Il parto cesareo

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Negli ultimi anni alcuni Paesi hanno registrato un allarmante incremento dei parti con taglio cesareo, al punto che per molti costituisce addiritura il modo più frequente di nascere. Senza alcun dubbio questa “cultura” non tiene conto delle conseguenze psicologiche, oltre che fisiche, tanto per la madre quanto per il figlio. Contro questa tendenza, il presente saggio intende incoraggiare le madri a ritrovare la fiducia nel proprio corpo e recuperare la dignità della nascita.

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PREFAZIONE ALL’EDIZIONE ITALIANA

di Michel Odent

Il libro di Ibone Olza ed Enrique Lebrero Martínez ci aiuta a capire una svolta senza precedenti nella storia dell’umanità. Fino a un’epoca recente – sebbene tutte le società umane abbiano sempre profondamente scon-volto l’evento del parto – per mettere al mondo un bambino, una donna era obbligata a contare sulla liberazione di un vero e proprio cocktail di “ormoni dell’amore”.

Per varie ragioni, all’alba del XXI secolo non è più così.Da un lato, il cesareo è diventato un intervento rapido, facile e sicuro.

Dall’altro, l’incapacità culturale di capire la fi siologia del parto ha raggiun-to un limite estremo negli ultimi decenni. Per consuetudine, la sfera cultu-rale interferisce con i processi fi siologici attraverso credenze e rituali che si tramandano. Ma, dall’inizio del XX secolo, teorie cosiddette scientifi che hanno preso il posto dei riti. Direttamente o indirettamente, le teorie dei rifl essi condizionati di Pavlov hanno fortemente infl uenzato tutti i metodi di nascita naturale. Gli studiosi della scuola di Pavlov (e i loro discepoli occidentali, come Lamaze) hanno trasmesso il concetto che, per ridurre le inibizioni di origine culturale, che rendono il parto diffi cile e pericoloso, si dovesse per prima cosa “ricondizionare” la donna. Ciò signifi ca prepararla a partorire e insegnarle, in particolare, a respirare e a spingere. Ci si è ul-teriormente allontanati dalla nozione di parto come processo involontario. La partoriente è spesso diventata membro di un’équipe che comprende una guida (un coach) che ha il ruolo di controllare razionalmente il ritmo della respirazione, il modo di spingere, le posizioni ecc. L’errore iniziale è stato quello di non capire che la natura aveva già il sistema per ridurre gli effetti delle inibizioni di tipo culturale: durante il parto, la neocorteccia (la parte

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razionale del cervello) deve sospendere la propria attività. È quindi meglio evitare di stimolare la neocorteccia di una donna durante il travaglio, so-prattutto attraverso il linguaggio.

Inoltre, le esigenze statistiche sono attualmente diverse da quelle di qualche decina d’anni fa.

In un simile contesto non sorprende che in molti Paesi – comprese alcu-ne regioni italiane – il cesareo sia già divenuto un modo abituale di mettere al mondo un bambino. E non stupisce nemmeno che in tutto il mondo la curva del tasso di cesarei sia in crescita. Dobbiamo preoccuparci?

No, se prendiamo in considerazione unicamente gli abituali criteri di va-lutazione delle pratiche ostetriche (come il tasso di mortalità o di patologie perinatali, il tasso di patologie della madre e il rapporto costo-effi cacia). Così si spiega che certi ambienti medici diano per scontata la prospettiva di un’umanità nata con il cesareo.

Ma non è così per coloro che intuiscono la complessità delle domande che si pongono oggi. E nemmeno per coloro che sono consapevoli dell’im-portanza dei dati forniti dalle discipline che concorrono a quella che abbia-mo defi nito “la scientifi cazione dell’amore”. E neppure per coloro che han-no la capacità di pensare a lungo termine e di pensare in termini di civiltà.

Allorché un evento che riguarda la vita di tutti gli esseri umani viene im-provvisamente trasformato, bisogna ragionare in termini di civiltà. È questo a fare una sostanziale differenza tra gli umani e gli altri mammiferi. Una femmina (non umana) di mammifero che partorisca con il cesareo non si interessa al proprio neonato (ad esempio, un piccolo di scimmia nato con il cesareo sopravvive solo se accudito da esseri umani): nei mammiferi non umani che partoriscono in modo non naturale si registrano conseguenze incredibili e facilmente identifi cabili a livello individuale.

Invece, milioni di donne si prendono cura del proprio bambino dopo un cesareo. Non bisogna preoccuparsi per un bambino che debba la vita al cesareo. Tutto è più complesso nella nostra specie, perché noi abbiamo il linguaggio e creiamo àmbiti culturali. Pertanto è comprensibile che in certe situazioni, e specialmente nel periodo perinatale, i comportamenti umani siano meno infl uenzati dagli ormoni liberati dalla madre e dal bambino che da fattori culturali. Ad esempio, una donna sa quando è incinta e può assu-mere da subito un comportamento materno, mentre una femmina di scim-mia deve aspettare il giorno in cui libererà un fi otto di ormoni dell’amore

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per interessarsi del suo piccolo. Ciò non vuol dire che non abbiamo nulla da imparare da una scimmia. Essa, infatti, ci suggerisce le domande che dobbiamo porci circa la nostra specie: quando si tratta di umani, bisogna sempre aggiungere la parola ‘civiltà’ alle domande.

Possiamo quindi concludere dicendo che, se la scimmia non si interessa del suo piccolo dopo un parto cesareo, la domanda da porsi è: “quale sarà il futuro di un’umanità nata con il cesareo?” Formuliamo la domanda in modo ancora più esplicito: “come si evolverà il genere umano quando gli ormoni dell’amore saranno diventati inutili?

Michel Odent

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PREFAZIONE

di Casilda Rodrigáñez Bustos1

Credo che noi donne stiamo cominciando a prendere in mano la respon-sabilità della nostra maternità. Non c’è da meravigliarsene, trattandosi di una tappa molto importante della nostra vita sessuale nonché di uno degli eventi emotivi e intimi più importanti della nostra esistenza, che spesso ci “cambia la vita”, ci sorprende e ci sconvolge in modo apparentemente in-comprensibile. Vogliamo recuperare la saggezza ancestrale e la capacità del nostro corpo di partorire e di allevare le nostre creature, e vogliamo inoltre stabilire un dialogo con la medicina. Questo libro ne è un valido esempio.

Da un lato la medicina, con tutti i suoi progressi, offre grandi possi-bilità per consentire una buona nascita. Ma dall’altro tali progressi sono stati raggiunti senza tener conto del fatto che nascere e partorire sono un atto che appartiene alla sfera della sessualità e dell’intimità di due perso-ne. La medicina si è concentrata su come ottenere un parto e una nascita i più sicuri possibili, ignorando tuttavia tutto ciò che entra in gioco nella sfera emotiva e psichica della madre, del bambino e fra entrambi questi soggetti. Questo è stato il grande errore, poiché la fi siologia del parto dipende dallo stato emotivo della madre. Si perde quindi la prospettiva dell’autoregolazione del processo del parto, nel quale l’aspetto psicologi-co, quello sessuale e quello fi siologico vanno di pari passo e si interviene sulla disfunzione del processo aggravandola invece di tentare di ristabi-lirla. La medicina dovrebbe intervenire solo in presenza di parti proble-

1 Autrice insieme ad Ana Cachafeiro de La represión del deseo materno y la génesi del estado di sumisión inconsciente, Móstoles, Nossa Jara Editores, 1995.

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matici, non come norma protocollare, e in tal caso sempre con l’obiettivo di tentare con tutti i mezzi di ristabilire il processo naturale fi siologico, il che signifi ca considerazione e rispetto per quella stretta unione fra la sfera emotiva, quella psicologica e quella fi siologica del corpo della donna; in altre parole, rispetto verso l’integrità e l’intimità della donna.

Come si riferisce in questo libro, i progressi della chirurgia del parto cesareo offrono apparentemente un modo sicuro e rapido per nascere. Questo, che avrebbe potuto essere un magnifi co risultato per i parti ve-ramente a rischio o impossibili come quelli che presentano una placenta previa, si è convertito in una motivazione per ridurre ancora di più le possibilità di parto fi siologico e di recupero della capacità del nostro corpo di partorire.

Credo che l’abuso e il modo irrispettoso (che solitamente vanno di pari passo) del cesareo come apice della medicalizzazione normalizzata della maternità, abbia messo noi donne davanti a un bivio ineludibile di fronte al quale non possiamo rimanere impassibili. È come la goccia che fa traboccare il vaso. Perché il fenomeno dell’abuso generalizzato del cesareo mette in questione la medicalizzazione normalizzata della maternità che l’ha generata.

Se ci pensiamo bene, il cesareo comincia quando la donna va dal gine-cologo al primo controllo prenatale e pone la sua stessa maternità sotto la direzione medica. È proprio nel momento in cui la fi ducia nel proprio corpo si trasferisce nelle mani della medicina che inizia il cesareo. Sono convinta che siamo in un momento di recupero della maternità e questo richiede la creazione di una cultura nuova della maternità, la quale sappia riconoscere che la “direzione” del processo di maternità viene condotta dal corpo stes-so: il corpo inteso non come contenitore asettico, bensì come unità psico-somatica, in cui l’aspetto fi siologico, quello sessuale e quello emotivo della donna sono un tutt’uno.

I nostri corpi sanno partorire e l’utero si può aprire dolcemente e len-tamente, senza crampi, come dice Leboyer. La medicina, per sapere stare al suo posto, per conoscere il luogo che le spetta nella maternità, dovrebbe dare la mano alla sessuologia e in questo modo comprendere che cosa sia un parto, come funziona la sua fi siologia, da cosa dipende che trovi il pro-prio ritmo e che il processo si sviluppi in modo piacevole, dolce:

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Invece di contrarsi “in blocco e brutalmente”, l’utero lo fa lentamente, progressivamente e quasi con dolcezza. Quando la contrazione arriva al suo punto limite, osserviamo come, dopo una pausa che, benché breve, è pur sempre ben nitida, l’utero si rilassae lo fa con la stessa estrema lentezza, la stessa progressività,à,àcon una nuova pausa in totale riposo. Questa lentezza, paragonabile solamente ai movimenti volutamente lenti del tai-chi-chuan, fa stai-chi-chuan, fa stai-chi-chuan ì che le contrazioni, viste nel loro complesso, assomiglino alla respirazione lenta, profonda e completamente serena di un bambino che dorme e gode di un riposo senza pari. …I primi piani che mostrano il ventre della donna, non danno adito a dubbi circa la realtà di queste contrazioni. A loro volta, i primi piani del suo viso mentre avanza nel travaglio, esprimono con eloquenza che questa giovane donna, invece di “contorcersi per il dolore” avanza lentamente verso l’“estasi”. 2

La modalità di dilatazione dell’utero di cui ci parla Leboyer, apre un cammino di speranza alle donne e rappresenta al tempo stesso una sfi da per tutti gli addetti ai lavori che operano nell’ambito della maternità.

In questo cammino di recupero della maternità, abbiamo ancora davanti molti, moltissimi cesarei. Per questa ragione questo libro è indispensabile: 1) per sapere cosa sia un cesareo, 2) per sapere quando è giustifi cato e quando no, 3) per cambiare medico in tempo se le sue spiegazioni non ci convincono, 4) affi nché, se ci troviamo davanti ad un cesareo giustifi cato e necessario, sappiamo che può essere effettuato rispettando gli aspetti più importanti per noi e per il nostro bambino: l’incontro, il momento dell’imprinting, l’inizio di un rapporto una volta che la creatura è uscita dal nostro ventre.

2 Frederick Leboyer, Diario di una nascita, Fabbri, Milano 1996.

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Come si espone in questo libro, quando si esegue un cesareo rispettoso, l’imprinting e lo stato di beatitudine della madre e del suo bambino possono imprinting e lo stato di beatitudine della madre e del suo bambino possono imprintingavvenire in modo uguale o quasi uguale che in un parto vaginale.

Questo è il messaggio cruciale e pieno di speranza per le donne che deb-bono sottoporsi in futuro a un cesareo. È indispensabile che tutte le donne sappiano che il cesareo rispettoso è possibile: è solo necessario riconoscere che la nascita è un atto che appartiene alla sfera della sessualità e della vita intima di due esseri.

Questo libro contiene delle informazioni che, visto lo stato attuale del-le cose, considero imprescindibili per le donne che desiderino rimanere incinte o che già lo sono. Perché chiunque si reca a partorire in un ospe-dale o in una clinica, può incorrere in un cesareo e ciò che è in gioco è troppo importante per la vita di una donna e del suo bambino da poter essere trascurato. Fino ad ora il vuoto informativo si stava colmando nei forum Internet (www.elistas.net/lista/apoyocesareas, www.elistas.net/li-sta/elpartoesnuestro, ecc.) ma siamo ancora in molte a non avere assi-milato questo mezzo fra le nostre fonti di informazione. Inoltre questo libro offre un compendio ordinato e scientifi camente sostenuto e, fatto di estrema importanza, è allo stesso tempo accessibile a qualsiasi livello di conoscenza delle donne.

Grazie Ibone e grazie Enrique; prima di tutto per il libro, perché avete creato uno strumento di aiuto per le donne, uno strumento di una necessità impellente. E poiché ho l’onore (che è perfettamente attinente e che con-sidero una prova di amicizia) di scrivere il prologo di questo stesso libro, voglio ringraziarvi a nome di tutte le donne che questo libro salverà dal disastro: grazie per questo sforzo a tutti i livelli: di ricerca, di raccolta di dati, di tempo e, soprattutto, di onestà e di sensibilità etica, cose che, sfor-tunatamente, scarseggiano nel nostro mondo. Sicuramente avete investito il vostro sforzo in quanto di più importante, grande e gratifi cante ci sia a questo mondo: la nascita senza violenza, il recupero della maternità.

Casilda Rodrigáñez Bustos La Mimosa, giugno 2005

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3 Ibidem.

Cosa fa soffrire la donna che dà Cosa fa soffrire la donna che dà Cosa fa soffrire la donna che d alla luce?La donna soffre a causa delle contrazioni…Delle contrazioni che non fi niscono mai e che fanno un male atroce,ma questi sono crampi!Tutto il contrario delle “contrazioni adeguate”…Quelle che fi no ad ora erano state scambiate per “contrazioni adeguate”erano contrazioni altamente patologichee della peggiore qualitàChe sorpresa!Che rivelazione!Che rivoluzione in erba! 3

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BREVE STORIA DEL CESAREO

Sognavamo di partorire i nostri fi gli molto prima di rimanere incinte. Forse dal giorno in cui ci è arrivata la prima mestruazione, o prima ancora. “Sei una donna, ormai”, ci hanno detto. E, in fondo, sapevamo che questa sentenza racchiudeva un tesoro, una forza, una promessa: un giorno potre-mo dare alla luce. E, inevitabilmente, la fantasia: partorire, procreare, allat-tare. Immagini che portiamo nel nostro inconscio sin da quando eravamo molto giovani, sin da quando eravamo bambine.

Siamo cresciute, abbiamo imparato, abbiamo vissuto e, a un certo punto, abbiamo amato. Desideravamo un fi glio, o forse no. Siamo rimaste incinte. Ci siamo sorprese. Siamo ingrassate, ci siamo arrotondate, il nostro corpo è stato sconvolto… e abbiamo sognato di nuovo. Abbiamo sognato di par-torire. Partorire con amore, partorire velocemente, accovacciate o sdraiate, in casa o all’ospedale, con nostro marito o con nostra sorella, gridando o in silenzio, sotto la luce delle lampade o nella penombra delle candele. Ge-mendo di dolore o anestetizzate. Con paura o ridendo, ma sempre, alla fi ne, con un abbraccio, con un bambino che piangeva e che era nostro fi glio, con le nostre lacrime nel vedere fi nalmente il suo viso e poterlo annusare.

Tuttavia, quasi nessuna di noi ha immaginato che il proprio fi glio na-scesse con un cesareo. Noi donne abbiamo solitamente pochi dubbi sulla nostra capacità di partorire. Possiamo temere il dolore del parto o che suc-ceda qualcosa di brutto al bambino, ma pochissime di noi immaginano che il proprio bambino non potrà uscire dalla vagina e che, al contrario, dovrà uscire dalla pancia.

Non immaginavamo che sarebbe stato un cesareo. Non abbiamo mai

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sognato di svegliarci sole in una sala operatoria, gelate dal freddo. Con la pancia vuota e cucita, intontite dai sedativi e dal dolore, aspettando che si avvicini l’infermiera per poter chiedere “E mio fi glio? E mia fi glia? Do-v’è? Cosa è successo?” Sforzandoci di uscire dal sonno senza immagini dell’anestesia, tentando di non ricaderci. “Dov’è? E mio marito? Quando li potrò vedere? Posso bere dell’acqua?” E dentro di noi una ferita indescrivi-bile, un dolore cieco, sordo, che non sappiamo dove sia né che cosa sia. Un dolore che non identifi chiamo, che non avevamo mai provato prima. “Sarà la ferita.” È la ferita. La ferita emotiva.

Ci sono molti tipi di cesareo: urgenti o programmati, in anestesia gene-rale o senza un’anestesia effi cace, alla trentesima settimana di gravidanza o alla quarantaduesima e mezzo, gioiosi o terrifi canti, necessari o inutili, ri-spettosi o umilianti. L’intervento clou della chirurgia moderna – quello che potrebbe salvare più bambini e che, purtroppo, dato l’abuso che se ne fa, può causare un dolore più grande – ammette queste e molte altre varianti.

Da intervento eccezionale che si eseguiva solo dopo la morte della ma-dre durante il parto nel tentativo disperato di tirare fuori il bambino vivo, il cesareo si è trasformato nel modo di nascere di un bambino su quattro in paesi come la Spagna, gli Stati Uniti o il Messico1. Quando una madre si chiede dopo un cesareo “Perché a me?” o “Era necessario?” non vi è mai una sola risposta. Forse non vi è nemmeno una risposta. Ma conoscere la storia del cesareo, che è anche quella dell’ostetricia, può fare un po’ di luce sui motivi per i quali, oggigiorno, una donna su quattro dia alla luce me-diante cesareo. Come siamo arrivati a questo punto?

La ferita di Cesare?

Sono molti e svariati gli dèi che, secondo varie leggende, sono nati dal ventre della loro madre. Riguardo questo modo di venire al mondo, vi sono tracce nella mitologia greca (la nascita di Dionisio ed Esculapio), nell’In-duismo (la nascita di Brama), nel Buddismo (la nascita del Budda) e nella Persia classica (la nascita di Rustan). Alcune ricerche sulla cultura egizia e greca classica dimostrano che a quell’epoca si applicava già il principio del

1 In Italia un bambino su tre nasce grazie al bisturi (N.d.C.).

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male minore nell’estrarre un bambino vivo da una donna in punto di morte quale ultimo rimedio e accettando la morte materna.

A Roma, nel 700 a.C., venne promulgata una legge che concedeva al feto il diritto alla vita dopo la morte della madre. La parola cesareo deriva da caesus (taglio), vale a dire “estratto con un taglio”. I bambini estrat-ti post-mortem, venivano chiamati cesones o césaresésaresé . È una leggenda che Giulio Cesare fosse nato in questo modo poiché sua madre Aurelia visse ancora molti anni, mentre nessuna donna sopravviveva all’operazione.

Quel che è certo è che nell’antichità e nel Medioevo si conosceva il parto mediante un taglio sul ventre delle madri morte. Su tutto ciò esercitò la sua infl uenza la Chiesa cattolica, che esigeva che si impiegassero tutti i mezzi possibili per battezzare i bambini senza alcuna distinzione. Pertanto la Chiesa promulgò la Lex Regia in virtù la Lex Regia in virtù la Lex Regia in virt della quale era proibito seppellire donne morte per parto infruttuoso senza aver prima tentato l’estrazione del bambino dal suo ventre al fi ne di battezzarlo.

Fino al Rinascimento non vi sono notizie di cesarei praticati su madri in vita. Il primo riferimento scritto a un cesareo risale all’anno 1500 in Svizzera. La gravida, dopo vari giorni di travaglio, venne operata da suo marito, Jacobo Nufer, di professione macellaio. Le autorità consentirono l’intervento, e la donna e il bambino sopravvissero eccezionalmente. Al-cuni storiografi ritengono che il primo cesareo medico venne effettuato da Geremia Trautman, nel 1600, a Witemberg2.

Nel 1581 venne pubblicato a Parigi il primo manuale medico sul cesa-reo, ad opera di François Rousset, medico del duca di Savoia. Fu il primo a descrivere come si faceva un cesareo in presenza di bambini troppo robusti, di gemelli, quando il bambino era morto nel ventre materno e in caso di “strettezza del canale del parto”, termine che appare per la prima volta ma con una defi nizione non ben defi nita. Rousset proponeva che si aprisse il ventre mediante un taglio sul lato sinistro. Diceva che il dolore non aveva importanza rispetto al martirio sofferto dalla partoriente durante il travaglio infruttuoso del parto. Consigliava di aprire l’utero, estrarre con le mani il bambino e la placenta e chiudere la parete addominale con suture e cerotti.

2 Jorge Hasbun, “Operación cesárea: una perspectiva cultural”, in AA.VV., Nacer en el siglio XXI. De vuelta a lo humano, Santiago de Chile, Editorial Universidad de Chile, 2001.

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Sosteneva che l’incisione dell’utero non doveva essere suturata, poiché la muscolatura uterina, contraendosi, manteneva chiusa l’incisione. Affermava inoltre che non vi era emorragia poiché il bambino aveva assorbito il sangue della madre. Per vari secoli fu l’unico manuale esistente sul cesareo.

Con il tempo si arrivò alla convinzione che Rousset non avesse mai praticato un cesareo né tantomeno vi avesse assistito. L’uomo che servì da guida per praticare i primi cesarei su donne vive, che morivano tutte successivamente senza alcuna eccezione, era un teorico con vaghe idee sul-l’anatomia e la fi siologia umana.

In effetti l’intervento, frequente, veniva messo in discussione perché la madre moriva. Principalmente a causa dell’infezione, ma anche per via dei limiti dell’emostasi, dell’assenza delle suture chirurgiche e per l’assenza di anestesia. A quell’epoca si cercava di risolvere i problemi ostetrici agendo sul capo del bambino (con la cranioclastia, craniotomia e la decapitazione fetale), la pelviotomia e, infi ne, con il forcipe, al fi ne di evitare il cesareo e ridurre la mortalità materna3.

Può essere utile conoscere la storia del forcipe, per poter rifl ettere sul li-vello morale di alcune personalità scientifi che. Il forcipe fu uno strumento usato dai chirurghi arabi nell’antichità citato da Avicenna e riprodotto nei disegni di Albucasi. Questo strumento venne ridisegnato da Chamberlain in Inghlterra nel 1720. Più avanti emigrò in Francia in seguito ai confl itti politici degli ugonotti e lì riuscì a mantenere segreta sia la forma dello strumento sia la tecnica d’uso dello stesso, …per ben quattro generazioni! durante le quali i suoi fi gli e i suoi nipoti poterono disporre del forcipe per uso professionale.

Quando, infi ne, il collegio degli ostetrici olandese, acquistò l’inven-zione da un discendente di Chamberlain, questi, in un ultimo tentativo di mantenere segreta l’invenzione, vendette loro solo una valva del forcipe, impossibile da utilizzare. In questo modo si impedì per anni che l’umanità potesse benefi ciare di uno strumento importante, in un periodo storico nel quale il cesareo era, di fatto, impraticabile.

Ma continuiamo a parlare del cesareo. Nel 1788 Deleury, ostetrico fran-cese, rese noto il caso di un cesareo in cui la madre era rimasta in vita. Un caso unico, poiché l’immensa maggioranza moriva. Successivamente il francese Lebas de Mouglieron scoprì, durante le autopsie effettuate su

3 Jürgen Thorwald, Il secolo della chirurgia, Feltrinelli, Milano, 1958.

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donne morte in seguito a un cesareo, che la ferita dell’utero non si chiudeva, contrariamente a quanto aveva assicurato Rousset secoli prima. Rimane-va completamente aperta causando gravi emorragie. Ma scoprì inoltre che, molto spesso, la cavità addominale veniva inondata da un’ingente quantità di pus, provocando una peritonite mortale. Pertanto cercò di chiudere la fe-rita uterina mediante sutura. Ma non esisteva una sutura in grado di resistere alle contrazioni post-partum. Il fi lo strappava i tessuti e la ferita si riapriva.

Nella prima metà del XIX secolo, non vi fu alcun cambiamento innova-tivo circa la pratica del cesareo, fi no a che due importanti progressi diedero impulso a tutti i procedimenti chirurgici. Nel 1846, negli Stati Uniti, com-pare l’anestesia con l’etere di Morton. Nel 1860, in Inghilterra, Lister sco-pre l’antisepsi mediante acido carbolico. Ciò signifi ca che hanno inizio gli interventi in anestesia e senza gravi infezioni durante il post-operatorio.

Fino ad allora l’impossibilità di ricucire l’utero dopo il cesareo era stata la prima causa di emorragia e infezione. Ma nel 1876 si verifi ca un grande evento nella storia del cesareo. Il professor Edoardo del Porro dell’Univer-sità di Pavia aveva 35 anni quando si chiese se non sarebbe stato utile estir-pare l’utero dopo l’intervento. Così, il 21 maggio 1876, eseguì un cesareo per malformazione pelvica a Giulia Covallini, in anestesia con cloroformio. Estrasse una bambina sana e, successivamente, estirpò l’utero, lasciandone il collo che suturò con fi lo metallico. Michaelis lo aveva già proposto nel 1806 ma nessuno si era arrischiato a metterlo in pratica. Giulia Covallini sopravvisse, dopo un post-operatorio travagliato e pieno di infezioni. In breve tempo si diffuse il “metodo Porro” in tutta Europa. La mortalità del cesareo divenne “solo” del 50%.

Con la pratica di questa tecnica, l’intervento cominciò a entrare in auge e, nel 1901, la mortalità materna era scesa al 25 per cento. Nonostante ciò, l’in-fertilità e la menopausa precoce (poiché unitamente all’utero venivano aspor-tate anche le ovaie) erano fra gli effetti secondari più duri del cesareo.

L’ostetricia del XX secolo

In seguito all’adozione dell’asepsi (vale a dire i metodi per evitare che le ferite chirurgiche si infettino), dell’anestesia, dell’emostasi (che consente al sangue di coagulare dopo l’operazione) e delle suture applicabili alla parete

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uterina, Saenger e Kehrer recuperarono il cesareo originale, senza estirpare l’utero. A questo si aggiunse l’uso di guanti di gomma nel 1890 e, nel 1921, l’esecuzione dell’isterotomia (incisione dell’utero) sul segmento uterino in-feriore ad opera di Monro Kerr. Questo intervento fa sì che i parti successivi possano essere vaginali e tale tecnica si diffuse negli anni cinquanta. Negli anni sessanta si diffuse il taglio esterno sulla pelle praticato in orizzontale (lungo la “linea del bikini”) impiegando la tecnica che Pfannestir aveva descritto all’inizio del XX secolo.

Agli albori degli anni novanta, presso l’ospedale di Gerusalemme “M. Stara”, si comincia ad applicare la tecnica di Joel-Khoen, che riduce al minimo l’uso del bisturi durante il cesareo. Questo si ottiene separando i tessuti con le dita invece di tagliarli. In questo modo si agevola molto il recupero, visto che vengono incisi molti meno tessuti e la perdita di sangue è minore. Così è rimasto l’intervento del cesareo, fondamentalmente come lo conosciamo oggi.

Nel corso del XX secolo si sono verifi cati alcuni fattori che hanno in-fl uito, direttamente o indirettamente, sul modo di nascere. Questi, come ve-dremo, sono di varia natura, e hanno determinato un incremento generaliz-zato del numero di cesarei, unitamente a una riduzione del numero di parti spontanei, soprattutto negli ultimi due decenni del XX secolo. La mortalità materna in seguito a un cesareo è diminuita enormemente. Nel 1970, nella maggior parte dei Paesi industrializzati, si contava un 5 per cento di parti cesarei. Nel 1980, questa cifra era raddoppiata. Nel 1985, in molti di questi Paesi un 15-20 per cento dei parti avvenivano mediante cesareo. Nel 1990 questa percentuale, in alcuni Paesi, continuò ad aumentare. Tuttavia le va-riazioni, a seconda delle regioni, sono notevoli. Nel 1986, negli Stati Uniti, i cesarei erano incrementati fi no a raggiungere un 24 per cento, mentre Paesi come la Cecoslovacchia e l’Olanda mantenevano un tasso del 5 e del 10 per cento. Le percentuali di cesarei variano molto, sia fra Paesi diversi sia all’interno di uno stesso Paese, a seconda del centro. In Danimarca nel 1991 vi era un ospedale che contava un 24 per cento di cesarei rispetto ad altri che contavano un 10 per cento di interventi4.

In Spagna il tasso di cesarei è passato dal 9,7 per cento al 18,2 per cento nel 1998, ma nel 2001 il tasso si aggirava già intorno al 23 per cento. In

4 Marsden Wagner, Pursuing the birth machine, Australia, ACE grafi cs, 1994.

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meno di 150 anni, la civiltà occidentale è passata dal ricorrere all’uso di una tecnica medico-chirurgica, che può salvare la vita a bambini con diffi coltà alla nascita, al trasformare il cesareo in un diverso modo di nascere.

L’idea che fossero le donne stesse a richiedere il cesareo, benché non indispensabile, veniva menzionata decenni fa nei libri di fantascienza. Nel romanzo Farenheit 451, pubblicato nel 1953, lo scrittore Ray Bradbury5 fa dire ad uno dei suoi personaggi (una donna):

Ho avuto due fi gli mediante cesareo. Non ha senso soffrire tanto per un bambino. Il mondo deve riprodursi. La razza deve continuare ad an-dare avanti. Inoltre a volte vengono fuori uguali a te e questo è piacevole. Con due cesarei ero a posto. Sissignore. Oh! Il mio medico mi disse che il cesareo non è indispensabile, che avevo dei bei fi anchi, che tutto sarebbe andato normalmente. Ma io ho insistito.

Dalla fantascienza alla realtà. A mano a mano che il cesareo si trasforma in un intervento sempre più sicuro e il parto ospedaliero altamente medica-lizzato (e traumatico), alcune donne richiedono che venga loro praticato un cesareo. Poco a poco il dibattito si trasferisce nelle associazioni ostetriche, ma invece di chiedersi perché una donna chieda un intervento simile, ci si interroga sul diritto della donna ad ottenere un cesareo. Verso la fi ne del XX secolo (1997), gli ostetrici hanno cominciato a chiedersi se debbano accettare di praticare un cesareo su richiesta della donna. Pochi anni dopo, all’inizio del XXI secolo, si stanno già chiedendo se dovrebbero proporre a tutte le donne il cesareo programmato6. Negli Stati Uniti, nell’ottobre del 2006, l’Associazione Americana di Ostetricia e Ginecologia (ACOG) ritie-ne etico il cesareo “alla carta”. Dal canto suo, il NICE britannico propone che non venga negato il cesareo a una donna, specifi cando tuttavia che è necessario comprendere, discutere e dibattere i motivi per i quali essa ri-chiede l’intervento.

5 Ray Bradbury, Fahrenheit 451, Mondadori, Milano 1978.6 Michel Odent, The cesarean, Free Associacion Books, Londra 2004.

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Cosa ne dicono le madri?

Nel 1972 una madre americana, Nancy Wainer-Cohen, ebbe il suo primo fi glio mediante cesareo in seguito a un’induzione fallita durata otto ore. Come lei stessa racconta:

Anche mentre stavo sdraiata nella sala operatoria, ero convinta che quel cesareo non era necessario e che si sarebbe potuto evitare. Nonostante fossi contentissima di avere avuto il mio bambino, mi sentii delusa, ingannata, confusa, arrabbiata e molto triste. I miei familiari e amici mi dicevano: “Che importa com’ è nato? I bambini nati col cesareo sono tanto belli…7”

Scrisse una lettera a una rivista sul parto, chiedendo se altre donne ave-vano provato sentimenti simili dopo un cesareo, e così cominciò a rice-vere centinaia e poi migliaia di testimonianze. Con una di quelle madri, Nancy Wainer fondò C/SEC, la prima associazione al mondo con lo scopo di assistere madri che avevano subìto un cesareo, educare altre madri ed evitare “innecesarei”. Nancy Wainer ebbe altri due fi gli per via vaginale e dieci anni più tardi pubblicò con Lois Estner un libro destinato a diventare un classico: Silent knife8. Fu allora che venne coniato l’acronimo VBAC: Vaginal Birth After Cesarean (parto vaginale dopo un cesareo). Un anno prima, Esther Zorn, un’altra madre, aveva fondato il Movimento Per la Pre-venzione del Cesareo, che più tardi sarebbe diventato ICAN (International tardi sarebbe diventato ICAN (International tardi sarebbe diventato ICAN (Cesarean Awareness Network), Cesarean Awareness Network), Cesarean Awareness Network la Rete Internazionale per la Presa di Co-scienza sul Cesareo.

Il lavoro di questi gruppi di donne riuscì a convincere la comunità statu-nitense che i cesarei erano pericolosi e fece sì che negli Stati Uniti, alla fi ne degli anni ’80, il tasso di cesarei passasse dal 24 al 16 per cento.

Tuttavia, a metà degli anni ’90, vi è stata una ripresa che fi no a oggi non ha accennato a rallentare: nel 2003 il tasso di cesarei negli Stati Uniti è stato il più alto della loro storia con un 27,6 per cento (un 6 per cento in più rispetto al 2002).

7 Nancy Wainar Cohen e Lois Estner, Silent Knife, Connecticut, Bergin Garvey, 1983.

8 Ibidem.

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La diffusione di internet ha consentito l’accesso da parte di molte donne di ogni parte del mondo ad informazioni riguardanti il cesareo, da articoli medici a nuovi gruppi di supporto che sono via via sorti a livello globale come ICAN, la associazione australiana Birth Rites, o il sito canadese Birth Love.

In Spagna, il forum internet Sostegno Cesareo venne creato nell’estate del 2001, con l’obiettivo di offrire assistenza psicologica a madri che ave-vano subìto un cesareo e aiutarle a trovare informazioni che facilitassero la preparazione del parto vaginale dopo il cesareo.

Non tardarono ad arrivare al forum donne che, nonostante avessero avu-to un parto vaginale, si sentivano molto traumatizzate per via del trattamen-to ricevuto durante il parto. Nell’ottobre del 2003 sorse l’associazione El Parto es Nuestro [Il Parto è Nostro].

Un futuro perfetto?

Se non cambiamo le cose, possiamo immaginare il futuro sulla base del presente che stiamo vivendo: donne con sempre minore autostima rispet-to al funzionamento del proprio corpo, il fallimento dell’essere umano di sesso femminile in anima e corpo in un momento culmine della sua vita: il parto e la nascita dei suoi fi gli.

Ha senso auspicare una riduzione del tasso dei cesarei? Secondo Michel Odent, tentare di ridurre i cesarei senza che avvenga in precedenza un cam-biamento profondo dei protocolli di assistenza al parto, potrebbe risultare molto pericoloso9. Infatti, fi no a che non si comprenderà la fi siologia del parto e non si prenderà atto delle esigenze di intimità e di sicurezza che noi donne manifestiamo per poter partorire come mammiferi, è assai improba-bile che le cose cambino. Il cesareo viene proposto come nuovo modo di nascere, ma le conseguenze di questa trasformazione per l’umanità potreb-bero essere disastrose, come fanno notare i teorici della “scientifi cazione dell’amore”10.

9 Michel Odent, The cesarean, cit.10 Michel Odent, The scientifi cation of love, Free Association Books Limited,

London 1999.

1 - Breve storia del cesareo 31

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32 Il parto cesareo

Secondo queste teorie, la nascita medicalizzata, l’ormai abituale separa-zione della madre dal bambino, la negazione degli aspetti primari della spe-cie umana daranno luogo (se già non sta accadendo) a società sempre più violente, frutto di alterazioni della capacità di amare degli individui. In que-sto modo lo stesso Odent si chiede: “Potrà l’umanità sopravvivere nell’era del cesareo sicuro? Potrà sopravvivere la specie umana senza amore?”

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INDICE

Ringraziamenti 5Prefazione all’edizione italiana 8Prefazione 11 Prologo 16

1. Breve storia del cesareo 23 La ferita di Cesare? 24 L’ostetricia del XX secolo 27 Un futuro perfetto? 31

2. Cesareo: come, quando e perché 33 Anatomia del cesareo 34 Rischi del cesareo per la madre 38 Rischi del cesareo per la salute del bambino 41 Indicazioni del cesareo 43

3. Recupero fi sico dopo un cesareo 50 La degenza in ospedale 52 Alcuni disturbi frequenti 56 Una volta a casa 57 Cure particolari 59

4. L’allattamento dopo un cesareo 62 I vantaggi dell’allattamento al seno 65 L‘ABC dell’allattamento materno 68 Diffi coltà ad allattare dopo un cesareo 73

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192 Il parto cesareo

Fino a quando allattare? 78 Se non hai potuto allattare dopo un cesareo 79

5. La ferita emotiva 82 Perché chiamarla ferita emotiva? 83 Quali fattori infl uiscono sulla ferita emotiva? 84 La ferita che non cessa 88 La perdita del parto sognato 92 È stato necessario? 95 La ferita della femminilità 96 E il padre? 98 Curare la ferita emotiva 99 Quando al cesareo si sommano altre perdite 101 6. Il fallimento dell’ostetricia moderna 103 Teorie sull’aumento dei cesarei inutili 105 Come si svolge il parto normale 109 Il parto è nostro 118

7. Vantaggi del parto vaginale dopo un cesareo 124 Il mito della “rottura dell’utero” 126 I vantaggi del parto vaginale dopo un cesareo 130 Fidarsi di nuovo: una sfi da 137 Idee principali sul VBAC 137

8. Gravidanza e parto vaginale dopo un cesareo 139 VBAC, dove e con chi 141 Come cercare lo specialista che ti seguirà 144 La preparazione al parto vaginale dopo il cesareo 147 Minacce al parto dopo il cesareo 150 La storia di Maria Paula 151

9. Cesareo ripetuto 154 Cesareo rispettoso 155 Accettare il cesareo ripetuto 156 C’è sempre la speranza 159 La nascita di Mireia 160

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Appendice 1 - Classifi cazione delle pratiche nel parto normale 167Appendice 2 - Studi recenti sulla rottura dell’utero e VBAC 169Bibliografi a 172Letture e siti consigliati in lingua spagnola e inglese 173Letture e siti consigliati in lingia italiana 175Centri in Italia 179

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