Una citazione di G. A. Cesareo (e la Poesia siciliana degli Svevi) in una recensione di E. Montale

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Studi linguistici in memoria di Giovanni Tropea a cura di Salvatore Carmelo Trovato Edizioni dell’Orso Alessandria

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Una citazione di Giovanni Alfredo Cesareo (e la Poesia siciliana degli Svevi) in una recensione di Eugenio Montale. Data: 2009 Editore: dell'Orso, Alessandria In: Studi linguistici in memoria di Giovanni Tropea; a cura di Salvatore Carmelo Trovato Autore: Stefano Rapisarda

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Studi linguistici in memoria di

Giovanni Tropea

a cura di Salvatore Carmelo Trovato

Edizioni dell’OrsoAlessandria

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ISBN 978-88-6274-128-6

Questo volume è stato realizzato col contributo del Magnifico Rettore dell’U ni -ver sità di Catania e dell’Amministrazione Comunale di Sant’Alfio (CT)

In copertina:Il “Castagno dei cento cavalli” a Sant’Alfio, da H. Swin burne (XVIII sec.)

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In uno dei recenti “Meridiani” Mondadori che raccolgono le prose giorna-listiche ‘disperse’ di Eugenio Montale1, si può leggere un’interessante recen-sione a un libro che all’atto della pubblicazione, nel 1948, suscitò un discretoclamore e che, a giudicare dalla recente ristampa Sellerio2, non sembra alienoancora oggi, a distanza di più di 50 anni, dal sollecitare elementi di interessepolitico. È un libro dal titolo Cos’è questa Sicilia? (saggio di analisi psicologi-ca collettiva), scritto da Sebastiano Aglianò, «giovane professore» siciliano dicui Montale conosceva «soltanto qualche pagina di critica foscoliana» e chepure attira l’attenzione del recensore rispetto al problema se possa «fondata-mente la Sicilia aspirare, oltreché ad una autonomia amministrativa, anchead una separazione politica che sia vantaggiosa o anche soltanto ragionevo-le»3.

1 E. MONTALE, Il secondo mestiere. I. Prose 1920-1979, 2 tomi a cura di G. Zampa, eII. Arte, musica, società, t. I a cura di G. Zampa e t. II, di Indici delle opere in prosa acura di F. Cecco e L. Orlandi, con la collaborazione di P. Italia, Milano 1996, Mon -da dori.2 Il volume fu stampato dall’editore Mascali di Siracusa, poi da Mondadori col titoloQuesta Sicilia (1950) e infine riproposto da Sellerio nel 1996 col titolo originale. Quila paginazione è riferita alla prima edizione.3 MONTALE, Il secondo mestiere. II. Arte, musica, società, cit.: 49-52. Si direbbe unasemplice curiosità il fatto, che pure potrebbe aver incuriosito Montale, che Aglianò lociti, instaurando una sorta di inattuale ‘determinismo’ ambientale, tra i poeti e criticiermetici provenienti da regioni mediterranee o meridionali o insulari di espressione‘scarna e sintetica’: «Così per lui [il Siciliano] è sufficiente affidare ad un gesto il con-tenuto di pensieri complicati (è nota la mimica siciliana), e generalmente la suaespressione è scarna e sintetica, dà un ampio margine alla fantasia di chi ascolta.Caratteristiche simili hanno gli abitanti delle regioni prevalentemente mediterranee omeridionali o insulari, che sono state estranee alla civiltà dell’umanesimo, e cioè allaciviltà dell’espressione chiara e compiuta. Non è un caso che di qui siano venuti molticultori della poesia e della critica ermetica, forse i più caratteristici rappresentanti.

Stefano Rapisarda (Catania)

Una citazione di Giovanni Alfredo Cesareo (e la Poesia siciliana sotto gli Svevi) in una recensione di Eugenio Montale

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La recensione di Montale, che peraltro si inserisce in una terna di recen-sioni di interesse ‘meridionalistico’4, è evidentemente indotta dall’essere illibro dedicato a uno dei problemi politici più urgenti dell’Italia liberata – edelle urgenze del presente, potremmo aggiungere: quello dell’arretratezzameridionale e dell’‘alterità’ siciliana in particolare, in un momento nel qualeperaltro si manifestavano già maturi fermenti di anticentralismo in varie partidella penisola e in Sicilia in particolare e qui si declinavano in tutte le sfuma-ture intermedie, dall’autonomia fino alla estrema variante separatista diAndrea Finocchiaro Aprile, da Montale altrove definito «separatista e perciòsudista fino alla sudiceria»5.

Nel libro di Aglianò il punto di vista è quello di un siciliano che dopo unlungo periodo di assenza torna alla propria isola. Le esperienze che nel frat-tempo ha maturato suscitano in lui, pur nella gioia del ritorno, un senso dispaesamento e vaga estraneità, che lo inducono a interrogarsi sulle peculia-rità dell’isola, e sul suo futuro, non solo storico-politico ma anche ‘antropo-logico’. Aglianò mira a mettere in evidenza il fatto che, pur essendo la Siciliain origine «una terra di civiltà orientale o africana o mediterranea; comunquelontana dalla civiltà umanistica dell’Italia meridionale e centrale»6, il suodestino non è ‘insulare’ o peggio ‘separatista’, ma essa «tende come per fatali -tà verso l’Italia»7. Per dimostrare l’assunto, Aglianò passa in rassegna con af -fet tuosa ma impietosa acutezza, da ‘sinistra’8, alcuni caratteri peculiari dellapsicologia colletiva del ‘popolo’ siciliano: la donna, la strada, la casa, la fami-glia, la ‘roba’, il carattere9. Interessante leggere qualche passo della recensio-ne:

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Quasimodo è siciliano, Ungaretti è lucchese di origine, ma di formazione mediterra-nea, Bo è sardo, Macrì è pugliese, Montale è ligure; e siciliano è Vittorini, che se pro-priamente non si può dire ermetico ha tuttavia dell’ermetismo l’essenzialità dellaparola, il giuoco di riferimenti astratti e il tono allusivo», AGLIANÒ, Cos’è questaSicilia?, cit.: 69-70. 4 V. almeno, oltre alla recensione di Aglianò, quelle dedicate a Cristo si è fermato aEboli di CARLO LEVI, Un pittore in esilio, in Il secondo mestiere. II. Arte, musica,società, cit.: 32-7 e L’Italia rinunzia? di CORRADO ALVARO, ivi: 38-42.5 Così ancora MONTALE, ivi: 40. L’articolo-recensione L’Italia rinunzia? vale peraltroa Montale una polemica con lo scrittore meridionalista Mario La Cava, a propositodella quale v. anche l’articolo Nord-Sud in MONTALE, Il secondo mestiere. I. Prose1920-1979, cit.: 628-29.6 AGLIANÒ, Cos’è questa Sicilia?, cit.: 128. 7 Ivi: 138.8 Ivi: 16: «L’unica salvezza dell’isola sta sulla sinistra, decisamente sulla sinistra».9 Il capitolo «La donna» per esempio parrebbe avere precisi rapporti, anche docu-

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Il caso di Sebastiano Aglianò, quale trapela più per accenni che per distesoda questo suo recente e curioso volumetto di psicologia collettiva (Cos’è que-sta Sicilia, Siracusa 1945, Mascali) è singolare senza per questo apparire ina-spettato a chi conosca qualcosa degli uomini e dei problemi della Sicilia.Vissuto per più anni nell’Italia del nord, o del centro, e forse anche all’estero,l’Aglia nò, giovane professore di cui conoscevo soltanto qualche pagina di criti-ca foscoliana, è rientrato nell’isola materna, probabilmente dopo i fatti inizia-tisi col tragico settembre ’43, e forse per ragioni di forza maggiore; è rientratoa casa sua, dopo anni di separazione e di esperienze, e nell’isola non si è rico-nosciuto più, come certo sperava. Si è trovato fuori del mondo, o almeno fuoridella storia viva. Gli anni del distacco avevano maturato in lui un problemache si chiama Sicilia e ch’egli cerca ora, in queste pagine, di chiarire più a sestesso che agli altri. Gli è venuto fatto così di scrivere un’operetta insolita eassai soggettiva, alla quale egli ha anche tentato di conferire una certa unitàesteriore raggruppando i vari nodi d’indagine sotto diverse voci (la donna, lastrada, la casa, la famiglia, la “roba”, il carattere) fino all’ultima domanda cheriassume e cerca di risolvere il libro: una civiltà diversa?

E più avanti:

Costituisce essa dunque, si chiede Aglianò, come abbiamo visto, una civiltàdiversa da quella della penisola? Esiste una verità siciliana, una cultura sicilia-na irriducibile a quella del nord? In altre parole: può fondatamente la Siciliaaspirare, oltreché ad una autonomia amministrativa, anche ad una separazio-ne politica che sia vantaggiosa o anche soltanto ragionevole? La sua risposta ènegativa. “L’isola tende come per fatalità verso l’Italia.” E questa fatalità èsoprattutto linguaggio e cultura, due fatti, anzi un fatto solo, che dimostral’assoluta insussistenza di una autonomia spirituale siciliana. Se esiste ancoraqualcuno che vede, come vedeva il Cesareo, nelle poesie dei dugentisti sicilianiuna semplice volgarizzazione di poesie nate in un originale siciliano oggi per-duto, tra questi non è certo l’Aglianò il quale, osservato che “la Sicilia si vol-garizzò, con caratteristiche fonetiche fondamentalmente italiche, sul ceppodella grecità”, scrive giustamente che questo rimarrebbe un miracolo “se nonsi pensasse a un sentimento comune di attrazione verso la penisola”.

Montale cita qui Giovanni Alfredo Cesareo (Messina 1860-Palermo 1937),una delle figure più importanti della filologia italiana a cavallo tra Otto eNovecento: docente universitario e storico della letteratura, ma anche poeta,scrittore di teatro, critico ‘militante’, giornalista e polemista10. Sono citazioni

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mentabilmente intertestuali, con molte pagine di Brancati sulla ‘donna’: «Dominanoimpulsi indistinti» [che] «si ripetono con instancabile monotonia […] Ogni contattodi un certo interesse ha risonanze esagerate», ivi: 32. 10 Ne riportiamo un breve profilo biografico, a cura di P. PERILLI, in Enci clo pedia di

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non particolarmente ammirative, nelle quali Montale riconosce tuttavia alpoeta-filologo palermitano un’emblematicità nell’ambito della generazioneprecedente la propria. Lo annovera tra i poeti ‘ufficiali’ dell’Italia inizio seco-lo, per quanto la sua produzione non sia da sopravvalutare, cosa che inveceaccade – a parere di Montale – nel giudizio critico di Arnaldo Momi gliano11.Cesareo è da annoverare tra gli “artefici della ‘vecchia guardia’” della poesiaitaliana.

Così nel Cesareo dei Colloqui con Dio, ormai lontano dalla fresca sensua-lità delle Occidentali, possiamo ammirare nobiltà di pensiero, ansia di fede, edeletta – benché talora ingrata – tessitura del verso: ma codesta poesia cheappare prima pensata astrattamente, ‘a secco’, e poi ‘messa in versi’, riesceinnegabilmente lontana dalle nostre aspirazioni;12

e ancora:

nei Colloqui con Dio, G.A. Cesareo ha fornito un nuovo saggio di quella suapoesia di pensiero che confina troppo spesso con l’eloquenza rimata, ma non èper questo meno degna di attenta considerazione.13

A riprova della valutazione montaliana del ruolo di Cesareo nella poesia ita-liana a cavallo tra Otto e Novecento sta un dato significativo: in un abbozza-

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Sicilia, a cura di C. NAPOLEONE, Parma 2006, Ricci: 276: «Laureatosi nella sua cittàin Giurisprudenza, fu costretto nel 1882 a lasciare temporaneamente l’insegnamentoper aver pubblicato una poesia in onore di Oberdan; e si trasferì a Roma, collaboran-do attivamente alle migliori riviste mondane e culturali di quel periodo squisitamentedannunziano: la “Cronaca bizantina”, “Capitan Fracassa”, etc. Trascorse poi – comePirandello – un periodo di studio e perfezionamento filologico a Bonn, tornando ainsegnare in Italia: prima a Roma, dal ’94, poi a Messina e Palermo, dove ebbe la cat-tedra di Letteratura italiana, che tenne sempre in ottemperanza della scuola storica,in velata polemica con la critica di stampo idealistico. Nel 1924 fu nominato senato-re. Tra i suoi volumi Le origini della poesia lirica e la poesia siciliana sotto gli Svevi(1899 e 1924), Storia della letteratura italiana (1908), Gaspara Stampa donna e poetes-sa (1920). Più trascurabili i versi, i drammi e i racconti: fu una poesia, la sua, ondeg-giante tra Carducci e Rapisardi, con melodiche e visionarie sfumature antidannunzia-ne in realtà perfettamente intonate alla vaporosa e luminescente aura dell’epoca(Sotto gli aranci, 1881; Don Juan, 1883; Le occidentali, Gli Inni, Le consolatrici, inPoesie, 1912; I canti di Pan, 1920; I poemi dell’ombra, 1923). Anche il suo teatro inse-guiva il destino di forti eroine o la voce di struggenti inquietudini, storiche e sociali(Francesca da Rimini, Mafia, La Sanfelice, La morta)».11 MONTALE, Il secondo mestiere. I. Prose 1920-1979, cit.: 306.12 MONTALE, Il secondo mestiere. II. Arte, musica, società, cit.: 1948-49.13 Ivi: 1959.

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to ma non realizzato progetto di antologia di poesia italiana del Novecentoche Montale va elaborando con Angiolo Orvieto, il nome di Cesareo compa-re tra gli antologizzandi14.

Quel che qui ci preme comunque sottolineare non è l’eventuale attenzionedi Montale nei confronti di Cesareo poeta bensì il fatto che, per rappresenta-re un atteggiamento di ‘sicilianismo’ culturale, Montale cita le tesi di Cesareo.Il riferimento va evidentemente alla Poesia siciliana sotto gli Svevi del 1894 ea Le Origini della poesia lirica in Italia del 1899 che nel 1924 Cesareo, dopo lanomina a Senatore del Regno da parte di Benito Mussolini, aveva ripubblica-to unificandoli in un ponderoso volume che recava il titolo di Le origini dellapoesia lirica in Italia e la poesia siciliana sotto gli Svevi15.

È una citazione nella quale la simpatia culturale e politica di Montalesembra piuttosto rivolta verso le opinioni ‘non ristrettamente siciliane’ diAglianò. ll fatto che Montale associ Cesareo a un sicilianismo ‘ristretto’ con-trapponendolo a uno ‘aperto’ che guarda verso l’Italia è forse una lettura unpo’ sbrigativa: è vero che Cesareo non è del tutto esente da qualche vizioideologico che lo spinge a tentativi di retrodatazione sostanzialmente mirantia stabilire un ‘primato’ cronologico dei Siciliani o una sottovalutazione del-l’influenza della lirica occitanica sulla siciliana, ma sono posizioni pressochéovvie nella filologia fine-ottocentesca16 (di ciò lo accusava Alfred Jeanroy inuna recensione su «Romania» rimproverandolo di «sentimentalisme patrioti-que»)17, ma in realtà la posizione di Cesareo è complessivamente moderata e– per comune consenso – avviata a mettere sul giusto binario la questionedella lingua dei poeti della Magna Curia; è Cesareo, com’è noto, a sistematiz-zare la teoria del volgare siciliano illustre depurato dalle forme ‘dialettali’,

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14 Ivi: 1966.15 A Cesareo è stato dedicato qualche anno fa un convegno celebrativo i cui atti costi-tuiscono la più importante messa a punto della sua figura e della sua collocazioneintellettuale nell’Italia a cavallo tra Otto e Novecento: «Convegno nazionale di studisu “Giovanni Alfredo Cesareo. La figura e l’opera dalla Scuola poetica siciliana alNovecento” (Palermo, 28-30 marzo 1988)», a cura di G. SANTAN GELO, Palermo,1990, Società Siciliana per la Storia Patria.16 Mi permetto di rinviare al mio Dante nelle campagne di Mineo e altre imposturesiciliane, «Atti del XXXII Convegno Interuniversitario Contrafactum. Copia, imita-zione, falso», Bressanone/Brixen (BZ), Casa della Gioventù dell’Università di Pado -va, 8-11 luglio 2004, Padova, 2008, Esedra: 325-52.17 «Romania», XXIX (1900), cit. in AURELIO RONCAGLIA, Giovanni Alfredo Cesareoe le origini della lirica in Italia, in Giovanni Alfredo Cesareo. La figura e l’opera dallaScuola poetica siciliana al Novecento, cit.: 47-64 (la cit. a p. 54). Osserva Roncaglia, aproposito dell’accusa di ‘patriottismo’, che lo stesso Jeanroy «in fatto di nazionali-smo non la cedeva a nessuno», ibid.

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che, fatto salvo l’agnosticismo circa la non-determinabilità delle forme ‘sici-liane’ rispetto alle ‘toscane’ attestate nei manoscritti, nella sua sostanza pos-siamo dire accettata anche oggi18.

Quel che mi interessa mettere in rilievo in questa brevissima nota è il fattoche Cesareo sia percepito, da parte di un lettore colto anzi coltissimo comeMontale ma non ‘filologo’ accademico, come promotore della teoria ‘sicilia-nista’ e centro del ‘canone’ sino almeno alla metà degli anni ’50. È una posi-zione che nel mezzo secolo successivo sarà piuttosto occupata dalla filiazioneSantangelo-Panvini19, entrambi ben più spinti di Cesareo in direzione ‘sicilia-nista’. È dopo la pubblicazione della fondamentale edizione Olschki deiSiciliani che Bruno Panvini diventa a sua volta il centro del canone ‘siciliani-sta’; anzi, spostando addirittura in avanti il limite del ‘siciliano’ e tentandonella prima edizione delle ipotesi di retroversione, che, se non m’inganno,Cesareo non aveva nemmeno azzardato20.

E, sia detto per quel che riguarda la storia delle intersezioni tra filologia eideologia, è probabile che non sia un caso se Panvini elabora la sua primaedizione, quella che diremmo ‘iper-sicilianista’, proprio nei primi anni di vitadella Repubblica, quelli del più acceso fervore autonomista, in cui la Siciliaottiene la qualifica di Regione a Statuto speciale. A differenza di quello poli-tico, la storia dell’‘iper-sicilianismo’ filologico sarà invece di breve periodo, segià nella seconda edizione le retro-traduzioni, così ingenuamente fiduciosenei confronti della ricostruibilità formale di una lingua medievale e del suosistema rimico, verranno eliminate.

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18 «L’apporto del Cesareo alla soluzione del problema linguistico concernente i testipoetici della Scuola siciliana è il punto di partenza dichiarato di tutta la criticamoderna», ivi: 58. E di seguito Roncaglia, pur indicando qua e là singoli punti supe-rati o addirittura erronei nel libro di Cesareo, ribadisce continuamente la «correttez-za sostanziale della sua impostazione», ibid.19 Si fa riferimento soprattutto a S. SANTANGELO, Le tenzoni poetiche nella letteratu-ra italiana delle Origini, Genève, 1928, Olschki; B. PANVINI, La scuola poetica sicilia-na. Le canzoni dei rimatori nativi di Sicilia, Firenze, 1955, Olschki; ID., La scuola poe-tica siciliana. Le canzoni dei rimatori non siciliani, Firenze, 1957-58, Olschki, 2 voll.;ID., Le rime della scuola siciliana. I. Introduzione, testo critico, note. II. Glossario,Firenze 1962-64, Olschki; ID., Poeti italiani della corte di Federico II, Napoli, 1994,Liguori.20 ID., Le rime della scuola siciliana. I. Introduzione, testo critico, note, cit., “Ap -pendice II. Ritraduzione siciliana”: 293-386, fra cui ad es. L’amurusu vidiri eD’amurusu paisi di Tommaso di Sasso: 333-36 o un Poi c’a vui placi, amori di Fe -derico II: 363-65.