raccoglie al suo interno un peripato di pietre antiche. La sapienza vi trova quiete e dimora. Il Maestro della Scuola, Teofilo Pseudocrozio, con i lunghi capelli bianchi mossi dal vento e strinati dai pensieri, la pelle combusta dal sole, osserva bonariamente i suoi tre migliori discepoli che, come s’accennava in precedenza, si preparano a partire per rendere omaggio alla scienza al cospetto dei teologi e dei vescovi nel Cortile dei Gentili. Si tratta di due giovani uomini, un biologo e un fisico, quest’ultimo l’allievo prediletto del maestro, che si dice fosse un fisico a sua volta; con loro c’è una giovane donna, chimica, dagli occhi neri e l’aria assorta. Seduti tra le fronde sorseggiano bevande fresche e discutono con compostezza.

Sofoide Eubiotico: Davvero non ho ben capito, o Armònio Uranico, quale sia il punto della tua argomentazione. Potresti spiegarti meglio? devi capire che non sono poi così avvezzo alle teorie cosmologiche: il mio compito è occuparmi della scienza della vita.Armònio Uranico: Certo, Sofoide Eubiotico: ora cercherò di spiegarmi meglio. Ci tengo ad un parere schietto sia da parte tua che da parte di Eterea Flogista (la guarda, innamorato) perché ho investito molto in questo progetto. Eterea Flogista: Ti ascoltiamo, Armònio (gli concede il più dolce dei sorrisi).Armònio Uranico: Partiamo dal problema principale, allora. Come ben sapete, noi tre siamo leggermente menomati dal punto di vista intellettuale e morale.

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Sofoide Eubiotico ed Eterea Flogista (sospirando, in coro) È vero. Siamo atei.Armònio Uranico: esatto. E questo, ci è stato insegnato dal nostro maestro Teofilo Pseudocrozio e ci viene ripetuto ogni giorno da pletore di vescovi, cardinali, teologi, chierichetti graduati e semplici perpetue, può significare solo due cose...Sofoide Eubiotico: ...O che siamo atei passivi, e quindi cerchiamo Dio ma non riusciamo ancora a trovarlo, o che siamo atei attivi, e quindi neghiamo Dio per un risentimento nei Suoi divini confronti.Eterea Flogista: Mi sfugge il nesso logico della seconda proposizione.Armònio Uranico: lascia stare i nessi logici. Ci saranno sicuramente. Sta di fatto che moltissime persone credono in una divinità, e quindi noi dobbiamo tenerne conto.Eterea Flogista: qui passi dal non sequitur di prima all’argumentum ad populum. Altra fallacia logica, Armònio, non ne usciamo.Sofoide Eubiotico (facendole segno di tacere) ssst, lascialo continuare! Al massimo si sistema tutto dicendo che Dio è oltre la logica.Eterea Flogista: ma i tomisti hanno detto...Sofoide Eubiotico: oh insomma, Eterea! vuoi cavillare su tutto? non è una formula chimica. Il cuore ha delle ragioni che la ragione non conosce. Ecco. Mettila così (abbassa gli occhi, disgustato)

Tacciono per un istante.

Eterea Flogista (rassegnata) Vai avanti col discorso, Armònio. Ti ascolto.Armònio Uranico (soddisfatto) Bene! Ecco, per l’appunto: se siamo atei attivi ci cacciano dal cortile dei gentili, ma se siamo atei passivi godiamo della misericordia dei prelati, e possiamo farci strada e instaurare un... un... come si chiama? (a Sofoide Eubiotico)Sofoide Eubiotico: dialogo costruttivoArmònio Uranico: ...dialogo costruttivo! Ce l’avevo sulla punta della lingua. Ora, io pensavo di approcciare la discussione seguendo due direttive differenti. Ci ho lavorato molto, vi dicevo. Come prima cosa proporrò un’interpretazione della costante cosmologica che tenga conto degli attributi divini.Sofoide Eubiotico: non ho capito.Armònio Uranico: è difficile scendere nel dettaglio... sappi solo che il valore della costante cosmologica dovrebbe essere correlato alla necessità del libero arbitrio.Eterea Flogista: mi sembra una soverchia stupidaggine.Armònio Uranico: potrà esserlo, ma che importa? l’importante è far vedere ai teologi che siamo disposti a scendere su un terreno comune e che scienza e fede non sono inconciliabili. Sai che Frank Tipler, che di suo è un fisico, mica la quinta colonna del vaticano, sostiene che la teologia dovrebbe essere una branca della fisica?Eterea Flogista: se lo dice lui. Io dico invece che con una teoria del genere non andrai molto lontano, nel cortile dei gentili. Ti cacceranno in malo modo.

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Armònio Uranico (arrossendo) Lo so. Non è completa, e forse ha delle falle per quel che riguarda la coerenza intrinseca. Per non parlare dei dati sperimentali. Però in ogni caso c’è la seconda teoria, che è molto più agile e funzionale.Sofoide Eubiotico (mostrando interesse) E sarebbe?Armònio Uranico (inorgoglito) A-hem, qui non vorrei peccare di immodestia, ma credo... uh, credo proprio di aver fatto il gran colpo!Eterea Flogista: E cioè? Hai sistematizzato una relazione tra l’inferno e i buchi neri? hai dimostrato un teorema di non località per i dogmi tridentini?Armònio Uranico: meglio, molto meglio! (fa una piccola pausa, per accrescere l’attenzione su di sé) Ho finalmente unificato la relatività generale con la meccanica quantistica!Sofoide Eubiotico: Bum! No, amico mio, sai che ti stimo ma stavolta secondo me l’hai davvero sparata grossa.Eterea Flogista: aspetta, aspetta, Sofoide (con sarcasmo) Lascialo spiegare... Che ti sei inventato, Armònio Uranico? Teoria delle stringhe? Gravità quantistica a loop?Armònio Uranico (intrecciando le mani dietro la nuca e sogghignando) No. La grazia.Sofoide Eubiotico e Eterea Flogista: eh?Armònio Uranico (poggiandosi ora le mani sulle ginocchia, con enfasi) La grazia! Non capite? L’unico tramite tra gli inconciliabili. Il dono infuso da Dio tramite lo Spirito Santo, che rende l’uomo partecipe del divino, in cui le aporie trovano risoluzione, e quindi anche l’incompatibilità di fondo tra relatività generale e meccanica quantistica.Sofoide Eubiotico sghignazza.Eterea Flogista: (stizzita) Armònio, sei un idiota. Sono teologi, non sono necessariamente degli analfabeti o degli sciocchi. Credi davvero che con una così smaccata... come si dice...Sofoide Eubiotico: ...captatio benevolentiaeEterea Flogista: ecco, captatio benevolentiae, ce l’avevo sulla punta della lingua, credi che così riuscirai a ingraziarteli? Sei un buon fisico, Armònio, direi un ottimo fisico, ma in questo modo sembra davvero che tu li stia prendendo in giro.Sofoide Eubiotico tace imbarazzato. Armònio Uranico (intimidito) e... e tu che avevi pensato, Eterea? Che cosa racconterai nel cortile dei gentili?Eterea Flogista: ho degli appunti nel mio studio. Potete aspettarmi qui un minuto, finché vado a prenderli? faccio in un lampo.

Senza attendere risposta, Eterea Flogista si allontana di corsa, verso l’interno della scuola. Armònio Uranico e Sofoide Eubiotico rimangono da soli.

Sofoide Eubiotico: Bella ragazza, eh?Armònio Uranico (sospirando) Eccome. Ma mi sa che con quel che ho detto mi sono bruciato le speranze.

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Sofoide Eubiotico: e dài, Armònio, non essere così negativo. Sono sicuro che sotto sotto... sì, sotto sotto ha apprezzato, ecco. A Eterea piacciono gli uomini puri di cuore, come te. Quelli che si entusiasmano e partono alla ricerca di nuovi lidi.Armònio Uranico: no, no, è meglio che me la tolga dalla mente. A lei piacciono di più i tipi pragmatici, come... come te, per esempio. Non ci hai mai pensato?Sofoide Eubiotico: A chi, a Eterea? (ride) oh, no. È solo una cara amica per me. Anzi pensavo che... oh, aspetta, sta tornando.(a Eterea Flogista, che torna a sedersi con loro) Carissima, hai fatto veramente in un lampo.

Eterea Flogista: Uf! Grazie per avermi aspettato. A differenza di Armònio (gli scocca un’occhiataccia) non mi sono spinta troppo in là con la grandiosità delle teorie e mi sono modestamente limitata ad un aggancio tra la chimica e la metafisica. Dicono che la prudenza sia molto apprezzata in ambito ecclesiastico.Sofoide Eubiotico (con una sollecitudine che insospettisce Armònio Uranico) Ma certo, cara. Cosa hai pensato, dunque?Eterea Flogista (si schermisce) Oh, nulla di che. Una breve disquisizione sulla sostanza.Armònio Uranico (bofonchiando risentito) I soliti sofismi metafisici. Eterea Flogista (senza dargli retta) Andrò per sommi capi, anche io, giusto per rendere l’idea. Innanzitutto analizzo la sostanza dal punto di vista metafisico, appunto, come la caratteristica peculiare dell’esistente entro i limiti della sua determinazione...Armònio Uranico (borbottando infastidito tra sé, ma a voce abbastanza alta affinché gli altri lo sentano) Come mettere delle parole alla rinfusa in una beuta e sperare di ricavarci una proposizione di senso compiuto agitandola per un po’.Eterea Flogista (fulminandolo con lo sguardo) Poi passo ad analizzare le caratteristiche scientifiche della transustanziazione...Sofoide Eubiotico (entusiasta) Fantastico, Eterea! finalmente un passo importante nel percorso del dialogo tra i due mondi, quello della ragione e quello della fede!Armònio Uranico (sbottando) E che diamine! e poi ero io quello inverosimile? Andiamo Eterea, tu sei una chimica, non ti puoi mettere a giocare a fare l’alchimista, ne va della tua dignità professionale, che t’inventerai dopo? La pietra filosofale per trasformare il piombo in oro?Sofoide Eubiotico (ridendo) E perché no? Quelli sono abituati all’acqua che si trasforma in vino, alla cialda che si trasforma in carne, vorrai che si stupiscano? Al massimo, Eterea, puoi dire che il piombo è sostanzialmente trasformato in oro, ma gli accidenti non sono cambiati...Eterea Flogista (senza scomporsi) ...infine lascio delle domande aperte sul concetto di essere e sulle implicazioni teologiche dell’ibridazione degli orbitali. Che ne dite?Sofoide Eubiotico (applaudendo, ruffiano) Li lascerai secchi, parola mia! Armònio Uranico Bah. E tu, Sofoide, che pensi di raccontare?Sofoide Eubiotico (ringalluzzito) beh, io sono un biologo, e di questi tempi vado di gran moda. Armònio Uranico (tra sé) pallone gonfiato.

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Sofoide Eubiotico (guardando fisso Eterea Flogista) Come prima cosa penso di inserirmi nella commissione di bioetica e di dare lì il mio contributo. Ho in mente un sacco di dissertazioni coltissime e profondissime sui temi della vita, della morte, del dolore, e poi gli embrioni, le staminali, ho un bel po’ di scritti in cui ho dimostrato chiaramente come la vita non sia proprietà della persona umana bensì...Armònio Uranico (completandogli il discorso) ...bensì della chiesa cattolica.Sofoide Eubiotico (spazientito) Ma no, di Dio. Eterea Flogista: ma noi in dio mica ci crediamo.Sofoide Eubiotico: lo so, e infatti è un po’ un feticcio, alla fin fine quello che conta è il parere della chiesa cattolica, è quello che è vincolante... insomma, io lo faccio per una forma di cortesia nei confronti dei nostri ospiti, andiamo nel cortile dei gentili e che gli diciamo, giù le zampe dal nostro corpo?Eterea Flogista: Hai ragione. È una questione di rispetto. Sofoide Eubiotico: non solo di rispetto, Eterea: anche di convenienza. Io ho un contratto a termine, fra un anno non so dove sarò, e ho il mutuo da pagare. Me ne andrei all’estero, ma sono figlio unico, mia madre è anziana e sta male e non la posso lasciare così.Armònio Eubiotico: Mi spiace per tua madre, Sofoide. Beh, immagino che parlerai anche di eutanasia e di testamento biologico, a questo punto.Sofoide Eubiotico: e certo! Sempre in chiave rispettosa del pensiero cattolico, il che vuol dire...Eterea Flogista: ...che per non offenderli facciamo decidere loro.

I tre tacciono scoraggiati.

Armònio Uranico: Beh, questa è la situazione. Fanno il deserto e lo chiamano pace. C’è poco da fare. Hai ragione anche tu. Magari troverai posto in qualche università cattolica. Sofoide Eubiotico: È quello che spero. Posso sempre disseppellire il saggio che avevo scritto quando mi presentai alla prova di ammissione qui alla Scuola di Erice.Eterea Flogista: Su cosa verteva?Sofoide Eubiotico: Sugli errori di Darwin, che domande. Eterea Flogista: Sarai mica creazionista, Sofoide?Sofoide Eubiotico: fosse così, magari adesso sarei vice direttore del CNR! No, sono un evoluzionista, naturalmente, però mi sono detto che sai com’è, l’atto creativo, il disegno intelligente, ho infilato un po’ di teleologia dove non era necessaria e ho scritto il tutto. In fondo è venuto anche bene, il saggio, sai. Armònio Uranico: Non lo so, Sofoide Eubiotico. Io sono qui perché credo veramente nel dialogo, o almeno mi sforzo, credo di credere, come Vattimo, tu lo fai per convenienza tua personale. Sei più egoista di un gene.Sofoide Eubiotico: (inorridito) ma che fai, sei matto? Citi Dawkins? Sei fortunato che non siamo ancora arrivati nel Cortile dei Gentili, altrimenti saresti stato come minimo lapidato di male parole e disistima.

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Armònio Uranico: ma non s’era detto “chi è senza peccato scagli la prima pietra”?Eterea Flogista: e che c’entra, le regole esterne sono diverse da quelle interne. Ti si deve spiegare tutto, Armònio Uranico. Sei veramente ingenuo a volte.Armònio Uranico: Scusatemi. Sono rimasto il sognatore che ero da bambino.

Suona il cellulare di Sofoide Eubiotico

Sofoide Eubiotico (rispondendo) Sì? Sì, sono io. Come? Oh, ma è fantastico! (sottovoce, rivolgendosi agli altri due) Un mio articolo ha ricevuto una recensione entusiasta da parte di quelli di ‘Scienza e Vita’. (tornando al telefono) Sì, penso di poterlo fare subito. Certo, sì. Grazie, e arrivederci. Come? Sì, sì, grazie ancora! (riattacca. È visibilmente allegro) Ragazzi, questa sì che è una bella notizia! (si alza in piedi) Ora bisogna che torni nel mio studio per preparare un altro articolo. Meglio battere il ferro finché è caldo, no?(fa per congedarsi)Armònio Uranico (un po’ invidioso) A presto, Sofoide. E Congratulazioni. Ci rivediamo in giro. Eterea Flogista (ammirata) Sono proprio contenta per te, Sofoide! Te lo sei meritato. Ciao. (lo saluta con due baci sulle guance).

Sofoide Eubiotico se ne va e Armònio Uranico rimane solo con Eterea Flogista.

Armònio Uranico (imbarazzato) Beh, eccoci qua...Eterea Flogista (ancora pensando a Sofoide) Oh, guarda, sono così contenta per lui... Armònio Uranico (prendendo un bel respiro) Eterea, io vorrei dirti una cosa...Eterea Flogista: Sì? A proposito delle tue strampalate teorie?Armònio Uranico: No, ecco, io... Insomma, è difficile spiegare... (guardandosi i piedi, rosso in viso)Eterea Flogista: Che c’è, mi vuoi dire? Armònio Uranico (aulico) Nei tuoi occhi neri, Eterea... Eterea Flogista (passandosi le mani sulle palpebre) Sì? Ho qualcosa in un occhio? Dove?Armònio Uranico: No, no, Eterea... (prendendole le mani) tu... io... forse noi... Ecco, le formulazioni che sai proporre... il senso che io... no, cioè, quello che tu... oh...Eterea Flogista (sospirando) Anche tu mi piaci, Armònio. Armònio Uranico (spiazzato) Ma... ma prima, con Sofoide... io credevo...Eterea Flogista: Sei un buon fisico, Armònio, ma di donne non capisci niente. Armònio Uranico: Oh, Eterea... allora io... noi, cioè, tu, forse, se... quindi... (riprende il tono aulico) nei tuoi occhi neri...Eterea Flogista (guardandolo languida) Baciami, stupido.

Armònio Uranico la bacia con passione.

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Tra il settimo e il sesto secolo prima di Cristo, nell’isola di Lesbo, per il morbo della gelosia alla poetessa Saffo gemeva il sospiro, nelle fauci stretto. Nel primo secolo prima di Cristo, a Roma, il poeta Catullo incitava la sua Lesbia a vivere e ad amare, e a contare come nulla i commenti dei vecchi troppo severi. Nel ventunesimo secolo dopo Cristo, nella scuola di Erice, il fisico Armònio Uranico spazzò il morbo della gelosia, abbracciò l’arte di vivere e di amare e si riversò su Eterea Flogista con un bacio, uno di quelli che succhiano l’anima e che fanno del sangue una brace e un vischio. Mi è parso opportuno inserire questa sottotrama romantica affinché se ne evinca che, a differenza di quanto accade agli atei folkloristici, infelici e soli perché ciechi al senso del sacro, agli atei rispettosi della fede è concesso compartecipare della grazia divina e dell’amore che muove il sole e le altre stelle.

Eterea Flogista (guardando il suo Armònio Uranico con occhi innamorati e persi) Vuoi fare l’amore con me, Armònio?Armònio Uranico: (serissimo) Vorrei, mia amata. Ma non siamo consacrati e poi non è giusto ridurre l’amore alla sola genitalità. Senza contare il necessario dolore della perdita della mia alterità nell’atto in cui io mi dono a Dio tramite te. Vieni, guardiamo il tramonto e interroghiamoci sui piani che questo Dio avrebbe per noi.Eterea Flogista: (sospira) Possa il Cortile dei Gentili esserci propizio. Andiamo.

Scompaiono insieme tra le fronde.

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Lanci di agenzia

15.14 del giorno 8, CdV. Monsignor S. e Monsignor R. si dicono preoccupati dello scarso clamore che sta avendo l’iniziativa del Cortile dei Gentili sugli organi di stampa all’estero.

16.44 del giorno 8, Roma. Il sottosegretario agli Interni con delega alla Richiusura della Breccia di Porta Pia, on. M.D., comunica di aver avvisato il suo omologo presso la Farnesina affinché si attivino le ambasciate e pongano rimedio a detto scandalo.

08.30 del giorno 10, Ouagadougou (Burkina Faso). Segnalate due diverse iniziative dei missionari presenti in loco per sensibilizzare la popolazione sulle dispute teologiche e culturali del Cortile dei Gentili.

08.45 del giorno 10, Berlino (GER). Il cardinale S.d.F., deputato pontificio ai rapporti con la sudditanza peninsulare nella Santa Sede, in visita presso la capitale tedesca, si compiace dei risultati dei richiami del governo italiano.

17.22 del giorno 10, Venezia. Severo monito del filosofo tardoidealista postmarxista Adelmo Giarretta, che avverte contro i pericoli del relativismo e auspica una serena riconciliazione tra credenti e non credenti in base ai valori indissolubili portati dai primi.

17.28 del giorno 10, CdV. Monsignor A., coordinatore del Cortile dei Gentili, invita il filosofo tardoidealista postmarxista Adelmo Giarretta, noto ontologo, a prenderne parte.

Una pila di fogli, appunti, imprecazioni e riflessioni sofferte si ammonticchiava sulla scrivania dell’insigne opinionista F.L., giornalista di lungo corso e di stringente acume politico. Sospirò. Sei notizie, solo sei, nell’arco degli ultimi quattro giorni. Perse nel mezzo di insulsaggini: sagre della caciotta, dichiarazioni di capi di stato, acquisti del calciomercato, un uragano in arrivo sui Caraibi, di nuovo tensioni in Cisgiordania. E soprattutto: di queste sei notizie, nessuna che riguardasse lui. F.L. guardò il ritratto di suo padre, la fotografia che teneva sempre con sé, accanto al monitor. Si rivolgeva a lui tutte le volte, invero non moltissime, che un dubbio lo assaliva. Bella figura, suo padre, a detta di tutti: politico e docente universitario, figura carismatica della sinistra borghese e colta. Le sue sorelle avevano ripercorso le orme paterne: una era docente di storia contemporanea in una piccola università, l’altra lavorava in un noto museo francese, aveva sposato

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un rampante amministratore della gauche del Midi e si occupava di diritti umani per le donne immigrate. F.L. era l’unico maschio. E in fondo la sua strada se l’era scelta e l’aveva percorsa, era un polemista molto apprezzato in certi ambienti conservatori e pieni di acredine nervosa; aveva donne bellissime e costose. I suoi nemici dicevano che era arrogante, untuoso, perfino patetico nel suo arrivismo, nella sua sudditanza, nel suo continuo ricercare un padrone che lo guidasse e lo proteggesse. I suoi amici lo stimavano per la sua intelligenza e la sua tracotanza.

Ma nonostante tutto, dal Cortile dei Gentili non arrivava nessun invito. A lui, che pure si era stracciato le vesti per il tanto fervore, quando l’istituzione del Cortile era stata annunciata. “Perché non mi chiamano, papà?” mormorava alla foto. “Perché non chiamano anche me?”

Tornava a casa, la sera, si spogliava, cercava di pregare senza riuscirci un dio che aveva le sembianze di un padrone misericordioso di cui lui era il liberto e guardava fuori dalla finestra come se stesse aspettando un segno. Il senso del rifiuto gli marciva dentro. Il giorno in cui meno se lo aspettava suonò il telefono, e all’altro capo del filo c’era parimenti la persona che meno si aspettava: S.N., la sua nemesi. Letterato e poeta, godeva di un certo riscontro nei salotti più appaganti. Era un po’ il suo contraltare: tanto quello era garbato e circospetto nella sua equidistanza, tanto lui sapeva ridere sguaiato delle fregole altrui. Da quanto tempo non si sentivano? Oh, a dire il vero si frequentavano per lavoro, incappando mal volentieri l’uno nell’altro sei o sette volte all’anno. Ma da quanto tempo, si chiese F.L., non si sentivano senza che ve ne fosse l’occasione ufficiale? Forse addirittura dai tempi dell’università. Primi anni Settanta.

“Carissimo” mentì il poeta “so che non ti aspettavi questa telefonata. Ma sai, càpita che io abbia bisogno di te. Hai presente il Cortile dei Gentili?”Gesù. F.L. si rattrappì sulla sedia, aspettandosi da un momento all’altro una pugnalata tra le scapole. “Sono stato invitato a dare il mio contributo” cinguettò per l’appunto l’infame, con tutta la studiata noncuranza di cui era capace. Verme. “Me ne compiaccio, carissimo” sputacchiò il giornalista, stillando invidia da tutti i pori. Ma poi pensò: se questo stronzo mi chiama per dirmi che ha bisogno di me, e lui è stato invitato nel Cortile, vuol dire che posso agganciarmi a lui per entrare. Cambiò subito tono e diventò quasi cordiale: “In cosa posso esserti utile?” “Ah, vedi, F.” si lagnò il poeta, con quel tono molliccio “sto scrivendo una cantica per l’occasione, e vorrei che tu me la introducessi. Una prefazione, due righe di buon viatico, insomma, sai, io non sono molto avvezzo a parlare con i preti, mentre tu ultimamente sei... hmm... come dire...” “Il loro maggiordomo?” sghignazzò F.L., ironizzando su uno dei tanti epiteti di cui lo fregiavano i suoi nemici. “Uh, non intendevo questo” bofonchiò S.N., vergognandosi, perché naturalmente voleva dire proprio così “Ma sai, visto che tu sai sicuramente come muoverti, e ti sei

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fatto portavoce di molte istanze vaticane nei tempi recenti... ecco, io mi chiedevo se magari potessi... in nome della nostra vecchia amicizia...” F.L. si grattò la pancia per trarvi ispirazione, come facevano gli aruspici un tempo con le viscere delle bestie. Era stato comunista, socialista, onesto, craxiano, anarchico, teocratico, ateo, devoto, ateo devoto, intimo del Sultano, era stato Mercuzio, Sheherazade, Messalina, volente, nolente, lirico, tragico, apostolo del messia, apostolo di un altro messia, di nuovo socialista, infelice, infausto, antiabortista, ostile alla gravità e all’eliocentrismo, liberista atlantico, pacifico mai, talvolta nei momenti di crisi era stato perfino se stesso, e ora gli toccava fare da chaperon intellettuale a un idiota privo di degno talento e non abbastanza ammanicato. Ma si può?

“Sì, si può fare” rispose affabile “Mandami al più presto questa tua... questa tua opera, e vedrò di mettermi al lavoro anche io. A presto, mio caro. Sì, a presto”.

In capo a due ore e mezzo, nella sua casella di posta appariva il primo canto di un’opera in terzine. Il giornalista guardò la foto di suo padre, e la foto di suo padre guardò lui, e si sorrisero di rimando.

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Diario del teologo

Quella di ieri è stata una giornata faticosa. Le vicende del Cortile dei Gentili mi hanno tenuto impegnato sin dal mattino: si sono presentati tre giovani scienziati provenienti dalla scuola di Erice, ciascuno pieno di energie e di spunti di riflessione. Anche noi eravamo in tre, per l’occasione erano accorsi due cari colleghi domenicani, anch’essi teologi. Abbiamo apprezzato soprattutto il fervore visionario, da vero mistico della scienza, di questo fisico teorico che si chiama Armònio Uranico. Gli incontri e gli scambi culturali si sono protratti per tutta la mattina e buona parte del pomeriggio, appena intervallati da un breve pranzo che è stato servito, con la solita impeccabile solerzia, dal mio buon ragazzo muto. La sera mi sono coricato presto, stanco morto. Ma non ho potuto dormire subito: m’è stato necessario trascorrere quasi un’ora e mezzo assonnato e forzatamente sveglio, buttato sul letto come un cencio, per scrivere un piccolo resoconto con dei commenti a margine che avrei dovuto consegnare a Monsignore stamani. Sono andato nei suoi appartamenti immediatamente dopo aver fatto colazione. L’ho trovato raccolto in preghiera; m’è stato detto di attendere e così ho fatto, passeggiando nervosamente su e giù davanti alla porta chiusa. Quando infine mi è stato concesso di entrare ho trovato il prelato particolarmente placido e disteso: una punta di rossore sul naso, però, tradiva la leggera emozione di cui mi avrebbe reso partecipe in seguito. Ma procediamo con ordine. “Che te ne pare?” mi chiede. “Che ti sembra di questo Cortile dei Gentili? Siamo abbastanza appetibili? Attiriamo i giovani? E il mondo della cultura, nel suo complesso?”Lo so che cosa vuol sentirsi dire, e difatti glielo dico: “Poco importa di quello che certi soloni materialisti possono strepitare: noi abbiamo la Verità, e la Verità ci renderà liberi”.“Sì, sì” taglia corto lui “ma non è tanto questo... ecco, vedi, le notizie sul buon procedere degli incontri sono arrivate alle orecchie del Santo Padre, che se ne compiace” “Molto bene, direi” esclamo io. Lui prosegue: “Sai, in questi giorni è impegolato con un caso di malversazioni in un collegio tedesco. Questa masnada di giovani Törless sprofondati nel vizio, non hai idea di quanto si debba fare per far quadrare i conti, dal punto di vista morale e d’immagine. Così sapere del buon successo della nostra iniziativa lo mette di buon umore, lo rinfranca... e stamattina presto mi è arrivata una telefonata... oh” si interrompe, la voce strozzata dall’emozione “era il Suo segretario particolare. Dice che... che...” si blocca ancora. Suda leggermente sopra il labbro. Si asciuga con un fazzoletto di seta. “Dice che sarebbe opportuno anche da parte nostra fare un passo importante nella loro direzione. Il Santo Padre vuole riabilitare qualcuno. In fondo c’è da capirlo: il Suo predecessore ha proclamato carrettate di santi e beati, si è glorificato ammannendo scuse per le colpe passate, specie quelle molto passate, tanto scatta la prescrizione e le vittime non si possono più lamentare o portarci in giudizio, non c’indurre in cassazione ma liberaci dal male, e...” “E chi vorrebbe riabilitare?” mi informo io, interrompendolo. “È qui per l’appunto che Sua Santità chiede il nostro umile parere” dice Monsignore in un soffio.

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Mi siedo, perché vacillo.

Questa è davvero una grande responsabilità. Indirizzare il pensiero cristiano romano cattolico apostolico eccetera dimodoché i nemici di ieri diventino gli amici di oggi e di domani, e anzi ci si renda conto che erano amici anche prima. “Possiamo muoverci in qualsiasi ambito?” chiedo. “Tendenzialmente sì” risponde il mio superiore, riportando le disposizioni che promanano direttamente dal calzatore della sacra pantofola “purché non sia nulla di troppo smaccato, del tipo niente dittatori” “Nemmeno quelli dell’America Latina?” obietto io “In fondo erano buoni cattolici”. “Nah, non li abbiamo osteggiati abbastanza quand’erano vivi” dice il vescovo, scuotendo mestamente la testa “Che ne so, gli argentini? Ma lo sai che il nunzio apostolico Pio Laghi giocava a tennis col capo dell’Esma, la scuola militare dove passarono più di 5000 detenuti, il 90% dei quali desaparecidos?” “È vero” ammetto. Il prelato incalza: “E le Madri di Plaza de Mayo protestarono nell’indifferenza generale, ivi compresa la nostra, per anni... Oppure prendi Pinochet... nel 1999 Sodano, che era stato nunzio apostolico in Cile durante la dittatura, pardon, durante gli anni di regime diversamente democratico, perorò contro la sua estradizione in Spagna e pure Giovanni Paolo II chiese perdono in sua vece. Che si fa, ci sputtaniamo così? Che c’è da riabilitare? Li abbiamo mai osteggiati apertamente, come istituzione? C’è stata la Vicaria de la Solidaridad, è vero. Quelli si sono sbattuti. Hanno rischiato in proprio. Però era la Chiesa locale... mi sa che noi, come Vaticano, siamo stati, ehr, troppo diplomatici. No, no, è storia troppo recente. Qualche rompicoglioni che si ricorda ancora c’è. E poi io pensavo a qualche personaggio di facile presa mediatica, che piaccia al pubblico...”

Mi butto su un argomento più leggero e frivolo: “I Beatles? Riabilitiamo i Beatles. Peccarono con uno stile di vita dissoluto e millantando di essere più famosi di Gesù, riabilitiamo loro” propongo. “Già fatto, ne ha parlato l’Avvenire, tessendone le lodi, dicendo che non erano poi così male” replica Monsignore, scuotendo di nuovo il capo “E sai cosa ha avuto l’ardire di commentare Ringo Starr? ‘I couldn’t care less’. Non gliene può fregar di meno! Ma ti sembra una risposta rispettosa? No, un esempio del genere va a detrimento della causa del Cortile dei Gentili”.

Ci penso un po’ su. Ha ragione: e poi i Beatles sono un simbolo troppo labile. “Ci sono” dico “Riabilitiamo Friedrich Nietzsche”. Mi guarda come se avessi bestemmiato Dio, Gesù, lo Spirito Santo, la Madonna e un po’ di altri personaggi sacri di contorno. “È troppo presto!” grida, e quasi si strozza “Nietzsche è in programma che lo si riabiliti tra due o trecento anni, quando diremo che è sempre stato un cristiano attento alle radici del suo credo, e che il solo fatto di aver intitolato una sua opera Genealogia della morale ne fa una figura attenta alle istanze che scuotono il cuore dell’essere umano, troppo umano... sì, Nietzsche lo riabiliteremo, ma in un futuro. Pensa a qualcun altro...”

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Decido di rimanere in ambito filosofico. “Epicuro? Che ne dice di Epicuro?” “Epicuro? No, Epicuro no. Sarà pure un fautore del piacere catastematico, ma sempre di piacere si tratta. E non vincolato a Dio. Sia anatema!” “Ma forse sarebbe un punto di forza” cerco di ragionare dal canto mio “un’apertura inaspettata, no?” “Santo cielo, amico mio!” esclama lui, esasperato “Siamo la Chiesa Cattolica, le vestigia della tradizione, sei tu stesso a ricordarlo. E poi Epicuro, chi mai lo conosce? Qualche umanista debosciato, due o tre studentelli. Trova un personaggio più caratteristico, più complesso e tormentato, e che sia appartenente alla cristianità”. Mi scervello. Un antieroe complesso e tormentato. Magari compartecipe delle umane sorti e con dei problemi edipici nei confronti di Dio. E che non sia Gesù. Alla fine trovo una soluzione: “Ivan Karamazov?” Il mio capo sbotta: “Eh no, Ivan Karamazov no. È russo, se la sbrighino un po’ gli ortodossi, che c’entriamo noi? E poi vivaddio, è il personaggio di un libro. Che dobbiamo fare, ci mettiamo a trattare i personaggi di fantasia come se si trattasse di persone reali?” “Beh, reale o fittizio farà mica differenza? Trattiamo un sacco di personaggi fittizi o solo verosimili...” provo a ribattere, ma non sono mica tanto convinto che sia un argomento di facile presa. “No, no, no. Ivan Karamazov no. Niente letteratura.” mi stronca Monsignore.

A questo punto la situazione si fa veramente spinosa. Non resta che puntare alto. Propongo: “Riabilitiamo Giordano Bruno?”

Silenzio. Mezzo minuto, non di più, di un silenzio eterno come una pena infernale. Alla fine Monsignore riemerge dai suoi pensieri di tregenda. Si mostra interessato. “Continua” mi dice, con una voce che sembra un tentacolo rovente. Brividi da febbre terzana mi rigano la schiena ma ormai sono in gioco. “Perché no, monsignore?” rilancio “Un uomo di Chiesa che ha pagato le proprie convinzioni con la morte”. “Ma lo abbiamo bruciato noi!” strilla lui. Questo alternarsi di toni suadenti e scoppi d’isteria mi sta logorando, non so più come muovermi. “Che diremo in giro? ‘ah no scusate, si è trattato di autocombustione’ ?” geme. È affranto. Provo allora a imbastire un discorso sensato e in linea con il magistero.

“Potremmo sempre dire che nel pensiero della Chiesa c’è sempre stata in nuce la teoria dell’universo infinito e dei molti mondi, che sono i motivi per cui abbiamo mandato Bruno al rogo” spiego “ma che per un difetto di esegesi la cosa non è passata... che ne so, se invece di averli chiamati infiniti li avesse chiamati transfiniti, come fece Cantor con gli insiemi secoli dopo su consiglio del Sant’Uffizio, per non confonderli con attributi divini, ecco, anche Giordano Bruno si sarebbe salvato...”

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L’alto prelato mi guarda perplesso. “Devi lavorarci sopra” mi concede, benedicendo la mia iniziativa con un cenno della mano “e mi raccomando, datti da fare. Ah! Ti rendi conto?” si infervora adesso “Giordano Bruno! Un simbolo del libero pensiero. Un faro dei laicisti senza pudore! E ce ne appropriamo noi! Ah ah ah!” È entusiasta. Anche io sono più sollevato. Non resta che far partire l’operazione. E questa volta saremo perfino immuni alle eventuali critiche di Ringo Starr.

Dio, quanto mi piace questo lavoro.

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Canto dell’intellettuale letterato e poeta S.N.

Teoria e pratica del bel mondo e dei suoi costumi: Canto I

Se solo, Muse, ascoltarmi poteste per voi sarei come un umile aedo3 del viaggio che feci nel mondo celeste ché d’altra grazia io più non vi chiedo. Ma poi che l’Ellade venne dismessa6 e ‘n vostra vece un altro Dio vedo a Lui dimando con l’anima fessa “Guidami a dire dei fiacchi, dei forti9 la storia che so che ai fedeli interessa or che son schiuse ai gentili le corti”. Io mi aggiravo tra i sogni e le brume12 simili a quello che è il regno dei morti quand’ecco che scorsi un flebile lume sgorgar dalla bocca d’un vieto pertugio.15 “Troverai genti pasciute d’acume” una voce mi fe’; “Vai, senza indugio”. Fu sì ch’entrai nel mondo d’incanto18 dove le anime trovan rifugio che d’essere insieme menano vanto e ‘l conformismo qui regna sovrano21 tutto ovattando d’un umido manto. Quale un amalgama sacro e profano qui vi son sterpi meschine o potenti24 volti che infestano il suolo italiano e non si vorrebbe che fosse altrimenti: io m’avanzai dunque verso la prima27 e chiesi chi fossero mai quelle menti. “Son tutte persone ben degne di stima!” quella mi fece, lisciandosi il petto30 “io per esempio son detto La Cima pel mio sapere preciso e perfetto. Questo sodale che scorgimi a lato

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33 invece ha il potere qual solo diletto e lo amministra con modo garbato. Ostili ci accusan: ‘siete una cricca! 36 voi siete eversori del povero Stato!’ ma noi sappiam che non è che ripicca per esser esclusi dal giro migliore.39 Siam gente del clero, o nobile, o ricca usi a sgusciare nel mutuo livore; dobbiamo godere d’un ego narciso42 e poco ci cale del vostro pudore”. “Vuolsi così che sia un Paradiso?” chiesi sperando non esser banale.45 “L’eden ambìto” rispose, deciso, “è in verità solo quello fiscale!” e rise poi con l’occhio rapace48 “quello celeste, che già non è male, guadagneremo con supplica audace a tonache amiche, amanti Mammona,51 cappucci massoni e vestiti d’orbace, ch’apprezzano assai la razza padrona.” Di questo eloquio ancor si compiacque54 come fa un re d’una nuova corona. Poi, pari all’ocean che gonfia le acque sotto l’impulso dei venti malvagi57 disse così, al che l’anima mia tacque: “Ben da prima che arrivassero i Magi noialtri dettiamo quella ch’è legge: 60 nostro il potere, noi dietro le stragi, nel nostro capriccio il mondo si regge. Sol ci necessita, a nostro baluardo,63 placido e stupido un debito gregge. Vedi laggiù” disse, e ‘l seguii col guardo “torme s’affannano; finti ribelli66 strepitano invano al fato beffardo, e laggiù invece ci sono pur quelli che pregano idoli, il culo all’addiaccio:69 fuoriusciti dai sonetti del Belli, dal salace argomentar del Boccaccio, dai puri tormenti del Pasolini,72 piagati con l’anima come straccio

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mentre son pronti a impetrar vaticini e a dir ‘speriamo! preghiamo li santi!75 e le madonne, ed i gesubambini! che rendano grazia a noi questuanti alle coscienze piccate o dischiuse’.78 Non è grandioso? Tu scrivi, tu canti di queste genti che non hanno scuse eppur s’ammazzan per essere servi.”81 Poi col carisma che fu della Duse s’incamminò ed io coi miei nervi tremanti nell’aria dietro gli tenni.84 “Foste mai stati, voi, così protervi, gelidi quanto le nevi perenni da provocare rivolte o sommosse87 contro voi stessi?” Rosso divenni quando lo chiesi, temendo percosse. Ma lui sorrise, e mi disse, soave:90 “che male sarebbe, quand’anche fosse? molte son l’anime docili e ignave: se ‘l vento muta, (e noi lo mutiamo,93 appreso l’abbiam a far in Conclave) tutto ritorna qual noi lo vogliamo. Poco vuol l’uomo per esser felice:96 gl’inventi un dio che dica “ti amo mio dolce creato. Ti sono radice: fa’ questo, fa’ quello, avrai la clemenza”.99 Questo anche l’anima più peccatrice capisce e rinuncia ad altra sapienza. Considera ora -t’è scandalo, forse?- :102 Dove c’è fede, occorre coerenza?” Io concordai, e la man che mi porse tosto accettai per seguirlo al suo mondo.105 E fu così che ‘l mio occhio s’accorse di quello che ‘l cuore nel suo profondo già da lungi suggeriva, sommesso.108 V’era chi negava ad un moribondo la sola dignità d’esser se stesso o chi per dogmi di fede feroci111 strali lanciava sul libero sesso. Passammo poi con i piedi veloci

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sul malaffare ch’è marcio e diffuso, 114 che ama i silenzi ben più delle voci e dissi al mio mentore: “son confuso, che posto è questo, ch’io vedo sì unto117 ma fiero d’ogni suo singolo abuso? No, non lo dire, ma dammi uno spunto: che sia l’Arcadia, quest’ottima terra120 ove il civismo è infine in disuso? Quella che ai miseri muove la guerra moral civiltade la si ritiene?”123 Egli rispose: “La mente tua afferra che siamo al di là del male e del bene! Questa è la terra ove non ci s’indigna:126 rubiamo e poi condoniamo le pene! Assai più dozzinale che maligna, ama i sovrani, quand’anche sian tronfi,129 qui ‘l magistero s’ingrassa ed alligna, di qui traiamo i forzieri rigonfi, speme e gaudio e legittimazioni:132 questa è la patria dei nostri trionfi.” Io mi convinco e mi metto bocconi: “Mai si dileggi quest’epoca buia! Amo esser servo di tali padroni;136 ed al vincitor: sia gloria, alleluia!”

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Interludio - Lettera del giornalista F.L. al suo defunto padre

“Caro papà, oggi ho avuto modo di leggere il primo canto dell’opera di quell’idiota di S.N. L’opera, dice, verterà su un suo fantomatico viaggio “da esterno” nei meandri della fede e della religione applicata. Devo confessarti che sono confuso. Alla fine si capisce che è uno dei nostri, o almeno s’ingegna a sembrarlo, ma in principio ho avuto i brividi di disgusto e di disagio che sempre mi vengono quando sento puzza di orazione civile. Per fortuna non ha nominato esplicitamente la mafia, altrimenti il disastro sarebbe stato completo. Gli ho telefonato, a S.N., dopo aver letto il suo lavoro. Gli ho detto: ‘Senti, il rischio di venire frainteso che stai correndo è eccessivo. Se ti sputtani tu mi sputtano anche io. Tu potrai anche fare l’intellettuale indipendente, il non organico, ma io no, ho dei limiti di ruolo”. Sono stato franco con lui, papà. Ma ho anche cercato di essere generoso e di venirgli incontro. Anche questo me l’hai insegnato tu, ricordi? Avevo undici anni, era il periodo in cui andavamo sempre in vacanza a Madonna di Campiglio col giudice R. e la sua famiglia. Anche a casa li frequentavamo. Suo figlio Tommaso aveva la mia età e mi chiedeva sempre di fargli i compiti, perché non voleva deludere la sua famiglia ma a scuola non era un granché. Io non sapevo come comportarmi. Ricordo che tu mi dicesti: ‘farli al posto suo è disonesto; studiare insieme a lui, affinché si metta in pari col programma e capisca dove sbaglia, è segno di generosità’. Così mi ero proposto di fare oggi con S.N. ‘Scrivi qualcos’altro, cazzo, un’introduzione di tuo pugno, che certifichi la tua volontà di dialogo e di ascolto. Non l’hai letto il pamphlet del barone d’Holbach sull’arte di strisciare?’ ‘L’ho letto, ma quello è un testo satirico’ ha risposto l’imbecille, peraltro correttamente. ‘Ma non ha nessuna importanza. Fallo lo stesso. Striscia. Impegnati. E compiaciti di strisciare. C’è poi bisogno che tu ti inserisca nel cupio dissolvi della cultura di corte contemporanea, sei troppo vitale anche quando ti atteggi a servo’ gli ho replicato io. Lui se ne è stato zitto per un po’, sentivo quasi i suoi pensieri scricchiolare nella testa come parti di un ingranaggio. ‘Posso scrivere una lauda. Te la mando quanto prima, va bene?’ ha proposto infine. Ma io ho tagliato corto: ‘senti, ti scrivo io qualcosa. E tu lo firmi. Che ne dici?’ Mi è tornato in mente Tommaso il figlio del giudice, papà, ma tu mi capiresti: c’è un tempo per essere integerrimi e un tempo per essere accettati. Ora è il tempo di essere accettati.”

F.L. si fermò con la penna a mezz’aria. Scriveva sempre le sue lettere a mano, quando il destinatario era il padre. La stanza era sempre uguale a se stessa: tanti libri, qualche riconoscimento appeso. Un riflesso sulla finestra dava di rimando il ghigno che aveva reso F.L. celebre, oppure la sua aria aggrottata. Fuori dalla finestra si intravvedeva il viottolo nel cortile e, talvolta, nelle luci crude della sera, l’ultima donna presa a nolo che se ne ritornava da dove era venuta.

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Riprese a scrivere.

“Ho scritto dei versi e li ho accartocciati e buttati via. Tu eri un poeta migliore di me. Io a tratti sembravo Bondi: una mescolata di sostantivi e aggettivi scombiccherati ma pomposi, neanche un verbo perché i verbi sono la colonna vertebrale del discorso e non giova al cortigiano avere una schiena dritta. Alla fine non so se scriverò qualcosa. Però sai, sento il lezzo dolciastro della condiscendenza, della consorteria, e scopro che mi piace. Non è male, papà. Spero di essere stato comunque un buon figlio. Ti abbraccio, F.”

La luce del crepuscolo calava anche sull’intellettuale e poeta S.N., in una via non lontana, nella stessa città grassa e stanca. Dopo la telefonata con il suo vecchio nemico, che pure aveva accondisceso a fargli da mentore, si era ritirato in un angolo a scrivere versi, pieno di sconforto. Mise insieme un paio di sonetti, dei cachinni sparsi verso la sua ex moglie, che non ci stavano mai male, ma la lauda non gli veniva. Chissà, magari avrebbe potuto imbastire qualcosa in versi sciolti. Rimuginò per tutta la notte, e il mattino dopo era ancora lì che rimuginava.

Il noto polemista e giornalista chiuse la lettera in una busta e la ripose nella scatola in cui conservava le altre. Oramai tracimavano nei cassetti come una muffa su un vecchio cacio.

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Diario del teologo

Che avevo detto? Che mi piaceva questo lavoro? e certo, perché non avevo ancora incontrato la signorina Elisabetta D., ‘ma mi chiami Betta’, sociologa e veterofemminista in crisi. Era una bella giornata d’inizio estate e me ne stavo a godermi il fresco del chiostro con le Confessioni di Agostino sulle ginocchia e un tè freddo sul tavolino. La visita di Madame era prevista solo per l’indomani, nel pomeriggio avrei avuto un briefing con Monsignore e quindi approfittavo della mezza giornata di riposo per meditare su letture significative. E invece, l’undicesima piaga biblica, Iddio mi perdoni l’accostamento, è entrata come un ciclone e ha scompigliato tutto. “Mi scusi mi scusi mi scusi” ha esordito “ma proprio non ce la facevo ad aspettare”. Essendo oramai in ballo l’ho fatta accomodare, ho battuto le mani, il mio servitore muto è arrivato di corsa e le ho fatto portare un altro tè freddo. Che dovevo fare? “Si sieda, carissima, mi dica. A cosa debbo questa visita fuori programma?” “Ho una spina nel cuore” ha detto lei, premendosi il (peraltro generoso) petto con ambo le mani. “E di che si tratterà mai?” le ho chiesto, sorridendo per tranquillizzarla. “Molte spine, in realtà” ha risposto, ed era tutta un gemito di sottofondo, a tal punto che ho temuto si sentisse male fisicamente. Ma ciò non era, il malessere era solo spirituale, come ha avuto modo di raccontarmi. Si stava preparando delle letture per la discussione sociologica che avrebbe dovuto allestire nel Cortile dei Gentili quando aveva notato alcune cose che l’avevano fatta agitare. “La lista dei partecipanti, per esempio. Sono tutti maschi, a parte me, questa chimica che si chiama... si chiama... uh sì, Eterea Flogista e poi un’altra tipa che non ho mai sentito nominare, tale Sciantàl Palumbo, anni 22. Chi è, che fa? e che esperienza può avere?” Cerco di dissimulare il mio imbarazzo. “La signorina Palumbo è in quota governo” dico a mezza voce. Madame strepita come un’ossessa: “in quota governo? e che vuol dire in quota governo?” “Eh, in quota governo vuol dire che ci è stato chiesto, gentilmente...” “Da parte di chi? del governo?” “sì, del governo... ma non ufficialmente, mi capisca... è stata solo una richiesta... un favore informale tra amici...” balbetto io, che odio queste cose, ma proprio con tutto me stesso. “Favore informale tra amici?” mi scimmiotta Madame, come se io fossi fesso, o se lei fosse fessa, o se non si fosse ancora capito bene chi fesso non è. “Comunque la signorina Palumbo è una persona seria, preparata... struppolina (una sorta di velina, mi dicono) su Teleguappa e studentessa modello di Scienze dell’Intercomunicazione Teologica all’Università Miliziana del Cristo Risorto e delle Sue Sante Piaghe” spiego. “Una santa, insomma. Ordine delle Monache Certosine, anzi, Villacertosine” sbuffa lei, acida. Non è una battuta opportuna e glielo faccio notare, con tutta la delicatezza di cui sono capace. Madame deve sapere che ci sono delle linee gerarchiche da seguire e delle ruote da ungere. Forte di questa esperienza nel Cortile dei Gentili, Sciantàl Palumbo avrà presto un posto in una qualche giunta provinciale, o addirittura un seggio al Parlamento Europeo,

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noi avremo nuove prebende statali, i laici seri approveranno il mutuo rispetto e quindi è il caso che la signorina Elisabetta D., e se proprio vuole la chiamo Betta, non rompa troppo i cabasisi, per citare quell’inveterato comunista di Camilleri, uno dei non eletti e nemmeno chiamati che in questo Cortile non metterà mai piede, sebbene Monsignore si sia guardato tutto Montalbano in tivù. Anche Madame, comunque, un tornaconto lo avrà, ne stia pur certa. Il plauso sociale della gente che conta, una casa in centro a Roma, una cattedra da qualche parte. “Ma ecco! Vede? A parte noi tre, e mi creda, date la mia storia e le mie battaglie, faccio fatica a mettermi nello stesso gruppo con una Sciantàl Palumbo anni 22, non c’è presenza femminile adeguata. Io credo che questo sia un retaggio della cultura maschilista che da sempre permea il cristianesimo e la chiesa cattolica” conclude, la petulante. Per fortuna mi ha appena alzato un assist comodissimo. “Ma mia cara, mia cara signora!” esclamo, allargando le braccia e il sorriso in un moto di cordialità “Come può proprio Lei, che è una sociologa così attenta, così stimata per il rigore con cui attinge alle sue fonti, riportarmi le accuse più laide e infamanti della propaganda laicista?” Mi sporgo leggermente in avanti, sfoderando un fascino da Uccello di Rovo e sbirciandole di nascosto nella giunonica scollatura - sarà anche vetrerofemminista ma il reggiseno non l’ha bruciato, stamattina. “La Chiesa è sempre stata assolutamente rispettosa della dignità della donna”. Un rombo sordo di un tuono lontano fa da traino all’arrivo di un temporale. Sentendomi caricato dall’elettricità dell’aria, proseguo. “Pensi al ruolo fondamentale che ha la vergine Maria nel mistero salvifico di Gesù Cristo” e mi segno. Madame, dopo qualche esitazione, si segna pure lei. “Lì nella pienezza del tempo dove Dio si fa carne!” esclamo “nell’essere madre di Dio ella realizza la predestinazione soprannaturale all’unione col Padre elargita ad ogni uomo! Di questo parliamo quando parliamo di pura grazia...” La svampita mi interrompe con uno sguardo perplesso. “Sarà. Ma la gerarchia è tutta maschile; non è permesso alle donne celebrare messa, tanto meno diventare Papa, se si esclude il caso della papessa Giovanna che manco si sa se sia esistita davvero” “E che siamo diventati, luterani? anglicani? eretici come Lutero o lussuriosi irredenti come Enrico VIII, che poi, guarda lì, non è che alle sue varie donne ci facesse fare una gran bella fine?” sbotto. Lei si fa insolente: “Ma non voglio parlare delle altre confessioni. Restiamo a voi. Se ha presente la prima lettera di Paolo ai Corinzi e il triste e ormai obsoleto ruolo della sessualità che vi si raffigu...” “Ma insomma, signora mia!” mi scandalizzo “Non vede che è impastoiata dalla foga isterica di voler leggere i testi in modo letterale? No, no, no, non ci siamo, non ci siamo! Il cristianesimo è sempre stato rispettoso della dignità femminile. Punto. Tant’è che, per esempio, Sua Santità Papa Paolo VI annoverò tra i dottori della Chiesa Santa Caterina da Siena e Santa Teresa di Gesù! E pensi al Cristo con l’adultera, o con Maria di Magdala! Le pare poco?” “Non è che mi convinca più di tanto” pigola la stronzetta, evidentemente con la testa ancora intrisa di slogan come ‘né puttane né madonne - solo donne’. “Hmmm... vediamo allora... Conosce il concetto di Theotokos, Madame?” chiedo, mellifluo. Col concetto di Theotokos ho fatto stragi di cuori femminili, in passato.

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“Più o meno” fa lei, accigliata e pronta tuttavia a sorbirsi la lezioncina, in nome del rispetto che l’ha portata qui. “Vuol dire ‘Madre di Dio’. Pensi che fu materia di dibattito al concilio di Efeso nel 431. All’epoca le questioni cristologiche erano all’ordine del giorno. Si ritrovarono di fronte due fazioni, una capeggiata da Nestorio, patriarca di Costantinopoli, che sosteneva che Maria fosse solo madre di Cristo, ossia Christotokos... tali teorie furono tacciate come degne di anatema dalla fazione avversa, poi risultata vincitrice, che sosteneva che la Vergine fosse Theotokos, ossia madre di Dio, perché ‘il Verbo è nato secondo la carne’; questa fazione era guidata da Cirillo, patriarca di Alessandria” sciorino compunto. “Cirillo?” squittisce la smorfiosa, con sarcasmo telefonato “quello che fece distruggere la colonia ebraica di Alessandria e si beò nel vedere i parabolani scarnificare viva Ipazia?” Zitta, costola! penso io. Che ti metti a tirare in ballo? Dove le hai lette queste cose? È scabroso alle donne studiar, son dell’uomo la disperazion. “Non possiamo dire quanto Cirillo soffrì intimamente del clima di violenza che appestava la sua città... sono più che convinto che soffrì anche del rogo della biblioteca di Alessandria... non dimentichi che un vero cristiano è permeato d’Amore, e Cirillo era un vero cristiano, tant’è che è stato fatto santo e Padre della Chiesa e fu definito, com’ebbe a ricordare Sua Santità Papa Benedetto XVI, ‘custode dell’esattezza’, ossia della vera fede. E comunque bisogna considerare le cose nel loro contesto. La morale dell’epoca. Sì, cioè, la morale della Chiesa è unica ma... oh cielo, non mi faccia divagare: andiamo avanti, ne conviene?” “Andiamo avanti” concede Madame “sono proprio curiosa”. “E allora pensi a Maria!” torno ad infervorarmi “alla sua partecipazione nella missione di redenzione dal peccato! dalla triplice concupiscenza, quella degli occhi, quella della carne e la superbia della vita! E invece con Maria inizia la nuova, e definitiva, Alleanza di Dio con l’umanità” mi compiaccio “Sicché Maria è la donna, archetipo del genere umano, che si unisce sia con Dio che con il Figlio, ossia col Dio fatto uomo”.

Le parlo del duplice ruolo della maternità e della verginità come dimensioni della vocazione femminile, entrambe degna e sola raffigurazione dell’amore sponsale. “Io non sono né vergine né madre” obietta la rompicoglioni “e mi sento donna ugualmente”. “Sì, ma è incompleta” ringhio, forte della mia Verità che farà libero sia me che tutti gli altri. Provo a farle il gioco delle tre carte col valore del dono di sé, con tutto il rancore di eunuco che si è fatto tale per il Regno dei Cieli, non come Origene, fisicamente, ma nello spirito sì, quasi sempre, e mi metto a instillarle il senso della dignità di donna che non può ritrovare se stessa se non donando l’amore al prossimo, perché in questo si esplica la sua femminilità. “Sappia, Madame, che la procreazione è segno della cooperazione con la potenza creativa divina! Sappia che Dio le ha affidato l’Uomo in modo particolare!” “Uh, a me? che delizia” sorride lei, civettando. Civettando? Ma come si permette. Va bene che la carne è il cardine della salvezza, l’ha detto anche Tertulliano, ma adesso non esageriamo con le tentazioni.

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Vado avanti per una buona mezz’ora, cercando di sopire la Simone de Beauvoir che si agita nelle forme goderecce di questa sventurata. Che poi, da femminista, non dovrebbe essere acida, incazzata e con le tette rinsecchite? Non c’è più uno straccio di cliché degno di tal nome, al mondo. Segno evidente della corruzione dei tempi. Dopo averla ubriacata con le mille virtù della Vergine Maria, Mater misericordiae, advocata nostra, ora pro nobis, passo a Chiara d’Assisi, a Teresa d’Avila (e qui, sull’estasi, mi becco di rimando una sonora risata: ma si può, dico io? e questo sarebbe il rispetto?), a Edith Stein e... e... e insomma, alla fine arrivo esausto e Madame Elisabetta D., e col cazzo che la chiamo Betta, ancora non fa una piega. Anzi, ben compita come una collegiale, mi apostrofa e mi fa: “Tutto bello, tutto bello. Gran discorso sulla dignità della donna e sui pericoli della mercificazione del suo corpo nella società di oggi. Bene. Vogliamo parlare delle vostre intrusioni nel corpo femminile?” Sbianco. Intrusioni, intrusioni... no, non può sapere dei miei intrallazzi privati. Dev’essere una filippica sull’ingerenza pubblica della Chiesa Cattolica di cui, umilmente, mi onoro di essere un degno rappresentante. “Vogliamo parlare di tutte le storie che state facendo sulla pillola abortiva? su quella del giorno dopo? pure su quella del giorno prima? eh? vogliamo parlare della vergognosa campagna per l’astensione al referendum sull’abrogazione di quello schifo di legge 40? ne vogliamo parlare?” inveisce. “Ma signora mia!” ribatto, fremendo di sdegno “è nostro precipuo compito indirizzare l’Uomo verso la morale che esprima la sua più piena dignit...” “Dignità un cazzo!” grida, sbertucciandomi. Poi torna a un tono di voce più moderato. “Stiamo parlando di speculare sulla vita, sulla salute e sul benessere di persone che potrebbero non avere nulla a che fare con voi e col vostro credo, in base a dettami che traggono la loro forza solo da un principio di autorità e non da evidenze fattuali” “Non si chiama principio di autorità, si chiama mistero della fede” replico, con calma. “E in cosa si differenziano?” mi chiede. “In niente” rispondo “però ‘mistero della fede’ suona meglio. Più rispettoso del libero arbitrio”. “Oh, ancora con questa manfrina del rispetto” schiamazza l’infelice “quanto arbitrio, e nient’affatto libero, ci avete costruito sopra! Ma Lei ha mai pensato, per esempio” soggiunge “ha mai pensato che col divieto di diagnosi preimpianto avete condannato delle famiglie a dei giorni di ansia e dolore?”

“Madame” dico con voce tonante, rialzandomi per esprimere tutta la mia autorevolezza e il mio onore “Noi siamo la Chiesa Cattolica. Sulla teleologia del dolore, meglio se quello altrui, noi abbiamo fondato la nostra esistenza e la nostra sopravvivenza. Noi serviamo a dare un senso al dolore. Gli diamo uno scopo. Un perché. In nome di Dio, non può pretendere di togliercelo!”

Anche Madame si alza. “Dai vostri frutti vi si riconoscerà” sibila. Poi non dice più niente. Mi gira le spalle e se ne va, senza salutare e senza nemmeno ringraziarmi per il tè freddo. Ed ora eccomi qui, solo e con mille pensieri.

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A proposito di tè freddo, ho chiesto al mio caro servitore muto che mi portasse una camomilla e due pastiglie di tranquillante. Mi sono immerso in preghiera, ne avevo bisogno, e nella lettura di Agostino. Beh, con questa tizia non c’è stato niente da fare. Dopo che se n’è andata ho telefonato alla mia segretaria affinché avvertisse i partecipanti che la riunione di domani è annullata. No, anzi, facciamo che è procrastinata a data da destinarsi. Dovevo solo trovare qualcuno che sostituisse quella vecchia ciabatta nel ruolo di coordinatrice e relatrice. Mi sono fatto dare il numero di Sciantàl Palumbo. O tempora, o mores.

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Mos maiorum - L’intercettazione telefonica

Mentre il teologo era impegnato nella sua disputa con Madame, Monsignor A., coordinatore della Corte dei gentili, si trovava al telefono con l’onorevole N.M., noto a tutti col nome di “Caio Gracco” per una sua passata collaborazione con il ministero delle politiche agricole, quando era di sinistra. L’onorevole N.M., adesso nel gruppo misto, era stato radicale, libertario, libertino, cattolico, redivivo, terzomondista, un passato nella FGCI, tifoso dell’Inter, ammiratore di Blair, democratico, critico, piacione, illuminista, centrista, ligio, uso ad obbedir tacendo, dadaista, di nuovo radicale, verde con diverse sfumature, postdemocristiano metamorfico, europeista, rispettoso dei dittatori decaduti, aulico, pratico, romanziere, talvolta nei momenti di crisi era stato perfino se stesso.

In spregio alla ventilata legge bavaglio, riportiamo dunque qui di seguito il testo dell’intercettazione telefonica della conversazione tra Monsignore e l’onorevole N.M., nome in codice “Caio Gracco”.

[...]Monsignore: Come vanno i preparativi per la fiction sul cortile dei gentili?Caio Gracco: stanno facendo il casting. Mi ha chiamato [omissis] dalla Rai, dice che l’hanno affidato a un regista emergente, un giovane....Monsignore: bene, bene, fiction di qualità, mi raccomando. Ci sono nomi di grido?Caio Gracco: due, uno per il ruolo del teologo e uno per quello del giovane fisico innamorato. Sciantàl Palumbo dovrebbe fare un cameo.Monsignore: quante puntate? Quattro?Caio Gracco: si pensava a una miniserie, ora non ti so dire le puntate... Verrebbe un successo meglio di Elisa di Rivombrosa. In onda tutti i lunedì sera in prima serata, e a seguire una puntata di approfondimento di Porta a Porta, con ospiti di richiamo, psicologi, sociologi, qualche gnocca che fa audience, forse addirittura tu stesso sarai chiamato...Monsignore: ottimo! Il titolo? si sa?Caio Gracco: ancora no, niente di definitivo, c’era una rosa di nomi, del resto gli sceneggiatori sono al lavoro... ma garantisco personalmente sulla buona riuscita... in Rai sono ligi al dovere...Monsignore: Va bene, veniamo alle rogne [...] e poi ci sarebbe la clinica, lì, a [omissis], dove sta anche il dottor [omissis]... ecco lì mi hanno detto che ci sono due ginecologi non obiettori, è vero?Caio Gracco: Sì, è vero, sono [omissis] e [omissis], che tra l’altro è fratello di [omissis]Monsignore: ma chi, il magistrato? quello delle indagini sulla corruzione di Monsignor [omissis]? ah ora tutto si spiega.

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Caio Gracco: sì sì, lui.Monsignore: credo che il reparto di ginecologia ed ostetricia dovrebbe toccare al dottor [omissis]Caio Gracco: sì, abbiamo dato disposizioni. Monsignore: bene. [...] Anche il complesso T14 [complesso residenziale per la cui costruzione la gara d’appalto è stata vinta dalla [ri-omissis]SpA, di proprietà dell’imprenditor S.d.L., cognato di Monsignor A, ndr] si sta facendo...Caio Gracco: sì, ma per quello non ci sarebbe... cioè, mi hanno detto, mi ha detto Regolo [personaggio ancora da identificare, probabilmente in giunta comunale, ndr] che c’era poi il problema di quei tre da mettere in lista per le provinciali del prossimo anno... mah... [ride] ma a Dio mica toccavano, tutte queste rogne, quando ha creato l’universo?Monsignore: [ride] Eh ma sai, lui adesso si occupa del versante, per così dire, metafisico... qualche volta andiamo a raccontare che interviene nel mondo, fa il roveto ardente, dona tavole, si incarna, rade al suolo città, manda diluvi, giusto per la parte scenografica, ma lascia che te lo dica, questo non fa un cazzo, tocca fare tutto a noi...Caio Gracco: almeno vi lascia libertà di manovra...Monsignore: ah se è per quello non c’è proprio di che essere preoccupati. Mai sentito che si lamentasse. Bah, io mi sono anche rotto di parlare di... ma dimmi di te... tuo figlio maggiore come va? ha fatto la comunione?Caio Gracco: sì, in primavera. Era tutto contento, gli è arrivata un sacco di roba... la playstation, un iPhone, roba del genere... mio suocero gli ha fatto una vacanza studio in Inghilterra per tre settimane, parte in luglio, qui...Monsignore: Bene, bene... sono contento per lui... abbraccialo da parte mia mi raccomando... tu invece? come stai? come ti stai muovendo?Caio Gracco: Così, si fiuta l’aria. C’è un po’ di casino. Monsignore: È vero. Bisogna stare cauti, usare prudenza e circospezione. Noi però stiamo in una botte di ferro, comunque vada ci guadagniamo sempre [ride]Caio Gracco: già, eh eh! Ah, ho sentito che parteciperete in pompa magna alle celebrazioni per il venti settembre, gran bel colpo. Ci farete un figurone.Monsignore: sì, ah ah, all’inizio ti dirò mi sembrava un po’ forzato, è un po’ come vedere i nostalgici di Luigi XVI festeggiare il 14 luglio, ma sai com’è, le autorità politiche e amministrative si son dette subito più che disponibili e poi noi ci teniamo a far passare la nostra versione. Ossia che senza il nostro fondamentale apporto non si sarebbe mai arrivati alla nascita dell’Italia unita, e che fu lo stesso Pio IX a caldeggiare l’unificazione e ad incentivare il liberalismo, sempre secondo la retta dottrina.Caio Gracco: eh? ma... e il Sillabo? e la scomunica ai padri del Risorgimento?Monsignore: perché, se ne ricorda qualcuno? Caio Gracco: in effetti.Monsignore: la storia è plastica, amico mio, e va raccontata con cura. Al massimo la gente s’è vista “In nome del Papa Re” con Nino Manfredi, di chi era il film...Caio Gracco: Luigi Magni.

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Monsignore: ...ecco sì, Luigi Magni... ma appunto, è un film, puoi ben pensare come le cose siano state gonfiate ed esagerate, no? È quello che andremo a raccontare.Caio Gracco: Quasi ho nostalgia della Roma papalina, a sentirti parlare [ride]Monsignore: nostalgia? e perché? scusa, ti pare di vivere in un Paese laico?Caio Gracco: no. Iddio ce ne scampi! E però dammi atto che anche io faccio la mia parte, in questo.Monsignore: ma te ne dò atto! Come vanno i tuoi contatti trasversali tra i poli?Caio Gracco: discretamente. Ora è presto per dire... ci sarebbero una decina di deputati che sarebbero interessati a dei progetti... ma non so... adesso le acque sono agitate e bisogna muoversi col culo rasente al muro...Monsignore: Cosa ne dice Scipione?Caio Gracco: Ah, lui è d’accordo, guarda... c’è solo Fabio Massimo che temporeggia, come al suo solito.Monsignore: dici che ce la fate per l’autunno?Caio Gracco: mah guarda, spero di sì... anche vista la situazione economica... dovremmo starci tutti... a parte quell’altro stronzo di [omissis] che s’è fatto beccare con un giro di triangolazioni bancarie e quindi non so, dovrebbe essere fuori dal gioco... non so se hai letto gli editoriali di Catone, sempre lì a farci le pulci...Monsignore: li ho letti, sì. Che cattivo gusto! Sai come ha chiamato tutta la storia di quel giro di donne e mazzette? “Le guerre pubiche”. Caio Gracco: che stronzo... vedrai, un bel dossier montato ad arte, su di lui, non glielo leva neanche il padreterno...Monsignore: mi sembra corretto.Caio Gracco: giusto per infangare un po’, niente di che. Al massimo, se ci querela, smentiamo tutto e diciamo di essere stati fraintesi.Monsignore: Ma con la società civile, o come cazzo si chiamano, non avete contatti?Caio Gracco: Ah sì, per quello. Contatti ne abbiamo. Ma a quelli se gli tiri in ballo il fatto che ci siamo dati i nomi di coloro che combatterono Cartagine subito si mettono a pensare ad Hammamet, che è lì vicino, e rompono i coglioni con la questione morale.Monsignore: Nessuno che si può tirare dalla nostra parte?Caio Gracco: e come no? tutto si compra. Basta solo stabilire il prezzo e lavorare sulla vanità. Vanitas vanitatum, et omnia vanitas. Vedi mo’ che mi son letto la Bibbia [ride]Monsignore: [ride] non mi resta che farti gli auguri. Ti abbraccio, carissimo. Fatti vedere, qualche volta, al Cortile dei Gentili. Il tuo percorso di fede può essere un monito e uno spunto, una speranza per chi è ancora sul cammino della Verità e della Vita.Caio Gracco: adesso parli che sembri proprio un uomo di fede. Quasi mi commuovo, guarda...Monsignore: e che ci vuoi fare, di tanto in tanto tocca pur lavorare. Preghiamo il Signore affinché ce ne dia la forza. Che Dio ti benedica, figliolo.Caio Gracco: Altrettanto, carissimo. Ci sentiamo.[riattacca]

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------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ Nota In nome della Concordia Ordinum, mi è stato necessario espungere dalla trascrizione della telefonata i nomi dei personaggi coinvolti. Spetterà alla magistratura inquirente ricostruire le corrispondenze tra gli pseudonimi latini e i personaggi reali cui essi si riferiscono, in caso si ravvisi la presenza di qualche reato. Dopo quest’opera di garbata autocensura un senso di pace e quiete sociale mi pervade. Il servitore muto, gentilmente inviatomi dal Teologo, reclina il capo in segno di ringraziamento; portando con sé la tazza di cicuta che mi era stata offerta, sparisce come un sogno tra le ombre del chiostro.

E.T.

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Diario del Teologo

Il mio ospite ed io avevamo da poco terminato di mangiare. Per fare il punto sulla situazione del Cortile dei Gentile avevo infatti invitato a cena il coordinatore del gruppo, l’Ateo Approvato Non Folkloristico, che in realtà -ora posso dirlo, con una punta d’orgoglio- è quel serissimo storico insignito dei più ambìti riconoscimenti accademici che si chiama Pindemonte Delvecchio. La sera estiva era fresca e dolce; una splendida luna piena se ne stava lì, appesa a metà nel quadrato di cielo che si può vedere dal chiostro. Ce ne stavamo seduti a chiacchierare amabilmente, tra le mani un calice di amaro d’erbe distillato da certi frati del mio paesino natale, e il mondo sembrava quasi si potesse modellare sui nostri pensieri. Era una di quelle serate in cui la soddisfazione per il lavoro ben fatto ti rende ottimista per il futuro. Avevamo letto insieme l’introduzione che il letterato S.N. e il giornalista F.L. avevano scritto insieme per l’opera in versi del primo, sfidandoci per indovinare chi avesse dato i maggiori contributi. “Queste righe sono di F.L., ci scommetto quel che vuoi” aveva esclamato Pindemonte, nel leggere certi strali contro il relativismo “e questo aggettivo in lui invece sarebbe del tutto inusuale, quindi secondo me si tratta di S.” Un trambusto dalle parti dell’anticamera -erano da poco passate le undici- ci ha distolti dai nostri discorsi. Una guardia svizzera è entrata con passo un po’ rude e ha riferito: “C’è un ospite inatteso, signore. Dice di chiamarsi Dott. Uranico. Al momento è trattenuto all’ingresso”. Sia io che Pindemonte ci siamo assai sorpresi: “Armònio Uranico? E che vorrà mai, a quest’ora, e senza avvertire?” ho pensato io. “Che entri pure” avevo detto comunque: quel ragazzo è sempre gradito. Decisamente, questa faccenda del cortile dei Gentili mi sta sottoponendo ad un sacco di imprevisti!

Armònio Uranico era imbarazzatissimo. “Io... io non sapevo che avesse un ospite” ha detto, e poi si è precipitato a stringerci la mano. “Buonasera dottor Delvecchio” ha salutato. “Vi conoscete, no?” ho buttato là io, cercando di superare l’impasse iniziale. “Ma certo” ha risposto Pindemonte, anche lui in vena di stemperare l’atmosfera poco rilassata che si stava creando. “Siediti, Armònio, prendi qualcosa con noi. Vuoi assaggiare un po’ di questo amaro? È delizioso” ho proposto. Armònio Uranico si è seduto su una delle due poltroncine di vimini rimaste libere e, dopo aver cortesemente declinato l’offerta dell’amaro, ha cominciato: “Non sapevo dove andare... io... ho camminato tutta la sera per le vie di Roma... sono qui per un convegno... mi manca un po’ l’atmosfera tranquilla di Erice, io... ecco...” “Ma hai fatto benissimo a venire qui” ha risposto Pindemonte, guardandomi di sottecchi in cerca di approvazione “non è vero? sei tra amici, tra persone che ti stimano e con cui puoi dialogare. Se non conosci nessuno... beh direi che hai bussato alla porta giusta”. “Io davvero non volevo disturbare” ha mormorato Armònio, come sempre timido. “Non ci pensare più” ho detto io e, assieme a Pindemonte, gli ho sorriso bonariamente. È un caro ragazzo, brillante ed educato.

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“Io ho un problema. Solo voi potete aiutarmi.” Le parole del giovane fisico sono state come una fucilata nel buio. Mi sono preoccupato. Che stesse virando verso un ateismo militante, vieppiù folkloristico? non si sa mai cosa può succedere, a frequentare gli scienziati. Tendono ad essere poco religiosi, tutti persi come sono dietro a concetti come la natura, il tempo, lo spazio, la gravità, quisquilie epistemologiche se raffrontate a problemi ben più cruciali come la morale ontoteologica, la grazia divina, l’otto per mille. Sia io che Pindemonte ci siamo sporti leggermente in avanti, fremendo, come se avvicinarci a lui fosse un modo di carpirne i pensieri prima ancora che gli uscissero dalla bocca. “Mi sono innamorato, e non so più che fare!” ha gridato Armònio Uranico.

Ecco. Uno passa il suo tempo a discutere dei fondamenti dell’ortodossia, studia e si scervella, prega tutto il giorno, e questo è il risultato. Un teologo di chiara fama ridotto a consulente della posta del cuore. Ma si può? Eppure, vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, di più non dimando, e con tutta la pazienza di cui posso disporre a stomaco pieno e a sera inoltrata, mi sono messo ad ascoltare. “Racconta tutto, Armònio” ho sospirato.

La faccio breve. Armònio Uranico si è innamorato di questa sua giovane collega della Scuola di Erice, Eterea Flogista dai begli occhi neri, che abbiamo già avuto modo di apprezzare nei suoi interventi al Cortile dei Gentili, quando ci ha intrattenuti con una lectio magistralis su “ossidoriduzione, transustanziazione e passaggi di fase: i meccanismi di reazione e la Sostanza tra chimica e metafisica”. Il ragazzo, s’è detto, è un timido. E, ben formato con i crismi della dottrina com’è, ha deciso di corteggiare la sua bella con garbo e rispetto. Il pregiato storico dottor Pindemonte Delvecchio s’è calato nel ruolo di padre - quasi potrebbe esserlo, vista la differenza di età - e, ben conscio di come si corteggia una donna dello spessore intellettuale di Eterea Flogista, ha fatto la serie rituale di domande. Le trascrivo.

D. A cena l’hai portata?R. Sì.D. Ma era un ristorante di buon livello? presidio slow food, senza troppa puzza sotto il naso e

contemporaneamente non per tutte le tasche?R. Sì. Ho riservato un tavolo in un angolo romantico tra le zagare e le ho offerto una cena perfetta.

Le brillavano gli occhi, poi.D. Hm, bene. Il cineforum? Siete stati al cineforum?R. Una retrospettiva su François Truffaut.D. Eccellente! E una serata di lettura?R. Anche! Che diamine. Su Christa Wolf. D. Al mio amico teologo questo procurerà un po’ di acidità di stomaco, ma in fondo ci sta.

Cos’altro?

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R. Una sera siamo andati a teatro a vedere uno spettacolo sperimentale in cui si decostruiva l’erotismo. Musiche di Stockhausen e coreografie che richiamavano moltissimo Pina Bausch. Si è appassionata.

D. Bene, benissimo! E poi?R. Due concerti. Poulenc e una cover band dei Simple Minds.D. Ahi! Qui andiamo male. Perché una cover band? E proprio dei Simple Minds?R. Non volevo dare l’impressione di essere uno troppo artefatto. È stata una serata piacevole, due

birre al pub, una pizza al trancio. D. Beh sì, hai ragione. Dove siete stati? Che avete fatto?R. Due escursioni in montagna a parlare di fiori e cime, e ci siamo iscritti a un corso di tango

argentino. Così vede che sono anche capace di passione.D. E la preghiera, ragazzo mio?R. Ma noi non siamo credenti.D. Lo so, ma che male ti fa? R. È vero. Boh, ci penserò. Però le parlo sempre della purezza e del Dio cristiano. Etsi daretur.D. Altro? Le hai fatto regali?R. Sì. La settimana scorsa ha compiuto gli anni e le ho regalato un libro di biochimica che

desiderava da tanto tempo.D. A me pare che vada tutto benissimo! Che cos’è che ti rende triste?

Armònio Uranico ha tirato un gran sospiro e se ne è stato zitto e sconsolato. “Oh no” ha esclamato Pindemonte, venendo improvvisamente a capo del problema. “Niente sesso. Ho indovinato?” Ho tossicchiato imbarazzato. Armònio, dal canto suo, è arrossito, ha balbettato qualcosa ed alla fine è tracimato, come un fiume gonfiato dalle piogge d’autunno: “Aaah, me misero! Io mi struggo, sento l’incanto del desiderio, l’aria che mi entra in corpo per fuggirne subito dopo, il tempo che mi irride, a volte non passa mai, a volte chiudo gli occhi e son passate ore, insomma, lontano da lei impazzisco, accanto a lei divento matto, le scrivo lettere appassionate che non le spedisco, vorrei averla, ma ho paura di... di...” “...di...?” abbiamo chiesto in coro io e Pindemonte. “Di mancarle di rispetto! Ecco! E gliel’ho detto più e più volte, perché lei mi tenta alla lussuria, sì, e io vorrei cedere, oh quanto! Ma alla passione s’addice la temperanza, non è così? Alle lezioni di morale sessuale della Scuola di Erice mi hanno insegnato la prudenza e la virtù, e io debbo pregare un dio in cui non credo per metterle in pratica. Sto male. Per questo sono qui. Sto male!” le ultime parole gli sono uscite quasi strozzate. “Ahimè, ragazzo mio” ha replicato Pindemonte, battendogli affettuosamente una mano sulla schiena “La situazione è difficile e non posso esserti di grande aiuto. Ma ti dico di tener duro, di pazientare, perché la virtù riceve sempre un premio”. Il ragazzo non era mica tanto convinto. E ne aveva ben donde: Pindemonte è pur sempre privo del dono della fede, benché la cerchi e ne soffra.

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Mi sono sentito in dovere di intervenire, come servo del Signore, giacché infilare il naso sotto le altrui lenzuola è una prerogativa di ogni religioso che sia degno di tal nome.

“Queste tue passioni, Armònio” ho esordito, intrecciando le mani in grembo “le hai mai scritte? Hai mai raccolto questi tuoi pensieri in forma scritta, affinché Eterea potesse leggerli? Le donne amano leggere di queste cose. Direi che le manda in brodo di giuggiole.” “Sì, le ho scritto delle lettere, lo dicevo già prima; molte non ho il coraggio di spedirle, ma alcune sì” ha risposto lui. “E lei? Ha mai risposto?” “Oh sì” ha esclamato il giovane fisico “E dice di condividere. Ci scriviamo delle lettere bellissime. E io sento che tocca a me la prossima mossa, ma veramente non so che fare.” “Santo cielo, ragazzo mio, ma mi tocca spiegarti tutto!” ho detto io, e mi sono alzato “Aspettami qui, torno subito”. Ero eccitato come un adolescente. Sono scappato verso la biblioteca, lasciando Armònio e Pindemonte a guardarsi perplessi. Ho attraversato i corridoi di corsa, come non facevo da tempo, perché quando mi vengono delle idee geniali c’è poco da fare, bisogna attuarle in fretta, prima che l’occasione si perda. Sono ritornato ansante dai miei due sodali, con il sudore che mi imperlava la fronte. Mi sono riaccomodato sulla mia poltroncina di vimini e ho porto ad Armònio un libro a cui tengo particolarmente. “Te lo presto” gli ho detto e gliel’ho messo tra le mani, con affetto “magari fa al caso tuo. Beh, salvo le conseguenze estreme, eh eh”.

“Lettere di Abelardo ed Eloisa” ha scandito lui, leggendo il titolo. E poi mi ha guardato con aria interrogativa, mentre quel vecchio marpione di Pindemonte scoppiava a ridere, rendendosi complice della mia inventiva. Visto che non la conosceva ho raccontato ad Armònio la storia del travagliato amore tra Pietro Abelardo, teologo e logico vivace avversario del Santissimo Bernardo di Clairvaux, e la sua giovane allieva Eloisa. Supportato dai rimandi di Pindemonte ho illustrato come Abelardo, nello sposare Eloisa, si fosse mosso in modo da riportarla al Bene. Scoperti dallo zio di lei, il teologo degli universali ci aveva rimesso i particolari, e la sventurata si era ritirata a vita monastica. Lei si straziava, nelle lettere, rimpiangendo ogni istante della loro peccaminosa relazione, e lui invece la riportava alla sua nuova dimensione di sposa di Cristo. Già le nozze terrene, però, erano servite a qualcosa, anche se lui aveva fatto di tutto per tenerle nascoste data la sua condizione di chierico. “All’epoca la Chiesa stava costruendo la morale matrimoniale” mi ha fatto eco Pindemonte “e il matrimonio tra Abelardo ed Eloisa sana il loro precedente peccato di concupiscenza”. Gli ho lanciato un’occhiataccia: quando fossimo stati soli gli avrei fatto presente che la morale della Chiesa non è una questione in fieri, è una e immutabile, e casomai si deve lavorare di esegesi. “Sposa Eterea, Armònio” ho sancito io, alla fine. “Chiedile la sua mano. Solo così potrete vivere pienamente il vostro amore. Con Dio”.

L’idea del matrimonio lo aveva spiazzato, Armònio appariva affranto, e anche noi del resto eravamo piuttosto stremati. Il coinvolgimento emotivo è sempre qualcosa di sfibrante. Specie a quell’ora tarda della sera in cui non si sa più se è oggi o domani. Ho chiamato il mio servitore muto

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e gli ho chiesto che ci portasse, a tutti e tre, una tisana che ci aiutasse a lenire gli affanni. “Ah, il nepente” ha ironizzato Pindemonte, in uno dei suoi fastidiosi classicismi che richiamano a falsi Dèi e falsi miti “quello che Elena aveva appreso a preparare per vincere la malinconia. Ma sì, ne abbiamo bisogno!”

Il ragazzo si stava massaggiando le tempie. “Non so” ha detto, dopo un po’. “Questa storia di Dio che sovrintende alla mia vita amorosa e sessuale mi sembra un po’ assillante. Anzi, non mi viene in mente niente che m’angosci maggiormente di un Essere Perfettissimo che si accovaccia sulla sponda del letto, sgranocchia pop corn e comincia: ‘hmm, non vi siete sposati in chiesa. Hmm, non santificate le feste. Hmm, non siete nemmeno aperti alla vita. Povero Me! E in fondo non credete nemmeno che Io esista. Volete che ne parliamo? Avete qualcosa da dirmi? state pensando al mio figliolo che si è sacrificato per voi? da quanto non vi confessate? cosa ne pensate dell'eresia del monofisismo? Vi sentite giansenisticamente portati a fare il male senza che la mia grazia vi corregga? Sentite il vostro corpo come un sinolo, sulla scia di Aristotele e Marsilio Ficino? cosa provate l'uno per l'altra? il tutto è bene indirizzato al mio amore supremo?’ Ecco, non so... a me pare un incubo orwelliano...” “Dottor Uranico!” l’ho ripreso io, tagliente “veda di fare meno sarcasmo su queste cose. Abbia un po’ di rispetto!” “Mi scusi” ha risposto, ricacciando indietro la sua irriverenza di miscredente.

In quello, il servitore ci ha portato tre tazze di tisana fumante. L’ho congedato con un gesto e ci siamo messi a sorseggiare l’infuso. Subito mi sono sentito più conciliante. “Armònio, coraggio” ho detto, ritornando al mio tono familiare “vedrai che le cose si sistemano. Abbi fede. Eterea sarà felice di poter condividere la vita con te, quando sarete uniti dal sacro vincolo del matrimonio”.

A questo punto la mia narrazione si stravolge, deve farsi confusa e non ne posso rendere conto in piena coscienza. Non so quali erbe ci fossero nella tisana. Subito dopo averla bevuta una sensazione di calore mi ha pervaso il corpo, e mi sono sentito fisicamente molto rilassato, come se il sonno dovesse cogliermi di lì a poco. I contorni degli oggetti si sono fatti più soffusi e sfocati. Una musica lontana e dolcissima ha invaso il chiostro, senza che nessuno di noi riuscisse a capire chi la suonasse o da dove provenisse. Per un attimo mi è sembrato di perdere i sensi in un’estasi; quando ho ripreso il controllo di me, ero lucidissimo. Mi sono guardato attorno: anche Pindemonte e Armònio sembravano avere avuto la mia stessa esperienza. L’ambiente circostante era tornato ad essere quello usuale. Solo che, seduto sull’ultima poltroncina rimasta vuota, c’era un omino dall’aria chioccia e curiosa, che fremeva e tossicchiava. Prima di domandarmi come accidenti avesse fatto ad entrare, gli ho chiesto chi fosse. Quello in principio non ha aperto bocca, ma per tutta risposta ha sorriso benevolmente. Poi ha fatto una faccia furibonda a tal punto che mi si sono piegate le gambe - fortuna che ero seduto. Un rombo di tuono è riecheggiato nella notte. “Ti ricordi?” mi ha detto, presupponendo che io lo

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conoscessi “un rumore uguale lo hai sentito quando hai maltrattato quella povera Elisabetta D., e non l’hai neanche chiamata Betta”. Sono sbiancato. Da chi lo aveva saputo? Quell’oca gli aveva raccontato qualcosa? e il particolare del tuono, come... “Dopo, quando te ne sei andato a letto, quella sera, invece di continuare con Agostino come ti eri ripromesso ti sei messo a leggere un libro di Socci. Per la miseria! Che caduta di stile!” ha continuato il tizio. “Co... come fai a saperlo?” ho esclamato io, e avvampando di imbarazzo mi sono affrettato a specificare “E poi quel libro era davvero una noia infinita, me ne sono pentito immediatamente e l’ho abbandonato dopo dieci pagine” “Lo so, lo so” ha detto “del resto io so molte cose. Non tutte, come si dice in giro, ma molte cose sì.” “Chi è Lei?” si è intromesso Pindemonte Delvecchio, con una faccia stupita che faceva il pari con la mia. La ripetizione della domanda deve aver giovato, perché il nuovo ospite ha sorriso ampiamente, ridacchiando contento. “Davvero, rispondi. Chi saresti, tu?” ha chiesto un’ultima volta Armònio. “Eh beh, io sarei colui che è” ha replicato Dio, smontandomi un po’ l’immagine di puro Logos e Amore che in gioventù m’ero fatto di lui.

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Operette amorali - Dialogo di un ontologo e del suo proprio specchio

Specchio: alla buon’ora. È mezzanotte passata.Ontologo: è vero, ho fatto tardi. Non me n’ero proprio reso conto. Vuoi che dissertiamo sulla scivolosità del tempo?Specchio: aspetta, aspetta. Fammi controllare. Hai bevuto. Sei ubriaco?Ontologo: non più di quanto sia decente a quest’ora.Specchio: la deriva etilica à la Bukowski, il solito espediente scenografico adottato in gioventù al fine di épater les bourgeois?Ontologo: ma vaffanculo, va’.Specchio: bravo, così mi piaci: iconoclasta.Ontologo: comunque no, mi sono sbronzato - diciamo, ho bevuto un po’ troppo, per sondare delle nuove logiche, dei nuovi paradigmi epistemologici. Voglio essere mistico, criptico ed ispirato, affastellare parole in modo melancolico e decostruito a tal punto da sembrare profondo.Specchio: Derrida ci riusciva da sobrio. Beh, almeno credo.Ontologo: Insinui che come filosofo non valgo un granché? Perché ho bisogno di bere?Specchio: io non insinuo un accidente. Sono uno specchio, la mia funzione è un’altra.Ontologo: ecco, adesso non buttarti sull’intellettuale pure tu. Mi fa male la testa.Specchio: E ci credo. Hai una faccia che fa schifo. Come va, per il resto? Ontologo: grazie che me l’hai chiesto. Non me lo chiede mai nessuno.Specchio: oh merda. Adesso non metterti a piangerti addosso. Sai che non lo sopporto.Ontologo: potrei sempre tirare in ballo la scusa che ho la sbornia triste.Specchio: È vero. Come va con il Cortile dei Gentili?Ontologo: uh, non me ne parlare. Un casino. La prima mezz’ora dei nostri incontri la trascorriamo a sciorinare i nostri rispettivi titoli.Specchio: a te dovrebbe far piacere.Ontologo: Sì, perché no, in fondo? ma sai che non ci tengo più di tanto. A me interessa l’Essere, la Verità.Specchio: e come no. Senti qui: Chiarissimo Professor Adelmo Giarretta, laureato in filosofia magna cum laude a ventidue anni, ordinario della cattedra di autoonfaloscopia teoretica all’università della Mental Rabona, nonché stimato lettore alla Kunst-und-Selbstbewustseinacademie dello Scwharzwald, Ph.D. in Teismo a Boston, alchimista metafisico che cura la rubrica La Stibnite Ontologica su un noto settimanale d’essai, professore associato all’école normale supérieure des cartes, ove tiene seminari sulla vacuità positiva. E tutta la lista di pubblicazioni...Ontologo: eh beh, sì, devo dire che fa il suo effetto. Però tutto ciò non mi esime dalle contrizioni.

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Specchio: Quali contrizioni? Di che ti crucci, o prode Adelmo?Ontologo: Sbrigata (si fa per dire) la formalità delle presentazioni, capita che a volte non sappiamo di cosa parlare, e ne parliamo.Specchio: capisco. Le aporie del linguaggio, le sue ambiguità. Quando ti sembra di avere un dolce marshmallow al posto del cervello.Ontologo: non prendermi in giro. Ci pensa già mia moglie.Specchio: Quella dannata Xantippe!Ontologo: La verità, ove per verità intendo il termine nella sua accezione popolare, parziale e mutevole, non in quella filosofica, è che sono un po’ a corto di idee, trattando ivi le idee ancora nell’accezione popolare e discorsiva, non in quella iperuranica.Specchio: hmm. Questo è male, ove per male intendo l’accezione popolare, vaga e blandamente autoreferenziale, non quella agostiniana.Ontologo: ma devi sempre farmi il verso?Specchio: e che vuoi che faccia, scusa? sono uno specchio!Ontologo: anche questo è vero. Che capisci, tu? Che cosa appercepisci? Però ora che ci penso... possiamo parlare del nostro rapporto? quello fra me e te, dico? magari ne viene fuori qualcosa di interessante.Specchio: ah no, è un tema troppo abusato.Ontologo: potremmo trattarlo in modo nuovo. O qualcosa che sembri tale, dai, domani ho un incontro con quelli del Cortile e non posso continuare a friggere aria. Piuttosto, vedo che sto invecchiando. Sono rughe che non avevo, quelle lì?Specchio: si direbbe. Ti preoccupi?Ontologo: niente affatto. La caducità autocosciente è un fertilissimo spunto di pensiero. A mia moglie, e ai miei studenti, dirò che sul mio volto si sta disegnando una mappa del mio viaggio attraverso la vita, ma che i percorsi sono stati ricchi di ripensamenti, di vie che mi hanno narrato, che mi sono narrato.Specchio: bello, di grande effetto. Ontologo: sì? bene. Mi piace quando mi lusinghi. Tengo molto alla tua opinione.Specchio: un minuto m’insulti, il minuto successivo mi blandisci.Ontologo: l’instabilità intrinseca dell’animo umano, vecchio mio! ma se noi non percepiamo che il cambiamento, può essere che non ci-sia, che l’evento dell’inverarsi attraverso l’essenza sia a priori antitetico alla suzione apologetica del qui-ed-ora. N’est-ce pas? Che mi dici, in quanto specchio, così simile eppur difforme dal reale?Specchio: Son rivolto, mi guardi e non esisto.Ontologo: eh?Specchio: Succhio luce, mi vedi, ti ribrezzi.Ontologo: ah, una specie di brainstorming. Ok, allora tu parla che parlo anche io, così, come un limerick dei concetti. Ehi, limerick dei concetti mi piace. Bisogna che me la segni per la mia nuova rubrica sull’Ebdomadario dei Colti Lazzi.Specchio: Chiedi sconti e bugie per i tuoi vezzi

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Ontologo: Ma quali vezzi? la mia è una necessità. Ananke, in greco. Madre delle Moire.Specchio: sputi arringhe ed amori in trito misto!Ontologo: sì ma adesso non offendiamo. E poi non vuol dire niente. Va bene criptico ma qui siamo oltre il ridicolo. E quali amori? Scindi tra eros e agape, o al Cortile dei Gentili mi rideranno in faccia e penseranno che non abbia letto l’enciclica Deus Caritas Est.Specchio: Segni di voci che avevamo previstoOntologo: Pensavo invece che se inframmezzassi con stralci di esistenza definendo l’alterità come qualcosa da amare e contemporaneamente espungere, la partecipazione al mondo sensibile sarebbe come una geometria che annulla le forme e la semantica del...Specchio: voci sparse nell’aria fatta a pezziOntologo: ...ma ha senso parlare di esistenza? santo cielo... le mie lezioni, che in ambito universitario sono da tutte colte con dovizia di applausi riverenti, sono state sbertucciate da alcuni scientisti imbecilli che non si adeguavano ai miei presupposti epistemologici e al mio approccio transeunte e olistico. Ho chiesto a uno di quegli sfrontati che si ingiuggiolavano con delle robe quantistiche: ma tu lo sai cos’è l’ontologia? E lui mi ha risposto: “la raccolta di letture dell’ispettore Clouseau”. Ti rendi conto? Ah, ma tu non mi badi, non mi ascolti...Specchio: ti dicono, beone, e tu l’apprezzi:Ontologo: Certo l’alcolemia è quella che è. Però il problema cogente dell’essenza e della sua atemporalità, alla luce dei nuovi studi che...Specchio: “mendica l’ossessione del tuo cristo!”Ontologo: non trattare la fede altrui con questa irriverenza, sai. Mi hanno fracassato le palle con la storia del rispetto. Adeguati. Non protestare. Non dissentire. Conformati. Il massimo che ti posso concedere, in modo chiralmente corretto dato che sei uno specchio, è di invertire destra e sinistra. Oddio, no, che dopo ti daranno del qualunquista. Qualunquista che è di destra, quindi no, non ti daranno del qualunquista, ti daranno del disfattista acido e arrogante, che è più bipartisan.Specchio: Ché alle corti sei uso recartiOntologo: per non parlare poi dell’identità. Il problema dell’identità. Giacché sto parlando con te potrei pormi il problema, no? E potrei parlare di quello. Ma sì, così mi aggancio a questioni di bioetica, che non fa mai male.Specchio: il cul dimenando in vece di graziaOntologo: Sai? Pensavo anche che la disputa sugli universali andrebbe ripresa.Specchio: “fuggo gli stolti, coi colti m’assiepo”Ontologo: No, non sono d’accordo. Ma è un fatto soggettivo. Non sono così snob. Anzi tengo a precisare che sovente mi piace ascoltare le persone culturalmente meno fortunate. E ho a lungo lavorato per una sintesi politica che dirimesse la questione del trattino nella diatriba “centrosinistra, centro sinistra o centro-sinistra?”Specchio: mentre di me ti piangi e poi ti sparti; e la coscienza, beata, si sazia a saper che se tu vai, qui io crepo.Ontologo: Ehi, ma questa è una poesia!

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Specchio: un sonetto. Sul nostro rapporto. Tronfio e pretestuoso, come tu mi vuoi.Ontologo: Devi essere ubriaco anche tu.Specchio: necessariamente.Ontologo: Allora sai che ti dico, compagno di bevute? Che siamo entrambi figli della vanità, e come tale abbisogniamo l’uno dell’altro, ma dolendocene. Specchio: È questa la morale della favola?Ontologo: No, non c’è morale. Anzi, lascia che ti confessi una cosa. Se la vado a raccontare al Cortile dei Gentili mi spennano vivo, riesumano uno di quegli aberranti mezzi di tortura che andavano tanto in voga durante il periodo inquisitorio, mettono all’indice tutte le mie sudatissime pubblicazioni e mi costringono a fare la macchietta del dissidente. No, no. Per carità.Specchio: Allora? che mi devi dire di così sconvolgente?Ontologo: Dopo anni di studi, rovelli, macerazioni e quant’altro, sono arrivato alla conclusione, peraltro transitoria e precaria come è giusto che sia, che la morale assoluta sia uno specchietto per le allodole, un’arma pericolosa che si inventano i fanatici per conservare il proprio potere.Specchio: caspita, mi sembra una riflessione davvero molto profonda.Ontologo: ancora, mi prendi in giro?Specchio: Ma certo che ti prendo in giro! Hai detto una cosa talmente evidente che ci ero arrivato perfino io che non ho pensieri miei!Ontologo: Ah. È proprio vero che gli specchi possono dare delle grandi sorprese.Specchio: Uh, chiedi a Lewis Carroll se non è così.Ontologo: Sai, c’era un’ultima cosa. Un’ultima domanda su cui il mio spirito si strugge, ma che riguarda l’intera mia essenza. La vastità della sua portata mi abbacina, la sua irriducibile complessità mi intimorisce e rende tremulo; temo l’irrazionalità del suo costrutto, ancor più che le possibili esegesi del suo contenuto. Solo tu, o ente da me sì tenacemente bramato, puoi rispondermi.Specchio: Sì, Adelmo. Sei il più bello del reame.

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Diario del Teologo - Sacro opificio di teologia potenziale

Un omino gentile, in fondo, a parte il rischio degli sbalzi d’umore di biblica memoria che incombeva su di noi e lasciava l’amaro in bocca. L’Onnipotente Incausato ed Eterno si è presentato, con divino understatement, vestito da travet e con una valigetta di pelle tra le mani. “È di urocrispo, sapete” ha detto, ammiccando. Noi tre ci siamo guardati con aria interrogativa. “Un phylum estinto. Uh, che non mi sentano i creazionisti! o, come si chiamano adesso, i sostenitori del disegno intelligente! Ecco, per dirla in modo più pittoresco e a loro comprensibile: uno degli animali che non ce la fecero a salire sull’Arca” ha spiegato poi, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. “Ma tu sei davvero il signor Padreterno?” ha chiesto Armònio Uranico. “Sono io” ha risposto Dio. Ha fatto appena il gesto di impettirsi, come un attore consumato. Noblesse oblige. “Puoi dimostrarlo?” gli ho fatto io, con un tono di sfida che non mi sarei mai sognato di possedere. “Hmm” Dio si è grattato la testa “Dimostrarlo, proprio no. No, anzi, per esempio, quella roba lì di Anselmo d’Aosta ha un sacco di pecche. Diciamo che... eh... beh, ecco, mi sentite? sentite che sono io?” “Sì” sono stato costretto ad ammettere. Era proprio lui. E, siccome passo per essere un’autorità in materia, anche i miei due ospiti si sono convinti. “Ma allora esisti!” ha esclamato Pindemonte Delvecchio, smettendo tosto di dargli del Lei e battendo le mani entusiasta. E ti pareva, era tutta la vita che cercava un mentore, adesso aveva trovato quello giusto. “Ih” ha squittito quell’altro “esistere è una parola grossa. E poi questo è un sogno, eh? Il ragazzo muto vi ha dato una tisana drogata, nient’altro. Allora, qui e ora esisto. Il resto non conta e domani è un altro giorno.”

C’è stato un attimo di silenzio. Nessuno di noi sapeva cosa dire. Non è che uno si aspetta di trovarsi di fronte al padreterno una sera così, senza preavviso. Ce ne stavamo lì con le braccia ciondoloni e le bocche socchiuse, come se stessimo vorticosamente pensando a tutte le questioni che l’umanità aveva posto a riguardo, e cercassimo a nostra volta di formularne una che avesse una speranza di ottenere una risposta. Dio deve aver intuito quello che ci passava per la testa, perché subito si è coperto le spalle: ha alzato un dito in segno di ammonimento e, mezzo ridendo e mezzo no, ha esclamato: “Tassativamente, vi avverto, non rispondo a domande sulla teodicea, sull’aporia di Eutifrone, sugli a priori della conoscenza e sul modello standard”. “Nemmeno una soffiata sul bosone di Higgs?” ha chiesto Armònio Uranico, con quell’egoismo epistemologico che è tipico di tutti gli scientisti, e che si portano dietro anche quando vengono a smoccolare per le loro pene d’amore o fanno finta di interessarsi ai mutui intrecci di scienza e fede, tanto si sa che a quella gente lì noi non piacciamo, e se devo dirla tutta la disistima intellettuale è reciproca. Ecco. “Niente da fare” ha sancito il vecchio tetragramma. Poi ha preso a misurare il chiostro a lunghi passi, per quanto gli permettevano le sue gracili gambette, guardandosi intorno. L’illuminazione era scarsa; a parte il fioco chiarore delle stelle fisse, la luce delle due lampade nell’angolo in cui ci eravamo

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seduti a discutere era per gli occhi l’unico appiglio. Dio invece sembrava orientarsi benissimo anche al buio, memore delle sue esperienze da ragazzo, prima della creazione, quando non ci si vedeva a un palmo di naso. Confabulava tra sé e sentivamo la sua voce emergere ora da quel punto, ora da quell’altro, come il suono di un oboe. “E così questo sarebbe il Cortile dei Gentili” ha detto, facendosi scudo delle macchie di tenebra. “Sì” ho risposto io “lo spazio di dialogo con i non credenti su temi interfecondi”. Il termine “interfecondo” è proprio sugoso, mi sa che lo devo girare a Monsignor Ravasi per il suo prossimo comunicato stampa, me ne sarà grato. “Qui accorrono i migliori pensatori che conciliano una ricerca della fede ancora non matura e il senso del rispetto” mi ha fatto eco Pindemonte Delvecchio “c’è il filosofo, il letterato, lo scienziato, ciascuno archetipo del suo ruolo, in una caratterizzazione umana che ricorda da vicino i tipi della commedia plautina” “o anche i Village People” ha chiosato Dio, scoppiando a ridere e tornando a sedersi con noi. Ho fulminato Armònio Uranico che si era messo a ridacchiare per via della facezia, e ho rivolto all’Onnipotente i miei omaggi di ospite. “Ma, e non me ne vogliano i miei due illustri ospiti, lo storico Pindemonte Delvecchio” Pindemonte si è prodotto in un sobrio inchino col capo “e il fisico Armònio Uranico” il ragazzo è arrossito “non posso esimermi dal rendere Te, per questa sera, anzi, per questa notte, il centro fulgido e vivissimo delle nostre conversazioni”. Stavo quasi per mettermi in ginocchio e mi tremava la voce. “Piantala con le smancerie” ha riso ancora Dio “mi verrebbe quasi da dire ‘fate come se io non ci fossi’, ma poi al Papa gli prenderebbe un colpo, e non vorrei mai averlo sulla coscienza, che morto un Papa tocca farne un altro e lo Spirito Santo si annoia a partecipare ai conclavi, sapeste quante me ne ha dette nel 1978, che gliene ho fatti passare due nel giro di due mesi. Piuttosto, cosa ho interrotto? Di cosa stavate parlando?” “D’amore!” ha subito esclamato Armònio Uranico, il quale, come tutti gli innamorati, non sa pensare ad altro, e in aggiunta pretende che anche il resto del mondo trovi interessantissime le sue vicissitudini sentimentali. “Di donne” ha rincarato la dose Pindemonte Delvecchio, con l’aria navigata come se stesse dicendo a Dio ‘parliamo tra di noi, che siamo esperti’. Giuro, volevo morire, tanto era l’imbarazzo. Ma non ho palesato i miei desideri, perché con una divinità presente, non si sa mai. Se i miei ricordi veterotestamentari sono corretti, quello non è uno con cui poi si possa dire ‘ah no, stavo scherzando’. “Donne” ha detto Dio, pensandoci sopra. “Ne hai avuta una anche tu” gli ha dato di gomito Pindemonte. “Dicono, sì, una” ha replicato Dio “ma io non è che sia tanto sicuro. È passato tanto tempo e non è che... oh! Sapete invece chi mi piaceva tanto, ultimamente? Maledizione, come si chiamava? La mia memoria perde colpi.”

Ho guardato il cielo nero al di là del cortile e delle umane miserie, sperando che il Signore mi incenerisse all’istante, ma ciò non poteva essere, visto che si trovava proprio lì, a mezzo metro da me, e si stava impelagando in pettegolezzi da rotocalco. “Ah. Ecco, adesso ci sono! Era Rita Hayworth” ha detto Dio, con lo stesso tono apodittico che deve aver usato quella volta con Mosè

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sulla montagna. Mugolio di approvazione da parte dei due sciagurati. Questo non è un sogno, mi sono detto, è un incubo. Una panoplia di vergini e martiri mi si sbriciolava nella mente sotto i colpi inesorabili del maglio di Gilda. “Quando si sfila il guanto cantando ‘Put the blame on Mame’ la trovo assolutamente irresistibile” ha aggiunto sognante e poi, come se non bastasse, mi ha guardato strizzandomi l’occhio.

Sudavo come una pioggia.

Devo fare un appunto, adesso. Sto trascrivendo nel modo più fedele e onesto tutto ciò che mi ricordo della scorsa notte. Alla fine, anche se non vi sono altre testimonianze, chiuderò il diario e lo seppellirò dove non si possa trovarlo, affinché nessuno abbia di che tacciarmi di eresia. Lo so che non mi crederebbero. Lo so. Eppure lo devo a me stesso, perché le parole della notte passata mi hanno marchiato a fuoco.

Dio si è fatto raccontare dal ragazzo tutta la storia con Eterea Flogista e io ho cercato di seguire il discorso, nonostante Pindemonte nel frattempo si stesse prendendo la briga di rendermi edotto, con un fitto bisbiglio, sulla vita e la filmografia di Rita Hayworth, casomai nei volumi agiografici di donne religiosamente importanti che vantavo in libreria non si parlasse di lei. L’Onnipotente ha tempestato Armònio di domande. E com’è, e quanti anni ha, e come vi siete conosciuti, ma è bella, ma è intelligente, e lei cosa dice, ma uscite spesso insieme. Armònio Uranico rispondeva puntualmente e con dovizia di particolari. Certo non variava molto sul tema, e la serie di aggettivi che riservava ad Eterea sembravano uscire dai biglietti dei cioccolatini, però Dio lo guardava in modo indulgente e così ho deciso di adeguarmi e di guardarlo in modo indulgente anche io. “Beata gioventù” ha esclamato Dio alla fine, con un sospiro. Si è alzato in piedi e siamo rimasti zitti a guardarlo, come una rosa dei beati ristretta, un trifoglio dei beati, ecco. Ha ripreso a passeggiare, scomparendo a tratti nell’oscurità, a tratti tornando sotto la luce delle lampade. Ho pensato che aveva il senso della teatralità. L’ha sempre avuto, bisogna dire. Si è fermato di botto, nella penombra. E poi, facendo due passi verso di noi, solo due, misurati, con calma studiata, ha detto: “forse dovrei provare anche io con le storie d’amore. Che dite? Intrigano? acchiappano i lettori?” Armònio Uranico non gli dava retta, perso nei suoi pensieri amorosi; in compenso Pindemonte ed io ci siamo scambiati un’occhiata perplessa. Che accidenti stava cercando di dirci? Perché questo dio quando parla non dice mai le cose chiaramente, che sono secoli che ci danniamo l’anima per interpretarlo? oh beh, non che la cosa non ci faccia comodo, naturalmente, ci fa molto comodo, però a volte, quando non deve parlare in pubblico ma solo fare delle confidenze, non potrebbe abbandonare questa fastidiosa indole esoterica? Dio è tornato a sedersi sulla poltroncina di vimini. Ha sorriso. “Sto scrivendo un nuovo romanzo” ha detto.

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Oh povero me.

“Sono venuto qui perché volevo che gli deste un’occhiata. È solo in fase di bozza, ma sapete com’è, ci tengo al parere di persone competenti, perché... oh, è una lunga storia”. “Un nuovo romanzo?” ha chiesto Pindemonte. “Sì” ha risposto Dio “anche se, a ben vedere, si tratterebbe del primo, visto che -ehm- non è che quello lì che dite voi lo abbia scritto proprio io di persona. Diciamo che ci ho messo la faccia e le idee principali, questa è la parola di Dio, però di mio pugno non ho vergato una riga.” “È stato un best seller, però. Ci hai fatto fortuna” ha notato ancora Pindemonte. “Sì, su questo non c’è dubbio. Come libro ha di tutto: sesso, violenza, voli di fantasia, qualche parte un po’ noiosa che l’editor avrebbe anche potuto tagliare, non lo nego, poesie, aforismi, insomma, è stato il mio grande romanzo di formazione. Però capitemi, dopo di quello non ho scritto più nulla per secoli. Avevo paura. Un successo del genere è difficile da replicare. Ma volevo scrivere ancora qualcosa... ho tanti spunti... non ci sto a diventare una specie di J.D. Salinger, mi capite?” “J.D. Salinger è quello...” ha cercato di sussurrarmi Pindemonte. “Lo so perfettamente chi era J.D. Salinger” gli ho ringhiato contro.

Per fortuna Dio non ci ha sentiti e ha continuato con le sue argomentazioni. “A volte penso di essere un tipo problematico” ha detto “non ho quel che si dice un bel carattere. Però è anche vero che sono secoli, per non dire millenni, che mi fate le pulci su tutto. Torme di persone colte e trombone che dibattono sui miei attributi, che detto così suona anche un po’ volgare. E io avrei detto questo, e io avrei fatto quell’altro. Ma un po’ di privacy? È chiedere troppo? E poi mi invocano per tutto. Dio manda la pioggia. Dio fa’ smettere la pioggia. No, non così tanto, solo un po’. Una pioggerellina. Meno male che certe incombenze le posso delegare ai santi patroni, ma mi restano ancora delle rogne. Dio uccidi i miei nemici. Dio smentisci Darwin. Dio non c’indurre in tentazione. Dio, il sei al Superenalotto. Dio fai così, Dio fai colà. Guardate, quasi mi vien da dire che preferisco le bestemmie, mi distraggono ma almeno non mi chiedono niente. Mi sembra di essere diventato uno sportello reclami. Oh, ma poi i peggiori sono quelli che si rivolgono a me e con voce accorata mi chiedono: Dio, mi ami? mi vuoi bene? Santo cielo. E che sono, vostra madre? Crescete, una buona volta.” “A me basta l’amore di Eterea” ha esclamato Armònio Uranico, desideroso di ingraziarsi la simpatia del Padreterno. “Molto bene” si è compiaciuto quello, che non per dire, ma è vanitoso, io lo so, è tutta la vita che mi occupo di lui. “A volte invidio gli Dèi Olimpi” ha soggiunto “quantomeno si divertivano. Io invece no, devo anche fare la faccia arcigna, o quella serafica e benevola, a seconda della convenienza, ma non è che mi diverta un granché.” Si è preso una piccola pausa e ha chiesto da bere. Non so se sia stato il mio servitore ad entrare nel sogno, o se sia successo veramente, fatto sta che di lì a poco accanto a Dio troneggiava una bottiglia di acqua tonica. Chi beve più l’acqua tonica chiamandola acqua tonica, oggidì? Un’altra riprova che si trattava proprio di Dio. “Per fortuna il secolarismo avanza” ha ripreso Dio, dopo una lunga sorsata “E così negli ultimi tempi mi sono potuto ritagliare un po’ di vita privata. L’idea del nuovo romanzo è nata così”. “E di cosa parla?” ha chiesto Pindemonte.

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“Le solite cose di cui parlano i libri. La vita.” si è schermito lui “È la storia di un tizio un po’ borderline, uno che racconta un sacco di balle, inaffidabile, però con una ferita nascosta da sanare, uno che ha perso suo figlio un po’ per colpa sua e un po’ per le circostanze, uno che ha ammazzato della gente ma che cerca di fare anche qualcosa di buono... in teoria è a capo di una banda, ma i suoi compari gli sono un po’ sfuggiti di mano, si sono divisi in sette che si fanno tra di loro una sanguinosa guerra senza quartiere in nome suo e così lui si relega sempre più ai margini della società e tira a campare vivendo sulle scommesse.” “Sembra un personaggio interessante” gli ho detto io “Conti di pubblicarlo a breve? Uno come te non avrà certo problemi a trovare un editore”. Dio ha spalancato gli occhi e, scuotendo la testa con veemenza, ha replicato: “Macché! Allora, innanzitutto quelli che mi avevano curato la pubblicazione del romanzo d’esordio sono morti, e mi sono dovuto rivolgere altrove. Sono andato da un agente, uno anche abbastanza noto nell’ambiente, pensando di ricavarci subito un contratto con qualche grossa casa editrice. Questo idiota legge la prima stesura del romanzo, poi mi chiama e mi fa: ‘ma è autobiografico?’ Vi rendete conto? Robe da matti. Mi è venuta voglia di trasformarlo in una statua di sale, come la moglie di Lot. Però non gli ho fatto niente. Sto invecchiando, e imparo a essere più misurato. Gli ho risposto: ‘ci sono degli spunti autobiografici, sì, ma per il resto il lavoro è frutto di una mia riflessione filosofica sulla natura umana’ ‘Capisco’ mi fa lui ‘Vede, il libro non è male, però scimmiotta troppo Edward Bunker, senza peraltro metterci dentro alcunché di originale. Non credo che sia adatto alla pubb... anzi, mi faccia dire, come da lettera prestampata: al momento non è in sintonia con la linea editoriale di alcuno. Adesso si pubblicano storie di adolescenti frustrati e isterici, oppure seghe mentali dell’autore, la disgiunzione essendo inclusiva, però l’autore dev’essere già abbastanza noto e sulla breccia, mi capisce. Gli esordienti devono essere eccessivi e stereotipati: Lei potrà essere eccessivo e stereotipato, ma non è un esordiente, anche se in effetti non pubblica niente da millenni. Magari ai suoi tempi era una bella promessa della letteratura mondiale però Le chiedo francamente: ha scritto nulla nel frattempo? Che ne so, ce l’ha un blog?’ Me ne sono andato sbattendo la porta. Un blog. A me, che sono Dio?!”

“Non sarà mica finita qui!” si è scaldato Armònio Uranico, a cui le peripezie del non più molto Onnipotente stavano stuzzicando l’empatia. “Tutt’altro” ha ripreso Dio “ho fatto, come si suol dire, il giro delle sette chiese. Un buco nell’acqua dietro l’altro. Agenzie, piccoli editori, trafficoni e faccendieri, da tutti le stesse risposte: no grazie, o un più ipocrita ‘le faremo sapere’. Uno mi ha perfino suggerito di iscrivermi alla scuola di Baricco. Ecco, io lo dico sempre, poi se vi ritrovate con le cavallette, le rane e le città rase al suolo non venite a dire che quantomeno non mi avevate provocato. Alla fine mi ero anche scoraggiato, sapete. Poi una mattina sfogliando il giornale ho letto che stavate allestendo questo Cortile dei Gentili e mi sono detto: ehi, qui ci dev’essere gente intelligente e dotata di spirito di discernimento. Mi sapranno dare delle dritte. O, meglio ancora” ha aggiunto, rivolgendosi direttamente a me, e mentre parlava i suoi occhi brillavano in modo assai inquietante “dato che ce

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l’ho sempre qui con me, nella mia cartella di urocrispo, ve lo lascio... ho pensato che potreste fare uscire il mio libro insieme alle vostre pubblicazioni”.

Ho deglutito un paio di volte. “Ma veramente con le pubblicazioni noi avremmo già tutte le scadenze impegnat...” “Oh per la miseria!” ha gridato Dio “Non ti sto mica chiedendo la luna. E poi, se proprio vogliamo dirla tutta, lo so che fare ricorso alle clientele e ai favoritismi è sempre antipatico, ma siamo in Italia e qui si usa così, quindi ti faccio presente che io sarei il datore di lavoro del tuo capo.” “Ha ragione” ha ponderato Pindemonte, vendendo la mia anima per molto meno di trenta denari, e subito anche Armònio gli è andato dietro, perché la solidarietà tra atei fa di loro un branco, eh, alle volte: “È vero, ha ragione”.

Non mi ricordo bene quello che è successo dopo. L’effetto della malefica tisana evidentemente stava terminando, e io mi devo essere appisolato. Sentivo nella testa le voci di Dio, di Pindemonte e di Armònio che ridevano parlando di quello stramaledetto romanzo e del grande successo che avrebbe avuto. Quelli mi vogliono morto. Con che faccia vado da Monsignore e gli dico “guardi qui, c’è l’ultima fatica letteraria del Padreterno, e detto tra di noi non è che noi come religioni istituzionalizzate ci facciamo una bella figura, però va pubblicato lo stesso”? Quello mi spedisce a calci nel sedere a dirigere una missione nel più sperduto villaggio del Dondestan, altro che Cortile dei Gentili.

Mi sono svegliato stamattina da solo, nel mio letto. Non so come ci sono arrivato. Ero ancora sudato fradicio. Un sogno. Un incubo, ho pensato. Mi sono alzato con la testa che ronzava e lo stomaco rivoltato. Ho stabilito che era il caso di farmi una doccia e dimenticarmi quella notte il prima possibile. Non è stato niente di reale, mi sono detto. Niente di reale. Solo una suggestione perché sono stressato. Poi ho visto il romanzo sul comodino. Oh merda. Merda!

Beh, non mi avrebbe visto nessuno, in fondo. Ho acceso il caminetto, nonostante il caldo ancora estivo, e l’ho bruciato. Trecentoventicinque pagine di divina scrittura sono andate in fumo nel tempo di un amen. Mi sono vergognato orribilmente perché io non sono uno che brucia i libri. Però si fa di necessità virtù. Quando le fiamme si sono spente, lasciando a terra solo un confortante mucchietto di cenere, ho tirato un gran sospiro di sollievo.

Posso tornare alla mia vita e alle faccende del Cortile, adesso; in verità mi resta da affrontare l’eventuale ira d’Iddio, ma quello non è mai stato un grosso problema.

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Diario del Teologo - il Motore Immobile e altre storie

Il lavoro mi ha assorbito di nuovo. Di buon mattino, dopo essermi liberato del libro e delle scorie della notte, mi sono messo a sbrigare la corrispondenza. Tutti vogliono collaborare al progetto del Cortile dei Gentili. Mi arrivano disquisizioni sull’etica, un lungo saggio di Sofoide Eubiotico sulle implicazioni teologiche del progetto genoma, con tanto di agganci al Pentateuco, una tiritera di qualche ateo devoto, poesie sparse del nostro letterato S.N., lettere di ammiratori, un invito a un seminario su... oh, e intanto ecco che suona il telefono. È quella palla al piede di Armònio Uranico. Di nuovo! Ma è stato qui ieri sera! Che altro vuole? Rispondo con tutta la cortesia di cui sono capace. Spero almeno che non faccia menzione dell’incursione divina. Ci terrei a considerarla un brutto sogno. “Mi scusi, davvero, sa, ormai penserà che sono un caso senza speranze” si lagna il giovane innamorato. Eh. “Ma no, Armònio. Non ti preoccupare. Anzi, mi fa piacere che tu mi abbia eletto a tuo padre spirituale”. “Sto scrivendo una lettera d’amore a Eterea” spiega. E ti pareva. Ma perché non lavora a qualche teoria fisica strabiliante, o almeno appetibile per il Cortile? Che gli rispondiamo a Stephen Hawking e alla sua non necessità di Dio? Gli raccontiamo i tormenti amorosi di Armònio Uranico? “Non è che potrebbe darmi un’idea? Io ho cercato ispirazione nel libro che mi ha prestato ieri sera” Libro? Ah sì. Abelardo ed Eloisa. “È bello, è solo che... ma lì lui dice a lei di farsi una ragione che non potranno mai stare insieme e magari non è adatto... non so... cercavo qualcosa di... di poetico, ecco... ma a me vengono delle banalità... e così ho pensato... no a dire il vero ho telefonato prima al dottor Delvecchio, e lui mi ha detto di chiedere a Lei, che è un esperto del ramo”. Stronzo di un Pindemonte, questa me la paga. Rimugino. Il ragazzo in fondo un po’ mi intenerisce, col suo disperato entusiasmo. “Allora, senti qua. Però dopo te la devi sbrigare da solo, va bene?” mi faccio promettere. “Sì, sì! Oh, grazie!” esclama. “Prendi carta e penna. Ti detto. Una piccola poesia per la tua bella.” Sospiro. Armònio Uranico, dall’altro capo del filo, attende con impazienza. “Un dì felice, Eterea, mi balenaste innante” comincio. Armònio esegue. “Un dì felice, Eterea, mi... ehi! ma io le dò del ‘tu’, non del ‘lei’” “Non importa. Zitto e scrivi.” “Sì, signore” pigola il ragazzo. Lo sento scribacchiare. “E da quel dì, tremante, vissi d’ignoto amor” proseguo, con aria melodrammatica. “È bellissimo! mi vengono le lacrime agli occhi” Continuo senza dargli retta: “Di quell’amor ch’è palpito dell’universo intero” Armònio si esalta: “Sì! Oh, ma Lei è un poeta, signore”

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Innalzo gli occhi al cielo. Poi, pensando alla fine che ho fatto fare al romanzo di Dio, li riabbasso precipitosamente. “Misterioso, altero, croce e delizia al cuor” concludo. “... al cuor. Finito così?” s’informa quel piccolo zotico che ho appena cercato di trasformare in Alfredo. “Finito così” confermo. Lo congedo con una benedizione e torno alle mie carte.

Per fortuna, se Armònio Uranico dal punto di vista professionale batte la fiacca, almeno ci sono gli ingegneri che lavorano: mi è arrivata lettera interessante e visionaria, come spesso sono quelle dei non credenti rispettosi. Mi immergo dunque nella lettura.

Istituto delle Meccaniche Ecumeniche per le Nuove Energie

Progetto E413 per l’implementazione del Motore Immobile

Storia del progetto: L’Istituto delle Meccaniche Ecumeniche per le Nuove Energie (I.M.E.N.E.) nasce nel 2000 durante l’anno del Giubileo con l’obiettivo dichiarato di gettare un ponte tra il brullo materialismo della fisica e dell’ingegneria ed il mondo della fede e della spiritualità. Investire nella ricerca sulle nuove energie conciliandole con la tradizione metafisica occidentale diveniva allora, nella mente dei fondatori, la chiave di volta per la costruzione di un mondo a misura d’Uomo. Nonostante il carattere prettamente secolare dell’Istituto, la sua nascita riscuote un plauso unanime in ambienti ecclesiastici. Monsignor Pietro Maria Battistazzi, autorevole membro della CEI, ne incentiva il sovvenzionamento pubblico conferendogli un’aura di intoccabilità morale: “La sacralità dell’I.M.E.N.E. non venga mai messa in discussione!” [Gazzetta del Tiburtino, 14 ottobre 2000].Il progetto principale vede coinvolti i ricercatori dell’I.M.E.N.E. sin dal 2001 e riguarda l’implementazione teorica del Motore Immobile da un punto di vista filosofico e ingegneristico.

Dagli scritti di Aristotele [Metafisica, libro 12] sappiamo che dev’esserci una sostanza eterna e immutabile: il moto, così come il tempo, non può essere né generato né distrutto, e l’unico movimento continuo è quello circolare. Da ciò la necessità di qualcosa che si muova senza essere mosso: qualcosa, dice il Filosofo, “di eterno che è sia sostanza che atto”. Causa finale dell’universo, il primo motore immobile ha attanagliato le coscienze dei moderni ingegneri meccanici. Qualcuno [anche di recente: S. Drezzi, A. Benato et al., 1988] ha cercato invano di identificarlo con un prototipo FIAT. La confutazione è stata peraltro elementare, e ricavabile dagli stessi scritti aristotelici: s’è dimostrato infatti che tale motore non deve essere soggetto al divenire ed è pertanto incorruttibile.

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Non trovando corrispondenti nel mercato è stato dunque obiettivo dei progettisti dell’Istituto elaborarne un modello. Naturalmente non è prevista una realizzazione pratica, che sarebbe ridondante essendo di per sé tale motore immobile un atto puro. Abbozzi di una simile modellizzazione si trovano spesso nella storia della fisica degli ultimi secoli. Il ciclo termodinamico, che ontologicamente richiama il movimento circolare, ha prodotto svariati tipi di macchina termica. A puro titolo didattico richiamiamo ora una delle più interessanti implementazioni del concetto di motore immobile.

Siccome sull’argomento meccanico non sono molto ferrato, vedo di concentrarmi.

Il Motore Immobile ad accensione spontanea

L’autoconsistenza e l’autosufficienza dell’essere divino ci fa propendere per l’ipotesi che il motore immobile sia a combustione interna e ad accensione spontanea. A combustione interna a causa della suddetta autoconsistenza; e ad accensione spontanea a causa dell’autosufficienza: se vi fosse qualcosa in grado di innescarne l’accensione, il primo motore non sarebbe più primo, cadendo così in contraddizione.

Segue poi tutta una disamina sul funzionamento di tale motore, con un’intrigante ipotesi di relazione tra l’emissione di gas combusti e la questione del Male. Mi riprometto di chiedere approfondimenti. La pompa d’iniezione, simboleggiante l’incarnarsi del verbo, viene trattata in un paragrafo a parte. Secondo i ricercatori dell’I.M.E.N.E. questo progetto di motore immobile presenta tuttavia alcune spinosità, sia teoriche che pratiche.Leggo e riferisco dell’unica che avrebbe trovato soluzione.

La non unitarietà del rendimento è invero un problema che ha impegnato più di un teologo. Alcuni ingegneri hanno proposto un cambiamento del rendimento tramite l’utilizzo di un rapporto volumetrico di combustione metafisico. In questo modo, per esempio, si riesce ad aggirare il problema del motore non ideale. L’inserimento di un elemento metafisico non deve essere inteso come una fuga nell’insondabile (obiezione, questa, spesso rivolta da parte dei teorici del God of the gaps) quanto una naturale esplicazione dell’essenza stessa del motore. Infatti per quel che riguarda la natura è plausibile ipotizzare che lo spirito sia emerso dalla materia, questa frutto dell’evoluzione, quello emerso per diretto intervento divino: analogamente si può pensare che sia accaduto per il primo motore, che si autoevolve e autoispira, ponendo fine con la necessità della sua esistenza al regresso infinito. Restano non affrontabili in chiave scientifica, al momento, le domande sulla sostanza del combustibile e sulla natura fisica del gas in compressione; ci affidiamo pertanto alla rassicurazione dei non overlapping magisteria per quanto riguarda la legittimità delle opinioni correnti su questi punti.

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Sottolineo con matita e ammirazione i passi più importanti. Pensavo che solo quel mezzo eretico di Vito Mancuso potesse spingersi così in là. Una nota a margine mi informa che vi fu qualche scientista che, alla pubblicazione del primo progetto di motore immobile ad accensione spontanea, ebbe l’irriverente idea di ribattezzarlo “Diosel”. La stessa nota, peraltro, mi rassicura precisando che tutti questi detrattori sono ora costretti a lavorare all’estero.

Lo sviluppo della comprensione del Motore Immobile subì un grave intoppo verso la metà degli anni ’50 del XX secolo e da allora non sono stati fatti molti progressi. Il progetto del Motore Immobile ad accensione spontanea venne abbandonato, oltre che per le difficoltà concettuali e realizzative, anche per un’accusa di eresia proveniente dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Il relatore dell’articolo racconta così la vicenda:

La sospensione delle ricerche è dovuta ad alcuni aspetti progettuali. Secondo l’accusa, cui non possiamo che dare ragione, nel disegno del Motore Immobile parte della meccanica era costituita da lascivi pistoni che simulavano la ferinità dell’amplesso non regolato dal sacro vincolo del matrimonio, senza nemmeno il salvifico rischio di grippaggio (mechanica impotentia coeundi ad sanctitatem tuendam) che sarebbe stato indice di difetti del Motore o di una sua corruttibilità, e avrebbe dato come esito un calo delle prestazioni del Motore stesso, quod est absurdum. Inoltre si lamentava il movimento oscillante di chiara matrice pelvica delle bronzine. Stanti tali premesse, la componente spiccatamente sessuale del Motore Immobile diventava talmente evidente da condurre a una contraddizione con la definizione stessa e con la sua attribuzione divina, pura, perfetta, incorruttibile e quindi asessuata, dando luogo ad una eresia comparabile solo a quella concepita da Gustave Courbet ne L’Origine del Mondo [1866, Parigi, Musée d’Orsay]

Per fortuna i ricercatori dell’Istituto delle Meccaniche Ecumeniche per le Nuove Energie non si sono dati per vinti e, forti di finanziamenti statali piuttosto consistenti, stanno ora lavorando sul Motore Immobile nucleare.

Le prospettive sono interessanti, specie per quanto riguarda il tokamak uno e trino: c’è anche una curiosa applicazione sul bremsstrahlung come effetto riconducibile allo spirito santo. Però la pervasività malvagia dell’eresia del motore immobile ad accensione spontanea mi ha scombussolato. Me lo immagino col suo osceno sferragliare, ansimante, tutta quella pornografia di pistoni, e naturalmente, a causa del Maligno, mi ritrovo a pensare a Elisabetta D., e i pensieri che faccio su di lei non sono per niente puri. Mi strofino le tempie con le mani per tornare in me, ma sono troppo sconvolto. La lettura dei particolari tecnici mi ha proprio riempito la testa di robaccia peccaminosa. Ingranaggi mefistofelici che iniettano liquidi, l’alesaggio dei cilindri, la scabrosissima

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biella, tutte quelle valvole, un’abbondante lubrificazione, il motore che gira e canta e... e hanno fatto bene a dichiararlo eretico, maledizione!

Speriamo che con il Motore Immobile nucleare tutte queste nefandezze non abbiano più ragione d’essere. Certo che l’ho trattata proprio a pesci in faccia. Betta, dico. Ma del resto il confinamento magnetico del plasma dentro un campo toroidale, con le linee di campo risultante che si rincorrono ad elica... No, forse sarebbe stato il caso di chiamarla. Chissà come verrà affrontato il problema delle scorie? E se le chiedessi semplicemente scusa? Il fatto è che quel Dio mi ha fatto venire i sensi di colpa.

Che casino.

Metto via la lettera dell’Istituto delle Meccaniche Ecumeniche per le Nuove Energie, pazienza per i dettagli del motore immobile nucleare e la sua ontologica fusione e provo ad andare avanti con il lavoro.

Ho altra corrispondenza davanti, eppure passo dieci minuti fissando il nulla. Quasi non riconosco la mia voce quando mi sento sollevare il telefono e biascicare “Ho bisogno di aiuto. Un peso mi opprime. Mi sa che sei l’unica persona con cui posso parlarne. Chi può capirmi meglio di te?”

“Ah, le donne” sospira Armònio Uranico, e mi invita per il pomeriggio a prendere un tè freddo a casa sua.

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Lo Spettacolo

Che il chiostro non fosse il suo ambiente naturale lo si intuiva facilmente. Monsignore era rigido e goffo mentre, ora sedendosi ora rialzandosi dalla poltrona di vimini, si stropicciava le mani sudate. Anche quello che tartagliava a fior di labbra non erano le solite preghiere, quanto piuttosto una domanda angosciata e ripetuta: “dove si sarà cacciato, dove si sarà cacciato”. Del Teologo non c’era traccia dal pomeriggio precedente, quando se n’era uscito per andare a trovare un amico, così aveva lasciato detto. Monsignore passava poi a tenersi lo stomaco. L’agitazione glielo aveva inacidito. Controllò l’orologio: era quasi ora, ormai, e il Teologo non arrivava. Neanche una telefonata! Ci aveva provato lui di persona, a rintracciarlo, ma il cellulare era spento. Muto come il suo servo fedele. Dall’atrio si sentiva un tramestio di passi. Monsignore tese l’orecchio: scarpe di gomma e scarpe di cuoio, pesi diversi, c’era un bel po’ di gente; un’ultima occhiata all’orologio, era l’ora giusta, quindi erano proprio loro, il Teologo non c’era e lui se la sarebbe dovuta sbrigare da solo.

Entrarono scortati da un paio di guardie svizzere e alcuni di loro potevano concorrere con gli alabardieri pontifici quanto a vezzosità degli abiti. Signore e signori, gli artisti avevano fatto il loro ingresso nel Cortile dei Gentili. Monsignore li squadrò come si squadra la plebaglia, con condiscendenza e distacco. Quelli si presentarono, con tanto di genuflessione; uno avrebbe voluto baciare la sacra pantofola, ma gli spiegarono a mezza voce che ora non si usa più. In rappresentanza della folta compagine di artisti miscredenti ma rispettosi che si sarebbero dovuti far carico dello spettacolo conclusivo delle vicende culturali del Cortile c’erano Lozero, nom de plume di Gianni Zambon, pittore veneziano di Oriago, portavoce della brigata; il coreografo Sante Magistro, ateo e nichilista ma gradito all’ambiente ecclesiastico per aver partecipato alla messa in scena di un’opera in tre atti sulla vita della Beata Nonmiricordopiùchi; completavano il gruppo un noto duo di chitarristi e compositori e infine un guitto, un malinconico buffone di corte, che gli altri tenevano a sospettosa distanza perché non si sapeva quanto le indicazioni sulla reverenza avessero fatto presa nel suo cuore dignitoso. Ma siccome era lui che avrebbe diretto la compagnia di attori, non si poteva farne a meno. Monsignore congedò le guardie con un cenno del capo e una benedizione. Il Teologo non c’era ma aveva predisposto tutto con ordine: un rinfresco attendeva gli ospiti ed era pieno di quelle cose che, diceva mio nonno, una volta avrebbero fatto la fortuna al mercato nero. Gli artisti si misero subito a piluccare, sprecandosi in convenevoli e in complimenti sul cibo e sul bel chiostro. Il prelato si teneva in disparte, osservandoli con una smorfia. L’acidità di stomaco gli dava proprio il tormento: fu questa la scusa che addusse, quando Lozero s’informò del perché non s’azzardasse a

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toccare cibo. Il buffone in quello saltò su, producendo una nuvola di briciole di tramezzino: “Monsignore ha problemi digestivi?” “Eh, oh, sì” bofonchiò quello, ed emise un paio di colpi di tosse a mo’ di sottolineatura della sua precaria salute generale. “Sarà mica colpa di tutta la teologia che legge?” si informò il buffone “Guardi che è roba difficile da digerire, sa? Io ci ho provato una volta, e alla fine mi è venuto un mal di testa che neanche mia moglie quando le dico che ho voglia di fare l’amore, ci crede? E non parliamo dello stomaco: un bruciore! Sono diventato dipendente dagli antiacidi. Per questo pregavo il Signore: libera nos a Maalox! Ah, sì sì, è la teologia.” Agitò la testa con convinzione. “La teologia è un sollievo per l’anima e un nutrimento per lo spirito” chiosò Monsignore facendo lo sforzo di sembrare bonario o almeno saggio. Ma il buffone non si lasciava mica convincere: “No no, io sono sicuro, ho un po’ di infarinatura di medicina, si tratta proprio di teologastrite acuta. Guardate, guardate tutti qua” aggiunse e prese un tono professorale “il volto dispeptico di Monsignore è un compendio di patristica: il cruccio di un Boezio in cerca di consolazione sulle rughe della fronte, lo sguardo apologetico di un Giustino di Nablus, la bocca dai riflessi giallognoli, e per estensione, d’oro, che ricorda necessariamente il nome di Giovanni Crisostomo, anche se mi dicono non sia parimenti antisemita, mentre tutto il male che gli viene dallo stomaco come mancanza di salute è puro Agostino, ne sono certo! Non è così?”

Lozero gli cinse le spalle e lo trascinò con sé: “Fai il bravo, porca miseria. Ci stanno commissionando uno spettacolo che andrà in mondovisione, te ne rendi conto?” Il buffone grugnì: “Ma sì, ma sì, lo so. Che ti credi. Pensa che quando ne parlo con gli attori ho già rinunciato a definire questa operazione una marchetta e ho optato per ‘mecenatismo da parte del Clero’. Nei miei racconti Monsignore è diventato una specie di Giulio II e tu un Michelangelo Buonarroti”. “Bene” fece il pittore. Il suo volto si aprì in un bel sorriso. Il buffone scambiò col prelato uno sguardo con cui l’uno si sottometteva e l’altro concedeva generosamente l’onore delle armi. Poi, insieme al suo compare, tornò al cospetto di Monsignore. Gli altri del gruppo continuavano ad abbuffarsi, in attesa che fosse rivolta loro qualche domanda. Ma l’ecclesiastico si rivolse a Lozero: “Sarà Lei che si occuperà delle scenografie, non è vero?” “Sì” rispose il pittore “ho qui alcune bozze, naturalmente. È mia intenzione lasciarGliele in visione, affinché Sua Eccellenza mi sappia dire cosa preferisce. So che è un cultore d’arte”. Monsignore confermò: “Lo sono. Da sempre. Mio padre era studioso di estetica e in casa si respirava quell’aria di amore per il bello che molto mi ha aiutato nella ricerca della verità. So molto di Lei, Lozero. Seguo da tempo il Suo lavoro”. Il pittore si fece gonfio come un tacchino e, dissimulando i rivoli di vanità, chiese: “Davvero, Eccellenza?” “Ma sì! E mi ha sorpreso, Lei che è sempre stato un amante del figurativo, quando di recente ha intrapreso una svolta astratta. Non me ne sono dato ragione.” Lozero si precipitò a spiegare: “Prima di venire chiamato per il Cortile dei Gentili avevo avuto dei contatti, per carità informali, con i rappresentanti di un’analoga iniziativa che era partita dall’università del Cairo. Una sorta di Giardino per non islamici però rispettosi di Allah e di Maometto suo profeta. Siccome ci sarei dovuto essere anche io e mi sembrava poco garbato offendere i miei ospiti raffigurando immagini, mi sono dato una patina di iconoclastia e ho studiato

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le possibili tassellazioni del piano ripensandole in modo metafisico fino a sublimarle nell’astratto” “Affascinante, invero” fece Monsignore non nascondendo una certa ammirazione. Lozero proseguì: “Oh, ma poi non se ne fece nulla. Arrivò la telefonata per il Cortile dei Gentili e io, sa, dovendo scegliere, ho sentito le radici giudaico-cristiane che mi chiamavano...” “Ma andiamo” lo interruppe l’altro “come avremmo potuto non pensare a Lei?” Il pittore si sdebitò con una elegante riverenza. Vedendolo, Sante Magistro applaudì e i due musicisti smisero per un istante di rimpinzarsi di tutto quel ben di Dio. Il buffone sospirò.

“Innanzitutto” disse Monsignore “ci tengo a ribadire che voglio che lo spettacolo sia all’altezza della situazione. Qui dentro mi prendono per un passatista, pensate! Se c’è una cosa che aborro è quel tipo di spettacolo dozzinale di melensi buoni sentimenti. Questo è il Cortile dei Gentili, non una giornata mondiale della gioventù. Quindi niente gioiose schitarrate Do-La minore-Fa-Sol settima, niente intonazioni belanti da orgasmo trattenuto, niente banalità, niente ‘oh come sei bello Gesù’, va bene? Una cosa seria. Non mi sputtanate duemila anni di onorata tradizione. Sì, ho detto proprio così: ‘sputtanate’. Qui non ci sono giornalisti e posso essere franco.” Sante Magistro, coreografo col culto della propria professionalità, saltò su indispettito: “Non farei mai nulla di simile!” “E sarà bene” ammonì Monsignore “Proprio Lei, Magistro. Mi raccomando. Le dò dispensa: piuttosto bestemmi Iddio, ma Tersicore no.”

Rassicurati dall’attestazione di stima sulle loro capacità che proveniva dalle parole dell’Uomo di Chiesa, gli artisti gli si fecero intorno per raccontargli lo spettacolo nei dettagli. Si sarebbe trattato di un’opera in due atti che si sarebbe intitolata “il Prometeo redento” e sarebbe stata introdotta da un prologo affidato al Coro di Anime della Città di Dite. Il buffone si fece avanti ed enunciò d’essersi fatto Corifeo: “Tutto è buio, all’inizio. Lentamente sul proscenio incedono gli attori del coro, e io sono con loro. Un sommesso tambureggiare, sordo e lontano, accompagna ogni passo, lentissimo, che ci porta al centro del palco. A parte le nostre facce e la sagoma confusa dei nostri corpi, in scena non si vede nulla. Questo è quello che diremo:

Veniamo dagli avelli della Città di Diteove entrammo da eresiarchimutilati dalla lucee qui, morti tra i morti, cantiamotristi l’ultima vita dell’uomo.Lontano è il tempo in cui Eracle figlio di Zeuse di Alcmena sposa d’Anfitrionecon una freccia trafisse l’aquila che, sul Caucasoogni giorno lacerava il fegato di Prometeoe lì straziato il figlio di Giapeto aspettava la nottequando la carne ricresceva nel corpo

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e così la sua pena.Ora che il Caucaso d’altri lutti si agghiacciasenza miti e senza eroitornato è Prometeo, titano immortalea ronzar nella mente degli umani inesausti...”

“Qui comincia la musica” spiegarono i due compositori. “Che genere di musica?” s’informò Monsignore. “Un basso ostinato su cui s’innesta, molto piano, una melodia. In la minore, leggermente ipnotica” fece uno dei due. Sante Magistro s’intromise: “E si alzano le luci su uno scenario urbano e caotico, nel quale però non si ode un suono. Gente che va e gente che viene. Correndo un po’ alla cieca” Il buffone riprese: “Il Coro continua a raccontare quello che sta succedendo. Dopo aver portato all’umanità il fuoco, Prometeo ne ha fatta un’altra delle sue. Dice il Coro:

Pari nel dolo alla stolta Pandorache disse il mito gli fu infausta cognataPrometeo trasse dal fuoco i resti di saggi antichie furon Democrito, Leucippo, Epicurodal suo sozzo giardinoE poi ancora Ctesibio misurator del tempoEudosso ed Euclide postulator del realee ancora dalle spiagge d’Ortigia,Archimede e il suo poliedrico geniole sue spirali e i suoi principii.Tutti costoro si caricò tra le braccia il figlio di Giapetoe agli uomini li riversò a manciate...”

“Insomma, per farla breve” saltò su Lozero, che evidentemente si sentiva escluso “il Coro fa un atto di accusa a Prometeo per aver introdotto nel mondo il male maggiore che attanaglia la società odierna...” “L’ignoranza? Le guerre? Il fanatismo religioso? Le mafie? La corruzione? Il razzismo? le ingiustizie economiche e sociali? Il dressage come specialità olimpica? Nossignore, no!...” strillò il buffone, rubandogli la scena. “E quale sarà mai” fece Monsignore, già pregustandosi la risposta. “Lo scientismo!” gridarono tutti insieme. Monsignore applaudì. “Ben detto, per Dio! E non mi si tacci d’averLo nominato invano! Lo scientismo, il braccio armato dell’ateismo senza morale! Ah, che bello. Lo scientismo, il grimaldello del relativismo! Così lo si dipinga. Bene, bene, quest’opera mi piace. E come prosegue?”

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Lozero riprese fiato: “Sull’immagine di un Prometeo nuovamente incatenato si apre il primo atto. Per le scenografie ho usato tratti espressionisti, molto forti, forme aguzze e moli imponenti” “Tutta roba scopiazzata” bisbigliò uno dei musicisti all’orecchio del Prelato. Continuò il pittore: “Si guarda attorno. L’intero primo atto si consuma nei tormenti di Prometeo che racconta la sua triste vicenda e chiede agli Dèi ragione del suo dolore”

“E nessuno tra gli Olimpi gli risponde!” esclamò allora il buffone. “La scena si svolge più o meno così:Coro: A chi rivolgi, infelice titano, le grida del tuo dolore? Per chi ti strappi i capelli e ti percuoti, vinto dal luttomalnato che sfidò più volte gli Olimpi?Chi speri che ascolti le tue vane preghiere?Prometeo: Ahimè!! Tace l’Egioco, sordo ai miei tormenti! Tacciono i Numi, tutti quanti, ora che vedo la stirpe di mio figlio Deucalione soggiogata dai mali che io stesso le ho inferto! Tace Era dagli occhi bovini, poiché un tempo fu l’odiato Eracle a liberarmi! E tace Pallade Atena, che pure mi voleva bene! Coro: Tacciono tutti, Prometeo. E sai perché?Prometeo: Ah, voi anime dannate, morti tra i morti,voi pravi vi compiacete dello strazio che mi affligge!Voi portatori di eresia, voi atei accecati dall’Hybris!E tanto più vi compiacete perché in me vedetel’origine del vostro male!Coro: non divagare, Prometeo! Tacciono tutti e sai perché?Prometeo: No.Coro: Ah!Prometeo: ma lo indovino! Tacciono perché sia il silenzio a divenire l’obbrobriosa mia catena.Coro: No.Prometeo: e allora mi struggo invano?Coro: Invano ti struggi per quegli Dèi, Prometeo, forte figlio di Giapeto, che hai portato agli uomini una volta il fuoco, e hai pagato, e una volta lo scientismo, e ancora sei qui a patire. Invano per loro ti struggi, perché son morti! Morti i tuoi Numi, morti gli Olimpi, si sono stecchite pure le divinità ctonie, per sovrapprezzo!Prometeo: Ah! Me misero! No, voi m’ingannate. Via, via da me!Coro: Non t’inganniamo, Prometeo, guarda...”

“Qui si apre una delle mie scene preferite” disse Lozero. “Oh sì” fecero all’unisono i due compositori “La scena del dottore. Sa, Monsignore, per questa abbiamo dovuto fare gli straordinari. Un tema che rimarrà scolpito nella memoria collettiva più delle musiche di Nino Rota, detto senza falsa modestia!” “Bene!” esclamò Monsignore “Raccontatemi la scena”. Fu Sante Magistro a prendersi l’onere.

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“Prometeo si dibatte mentre il Coro cerca di trarlo dai suoi tormenti e di fargli volgere lo sguardo verso due persone che lottano attorno al corpo di un uomo riverso a terra, esanime. Uno dei due contendenti è un medico - uno dei medici che si azzardano a manipolare l’essere umano interferendo sulla sua vita... com’è che si dice?” “Dal concepimento alla morte naturale” suggerì Lozero. “Oh sì! Dal concepimento alla morte naturale. Questi moderni sciamani, dice il Coro, ‘vòlti a far dell’uomo un feticcio, e della superbia un’arte!’ Questa battuta la cito perché l’ho suggerita io. Comunque, il dottore si attorciglia in un corpo a corpo con un medico della peste...” “Quelli con la maschera col lungo becco” spiegò Lozero “Il costume l’ho disegnato a partire dalle acqueforti del XVII secolo”. Monsignore sembrava molto interessato. Il coreografo riprese: “In questo balletto di morte s’inserisce una terza figura, un sacerdote, che vorrebbe cercare di guarire il tizio esanime con la forza della fede. Ma il dottore, lui no! si oppone! Caccia via il sacerdote, sconfigge il medico della peste e si occupa del malato con le sue conoscenze... scientifiche! Solo con quelle! Niente preghiere! Ah che aridità, che sconcezza!” “Terribile” convenne Monsignore “E Prometeo che fa? Come reagisce?”

“Prometeo” intervenne il buffone, con una strana calma nella voce “sulle prime si lascia ingannare. Così parlerà con il Coro:Prometeo: Sia lode ad Asclepio! Sia lode ad Apollo Akesios, il guaritore! Allora non sono tutti morti.Coro: Ma che dici, Prometeo! Non c’è nulla di divino. Prometeo: No?Coro: Stolto, miserrimo Prometeo! Come hai potuto portare agli uomini il morbo infido dello scientismo e poi stupirti se i tuoi Dèi ne son morti?Prometeo: I miei Dèi? Perché, ce n’erano altri?Coro: Ahi, sventurato! Come disciogli la lingua proterva!Molti furon gli Dèi che seguironoe l’uno con l’altro s’odiava e pugnavaE tutti son morti, Prometeo, ahimè!Tutti, ché l’uomo l’irride, non v’è più bisogno.E quindi per questo tu quirimani a straziarti, infelice.Finché non ne troverai unouno solo che possa infilarsi nei tuoi bisogniqui rimarrai incatenato e vinto,o Prometeo, figlio di Giapeto, misero tra gli umaniora che più a loro assomigli che alla stirpe di titani che ti generò.”

“Dopodiché Prometeo e il Coro se ne stanno un po’ lì a lamentarsi in ditirambi e a raccontare tutti i danni dello scientismo, con varie altre scene che non stiamo qui a descrivere nel

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dettaglio” disse Lozero. “Si tratta di scene analoghe a quella dei dottori?” s’informò Monsignore, e Lozero gliene dette riscontro: “Abbiamo preso spunto dai discorsi di Sua Santità Benedetto XVI per aderire perfettamente alla visione del Vaticano su quali sarebbero le piaghe causate dallo scientismo, e dal vieto secolarismo che ad esso si concatena” “Bravi” si congratulò il presule.

“Il primo atto si chiude in questo modo, con un Prometeo ai ceppi, che ancora non si rende bene conto come ci è finito e perché, e soprattutto chi ce lo ha messo” raccontò Lozero “e che prende dolorosa coscienza del proprio ateismo” Aggiunse il buffone: “Come tale, ovviamente, si dispera. Dice così, reggendosi la testa fra le mani:Prometeo: Ecco che ho persoil senso del mondo e del fatotutto mi turbina attorno come neveo come sabbia che mi gratta la pelle ed il senno.Coro: Taci, Prometeo, e sentiil rombo spaventoso del vuoto mondoora che ne hai scacciato dèmoni e dèi!Prometeo: Nulla mi spaventa, eppure capiscoche è questo il laccio a cui mi si vuole impiccato.Coro: Sì, ti sia di pena la paura di dover bastare a te stesso!Prometeo: Anime schiette, morti fra i morti,tornate agli avelli dell’infera Dite!Non più tormentate i miei sonni e i miei giorni.Coro: Sola abbisognidi una pietosa redenzione. Nulla, o fratellopotrà lenire il tuo spasmo, se non il farti redento.Prometeo: Via, via, lasciatemi solo! Io non soffro, lo nego!No, io soffro, non soffro, tremo, non temo, oh sì, più non so...Tutto è caos, come prima che nascesseroil Giorno e la Notte. Ed io son ebbro.”

“Insomma, il poveretto sta andando fuori di testa. Ma la situazione trova una sua via di uscita nel secondo atto” concluse Sante Magistro. “Tra un atto e l’altro abbiamo inserito un intermezzo musicale maestoso” ricordò uno dei due compositori, e l’altro soggiunse “qualcosa che facesse ben capire il tormento interiore ma che al contempo si dischiudesse, alla fine, verso spazi sonori più ariosi e pieni di speranza”.

Quanto al secondo atto, spiegarono gli artisti, dandosi l’un l’altro sulla voce con sospetto entusiasmo, si apriva con Prometeo sbatacchiato in una cella angusta. Le luci della città che

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avevano accompagnato l’inizio del primo atto non c’erano più. Il titano non aveva molto spazio per sé, e sedeva in solitudine sul letto. “Il secondo atto in sé non è nemmeno concluso, lo abbiamo appena abbozzato” esordì il buffone “perché volevamo un parere da parte Sua, Monsignore”. Il prelato lo fissò con aria interrogativa: “E dunque? Di che si tratta?” “Il tema dev’essere la redenzione di Prometeo tramite l’incontro con la Vera Fede. Avevamo pensato ad una apparizione mariana, e per questo eravamo un po’ incerti sul da farsi, perché nessuno di noi è esperto nel ramo. Va bene un sole ballonzolante? L’immagine di Maria che si stampiglia sulla coperta, come il mantello a Guadalupe? La visione improvvisa di tre pastorelli analfabeti? una macchia di umidità sul muro? Come è opportuno procedere?” “Hmmm, capisco” disse Monsignore, rimuginando. E aggiunse: “L’importante è che Prometeo ci creda e che rimanga abbacinato. Poi le modalità non sono così essenziali.” “Vada per la macchia di umidità?” chiese Lozero, che intanto aveva tirato fuori un taccuino e prendeva appunti. Il coreografo dissentì: “Ma che schifo, una muffa”. Fu la volta del buffone: “Embè? Sapeste cosa ci ha tirato fuori Alexander Fleming, dalle muffe! Altro che Madonne! Oh, mi scusi, Eccellenza. Però intendevo dire che così, con la storia della penicillina, ci riagganceremmo al discorso dello scientismo”.

Uno dei due compositori ebbe un’idea: “E se invece si trattasse di una musica armoniosa? Un sottofondo tenerissimo, di ignota e misteriosa provenienza, che scioglie il cuore angosciato di Prometeo?” “Ho già in mente il motivo” esclamò il suo sodale, battendo le mani tutto contento. A maggioranza, con la sola opposizione di Lozero, passò la mozione Musica Armoniosa. Questa musica, mediante i buoni uffici del coreografo, sarebbe poi stata danzata da dei ballerini. “Decorosamente vestiti” si affrettò a richiedere Monsignore. Lozero prese diligentemente nota. Grazie all’intercessione mariana Prometeo avrebbe capito che le sue catene altro non erano che la disperata aridità cui una visione scientista del mondo lo costringeva e, gradualmente, avrebbe trovato la fede, liberandosi così dai ceppi e godendosi infine nella sua piena umanità, anzi, titanità. “E come rendiamo credibile questa repentina conversione?” chiese il buffone. “Ah, questo è un altro dettaglio irrilevante” rise Monsignore “quel che conta è il risultato. I processi intermedi sono roba per gli psicologi, non per noi. Ah, e oltre alla Vergine Maria vedete di metterci dentro anche qualche prete, che ne so, qualcuno a cui racconti la conversione, se no poi sembra che non serviamo a niente e questo potrebbe essere un messaggio molto pericoloso; roba che ci tolgono tutte le prebende economiche e fiscali”. “In Italia non mi pare che si corrano di questi rischi” commentò il buffone a mezza voce, e poi: “E sia! Questo allora sarà il dialogo finale tra Prometeo e il Sacerdote.

Prometeo: Ch’io possa esser mondo dal mio peccato.Sacerdote: Grave fu la colpa, Prometeo, ma infinita la misericordia che ti redime.Prometeo: Fioca era la luce, e sorde le mie orecchiecome se la cera vi fosse colata all’interno.Giacevo nudo e sciocco, e mi ruggivano le tempie.

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Poi quella musica.Il grumo si scioglie, Prometeo, mi dico, respira!Eppure non capii, cieco e sordo, ancora, ed eccoil Sacerdote dell’Unico Tempio farsi latoredella mia stessa coscienza!Mi sento così pervaso di serenità! Grazie, grazie Padre per avermi illuminato.Sacerdote: Si plachino le anime della città di Dite,morti tra i morti, nei loro sepolcri di ferro,ora che il loro dolore s’è spento nel tuo, figlio di Giapeto,che donasti il fuoco e che oragrazie alla Beata Vergine ti apri all’Amore!Prometeo: Presto un obolo, un obolo per ciascuna di quelle animeSacerdote: e un obolo ancora, che non guasta mai.Prometeo: Ch’io mi liberi dai ceppi, esplodendo nell’aria, come una voltala terra mi mugghiò addosso, e le folgori schioccarono e le polverirotearono in turbine...”

Il coreografo gli terminò l’opera: “in un tripudio di musica e trombe e colori Prometeo riconosce la funzione salvifica del sacerdote cattolico, si disfa del suo ateismo amorale e abbandona lo scientismo per farsi promotore di una scienza eticamente responsabile!” “Amen” disse il buffone.

Monsignore rimase in silenzio a lungo, mentre gli artisti ne studiavano trepidanti la minima reazione. Alla fine proruppe in un grido: “Ma è di una piaggeria estrema! Non ho mai sentito niente di più codino, servile, spudorato, opportunista e megalomane, tranne qualche volta a Palazzo Grazioli.” Lozero, in qualità di rappresentante del gruppo, sbiancò come una statua di cera. Balbettò qualcosa. “Mi dispiace, noi...” “Ma che dice, Lozero!” esclamò il presule “È fantastico! È perfetto! Ah, come sono contento! Presto, un brindisi, ci vuole un brindisi”.

Brindarono alla salute e alla buona riuscita dello spettacolo. Un’armonia celestiale regnava nel chiostro. Festeggiarono fino a tarda sera. Monsignore era contento come non mai. Perfino il mal di stomaco, gli era passato. Ah, avrebbe dovuto raccontarlo al Teologo, quando fosse tornato! A proposito, ma non era ancora arrivato? Ah, diamine, oramai doveva essere questione di pochi minuti.

Ma nemmeno quella notte il Teologo tornò.

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Etimasia

Il teologo manca già da una settimana, ma le gerarchie hanno deciso di non avvisare la polizia italiana, non ancora. Si limitano a fare delle indagini molto discrete per proprio conto. Siccome lo scomparso era il mio diretto superiore e io ero, più che un dipendente, ormai un famiglio, mi sono messo a indagare anche io, senza dare nell’occhio. L’idea mi è venuta per caso: il giorno della scomparsa ero andato nei suoi appartamenti con una lettera di scuse perché la sera prima l’avevo fatta grossa. Stavo preparando un certo infuso che non sto a raccontare per me e per un altro ragazzo che lavora qui, quando mi è arrivata la richiesta dal Chiostro che portassi una tisana per tutti. Mi sono confuso. Quando mi sono ritrovato a bere una brodaglia che sapeva di malva e ho realizzato l’errore, era ormai troppo tardi. Per tutta la mattina successiva mi sono dato malato, ma la verità è che mi vergognavo da morire. Solo dopo pranzo mi sono detto che dovevo assumermi le mie responsabilità, ho scritto una lettera in cui raccontavo come si erano svolti i fatti e sono andato a cercare il teologo per consegnargliela. Ero pronto ad essere licenziato.

Però il teologo non c’era. Sono rimasto indeciso se lasciargli la lettera sulla scrivania o riprovare in un secondo momento e ho scelto prudentemente di ripassare nel tardo pomeriggio. Lui non c’era. Vi lascio immaginare il mio stato d’animo. Ho chiesto -sempre per iscritto- al mio collega di fare un giro di telefonate agli ospedali, di andarci anche di persona, per sapere se fosse stato ricoverato. Lui, o uno dei due che stavano con lui la sera precedente: Pindemonte Delvecchio e Armònio Uranico. Nessuna notizia utile. Mi sono fatto coraggio e sono entrato nelle sue stanze a cercare indizi. Avevo il cuore che mi batteva forte e siccome questo è l’unico rumore che riesco a fare uscire da me lo tenevo in gran conto, come se fosse esso stesso portatore di un messaggio articolato. Lo studio sembrava in ordine. C’erano dei fogli sulla scrivania, li ho letti, erano bozze per un articolo che stava scrivendo per il giornale di studi teologici per il quale collabora. Il computer era spento. L’ho acceso. Mi ha richiesto la password: lì per lì mi son fatto cogliere dal panico, ma poi l’ho indovinata al secondo tentativo. Conosco il teologo da troppo tempo. È stato facile. Per prima cosa ho controllato la casella di posta. Tra la corrispondenza inevasa c’era una lettera del matematico che illustrava i progressi del suo gruppo di ricerca nel campo della teoria della misura cristiana. Non ci ho capito molto, era pieno di formule, ma l’ho letta tutta, perché speravo di trovare l’ispirazione per le mie indagini e poi perché certe proposizioni erano davvero affascinanti e suggestive, come per esempio queste, che mi sono copiato su un file e che riporto qui:

“è necessaria un’estensione della teoria degli operatori lineari sugli spazi di Hilbert qualora si debba lavorare con osservabili metafisici e si debba tener maggior conto, in una equazione agli

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autovalori, dell’essenza morale di questi (auto)valori. Una formulazione algebrica dei risultati teologici ai quali siamo giunti comprenderà dunque:

1) un ampliamento della teoria della misura secondo Borel, che tra le altre cose sappia estendere la definizione di integrale di Lebesgue ad insiemi non misurabili se non spiritualmente; s’intende altresì definire correttamente gli spazi normati secondo le Scritture2) un riadattamento in chiave ontologicamente coerente degli spazi di Hilbert, tenendo conto dei non overlapping magisteria quando si definisce la somma diretta degli spazi suddetti3) una rielaborazione della teoria delle distribuzioni che sia in grado di comprendere gli operatori corrispondenti alle quantità osservabili con l’ausilio della fede. Si dovrà studiare anche l’esempio della funzione di Dirac (nulla ovunque tranne che in {0} ove assume il valore infinito) in relazione con la singolarità divina.

Un formalismo di questo tipo dovrà essere adeguato anche alla descrizione dei fenomeni fisici osservabili (sia per il caso classico che per quello quantistico), al fine di non incorrere nella fallacia eretica analoga a quella di chi sosteneva la non completa consustanzialità del Cristo con Gesù, o del Padre col Figlio.”

Il resto della corrispondenza aveva già ottenuto risposta. Ho controllato anche nel cestino per vedere se ci fosse qualcosa di interessante: nulla, le solite mail finte delle poste, quelli che ti vogliono vendere orologi e pillole blu e dispositivi miracolosi diversi da quelli che tratta il mio padrone per lavoro. Ho chiuso il programma di posta e mi sono messo a sbirciare nelle cartelle dell’hard disk. Mi sentivo come uno del RIS! C’era una cartella dedicata all’esperienza del Cortile dei Gentili e l’ho aperta. Non avrei avuto il tempo di leggermi tutto in quel frangente, perché il teologo sarebbe potuto rientrare da un momento all’altro: così ho copiato tutto il contenuto su una penna usb per leggermelo con calma nella mia stanza. Ho spento il computer, ho controllato di non aver spostato niente e me ne sono uscito.

Arrivato nella mia camera ho dato un’occhiata a quanto avevo raccolto. C’era un sacco di materiale, riguardo al Cortile dei Gentili! San Paolo sarebbe stato contento e ci avrebbe scritto una lettera, così:

Dalla prima lettera di Paolo ai Gentili del Cortile “Mentre si dichiaravano sapienti e diventavano stolti, non sapevano che i loro corpi erano membra di Cristo. Ma io li ho giudicati nel nome di Chi li giudica: avremmo potuto obbligarli perché in Cristo abbiamo piena libertà di comandare l’uomo a fare ciò che deve fare, ma li abbiamo pregati in nome della carità. Infine sono stati comprati a caro prezzo, e adesso glorificano Dio e vivranno nella potenza di Dio. Ho provato grande gioia perché hanno fatto rifiorire i loro sentimenti nei riguardi del Signore. Amen”

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C’erano poi verbali di tutte le sedute, noiosissimi. Mi sono ripromesso che se avessi dovuto raccontarli a qualcuno li avrei un po’ romanzati. C’era un file dedicato al Gentile Enigmista, quello che parla con i lipogrammi, che aveva redatto un testo che diceva così:

“Ho inventato, per il diletto di Vostra Eccellenza, degli indovinelli. Sono espressi in distici in cui la seconda riga è un anagramma della prima. Essi sono tutti a carattere religioso, sicché non dovrebbe essere difficile risolverli”.

Il teologo aveva evidentemente risposto a tutti: le sue annotazioni erano in verde, il resto del testo in nero. I primi indovinelli erano piuttosto semplici:

Gesù Cristo / stregò uscie

Messo in croce? / Misconoscere! avevano come soluzione, rispettivamente, la resurrezione e Pietro.

Ce n’erano di più elaborati, come questo che rischiava anche di essere un po’ ereticofilosofia scolastica: / così falsificata, lo so

e che il teologo aveva risolto scrivendo “la prova ontologica”oppure

sì al Concilio di Nicea: / lì si caccia l’inidoneoche probabilmente si riferiva al Vangelo (il teologo, non essendone sicuro, ci aveva messo un punto interrogativo)

Il mio preferito era l’ultimo, che era bello lungo e aveva come soluzione, facilissima, Giuda:Se molto denaro in lui traboccava / lesto tradiva l’amore con un bacio.

A parte questo, nella cartella riservata al Cortile dei Gentili si trovava anche il diario del teologo. L’ho letto d’un fiato e così ho scoperto che il giorno della sua scomparsa era andato a prendere il tè da Armònio Uranico. Ho recuperato l’indirizzo email del giovane fisico e gli ho chiesto se avesse notizie, raccomandandogli nel frattempo sia la minuziosità dei dettagli che la massima discrezione.

Armònio Uranico mi ha risposto: “Sì, è vero, ... [ometto il nome del teologo, ndA] è stato qui da me. Abbiamo bevuto il tè e conversato per un paio d’ore. L’ho trovato piuttosto agitato, ma dal momento che non lo conosco benissimo potrebbe trattarsi di una mia impressione. Abbiamo parlato di donne. Di solito io gli chiedevo consigli sulla mia relazione sentimentale, ma questa volta invece è stato lui a pretendere che lo indirizzassi. Nonostante il tempo trascorso insieme non ho ben capito la natura dei suoi sentimenti. So che aveva dei problemi con una donna, la signora Elisabetta D., che è stata a suo tempo convocata per il Cortile ma che ha dato poi forfait in circostanze che a me non sono note. Da

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quel che ho capito, stando a quanto mi ha raccontato il teologo, loro due hanno avuto un diverbio e non si sono mai chiariti. Ne abbiamo parlato confusamente per un po’, lui mi chiedeva continuamente informazioni sul modo di pensare delle donne, come se esistesse un archetipo, assurdo... poco prima delle otto di sera se n’è andato. [...] Mi faccia sapere se sta bene e se ha notizie [...]”

Qualcosa infine l’avevo scoperto: ho contattato allora la signora Elisabetta D. Via email è stata molto cortese e mi ha invitato a casa sua per parlare. Quando le ho fatto presente che sono muto, ha detto che avrei potuto ascoltare e se avessi avuto delle domande gliele avrei potute scrivere su un notes. Ho accettato e sono andato da lei. Ha un bell’appartamento, piccolo ma accogliente. Il teologo era stato lì, avevano parlato, lui le aveva raccontato la storia della sua vita, lei si era annoiata ma alla fine colta da un sentimento di rimorso per il proprio scarso interesse lo aveva congedato regalandogli i due Tropici di Henry Miller. Le ho chiesto se fosse una forma di vendetta e lei ha risposto che un po’ lo era, ma perlopiù si era trattato di compassione. Le ho fatto notare che questa mescolanza di sadismo, compiacimento e pietà era un atteggiamento molto cristiano, e lei ha riso di cuore. Donna simpatica. Due giorni fa mi ha inviato un’email per comunicarmi che le era arrivato a casa un mazzo di rose. Allegato un biglietto con le iniziali del teologo. Ha detto di avvisarlo, nel caso lo incontrassi, che si risparmi certe sviolinate e che impari a gestirsi i sensi di colpa da persona matura e responsabile. Ho preso nota. Stamattina, mentre sistemavo il materiale che avevo raccolto, sono stato chiamato nel Chiostro. Con mia grande sorpresa mi sono trovato in mezzo ad una riunione improvvisata con quasi tutto il mondo intellettuale che aveva partecipato alle sedute fin qui tenutesi; sotto la guida di Monsignore intrecciavano dei fitti commenti. Ho fatto il mio lavoro, che è portare da bere, e in queste occasioni mi sento un po’ come il cameriere di un motel, e poi siccome ero troppo curioso mi sono appostato ad origliare, sbirciando da dietro un vetro, proprio come ci si aspetta che un servo faccia.

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I Gentili del CortileFarsa in Atto Unico (aristotelicamente parlando, eccetera eccetera)

Scena ICittà del Vaticano, A.D. MMX, interno di un chiostro lussureggiante. Mattina da colori incerti: minaccia pioggia. Alcune poltrone di vimini dalle quali sono stati rimossi i cuscini foderati di velluto rosso. Personaggi: Monsignore, Pindemonte Delvecchio (già conosciuto come l’Ateo Approvato Non Folkloristico), Armònio Uranico, Eterea Flogista, Sofoide Eubiotico, Sciantàl Palumbo, il letterato e poeta S.N., il noto giornalista F.L., l’ontologo Adelmo Giarretta con uno specchietto tascabile, l’onorevole “Caio Gracco”, Lozero e il buffone.

Monsignore (indicando le poltrone e facendo strada) Prego, prego, amici miei, accomodatevi.Pindemonte Delvecchio (corrucciato): Sedetevi pure, amici. Io preferisco restare in piedi.(a parte Monsignore, Pindemonte e il buffone, si siedono tutti)Monsignore: Vi ho fatti venire qui perché, come avrete forse saputo dai nostri emissari che stanno conducendo le indagini, da una settimana il nostro stimato Teologo è scomparso senza lasciare traccia. Lozero: ancora nulla?Monsignore: Macché. Nulla di nulla.Sofoide Eubiotico: Avete avvertito la polizia?Monsignore: temo che ormai dovremo rassegnarci a farlo, ma sono dilaniato dai dubbi. Per questo ho voluto convocarvi, anzi vorrete scusarmi per lo scarso anticipo con cui vi ho avvertiti. Vi ringrazio comunque di essere venuti tutti.Caio Gracco: La situazione rischia di diventare spinosa. Indagare tra queste mura è sempre stato tremendamente difficile (ridacchia maliziosamente) Mi sa che se non lo trovate voi (indica Monsignore) la polizia potrà fare ben poco.Monsignore: è vero, infatti noi proseguiremo comunque le ricerche anche per nostro conto. Quello che volevo dirvi è che dobbiamo concordare una linea comune sul che fare. Tra l’altro vi rammento, nel caso decidessimo di rivolgerci alla polizia, che il Teologo era coinvolto nell’organizzazione degli incontri nel Cortile dei Gentili e quindi voi potreste essere tutte persone informate dei fatti.Sciantàl Palumbo (intervenendo garrula) Beh, a dire il vero, di quali fatti si parla?Caio Gracco (bisbigliandole in un orecchio) Si dice così. È una formula di rito. Non hai mai letto libri gialli? Oh, cazzo, ma che te lo chiedo a fare.

Sciantàl Palumbo lo guarda risentita, ma tace.

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F.L. (alzandosi in piedi) Per quel che mi riguarda non c’è problema. Volete un dossier? Fabbrico un dossier. È facile. Se dobbiamo infangare il Teologo, lo infanghiamo; se dobbiamo infangare i suoi detrattori, infanghiamo loro.Caio Gracco: ben detto.S.N. (rivolgendosi a F.L.) Ma sei sicuro? non è meglio aspettare?F.L. (liquidando l’obiezione con un gesto della mano) Mi si dica contro chi agire, e io agisco.Monsignore (conciliante) È ammirevole la tua solerzia, caro F., e sta’ pur certo che in caso di bisogno ci serviremo della tua penna tagliente. Ma il nostro buon letterato ha ragione, la prudenza è una delle virtù cardinali. Dobbiamo agire alla luce di Dio e della Sua legge.Ontologo: Miei cari, permettetemi di intervenire per ricordarvi che la giustizia è una virtù umana, è virtù e sapienza, seppure vi fu chi la definì “una nobilissima ingenuità”. Invece va riconosciuta come sommo bene, e non, come farebbe il qui presente Caio Gracco, ricalcando il Trasimaco della Repubblica di Platone, come l’interesse del più forte. Pindemonte Delvecchio: Mio buon Adelmo, dove stai andando a parare? alla necessità di tripartire l’Urbe ponendo te stesso, in qualità di filosofo, al governo?Ontologo: Non lo faccio apposta. (sbirciando lo specchio) È che ho l’istinto del nomoteta.Monsignore: Signori miei, vi prego! Non vi accapigliate. Sia ben chiaro anche a voialtri senzadio che il fine ultimo è l’Amore divino. Declinate dunque i protagonismi personali.Eterea Flogista (alzandosi in piedi sotto lo sguardo innamorato di Armònio Uranico): Sono d’accordo con Monsignore. Ma come dobbiamo organizzarci?Sofoide Eubiotico (che intanto stava flirtando con la signorina Palumbo) Io credo che dovremmo continuare a lavorare come se nulla fosse accaduto. Insomma, il materiale prodotto nelle riunioni qui al Cortile è sufficiente per permetterci di lavorare in autonomia anche senza il Teologo. Prendiamoci tempo.Armònio Uranico: il che è anche uno spunto scientificamente rilevante. Il prendersi tempo, intendo dire. Il tempo, in sé.Buffone: Sono anche io del parere di temporeggiare. Sia mai che la scomparsa del Teologo diventi di pubblico dominio, avremmo tutte le televisioni addosso, una cosa morbosa, brr. Potremmo addirittura incappare in un qualche giornalista che ci chiede “cosa state provando in questo momento?” (enfatico) Svengo, gemo, sono nel deliquio al sol pensiero. (con tono normale) Risparmiamoci questa pornografia, signori. Per pietà.Monsignore: “La bocca del giusto esprime parole sagge, e la sua lingua parla con giustizia”. Salmi, 37:30. Beh, c’è una fazione di temporeggiatori, vedo. Altre opinioni? Pindemonte Delvecchio: io... io non capisco... questa mancanza di rispetto...

Tutti lo guardano sgomenti

Monsignore: Rispetto? Ma qui siamo nel luogo dell’apoteosi del rispetto.

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Pindemonte Delvecchio: intendevo dire, rispetto nei confronti del Teologo... ne parlate come se fosse un estraneo, un corpo da espellere, rimpiazzabile a piacimento, quando invece per molti di noi era prima di tutto... ecco... un amico (si asciuga una lacrima)Monsignore (enfatico, abbracciando Pindemonte) Ma certo, ma certo! E chi lo nega? Anzi, mi compiaccio di questo cameratismo, ma che dico, di questi veri e forti sentimenti, di questa agape che ricalca lo spirito dell’ottima enciclica Deus Caritas Est del Nostro Santissimo Padre Benedetto XVI. (pausa) E però dobbiamo anche essere pragmatici. Lozero, come siamo messi con lo spettacolo?Lozero: siamo appieno nei limiti della tabella di marcia. Dovremmo essere pronti per Natale.Monsignore: Bene, ciò significa che da qui a Natale, ossia per tutto l’autunno, dovremo essere in grado di produrre a ritmo serrato anche in caso il nostro Teologo non dovesse tornare. Il progetto del Cortile dei Gentili è troppo importante. Per quanto riguarda la polizia, aspettiamo ancora qualche giorno.

Gli ospiti del Cortile dei Gentili si guardano l’un l’altro, mormorando frasi di approvazione e assentendo gravemente col capo.

Monsignore: E allora andiamo! Siamo colti, intelligenti, eruditi! Ci piacciamo! È vero che ci piacciamo?Ontologo (balzando in piedi) Eccome!Monsignore: Su! Al lavoro! (batte le mani)

Quelli in piedi si siedono, a parte Monsignore. Tutti estraggono di tasca un notes, si fanno il segno della croce e si mettono a scrivere freneticamente. Monsignore rimane compiaciuto a guardarli, con le mani intrecciate dietro la schiena. Musica fuoricampo che cresce; si sente solo qualche stralcio di conversazione nel brusio concitato di sottofondo. Calano le luci.

Eterea Flogista: ...la formazione del legame C-H come metafora di...Armònio Uranico: ...esprimendolo in notazione di Dirac...Pindemonte Delvecchio: ...nella biblioteca di Nag Hammadi...Ontologo: ...sì, l’essere... così come si percepisce che la virtù è...Sofoide Eubiotico: ...il fenotipo estendibile cristiano, del resto...Caio Gracco: ...quel pacchetto di voti che...S.N.: ...e così parea ch’io fosse / dismesse un tempo le spoglie scosse...

Monsignore: Fermi! Fermi, in nome di Dio!

La musica di sottofondo si interrompe bruscamente. Tornano le luci in scena.

F.L.: Che succede?

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Monsignore (facendo loro cenno di tacere col dito davanti alla bocca) Ssst... mi è sembrato di sentire un rumore... un violento scalpiccio all’ingresso.

Tutti tacciono, tendendo l’orecchio.

Lozero: È vero, lo sento anche io. Si direbbe una colluttazione.Pindemonte Delvecchio: Oh cielo! Sarà mica tornato l’Ateo Folkloristico con i suoi queruli motteggi?

Adesso il rumore fuori campo si fa nettamente udibile. Tre voci maschili fuoricampo, insieme al rumore di una colluttazione.

Voce fuoricampo n. 1: Maledizione! Lasciatemi passare! Sono io, vi dico! Sono io!Voce fuoricampo n. 2: Non ti muovere, impostore!Voce fuoricampo n. 1: No, no! Acc... ecco... Ehi!Voce fuoricampo n. 2: Presto! ci è sfuggito!Voce fuoricampo n. 3: Tu a destra! io a sinistra!

Rumore di tre persone che corrono.

Monsignore (tuonando verso l’ingresso) Ma che diavolo...

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Scena IIInterno del Chiostro. Personaggi: gli stessi, due guardie svizzere, il Teologo, il servitore muto.

Il Teologo irrompe in scena, inseguito da due guardie svizzere che lo braccano proprio mentre questi arriva davanti a Monsignore. Ha la barba lunga, l’occhio spiritato. I suoi vestiti sono stazzonati: indossa dei pantaloni di lino chiari e una polo azzurra al posto dell’abito talare.

Prima Guardia Svizzera (trafelata): Chiediamo umilmente perdono, Monsignore. Questo cenciaiolo è sfuggito ai controlli.Teologo (dimenandosi per liberarsi dalla stretta delle guardie) Ehi! Quale cenciaiolo? Attento a come parli, sciagurato lanzichenecco. (a Monsignore) Monsignore, almeno Lei, mi riconosca.Monsignore fa un passo avanti, sfiora il viso del teologo, ne osserva attentamente i lineamenti.Monsignore: Maria santissima immacolata (si fa il segno della croce) (alle due guardie) Lasciatelo andare. È il Teologo.

mormorio di stupore tra gli ospiti del Cortile. Le due guardie fanno un inchino, guardando il teologo con aria stranita, abbozzano delle scuse, poi se ne vanno come se avessero visto un fantasma.

Pindemonte Delvecchio (correndogli incontro e riconoscendolo) Amico mio!Teologo (abbracciandolo) Ciao, Pindemonte. Monsignore (agli ospiti del Cortile) Nuntio vobis gaudium maximum! Ammazzate il vitello grasso! È tornato il nostro Teologo.

grida di giubilo tra gli ospiti

F.L. (tra sé) Uff, per questa volta non dovrò confezionare dossier.

Tutti si alzano e si stringono a cerchio attorno al Teologo. Sofoide Eubiotico gli porge una poltrona. Il Teologo si siede e li guarda con un sorriso enigmatico.

Monsignore: Allora, dicci! Che cosa ti è successo? dove sei stato per tutto questo tempo?Teologo (guardandolo con aria assorta) Sono stato... un po’ qui e un po’ lì.Pindemonte Delvecchio: Ci hai fatto spaventare! Stai bene?Teologo: Mai stato meglio.Monsignore: E i vestiti?Teologo (ricordandosi in quel momento che non è in tenuta d’ordinanza) Oh, l’abito, sì... Beh, dopotutto volevo girare in incognito. Un prete dà troppo nell’occhio. Mi sono comprato questi vestiti in un grande magazzino.Monsignore: E i soldi? Dal tuo conto non risultano movimenti.

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Teologo: Avevo un po’ di contante con me.Monsignore: Non risulta nemmeno che tu abbia prenotato a tuo nome alcuna stanza d’albergo. O che tu sia stato ospite in alcun convento.Teologo: Sono stato in un paio di alberghi, ma non a mio nome.Pindemonte Delvecchio (scaturito) Hai dei documenti falsi?Teologo: Come tutti. Mi sono fatto chiamare Giovanni Ferretti, come quello strano cantante e come Pio IX (ride). Potete controllare.Monsignore: Gesù benedetto.Pindemonte Delvecchio: e che hai fatto in tutto questo tempo?Teologo: io? Oh, ho letto Henry Miller (ride fragorosamente). E poi ho pensato. Ho pensato moltissimo. Ne avevo proprio bisogno (sorride, sornione)Monsignore (con aria paterna) Ma qui avevi tutto il tempo e il modo di pensare, benedetto figliolo. Sei a casa tua. Perché ti sei allontanato? E senza avvertire!Teologo (strizzando gli occhi) Eh, io... ecco... avevo bisogno di staccare la spina. Ero scosso e poco lucido. Ma vi garantisco (si alza in piedi) vi garantisco che è stata la settimana meglio spesa della mia vita. Signori, amici, romani e non: (pausa) prestatemi orecchio.

Tutti, compreso Monsignore, gli si avvicinano.

Teologo: Ho avuto modo di riflettere sulla natura del Cortile dei Gentili. Venite qui, signori miei, venite, senza timore! Ho capito che la missione paolina che abbiamo intrapreso insieme in questo chiostro non può che essere il primo passo. È ora, vi dico, di cominciare a pensare in grande.

Monsignore lo guarda perplesso ma al contempo incuriosito. Il Teologo se ne accorge e fa cenno a Monsignore che si avvicini. Gli cinge le spalle con un braccio.

Teologo (agli altri) Scusate un attimo. (bisbiglia qualcosa all’orecchio di Monsignore)Monsignore (stupefatto) No!Teologo: continua a bisbigliare, concitatoMonsignore (estasiato) Sì!Teologo: continua a bisbigliare, più tranquilloMonsignore (sorpreso) Eh!Teologo: E infine (continua a bisbigliare, stavolta accalorandosi)Monsignore (illuminandosi) Ma certo!Teologo (continua a bisbigliare; poi, con tono normale) Però per questo ho bisogno del Suo aiuto. Ci pensa Lei ad avvertire le alte sfere? Si prende questa responsabilità?Monsignore: Sì. Non dovrebbero esserci problemi. Considera l’autorizzazione come se già ti fosse stata data. (guarda orgoglioso il Teologo) Perdonami se in questi giorni ho dubitato di te.Teologo (magnanimo) Non c’è nulla di cui debba chiedere perdono. Preghiamo Dio, piuttosto, e ringraziamolo.

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Si fanno il segno della croce, con evidente soddisfazione.

Pindemonte Delvecchio: Ci volete spiegare cosa sta succedendo?Teologo (scambiandosi un’occhiata d’intesa con Monsignore, che sorride compiaciuto) È presto detto. È giunto il momento di uscire dal Cortile ed evangelizzare l’intera società.Pindemonte Delvecchio: Eh?Monsignore: A ciascuno di voi verrà assegnato un compito. Sarete latori del messaggio del Cortile.S.N. : Di quale messaggio state parlando?Ontologo: Ehi, io ho capito. Stanno dicendo che è finito il tempo dell’analisi ed è cominciato quello della sintesi.Pindemonte Delvecchio: cioè dobbiamo andare in giro a fare proselitismo tra la gente?Ontologo: Beh, come ci spiegavano sempre da giovani, il personale è politico.Teologo: Per la miseria, Pindemonte, non vi mando mica a vendere aspirapolvere porta a porta. Monsignore: Per dirla volgarmente, stiamo per infiltrarvi nelle stanze dei bottoni. Facciamo di voi dei maîtres à penser. Il nostro think Tank. Le divisioni del Vaticano.Sciantàl Palumbo: vuol dire che saremo noi quelli che fanno tendenza?Teologo: Brava.Ontologo: Giusto cielo! Saremo un soviet! Beh, una religione vale l’altra. Vada per il Soviet dei Gentili.Pindemonte Delvecchio: Scusami, amico mio, ma dove sarebbe la novità? Non è quello che avete sempre fatto? Teologo: sì, ma adesso cambiamo marcia. Passiamo ad un livello più... più intensivo, ecco. Sofoide Eubiotico (esultando) Evviva!Armònio Uranico (guardandolo di sottecchi) Ma... io... ecco... tutto questo, con la ricerca pura, quanto ha a che vedere?F.L. (ad Armònio): E basta con questo idealismo sterile, ragazzo mio. Armònio Uranico (chinando il capo): Va bene.Caio Gracco: Fuoco alle polveri! Sapevo che qui c’era da divertirsi (fregandosi le mani).

I Gentili cominciano a confabulare tra di loro, commentando con fervore. Brusio intenso.

Monsignore: Signori, signori! Un po’ di disciplina e di attenzione, per favore! (batte le mani per richiamarli all’ordine. I Gentili tacciono)Teologo: Cominciamo ad assegnare i compiti. Si parte da oggi. Voi, i tre di Erice!

Sofoide Eubiotico, Eterea Flogista e Armònio Uranico si fanno avanti.

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Teologo: Vi affido la divulgazione scientifica. Avete carta bianca. Mi raccomando. Due note case editrici cattoliche sono a vostra completa disposizione. E preparatevi ad avere una trasmissione in tv. Forse è la volta buona che riusciamo a cacciar via quei dannati scientisti degli Angela.Sofoide, Eterea, Armònio (in coro, con fare solenne): il Signore infatti dà la saggezza: dalla sua bocca provengono la scienza e l’intelligenza. Proverbi, 2:6Teologo: Benissimo!

I tre gli stringono la mano ed escono di scena, marciando come soldati.

Teologo: Lozero, che ci fai ancora qui? Pale d’altare, manifesti, flash mob, illustrazioni, tutta ma proprio tutta la comunicazione visiva! Te la senti?Lozero: (gonfiando il petto) Splendore e maestà sono davanti a lui, forza e bellezza stanno nel suo santuario! Salmi, 96:6.Teologo: Meraviglioso!

Lozero esce di corsa, agitando le braccia come un invasato.

Teologo: Signorina Palumbo!Sciantàl Palumbo (sorridendo in modo telegenico) Sì?Teologo: A lei affido un compito cruciale, ossia il rapporto con i ragazzi, “Questi giovani trovino grazia ai tuoi occhi”, 1Samuele, 25:7. Trovi un modo per rendersi accattivante. Sciantàl Palumbo: Potrei pensare ad una linea moda, o a dei gadgets a tema? Teologo: Mi rimetto alla sua competenza e al suo fascino. Dimentichi Teleguappa, sta per avere un posto alla RAI. Soltanto, una cosa...Sciantàl Palumbo (fremente per l’emozione) Sì?Teologo: Mi raccomando il look. Non dico che dev’essere castigato, ma discreto sì. Lei deve apparire come una dolce amica, ma al contempo affascinante. Attrarre, sedurre e al contempo tranquillizzare. Li faccia sentire come parte di una grande famiglia che si occupa di loro e li ama. E faccia sempre accenno alla sua ritrovata fede e a quanto la riempie di gioia.Sciantàl Palumbo (dubbiosa) Eh... uh... proverò.

Il Teologo la congeda con un cenno del capo e lei esce di scena titubante.

Monsignore: E adesso veniamo alla parte difficile...Teologo: Eh già! Qui mi ci vogliono un grande letterato e un celebre ontologo autoonfaloscopico.

S.N. e l’Ontologo si fanno avanti.

Teologo: Posso contare sulla vostra intelligenza e sulla vostra cultura, per fortuna. Perché quello che vi debbo chiedere è veramente gravoso (si fa serio)

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Ontologo: Di che si tratta?Teologo: Intendo assegnarvi la gestione del GeCaDisPa.S.N.: (strabuzzando gli occhi) Del che cosa?Monsignore (intervenendo) Del Generatore Casuale di Discorsi Papali. GeCaDisPa.

I Gentili rimasti si guardano sconcertati.

Monsignore: (aulico) sin dai tempi remoti, scrivere bolle, encicliche, discorsi vari, si è rivelato un compito improbo. Una mente umana fatica a comprenderlo. Nonostante il patrocinio dello Spirito Santo, e nonostante si possa sempre attingere dalle Sacre Scritture, è veramente difficile sfornare di continuo discorsi non (troppo) banali su ogni aspetto dello scibile umano, sapete. (disincantato) E poi lo Spirito Santo comincia ad esser vecchio e le Scritture sempre quelle. Così, un papa dietro l’altro, si è sempre fatto ricorso a uno stuolo di pensatori, esegeti, cavillatori, pazzi, quelli che adesso si chiamerebbero “creativi”. Da qualche tempo però i nostri informatici hanno messo a punto un software (mi dicono piuttosto semplice ma io non ci capisco molto) in grado di risparmiare il lavoro a tutti questi personaggi. Si tratta per l’appunto di un generatore casuale di discorsi papali.Ontologo: E l’avete mai provato?Monsignore: Qualche prova l’abbiamo fatta, ma non lo abbiamo mai utilizzato in sede ufficiale. S.N.: E come funziona?Teologo: il programma prende delle parole a caso, tra quelle teologicamente rilevanti, che ne so, Dio, Uomo, Fede, Amore, Missione, Ente, Sostanza, eccetera, e le ricombina in modo da ottenere dei discorsi di senso compiuto, o almeno dei discorsi per i quali l’esegesi non sia troppo ardua. Il problema è che il GeCaDisPa, così com’è adesso, è troppo grezzo e semplice. Non possiamo far parlare il Papa come se fosse un biglietto dei cioccolatini.Monsignore (a S.N. e all’Ontologo) E qui, secondo i piani, entrate in azione voi due. Dovete arricchire il set di parole base, di concetti, magari inserire dei testi più complessi, rivedere le bozze di Discorso Casualmente Generato quando il programma lo elabora...Teologo: Per scendere nel dettaglio: al letterato e poeta chiediamo di rendere immortale la dolcezza della lettura, di renderla profonda e piacevole; al filosofo chiediamo di farcirla di contenuti sufficientemente eruditi.

Tra i Gentili si sente un brusio di ammirazione. S.N. e l’Ontologo tacciono, col capo chino, fissando per terra. Stanno meditando.

Monsignore (a S.N.) Allora?S.N. (prendendo fiato) sgombro la mente dai dogmi avversi, a ridefinir significati m’accingo; accetto, monsignor, e già d’ora mi fingo che la prossima enciclica l’avrete in versi.Teologo: E tu, Giarretta? Che ne dici?

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Ontologo: Nostra sia la scienza delle scienze, com’ebbe a dire Platone nel Carmide. O qualcosa del genere. (estrae lo specchio di tasca e si contempla estasiato) Sì, ci sto.

Monsignore e il Teologo si congratulano con i due, che escono di scena con un nobile incedere e l’aria di chi è investito di una missione divina. Pindemonte Delvecchio si fa allora avanti.

Pindemonte Delvecchio: Suppongo che avrai pensato a qualcosa anche per me.Teologo: Naturalmente, amico mio.Monsignore (untuoso): Dopotutto il professor Delvecchio è stato il coordinatore di questa accolta di senzadio, non è così?Teologo: Certo. Quindi per te ho addirittura una rosa di opzioni: scegli quella che è di tuo maggiore gradimento. Potrai diventare il Tucidide dei Gentili, se solo lo desideri.Pindemonte Delvecchio: Sentiamo. Teologo: Busta numero uno: un ruolo al Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, con delega alla revisione storica.Pindemonte Delvecchio: mmmmh, non mi garba.Teologo: Busta numero due: responsabile della divulgazione agiografica.Pindemonte Delvecchio: c’è una terza opzione?Teologo: sì, c’è. Puoi tornare alla tua università e fare ciò che più ti piace. Dal momento che sei mio amico, ti lascio la possibilità di tornare libero. Busta numero tre.Pindemonte Delvecchio: Torno libero.Teologo (sorridendo) Non avevo dubbi. Buona fortuna, Pindemonte. È stato un privilegio lavorare con te. (lo abbraccia con calore)

Pindemonte gli stringe la mano e se ne va con garbo, come solo può una persona libera. Esce di scena. Monsignore prende da parte il Teologo con fare concitato.

Monsignore (sottovoce, al Teologo) Ma... ma che fai? Non lo trattieni?Teologo: E perché mai? Pensi a quando la notizia si saprà in giro. Il Vaticano dispensa un noto storico dal diventare un suo suddito, favorendone l’indipendenza di pensiero. A noi non interessano i servi, ma solo chi accoglie Dio liberamente, così penseranno. Questo sì è il rispetto per gli intellettuali e per la loro dignità! Monsignore: E noi ci facciamo un figurone.Teologo: Esatto. Una bella figura di persone magnanime e liberali. Per quanto riguarda i ruoli che ho offerto a Pindemonte non si preoccupi, là fuori c’è la fila di quelli che vogliono prenderne il posto mettendo a nolo la loro coscienza. Siamo in Italia, lo sa?Monsignore: sei un genio del male.Teologo: faccio solo il mio lavoro.

F.L. richiama la loro attenzione.

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F.L.: E a me, Vostre Eccellenze Reverentissime? Che mi tocca? In che modo dovrò dannarmi l’anima impugnando la verità conosciuta?Teologo: Non lo indovini?F.L. (ci pensa un po’, poi si rallegra) Potrò fabbricare dossier?Teologo: Tutti quelli che vuoi. E non solo. Prendi dei discepoli con te, istruiscili nella tua arte, giacché in verità ti dico, (pomposo) in questo momento ti ho appena nominato Prefetto Laico della Congregazione per la Dottrina dell’Obbedienza.

F.L. lo bacia in fronte ed esce correndo di scena. Rimangono Monsignore, il Teologo, il Buffone e Caio Gracco. Il Teologo squadra tutti, con un ghigno sul volto. Monsignore si siede, subito imitato dal Buffone. Caio Gracco e il Teologo rimangono in piedi, ciascuno ad un capo della scena. Il Teologo fa qualche passo avanti e indietro, studiandosi bene le pause, per acuire la tensione dell’attesa. Il Buffone sta seduto sull’orlo della poltrona, pronto a scattare in piedi. Caio Gracco ostenta tranquillità. Monsignore si rilassa e ridacchia.

Teologo: Chi altro rimane? Tu, Buffone!Buffone (mettendosi pomposamente sull’attenti) Signorsì signore!Teologo: come te la cavi nel dispensare gioia?Buffone: Gioia? Vossignoria m’offende se dubita di me: quando millanto i miei quarti di nobiltà d’animo mi piace citare il motto che caratterizza il mio blasone: “memento gaudere semper”.Teologo (ridendo) Hai pure un blasone, Buffone?Buffone (piccato) Certo che sì! Un dodo rampante rosso in campo bianco, simbolo della fuggevolezza delle cose e di quanto ne siamo tutti, più o meno, inconsapevoli.Teologo: Perfetto! Buffone, ti nomino novello Giullare di Dio.Buffone: Come San Francesco? E dovrò parlare con gli animali? Beh, se mi sono abituato con certi somari come Lozero, pensi un po’.Teologo: sì, farai il francescano, l’anima progressista e aperta. Anzi, che ne dici di scendere in politica? Tiè, così ci siamo definitivamente coperti anche a sinistra, che sono vent’anni che quelli brancolano nel buio e hanno bisogno del papa straniero. Glielo diamo noi, il papa straniero! Nessuno dice di no al Vaticano.Buffone: E volete dar loro come capo un buffone?Teologo: Perché no? per simmetria con l’altra fazione.Buffone (offeso) Ehi, Richelieu, giù le zampe dalle mie buffe ma sacerrime terga. Io, e sottolineo, io, non posso certo vantare sodali onorati del laticlavio che siano stati condannati in appello per concorso esterno in associazione mafiosa.Caio Gracco (battendogli allegramente una mano sulla spalla) Oh, quelli in caso te li rimedio io. Basta chiedere.

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Teologo: bene, allora voi due potete fare squadra. Un buffone e un bandito. Certo, non sempre è possibile averli riuniti in un’unica persona, ma si fa quel che si può. Coraggio, ora: andate a lavorare!

Caio Gracco e il Buffone escono di scena tenendosi sotto braccio.Rimangono il Teologo e Monsignore. Un tuono sordo richiama la loro attenzione verso il cielo. Entrambi si dirigono al centro della scena.

Teologo: Mah, forse verrà a piovere.Monsignore (scrutando il cielo) Può darsi, Ma secondo me non subito.Teologo (guardando il cielo a sua volta) Già, non subito.

Si sente in lontananza un altro tuono sordo. I due sembrano non farci caso.

Monsignore (facendo un gesto dietro le quinte, ossia fuori dal Chiostro, in riferimento ai Gentili): Se ne sono andati tutti, finalmente.Teologo: Già. Monsignore: E noi che facciamo? Che ruolo ci spetta in questa farsa?Teologo: Il solito. Ci muoveremo nell’ombra, amministreremo il potere. Tireremo i fili, decideremo cosa è Bene, cosa è Male. Monsignore: Mi sa che ci vuole un brindisi. Champagne?Teologo: Questa è cosa buona e giusta. (batte due volte le mani)

Il servitore muto entra in scena.

Teologo (al servitore) Due calici di champagne.

Il servitore assente col capo ed esce di scena.

Monsignore: Avrai bisogno di rimetterti i tuoi vestiti, adesso.Teologo: Sì. Vivere in borghese è stato simpatico per una settimana, ma quando si ha una missione importante come la nostra è bene vestirsi adeguatamente.Monsignore: Mi dirai mai per filo e per segno che cosa hai fatto in questi giorni?Teologo: Suvvia, Monsignore. Un uomo ha diritto ai suoi piccoli segreti.Monsignore: Supponi che io ti stia confessando.Teologo: Appunto.

Il servo rientra con i due bicchieri di champagne e un carrellino con la bottiglia nel ghiaccio. Lascia il tutto in scena e se ne va.

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Monsignore (riferendosi al servitore) Bravo ragazzo, eh?Teologo: Sì. Sa, io lo dico sempre, è un conforto che sia muto e, inoltre, discreto. È l’unico che conosce tutta la storia, l’unico che potrebbe raccontarla. Magari per iscritto. Monsignore: ma è anche molto fedele. Non lo farebbe mai. Teologo: Anche se lo facesse, chi gli crederebbe? Monsignore: La gente crede a tante cose.Teologo: Sì, ma sarebbe comunque la sua parola contro la nostra. Lo distruggeremmo.Monsignore: È vero. E poi nessuno legge più, oggidì. (breve pausa) E allora brindiamo al nostro successo.Teologo (alzando il calice) A noi.Monsignore: A noi. Nei secoli dei secoli.Teologo: Amen.

Bevono. Posano i calici sul carrello, si scambiano delle cordiali pacche sulle spalle ed escono di scena ridendo contenti. Musica di sottofondo, in crescendo. Rientra in scena il servitore muto, comincia a spingere il carrello fuori scena. Controlla attentamente da dove sono usciti il Teologo e Monsignore e sorride. Poi guarda il cielo. Un altro tuono sordo, e comincia a piovere. Il servitore esce di scena sorridendo.

Giù il sipario.

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