Una certa idea di mondo

52
LADOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 13 NOVEMBRE 2011 NUMERO 352 CULT CATTANEO E ISAACSON Il libro IRENE BIGNARDI La guerra dell’oppio e altre avventure con Ghosh la storia diventa romanzo All’interno L’intervista CRISTINA NADOTTI George R.R. Martin il re del fantasy “Odio gli imitatori di Tolkien” La mostra ACHILLE BONITO OLIVA Ecco i Surrealisti la pattuglia di Breton che voleva dare forma all’inconscio Il concerto DINO VILLATICO Il grande Gergiev raggela l’impeto e la fantasia di Ciaikovskij Ziggy Stardust & C. Tutti gli alter ego di David Bowie Spettacoli GIUSEPPE VIDETTI Altan e il Cavaliere “Dal 1990 sempre con l’ombrello” L’attualità SIMONETTA FIORI ALESSANDRO BARICCO l’altro. Intanto mi va di parlare di libri, in un momento in cui non sembra più così importante dirsi quali sono belli e quali no, litigar- ne un po’, pronunciarsi. Più facile che lo si faccia coi film, o con la politica. Eppure i libri sono ancora lì, a migliaia, e continuano a de- clinare una civiltà di piaceri pazienti che in modo piuttosto silen- zioso collabora a ridisegnare l’intelligenza e la fantasia collettive. Tutto quel che si può fare per dare evidenza a una simile liturgia mi- te, lo si deve fare. E allora eccomi qui a fare la mia parte. Ma c’è anche, alla fine, un’altra ragione, perfino più importan- te, almeno per me. Ho cercato di riassumerla nel titolo di questo progetto lungo un anno. Una certa idea di mondo. Il fatto è che mi riesce sempre più difficile dire cosa vedo quando mi guardo intor- no, e perfino il concentrarsi su un particolare spicchio di questo gran spettacolo non sembra portare molto lontano: si finisce per impelagarsi in tecnicismi che magari mettono a fuoco il dettaglio, ma perdono la mappa complessiva, l’unica che conta davvero. (segue nelle pagine successive) Una certa idea di mondo BARICCO ALESSANDRO “I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni” Incomincia il viaggio a puntate dello scrittore su “Repubblica” DISEGNO DI MANUELE FIOR Le nuove regole del genio meglio visionari che intelligenti La copertina D ieci anni fa ho cambiato città. E fin qui, chi se ne fre- ga. Solo che cambiando città ho lasciato nella vec- chia tutti i libri che avevo letto, e sono entrato in una casa in cui non c’era un libro mio. Quindi ades- so, lì dentro, ci sono dieci anni di libri miei, gli ulti- mi dieci anni: li tengo uno di fianco all’altro, non in ordine alfabetico o per tipologia, ma nell’ordine in cui li ho aperti (un sistema, tra l’altro, che consiglio: le sere che ti annoi, passi a guardare i dorsi e, se hai voglia, è come ripercorrere pezzi della tua vita, basta lasciare che il gusto dei giorni in cui li hai tenuti in mano ritorni su: e lo fa, eccome se lo fa). Questa è la ragione per cui sono in grado di dire, con una certa esattezza, quali sono i migliori cin- quanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni. Un tantino più dif- ficile è spiegare come mai ho deciso di dedicare a ognuno di loro un articolo, passandone uno alla settimana, per un anno, ogni do- menica. Perché li leggano anche altri, direi. E già basterebbe. Ma c’è del-

description

Una certa idea di mondo di Alessandro Baricco: "I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni".

Transcript of Una certa idea di mondo

Page 1: Una certa idea di mondo

LA DOMENICADIREPUBBLICA DOMENICA 13 NOVEMBRE 2011

NUMERO 352

CULT

CATTANEO E ISAACSON

Il libro

IRENE BIGNARDI

La guerra dell’oppioe altre avventurecon Ghosh la storiadiventa romanzo

All’interno

L’intervista

CRISTINA NADOTTI

George R.R. Martinil re del fantasy“Odio gli imitatoridi Tolkien”

La mostra

ACHILLE BONITO OLIVA

Ecco i Surrealistila pattuglia di Bretonche voleva dareforma all’inconscio

Il concerto

DINO VILLATICO

Il grande Gergievraggela l’impetoe la fantasiadi Ciaikovskij

Ziggy Stardust & C.Tutti gli alter egodi David Bowie

Spettacoli

GIUSEPPE VIDETTI

Altan e il Cavaliere“Dal 1990 semprecon l’ombrello”

L’attualità

SIMONETTA FIORI

ALESSANDRO BARICCO

l’altro. Intanto mi va di parlare di libri, in un momento in cui nonsembra più così importante dirsi quali sono belli e quali no, litigar-ne un po’, pronunciarsi. Più facile che lo si faccia coi film, o con lapolitica. Eppure i libri sono ancora lì, a migliaia, e continuano a de-clinare una civiltà di piaceri pazienti che in modo piuttosto silen-zioso collabora a ridisegnare l’intelligenza e la fantasia collettive.Tutto quel che si può fare per dare evidenza a una simile liturgia mi-te, lo si deve fare. E allora eccomi qui a fare la mia parte.

Ma c’è anche, alla fine, un’altra ragione, perfino più importan-te, almeno per me. Ho cercato di riassumerla nel titolo di questoprogetto lungo un anno. Una certa idea di mondo. Il fatto è che miriesce sempre più difficile dire cosa vedo quando mi guardo intor-no, e perfino il concentrarsi su un particolare spicchio di questogran spettacolo non sembra portare molto lontano: si finisce perimpelagarsi in tecnicismi che magari mettono a fuoco il dettaglio,ma perdono la mappa complessiva, l’unica che conta davvero.

(segue nelle pagine successive)

Una certaidea

di mondo

BARICCOALESSANDRO

“I miglioricinquanta libriche ho lettonegli ultimidieci anni”Incominciail viaggioa puntatedello scrittoresu “Repubblica”

DIS

EG

NO

DI M

AN

UE

LE F

IOR

Le nuove regoledel geniomeglio visionariche intelligenti

La copertina

Diecianni fa ho cambiato città. E fin qui, chi se ne fre-ga. Solo che cambiando città ho lasciato nella vec-chia tutti i libri che avevo letto, e sono entrato inuna casa in cui non c’era un libro mio. Quindi ades-so, lì dentro, ci sono dieci anni di libri miei, gli ulti-mi dieci anni: li tengo uno di fianco all’altro, non in

ordine alfabetico o per tipologia, ma nell’ordine in cui li ho aperti(un sistema, tra l’altro, che consiglio: le sere che ti annoi, passi aguardare i dorsi e, se hai voglia, è come ripercorrere pezzi della tuavita, basta lasciare che il gusto dei giorni in cui li hai tenuti in manoritorni su: e lo fa, eccome se lo fa). Questa è la ragione per cui sonoin grado di dire, con una certa esattezza, quali sono i migliori cin-quanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni. Un tantino più dif-ficile è spiegare come mai ho deciso di dedicare a ognuno di loroun articolo, passandone uno alla settimana, per un anno, ogni do-menica.

Perché li leggano anche altri, direi. E già basterebbe. Ma c’è del-

Page 2: Una certa idea di mondo

LA DOMENICA■ 30DOMENICA 13 NOVEMBRE 2011

la Repubblica

La copertina

“Vi racconto i migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimidieci anni. Così vi parlo di quello che mi piace e non mi piacedel mondo. Non i libri più belli della mia vita, quella sarebbeun’altra cosa”. Alessandro Baricco incomincia il suo viaggioa puntate ogni domenica su “Repubblica”Primo titolo: “Open” di Andre Agassi,il ragazzo che odiava il tennisma doveva finire la partita“che poi è la stessa che giochiamo tutti”

‘Mi resta ancora del gioco, non

eh, non l’ha scritto lui, d’accordo. L’ha scritto J. R. Moehringer, uno che nel2000 ha vinto il Pulitzer per il giornalismo: e che, obbiettivamente, è di unabravura mostruosa. Non bisogna pensare però che si sia limitato a fare daghostwriter: gli è riuscito di dare ad Agassi una voce (una vita l’aveva già, e mi-cidiale) e una diabolica abilità nel raccontare. Risultato: di Moehringer tiscordi subito e ti ritrovi in viaggio con un Agassi che non ti saresti mai aspet-tato e che non smette un attimo di parlare. Se parti, non scendi più fino al-l’ultima pagina. Roba che i famigliari protestano e sul lavoro non combinipiù un granché.

In genere, quando un libro riesce a ottenere un simile risultato contieneuna di queste quattro domande: chi è l’assassino? Il protagonista troverà sestesso? Ma alla fine si sposeranno? Chi dei due vincerà? Open ne contiene tre

su quattro, e le intreccia molto bene: le possibilità di sottrarsi alla trappola so-no pari a zero. (Manca l’omicidio, ma se si largheggia un po’, l’idea di far alle-nare il proprio figlio di sette anni tirandogli 2.500 palline al giorno assomigliamolto a una specie di avvelenamento metodico, e quella era l’idea di educa-zione che aveva in testa il padre di Agassi).

Adesso che sono stato ad ascoltarlo, so che Agassi ha vissuto come giocavaa tennis, cioè i piedi ben dentro al campo, ad aggredire la pallina mentre sale(tutti buoni a prenderla mentre scende), immaginando tutto a una velocitàirragionevole, e collezionando sciocchezze mostruose e invenzioni sublimi.Intanto che faceva tutto questo, cercava un senso alla sua vita, e se si ritornacon la mente a quel pagliaccio in hot pants di jeans e capelli tinti sparati sullatesta che giocava come un flipper, la cosa risulta poco credibile: ma non seapri il libro e gli dai una chance. Alla fine bisogna arrendersi, sembrava defi-ciente ma non lo era. O almeno: era intelligente in un modo molto barbaro, equindi affascinante.

Non sarebbe poi stato molto differente, il giovane Werther, se solo nasce-va nel 1970 a Las Vegas. Tutto molto superficiale, ma quando ad esempio ti facapire le porzioni di vita che possono viaggiare in una pallina da tennis cheschizza su del cemento, in assenza di qualsiasi profondità, e nell’ossessiva ri-cerca di poche linee dipinte di bianco, un’idea te la fai, molto fisica, di come

(segue dalla copertina)

altra parte, come si faa stare zitti, con tuttoquel che accade intorno,

e soprattutto se ti guadagni il panelavorando con l’intelligenzae il gusto? È un lusso che nonci si può permettere. Alla finemi son ricordato di una cosache ho imparato dai vecchi: falliparlare di quello che veramenteconoscono e amano, e capirai cosapensano del mondo. (Chiediglicome si immaginano il Paradiso,se vuoi capire cosa pensanodella vita: non so più chi l’ha detta,ma è vera). Io di cose che conoscodavvero, e amo senza smetteremai, ne ho due o tre. Una è i libri.Mi è venuta un giorno questa idea:che se solo mi fossi messo lìa parlare di loro, prendendone unoper volta, solo quelli belli, senzasmettere per un po’ — beh,ne sarebbe venuta fuoriinnanzitutto una certa ideadi mondo. C’erano buonepossibilità che fosse la mia.Dunque eccoci qua. Vorrei solopuntualizzare che ci sarà di tutto,romanzi, saggi, fumetti, libriappena usciti, testi forse già sparitidal Catalogo: purché abbianoforma di libro. E vorrei ricordareche non sono i cinquanta libri piùbelli della mia vita, quella sarebbestata un’altra cosa, una speciedi Canone personale che non misarebbe mai venuto in mentedi fare: sono il frutto del caso, di ciòche casualmente ho letto in unpezzo della mia vita, niente di più.Non ci sarà Viaggio al terminedella notte, per capirsi (l’ho lettoquando avevo vent’anni).Né Anna Karenina (me lo tengoper qualche lungo degenza,augurandomi di non leggerlo mai).Ho semplicemente sceltoi migliori cinquanta libritra quelli che ho letto di recente.Sono quelli di cui parlocon gli amici, quando abbiamofinito di litigare su film e politica.Si meritavano qualcosa di più.

(a.b.)

ALESSANDRO BARICCO

‘ (Comprato perché me l’hanno consigliato due amici,tutt’e due più giovani di me, tutt’e due sceneggiatori.Sempre fidarsi degli sceneggiatori, quando leggono)

B

© RIPRODUZIONE RISERVATA

D’

Page 3: Una certa idea di mondo

■ 31DOMENICA 13 NOVEMBRE 2011

la Repubblica

IL LIBROAndre Agassi,Open. La mia storiaEinaudi Stile Libero

DIS

EG

NO

DI M

AN

UE

LE F

IOR

l’infinito possa correre sulla pelle del mondo senza prendersi la briga di scen-dere in qualche altro posto, nel sottosuolo. Serve giusto una mente altrettan-to veloce e leggera, e poi tutto ritorna a posto.

Agassi aveva (ha) una mente di quel tipo, e ce l’avevano (magari in modoun po’ più rudimentale) quelli intorno a lui. (Gente capace di dire frasi comequesta: «Andre, certe persone sono termometri, altre termostati. Tu sei un ter-mostato. Non registri la temperatura in una stanza, la cambi». Brutale, sem-plicistico, ma anche vero, in un certo modo, e molto utile se te lo dicono quan-do stai per uscire per la prima volta con la donna dei tuoi sogni). Pallina dopopallina, volano le domande e le risposte sulla vita, schizzando sul cemento deipensieri, e alla fine quella a cui assisti è un’unica, grande, affascinante parti-ta giocata da un ragazzo contro il buco nero che si porta dentro: che poi è lastessa partita che giochiamo tutti, lo si voglia o no. Ne ho letto infiniti reso-conti, e quello di Agassi ha una sua elementare bellezza sintetica che vale piùdi mille centrini letterari (romanzi all’uncinetto, non so se mi spiego). Sul fi-nire della carriera, quando ormai vinceva e perdeva da secoli, quando avevagià ricominciato da capo un paio di volte, quando stava in campo solo graziealle iniezioni di cortisone, i giornalisti iniziarono a chiedergli come mai nonsmetteva. Era una domanda giusta, giustamente porta a uno che non avevamai smesso di pensare “Io odio il tennis”. Ecco la risposta di Agassi: «È così

che mi guadagno da vivere. E poi mi resta ancora del gioco. Non so quanto,ma un po’ ce n’è». Ho in mente decine di domande a cui vorrei esser capacedi rispondere con una così barbara esattezza. (Se ad esempio mi chiedete per-ché non smetto di scrivere, vi beccate una conferenza di almeno mezz’ora).

Tutto sommato, l’unica cosa del libro che mi è spiaciuta è il finale. L’eroe sisposa, vince e scopre se stesso. Lieto fine, ma non è questo che mi è spiaciu-to. È che l’eroe scopre il senso della vita iniziando ad occuparsi degli altri, i suoifigli innanzitutto, ma anche gli altri veri: apre una scuola per bambini che nonhanno la possibilità di studiare. Volontariato. Tutti felici. Sipario. È che io nonci credo. A me risulta che la ricerca del senso è una sorta di partita a scacchi,molto dura e solitaria, e che non la si vince alzandosi dalla scacchiera e an-dando di là a preparare il pranzo per tutti. È ovvio che occuparsi degli altri fabene, ed è un gesto così dannatamente giusto, e anche inevitabile, necessa-rio: ma non mi è mai venuto da pensare che potesse c’entrare davvero con ilsenso della vita. Temo che il senso della vita sia estorcere la felicità a se stessi,tutto il resto è una forma di lusso dell’animo, o di miseria, dipende dai casi.

Peraltro, è anche possibile che mi sbagli. È giusto un pensiero istintivo —un certo modo di vedere il mondo.

so quanto. Ma un po’ce n’è

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Page 4: Una certa idea di mondo

RCULT■ 56DOMENICA 20 NOVEMBRE 2011

la Repubblica

e il tema sembra squisitamente scolastico, e dunque daevitare con cura, vale la pena di ricordare che, come ama-va ripetere Berlin, il Romanticismo è stata una impres-sionante rivoluzione culturale che ha ridisegnato il mo-do di pensare e di vivere dell’Occidente: l’ultima prima diquella di Bill Gates e Steve Jobs (questo lo dico io, Berlinè morto prima dell’iPhone). Per almeno duecento anninoi siamo stati figli di quella rivoluzione, e neppure i piùgiovani di noi, oggi, potrebbero dire di non esserne frut-ti tardivi e surreali. Dunque si tratta di uno spettacolarespartiacque della storia della mente: non è una cosa affa-scinante provare a capire chi se l’inventò, e perché?

Berlin, al riguardo, aveva delle sue convinzioni preci-se, immagino discutibili, ma molto sensate. Sapeva por-gerle in modo mirabile, con una chiarezza che queste le-zioni (tenute a Washington nel 1965) sfoggiano con l’aria

di essere una sentenza definitiva: fine degli alibi, è possi-bile spiegare immani mutazioni mentali e antropologi-che raccontandole come avvincenti e splendide avven-ture dell’intelligenza e senza annoiare nessuno. Di soli-to si semplifica la faccenda mettendo da una parte l’eru-dizione accademica e dall’altra la divulgazione: ma è unmodo pigro di mettere giù le cose. Lì in mezzo ci sta un al-tro gesto, formidabile, ed è quello che fa Berlin: scioglie-re l’erudizione nel fluire di una narrazione e disegnaremappe in cui la complessità diventa leggibile, ordinata ebella. Non è che ci riescano in molti, a farlo, e questo spie-ga perché si preferisca spesso credere che sia una cosaimpossibile. Ma non è vero, e questo libro lo dimostra.Dovrebbe essere una lettura obbligatoria per qualsiasiprofessore chiamato a spiegare il Romanticismo a scuo-la; ed è un piacere luminoso per tutti coloro che amanofarsi mozzare il fiato dall’avventura delle idee.

Decine le cose che si imparano (se non le si sa già). Unaè che il Romanticismo non fu uno sviluppo dell’Illumini-smo ma una furibonda, rancorosa e geniale reazione aesso. Un’altra è che il Romanticismo è un brevetto esclu-sivamente tedesco, poi copiato e venduto alla grande datutti gli altri, inglesi in testa. Un’altra ancora, particolar-mente sgradevole, è che alle radici vere del Romantici-smo ci stanno pseudopensatori popolari partoriti da am-bienti provinciali, chiusi, xenofobi, vagamente leghisti(per così dire), impregnati di una religiosità opprimentee beghina. Facilmente, se fossero vissuti oggi, sarebberostati le star dei contenitori televisivi del mattino. Come cisi sia potuti inerpicare da lì a Goethe, Schelling, Hegel è

una storia incredibile, la cronaca di una vera acrobazia.Ditemi voi se non vale la pena di farsela spiegare, se il pro-fessore è uno come Berlin.

Il quale professore, en passant, stacca microlezionimemorabili in cui risposte che nessuno ti aveva mai da-to, o domande che non avevi mai sentito pronunciare,rotolano una dopo l’altra, dando al termine “imparare”il suo significato più preciso: un’emozione prolungata altermine della quale ne sai più di prima. Io ho trovato ir-resistibile la paginetta in cui dice di Bach quello che nes-suno hai mai osato dire (un genio che non era abbastan-za colto per sapere di esserlo). Ma anche ho sottolineatotrionfalmente le paginette in cui, con aria innocente,spiega perché Amleto, Don Giovanni o Don Chisciottesono diventati i miti che sappiamo, quando invece era-no semplici storie, personaggi qualunque, alberi di una

foresta, e neanche i più alti: mi vedevo le legioni di erudi-ti sconcertati, e sottolineavo. Così come ho messo da par-te una volta per tutte le prime pagine del libro, quelle incui, per distendere bene la mappa sotto agli occhi primadi colorarla, Berlin insegna in pochi cenni cos’è stato l’Il-luminismo (non capisci veramente Batman se primanon hai capito chi è Goblin). Non sono performance dicui si parli sui giornali, ma ritrarre il mondo illuminista incosì poche pagine e con quella nettezza è uno di quei goalche, se solo eri allo stadio, non dimentichi.

E in ogni caso, devo aggiungere, continuerei a portarenel mio cuore questo libro anche se non mi avesse inse-gnato niente perché ci ho trovato il regalo di due citazioni,nascoste tra le pieghe del testo, piccole ma splendenti. Nonle conoscevo, le devo a Berlin. La prima viene da Nietzschee probabilmente dice una cosa falsa: ma, quando penso al-la conversazione come a un’arte, quel che immagino ègente che mentre aggiusta il tabacco nella pipa stacca fra-si come quella. “L’uomo non tende alla felicità; solo gli in-glesi lo fanno”. Se vi sembra leggerina, allora eccovi la se-conda, che invece è immensa. Immagino che potrebbeagevolmente essere l’epigrafe giusta da apporre al tutto, equando dico tutto dico l’esperienza dei viventi e il paesag-gio in cui qualcuno l’ha posata. Racconta Berlin che ungiorno chiesero a Novalis quale pensava fosse il senso del-la sua arte, quale fosse la meta a cui mirava. Era una do-manda un tantino generica, ma in fondo era una buona do-manda. Ecco cosa lui rispose. “Io sto sempre andando a ca-sa, sempre alla casa di mio padre”. Giù il cappello.

I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni

UNACERTAIDEADI MONDO

SIL LIBRO“Le radici del romanticismo”di Isaiah Berlin (Adelphi,2001, traduzione di GiovanniFerrara degli Uberti, pagg.259, euro 29). È una raccoltadi saggi trascritti dalleconferenze sul temache l’autore fece aWashington nel 1965

DI ALESSANDRO BARICCO

ILLUSTRAZIONE DI MANUELE FIOR

“Chi se l’inventò il romanticismo?”(Comprato perché mi interessava l’argomento ma senza sapereesattamentecosa stavo comprando.Come uno che si rifugia in una chiesa, per un improvvisoacquazzone, e poi scopre che è del Borromini.La chiesa, non l’acquazzone)

SULLO SCAFFALEOpendi Andre Agassi

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Page 5: Una certa idea di mondo

R CULT � 58DOMENICA 27 NOVEMBRE 2011

la Repubblica

è poi questa idea di letteratura, a me estranea, che definireicosì: registrare la stupefacente normalità dei viventi, contutta l’obbiettività possibile, limitandosi quasi a fotogra-farla. Si potrebbe dire che già Balzac lo faceva, ma qui si staparlando di qualcosa di più estremo: non ci sono di mezzoi trucchi della narrazione, e il fine non sembra quello di ri-portare il caos indistinto della vita nell’ordine formale diuna storia. Si tratta di guardare e basta, lasciando che la lu-ce dei viventi impressioni la pellicola della lingua. Spessonon c’è nemmeno l’ombra di un giudizio, e tantomeno unaqualche morale. Non sembra importante che le vicendesiano in qualche modo esemplari. Ogni frammento di vitaritratto non significa che se stesso. E’ il trionfo del reale suqualsiasi intenzione.

Ero molto piccolo quando mi son imbattuto per la primavolta in questo tipo di letteratura: mi avevano regalato, ir-

ragionevolmente, un volumone con tutti i racconti di Ce-chov. Mi faceva imbestialire che spesso i racconti non aves-sero neanche un finale. Quell’uomo si limitava a ritagliarea caso dei fotogrammi nel film che gli passava sotto agli oc-chi, e pensava che quello fosse scrivere. Era talmente as-surdo che non riuscivo a smettere di leggere, come uno chenon riuscisse a risolvere un’equazione e continuasse a pro-varci per sempre.

Adesso so che, in effetti, in quella particolare idea di let-teratura Cechov è stato il più grande: e, nel tempo, mi è pia-ciuto scoprire che dal seme dei suoi racconti è poi nata unajungla di libri che ho spesso amato, ma da lontano, come sipuò amare una campagna in cui non si andrebbe mai adabitare, neanche morti. Ho imparato che la forma perfetta,per quel tipo di artigianato, è il racconto, non il romanzo, eche i maestri assoluti del genere sono inglesi e americani,più qualche mina vagante orientale. Gli altri ci provano, maè come sentire un norvegese che canta ‘O surdato ‘nnam-murato. Un’altra cosa evidente è che, per lungo tempo,questa particolare forma di artigianato si è intestardita inun’aspirazione sublime e per me tristissima: far sparire lavoce del narratore. C’è ovviamente una logica, che già si an-nunciava in Cechov: se quello che vuoi è la registrazione pu-ra del reale, è chiaro che lo scrittore deve togliersi dai piedi.Proprio sparire. Se ti immetti in un sentiero del genere, enon ti fermi per strada, arrivi al Carver truccato da GordonLish. E quello è stato, per un bel po’ di tempo, il modello as-soluto: la perfezione a cui guardare.

Adesso le cose sono un po’ cambiate, e l’orlo della pro-

I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni

UNACERTAIDEADI MONDO

IL LIBRO“Olive Kitteridge” di ElizabethStrout (uscito da Fazi) havinto il premio Pulitzer nel2009, ed è stato definito “unromanzo in racconti”. Lascrittrice, originaria delMaine, vive a New York

ALESSANDRO BARICCO

ILLUSTRAZIONE DI MANUELE FIOR

(Comprato quandoElizabeth Stroutè venuta a insegnarealla Holden, e io mi sono accortodi essere l’unico a scuola che non l’aveva mai letta. Il che non era bello)

SULLO SCAFFALEOpendi Andre Agassi

Le radicidel Romanticismodi Isaiah Berlin

dezza è riscivolato indietro, come un’onda sulla sabbia,verso intenzioni più miti. L’idea è sempre quella di lasciareche il reale impressioni quasi da sé la pellicola, ma si è rico-minciato a far filtrare una certa temperatura, qualche colo-re caldo, qualche inquadratura innaturale, un certo fanta-sma di voce. Sempre foto sono, ma ci senti la mano del fo-tografo, eccome se la senti. Ogni tanto non è piacevole, maaltre volte, invece, è un incanto. Lì si tratta di rimanere inequilibrio tra mutismo e voce, tra freddezza e compassio-ne, e farlo bene, e con eleganza e precisione: è una prodez-za ed è qui che arriviamo alla Strout. In quel genere di equi-librismo, secondo me, lei è il meglio che c’è, morti esclusi.Lei e la Munro, diciamo (due donne, e forse non è un caso).(Ah, colgo l’occasione per annotare che il precetto femmi-nista per cui non bisognerebbe usare l’articolo davanti ainomi di donne - laMerkel, laWoolf - è una boiata pazzesca).

Le fotografie raccolte in Olive Kitteridge (racconti trave-stiti da romanzo) non le si riesce a guardare senza commo-zione, benché non sia chiarissimo il perché. Tutte scattatein un villaggetto della provincia americana, sull’Atlantico.Piccolo mondo, storie gigantesche o minime, di quelle chesenti dalla parrucchiera. Quasi tutti i personaggi fotografa-ti sono anziani, o sull’orlo della pensione, o giù di lì. Biso-gna vederli, infagottati in quella loro pelle di carta velina,mentre spiano i battiti del cuore, un po’ a vigilare sull’even-tuale infarto, e un po’ a registrare, stupefatti, l’ostinata epi-fania di desideri fuori tempo massimo. Sono magnificiquando si chinano sul libro mastro della loro vita a calcola-re, mettendo in colonna i ricordi, una somma che non vie-ne mai. Covano rimorsi per cui non hanno più tempo, e rim-pianti che fanno fatica a ricordare. Leggono il giornale, co-sternati dall’aver dimenticato quale è stato il preciso mo-mento in cui hanno cessato di avere delle opinioni. Ognitanto squilla il telefono, e forse è uno dei figli, ormai grandi,ma poi non lo è quasi mai, e allora tornano a sciabattare inquelle loro piccole case rese enormi dal silenzio, e dallestanze vuote. Tuttavia sono capaci di ridere, ognuno ha unsegreto a cui si scalda nell’inverno di quel crepuscolo, e tut-ti sanno che è un dono, ogni mossa della vita - anche quelgiallo del bosco, o lo zucchero sulla ciambella. Ce n’è uno,si chiama Harmon, e a un certo punto gli accade di pensa-re a Dio: “gli parve un salvadanaio che lui stesso aveva piaz-zato in cima allo scaffale e che ora aveva tirato giù per os-servarlo con occhi nuovi, più attenti”.

Non so se la Strout li abbia conosciuti, ma io sì, questo èil bello, è come se fossi stato là. Lei li ha fotografati per me,con una lente di cui ignoro il segreto, e adesso io potrei ri-conoscere l’odore delle loro case, e sapere che sono loro dacome bussano alla porta. Li lascerò entrare tutte le volte cheverranno perché il bagliore della loro penombra è una del-le cose che mi potranno accadere quando sarà troppo tar-di per un sacco di cose e troppo presto per l’unica che fa ve-ramente paura. Inutile dire, peraltro, che avrei piani piùbrillanti.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

“Le storie raccolte in Olive Kitteridge sonodi quelle che senti dalla parrucchiera”

C’

Page 6: Una certa idea di mondo
Page 7: Una certa idea di mondo

R CULT � 56DOMENICA 11 DICEMBRE 2011

la Repubblica

accordo, il titolo suona sinistro. Non tanto per il riferimentoalla filosofia antica (che di per sé è un argomento di immen-so fascino) quanto per quell’“esercizi spirituali” che inclinaa ricordi non necessariamente giulivi. Ma Hadot era uno diquei vecchi maestri che lasciano il segno, e se io dovessi spie-gare cos’è la filosofia non mi verrebbero in mente poi moltialtri sistemi che prendere queste pagine e, lentamente, leg-gerle a voce alta. Immagino che legioni di studenti la smette-rebbero di agonizzare durante le ore di filosofia se solo met-tessero un attimo il naso lì dentro.

La cosa che capirebbero è questa: in origine la filosofia nonera tanto un modo di pensare per conoscere, quanto un mo-do di vivere per essere felici. Prendetela alla lettera. Era unaprassi quotidiana, non un lavoro di cervello. Non vorrei esa-

gerare, ma era qualcosa di molto più affine allo yoga che allalogica. Dice Hadot: era un modo di guarire. Guarire dall’in-felicità, è ovvio, malattia che tutti conoscono. Stoici, epicu-rei, Socrate, Platone, Aristotele: dei guru che non insegnava-no tanto delle teorie astratte, quanto una via, una disciplina,uno stile di vita che consentisse di uscire indenni dalle ta-gliole dell’esistenza. Adesso noi li studiamo, sui libri di scuo-la, seguendo le traiettorie del loro pensiero, ma è un sistemaimpreciso, dice Hadot, che ci fa perdere la parte più affasci-nante della faccenda. Perché il pensiero era solo una parte diun gesto assai più articolato che potremmo definire così: ten-tare di trovare in se stessi un equilibrio capace di difenderedal dolore, e dalla paura. La speculazione intellettuale eraimportante, ma lo erano analogamente altri esercizi, che po-tremmo effettivamente definire “spirituali”, attraverso iquali ciascuno poteva aspirare a quella saldezza che, sola, lopoteva salvare. Meditare, camminare, leggere, compiere ipropri doveri, condursi nella giungla dei sentimenti, ascol-tare, coltivare amicizie, dialogare. Esercizi dell’anima, eser-cizi spirituali. Hadot cita una fulminante espressione di Plo-tino che spiega molto: quel che occorre fare è scolpire la pro-pria statua. Non va intesa in senso berlusconiano (mettersisu un piedistallo, meno male che Silvio c’è), ma in modo piùsottile. Bisogna ricordarsi che la scultura era, per i greci, l’ar-te della sottrazione, l’abilità manuale con cui ottenere una fi-gura a partire da un blocco di pietra, procedendo per suc-cessive sottrazioni. È esattamente quello che insegnavanoquei celeberrimi guru: lavorare su se stessi, scalpellando viatutto ciò che di falso o inutile ci sta attaccato, e liberare, alla

UNACERTAIDEADI MONDO

IL LIBRO“Esercizi spirituali e filosofiaantica” (pubblicato da Einaudi)è stato scritto dal francesePierre Hadot, direttore dellaÉcole pratique des hautesétudes dal 1964 al 1986e professore al Collègede France. L’autore è mortonel 2010 a 88 anni. La foto diBaricco è ©LesAmp&rsands

ALESSANDRO BARICCO

ILLUSTRAZIONE DI MANUELE FIOR

(Mi ha costrettoa comprarloun’amicache in fattodi sagginon si sbaglia mai.Non si sbagliava,infatti)

SULLO SCAFFALEOpendi Andre Agassi

Le radicidel Romanticismodi Isaiah Berlin “Olive

Kitteridge”di Elizabeth Strout

fine, quel che noi siamo, nella saldezza imperturbabile dellamagnificenza dell’esistere. Allora saremmo, davvero, dei sa-pienti: che non è il nome di uno che sa tutto: è il nome di unoche non ha più paura di niente. Guarito.

Spiega poi, Hadot, come si sia finiti a fare della filosofiaun’attività puramente teorica e speculativa, e come solo direcente (con Nietzsche, Bergson, gli esistenzialisti) si sia tor-nati ad avvicinarsi a quell’idea aurorale di filosofia come con-versione, guarigione, prassi di sanità mentale. Ed è una bel-la mappa che consiglio a tutti di leggere, ma che qui metto daparte perché è un’altra la cosa di cui voglio dire, così prezio-sa, per me. Proprio all’inizio di uno dei suoi saggi, Hadot stac-ca una citazione che gli doveva essere molto cara, e che vie-ne da un sociologo francese, Georges Friedmann. È eviden-

te che la mise lì perché nell’anticalezione dei filosofi greci qualcosagli sembrava che andasse recupe-rato, come l’eredità di un compito,come la riscoperta di una prassi.Aveva in mente una certa idea laicadi esercizio spirituale, quotidiano,paziente, fruttuoso. Doveva sem-brargli fondamentale, nel caso ciimportasse qualcosa di stare su

questo pianeta in modo dignitoso. Per spiegarla, usò le pa-role di Friedmann. Stagliuzzo appena e ve le copio qui, per-ché valgono la pena.

«Fare il proprio volo ogni giorno. Almeno un momento chepuò essere breve, purché sia intenso. Ogni giorno un “eser-cizio spirituale”, da solo o in compagnia di una persona chevuole parimenti migliorare. Uscire dalla durata. Sforzarsi dispogliarsi delle proprie passioni, delle vanità, del desideriodi rumore intorno al proprio nome. Fuggire la maldicenza.Deporre la pietà e l’odio. Amare tutti gli uomini liberi. Que-sto sforzo su di sé è necessario, questa ambizione giusta».

Leggi queste righe a un barbaro e quello ti prende per sce-mo, me ne rendo conto. Esercizi spiritualiiiii? Lo capisco. Mala citazione non finisce lì, ha ancora tre righe, micidiali, equelle sono scritte proprio per il barbaro, e non solo per lui,ma per me e per tutti coloro che si consumano nella libidine,legittima, di rivoluzionare il mondo. Spiegano perché, con-tro ogni apparenza, quello sforzo su di sé è necessario, e quel-l’ambizione giusta. Lo fanno con grande semplicità, limitan-dosi a ricordare qualcosa che abbiamo dimenticato allagrande, quasi tutti, e alcuni con una strafottenza insoppor-tabile. Friedmann le scrisse nel 1977, e questo spiega un cer-to riferimento alla politica. Ma, nel leggerle, prendete il ter-mine “politica” nel suo senso più ampio. Dicono così: «Nu-merosi sono quelli che si immergono interamente nella po-litica militante, nella preparazione della rivoluzione sociale.Rari, rarissimi quelli che, per preparare la rivoluzione, se nevogliono rendere degni».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

“Se dovessi spiegare la filosofia prendereiHadot e leggerei le sue pagine a voce alta”

D’

“American Dust”di Richard Brautigan

I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni

Page 8: Una certa idea di mondo
Page 9: Una certa idea di mondo
Page 10: Una certa idea di mondo

R CULT ■ 60DOMENICA 15 GENNAIO 2012

la Repubblica

iavevano invitati, Pascale e Rastello, alla Biennale Democraziadi Torino, e loro ci sono andati. C’era evidentemente da parla-re del ruolo degli intellettuali nella salvaguardia di una digni-tosa convivenza civile, e loro, uno per volta, l’hanno fatto. Poine è uscito questo libretto, con il testo dei due interventi, e ades-so vorrei riuscire a spiegare come a me sia parso una specie disintetico e appassionato manifesto di un pensiero oggi mino-ritario, che mi sta a cuore e che mi sembra preziosissimo.

Dicono, i due, che non se ne può più, e in particolare non sene può più del fatto che gli intellettuali si diano un gran da farenon a coniare princìpi o a decifrare fatti, ma a confezionaresplendidamente princìpi e fatti già pronti. Prima cucinavano,magari combinando anche disastri, adesso servono in tavola,e i piatti sono quel che sono. Quando va bene, dicono Pascalee Rastello, i fatti e i princìpi su cui si lavora sono superati, quan-

do va male sono semplicemente falsi: sono quelli che il pubbli-co ama sentirsi ripetere, quelli che creano un generico con-senso democratico, quelli che fanno audience, quelli utili a ri-compattare la pazza folla o a mantenere ordine nei segmenti dimercato. Li si assume come cure sanitarie su cui non è il caso difarsi troppe domande e poi si scatena lo splendore dell’intelli-genza per ridisegnarli in format ogni volta più convincenti esorprendenti. E quello sarebbe fare gli intellettuali. Ripetitoridi genio. Si parte dall’ovvio e miscelando bene retorica, narra-zione, e brillantezza intellettuale si ottiene un prodotto chesembra nuovo, ma non lo è. Successo assicurato.

Non lesinano gli esempi, i due autori, e dalle orazioni civilialle trasmissioni televisive buoniste, dall’inutilità dei festivalculturali all’assurdità del mito del biologico, ce n’è per tutti (an-che per me, ho pensato: bisogna sentire cosa dicono della ma-nia per la narrazione). Tutto sommato l’esempio migliore lo faPascale, e trovo delizioso che sia un esempio autobiografico incui lo scrittore-cameriere beccato in castagna è lui stesso. Dun-que: lo mandano in una favela a Rio, Pascale, con il compito didescrivere quel che accade lì. Lui fa il suo dovere e a un certopunto incappa in una tipica magia da scrittore: rimane ipno-tizzato da un frammento, da una piccola immagine in cui vedetutta la storia che vuol raccontare riassunta in un’icona. Il fram-mento è un filo della luce, singolo, che corre all’aperto da un pa-lo all’altro, e, attaccate al filo, decine di altri fili abusivi che ru-bano energia e la portano nelle baracche lì intorno. È poco piùdi un frammento, ma se sei uno scrittore, è esattamente quelche stavi cercando. Rimane da raccontarlo. Detto fatto: e per-

UNACERTAIDEADI MONDO

IL LIBRO“Democrazia: cosa può fareuno scrittore?” di AntonioPascale e Luca Rastello(Codice Edizioni). Il libroraccoglie due interventitenuti dagli scrittori allaBiennale Democrazia del2009. La foto di Baricco è©LesAmp&rsands

ALESSANDRO BARICCO

ILLUSTRAZIONE DI MANUELE FIOR

(Comprato,nonostante il titolo,perché quei duemi avevano sorpreso già altre volte,con quel loro mododi pensarecosì poco servile)

SULLO SCAFFALEOpendi Andre Agassi

Le radicidel Romanticismodi Isaiah Berlin “Olive

Kitteridge”di Elizabeth Strout

fino il guardare in alto, al cielo, era sporcato da quella ragnate-la abusiva, in cui finiva prigioniera qualsiasi speranza.

Tornato a casa, Pascale è poi andato in giro a presentare il suoreportage e non ci ha messo molto a capire che quell’immagi-ne compostamente poetica piaceva molto al pubblico, rima-neva nella memoria, sembrava sintetizzare perfettamentequel che la gente si aspettava di pensare di una favela. Così glisembrò naturale usarla spesso, e ogni volta non mancava di ap-prezzarne il successo e di godersi gli sguardi ammaliati deglispettatori. Fin qui tutto bene. Solo che poi, un giorno, Pascaleva a sentire una conferenza di un antropologo americano sul-le favelas (si era appassionato al tema, evidentemente). A uncerto punto l’antropologo mostra una diapositiva e Pascale siritrova davanti il suo palo della luce, e la ragnatela, e il cielooscurato. Ma guarda, pensa. E mentre lo pensa, l’antropologo

manda un’altra diaposi-tiva e in quella diapositi-va si vede quel che Pa-scale non si era mai chie-sto, e cioè dove andava-no a finire quei fili. Nelladiapositiva c’era unabambina che, di notte,dopo una giornata di la-

voro, studiava, e in quella luce rubata di lampadina abusiva sta-va cercando di estorcere un futuro al proprio destino. Che pir-la, pensò Pascale. E non stava alludendo all’antropologo.

Morale: ci fermiamo all’immagine poetica che non disturbai nostri pregiudizi e non siamo capaci di risalire il filo e andarea vedere cosa realmente accade dall’altro capo. Vale più un’im-magine bella che un’immagine vera. Trova più ascolto l’ovviaparola d’ordine meravigliosamente messa in scena che la pro-nuncia pura e semplice della realtà. L’esercizio dell’intelligen-za e del gusto, prerogativa degli intellettuali, si dedica a rap-presentare pensieri scontati, e sempre più raramente si sforzadi risalire a pensieri scomodi.

E invece avremmo bisogno di gente che misura, dicono Pa-scale e Rastello. Avremmo bisogno di precisione. Avremmo bi-sogno di pensieri scabrosi, cioè ruvidi. Avremmo bisogno di vi-visezionare, non di raccontare, di accertare invece di ripetere.Avremmo bisogno di sventrare feticci e smontare gli sguardi.Avremmo bisogno di gente che fissa nomi, misura quantità,mette in fila cause e effetti. Avremmo bisogno di gente lucidache lavora nell’ombra. Di eruditi che sconfessano i pregiudizie di studiosi che ripristinano i fatti. Avremmo bisogno di intel-lettuali che scendono dal palco e si mettono a fare il loro lavo-ro. Così dicono, i due. Lo dicono anche bene, devo ammetter-lo.

Poi un volta, magari in un posto nascosto in cui non ci pren-da la fregola di strappare l’applauso, ci riuniamo e cerchiamodi capire se hanno anche ragione.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

“American Dust”di Richard Brautigan

I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni

L

Fantozzitotaledi PaoloVillaggio

“Esercizi spiritualie filosofia antica”di Pierre Hadot

“Il medico di corte”di Per Olov Enquist

“Gli intellettuali prima cucinavano, facendoanche dei disastri. Ma adesso servono in tavola”

Page 11: Una certa idea di mondo

R CULT ■ 56DOMENICA 22 GENNAIO 2012

la Repubblica

è poi, nello scrivere, di tanto in tanto, una certa forma di ele-ganza pura, priva di genio ma ricca di maestria, che chiama illettore a un diletto tutto particolare, perfino vuoto, affine alpassare le dita su una superficie liscia, o al guardare, dasdraiati, un fiume che scorre. Non importa neppure più tan-to cosa si sta leggendo, è un piacere sottilmente fisico gene-rato dal puro disporsi della scrittura nello spazio, dalla legge-rezza delle sue movenze, dal suono cristallino che fa rimbal-zando sul tavolo di marmo della nostra attenzione. Si leggenon tanto per imparare, allora, né in fondo per essere intrat-tenuti in modo intelligente: lo si fa per lasciare che quella pro-sa scorra su certe personali stanchezze, o sconfitte, o disfat-te, e ne lenisca il bruciore, sciacquando via lo sporco dalla fe-rita. Così si legge per il puro piacere della lettura – e per sal-varsi.

Non me l’aspettavo, ma questo libro dei Goncourt, vecchiodi 130 anni, mi ha salvato, tempo fa; e ancora adesso, quandocerte mie crepe si fanno moleste, mi accade di riprenderlo inmano, per farmi curare da frasi come questa: «Bambina vi-ziata, enfant terrible di un secolo in cui bisognava avere mol-to spirito per averne abbastanza, madama la duchessa deChaulnes ne aveva troppo». Sto già subito meglio. Può acca-dere, ad esempio, che la modestia delle cose che faccio (o chefanno altri) mi risulti davvero insopportabile, e allora mi è diconforto la raffinata geometria di frasi come «basta dire trevolte a una donna che è graziosa perché alla prima vi ringra-zi, alla seconda vi creda, e alla terza vi ricompensi» (si parladel Settecento, naturalmente, oggi non va esattamente così).Alle volte mi basta una definizione fulminante per restituir-mi una certa letizia: devo molto alla riga che definisce due cer-te nobildonne «nemiche intime». Certi giorni mi è sufficien-te, per riacquistare una certa leggerezza, il semplice risalire lalista degli eleganti sinonimi con cui la Parigi di un tempo ama-va definire le escort dell’epoca: fille du monde, fille de joie, de-moiselle de bon ton, courtisane, femme de plaisir, demi-ca-stor, fille de vertu morente… Così come non posso dimenti-care quale linimento siano state certe liste di nomi che i Gon-court si prendono la cura di annotare con meticolosa libidi-ne. La lista dei nomi delle carrozze, per dire: le dormeuses, ivis-à-vis, le paresseuses, i cabriolet, i sabot, le gondole, le ber-line à cul-de-singe, i barrocci e i diable. (Se vi sembra idiotapensare di consolarsi con simili liste di suoni meravigliosa-

UNACERTAIDEADI MONDO

IL LIBRO“La donna nel XVIII secolo”di Edmond e Julesde Goncourt (Sellerio,a cura di Francesca SgorbatiBosi) raccoglie documentie testimonianze del ’700.La foto di Baricco è© LesAmp&rsands

ALESSANDRO BARICCO

ILLUSTRAZIONE DI MANUELE FIOR

(In teoria l’avevocomprato per saperneun po’ di più sudi un secolo chemi affascina.Dopo peròho finitoper usarlo comeun medicinale)

SULLO SCAFFALEOpendi Andre Agassi

Le radicidel Romanticismodi Isaiah Berlin “Olive

Kitteridge”di Elizabeth Strout

mente evocativi, sappiate che siete nel torto, o che non sape-te veramente cosa siano certe crepe dell’anima, e di riflesso ilvalore dei linimenti che le possono curare. Non solo. Mi per-metto di aggiungere che se non avete almeno una persona in-torno a cui trovereste sensato regalare liste del genere in se-gno d’amore – nella certezza che ne sarebbe deliziata – vi sta-te perdendo qualcosa).

Nel libro dei Goncourt, va detto, l’eleganza della prosa e ipreziosismi di una erudizione così garbata vanno di pari pas-so con l’argomento del testo, vale a dire l’estetismo esaspera-to di tutto un secolo. Contenuto e confezione sembrano usci-ti dalla stessa mano. Il piacere ne risulta completo. Anche, de-vo dire, abbastanza istruttivo. Mi è capitato di pensare, leg-gendo queste pagine, a quante cose, in realtà, non dovrem-mo essere in grado di comprendere ignorando ciò che quel-

le pagine spiegano:giusto per fare un paiodi esempi sommi,non dovremmo capi-re un tubo di tutto ilMozart di Da Ponte,né delle LiaisonsDangereuses. Poi, difatto, capiamo lo stes-so, ma certo quel che

insegnano i Goncourt dell’erotismo, dell’etica e della geo-grafia sentimentale del Settecento ricollocano ogni nota eogni parola di quei capolavori nel loro contesto naturale,dando loro una definizione che in genere ci sogniamo. Perfi-no la vita dei protagonisti di quel tempo ne esce finalmentepiù leggibile. Pensavo ad esempio all’enigma delle lettere diMozart, così insensatamente zozze, e mi accorgevo che nonandrebbero mai lette prima di aver letto i Goncourt (dopo, ri-sultano giusto à la mode, e quindi moderne, secondo un ge-niale etimo che è figlio di quel secolo). Così come mi è acca-duto di capire finalmente perché Constanze era a fare le ter-me mentre suo marito Wolfgang, il più grande genio dellamusica, stava lottando con la morte: l’ho capito quando hoincontrato una frasetta che in puro stile Goncourt mi ha chia-rito per sempre come la pensavano, a riguardo, in quei tem-pi: «Il matrimonio non implicava l’amore, a malapena lo per-metteva». Capite che dal pulpito del nostro moralismo sme-rigliato certe cose non riusciamo neanche a pensarle, mapensarle diventa utile se c’è da giudicare il comportamentodi una moglie dell’epoca o il valore di un’Opera che come tra-ma ha la folle giornata di due coppie di scambisti (Così fan tut-te, e la e finale, al posto di una ben più appropriata i, la dicelunga sul maschilismo di quel mondo: che fu tuttavia, ricor-dano i Goncourt, il secolo in cui le donne ebbero un potereche mai prima avevano avuto. E che mai più hanno avuto,possiamo legittimamente aggiungere noi).

© RIPRODUZIONE RISERVATA

“American Dust”di Richard Brautigan

I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni

Fantozzitotaledi PaoloVillaggio

“Esercizi spiritualie filosofia antica”di Pierre Hadot

“Il medico di corte”di Per Olov Enquist

“Questo libro dei Goncourt mi ha salvato tempo fae ancora oggi mi faccio curare dalle sue frasi”

Democrazia:cosa può fareuno scrittore?di Antonio Pascalee Luca Rastello

C’

Page 12: Una certa idea di mondo
Page 13: Una certa idea di mondo

ibro geniale, niente da dire. Sulla carta è la ricostru-zione di un drammatico frammento della storia re-cente spagnola, cioè il fallito colpo di Stato del 23 feb-braio 1981. Ma se a fare un esercizio del genere è unoscrittore, si finisce in una zona minata dove fiction erealtà si intrecciano pericolosamente: ci hanno fattonaufragio in molti, da quelle parti. Cercas ha un ta-lento micidiale ma per un po’, in effetti, in quel trian-golo delle Bermude si è perso: ha iniziato a scrivere unromanzo, l’ha finito, l’ha buttato. Poi ci è tornato su.Cercava un equilibrio tra finzione e realtà. Soprattut-to cercava una cosa che gli scrittori conoscono bene,ciòe un punto da cui guardare le cose che non esiste-rebbe se non ci fossero loro. Se non trovi quell’ango-latura inesistente, stai facendo una fatica inutile. Un

giornalista bravo farebbe il lavoro molto meglio di te.Che io sappia, scrittori che poi hanno trovato, davve-ro, la voce e lo sguardo per fissare la realtà storica del-le cose e denudarla in un racconto irripetibile ce nesono davvero pochi. Ma Javier Cercas ha un talentomicidiale, l’ho detto, e alla fine ce l’ha fatta.

L’intuizione giusta l’ha avuta guardando e riguar-dando le riprese televisive degli eventi di quel po-meriggio. Se volete potete andarvele a vedere suYouTube. Il parlamento spagnolo stava votando lanomina di un nuovo presidente del governo, la de-mocrazia era ancora giovanissima (cinque anni), lafragilità politica del Paese immensa. Le telecamereregistrano stancamente i lavori. A un certo punto sisentono delle grida, qualcosa accade, i lavori si in-terrompono. Altre grida, trambusto. Poi nell’inqua-dratura entra la figura vagamente grottesca del te-nente colonnello Antonio Tejero: nella sua divisadella Guardia Civil, una pistola tenuta in mano sen-za alcuna eleganza né fierezza, sale le scale che por-tano al seggio della Presidenza, poi si volta verso l’as-semblea, e urla a tutti di non muoversi. Passano al-cuni lunghissimi istanti di silenzio e di immobilità,come un buffo incantesimo. Poi altre grida e alla fi-ne arrivano i colpi d’arma da fuoco, perfino delle raf-fiche di mitra. Volano dei calcinacci, irrompono al-tri militari e a un certo punto qualcuno intima ai par-

lamentari di buttarsi a terra: quel che accade allora èche tutti i parlamentari, cioè più di trecento politici,cioè l’intera classe dirigente del Paese, tutti si butta-no a terra cercando nei modi più grotteschi di spari-re dietro ai loro scranni. Scompaiono. Tutti trannetre: l’ex capo del governo Adolfo Suárez, il generaleGutiérrez Mellado, e Santiago Carrillo, leader dei co-munisti spagnoli. Nell’emiciclo improvvisamentedeserto sopravvivono, imperterrite, le loro tre figu-re. Semplicemente si rifiutano di buttarsi a terra.Suárez rimane immobile, la schiena appoggiata alloschienale, una vaga stanchezza addosso, o indiffe-renza. Carrillo non smette di fumare la sua sigaretta.Il generale Mellado, addirittura, abbandona il suoscranno per andare a fronteggiare i militari, in piedi,

il petto contro le pistole, sprezzante. Dice Cercas che quei tre gli ricordarono una frase

di Borges: «qualunque destino, per lungo e compli-cato che sia, consta in realtà d’un solo momento:quello in cui l’uomo sa per sempre chi è». E gli vennein mente che quei tre, in quel momento, avevano sa-puto per sempre chi erano. Non lo abbagliava l’ap-parente audacia del gesto – quel resistere alla minac-cia delle armi – e non amava particolarmente nessu-no dei tre personaggi, anzi. Ma lo affascinò pensareche se fosse riuscito a entrare in quell’istante di im-mobilità irragionevole, avrebbe letto l’intera storia diquei tre, in una luce incredibilmente limpida, e nellaloro storia la storia vera di quel golpe, e nella storia ve-ra di quel golpe tutta la storia della Spagna post-fran-chista. Il punto di ingresso – un istante – era minu-scolo, ma enormi gli spazi in cui poteva portare. Videun gioco di specchi che prometteva meraviglie, e de-cise di seguirlo.

Da lì in poi si mise a lavorare usando pochissimo lafantasia e molto la voglia di sapere. Si è letto tutto quelc’era sull’argomento e si è messo a intervistare i testi-moni. Un lavoro di documentazione sterminato e ac-curatissimo. Poi si è messo a scrivere. Non un ro-manzo, ma un libro senza definizioni, in cui la manodello scrittore sembra affiorare giusto nell’eleganzadel porgere o nel ritorno periodico di certi tic stilisti-

ci. Nella sostanza è un libro di analisi, di ricostruzio-ne, di ricomposizione di fatti e idee. Neanche per unattimo, però, è possibile leggerlo senza sentire chia-ramente che l’ha scritto uno scrittore e questo – l’hocapito dopo un po’ – perché sebbene l’invenzione ela finzione siano completamente bandite da quellepagine, profondamente letterario è il punto di par-tenza, l’invenzione del punto di vista, la scoperta delgioco di specchi. Letterario e immaginario, perchétutto poggia su una frase di Borges troppo bella peressere vera e su un’ipotesi che è di pura invenzione:che quei tre, là immobili, non fossero il frutto di unacircostanza fortuita, ma un geroglifico che racconta-va loro stessi, la storia che accadeva addosso a loro, ela geografia politica e culturale che li stava incorni-

ciando. Questaè pura invenzio-ne. Tutto il restono.

Questo mec-canismo mi hafatto pensare, emi è sembratog e n i a l m e n t einedito. In ge-

nere, quando gli scrittori siapplicano alla ricostruzio-ne di una certa realtà socia-le o politica tendono a usa-re la fiction per intensifica-re i fatti, pensando che que-sto sia il loro compito: inge-nerano così una specie didoping dei fatti attraversocui ottengono, quando vabene, un’intensità emotivamaggiore e alle volte perfi-no una paradossale esat-tezza. Ma Cercas fa il con-trario. L’unica cosa che èimmaginaria è l’assunto, il punto di vista, tutto il re-sto è pronuncia dei fatti. Anche lui, alla fine, ottieneuna sorprendente presa sulla realtà, ma per una viadiversa che faccio fatica a non giudicare enorme-mente più corretta e civile. Così, benché irripetibile,questo libro ha finito per sembrarmi un modello,quasi l’enunciazione luminosa di un certo accostoletterario alle cose, rispettoso della realtà eppureostinatamente fedele all’immaginazione. (Pensa unlibro così sulla strage di piazza Fontana, mi son det-to. In un certo senso mi son messo ad aspettarlo.)

R CULT � 56DOMENICA 5 FEBBRAIO 2012

la Repubblica

UNACERTAIDEADI MONDOALESSANDRO BARICCO

ILLUSTRAZIONE DI MANUELE FIOR

(Me la ricordavo, quella specie di macchietta con la pistola in mano, in mezzo al Parlamento spagnolo. Non potevo resistere all’idea che Cercas aveva deciso di raccontarla)

Opendi Andre Agassi

SULLO SCAFFALE

Le radicidel Romanticismodi Isaiah Berlin

© RIPRODUZIONE RISERVATA

I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni

Fantozzitotaledi PaoloVillaggio

La donna nel XVIII secolodi Edmond e Jules de Goncourt

“Esercizi spiritualie filosofia

antica”di Pierre

Hadot

“Il medico di corte”di Per Olov Enquist

Democrazia: cosa può fare uno scrittore?

di Antonio Pascale e Luca Rastello

L

“Olive Kitteridge”di Elizabeth Strout

“American Dust”di Richard Brautigan

Go down, Mosesdi WilliamFaulkner

IL LIBRO“Anatomia di un istante”di Javier Cercas è pubblicato da Guanda:ricostruiscela storia del tentato golpedel colonnello Tejeronella Spagna del 1981.La foto di Baricco è© LesAmp&rsands

“Cercas entra in un istante di immobilità irragionevolee ci mette la storia della Spagna post-franchista”

Page 14: Una certa idea di mondo

ome forse avrete già avuto modo di intuire, le di-spute tra gli intellettuali sono da sempre, al di là del-l’apparente eleganza, uno sport violentissimo, gio-cato alla morte in partite che possono durare de-cenni. La storia ne tramanda match di intensità ma-gnifica, e tra i tanti va sicuramente annoverato unodei più cruenti, quello che si giocò in Francia, allacorte di Luigi XIV, tra il 1685 e il 1715. Da una partegli Antichi, dall’altra i Moderni: questi erano i nomidelle squadre. Tra le star in campo, gente come Boi-leau, Racine, Lully, Perrault, Corneille, La Fontaine.Colpi di tacco e legnate da una parte e dall’altra. Unospettacolo.

Il punto del contendere lo si potrebbe riassume-re così: gli Antichi sostenevano che nell’antichità

greco-romana fosse stato raggiunto un apice di ci-viltà culturale a cui ritenevano necessario rifarsi co-stantemente, lavorando alla permanenza di queivalori di bellezza, moralità e sapienza senza i qualinon c’era civiltà; i Moderni invece spingevano perun superamento di quei valori nella convinzioneche il presente avesse in sé tutte le potenzialità perforgiare una nuova civiltà degna di questo nome, alivello di gusto, di linguaggio, di princìpi. I primi sirifacevano ai padri come ad autorità assolute, i se-condi pretendevano il diritto e la capacità di esserepadri di se stessi. Adesso la questione non vi sem-brerà particolarmente originale, ma va ricordatoche ai tempi la sua semplice formulazione avevaqualcosa di geniale, da tutte e due le parti: il cultodell’antichità, per noi scontato, non lo era stato af-fatto per secoli, e si può dire che, ai tempi, fosseun’invenzione relativamente recente e rivoluzio-naria; d’altra parte l’idea che il nuovo fosse un valo-re di per sé, e la modernità una virtù, era un’idea fre-sca di giornata, una conquista culturale che ci ave-va messo secoli a salire in superficie. In certo modo,quindi, a scontrarsi erano due intuizioni geniali,piuttosto recenti, e irrimediabilmente opposte. Po-tete immaginarvi la bellezza della partita. Se oggipossono giocare quella partita anche sui campettidi provincia, e ovunque si incontrino un vecchio

professore e un giovane di talento, è perché quelli là,quella volta, inventarono quella partita.

Adesso qualcuno vorrà sapere chi la vinse. Ve lodico: i Moderni. Quel che sappiamo per certo è chel’avvento dell’Illuminismo decretò la vittoria deiModerni, traducendo in realtà dominante le loro ri-vendicazioni. Possiamo anche andare oltre e sug-gerire che la partita si rigiocò a cavallo tra Sette e Ot-tocento, quando gli Antichi si ripresentarono incampo con un nome nuovo (i Romantici) e una stra-tegia diversa: fu molto combattuta e questa volta avincere furono gli Antichi (i Romantici) con duebuoni goal di scarto. Detto questo, tanto vale arri-vare fino in fondo: la partita ce la stiamo giocandoper la terza volta in questi anni, con lo scontro spet-

tacolare tra la civiltà romantica, ancor vivissima, e inuovi barbari (Steve Jobs e compagnia): gli Antichiasserragliati in area e i Moderni a tirare da tutte leparti. Dico questo, a costo di semplificare, per farvicapire come studiare la storia della cultura non è so-lo un vezzo da snob in convalescenza ma un modoper ricostruire la preistoria dei nostri pensieri, dellenostre domande e delle nostre risposte. E’ un viag-gio dentro a noi stessi.

Vale la pena di farlo soprattutto quando si trovauna guida capace di farci risalire il corso della storia

con lucidità e nitore: con facilità. Ed è il caso di que-sto libro. Marc Fumaroli è un accademico di Fran-cia oggi ottantenne, un ammirevole maestro d’altritempi. Erudizione, eleganza, stile. Ha tutto per affa-scinare. Con un’aggiunta che per me è risultata ir-resistibile: lui tiene per gli Antichi. E’ un ultras delconservatorismo. E’ uno che se mai leggesse I Bar-bari (non lo farà mai), mi inseguirebbe fino in capoal mondo per prendermi a calci nel sedere. E’ il tipodi avversario che uno si sogna la notte. Noi siamo or-mai figli di una civiltà in cui il nuovo è un valore ido-latrato e la convinzione nel progresso un principioinattaccabile: dunque in quella fantastica partitaseicentesca stiamo istintivamente dalla parte deiModerni. Ma lui no. Lui sta meravigliosamente dal-l’altra parte, e per l’ennesima volta devo constatareche le battaglie bisognafarsele raccontare daglisconfitti per capirle ve-ramente, e così è suc-cesso effettivamentequando ho letto Fuma-roli, e per la prima voltaho compreso davveroche la disputa tra Anti-chi e Moderni non eraaffatto una partita grot-tesca, pedanti contro il-luminati, ma era unapartita in cui erano ge-niali da tutt’e due le par-ti, tanto da convincermicome l’averla vinta siastato assai più che un lo-gico epilogo, ma uneroico colpo di mano, dicui solo adesso possovalutare a pieno l’ardi-mento e l’astuzia. Possoaddirittura spingermi aconvenire che conquella vittoria si mise inmoto un’epica del mo-dernismo che ci ha fatto fare un sacco di sciocchez-ze, oltre a una cosa sensatissima, cioè inventare ilpiacere del futuro. E per quanto possa sembrare as-surdo, più facilmente mi sembra di capire, per averletto questo libro, che nella partita che ci stiamo gio-cando adesso vinceranno i barbari, e lo farannoavendo torto, ma lo faranno, per la forza incontra-stabile della giovinezza, del talento e della follìa.

R CULT � 56DOMENICA 12 FEBBRAIO 2012

la Repubblica

UNACERTAIDEADI MONDOALESSANDRO BARICCO

ILLUSTRAZIONE DI MANUELE FIOR

Opendi Andre Agassi

Le radicidel Romanticismodi Isaiah Berlin

© RIPRODUZIONE RISERVATA

I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni

Fantozzitotaledi PaoloVillaggio

La donna nel XVIII secolodi Edmond e Jules de Goncourt

“Esercizi spiritualie filosofia

antica”di Pierre

Hadot

“Il medico di corte”di Per Olov

Enquist

Democrazia: cosa può fare uno scrittore?

di Antonio Pascale e Luca Rastello

C

“Olive Kitteridge”di Elizabeth Strout

“American Dust”di Richard Brautigan

Go down, Mosesdi WilliamFaulkner

“Anatomiadi un istante”di Javier Cercas

IL LIBRO“Le api e i ragni. Ladisputa degli Antichi e dei Moderni” di Marc Fumaroli,pubblicato da Adelphi(traduzione di Cillario eScotti) racconta la sfidache si svolse tra gliintellettuali tra Seicentoe SettecentoLa foto di Baricco è© LesAmp&rsands

“Marc Fumaroli con la disputa tra Antichi e Moderniracconta la partita più cruenta delle star culturali”(Potevonon comprare,mentrepensavoai barbari,un librocon queltitolo?)

SULLO SCAFFALE

Page 15: Una certa idea di mondo

ra è difficile crederlo, ma Stefan Zweig fu negli an-ni ’20 e ’30 del secolo scorso un autore di bestsellerplanetari (il pianeta era più piccolo, allora). Eraebreo, austriaco, nato in una famiglia decisamen-te ricca, compagno di strada di gente come Ri-chard Strauss, Freud, Schnitzler. Convinto pacifi-sta, si fece in un ufficio la Prima Guerra Mondiale,e all’avvento del nazismo prese senza far molto ru-more la via dell’esilio. Non si ricordano sue presedi posizione clamorose, né scritti politici di parti-colare rilievo. Continuò a scrivere quel che gli pia-ceva scrivere, e a scappare con grande dignità. Pri-ma l’Inghilterra, poi gli Stati Uniti, infine il Brasile.Lì, a Petropolis, si tolse la vita, nel 1942, all’età disessantun’anni, quando l’esplosione della Secon-da Guerra mondiale glì sembrò inevitabile. Se de-vo credere a Wikipedia (e non sempre le credo) ac-compagnò il suo gesto con questa bella frase:“Penso sia meglio concludere al momento giustoe con la schiena diritta una vita per la quale il lavo-

ro intellettuale è stato la più pura delle gioie, e la li-bertà personale il bene più alto.” Sarebbe propriobello se l’avesse detta, o scritta, davvero.

Annoto tutto questo perché ha che vedere con leragioni che mi hanno fatto amare questo libro.Trovo commovente che un intellettuale ebreo, po-sto di fronte al dilagare della barbarie nazista, nel1936, nulla trovò di meglio da fare che dedicarsi auna biografia di Magellano. Posso assicurare chela vita del famoso navigatore non poteva avere nes-sun particolare valore simbolico, in quel momen-to: per quanto bella, non offriva proprio appigli aun eventuale riferimento all’orrore di quegli anni.Era proprio quel che sembrava: pura gioia del la-voro intellettuale. Così, mentre leggevo il libro,pensavo a quando quell’uomo l’aveva seminato,contro ogni logica, in un momento in cui avrebbepiuttosto dovuto seminare indignazione e rifiutoper quello che stava succedendo, e invece si chinòa seminare quella pianticella esotica, con grandecura, e quello che pensava, evidentemente, era chequalcuno avrebbe poi raccolto, chissà quando, il

frutto della sua semina, e in effetti adesso posso di-re che era così, qualcuno avrebbe raccolto, cioè io,e questa pagina, e tutti coloro che hanno letto quellibro e tutti quelli che lo leggeranno. In questa mi-te idea di lavoro intellettuale riconosco una sfu-matura che amo, e che mi fa raccogliere sempre dimalavoglia le prediche, di solito proterve, di colo-ro che credono lo scrivere un gesto obbligatoria-mente di denuncia, di partecipazione politica, diimpegno civile. Non so, non è detto. Si semina, al-le volte, incuranti della Storia, inermi fino all’eroi-smo, per il puro piacere di seminare qualcosa cheverrà raccolto. Lo considero un modo non solo le-gittimo, ma perfino sublime, di vedere le cose.

E poi l’ho letto con grande piacere, questo suo li-bro - nonostante sia scritto in modo non indimen-ticabile, giusto amabile e elegante - perché fanta-stica è la vita di Magellano. In un mondo in cui sem-bra essere diventata fondamentale la distinzionetra vincenti e perdenti, quella vita contribuisce a ri-

mettere le cose a posto, cioè a ricordare come la li-nea di demarcazione tra vincere e perdere non siamai così stupidamente netta come X Factor ten-derebbe a suggerire. Magellano si guadagnò famaimperitura dimostrando che effettivamente si po-tevano raggiungere le Indie navigando verso occi-dente (non le Indie patacca di Colombo, quelle ve-re). La cosa lo portò ad essere il primo uomo nellastoria dell’umanità a superare la barriera delleAmeriche e dunque a circumnavigare il globo, di-mostrando così che, in effetti, la terra era rotonda(lo sapevano, a quel punto, ma nessuno era anda-to ancora a toccare con mano). Naturalmente an-dava per supposizioni, e in effetti prese delle can-tonate pazzesche, prima fra tutte quella di entrarenell’Oceano Pacifico credendo che fosse quello in-diano. Comunque sia, lasua impresa la fece, e così,sulla carta, andrebbe consi-derato un vincente. Ma lasua vicenda non è così sem-plice. Era un portoghese eper realizzare il viaggio deisuoi sogni tradì il suo re e ve-leggiò per gli spagnoli, te-nuto in scarsa considera-zione pure da loro, che i tra-ditori non li amavano perprincipio. Per quanto ardi-ta, la rotta che lui aprì si ri-velò inutile: troppo rischio-so passare per lo stretto chepoi prese il suo nome e chelui aveva cercato con un’o-stinazione delirante lungotutte le coste della Patago-nia: per rischiare la vita lì,preferivano caricarsi tuttoin spalla e scavalcare a Pa-nama. Agli uomini con cuicompì l’impresa inflissesofferenze inaudite e una statistica feroce: 234 ipartiti, 18 i superstiti che più di due anni dopo tor-narono a Siviglia. Tra i morti, tanto per completa-re il quadro, lui, Magellano. Morì in modo idiota,nelle odierne Filippine, combattendo una guerru-cola tra isolani, alleato di un re locale. Gli indigenilo fecero a pezzi, sulla spiaggia, e dispersero nelnulla il suo corpo. Da allora si possono trovare mol-te vie, con il suo nome, ma non una tomba.

Adesso tu dimmi se uno così ha vinto o ha perso.

R CULT � 56DOMENICA 19 FEBBRAIO 2012

la Repubblica

UNACERTAIDEADI MONDOALESSANDRO BARICCO

ILLUSTRAZIONE DI MANUELE FIOR

Opendi Andre Agassi

Le radicidel Romanticismodi Isaiah Berlin

© RIPRODUZIONE RISERVATA

I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni

Fantozzitotaledi PaoloVillaggio

Le apie i ragnidi MarcFumaroli

La donna nel XVIII secolodi Edmond e Jules de Goncourt“Esercizi

spiritualie filosofia

antica”di Pierre

Hadot

“Il medico di corte”di Per Olov

Enquist

Democrazia: cosa può fare uno scrittore?

di Antonio Pascale e Luca Rastello

O

“Olive Kitteridge”di Elizabeth Strout

“American Dust”di Richard Brautigan

Go down, Mosesdi William Faulkner

“Anatomiadi un istante”di Javier Cercas

IL LIBRO“Magellano”di Stefan Zweigpubblicato dallaBurracconta la vitadel grandeesploratoreportogheseLa foto di Bariccoè © LesAmp&rsands

“Zweig, di fronte al dilagare della barbarie nazista,decise di dedicarsi a una biografia di Magellano”(Comprato perchénon mi veniva in menteuna sola cosa che potessero averein comuneuno scrittore mitecome Zweig eun avventuriero pazzocome Magellano)

SULLO SCAFFALE

Page 16: Una certa idea di mondo

cco un libro che, a esserne capace, avrei adoratoscrivere io. Il punto non è raccontare la storia delcalcio, ma le mutazioni con cui nel tempo si è pen-sato alla tattica di gioco: date quelle regole e quelcampo, il resto è immaginazione, percorsi dellamente, iperboli della fantasia. Come si è arrivati ainventare il Libero? E perché a un certo punto ci siè messi tutti a giocare a zona? Mutazioni. Natural-mente la cosa mi affascinerebbe anche se nonamassi il calcio, perché qualsiasi gioco rappresen-ta in vitro il gioco più allargato dello stare al mon-do, e dunque la possibilità di studiare in laborato-rio cosa è successo in un gioco particolare ha buo-ne probabilità di rimandare a certi movimenti del-la mente con cui nel tempo abbiamo affrontato lasfida col senso della vita, del pianeta e dell’uma-nità. Non scherzo, e per dimostrarlo faccio unesempio.

Non saprei spiegare meglio cosa sono i Barbari(nell’accezione che ho dato a questo termine) e in

definitiva la mutazione culturale e antropologicache stiamo compiendo, se non facendo vedere unbreve video che un amico, sapendo che mi diletta-vo di quei temi, mi ha spedito un giorno. Lo potetetrovare su Youtube. È una sintesi (6 minuti) di Olan-da – Uruguay giocata ai mondiali del ‘74: forse laprima epifania ufficiale di quello che poi si sarebbechiamato calcio totale. Una lezione. Gli uruguagierano forti, tosti, menavano come fabbri e giocava-no un calcio pratico ed efficace; gli olandesi svolaz-zavano a velocità inaudita in un modo incompren-sibile e, tra colpi di tacco, grullate varie e tiracci intribuna, giocavano una cosa meravigliosa che nonsi era mai vista. Attaccavano il portatore di palla insei o sette (come presi da un improvviso odio per-sonale), non tenevano la palla tra i piedi per più didue tocchi (spesso ne bastava uno), scattavano inzone del campo in cui avresti detto che non c’eranemmeno il campo, schieravano la difesa così altache a un certo punto – un punto quasi commoven-te – gli uruguagi finiscono in fuorigioco in SETTE, ebisogna vedere le facce. Uno spettacolo. Il risulta-

to non me lo ricordo nemmeno (beh, diciamo chenon vinsero gli uruguagi) ma l’elementare con-trapposizione di due culture, una morente e l’altrastraripante, è così luminosa che la capirebbe ancheun bambino. Non sta accadendo altro, adesso, in-torno a quel bambino, nel mondo che è il nostro.

Per cui l’idea di ripercorrere le mutazioni tatti-che della storia del calcio è a suo modo geniale, e si-curamente istruttiva. Non è detto che le avventuredella mente siano sempre da studiare tampinandoGoethe, o Adorno, o Freud. Anche il calcio va be-nissimo. Soprattutto se raccontato con la compe-tenza e la gradevolezza di cui è evidentemente ca-pace Sconcerti. Niente di particolarmente cervel-lotico, ma una bella carrellata dalle origini del cal-cio al Mondiale vinto dagli azzurri di Lippi in Ger-mania. Inutile dire che è una collezione di ricordi eaneddoti irresistibile. Mi ha fatto morire sapere cheil cognome di Nereo Rocco, in origine, era Rock (ve-nivano da Vienna): e mi è piaciuto ricordarmi co-

me entrasse in campo sempre in giacca, cravatta escarpette da calcio (per via del fango, diceva lui, pervia che amava stare con i piedi per terra, dice Scon-certi). Ho amato ricordarmi di Liedholm, il signorepacato che importò la zona in Italia, infrangendo iltabù delle marcature a uomo (quando gli chieseroperché l’aveva fatto lui disse che così non dovevapensare tutte le volte alle marcature). Mi sono tor-nati su in modo struggente e da lontananze abissa-li parole che oggi non si usano praticamente più eche hanno una bellezza che non saprei dire: tor-nante (un participio presente!), oriundi (etimolo-gia inesplicabile, nella mia mente di bambino si-gnificava “artista”), stopper (chiaramente onoma-topeico, è il rumore che fa una puntonata contro latibia). Mi son sentito raccontare momenti invisibi-

li che hanno però cambiato la storia del calcio: unoè il pomeriggio in cui Sacchi passò a Baresi una vi-deocassetta per studiare come, al centro della dife-sa del Parma, giocava Signorini. Un altro proprionon lo conoscevo: dice Sconcerti che il sabato pri-ma di partire per Lisbona, per il viaggio da cui nes-suno tornò vivo, quelli del Grande Torino giocaro-no con l’Inter: non avevano tutto questo vantaggio,in campionato, e il presidente (il mitico FerruccioNovo) disse chiaro e forte che se perdevano quellapartita, a Lisbona col cavolo che ci andavano. Finìzero a zero e adesso la vorrei tanto rivedere, quellapartita, perché bastava un rimpallo fortunato, unadisattenzione della difesa, un errore arbitrale equelli sarebbero stati il Grande Torino ancora perun sacco di tempo. Il calcio vive di episodi, si dice,e anche la vita, bisogna de-durne. Con grande diverti-mento ho risentito parlaredi Herrera (“Non è stato ilmiglior allenatore, è stato ilprimo”), scoprendo cheparlava tanto, fuori al cam-po, e neanche una volta, du-rante la partita: si scoprì poiche era terribilmente miopee che la partita mica la vede-va tanto. E infine ho trovato,in cinque righe, (compli-menti a Sconcerti) quelloche non riesco mai a spiega-re a mio figlio quando michiede chi è quel signore di-stinto che parla alla tivù.Paolo Rossi, dico, già un po’offeso. E chi è?, dice lui. Co-me chi è? Il Mundial, Pabli-to, quelle cose lì! Ma era for-te?, allora lui mi chiede. E lìnon so spiegare. Ho i suoigoal in quel Mundial stam-pati nella memoria (avevo 24 anni, santo cielo), manon glieli so spiegare. Adesso finalmente posso far-lo. “Paolo Rossi giocava molto meglio da ragazzoquando era un’ala destra veloce e piena di talento.Al centro dell’area era come se tutto il suo talentol’avesse barattato con un ritmo di partita solo suo.Non vedevi niente, era come un deserto. In area sialzava della polvere, intuivi un gruppo di corpi, e sela palla andava in porta era stato Paolo Rossi”. Giu-ro, era esattamente così.

RCULT■ 58DOMENICA 26 FEBBRAIO 2012

la Repubblica

UNACERTAIDEADI MONDOALESSANDRO BARICCO

ILLUSTRAZIONE DI MANUELE FIOR

Opendi Andre Agassi

Le radicidelRomanticismodi Isaiah Berlin

© RIPRODUZIONE RISERVATA

I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni

Fantozzitotaledi PaoloVillaggio

Le apie i ragnidi MarcFumaroli

Magellanodi StefanZweig

La donna nel XVIII secolodi Edmond e Jules de Goncourt“Esercizi

spiritualie filosofia

antica”di Pierre

Hadot

“Il medico di corte”di Per Olov

Enquist

Democrazia: cosa può fare uno scrittore?

di Antonio Pascalee Luca Rastello

E

“OliveKitteridge”di Elizabeth Strout

“American Dust”di Richard Brautigan

Go down, Mosesdi William Faulkner

“Anatomiadi un istante”di Javier Cercas

IL LIBRO“Storia delle ideedel calcio”di Mario Sconcerti(Baldini CastoldiDalai editore)La foto di Baricco è©LesAmp&rsands

“Non è detto che le avventure della mente siano sempre dastudiare tampinando Adorno. Anche il calcio va benissimo”(Devi assolutamenteleggerlo,mi ha detto un amicocon cui potremmopassare orea discutere suidifetti del 4-3-3.Aveva ragione)

SULLOSCAFFALE

Page 17: Una certa idea di mondo

ra dai tempi del Mondo secondo Garpche non mi di-vertivo tanto (be’, leggendo un libro, naturalmente).Goldman non sapevo chi fosse ma in realtà avrei do-vuto saperlo: se uno scrive film come Butch Cassidy,Il Maratoneta e Misery non deve morire, tu DEVI sa-pere chi è. Ma insomma, non avevo memorizzatoquel suo nome un po’ ordinario, e così, nella frettadella spesa in libreria, quando è tardi e te la stannochiudendo addosso, alla fine il libro l’avevo presogiusto per fiducia cieca nella prefazione scritta daCavina (è uno scrittore italiano, per chi non fosse giàpazzo di lui). Diceva Cavina che La principessa spo-sa restituiva l’incanto dei primi libri che leggi, da ra-gazzino, proprio i primi, quando ancora non te l’a-spetti. Non ti aspetti che possano fare quell’effettolì: tipo che diventi uno dei ragazzi della via Paal, o chequando un personaggio muore tu ti senti morire. Di-ceva anche, Cavina, che lui l’aveva letto tutto in ungiorno, senza riuscire a smettere (lui è romagnolo,però). Insomma, valeva la pena di provare.

Già la prima frase non è niente male: «Fra tutti i li-

bri del mondo questo è il mio preferito, anche se nonl’ho mai letto». Suona demenziale, ma giuro che in-vece, letto il libro, risulta perfettamente logica. È chebisogna entrare nel meccanismo del romanzo, cheè deliziosamente bizzarro. Volendo provare a spie-gare, Goldman fa finta di ripubblicare un libro cheda bambino gli aveva letto suo padre, e di cui si erainnamorato perdutamente. Il libro di un tale Mor-genstern. Dato però che il libro, benché meraviglio-so, conteneva inspiegabili divagazioni di insosteni-bile lunghezza e noia, Goldman ne fa un’edizione unpo’ ripulita, intervenendo a riassumere le pagineinutili. Vi sembra complicato? Riassumo: pratica-mente Goldman si è scritto da sé il libro che lo avreb-be fatto impazzire quando aveva dieci anni se suopadre gliel’avesse letto saltando le parti pallose.

Non so se vi ricordate che tipi eravate a dieci anni(se la risposta è no, qualcosa non va, gente!). A quel-l’età, cosa avreste desiderato da un libro? Esatta-mente ciò che troverete nella Principessa sposa, ecioè, per usare le parole dell’autore, «Scherma, lot-

ta, tortura, veleno, vero amore, odio, vendetta, gi-ganti, cacciatori, uomini malvagi, uomini buoni,belle dame, serpenti, ragni, dolore, morte, uominicoraggiosi, uomini codardi, inseguimenti, fughe,menzogne, passione, miracoli».

Posso confermare che in effetti c’è tutto. E anzi, lalista potrebbe essere più lunga. Aggiungo che, nellasostanza, si tratta di una avventurosa storia d’amo-re: lei è la ragazza più bella del mondo (quindi, com-prensibilmente, un tantino scostante, per usare uneufemismo) e lui è uno che la ama sopra ogni cosa,con abnegazione assoluta e una forza fiabesca. Perdare un’idea del rapporto, può servire un piccolodialogo che si consuma dopo che lui l’ha salvata datremende avventure con un’abilità inenarrabile. Inteoria lei dovrebbe per questo amarlo per una deci-na di vite, ma la realtà è che quando il Cattivo li cat-tura (un Principe di una malvagità indimenticabile),lei non ci mette più di venti secondi a mettersi conCattivo pur di avere salva la vita. Ed ecco il dialogo:

Lui: «Tu preferisci vivere con il Principe piuttosto

che morire col tuo amore».Lei: «Preferisco vivere che morire, lo ammetto».Lui: «Parlavamo d’amore, signora».Ovviamente Flaubert è un’altra cosa, o anche so-

lo Philip Roth, su questo non c’è dubbio. Infatti quisiamo in un campo da gioco che probabilmente nonsi merita il nome di letteratura, e che tuttavia non èmeno prezioso, perché è la riesumazione postumae apocrifa di ciò che chiamiamo narrativa per ragaz-zi, solo convertita, con un’acrobazia bizzarra, in pia-cere per adulti. Sulla carta non aveva una sola possi-bilità di funzionare. E invece devo dare ragione a Ca-vina e annotare che, se proprio non l’ho letto in unsolo giorno, certo ’sto libro me lo sono divorato coninfinito piacere: e sono sicuro che la cosa abbia a chevedere con la bravura di Goldman assai più che colmio livello di rimbambimen-to senile. La verità è che hotrovato così raro, per il lettoreche ormai sono diventato, ar-rivare fino alla fine di un libroda cui non imparavo niente(la morale della storia è enun-ciata nell’ultima riga, e non èche mi suonasse nuova: «Lavita non è giusta. È solo piùdecente della morte, tuttoqui»). Non so perché ma or-mai finisco solo i libri che miinsegnano qualcosa o chesfoggiano una lingua che mimeraviglia. È come se nonavessi più tempo per tutto ilresto. Solo maestri o voci irri-petibili. Goldman non è néuno né l’altra, eppure il suoumorismo, la sua leggerezzae la sua vecchiaia infantile, mihanno portato via senza fati-ca, facendomi sentire nellegambe una facilità da lieve discesa che l’aver scala-to così tante montagne, negli anni, mi aveva fattoquasi dimenticare. Da bambino, con gli occhi in unlibro, non sapevo camminare in altro modo, e ades-so mi rendo conto che, come per tutto il resto, ancheper la lettura vale la regola implacabile per cui si è alposto giusto solo quando non si hanno le carte percapire che lo è. Lo dico senza rimpianto, non c’è nul-la da lamentarsi, non è grave, ma le cose stanno co-sì. Perché la vita non è giusta, è solo più decente del-la morte, tutto qui.

ALESSANDRO BARICCO

“Goldman con un’acrobazia bizzarra convertela narrativa per ragazzi in piacere per adulti”(Come ho già detto,in genere gli sceneggiatori,per ragioni misteriose,non scrivono bei libri.Ed ecco qua, subito,una clamorosa eccezione)

RCULT■ 56DOMENICA 4 MARZO 2012

la Repubblica

UNACERTAIDEADI MONDO

ILLUSTRAZIONE DI MANUELE FIOR

Opendi Andre Agassi

Le radicidelRomanticismodi Isaiah Berlin

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Fantozzitotaledi PaoloVillaggio

Le apie i ragnidi MarcFumaroli

Storiadelle ideedel calciodi MarioSconcerti

Magellanodi StefanZweig

La donna nel XVIII secolodi Edmond e Jules de Goncourt

“Esercizispiritualie filosofia

antica”di Pierre

Hadot “Il medico di corte”di Per Olov

Enquist

Democrazia: cosa può fare uno scrittore?

di Antonio Pascalee Luca Rastello

“OliveKitteridge”di Elizabeth Strout

“American Dust”di Richard Brautigan

Go down, Mosesdi William Faulkner

“Anatomiadi un istante”di Javier Cercas

SULLOSCAFFALE

I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni

IL LIBRO“La principessasposa” di WilliamGoldman (Marcos yMarcos, traduzionedi MassimilianaBrioschi)La foto di Baricco è© LesAmp&rsands

E

Page 18: Una certa idea di mondo

RCULT■ 58DOMENICA 11 MARZO 2012

la Repubblica

oi ci sono quelli che hanno il dono. Non si può chia-mare altrimenti quella facilità nello scrivere checancella ogni traccia dietro di sé rendendo imper-cettibile la mano dell’artigiano. L’equivalente, inletteratura, di quello che Clint Eastwood fa nel ci-nema: quando lui gira ti dimentichi che esista unregista; come se ci fosse un punto, uno solo, asso-lutamente naturale, in cui mettere la macchina dapresa: e lui, ogni inquadratura, lo becca. Non di-versamente scrive, ad esempio, Philip Roth, in as-soluto il più grande, se dobbiamo parlare di dono,di facilità, di mano invisibile (sì, però, perché nonsi riposa un po’ e ci lascia tranquilli qualche mese,io avrei ancora da digerire interamente Pastoraleamericana. Possibile che il golf gli faccia propriocosì schifo?). Un altro è Coetzee (no, non lo so co-me si pronuncia, esattamente). Anche lui, comeRoth, mette la macchina da presa nell’unico pun-to giusto, e lo fa pressoché a ogni frase, col risulta-to finale di una prosa inevitabile e perfetta: quelgenere di illusione che ti danno le foglie degli albe-

ri, quando le guardi bene. Questo tipo di prosa of-fre uno straordinario vantaggio: dato che azzera glispigoli della lettura, riducendo al limite la fatica didecifrare la scrittura, permette al lettore di usarel’intero cervello per pensare quel che legge, vistoche non fa nessuna fatica a capirlo. Dato che il sen-tiero è in discesa e pulitissimo, guardi meglio ilpaesaggio. Il paesaggio, nei libri, è l’intelligenzadello scrittore.

In questo senso, Coetzee a me è sempre parsoperfino meglio di Roth. Ha una intelligenza più cat-tiva, più sarcastica, più feroce. Ed è politicamentescorretto in un modo fastidioso e brutale, non inquel modo un po’ da party newyorkese che haRoth. Sentite questa (Vergogna, pag. 91). «Amoresaffico: una scusa per ingrassare». Si può esseredelle merde in modo così fulminante? Ma non èsempre una faccenda di cattiveria. Spesso è un’in-telligenza solo impietosa, ma tagliente oltre ognidire. Sempre in Vergogna, c’è ad esempio una ri-flessione (attribuita, come la precedente, al prota-

gonista) che io trovo geniale. Sono solo tre righequindi le copio qui: «La sua personale opinione èche l’origine del linguaggio vada cercata nel canto,e l’origine del canto nel bisogno di riempire con unsuono un’anima umana sovradimensionata e al-quanto vuota». A me non era mai venuto in menteche gran parte dei dolori degli umani potesse veni-re da un problema di taglia. Un’anima sovradi-mensionata. Spiegherebbe un sacco di cose, que-sto tragico errore di valutazione nel gesto sartoria-le del Creatore. Stiamo nella nostra anima comebambini nella tuta da sci del fratello più grande.Certo che poi si sente quel certo vuoto…

In Vergogna, questo tipo di lancinante intelli-genza è applicata a due o tre temi, ma quello che miè rimasto impresso è uno, in particolare. L’inade-guatezza dell’intellettuale. Succede che il protago-nista, un raffinato accademico umanista, si trova aparcheggiarsi dalla figlia, in campagna, in un mon-do che non c’entra nulla con la sua vocazione di in-tellettuale urbano. Contadini, veterinari, gente

che fa cose con le mani, gente che ripara gli stecca-ti. E naturalmente, anche, banditi, violenti, primi-tivi. Che si tratti di reagire a un’aggressione feroce,o di curare un cane malato, il professore, con tuttala sua cultura, si trova ad essere costantementeinadeguato, inutile, vergognosamente non attrez-zato. È un fenomeno che conosco. A me basta an-dare ad affittare un gommone, o andare a compra-re la fontina in un alpeggio per trovarmi davanti apersone che detengono un sapere raffinatissimo,di fronte al quale posso solo contrapporre un’i-gnoranza umiliante. D’improvviso, a saper vivere,sono loro. Sanno come avvolgere una cima, chetempo farà domani, i nomi degli alberi, le dinami-che dei venti, come vestirsi, dove sedersi e dove no,come non farsi male. Sono elementari, primitivi,spesso non hanno mai aper-to un libro, eppure dopo unpo’ non riesci a cacciare que-sta rovinosa sensazione chesappiano stare al mondomeglio di te, forse perfinoeducare i figli, al limite abita-re la loro anima sovradimen-sionata. È intollerabile. E io,con tutti i libri che ho letto?Possibile che debba stare lìcome un fesso, a farmi inse-gnare a vivere? È in quei mo-menti che io, come il profes-sore di Coetzee, finisco perchiedermi: ma cosa so fare,io? Con tutto quello che hostudiato e fatto, cosa so fareio, veramente?

Cosa sanno fare gli intel-lettuali?

Io ad esempio, so leggerel’Infinito di Leopardi. Vogliodire che so leggerlo bene, soda dove viene quella bellezza, so trovare il suonogiusto per ogni parola, so perché è fatto in quel mo-do, ne conosco la musica perfettamente e so conprecisione cosa pronuncia e racconta. Ci ho mes-so anni, ho lavorato duro, e ora lo so leggere bene.Adesso la domanda è? A cosa serve? Serve a qual-cosa? Non sarebbe stato meglio studiare i venti e ilnome degli alberi?

Fra una settimana parlerò di un libro di ChristaWolf. E lì, ad esempio c’è una risposta. Una dellemigliori che io abbia da parte.

ALESSANDRO BARICCO

“Coetzee mette la macchina da presa nell’unico punto giusto,col risultato finale di una prosa inevitabile e perfetta”(Chi se lo ricorda,perché l’ho comprato.Certo non perchéaveva vintoil Grinzane Cavour,come strombazzala quartadi copertina)

ILLUSTRAZIONE DI MANUELE FIOR

© RIPRODUZIONE RISERVATA

“Olive Kitteridge”di Elizabeth Strout

Go down, Mosesdi William Faulkner“Anatomiadi un istante”di Javier Cercas

SULLO SCAFFALE

IL LIBRO“Vergogna”di J. M. Coetzee(Einaudi, traduzionedi Gaspare Bona)La foto di Baricco è© LesAmp&rsands

P

Opendi Andre Agassi

Le radicidel Romanticismodi Isaiah Berlin

“American Dust”di Richard Brautigan

Fantozzi totaledi Paolo Villaggio

“Esercizi spiritualie filosofia antica”di Pierre Hadot

“Il medico di corte”di Per Olov Enquist

Democrazia: cosa può fare uno scrittore?di Antonio Pascalee Luca Rastello

UNACERTAIDEADI MONDO

La donna nel XVIII secolodi Edmond e Jules de Goncourt

Le api e i ragnidi Marc Fumaroli

La principessa sposadi William Goldman

Magellanodi Stefan Zweig

Storia delle ideedel calciodi Mario Sconcerti

I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni

Page 19: Una certa idea di mondo

RCULT■ 56DOMENICA 18 MARZO 2012

la Repubblica

gni tanto, stufi del bello scrivere degli anglo-ameri-cani, smerigliato e insopportabilmente giusto, sitorna a un certo scrivere europeo, immensamentemeno confezionato, così incauto e ambizioso, irre-golare. Va da sé che ci vuole più pazienza, e più de-dizione – forse addirittura più cultura e gusto – matalvolta è un ritorno glorioso. Nessun Luogo. Da nes-suna parte è secondo me il capolavoro di ChristaWolf, con buona pace di Cassandra. Quando lo les-si la prima volta – era un edizione Bur, e io ancora miannoiavo a leggere Hemingway – ero abbastanzagiovane da rimanerne folgorato: fu un’epifania sco-prire cosa riusciva quella donna a fare con il marmoseverissimo della sua scrittura, le curve e le morbi-dezze che riusciva a suscitare col suo scalpello. Nonavevo mai letto qualcosa di più gelidamente tiepi-do. Ed era tutto commovente, senza mai smettere

di essere severo. Molti anni dopo, la riedizione del-la e/o me l’ha fatto ritornare sotto gli occhi, e mi ri-cordo che lo aprii temendo molto, perché gli amoridei trent’anni hanno spesso una scadenza, come gliyogurt. E invece era ancora lì, quella bellezza inimi-tabile, intatta ed evidente, perfino resa più prezio-sa dal mio aver imparato, nel frattempo, le doman-de a cui quel libro rispondeva. Non vorrei, con que-sto, generare false aspettative: è un libro tosto, perlettori forti, e anime sghembe. Astenersi perditem-po e lettori di thriller.

Accade tutto in un salotto borghese, un pome-riggio del 1804, a Winkel sul Reno – benché acca-dere non sia probabilmente il termine giusto, senon per quelli che lo applicano anche a cose invi-sibili, micromovimenti dell’anima, frasi appenapronunciate. Gli altri direbbero che non accadenulla.

Nel mite salotto borghese, dove buona educa-zione e disciplinata intelligenza sono la regola, ilcaso ha riunito due anime irregolari, un uomo euna donna, giovani, scandalo e attrazione dellacompagnia. Lui se ne sta in un angolo, le dita stret-te sul bracciolo della poltrona, le nocche bianche:

un naufrago che si tiene aggrappato. Lei ha unaqualche bellezza che la tiene al centro dell’at-tenzione, e un’intelligenza che è come un gorgoa cui la gente si avvicina per curiosità e si allonta-na per prudenza. Non si erano mai visti prima. Inquel salotto si conoscono, dunque, ma la parolagiusta, qui, è, ovviamente, riconoscono. Belli i lo-ro nomi: Kleist, lui, Günderrode, lei. Christa Wolfli prese in prestito dalla Storia: sono due perso-naggi effettivamente esistiti, entrambi poeti, en-trambi morti suicidi. Non sembra che nellarealtà si siano mai incontrati. Nel libro si sfiora-no, e tanto basta a farli sembrare due lancette so-relle, sul quadrante del mondo, a segnare un’o-ra irragionevole e malata.

Se avete esperienza diretta del male che fa uneccesso di sensibilità, in questo libro ritroverete

le parole che lo pronunciano, con ferocia e delica-tezza. Qua e là, perle magnifiche. C’è anche la piùelegante dichiarazione d’amore che io abbia mailetto: «Volevo dirLe che sarebbe certo una cosa ter-ribilmente innaturale che noi due non diventassi-mo amici strettissimi». Proprio nella prima paginac’è una citazione di Kleist, quello vero, che a lungomi è parsa tutto ciò che avevo da dire di me stesso:«Dentro di me io porto un cuore, come una terra delNord il germe di un frutto del Sud. Si sforza, si sfor-za, ma non riesce a maturare» (mi sopravvalutavo,è ovvio, ero giovane). E, in mezzo a tanti pensieri in-certi, mi ricordavo bene quella frase, una, brillantedi sicurezza: «Se smettiamo di sperare, succedequel che temiamo, questo è certo». Perle.

(Parentesi riservata ai lettori abituali di questapagina. La risposta che la Wolf dà alla domanda

«Cosa sannofare gli intellet-tuali», è la se-guente: sannodare i nomi allecose. Pur nellamia deferenteammirazioneper la gente dimontagna, dicui subisco stu-

pidamente il fascino, non riesco ad esempio a di-menticare la curiosa circostanza per cui, per lungotempo, le vette delle montagne non hanno avutonomi. La tanto sapiente gente di montagna dava unnome ai colli, ai passi, perché era utile darglieli, manon era arrivata alla sublime astrazione di nomina-re vette su cui non era mai salita, poiché era inutilefarlo. Solo quando in qualcuno insorse l’irragione-vole istinto a salire là sopra, per il puro gusto di por-tare a compimento la Creazione, nacquero i nomidelle montagne. Lo stesso vale per la geografia piùinvisibile dell’umana sensibilità. Quel che è pro-prio degli intellettuali, che siano poeti o studiosi, èsalire su vette apparentemente inutili del sentireumano e dar loro un nome. Nel caso specifico, Klei-st e la Günderrode nominano le vette di un doloreche prima avevano scalato e poi, degni di farlo, no-minato: la loro precisione è spettacolare. Da allora,milioni di persone, dal fondo valle, possono alzarelo sguardo e percepire quelle vette come se gli ap-partenessero, e questo per il solo fatto che ne pos-seggono il nome, amabilmente portogli dal lavoromassacrante di qualcuno più ardito di loro).

(Un libro con un titolocosì bello si compra, e basta)

ILLUSTRAZIONE DI MANUELE FIOR

© RIPRODUZIONE RISERVATA

“Olive Kitteridge”di Elizabeth Strout

Go down, Mosesdi William Faulkner“Anatomiadi un istante”di Javier Cercas

SULLO SCAFFALE

O

Opendi Andre Agassi

Le radicidel Romanticismodi Isaiah Berlin

“American Dust”di Richard Brautigan

Fantozzi totaledi Paolo Villaggio

“Esercizi spiritualie filosofia antica”di Pierre Hadot

“Il medico di corte”di Per Olov Enquist

Democrazia: cosa può fare uno scrittore?di Antonio Pascalee Luca Rastello

UNACERTAIDEADI MONDO

La donna nel XVIII secolodi Edmond e Jules de Goncourt

Le api e i ragnidi Marc Fumaroli

La principessa sposadi William Goldman

Vergognadi J.M.Coetzee

Magellanodi Stefan Zweig

Storia delle ideedel calciodi Mario Sconcerti

I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni

ALESSANDRO BARICCO

“Quel che è proprio degli intellettuali è salire su vetteapparentemente inutili del sentire umano e dargli un nome”

IL LIBRO“Nessun luogo. Da nessuna parte”di Christa Wolf (e/o,traduzione di MariaGrazia Cocconie Jan-MichaelSobottka).La foto di Baricco è © LesAmp&rsands

Page 20: Una certa idea di mondo

RCULT■ 56DOMENICA 25 MARZO 2012

la Repubblica

noto che la più difficile manovra militare è la ritirata:quasi impossibile eseguirla senza fare boiate. Nellagrandiosa ritirata strategica che la civiltà dei libri haintrapreso, incalzata da barbari vari e indecifrabilisvolte tecnologiche, non è raro rimanere stupefatti damanovre che lasciano costernati. Saranno anche det-tagli, ma non riesco a non notarli. Recentemente, adesempio, ho dovuto registrare che in edicola si ven-deva La costituzione degli Ateniesi di Aristotele a uneuro. Fin lì, passi. È che ne hanno venduto qualcosacome centocinquantamila copie. Se vi va di entusia-smarvi per numeri del genere, fatelo pure. Ma vorreiessere chiaro: mettere in edicola a un euro La costitu-zione degli Ateniesi è come piazzarsi in un luna parkcon uno Stradivari e per un euro farlo suonare per cin-que minuti a chi è disposto a pagare quella cifra (lozucchero filato è più caro). Magari arriva qualche

amateur che ha i suoi cinque minuti di legittimo pia-cere puro: gli altri, ovviamente, me compreso, posso-no giusto tenerlo in mano. Va già bene se non cerca-no di suonarlo come una chitarra. Una tristezza. Chec’è di male?, chiederete voi. Non lo so, e non voglioaprire un dibattito. So, semplicemente, con istintivacertezza, che non è la cosa giusta da fare. Ho capito chesiamo ormai alle grandi svendite, ma non importa.Con tutto il rispetto, quella cosa lì sarebbe meglio nonfarla. E se non capite il perché, non lo capirete mai.

Quel che posso fare volentieri è dedicare questo ar-ticolo a quei centocinquantamila. Dunque, il mondodella Grecia classica è un mondo molto complesso einfinitamente affascinante: tra l’altro è ragionevolepensare che il nostro patrimonio genetico, se si par-la di politica e cultura, venga quasi integralmente dalì. Come tutte le cose complesse ha bisogno, per es-sere conosciuto, di un accosto paziente e non preci-pitoso. Visto che da qualche parte bisogna incomin-ciare, io consiglio di partire da questo libro che, oltrea costare più di un euro, racconta in modo autorevo-le, comprensibile e affascinante la guerra del Pelo-ponneso. Atene contro Sparta, per 27 anni. Due mo-delli politici a confronto. In palio, il dominio dellaGrecia. Più che una guerra, LA guerra. Credo sia leci-

to dire che la grandezza dell’Atene classica è ine-stricabilmente legata a quello scontro militare: nefu la causa e l’effetto nello stesso tempo. Capitequella guerra e vi portate molto avanti col lavoro.

In particolare, vi aiuterà a collocare qualsiasi no-zione sulla democrazia ateniese nel suo giustocontesto (cosa di enorme importanza, visto che lanostra idea di democrazia viene da lì). Detto in pa-role semplici: quando direte democrazia ateniesesaprete cosa state dicendo. Mille storie ve lo inse-gnano, in quel libro, e sono una più bella dell’altra.Sentite questa (per me splendidamente emblema-tica di una delle fragilità di ogni democrazia). Dun-que, succede che a un certo punto della guerra,mentre gli ateniesi sono fiaccati da una peste che liha decimati e se la vedono veramente brutta, unodei loro alleati, la città di Mitilene, nell’isola di Le-

sbo, passa dalla parte degli spartani. Avevano le lo-ro ragioni per farlo, e lo fecero. Benché stremati, gliateniesi capiscono che se gliela fanno passare li-scia rischiano un effetto domino, cioè un “liberitutti” che sfascerebbe il loro impero: perciò dannofondo a tutte le energie rimaste, umane e finanzia-rie, e vanno ad assediare Mitilene. Gli spartani, cheavrebbero dovuto correre al soccorso di Mitilene,si perdono per strada (non erano sempre in formacome nel film 300…). Mitilene cade e Atene si ripi-glia la città. E qui inizia il pezzo formidabile della

storia. Si riuniscono in assemblea, gli ateniesi, per de-cidere cosa fare degli sconfitti. Era il loro modo di ge-stire la cosa pubblica, un modo tanto delirante quan-to geniale: si riunivano in assemblea e votavano, tut-ti. Si chiamava democrazia. Non bisogna prendere lacosa alla lettera, va ricordato che quando loro diceva-no tutti intendevano dire tutti quelli degni di andarein assemblea, e questo significa, per essere franchi, il15% della popolazione. Si trattava comunque di unquindici, ventimila persone, e lo spettacolo, ad im-maginarselo, è pazzesco. Potete immaginare venti-mila persone che discutono, sotto l’influsso della rab-bia, della paura, dell’entusiasmo, dell’eccitazione, lapena da infliggere a una città traditrice? Non stupiscela decisione che presero: uccidere tutti i maschi adul-ti e vendere come schiavi donne e bambini. Una puli-zia etnica. Votarono, decisero e andarono a dormire.

Una nave salpòper portare aMitilene l’ag-g h i a c c i a n t everdetto (none s i s t e v a n omail). Il giornodopo si risve-gliarono e, pas-sata la sbronza,

iniziarono a chiedersi se l’avevano davvero fatta giu-sta. Riconvocarono allora l’assemblea (meraviglia) esi rimisero a discutere. A mente fredda, le sparate deidemagoghi di turno sembrarono meno convincenti,e il parere sobrio di alcuni moderati improvvisamen-te più condivisibile. Così decisero di cambiare il ver-detto, condannando a morte solo i diretti responsa-bili del tradimento (alcune centinaia, comunque, econdannati senza processo) e risparmiarono la vitaagli altri. Il problema però era che la nave era ormaipartita, con il suo verdetto tragico a bordo. Allora (me-raviglia 2) fecero salpare una seconda nave, che por-tasse il contrordine. Aveva un giorno di svantaggio. Airematori diedero viveri in abbondanza e promiseroun premio se fossero riusciti a raggiungere la primanave.

Ora dovete immaginare quelle due navi che si in-seguono, nel silenzio del mare tra Atene e l’isola di Le-sbo, e ditemi se non se c’è un modo più bello di rias-sumere la traballante coscienza etica di qualsiasi de-mocrazia. (No, non ve lo dico, chi arrivò prima a Mi-tilene. Alzatevi, andate in libreria, sborsate più di uneuro, comprate il libro e lo saprete. O cercate su Goo-gle, se proprio non vi è rimasto un grammo di poesia).

(Dopo Tucidide, il miglior testoda cui farsi raccontarela madre di tutte le guerre)

ILLUSTRAZIONE DI MANUELE FIOR

© RIPRODUZIONE RISERVATA

“Olive Kitteridge”di Elizabeth Strout

Go down, Mosesdi William Faulkner“Anatomiadi un istante”di Javier Cercas

SULLO SCAFFALE

È

Opendi Andre Agassi

Le radicidel Romanticismodi Isaiah Berlin

“American Dust”di Richard Brautigan

Fantozzi totaledi Paolo Villaggio

“Esercizi spiritualie filosofia antica”di Pierre Hadot

“Il medico di corte”di Per Olov Enquist

Democrazia: cosa può fare uno scrittore?di Antonio Pascalee Luca Rastello

UNACERTAIDEADI MONDO

La donna nel XVIII secolodi Edmond e Jules de Goncourt

Le api e i ragnidi Marc Fumaroli

La principessa sposadi William Goldman

Vergognadi J.M.Coetzee

Magellanodi Stefan Zweig

Storia delle ideedel calciodi Mario Sconcerti

I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni

ALESSANDRO BARICCO

Nessun luogo.Da nessuna partedi Christa Wolf

IL LIBRO“La guerradel Peloponneso”di Donald Kagan(Mondadori,traduzionedi Massimo Parizzi)La foto di Baricco è© LesAmp&rsands

“Atene contro Sparta, per 27 anni. Due modelli politici a confronto.In palio il dominio della Grecia. Più che una guerra. LA guerra”

Page 21: Una certa idea di mondo

UNA CER

Non vado nessuna fiefisico trovacome va afinire”, figcinquecentdire che nodi un thrilPringles. Sne riparliamIn generalearrivare inHolden o Cluce, o leggfinire da nenon conta nanni fa, pegodervi undondolarviche ridisepasseggerelontano. Ll’increspatuCapite alloun’offesa. procedere intorno. CL’esempiosi limiti spa Parigi, anome del cfine è giuscompletezz

Le vere coVargas. Inpersonagginon puntan

RTA IDEA D

matto pererezza partiarmi nella a finire. Io uriamoci seto pagine pon riesco adller è comeSai che robamo. e penso chen qualche Cent’anni dgerezza, o pessuna partniente? Cer

er favore non paesaggioi. Non è la sgna l’erba

e sui colori.La trama è ura sul pelo

ora che per uUna certa gverso il no

Come un cao classico, nesso ad asp

annuso portcolpevole msto perché za, come ra

se importann lui vi soni di Vargas no diretti all

DI MONDO

r i gialli, oicolare. Semcondizione,trovo già

e mi piace fer dirmi il d apprezzare far arrivaa. Fategli fi

la ragione posto, ma di solitudinprecisione, ote, è lì e basrto che conton torniamo o, nell’ariastessa cosa

di quel c. Forse quequel che

o dell’acquauno che la pgratitudine lome dell’asacciatore ch

nell’ambito dpettarlo, ricotinerie, sfior

mi è a ogni pin qualche ddrizzare il

nti per un libno "gli aggavrebbero,

l'assassino,

O - 1.04.201

odio i thrillmplicemente, cara a moabbastanza

farmi tenerenome di che la prodezz

are uno cheinire un pia

per cui vai che vuoi

ne per sapero follia, piùsta. Respirarta, per caritàindietro. Pe

a pulita delvero? La tra

campo, il pel volo d’ucsi muove

a: è così imppensa così ila nutro solosassino si ahe si perdadei poliziesostruendo sero letti sfatpagina più in

modo resta quadro sull

bro sarebbegettivi scelti

poi, un po' ma si perdo

12 - La Tril

ler. Lo dice non fanno

olti, di divoa inelegantee sulla gratichi ha tritato za: fare arri

e ha fame aatto di brocc

avanti a legrimanere i

re come andù tempo posarlo è quelloà, dei libri cerò immagil mattino. ama, in un passare delccello, e in nel paesag

portante chei thriller siano per quelli attardano a a a contemchi, è Maigemplicementti, sorseggindifferente a il desiderla parete. N

ero tutte le ai con cura, le caratteri

ono un po' p

ogia Adams

o serenameo per me. Mrare un libre che i librcola da unoil parroco.

ivare un letalla fine decoli bolliti a

ggere, nei liin quel podavano a finssibile. E’ uo che si puòche non raccinate di starOra provabel libro, è lle nuvole alcuni casi

ggio della se, in un modno un dispeche si perdvagabonda

mplare la cagret: adoro cnte il mondoio Armagna(talvolta an

rio di metteNulla di più.

altre, che si , i dialoghiistiche che sper strada "c

sberg di Fre

ente e senzMi dà fastidiro per saperri “vadano che ci mettDevo anch

ttore alla finel tubo della merenda,

bri, non dovsto lì. Nonnire: mi andn paesaggio

ò fare. E la tcontavano nre seduti su te per un il dondolioche saltua

i il rumore scrittura, redo imprecisetto. Quandodono per straare un po’, ampagna, ocome inveceo intorno a ac e prendonche a lui, Mere i pezzi [...]

possono bei perfetti, ilsi possono rcollezionand

ed Vargas

za io re a

tte he ne lle

e

vrebbe essen ho letto dava di staro, la scritturtrama?, dicniente ci siauna sedia aattimo a s

o della sediaariamente cdi un treno

endendola vso, la chiamo sono scritada: quelli ccollezionan

o i cespugle di cercarelui. Così io

o il vento sMaigret). Se

a posto, m

en ritrovare l ritmo delriscontrare do mondo i

ere che vuoiIl giovanere in quellara, non va ae. La tramaamo liberatia dondolo asmettere dia. E il ventocala ombreo che passavivente. E’

miamo mare.tti coi piedi,che nel lorondo mondoli di more.l’assassinoleggo e sto

sui ponti: ile arrivo alla

ma così, per

nel libro dila frase". Iin Maigret:ntorno".

i e a a a i a i o e a

. ,

o o .

o o l a r

i I :

Page 22: Una certa idea di mondo

R CULT ■ 56DOMENICA 8 APRILE 2012

llaa RReeppuubbbblliiccaa

on vorrei creare troppe aspettative, ma non ho lettoniente di meglio, in questi ultimi dieci anni. Sono trevolumi di un’unica saga famigliare che nei progettidella West doveva coprire buona parte del Novecen-to. In tutto, qualcosa come 1200 pagine (beh, non sie-te costretti a comprarli subito tutti e tre). Molta In-ghilterra, un po’ di Scozia e di Irlanda. Due sorelle fa-mose pianiste, un padre in fuga, un fratello irripetibi-le, i capelli di Rosamund, le ore infinite al Dog andDuck, l’indimenticabile signor Morpurgo: e il lorodestino glorioso, come direbbe la West.

Rebecca West non sapevo chi era. Ormai lo sannoin pochi anche in Inghilterra. Un’amica di VirginiaWoolf, ti dicono, e poi si fermano lì. Io sono ancora quia chiedermi come mai non si dica il contrario: Virgi-nia Woolf? Ah, un’amica di Rebecca West.

Dei tre volumi la West fece in tempo a pubblicaresolo il primo, negli anni ’50. Al secondo e al terzo con-tinuò a lavorare tutta la vita, mentre si dedicava ad al-tro e cercava, evidentemente, una perfezione chenon trovava. Furono pubblicati, postumi, negli anni

’80: senza un clamore particolare, direi.Non so, non bisognerebbe mai scrivere delle cose

che si è amato troppo, non ne esce mai nulla di buo-no. Tuttavia questo articolo glielo devo, alla West(non si può escludere che legga Repubblica, là dovesta adesso), e quindi, certo del fallimento, proverò aspiegare com’è andata.

Non avendo capito che era una trilogia, a me è ac-caduto di iniziare dal secondo volume, Proprio sta-notte. Le prime pagine, lo ricordo benissimo, mi par-vero di una noia ineguagliabile. Raramente avevoletto qualcosa che procedesse più lentamente. Manon lo faceva in modo forzato o virtuosistico: era tut-to molto naturale. Era solo che quella donna avevaquel passo, e non c’era nulla che si potesse fare a ri-guardo. Mi ricordo che spesso continuavo a leggerepensando ad altro. Mi ritrovavo a girar pagina che amala pena sapevo cosa avevo letto. Eppure giravopagina. Perché diavolo non smettevo? Un motivo,immediatamente percepibile, c’era: nello scorrerelentissimo di quel fiume, ogni tanto passava una

barca. Una frase, una similitudine, un’osservazio-ne minuscola, l’esattezza di un colore, la precisio-ne millimetrica di un aggettivo. E non c’era pas-saggio di barca, per quanto raro, che non fossedavvero memorabile (in particolare le similitudi-ni, da rimanere a bocca aperta).

Così, per un po’ me ne sono stato ad aspettare ilpassaggio delle barche, paziente. Poi, pagina do-po pagina, senza accorgermene, ho cominciato acapire il fiume. È durata un po’, e alla fine qualco-sa è successo, perché, d’improvviso, ero in quelfiume. Non c’era più lentezza, ma un certo passodel cuore, irrimediabilmente giusto. Quel che pri-ma mi sembrava una collezione sfinente di detta-gli inutili adesso mi appariva come il corretto cen-simento delle cose, il minimo che si debba conce-dere al miracoloso esistere del mondo. Da lì in poi,è stato tutto facile. Avrebbe anche potuto non fini-re mai.

Così ho navigato per 1200 pagine e adesso mitoccherebbe spiegare perché l’ho vissuto come un

viaggio struggente (personalmente ritenevo decedu-to questo aggettivo decenni fa, ma ora non ne trovoun altro per tradurre in una parola il sound di quel fiu-me, l’inclinazione di quello sguardo, il tono di voce,la luce). Non so, credo di essere rimasto abbagliatodalla calma con cui quella donna poteva scomporreuna sensazione, uno sguardo, un sentimento. La cal-ma silenziosa, mi viene da dire. Ci sono invisibili sfu-mature dell’esistere, del semplice esistere, che solo ilibri sanno pronunciare: ma anche conta molto conche tono lo fanno. Quello della West non lo conosce-vo, e probabilmente era quello che ero disposto adascoltare, in quel momento. Non sempre vuoi avereil fiato di Céline addosso o spellarti le mani tutto iltempo davanti ai virtuosismi di Proust; ci sono anchei momenti in cui non ti va di ridere alle battute di Sa-linger o ti viene la nausea all’ennesimo superlativo diConrad. La West (che io non faccio fatica ad annove-rare tra i grandi) aveva un suo modo, nel disseziona-re gli umani, che mi ricorda la cautela sapiente concui si dispongono dei fiori in un vaso. Sembrava an-

notare le verità deiviventi come se fos-sero un elegante ar-redo alla falsità del-la vita. Non aveval’aria di voler risol-vere o svelare al-cunché: le andavadi ridisporre le cose,una accanto all’al-

tra, in un modo che ne testimoniasse la vocazione aun senso, e a una qualche bellezza. Nel farlo, non da-va mai l’impressione di esibirsi in qualcosa di specia-le, né di aspettasi qualche ammirazione. Disponeva isuoi fiori, parlando intanto d’altro. Di rado ho incon-trato un esercizio dell’intelligenza così privo di vio-lenza. Così, nella luce di bagliori lentissimi, molto horicevuto di quanto non saprei vedere da solo, impa-rando una serenità che di solito non mi appartiene eun gusto che non saprei insegnare. L’ho fatto con lalentezza da lei stabilita e adesso gliene sono grato,perché alla fine l’ho appresa, e non di rado mi acca-de di richiamarla alla memoria, e di abitarla per unpo’: cosa che mi è fonte di passeggera, ma nitida, de-lizia. Riprendo a leggere a caso, passando le dita su-gli angoli arrotondati delle pagine, e mai ne resto de-luso. Tanto che perfino mi dispiace, un po’, di par-larne oggi a gente che nemmeno incontrerò mai. Omagari sì, in modo sotterraneo e indefinibile, tutti anuotare nello stesso fiume.

(Comprato perché la copertinaera bella, gli angoli arrotondati,la carta di stampainsolitamente elegante)

ILLUSTRAZIONE DI MANUELE FIOR

© RIPRODUZIONE RISERVATA

“Olive Kitteridge”di Elizabeth Strout

Go down, Mosesdi William Faulkner

“Anatomiadi un istante”di Javier Cercas

SULLO SCAFFALE

N

Opendi Andre Agassi

Le radicidel Romanticismodi Isaiah Berlin

“American Dust”di Richard Brautigan

Fantozzi totaledi Paolo Villaggio

“Esercizi spiritualie filosofia antica”di Pierre Hadot

“Il medico di corte”di Per Olov Enquist

Democrazia: cosa può fare uno scrittore?di Antonio Pascale e Luca Rastello

UNACERTAIDEADI MONDO

La donna nel XVIII secolodi Edmond e Jules de Goncourt

Le api e i ragnidi Marc Fumaroli

La principessa sposadi William Goldman

Vergognadi J.M.Coetzee

Magellanodi Stefan Zweig

Storia delle ideedel calciodi Mario Sconcerti

I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni

ALESSANDRO BARICCO

Nessun luogo.Da nessuna partedi Christa Wolf

IL LIBRO“Trilogia degli Aubrey”di Rebecca West(Mattioli 1885,traduzionedi Francesca Frigerio)La foto di Baricco è© LesAmp&rsands

“Rebecca West aveva un modo nel dissezionare gli umaniche ricorda la cautela con cui si dispongono dei fiori in un vaso”

La guerra del Peloponnesodi Donald Kagan

La trilogia Adamsbergdi Fred Vargas

Page 23: Una certa idea di mondo

RCULT■ 56DOMENICA 15 APRILE 2012

la Repubblica

trano libro. Un romanzo non lo è, un reportageneppure. A me ha ricordato lo spirito dei flaneursottocenteschi e la letteratura che talvolta ne è na-ta: cronache da uno smarrimento, senza scopoapparente. Qui l’anomalia è che il flaneur si per-de (o si ritrova, che è la stessa cosa) non in un bou-levard parigino o in un parco viennese, ma in unaspecie di meravigliosa spazzatura post moder-na, cioè a Bangkok. Non so se ci siete mai capita-ti. Io per un paio di giorni, anni fa. Ne ero torna-to con la vaga impressione che se Dio, invece diprocedere a un’ordinata creazione, si fosse limi-tato a starnutire a casaccio sul pianeta terra,avrebbe creato Bangkok. Ma naturalmente nonci avevo capito niente.

Osborne, a sentir lui, ci è finito per una que-stione di denti. Doveva rifarseli e a New York co-stava troppo. A Bangkok con quattrocento dolla-ri la sfangava. «L’Occidente era al di sopra dellemie possibilità». Naturalmente conosco decine

di altri modi per risolvere il problema, ma a lui ilpiù sensato sembrò trasferirsi in una megalopo-li dove stanno in cottura permanente dieci mi-lioni di umani, tutti dotati di una lingua, unascrittura e un’idea della vita che definire al di fuo-ri della nostra portata è poco. Alla fine però ave-va ragione lui: un semplice sistema rateale, e ma-gari qualche giorno in più a lavorare sodo, nonl’avrebbero portato a sprofondare nel grandeminestrone thai per poi uscirne fuori, passabil-mente sano, con tra le mani un libro di quelli cheè bello leggere, e sarebbe stato bellissimo scri-vere.

A spiegare Bangkok, va detto, quasi non ciprova: i misteri non si spiegano, si celebrano. Négli andava di fare una specie di guida della cittàper sciroccati. Probabilmente quel che aveva inmente era fare un beato cavolo di niente, per unsacco di tempo: e lasciarsi crollare la città ad-dosso, magari raccontando poi com’era anda-ta. Arrivato lì, ha scoperto che c’erano un sacco

di altri occidentali occupati a fare la stessa cosa,ognuno a modo suo. I più erano andati lì a spiag-giarsi, colmata la misura della buona volontà oesaurite le illusioni, per morire o sparire in unmodo spettacolare. O almeno un po’ allegro, ec-co. Osborne li ha accettati come guide, senzafarsi troppe domande, e il viaggio che ne vienefuori è qualcosa di speciale: seguirli mentre ra-cimolano vita tra i vicoli della città viziosa e lepieghe del loro personale disastro è un viaggioal termine della notte, ma inaspettatamentemeno letterario, e più vero, di quanto ci si possaaspettare. Se tendi a simpatizzare per la gente, eti ritrovi al capezzale di un puttaniere ingleseche, solo come un cane, ma circondato da in-fermiere a cui puoi ordinare champagne e ma-gari altro, se ne sta in una corsia d’ospedale thaia farsi curare lo sfascio del proprio corpo, sei inun posto in cui tante cose devono sembrartimolto diverse. Qualche rigidità morale si scio-

glie e quel che pensi sia la dignità subisce uno scos-sone mica da niente. Osborne è molto bravo a re-gistrarlo, senza farne una battaglia ideologica, enemmeno una battaglia qualunque, giusto regi-strando la simpatia, e la sorpresa, per i modi ina-spettati che la gente peggiore ha, talvolta, di esse-re migliore. Lo fa, va detto, con una scrittura velo-ce ma non qualunque, a cui l’afa soffocante diBangkok ha tolto qualsiasi fighetteria ma non lamemoria di cosa sia scrivere bene. Per dire, è unoche davanti a un gruppo di ridanciane turiste scan-dinave, può scrivere una frase così: «parlavano avoce talmente alta che anche le pause avevano unsuono».

Non so, io certi personaggi li incontro qualchevolte sulle navette che portano ai gate, ai voli inter-nazionali. La volgarità, la meta esotica chiaramen-te sessuale, i modi da padroni del mondo, la mal-celata certezza di esser i più furbi. Non mi vergognodi dire che istintivamente li disprezzo. Non credo

che sia per morali-smo puro e sempli-ce, anzi lo escludo.È che, dato perscontato il dirittodegli umani a mo-rire da vivi, e nonda morti, non amochi sostituisce larazzìa al rito del se-

minare e del raccogliere. Ma devo dire che Osbor-ne certe belle convinzioni te le rivolta che è un pia-cere. L’idea che molti occidentali vadano là per di-ventare vecchi in un mondo in cui i giovani nonsmettono di toccarli, la stai a sentire. A un certopunto scrive: «Il fatto è che sono finiti in un postodove sono liberi di vivere quella virilità assoluta,non diluita, che gli etero generalmente ignorano».Come ho detto, non lo dice con un entusiasmo dabattaglia ideologica, anzi della cosa gli frega abba-stanza poco. Ma gli va di registrare che c’è gente lacui vita è finita, e da quelle parti trova il privilegiodi poter sparire, agli altri e a se stesso, o di usare ilcorpo per altri fini che fare colonscopie, o di vive-re in un enigma stupefacente che ogni giorno gli dàqualcosa da decifrare, o di sentirsi dispensato daqualsiasi vergogna, fosse anche solo per il gran cal-do, o il sorriso che aveva quella là, passando sullamoto, quando si è voltata. E guardava proprio te,vecchio, solitario y final.

(Com’è Bangkok?, avevochiesto a un mio amicoche c’era stato per un po’.Leggi qui, mi ha detto)

ILLUSTRAZIONE DI MANUELE FIOR

© RIPRODUZIONE RISERVATA

“Olive Kitteridge”di Elizabeth Strout

Go down, Mosesdi William Faulkner“Anatomiadi un istante”di Javier Cercas

SULLO SCAFFALE

S

Opendi Andre Agassi

Le radicidel Romanticismodi Isaiah Berlin

“American Dust”di Richard Brautigan

Fantozzi totaledi Paolo Villaggio

“Esercizi spiritualie filosofia antica”di Pierre Hadot

“Il medico di corte”di Per Olov Enquist

Democrazia: cosa può fare uno scrittore?di Antonio Pascalee Luca Rastello

UNACERTAIDEADI MONDO

La donna nel XVIII secolodi Edmond e Jules de Goncourt

Le api e i ragnidi Marc Fumaroli

La principessa sposadi William Goldman

Vergognadi J.M.Coetzee

Magellanodi Stefan Zweig

Storia delle ideedel calciodi Mario Sconcerti

I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni

ALESSANDRO BARICCO

Nessun luogo.Da nessuna partedi Christa Wolf

IL LIBRO“Bangkok”di LawrenceOsborne(Adelphi, traduzionedi Matteo Codignola)La foto di Baricco è© LesAmp&rsands

“Osborne racconta Bangkok e rivolta le nostre convinzioniCi mostra gli occidentali che ci vanno per poter sparire”

La guerra del Peloponnesodi Donald KaganLa trilogia Adamsbergdi Fred VargasTrilogia degli Aubreydi Rebecca West

Page 24: Una certa idea di mondo

R CULT ■ 56DOMENICA 22 APRILE 2012

llaa RReeppuubbbblliiccaa

uzanne Lenglen (1899-1938) appena sapevo chiera. Però avevo in mente quelle sue fotografie in-credibili dove lievitava in aria come una ballerina:sforbiciava a mezzo metro d’altezza, o si inerpica-va nel cielo seminando gambe in giro come uncompasso impazzito. Benché impugnasse un’i-nequivocabile racchetta, non sembrava mai chestesse giocando realmente a tennis: sembravaun’étoile intenta a esibirsi in una coreografia deiBallets Russes, stranamente incentrata su un tor-neo di tennis. A completare l’assurdità della cosaprovvedeva l’improbabile costume: quella signo-ra dall’età indecifrabile sforbiciava in aria indos-sando un ampio cappello da matrimonio, unagonna lunga plissettata, spesso un cardigan, calzebianche da infermiera: quel genere di mise che tiaspetti dalla signorina che spinge la tua sedia a ro-telle, se sei un ricco infartuato anni ’30 a cui i figlihanno trovato una bella sistemazione in un clini-ca sulla Côte d’Azur. Invece, adesso so, stava infil-

zando le avversarie con un passante, o andando araccattare in cielo una volée vincente. Ma lì per lì,la cosa era incredibile. E l’effetto, devo dire, erapiuttosto comico. C’era anche ‘sta storia della rac-chetta in mano, tipo retino, che unitamente allecalze bianche da infermiera e al giulivo sgambet-tare nell’aria creava un irresistibile effetto da Vi-spa Teresa, gridava a distesa l’ho presa l’ho presa,che non aiutava a capire perché, invece di ridere,i più, davanti a quelle foto, si inchinavano.

Perché era la più grande tennista del mondo,adesso so. (Dev’essere come quelli che vedono lefoto della Callas senza sapere chi era: magari intragico costume da Anna Bolena, magari tuttasversa in pose melodrammatiche, magari un po’sovrappeso: vai a immaginare che stava infilzan-do le avversarie con un gorgheggio, o a raccattarein cielo un acuto che poi ci sarebbe mancato persempre). Tanto per capirsi, giocava così bene chea un certo punto i francesi pensarono seriamentedi schierarla in Coppa Davis, al fianco dei maschi

(a norma di regolamento, era anche possibile).Lei trovò l’idea piuttosto “barocca”, ed è diffici-le immaginare una definizione più elegante. Pa-re avesse un talento ineguagliato, ma natural-mente non sarebbe arrivata da nessuna partesenza l’altra virtù necessaria a un campione: unaferoce necessità di vincere. Non amava perdere(e non perdeva) nemmeno a ping pong. Dalle fo-to e dai rari filmati resta piuttosto impervio ca-pire in cosa consistesse il suo tennis inimitabile,ma questo è niente rispetto alla fantasia con cuibisogna lavorare per capire come potesse, all’e-poca, essere una specie di sex symbol, o quantomeno un esempio di grazia seduttiva. Tritò, tral’altro, un certo numero di uomini, tra un torneoe l’altro, e qualcuno sfilandolo anche via da ri-spettabilissimi matrimoni. Visti i tratti del suovolto, e quindi escludendo si trattasse di unaquestione di bellezza, doveva essere evidente-mente una faccenda di charmee di superiore ca-

risma. Fu d’altronde la prima a pensare che i vesti-ti con cui una donna giocava a tennis potessero ser-vire ad altro che a nascondere il proprio corpo. En-trava in campo impellicciata, per dire, e la lun-ghezza delle gonne, o delle maniche, erano il suopersonale passatempo con cui irretiva il pubblicobenpensante dell’epoca. Tra l’altro, con quelle suesforbiciate in aria, le gambe ad angolature da balle-rina di Can Can, offriva scorci che nessuna primaaveva pensato potessero interessare a degli appas-sionati di tennis. (E io mi chiedevo, guardandoquelle foto: ma cosa succede, a una civiltà, per pas-sare in meno di cent’anni dalle gonne sotto al gi-nocchio della Lenglen ai body di Serena Williams?Per dire, è un fenomeno ascrivibile alle conquistedel femminismo, o al trionfo del maschilismo? Op-pure: è davvero ragionevole pensare che, tornati acasa, quegli uomini là e questi qua facciano poi aletto le stesse cose? Qualcuno dovrebbe porsele,certe domande). Era viziata, capricciosa, testarda,

vanitosa: comestar, era perfetta.Non le mancavaneppure una certasalute cagionevo-le, con cui tenevacol fiato sospeso gliorganizzatori e of-friva alle avversarieil discutibile privi-

legio di essere spianate da una che nei cambi dicampo sembrava moribonda. Come ogni vero nu-mero uno, era inseguita da un una muta ringhian-te di numeri due affamati: li schiacciò per un bel po’di anni e poi, al momento buono, con grande scel-ta di tempo, li piantò in asso passando al professio-nismo, cioè alle esibizioni superpagate. Così, a fiu-to, non dovette essere felice mai, ma questo, si sa, èil corollario inevitabile a qualsiasi grande talento.

Tutte queste cose le so perché me le ha raccon-tate Gianni Clerici in questo libro. Oltre a esserel’uomo che sa più di tennis nell’intero pianeta(chissà che strana solitudine) lui è anche uno scrit-tore capace, elegante e misurato. Questo libro l’hascritto con devozione mai stucchevole, con la giu-sta ironia e con una prosa asciutta che non perdo-na, mescolando il suo sapere, le testimonianze dialtri, e la sua immaginazione. Nessun errore gra-tuito e, ogni tanto, mirabili passanti a spazzolare lerighe. Splendida partita.

(Erano anni che michiedevo cosa potevaesserci di mitico in quellamarionetta vestitadi bianco. Ora lo so)

ILLUSTRAZIONE DI: MANUELE FIOR

© RIPRODUZIONE RISERVATA

“Olive Kitteridge”di Elizabeth Strout

Go down, Mosesdi William Faulkner

“Anatomiadi un istante”di Javier Cercas

SULLO SCAFFALE

S

Opendi Andre Agassi

Le radicidel Romanticismodi Isaiah Berlin

“American Dust”di Richard Brautigan

Fantozzi totaledi Paolo Villaggio

“Esercizi spiritualie filosofia antica”di Pierre Hadot

“Il medico di corte”di Per Olov Enquist

Democrazia: cosa può fare uno scrittore?di Antonio Pascale e Luca Rastello

UNACERTAIDEADI MONDO

La donna nel XVIII secolodi Edmond e Jules de Goncourt

Le api e i ragnidi Marc Fumaroli

La principessa sposadi William Goldman

Vergognadi J.M.Coetzee

Magellanodi Stefan Zweig

Storia delle ideedel calciodi Mario Sconcerti

I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni

ALESSANDRO BARICCO

Nessun luogo.Da nessuna partedi Christa Wolf

IL LIBRO“Divina”di Gianni Clerici(Fandango Libri)La foto di Baricco è© LesAmp&rsands

“Suzanne Lenglen era la più grande tennista del mondoEra viziata, capricciosa e aveva una feroce necessità di vincere”

La guerra del Peloponnesodi Donald Kagan

La trilogia Adamsbergdi Fred Vargas

Trilogia degli Aubreydi Rebecca West

Bangkokdi Lawrence Osborne

Page 25: Una certa idea di mondo

RCULT■ 52DOMENICA 29 APRILE 2012

la Repubblica

ra le misurate soddisfazioni che riserva l’avere unacerta età non bisogna dimenticare il privilegio di ri-leggere certi libri dopo aver avuto il tempo di di-menticarne quel tanto che basta a non sentirsiidioti. Io, per esempio, col Gattopardo sono al ter-zo giro, e francamente l’ultima volta non mi ricor-davoesattamentecome finiva (probabile che c’en-tri, un’altra volta, ma in altro modo, l’età). Non cisarei arrivato se la Feltrinelli non avesse deciso difesteggiare i suoi 50 anni, nel 2005, ripubblicandoalcuni suoi libri leggendari in un’edizione specia-le,vintage(copertina originale, formato tascabile):uno, arancione e piccolino, era appunto il miglio-re, e unico, romanzo scritto da Giuseppe Tomasi diLampedusa. Comprato e divorato in un paio digiorni. L’autore, si dice, lo scrisse invece in un paiodi anni, quasi sessantenne, senza prima aver maiesercitato la professione di scrittore. Quando il li-bro uscì, nel 1958, lui non era già più lì a godersi lospettacolo, perché sottratto alle cose care da una

morte prematura e rapidissima. Avrebbe forseavuto un destino un po’ meno beffardo se Vittori-ni, che all’Einaudi aveva ricevuto il libro, non aves-se giudicato inopportuno il pubblicarlo, diventan-do così, oltre a molte altre nobili cose, l’uomo ca-pace di bocciare in una vita sola Il gattopardo e Lapaga del sabato (di Fenoglio), facendo di due capo-lavori due mesti libri postumi. E non aveva nean-che un ufficio marketing che gli soffiava sul collo!

Da allora sono passati tanti anni, ma l’evidenzadi un libro toccato dalla grazia non ha abbandona-to il Gattopardo. Difficile che ti riesca, in un colposolo, di scrivere benissimo una storia meraviglio-sa con cui spieghi alla perfezione un pezzo di sto-ria del tuo Paese. A beccarne due su tre è già unaprodezza. Va aggiunto che, come se questo nonbastasse, il Gattopardo ebbe anche un suo signifi-cato per così dire sociale, quando, finalmente usci-to, polverizzò i numeri dell’italietta di allora, einaugurò quello spalancamento del pubblico deilettori di cui noi, molti anni dopo, avremmo godu-

to i frutti prelibati e le inevitabili storture. Per dir-la semplicemente, fece saltare il tavolo, venden-do in modo prodigioso, e da allora è stato tuttopiù complicato, e affascinante.

Una delle cose che si sono complicate ha a chevedere con l’italiano, intesa come lingua lettera-ria, e lì il Gattopardo troneggia ancor oggi comeuna formidabile lezione. Anche al più sprovve-duto dei lettori barbari basterebbe aprirlo per ca-pire che qualcosa è successo. Dov’è finita quellalingua raffinata, esatta, ricchissima, sensuale,molto fisica, ed elegantissima? Quando leggiGadda pensi com’era bravo lui, quando leggi Cal-vino pensi come sei scarso tu, ma quando leggi ilGattopardo quello che pensi è: com’è bello l’ita-liano. Niente potrà mai togliere a quel libro que-sta magica capacità di incarnare non il talento diuno scrittore ma quello di una lingua, e di certaciviltà letteraria. Credo che la cosa abbia a che ve-dere con la sua assenza di virtuosismo, la sua na-

turalezza, la sua normalità. Non c’è forzaturaspettacolare, c’è il solo srotolare le potenzialità diun lessico sfavillante, nel rispetto di certe atavi-che armonie ritmiche, con il gusto di ogni suonoprezioso, e con l’ambizione a non perder per stra-da nessuna esattezza possibile. Non mi va di fare

esempi, non sarebbero convincenti, bisogna prova-re per capire, ma certo alla decima riga, al placarsi diun rosario in casa, già ti si spalanca davanti la minu-scola epifania di una frase come questa: «Adesso, ta-ciutasi la voce, tutto rientrava nell’ordine, nel disor-dine, consueto». (Quando diavolo abbiamo smessodi scrivere taciutasi? E perché?). Trenta pagine piùin là, se ne torna il Principe a casa, reduce da un gitadi salute presso la sua abituale prostituta amante difiducia, e nella notte macina la strada in un dubbiostato d’animo e ammorbato dalle chiacchiere di pa-dre Perrone, il prete da cui, per una simmetria eticatutta da spiegare, si era fatto accompagnare. Be’: «IlPrincipe lo ascoltava appena, immerso com’era inuna serenità sazia, maculata di ripugnanza».(Quando diavolo abbiamo smesso di credere chemaculata sia leggermente diverso, e in taluni casipiù preciso, e in ogni caso più musicale di macchia-ta?). Ma, come dicevo, bisogna leggere, per capire.

A scanso di equivoci, ci tengo a chiarire che scri-vere come Tomasidi Lampedusa sa-rebbe, oggi, ridico-lo. Vorrei anchesottolineare comela grottesca imita-zione di quella na-turale eleganza ab-bia prodotto perlungo tempo, nel

nostro Paese, una sorta di galateo letterario che lamigliore narrativa italiana degli ultimi venti anni siè incaricata, con successo, di fare a pezzi. Detto que-sto, so che il Gattopardo aiuta a ricordare tre cose, amio avviso irrinunciabili: primo, l’italiano è una lin-gua fantastica, quindi sarebbe bene, quando si scri-ve, tramandarla tutta intera, e magari non indugia-re troppo nella scorciatoia dei dialetti; secondo,scrivere libri è una cosa, parlare un’altra, e se do-vessi spiegare meglio mi verrebbe da dire che nellascrittura letteraria una lingua nazionale diventaadulta, nel parlare torna bambina (esperienze, pe-raltro, entrambe fondamentali); terzo, che se to-gliete allo scrivere libri l’ambizione di abitare pie-namente e in modo sontuoso una lingua – da pa-droni, da esperti, da esploratori – ne deturpate ilprofilo a tal punto che chiunque sufficientementesveglio e paziente sarà in grado di scrivere un libro:il che, come spero di non dover spiegare, non è af-fatto la conquista di civiltà che si crede.

(Se li rileggi, sono classici.Se addirittura li ricompri, allora quella è una malattia)

ILLUSTRAZIONE DI: MANUELE FIOR

© RIPRODUZIONE RISERVATA

“Olive Kitteridge”di Elizabeth Strout

Go down, Mosesdi William Faulkner“Anatomiadi un istante”di Javier Cercas

SULLO SCAFFALE

T

Opendi Andre Agassi

Le radicidel Romanticismodi Isaiah Berlin

“American Dust”di Richard Brautigan

Fantozzi totaledi Paolo Villaggio

“Esercizi spiritualie filosofia antica”di Pierre Hadot

“Il medico di corte”di Per Olov Enquist

Democrazia: cosa può fare uno scrittore?di Antonio Pascalee Luca Rastello

UNACERTAIDEADI MONDO

La donna nel XVIII secolodi Edmond e Jules de Goncourt

Le api e i ragnidi Marc Fumaroli

La principessa sposadi William Goldman

Vergognadi J.M.Coetzee

Magellanodi Stefan Zweig

Storia delle ideedel calciodi Mario Sconcerti

I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni

ALESSANDRO BARICCO

Nessun luogo.Da nessuna partedi Christa Wolf

IL LIBRO“Il gattopardo” di GiuseppeTomasi di Lampedusa(Feltrinelli, collanaUniversale economica)La foto di Baricco è© LesAmp&rsands

“Niente potrà mai togliere al Gattopardo la magica capacitàdi incarnare non il talento di uno scrittore ma quello di una lingua”

La guerra del Peloponnesodi Donald KaganLa trilogia Adamsbergdi Fred VargasTrilogia degli Aubreydi Rebecca West

Bangkokdi Lawrence Osborne

Divinadi Gianni Clerici

Page 26: Una certa idea di mondo

R CULT ■ 56DOMENICA 6 MAGGIO 2012

llaa RReeppuubbbblliiccaa

toria bellissima, e se avete dei dubbi sentite questo:García Márquez, l’uomo con più storie in testa delpianeta terra, non ha resistito alla tentazione di far-ne un remake (è come se Madonna ti rubasse lagonna tanto le piace). D’accordo, era forse un po’vecchio e stanco (adoro gli scrittori quando sonovecchi e stanchi) ma sta di fatto che invece di attin-gere dal suo repertorio infinito si è chinato su que-sto libricino e l’ha riscritto alla sua maniera, in sal-sa caraibica. Poi il libro lo ha intitolato Memoriadelle mie puttane tristi, e basta accostare i due tito-li, il suo e quello Kawabata, per capire che l’OceanoPacifico non accade inutilmente, tra la Colombia eil Giappone.

Storia bellissima, tanto da risultare, per alcuni, ilpiù bel racconto erotico della letteratura universa-le (be’, immagino dopo Lolita, ovviamente). Nonsaprei dire, non sono così ferrato al riguardo, ma è

certo che quando Kawabata si mise ad appoggiaresulla scacchiera le pedine del racconto, con la suaestenuante meticolosità, aveva in mente una par-tita memorabile: dovette trovarla sul fondo di qual-che notte insonne, o venuta alla superficie dopotutta una vita arsa dal desiderio. Ecco cosa appog-giò sulla scacchiera: uno strano bordello, dei vec-chi clienti ormai impotenti, delle ragazze bellissi-me. E fin lì poteva ancora andare. Poi aggiunse lasua variante: le ragazze dormono, preda di poten-ti sonniferi, e i vecchi si infilano nei loro letti per tra-scorrere una notte accanto a quei corpi magnifici;prima o poi cadono addormentati e al mattino sci-volano via dal letto che le ragazze sono ancora im-merse nel sonno: non passa una parola, tra loro, ei vecchi non sanno né mai sapranno nulla di loro.Kawabata aggiunse un particolare che dovettesembragli fondamentale: le ragazze sono tutte ver-gini. Quindi fece la cosa che restava da fare: preseun uomo, gli diede un nome, Eguchi, e lo fece an-dare nel bordello, quasi per caso, una prima volta;

e poi altre quattro volte, incapace di resistere allatentazione. Gli parve più esatto scegliere un uo-mo vecchio ma non completamente impotente.Allora tutto gli dovette sembrare perfetto: e si mi-se a giocare la partita.

(Consiglio: se vi sembra una storia di erotismosquisitamente maschile, non sottovalutateKawabata e provate a immedesimarvi in una del-le ragazze.)

Cosa succede di preciso in quei letti?, è ovvia-mente la domanda con cui il lettore si accinge adassistere alla partita. Tutte cose molto giappone-si, viene da dire (gesti millimetrici, desideri este-nuati, senso di morte, culto e disprezzo dei cor-pi). Ma devo anche aggiungere che il tutto è cosìtipicamentegiapponese da fare venire un dubbioparadossale: era Kawabata che raccontava benel’erotismo giapponese, o siamo noi occidentali

che ci siamo fatti una certa idea dell’erotismo giap-ponese leggendo Kawabata? Mah. Nel dubbio, pre-ferisco ricordare una delle prime cose che fa Eguchi,in quel letto, il fiato mozzato dalla bellezza della ra-gazza, e nel petto un secondo cuore che inizia a bat-tere furiosamente. È un gesto invisibile, prolungato,molto sensuale, e tipicamente proustiano: ricorda.Osservare la ragazza, sfiorarla, toccarla, lo porta ir-resistibilmente a ricordare le donne che ha amato,una dopo l’altra, ma nei minimi particolari, come sei ricordi si sciogliessero al calore di quel corpo, e il te-pore di quella bellezza li richiamasse dal gelo dell’o-blio. Vi sembrerà un rito da vecchi, ma non fermate-vi alle apparenze. Lì si sta parlando del misteriosoistinto per cui nella persona amata convochiamosempre l’intero mondo di ciò che sapremmo ama-re, o abbiamo saputo amare. Lì si parla degli innu-merevoli fantasmi che abitano i vostri letti d’amore,

rendendoli spinosi e magni-fici, sempre.

Mi resta da annotare unanecessaria avvertenza: il li-bro è scritto da Kawabata, equindi è un’esperienza dilettura molto singolare. Dirado succede, in letteratura,di sentire una così profondae incolmabile lontananza: si

ha la chiara percezione di una civiltà diversa, fedelea un gusto e a un’idea di bellezza di cui non cono-sciamo i parametri, e neppure le più elementari re-gole. Un canone che non ci appartiene. Non è solo lalentezza, o il gusto per i dettagli: è proprio un’idea diritmo, di eleganza, di distanza, che per un occiden-tale è fuori portata. Ci vuole pazienza, e molta fede.Nel caso specifico di questo libro vi irriterà, ad esem-pio, il debolissimo finale. Ma anche lì, è una que-stione di civiltà, e non tanto di imprecisione tecni-ca. Quasi tutti i finali dei libri di Kawabata sono irri-tanti: alle volte neanche li scriveva, i finali, tanto po-co gli importava di loro. Immagino che per lui l’ideache una storia dovesse avere un finale suonassesciocca almeno quanto l’aspettarsi, ammirando unalbero nello splendore della fioritura, che a un cer-to punto succeda qualcosa. E rimanere delusi senon succede nulla tranne quello splendore. Capiteche per gente a cui la grammatica del narrare è por-ta da Hollywood, la cosa offre qualche imbarazzo.

(Ogni tanto mi accadedi avere un po’ di pazienzada parte, che mi cresce,allora compro un Kawabata,e mi concedo il privilegiodi leggerlo)

ILLUSTRAZIONE DI: MANUELE FIOR

© RIPRODUZIONE RISERVATA

“Olive Kitteridge”di Elizabeth Strout

Go down, Mosesdi William Faulkner

“Anatomiadi un istante”di Javier Cercas

SULLO SCAFFALE

Opendi Andre Agassi

Le radicidel Romanticismodi Isaiah Berlin

“American Dust”di Richard Brautigan

Fantozzi totaledi Paolo Villaggio

“Esercizi spiritualie filosofia antica”di Pierre Hadot

“Il medico di corte”di Per Olov Enquist

Democrazia: cosa può fare uno scrittore?di Antonio Pascale e Luca Rastello

UNACERTAIDEADI MONDO

La donna nel XVIII secolodi Edmond e Jules de Goncourt

Le api e i ragnidi Marc Fumaroli

La principessa sposadi William Goldman

Vergognadi J.M.Coetzee

Magellanodi Stefan Zweig

Storia delle ideedel calciodi Mario Sconcerti

I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni

Nessun luogo.Da nessuna partedi Christa Wolf

IL LIBRO“La casa delle belleaddormentate”di YasunariKawabata(Mondadori,traduzionedi Mario Teti)La foto di Baricco è© LesAmp&rsands

“Erotismo giapponese e lentezzanella storia delle belle addormentate”

La guerra del Peloponnesodi Donald Kagan

La trilogia Adamsbergdi Fred Vargas

Trilogia degli Aubreydi Rebecca West

Bangkokdi Lawrence Osborne

Divinadi Gianni Clerici

Il Gattopardodi Tomasi di Lampedusa

S

ALESSANDRO BARICCO

Page 27: Una certa idea di mondo

R CULT ■ 56DOMENICA 13 MAGGIO 2012

llaa RReeppuubbbblliiccaa

er molti anni, quando avevo tipo dieci anni, PadrePio è stato per me un personaggio misterioso cheesisteva solo a casa della nonna, nelle riviste che c’e-rano in salotto e, più deteriorate, al cesso. Dovevac’entrare con il cinema. Sicuramente con certe si-gnorine molto belle con cui divideva le copertine.Ogni tanto lo vedevo rispuntare sulle fiancate deicamion in autostrada, quando mio padre li supera-va, cosa che faceva piuttosto di rado: non coglievoil nesso con i rotocalchi, ma me ne fregavo. Avevoallora quell’altissima tollerabilità al mistero che è ti-pica dei bambini di dieci anni: abbastanza intelli-genti da registrare dei fatti curiosi e divinamente di-sponibili a ignorarne le cause vere. Ne bastava unacarina: che so, Babbo Natale, papà che ha messo unsemino nella pancia della mamma: è un periodo digrazia assoluta, e quella leggerezza non la si ha mai

più, in tutta la vita.Dicevo. A parte sorpassare poco in autostrada,

noi eravamo molto cattolici, in famiglia, ma anchemolto nordici e conciliari (significa che la Chiesauscita dal Concilio Vaticano II era la nostra Chiesa,non una deviazione modernista da esecrare): va dasé che Padre Pio non rappresentava la nostra idea dicosa significasse essere un Santo. Per un torineseeducato alla lettura di don Mazzolari, un requisitodi base per essere Santo era, ad esempio, NON faremiracoli: Padre Pio ne faceva a sacchi (alcuni eranostrepitosi: dicevano che non impressionasse la pel-licola quando lo fotografavano che lui non voleva).C’era poi quella questione delle stigmate, chiara-mente eccessiva per gente che considerava il beigeun colore brillante. Insomma, non faceva per noi.Neanche ci interrogavamo troppo sul fenomeno:più o meno sarebbe stato come farsi delle doman-de su Sophia Loren.

Poi ho fatto altro, nella vita, e devo dire che di Pa-

dre Pio mi ero in qualche modo dimenticato. Main realtà avevo un conto in sospeso, con lui, comelo si ha con tutte le perle di mistero che si è covatida bambini. Così, quando mi sono imbattuto inquesto libro ho pensato che era la volta buona. Al-la quarta pagina ero già rapito. Il fatto è che l’as-sunto stesso di questo libro è, di per sé, affasci-nante: si può guardare all’evento singolare di unasantità come a un fatto storico, sottraendolo al do-minio dell’irrazionalità, e provando a ricomporloin un quadro interamente razionale? Voglio dire:resta qualcosa, di un fenomeno come Padre Pio,se gli togli il tratto della fede (in tutte le sue forme,dalla religiosità più vertiginosa alla semplice cre-dulità)? La risposta è sì: nel caso specifico, quelloche resta, è la storia di un Paese, il nostro. Luzzat-to ha evidentemente l’istinto a credere in un fe-

nomeno che mi ha sempre affascinato: la possibilitàche alcune piccole tessere del reale (nel suo caso, del-la Storia) rechino in sé la mappa del tutto di cui sonoinfima parte. Senza questa acrobatica convinzione,gran parte delle narrazioni perderebbero qualsiasisenso. Ma ci si crede, invece, e in questo caso la cosain cui il libro di Luzzatto crede è la seguente: studia lapiccola tessera di Padre Pio e vedrai la mappa dell’I-talia, la geografia che ha composto, lungo una buo-na parte del Novecento, la realtà sociale e politica delnostro Paese. Così la domanda, in questo libro, nonè tanto se le stigmate fossero reali o meno, o se la buo-na fede del frate fosse a prova di bomba: la domandaè: com’è fatto un Paese che prende quell’anomalia einvece di rimuoverla, o dimenticarla, o soffocarla, nefa uno dei telai su cui tessere la tela della propria sto-ria? Domanda affascinante, non c’è santo (pardon).

Così, si leggono centinaiadi pagine (scritte bene, tral’altro) e si vede passare l’Ita-lia: il biennio rosso, la feritadella Prima Guerra mondia-le, l’epidemia di spagnola,l’invenzione del clerico-fa-scismo, la miracolosa risalitadella Chiesa su dal baratro diimpopolarità toccato a PortaPia, il suo graduale ritrovarsicome guida spirituale e poli-

tica del Paese; e poi i bombardamenti americani, ilpapato taumaturgico di Pio XII, la resa dei conti po-st bellica, il miracolo economico, il Concilio Vatica-no II, la DC, Papa Wojtyla. E ovunque c’è lui, PadrePio. In ogni momento capisci il Paese se capisci do-ve era lui, cosa stava facendo, cosa non stava facen-do, cosa le gente credeva che facesse. Lui e i suoi mi-racoli: in ognuno dei quali puoi vedere l’incursioneincontrollabile del sacro, se credi, ma anche, pun-tuale, il codice esatto con cui capire il testo che se-gretamente i poteri d’Italia, in quel momento, sta-vano scrivendo. Fantastico. Tanto che alla fine, nonti importa neanche tanto sapere se levitasse davve-ro, il Santo, o se davvero fosse comparso nel cielo,davanti ai bombardieri americani, per fermarli, ocose del genere, non ti importa davvero più: un altromistero, l’Italia, lo vedi schiarirsi lentamente sottogli occhi, e questo sembra così dannatamente piùurgente, e prezioso, e utile.

(Quando l’ho visto lì,in libreria, mi sonoricordato che prima o poi,questa faccenda di Padre Piobisognava capirla.Comprato. Capìta)

ILLUSTRAZIONE DI: MANUELE FIOR

© RIPRODUZIONE RISERVATA

“Olive Kitteridge”di Elizabeth Strout

Go down, Mosesdi William Faulkner

“Anatomiadi un istante”di Javier Cercas

SULLO SCAFFALE

Opendi Andre Agassi

Le radicidel Romanticismodi Isaiah Berlin

“American Dust”di Richard Brautigan

Fantozzi totaledi Paolo Villaggio

“Esercizi spiritualie filosofia antica”di Pierre Hadot

“Il medico di corte”di Per Olov Enquist

Democrazia: cosa può fare uno scrittore?di Antonio Pascale e Luca Rastello

UNACERTAIDEADI MONDO

La donna nel XVIII secolodi Edmond e Jules de Goncourt

Le api e i ragnidi Marc Fumaroli

La principessa sposadi William Goldman

Vergognadi J.M.Coetzee

Magellanodi Stefan Zweig

Storia delle ideedel calciodi Mario Sconcerti

I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni

ALESSANDRO BARICCO

Nessun luogo.Da nessuna partedi Christa Wolf

IL LIBRO“Padre Pio.Miracoli e politicanell’Italiadel Novecento”di Sergio Luzzatto(Einaudi)La foto di Baricco è© LesAmp&rsands

“Studia la piccola tessera di Padre Pio e vedrai la mappadell’Italia, la geografia che ha composto il nostro Paese”

La guerra del Peloponnesodi Donald Kagan

La trilogia Adamsbergdi Fred Vargas

Trilogia degli Aubreydi Rebecca West

Bangkokdi Lawrence Osborne

Divinadi Gianni Clerici

Il Gattopardodi Tomasi di Lampedusa

La casa delle belle addormentatedi Yasunari Kawabata

P

Page 28: Una certa idea di mondo

R CULT ■ 60DOMENICA 20 MAGGIO 2012

llaa RReeppuubbbblliiccaa

arò sincero, io con Leonard ho questo problema: ini-zio i suoi libri, entusiasta, ne divoro una metà, poinon so cosa succede, mi areno un po’, e alla fine nonne finisco uno. Immagino che il problema sia mio,ovviamente: ma non si può neanche escludere chelui sia uno di quegli scrittori che iniziano da dio e poinon hanno il talento dello sviluppo. Non so, non hocertezze. Magari è un mago dei finali, e io, non es-sendoci mai arrivato, non posso saperlo. Quel che soinvece, è che questo suo libro l’ho finito, perché sitratta di racconti, e di racconti western. Uno dopol’altro, a un certo punto ero all’ultima pagina: ma dimio potevo andare avanti ancora qualche mesetto.

Scrivere il western – essendo il western un generesquisitamente cinematografico – è un’acrobaziasingolare, paragonabile a far la maionese senza leuova (c’è chi la fa): provate a scrivere una sparatoria

e capirete cosa intendo dire. Va da sé che si è costrettia virare un po’ sull’introspettivo, se non sul filosofi-co, col risultato di trovarsi tra le mani pistoleri chepensano un sacco: e quello è il rischio (se pensi unsacco NON sei un pistolero, è evidente). Leonard nevenne fuori con una mossa laterale che, volendo, èla stessa che rese grande Sergio Leone: falli pensarepoco ma muovere lenti e parlare da dio: quando poic’è da sparare, il più è fatto. La dico meglio: ricordache chi ha sparato o sparerà a un uomo è sacro persempre, e in ogni istante della sua vita: per cui par-lerà come un eroe biblico, e si muoverà in mezzo al-le cose come se toccandole le creasse. Non è veronella vita, ma è vero nelle narrazioni: una sorta diconvenzione di grande successo. Il risultato è unaprosa tutta particolare, molto letteraria, in cui ognipiccolo gesto e qualsiasi parola pronunciata sfog-giano una solennità quasi liturgica: in pratica gliumani stanno sempre nel cuore di un duello, anchequando ordinano un whisky o si tolgono gli stivali:analogamente, Achille e Ettore sono nati per com-

battere, nell’Iliade, e di fatto non credono di poteresistere al di fuori di quella gloria. Rigirata così, l’e-popea western diventa in effetti materiale buonoper lo scrivere, perché nella scrittura c’è, volendo,quella lentezza, quella capacità di rendere solen-ne il dettaglio, quella possibilità di far parlare lagente come se fosse sempre toccata dalla grazia.Esempio: «Jimmy Robles raccolse la camicia ma-dida di sudore che si era appena tolto, e ne staccòdal taschino il distintivo d’argento. Prima di guar-dare suo zio alitò sul metallo e ne sfregò la superfi-cie liscia sulla stoffa che gli fasciava il torace. Poil’appuntò sulla camicia pulita, studiando la scrit-ta incisa nel metallo e che, a detta di John Benedict,recitava Vicesceriffo. “Tu bevi troppo”, disse conaria sostenuta, ma non seppe trattenere un sorri-so davanti a quell’immagine di indolenza sbraca-

ta sul lettuccio, un piede appollaiato sul davanzaledella finestra sovrastante, col mondo che poteva an-che finire in quel preciso momento. “Perché non lasmetti per qualche giorno, tanto per vedere come titrovi?”. Tio chiuse gli occhi. “Lo shock potrebbe ucci-dermi”. “Ti stai ammazzando lo stesso”. “Ma che belmodo di morire”, borbottò Tio».

Se rallentate un po’ il tutto e lo trasferite sulloschermo ottenete Sergio Leone (vi sarete già accorti,certamente, che l’inizio di C’era una volta il Westè unlibro scritto, più che un film). Se invece aggiungete unbel po’ di ambizione, un sacco di pazienza e una cer-ta dose di lucida disperazione finirete per ritrovarvitra le mani, a sorpresa, Cormac McCarthy. Dato cheMcCarthy è uno dei tre, quattro grandi scrittori vi-venti, la cosa è curiosa, e spinge a interrogarsi sullamisteriosa genesi della grande letteratura, sovente

debitrice di quella più allegramente ple-bea. Forse bisognerebbe abituarsi a pensa-re così: non esistono grandi scrittori, esi-stono solo grandi libri. E poi: i grandi librisgorgano dalla terra dei racconti dopo per-corsi sotterranei che non sappiamo, comelaghi che raccolgono le sorgenti più diversee mescolano mille nevi in un’unica acqua,che poi prende un nome, e quel nome èquello di un uomo che scrive. Voglio dire:McCarthy magari non l’ha nemmeno mai

letto, Leonard, ma questo non cambia niente: era tut-ta una corrente sotterranea che li ha usati entrambiper covare una qualche grandezza e farla uscire allaluce del giorno. Ogni tanto immagino la vita cultura-le degli umani come una sorta di tenace crosta terre-stre, e i grandi autori come cariche di dinamite cheriescono a creparla e a far uscire fuori fiumi sotterra-nei che vengono da chissà dove e viaggiano da chissàquanti anni. Poi si confonde il fiume con l’autore, main verità l’autore è solo forza, pazienza e megaloma-nia: è un’intensità, è un’esplosione. (Ecco perché igrandi sono spesso vagamente suonati, e di radosanno spiegare quel che hanno fatto).

Per la cronaca, da tre di questi racconti Hollywoodha tratto altrettanti film entrati nella storia del cine-ma: Quel treno per Yuma, I tre banditi e Io sono Val-dez. Cosa pensasse Leonard al proposito è riassuntoin una breve dichiarazione in cui si limitò a registra-re «quanto poco ci mettono, a Hollywood, a manda-re a puttane un semplice racconto».

(Mi pare di ricordareche l’editore avevatanto insistito che lo leggessiInsiste sempre, va detto.Però questa voltaaveva ragione)

ILLUSTRAZIONE DI: MANUELE FIOR

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Go down, Mosesdi William Faulkner“Anatomiadi un istante”di Javier Cercas

SULLO SCAFFALE

Opendi Andre AgassiLe radicidel Romanticismodi Isaiah Berlin

“American Dust”di Richard Brautigan“Esercizi spiritualie filosofia antica”di Pierre Hadot

Storia delle ideedel calciodi Mario Sconcerti

Fantozzi totaledi Paolo Villaggio

“Il medico di corte”di Per Olov Enquist

Democrazia: cosa può fare uno scrittore?di Antonio Pascale e Luca RastelloLa donna nel XVIII secolodi Edmond e Jules de Goncourt

UNACERTAIDEADI MONDO

Le api e i ragnidi Marc Fumaroli

Magellanodi Stefan Zweig La guerra

del Peloponnesodi Donald Kagan

La principessa sposadi William Goldman

Vergognadi J.M.Coetzee

I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni

ALESSANDRO BARICCO

La trilogia Adamsbergdi Fred Vargas

IL LIBRO“Tutti i racconti western”di Elmore Leonard(Einaudi Stile libero,traduzionedi Luca Conti)La foto di Baricco è© LesAmp&rsands

“Il western di Leonard inventa una regola: i pistolerifalli pensare poco, ma muovere lenti e parlare da dio”

Trilogia degli Aubreydi Rebecca West

Bangkokdi Lawrence Osborne

Divinadi Gianni Clerici

Il Gattopardodi Tomasi di Lampedusa

La casa delle belle addormentatedi Yasunari Kawabata

Padre Pio. Miracolie politica...di Sergio Luzzatto“Olive Kitteridge”

di Elizabeth Strout

Nessun luogo.Da nessuna partedi Christa Wolf

S

Page 29: Una certa idea di mondo

R CULT ■ 56DOMENICA 27 MAGGIO 2012

llaa RReeppuubbbblliiccaa

er quanto lo studio delle cose belle – quadri, monu-menti, teiere – sia dilettevole e istruttivo, non c’è pa-ragone con l’interrogarsi sulla storia della loro rice-zione, cioè sulla storia della cultura, cioè sull’incro-cio di forze economiche, politiche, estetiche e ca-suali che generano un certo canone collettivo, sepa-rando tra le cose quelle belle da quelle brutte. Vogliodire che studiare com’è fatto Madame Bovary è in-teressante, ma capire perché quel romanzo è diven-tato per noi un totem, e altri migliaia di romanzi no,quello è fantastico (beh, certamente non perché erapiù bello, è ovvio). C’è molto darwinismo nel pro-cesso che porta una artefatto a diventare un capola-voro, e l’esito di quella selezione durissima non sispiega soltanto con le caratteristiche oggettive del-l’opera: le caratteristiche dell’ecosistema che le haospitate – talvolta per millenni – è decisivo. Soprav-

vivono le opere più adatte, non c’è dubbio, e capire“adatte a cosa” è un’avventura intellettuale irresisti-bile.

Prendete il caso del Partenone. Bellissimo, d’ac-cordo. Ma ad esempio: non era di quel colore lì. Con-siderato che per noi è l’emblema di una certa misu-ra classica, l’incarnazione di una bellezza solennema sobria e controllatissima, forse non è completa-mente inutile ricordare che, in origine, era correda-to di parti decorative ricchissime, vivacemente co-lorate, e allegramente spettacolari. Qualsiasi sia l’i-dea che noi coltiviamo della sua bellezza, va regi-strato che gli antichi, per secoli, lo consideraronopoco più che la cornice a quella che, ai loro occhi, ap-pariva la vera attrazione: un’enorme statua della dea

Atena che si ergeva all’interno tempio: quella sì,secondo loro, una vera bellezza. Tanto che la de-scrissero nei particolari, e così oggi noi possiamofarcene un’idea, pur senza averla mai vista: altatredici metri, era costituita da una struttura lignearicoperta in modo sfavillante di avorio e oro. Nonaspettatevi una cosa tipo Venere di Milo: ne pote-te vedere una copia fedele, a grandezza naturale,se andate a Nashville, Tennessee, e il fatto che l’ab-biano fatta lì, con tutto il rispetto, vi può suggerireuna certa accondiscendenza per quello che noi, disolito, chiamiamo kitsch.

Così sorge una domanda, irresistibile: ma è ilPartenone che ha generato una certa idea di bel-lezza classica o è una certa idea di bellezza classi-ca, del tutto astratta e immaginaria, che ha gene-

rato la grandezza del Partenone? La domanda ha unsuo fondamento soprattutto se si considera che in uncerto senso il Partenone è stato rifatto tra Otto e No-vecento, e rifatto su misura delle aspettative che siavevano nei suoi confronti: lo si voleva testimonial diuna certo gusto, di una certa civiltà estetica, e si fecein modo che lo fosse. Il margine di azione era notevo-lissimo perché, di fatto, di quel coso enorme si sape-va pochissimo, per cui un’eventuale fedeltà all’origi-nale era una battaglia persa in partenza (non si saesattamente neanche perché si chiama così; è dub-bio perfino che fosse un tempio, più probabilmenteera una cassaforte, pensa te, ci tenevano i profitti del-l’impero ateniese, custoditi dalla statua di tredici me-tri). Insomma si poteva procedere con una certa li-bertà: iniziarono a staccare fregi e metope con la buo-na scusa di metterli al sicuro in un museo, ottenendocosì una struttura assai più spoglia, sobria e misura-ta; poi lo rimisero in piedi (dato che gli Ottomani loavevano usato come deposito di polvere da sparo e iVeneziani avevano buona mira, non stava un gran-ché bene), ma non lo rimisero in piedi completa-mente, disegnando quella silhouette che noi tutti og-gi ammiriamo e che è un capolavoro di invenzioneculturale: un po’ rovina, ma non troppo, potente e fra-gile al tempo stesso, definitivo ma imprendibile, per-fetto ma incompiuto: quel che di meglio una sensibi-lità romantica poteva sognarsi di trovare a confermadelle proprie passioni.

Andrebbe aggiunto che, naturalmente, a compie-re tutte queste operazioncine non furono i greci ma legrandi potenze europee del tempo, cioè i padroni delmondo, il che farebbe riflettere sulla immane poten-za delle egemonie culturali, ma preferisco sorvolareper annotare giusto che il libro della Beard è un’idea-le e rapida guida tra questi e altri ragionamenti: si chi-na sul Partenone con immensa devozione ma senzatimori reverenziali: dai trucchi ottici che quel capola-voro nasconde al significato politico che la democra-zia ateniese attribuiva a quelle colonne il lettore po-trà scoprire un’infinità di cose che credeva, spesso atorto, di sapere. Bello, divertente, e istruttivo.

(L’edificio più bello del mondoe neanche sapevo il nomedell’architetto: visto il libro,comprato, scoperto che gliarchitetti erano due, e non sichiamavano ovviamente Fidia)

ILLUSTRAZIONE DI: MANUELE FIOR

© RIPRODUZIONE RISERVATA

SULLO SCAFFALE

I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni

ALESSANDRO BARICCO

IL LIBRO“Il Partenone”di Mary Beard(Laterza,traduzionedi Barbara Gregori)La foto di Baricco è© LesAmp&rsands

“Il Partenone, quello che oggi ammiriamo,è un capolavoro d’invenzione culturale”

P

Open di Andre Agassi ** Le radici del Romanticismo di Isaiah Berlin ** Olive Kitteridge di Elisabeth Strout ** American Dust di Richard Brautigan ** Esercizi spirituali e filosofia antica di Pierre Hadot * * Il medico di cor-te di Per Olov Enquist ** Fantozzi totale di Paolo Villaggio ** Democrazia: cosa può fare uno scrittore? di Antonio Pascale e Luca Rastello ** La donna nel XVIII secolo di Edmond Jules de Goncourt ** Godown Mosesdi William Falkner ** Anatomia di un istante di Javier Cercas ** Le api e i ragni di Marc Fumaroli ** Magellano di Stefan Zweig ** Storia delle idee del calcio di Mario Sconcerti ** La principessa sposa di William Goldman

** Vergona di J.M. Coetzee ** Nessun luogo. Da nessuna parte di Christa Wolf ** La guerra del Peloponneso di Donald Kagan ** La trilogia di Hadamsberg di Fred Vargas ** Trilogia degli Aubrey di Rebecca West **Bangkok di Lawrence Osbome ** Divina di Gianni Clerici ** Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa ** La casa delle belle addormentate di Yasunari Kawabata ** Padre Pio. Miracoli e politica... di Sergio Luzzatto

I PRIMI25 TITOLI

Tutti i racconti westerndi Elmore Leonard UNA CERTA

IDEADI MONDO

Page 30: Una certa idea di mondo

R CULT ■ 56DOMENICA 3 GIUGNO 2012

llaa RReeppuubbbblliiccaa

on ricordo bene quando l'ho letto - anni fa - ma ri-cordo bene la sensazione di scoperta assoluta e feli-ce: questa scrive da dio, pensai. Il risvolto di coperti-na diceva che era nata nel 1967, a Francoforte, e poichiudeva con una frase che non potevi non notare:"Con le prime venti pagine del suo prossimo libro, nonancora terminato, ha vinto il prestigioso Premio Inge-borg Bachmann." Boom! Sovente, dietro a frasi delgenere, c'è giusto qualcuno del marketing che quelgiorno aveva voglia di strafare. Ma in quel caso biso-gnava ammettere che poi uno apriva il libro e quelloche vi trovava era singolare, potente e, in un modotutto suo, molto bello.

Era il tipo di libro che io non scriverei mai. Ad esem-pio - se vogliamo finalmente parlare un po' di tecni-ca - era tutto al presente. Io ho dei problemi, col pre-sente: per un verso mi sembra troppo freddo, per unaltro troppo aggressivo. Alla fine il risultato è portareil lettore sull'orlo di quel che si racconta, senza nean-

che dargli la distanza clemente dell'imperfetto: è co-me costringere uno a mangiare con la faccia schiac-ciata sul piatto. Forse mi innervosisce un po' anchequella freddezza che ne deriva: mi sembra sempre unpo' falsa. C'è, dietro, l'idea che nel mettere in primafila le cose automaticamente l'autore scivoli indietro,e il contenuto di verità ne guadagni. Tipico ragiona-mento che mi innervosisce.

Un'altra cosa che faceva quel libro era convocarenel racconto migliaia di oggetti. Voglio dire che se inun libro un personaggio entra in bagno, poi sta alloscrittore decidere quante cose di quel bagno convo-care sulla pagina. Magari ne basta una: un bagnobianco. Magari ti piace invitarne un altro paio: un ba-gno bianco piastrellato con una ventola che girando

fa rumore. In quel libro si convocava tutto. A un cer-to punto la protagonista entra in una stanza e ci tro-va un gran casino: come si vede basterebbe una pa-rola (casino), ma ecco cosa scriveva quella tedesca."Come una fitta coltre di nuvole, la polvere si sno-da lungo i battiscopa fino al telaio di un letto d'ot-tone su quale giacciono spessi piumini, vestiti but-tati a casaccio, libri, un vassoio con tazze da té, tu-betti e bottiglie, scatole accartocciate di caramellealla menta, batterie, un walkman, cassette, unaconfezione di preservativi. Un cavalletto per la pit-tura su seta macchiato e ripiegato, una custodia flo-scia per chitarra, spartiti, due posacenere pieni, di-versi cacciavite. Un vaso rovesciato di fiori finti, unapietra pomice per eliminare la callosità sui talloni,mollette per la biancheria, forcine, viti, fermagli percapelli, una carta telefonica graffiata e unghie finte,attorniate da uno strato di granelli di sabbia e di bri-ciole di pane." Applausi. Cioè, non è il modo in cui

viene da scrivere a me, ma c'èqualcosa di mirabile, di non inu-tile - una certa chiara bellezza.

La cosa poi incredibile era che,con queste premesse, e tutti que-gli oggetti intorno, e ogni gestometicolosamente censito neisuoi singoli passaggi, il libro nonrisultava, alla fine, minimamen-te palloso: anzi, in un certo senso

era un thriller. Diciamo un thriller molto, molto raf-finato, ma comunque un libro con suspense e sce-ne d'azione: anni dopo, leggendo Stieg Larsson(con lo stesso godutissimo disgusto di me con cui,saltuariamente, mangio il Pied du porc panè), mi

sono ritrovato a chiedermi dove diavolo avevo già vi-sto un personaggio tipo Lisbeth Salander. Nel librodella Parei, ecco dove l'avevo già visto, nella protago-nista del libro della Parei. Per dire che non è una storiadi impalpabili sentimenti o di micro fenomenologiesnob: gente che fugge, coltelli che volano, e arti mar-ziali.

Insomma, alla fine pensai: che talento, accidenti.C'era da scommettere che quella lì ce la saremo ritro-vata per anni a brillare nel panorama un po' anemicodella letteratura europea. Mentre scrivo queste righe,invece, devo registrare il fatto che è abbastanza spari-ta nel nulla. Non lo dico con soddisfazione, lo dico consgomento. In italiano, di suo, non si è più visto niente.Ho scoperto che almeno un altro libro l'ha scritto, maevidentemente a nessuno in Italia sarà sembrato me-morabile. Mi sono incaponito e sono andato a cercar-la in rete. Me la son trovata, apparentemente felice, suun furgoncino in viaggio per la Nuova Zelanda, scri-vendo poi le sue note di viaggio in un suo blog. Tuttobene, per carità, ma certo è un po' come se fra qualcheanno mi ritrovassi la Pellegrini che fa l'animatrice inun Acquafan.

Poi magari tra qualche anno Irka Parei se ne esce conun capolavoro, chi lo sa. Ma intanto io ne approfittoper buttare lì una cosa su cui prima o poi tornerò: pos-so sbagliarmi, ma oggi chi ha molto talento per scrive-re un libro ne ha anche abbastanza per capire che nonne vale più tanto la pena. Cioè, lo puoi anche fare, mase ne accorgono in pochi, nessuno ha voglia di parlar-ne, il talento è ritenuto un'ineleganza, i romanzi un ge-nere periferico. La corrente del fiume trascina altrove,e molti ne deducono con tranquillità la verità indiscu-tibile che è meglio essere vivi che bravi. Dopo tutto, sedavvero hai un talento bestiale per la scrittura, di sicu-ro sei sveglio abbastanza per fare bene un sacco di al-tre cose. Facilmente ce ne sono alcune in cui più facil-mente troverai la sensazione di esistere veramente, diessere ufficialmente vivo. Lo so, detta così suona piut-tosto antipatica: ma invece è una faccenda interes-sante, tutt'altro che malinconica. Ne riparleremo,promesso (e fatemi il santo piacere di non buttare il vo-stro tempo a pensare che sto parlando di me. Grazie).

(Compravoquasi tuttii libri di Instar,allora.Poi mi sonoun po’ perso)

ILLUSTRAZIONE DI: MANUELE FIOR

© RIPRODUZIONE RISERVATA

SULLO SCAFFALE

I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni

ALESSANDRO BARICCO

IL LIBRO“La ragazza che faa pugni con l’ombra”di Inka Parei(Instar Libri,traduzionedi Umberto Gandini)La foto di Baricco è© LesAmp&rsands

“Mi sono chiesto dove avevo già vistouna come Lisbeth Salander...”

N

Open di Andre Agassi ** Le radici del Romanticismo di Isaiah Berlin ** Olive Kitteridge di Elisabeth Strout ** American Dust di Richard Brautigan ** Esercizi spirituali e filosofia antica di Pierre Hadot * * Il medico di cor-te di Per Olov Enquist ** Fantozzi totale di Paolo Villaggio ** Democrazia: cosa può fare uno scrittore? di Antonio Pascale e Luca Rastello ** La donna nel XVIII secolo di Edmond Jules de Goncourt ** Godown Mosesdi William Falkner ** Anatomia di un istante di Javier Cercas ** Le api e i ragni di Marc Fumaroli ** Magellano di Stefan Zweig ** Storia delle idee del calcio di Mario Sconcerti ** La principessa sposa di William Goldman

** Vergona di J.M. Coetzee ** Nessun luogo. Da nessuna parte di Christa Wolf ** La guerra del Peloponneso di Donald Kagan ** La trilogia di Hadamsberg di Fred Vargas ** Trilogia degli Aubrey di Rebecca West **Bangkok di Lawrence Osbome ** Divina di Gianni Clerici ** Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa ** La casa delle belle addormentate di Yasunari Kawabata ** Padre Pio. Miracoli e politica... di Sergio Luzzatto

I PRIMI25 TITOLI

Tutti i racconti westerndi Elmore Leonard

Il Partenonedi Mary Beard

UNA CERTAIDEADI MONDO

Page 31: Una certa idea di mondo

R CULT ■ 54DOMENICA 10 GIUGNO 2012

llaa RReeppuubbbblliiccaa

ltro libro d’esordio che, quando lo lessi, mi lasciò sec-co. La cosa che mi colpì, allora, fu da subito la quantitàd’energia che c’era là dentro. È un tratto tipico dei pri-mi libri: si viene da anni di compressione, di materia-le accumulato, di vita mai urlata, e il primo libro è co-me aprire una diga. Defluisce fuori di tutto, a cascata,con un gusto per lo spreco e un eccesso di generositàche poi passerai la vita a giudicare assolutamente idio-ti e, simultaneamente, a rimpiangere come qualcosadi cui non sarai mai più capace. La forza di questo Eg-gers era talmente alluvionale che aveva allagato tutto:prima ancora che il libro iniziasse, era già esondata inparti di libro che di solito fanno storia a sé: c’era unaprefazione che era una sorta di racconto post-moder-no, dei ringraziamenti che duravano per sedici pagi-ne, uno schemino con le più ricorrenti metafore usatenel libro (con relativa spiegazione), e poi di nuovo rin-graziamenti a cascata (si ringraziavano anche le PosteAmericane). A quel punto rimaneva, intatto, giusto ilcolophon (quei credits un po’ fiscali che nemmeno

guardate mai, nella prima pagina di sinistra): la cosa,a Eggers, dovette sembrare spiacevole, così la realtàdei fatti è che se voi leggete il colophonlo scoprite scrit-to da lui: naturalmente, invece di qualche riga anoni-ma, vi trovate interessanti annotazioni sul mondo esulle tendenze sessuali dell’autore. Senza scherzi, eratutto fantastico.

Poi, naturalmente, c’era il libro vero e proprio, e lì disolito casca l’asino (ecco salvata un’altra espressionein via d’estinzione) perché va bene aprire la diga, mapoi devi essere un ingegnere idraulico, e un maestro diargini, per ottenere qualcosa che possa chiamarsi unlibro, se non addirittura un bel libro. Anche in quello,tuttavia, Eggers era straordinario. C’era di mezzo unsacco di maestria, e tonnellate di tecnica, ma la cosa

sorprendente era vederle sparire nella corrente delracconto, e lasciarsi dietro di sé giusto la magia diuna naturalezza assoluta che per qualche ragionemisteriosa correva disciplinata, e perfetta. Non c’èmolta gente, in giro, capace di cose del genere. Cosìmi ricordo che mi levai il cappello, com’era giusto, esemplicemente mi arresi all’idea che c’era gente, vi-va, molto più brava di me.

Va detto che la storia raccontata da Eggers nel li-bro è, letteralmente, la sua storia: tanto che lui amacatalogare questo suo primo libro come un volumedi Memoires, e non un romanzo. A sentir lui, non si ènemmeno preso la briga di cambiare i nomi. Quelche gli era toccato in sorte era di vedere i genitori mo-rire, uno dopo l’altro, di tumore, in modo straziantee inatteso, e poi di cercare di occuparsi di un fratelli-no piccolo, rimasto lì un po’ sbandato. Di per sé, nonsono vicende particolarmente gaie, ma il modo chelui ha di raccontarle è talmente splendente (non sa-prei trovare un’altra parola) che mi sarebbe difficile

trovare un altro libro contanta voglia di vivere, e diridere, e di essere straordi-nari. Sul serio, se siete acorto di motivazioni, e sesvegliarvi al mattino nonvi sembra l’irresistibilemiracolo che è, entrate inquesto libro e vi sentiretecoglioni già prima della fi-

ne dei ringraziamenti.Riprendendo in mano il libro, per scrivere questa

pagina, sono andato a cercare una certa scena in cuilui e il fratellino giocano a frisbee su una spiaggia ca-liforniana (me la ricordavo così splendente), ma poi

non la trovavo e così sono finito a leggere a caso, go-dendomela di nuovo, esattamente come la prima vol-ta, fino a quando non sono finito in una scena che inve-ce non ricordavo, probabilmente perché non ero anco-ra abbastanza padre, allora, per notarla, essendo la sce-na quella in cui lui (ventun anni) accompagna il fratel-lino Toph (sette anni) a giocare a baseball e si trova inmezzo alle madri, sulle gradinate, con quel tipico statod’animo che hanno i genitori quando vanno a vedere ilfiglio che fa sport, e che se non hai provato non puoinemmeno lontanamente immaginare: un penoso mi-sto di commozione, di preoccupazione e di tensioneche ti fa invecchiare (o ringiovanire, non l’ho capito) dianni. È bella tutta, la scena, ma in particolare c’è un pez-zetto da applausi, e quindi lo cito qui, se non altro perdarvi un’idea di cosa sia possibile fare di Sua Maestà IlMonologo Interiore se solo hai abbastanza talento daparte.

“Attento, sospettoso, osservo Toph interagire con glialtri bambini.

– Perché ridono, quei bambinetti?– Di che cosa ridono? Del cappello di Toph? È troppo

grande?– Chi sono quelle teste di cazzo? Li spezzo in due, pic-

coli bastardi.– Ah, no.– Ah no, era solo quello. Solo quello. Eh, eh, eh.”Adoro quando qualcuno usa i totem della tradizione

letteraria per involtolare l’insalata. E fa con il piede si-nistro quello che, neanche tanti anni prima, era un’a-crobazia da sciancarti il cervello.

(Diversamente da Inka Parei, Eggers ha continuato ascrivere con brillanti risultati, evidentemente ritenen-do la cosa di una certa soddisfazione: ma va anche an-notato, tanto per proseguire la riflessione inaugurata lascorsa domenica, che nel frattempo ha aperto una ca-sa editrice, messo su due riviste, e fondato una scuola,a San Francisco, in cui insegna creative writing ai bam-bini, nella convinzione che saper padroneggiare la lin-gua e saper raccontare siano due armi che possono ren-dere le cose maledettamente difficili a quelli che, dagrande, cercheranno di tenerti buono. Voglio dire:neanche l’ha sfiorato l’idea che fare lo scrittore potessebastare. Prendere, e mettere da parte).

(Come si faa non comprareun libro in cuil’autore ha anchescritto, e a modo suo,il colophon?)

ILLUSTRAZIONE DI: MANUELE FIOR

© RIPRODUZIONE RISERVATA

SULLO SCAFFALE

I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni

ALESSANDRO BARICCO

IL LIBRO“L’opera struggentedi un formidabile genio”di Dave Eggers(Mondadori, traduzionedi Giuseppe Strazzeri)La foto di Baricco è© LesAmp&rsands

“Eggers ci mette tanta voglia di vivere,e di ridere, e di essere straordinari”

A

Open di Andre Agassi ** Le radici del Romanticismo di Isaiah Berlin ** Olive Kitteridge di Elisabeth Strout ** American Dust di Richard Brautigan ** Esercizi spirituali e filosofia antica di Pierre Hadot * * Il medico di cor-te di Per Olov Enquist ** Fantozzi totale di Paolo Villaggio ** Democrazia: cosa può fare uno scrittore? di Antonio Pascale e Luca Rastello ** La donna nel XVIII secolo di Edmond Jules de Goncourt ** Godown Mosesdi William Falkner ** Anatomia di un istante di Javier Cercas ** Le api e i ragni di Marc Fumaroli ** Magellano di Stefan Zweig ** Storia delle idee del calcio di Mario Sconcerti ** La principessa sposa di William Goldman

** Vergona di J.M. Coetzee ** Nessun luogo. Da nessuna parte di Christa Wolf ** La guerra del Peloponneso di Donald Kagan ** La trilogia di Hadamsberg di Fred Vargas ** Trilogia degli Aubrey di Rebecca West **Bangkok di Lawrence Osbome ** Divina di Gianni Clerici ** Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa ** La casa delle belle addormentate di Yasunari Kawabata ** Padre Pio. Miracoli e politica... di Sergio Luzzatto

I PRIMI25 TITOLI

Tutti i racconti westerndi Elmore Leonard

Il Partenonedi Mary Beard

La ragazza che fa a pugnicon l’ombradi Inka Parei

UNA CERTAIDEADI MONDO

Page 32: Una certa idea di mondo

R CULT ■ 60DOMENICA 17 GIUGNO 2012

llaa RReeppuubbbblliiccaa

ipico libro-da-ombrellone ma per lettori forti (am-messo che un lettore forte finisca mai sotto un om-brellone). Voglio dire che se sei uno che si divora die-ci libri al mese hai sicuramente abbastanza buongusto da non finire in spiaggia con Tucidide o conl’ultimo Premio Strega, e dunque ti resta il problemadi cosa portarti, in spiaggia, tenendo conto chedev’essere una lettura che sopravvive alle urla deibagnanti, all’unto delle creme e alle discussioni ag-ghiaccianti dei vicini. Bill Bryson è un’ottima solu-zione possibile. Lui scrive libri che non sono ro-manzi, ma sono racconti molto eleganti di come vail mondo, e soprattutto di come andava in passato.Si imparano un sacco di cose, si sorride spesso, e sealla fine il libro casca nel secchiello del figlio non èpoi quella gran disgrazia.

Nel caso di questo libro, Bryson si è esibito inun’operazione che non starei a definire geniale, mache certo ha qualcosa di acuto e di affascinante. Gliè accaduto, a un certo punto, di andare ad abitare in

un piccolo villaggio del Norfolk, e in particolare inuna casa che era una ex-canonica vittoriana. La co-sa lo ha inclinato prima a immaginarsi la vita dellosconosciuto pastore anglicano che lì aveva vissuto epoi a scoprire quanto poco sapeva della vita quoti-diana di gente che viveva nell’Ottocento, in una ca-sa come quella, in un paese come quello. Iniziò a far-si domande del tipo Ma perché il cesso è fatto così?,Perché tra tutte le spezie del mondo abbiamo sceltoproprio sale e pepe?, Prima del frigorifero, come fa-cevano? Quando uno si ficca in quei tunnel, poi nonne esce più. Lui ne è uscito con questo libro che, mol-to diligentemente, entra in ognuna della stanze del-l’ex-canonica (comprese la dispensa, o la cameradei bambini) e ricostruisce la vita che, nell’epoca vit-

toriana, si consumava là dentro. Volendo dare unalegittimazione filosofica a quello che è soprattut-to un dilettevole viaggio nelle pieghe del mondo,si può credere alla teoria che Bryson enuncia nel-la prefazione: «in realtà la Storia è proprio questo:masse di persone che fanno cose ordinarie».Quindi cerca di capire i gesti semplici, primari,della gente qualunque, e capirai il mondo. Non sose è vero, ma sotto un ombrellone può anche sem-brarlo.

Quello che sicuramente è vero è che nel suoviaggio Bryson porta il lettore a incrociare minu-scole storie di argentina bellezza. Per dire: l’illu-minazione. Qualcuno ha idea di che luce ci fosse,dopo il tramonto, nelle case inglesi dell’Ottocen-to? Bryson lo sa: vivevano, i poveretti, in case do-tate della stessa quantità di luce che il nostro fri-gorifero produce quando lo apriamo. La cosa, an-nota Bryson, spiega tra l’altro perché il romanzo, ein generale il fenomeno della lettura, esploda a un

certo punto dell’Otto-cento, e non prima: do-vettero aspettare le lam-pade a petrolio. Prima erauna faccenda da sgranar-si gli occhi. Ti passava lavoglia. (Brancolavanonel buio, e questo spiegaanche il fatto che i mobi-li, tavoli e sedie compresi,

fossero sempre accostati alle pareti, per evitare diprenderli in pieno, nel buio, in case che non ave-vano corridoi: curioso come dalla ridicola poten-za di una candela, cioè un watt, derivino un saccodi cose assurde). Tanto per annotare un’altra cosa

singolare sui libri: ci sono stati tempi, neanche tantolontani, in cui se avevi in casa un quarantina di libri latua era considerata una biblioteca assolutamenteconsiderevole. John Harvard, pastore protestantevissuto nel Seicento, ne aveva addirittura quattro-cento, e la sua biblioteca era considerata talmentecolossale che quando, alla sua morte, la regalò al col-lege in cui insegnava, quelli gli intitolarono l’Univer-sità.

Quanto al frigorifero, si scopre che per millenni gliumani hanno mangiato a chilometro zero per la sem-plice ragione che non erano in grado di conservare equindi di trasportare che pochissimi cibi (dobbiamoalla nostra meravigliosa follia l’idea di tornare, oggi,a una situazione penosa che ci abbiamo messo mil-lenni a risolvere). A disincagliare gli umani da quellaregola slow food, ci pensò un tal Frederic Tudor, bo-stoniano, che a metà dell’Ottocento iniziò a importa-re dall’America blocchi enormi di ghiaccio fatto conacqua di laghi del nord (la cosa vi sembrerà idiota, mase non avete un frigo come pensate di farlo, il ghiac-cio?). Un altro passo avanti decisivo fu l’inscatola-mento dei cibi, brevettato nel 1810 da un certo BrynDonkin. Il sistema era geniale, solo che le scatole era-no in ferro, ed erano praticamente impossibili daaprire. I soldati, per aprirle, le prendevano a fucilate.La cosa mi dà modo di ricordare una circostanza sto-rica che già conoscevo e che da sempre mi sembrametafora esatta della condizione umana: le scatole leabbiamo inventate nel 1810, ma il primo apriscatoledecente è del 1925. Pensate a quei centoquindici an-ni che stanno in mezzo e capirete un sacco di cose.(Ma non sempre è andata così: il tosaerba, per esem-pio, fu inventato nel 1830 quando a nessuno era an-cora venuto in mente quanto potesse risultare seda-tivo un prato tagliato bene, e non semplicemente pa-reggiato dal bestiame, e quindi pieno di cacca). Capi-te che sotto l’ombrellone storie del genere possonofarti dimenticare anche il vicino che commenta a vo-ce alta il fondo di Libero.

Ah, i materassi a molle furono inventati nel 1865.Dato che non funzionavano benissimo, poteva an-che capitarti di rimanere infilzato nel sonno da unamolla che faceva sproing.

(Lo apro e vedo una classificaottocentesca della comoditàdei materassi, a secondadel materiale impiegatoper riempirli. All’ottavoposto c’era: alghe. Comprato)

ILLUSTRAZIONE DI: MANUELE FIOR

© RIPRODUZIONE RISERVATA

SULLO SCAFFALE

I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni

ALESSANDRO BARICCO

IL LIBRO“Breve storia della vitaprivata” di Bill Bryson(Guanda, traduzionedi Stefano Bortolussi)La foto di Baricco è© LesAmp&rsands

“Bryson porta il lettore nelle casee nella vita quotidiana del passato”

T

Open di Andre Agassi ** Le radici del Romanticismo di Isaiah Berlin ** Olive Kitteridge di Elisabeth Strout ** American Dust di Richard Brautigan ** Esercizi spirituali e filosofia antica di Pierre Hadot * * Il medico di cor-te di Per Olov Enquist ** Fantozzi totale di Paolo Villaggio ** Democrazia: cosa può fare uno scrittore? di Antonio Pascale e Luca Rastello ** La donna nel XVIII secolo di Edmond Jules de Goncourt ** Godown Mosesdi William Falkner ** Anatomia di un istante di Javier Cercas ** Le api e i ragni di Marc Fumaroli ** Magellano di Stefan Zweig ** Storia delle idee del calcio di Mario Sconcerti ** La principessa sposa di William Goldman

** Vergona di J.M. Coetzee ** Nessun luogo. Da nessuna parte di Christa Wolf ** La guerra del Peloponneso di Donald Kagan ** La trilogia di Hadamsberg di Fred Vargas ** Trilogia degli Aubrey di Rebecca West **Bangkok di Lawrence Osbome ** Divina di Gianni Clerici ** Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa ** La casa delle belle addormentate di Yasunari Kawabata ** Padre Pio. Miracoli e politica... di Sergio Luzzatto

I PRIMI25 TITOLI

Tutti i racconti westerndi Elmore Leonard

Il Partenonedi Mary Beard

La ragazza che fa a pugnicon l’ombradi Inka Parei

L’opera struggente di un formidabile geniodi Dave Eggers

UNA CERTAIDEADI MONDO

Page 33: Una certa idea di mondo

R CULT ■ 58DOMENICA 24 GIUGNO 2012

llaa RReeppuubbbblliiccaa

er molti anni non ho nemmeno preso in esame l’e-ventualità di leggere Malaparte: era fascista. Lo di-co senza particolare fierezza, ma anche senza al-cun complesso di colpa. L’antifascismo è un mododi stare al mondo che val bene il prezzo di certi sva-rioni. Il privilegio di aver ereditato la capacità di ri-conoscere i fascismi e l’istinto a combatterli valelargamente qualche scaffale vuoto, e un po’ di bel-lezza o intelligenza persa per strada. Detto questo,ci si ammorbidisce col tempo, e quando Adelphi hadeciso di sdoganare Malaparte, io ero pronto. Inrealtà qualcosa era già successo, e cioè che per stu-diare la Prima Guerra Mondiale, qualche anno pri-ma, mi ero imbattuto nel suo Viva Caporetto, un’in-credibile racconto-riflessione sulla mitica disfatta:non c’era niente da fare, traboccava talento e indi-pendenza di pensiero, e se avevi i tuoi soliti luoghicomuni su quanto era successo laggiù, quel libro teli faceva a pezzi, portandoti via oltre qualsiasi ov-

vietà di comodo. C’era anche da annotare che unlibro del genere, antimilitarista e contropatriotti-co, Malaparte l’aveva pubblicato nel 1921 (subitobloccato dalla censura) e lì iniziavi a capire che li-quidarlo come “fascista” doveva essere un sistemacomodo ma impreciso, almeno quanto definireMessi una seconda punta. Insomma, era chiaroche la faccenda era più complicata: e tutta la bio-grafia di Malaparte sta lì a ricordarlo. Senza avertroppa voglia di capire, ho finito per trovarmi a leg-gere La pelle come se fosse un libro e basta, che for-se è la situazione più augurabile. Ci ho lottato pa-recchio, perché è difficile trovare libro più sgrade-vole, sotto ogni punto di vista, ma adesso eccomiqui ad annotare che in dieci anni ho letto pochi li-

bri più belli (e a scrivere “belli” ho fatto una certafatica, perché, di nuovo, non è la parola giusta).

Com’è noto, in quelle pagine Malaparte rac-conta la Napoli liberata dagli americani. 1943. Uninferno. Cioè: un’infernale palcoscenico di esibi-zionismo, miseria, degrado morale, paradossi,sceneggiate, polsini candidi, mostrine e gambespalancate. Malaparte parlava di cose che cono-sceva: nel 1944, in una delle sue tante giravoltebiografiche, faceva l’ufficiale di collegamento tral’esercito italiano e le Forze d’occupazione. Inpratica era l’uomo che aiutava gli americani a ca-pirci qualcosa. La pelle è in teoria il resoconto diquei giorni, del suo andare in giro per l’inferno fa-cendo da guida allo stupore infantile degliyankee. In pratica le cose stanno un po’ diversa-mente perché La pelle è innanzitutto un roman-zo, e quindi non registra il reale, ma lo traducenello sguardo di un uomo particolare, che po-

trebbe ancheessere pazzo, osolo moltofantasioso, osemplicemen-te cieco. Napo-li era davverol’inferno cheMalaparte rac-conta? Non lo

so. Sono vere quelle scene grottesche che colle-ziona una dopo l’altra? Probabilmente non c’è ri-sposta perché la domanda è mal posta. Libri co-me questo dissolvono la nozione di “Vero” con lastessa poetica efficacia con cui le Deposizioni,

nell’arte sacra, scioglievano quanto c’era di Dio inquel corpo calato dalla croce. Sono attimi, ma inquegli attimi, se ti chiedi cosa è Vero, o dov’è finitoDio, stai facendoti la domanda sbagliata.

Sono visioni barocche, mi verrebbe da dire. Rea-lismo magico mediterraneo. Una storia per tutte:dato che in mare era proibito pescare, per onorare ibanchetti degli ufficiali americani pensarono benedi pescare nell’acquario di Napoli. Quindi si man-giavano solo pesci molto esotici e inusuali. Liquida-ti i più appetibili si dovette ripiegare su quelli menopresentabili, e quel che succede a un certo punto èche alla tavola del Generale Cork servono una mo-numentale Sirena (il pesce che per le sue sembian-ze umane ha generato la leggenda delle Sirene) e perun lungo istante che non finisce mai tutti vedonouna bambina dove invece era un pesce, una bambi-na bollita, per dirla tutta, su un letto di lattuga, sfi-gurata dal bollore (l’ho detto, non è un libro grade-vole). Stavano a mollo in un inferno, infatti, dove sisarebbe anche potuto pensare che ti stavano ser-vendo a tavola una bambina bollita. Finisce che nonla mangiano, pur convinti alla fine che si trattava diun pesce. Il tocco finale, magistrale, è il cappellanoche pretende però di seppellirla in giardino, non sisa mai. Cos’è tutto questo? Cronaca o invenzione?Mi verrebbe da rispondere come fanno i colombia-ni quando gli chiedi se le storie di García Márquezsono vere: non capiscono la domanda.

Va aggiunto che il suo realismo magico Malapar-te lo declina con una lingua anche lei difficilissimada inquadrare. Il tono di fondo è un cinismo un po’dandy. Poi sopra ci sono un paio di passate di limpi-da tinta espressionista: solo che il pennello che tirail colore doveva essersi prima sporcato in una lattadi romanzetti rosa. Il tutto è rifinito con svolazzi re-torici, passaggi tirati via, e splendidi squarci di scrit-tura durissima, ma trasparente: diamante. Capiteche il risultato finale è una scrittura senza nome. Ilche, naturalmente, vi deve intrigare: perché dove c’èuna voce irripetibile, e senza spiegazioni, lì di solitoc’è quella sospensione del mondo che, per praticità,chiamiamo letteratura.

(Io degli editoriancora mi fido.Se Adelphi decideche bisogna leggereMalaparte, provoa ubbidire)

ILLUSTRAZIONE DI: MANUELE FIOR

© RIPRODUZIONE RISERVATA

SULLO SCAFFALE

I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni

ALESSANDRO BARICCO

IL LIBRO“La pelle” di CurzioMalaparte (Adelphi,a cura di Caterina Guagnie Giorgio Pinotti)La foto di Baricco è© LesAmp&rsands

“Il racconto di Malaparte dissolve l’idea di veroÈ una visione barocca, mi verrebbe da dire”

P

Open di Andre Agassi ** Le radici del Romanticismo di Isaiah Berlin ** Olive Kitteridge di Elisabeth Strout ** American Dust di Richard Brautigan ** Esercizi spirituali e filosofia antica di Pierre Hadot * * Il medico di cor-te di Per Olov Enquist ** Fantozzi totale di Paolo Villaggio ** Democrazia: cosa può fare uno scrittore? di Antonio Pascale e Luca Rastello ** La donna nel XVIII secolo di Edmond Jules de Goncourt ** Godown Mosesdi William Falkner ** Anatomia di un istante di Javier Cercas ** Le api e i ragni di Marc Fumaroli ** Magellano di Stefan Zweig ** Storia delle idee del calcio di Mario Sconcerti ** La principessa sposa di William Goldman

** Vergona di J.M. Coetzee ** Nessun luogo. Da nessuna parte di Christa Wolf ** La guerra del Peloponneso di Donald Kagan ** La trilogia di Hadamsberg di Fred Vargas ** Trilogia degli Aubrey di Rebecca West **Bangkok di Lawrence Osbome ** Divina di Gianni Clerici ** Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa ** La casa delle belle addormentate di Yasunari Kawabata ** Padre Pio. Miracoli e politica... di Sergio Luzzatto

I PRIMI25 TITOLI

Tutti i racconti westerndi Elmore Leonard

Breve storia della vita privatadi Bill Bryson

Il Partenonedi Mary Beard

La ragazza che fa a pugnicon l’ombradi Inka Parei

L’opera struggente di un formidabile geniodi Dave Eggers

UNA CERTAIDEADI MONDO

Page 34: Una certa idea di mondo

R CULT ■ 54DOMENICA 1 LUGLIO 2012

llaa RReeppuubbbblliiccaa

un libretto, e già questo è affascinante. Se viaspettate un tomazzo erudito e noioso non sape-te di cosa stiamo parlando. È un libretto, e Carte-sio lo scrisse in francese. Come ha insegnato Fu-maroli, la cosa è assai più significativa di quantopossa sembrare. Ai tempi (1637) l’erudizione erascritta in latino, era alluvionale e oscura, ed erainfarcita di citazioni di classici (il sapere coinci-deva con il sapere i classici). Cartesio, che venivada quel mondo lì, buttò tutto all’aria e fece un ge-sto tipicamente barbaro: cinquanta paginettescritte in una lingua che ai tempi si credeva ina-deguata a qualsiasi eloquenza. Perché lo fece?Perché voleva davvero voltare pagina, fondare unnuovo metodo per capire le cose: sapeva che glieruditi non avrebbero apprezzato e non scrisseper loro: scrisse per le nuove, superficiali élitesdei salotti parigini, che il latino non lo conosce-vano e i libri li leggevano solo se si potevano te-

nere in una mano mentre con l’altra ti sventolavi(o facevi altro, come annotò una volta Rousseau,parlando di romanzetti erotici). Scrisse per i bar-bari dell’epoca. Si fidò di loro, e quelli, in effetti,covavano una rivoluzione culturale vera e pro-pria.

Per loro scrisse un libro di filosofia, ma la realtàdei fatti è che per almeno metà delle pagine glivenne fuori un libro di avventure. Per quantopossa sembrarvi strano, il Discorso sul metodo hauna struttura narrativa precisa, da manuale. Ilviaggio dell’eroe. Un ragazzo intellettualmentesuperdotato fa il giro del mondo per impararetutto, e quando torna a casa scopre che non saniente. Allora si chiude nella sua cameretta e

sconfigge i suoi demoni. Da manuale, ve l’hodetto. Se pensate che sia una mia elucubrazio-ne, allora sentite lui: «Proponendo io questoscritto solo come una storia, o se preferite comeuna favola (…) spero che sarà utile a qualcunoe a nessuno nocivo (…)». Non è interessante? Illibro che fondò l’idea moderna di sapere, agliocchi di chi lo scrisse era fiction. Liquidati ipreamboli, inizia praticamente con questaespressione: «Fin dall’infanzia sono stato alle-vato nello studio delle lettere…». Quasi Proust.

Ah. Una volta ho chiesto alla mia professo-ressa di italiano dove cavolo Proust aveva pre-so quel modo di scrivere. Cioè, quella sontuosacapacità di srotolare sintassi per venti righesenza la minima fatica. I saggisti francesi del Seie Settecento, mi ha risposto. Non ne avevo let-to neanche uno, quindi non capii bene, ma co-me risposta mi piacque: in effetti saltava in un

colpo la lette-ratura tutta, emi spiegavacome mai miriuscisse im-possibile de-durre da unBalzac o da unF l a u b e r t i lmestiere con

cui lavorava Proust. Quadrava. Ma ho capitocosa esattamente la professoressa volesse diresolo quando ho letto Cartesio, il francese di Car-tesio: dato che questa edizione Laterza è bilin-gue, lo potete fare anche voi. Un francese di

un’eleganza e di un virtuosismo che incantano(non sto dicendo che la traduzione non è bella, loè, dico solo che il suono del francese è violoncello,e quindi diverso da quello dell’italiano, che è vio-lino. Quanto a Proust, suonava la viola da gamba).Così non è nemmeno poi così importante che ca-piate la riflessione filosofica. Un libro come que-sto si può leggere anche solo per il piacere dellabellezza pura e semplice.

E per alcune, tante, perle. A un certo punto se laprende con gli eruditi e il loro modo di mettere giùle cose, oscuro e arcigno. Non gli andava che queisapienti si prendessero gioco dei lettori, molto mi-gliori di loro. Lo disse in tre righe: «Mi sembranocome un cieco che per battersi senza svantaggiocon un vedente l’avesse fatto venire nel fondo diun sotterraneo molto oscuro». Stesi. Come si sa,lui era per un pensiero capace di idee chiare e di-stinte. La limpidezza, e una qualche forma di ge-niale semplificazione, erano quel che lui intende-va per intelligenza: con sublime coerenza scrivevafrasi come queste: «Ho sempre avuto un immensodesiderio di imparare a distinguere il vero dal fal-so per vedere chiaro nelle mie azioni e procederesicuro nel cammino della vita». Limpido, appas-sionato, esatto. Una lezione. A un certo punto sfio-ra il tema della gloria e del successo, che per unoche pensava di aver risolto tutti i problemi apertidel sapere era un tema in qualche modo inevitabi-le. Al proposito, Cartesio aveva idee molto pru-denti ma determinate, che riuscì a stilizzare in unafrase che mi è cara in ogni sua singola piega, e chemi è immensamente gradito copiare qui. «Benchéio non nutra eccessivo amore per la gloria, o addi-rittura, se posso dirlo, la odii in quanto la giudicocontraria alla tranquillità che apprezzo sopra ognicosa, tuttavia non ho mai tentato di nascondere lemie azioni come se fossero delitti, né ho fatto usodi grandi precauzioni per restare sconosciuto:avrei creduto di far torto a me stesso, e, d’altronde,me ne sarebbe venuta una sorta di inquietudineche, torno a dire, sarebbe stata in contrasto con laperfetta tranquillità che io cerco».

(Un classico della filosofiaall’anno, su questonon si discute. Anchesolo per sentirnela musica, o respirarnela splendida arroganza)

ILLUSTRAZIONE DI: MANUELE FIOR

© RIPRODUZIONE RISERVATA

SULLO SCAFFALE

I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni

ALESSANDRO BARICCO

IL LIBRO“Discorso sul metodo”di René Descartes(Laterza, traduzionedi Maria Garin)La foto di Baricco è© LesAmp&rsands

“Il Discorso sul metodo fu scritto in franceseCartesio lo fece per i barbari dell’epoca”

È

Open di Andre Agassi ** Le radici del Romanticismo di Isaiah Berlin ** Olive Kitteridge di Elisabeth Strout ** American Dust di Richard Brautigan ** Esercizi spirituali e filosofia antica di Pierre Hadot * * Il medico di cor-te di Per Olov Enquist ** Fantozzi totale di Paolo Villaggio ** Democrazia: cosa può fare uno scrittore? di Antonio Pascale e Luca Rastello ** La donna nel XVIII secolo di Edmond Jules de Goncourt ** Godown Mosesdi William Falkner ** Anatomia di un istante di Javier Cercas ** Le api e i ragni di Marc Fumaroli ** Magellano di Stefan Zweig ** Storia delle idee del calcio di Mario Sconcerti ** La principessa sposa di William Goldman

** Vergona di J.M. Coetzee ** Nessun luogo. Da nessuna parte di Christa Wolf ** La guerra del Peloponneso di Donald Kagan ** La trilogia di Hadamsberg di Fred Vargas ** Trilogia degli Aubrey di Rebecca West **Bangkok di Lawrence Osbome ** Divina di Gianni Clerici ** Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa ** La casa delle belle addormentate di Yasunari Kawabata ** Padre Pio. Miracoli e politica... di Sergio Luzzatto

I PRIMI25 TITOLI

Tutti i racconti westerndi Elmore Leonard

Breve storia della vita privatadi Bill Bryson

La pelledi Curzio Malaparte

Il Partenonedi Mary Beard

La ragazza che fa a pugnicon l’ombradi Inka Parei

L’opera struggente di un formidabile geniodi Dave Eggers

UNA CERTAIDEADI MONDO

Page 35: Una certa idea di mondo

R CULT ■ 52DOMENICA 8 LUGLIO 2012

llaa RReeppuubbbblliiccaa

on ha nessun senso, ma a volte mi viene da immagi-nare che in principio esistevano due grandi liste: dauna parte le storie, dall’altra gli scrittori. Poi qualcu-no ha accoppiato gli uni con le altre. E lì, ogni tanto,si è verificato qualche spiacevole errore. Per esem-pio: è evidente che Michael Kohlhaas doveva scri-verlo Dostoevskij e non Kleist, così come va da sé checi dev’essere stato un errore se poi Calvino ha scrit-to Il cavaliere inesistente (ovviamente destinato aKafka) e non ha scritto l’Aleph (poi finito a Borges).Ogni tanto mi attardo a pensare alle infinite conse-guenze prodotte dall’equivoco che ha consegnatoLo straniero a Camus invece che al suo legittimo de-stinatario, Simenon. Né qualcuno riuscirà a impe-dirmi di rimpiangere la bellezza che avremmo co-nosciuto se Céline avesse scritto Germinal e ProustLolita.

La cosa vale anche per i saggi. Anni fa è uscito unbellissimo libro dedicato alla longitudine, alla lunga

storia di come gli umani riuscirono a determinare laposizione delle navi, in mare aperto, usando il para-metro della longitudine. La vicenda è talmente bel-la e simbolica che il libro che la raccontava, pur benscritto da Dava Sobel, ti faceva venire a ogni paginail rimpianto che a scriverlo non fosse stato uno scrit-tore, anche solo uno Zweig. La stessa cosa mi è ac-caduto di pensarla leggendo questo libro su Gould,bel libro, scritto con pulizia: ma è un po’ come affi-dare una storia di Maigret a un giornalista di nera. Vatutto bene, ma c’è un certo riverbero di cui rimaniorfano a ogni pagina.

Perché la storia è bellissima. Forse il titolo origi-nale era più puntuale: A Romance on Three Legs. Difatto è la storia dell’incontro di tre personaggi: un

pianista di genio, un pianoforte anomalo, e un ac-cordatore formidabile. In un certo senso è una sto-ria d’amore.

Gould sapete chi era: ci sono tutti i pianisti delmondo e poi c’è lui. Era talmente coerente, fin neidettagli, a ciò che intendiamo per genioche nei di-zionari, alla voce genio, bisognerebbe mettere:persona simile a Glenn Gould. Aveva un suo modomolto personale di intendere la musica, e una col-lezione di manìe che aveva dello spettacolare. Ov-vio che la scelta del pianoforte, per lui, fosse unaquestione complicatissima, ai limiti del mistico. Alungo cercò lo strumento ideale e quando lo trovòci passò insieme una buona parte della vita. Erauno Steinway, si chiamava CD 318, pesava 550 chi-li ed era nato il 31 marzo 1941.

Nascere nel 1941, se sei un pianoforte, significaessere nato per miracolo. Erano tempi di guerra, eperfino la mitica Steinway & Sons era stata corte-

semente invi-tata a fare qual-cosa di più uti-le che stru-menti per suo-nare Chopin.Le bombe nonle sapevano fa-re, così gli fece-ro costruire

alianti militari. Andavano talmente male che do-po un po’ si decise di convertire la produzione inqualcosa di più semplice: bare. È in questa allegracornice che, in qualche modo, fabbricarono il CD318. Il quale poi ebbe un’anonima carriera nella

Concert Hall di un rivenditore di Toronto, e finì in unsottoscala quando da qualcuno fu giudicato ormaipensionabile. Fu lì che lo trovò Glenn Gould. Si se-dette al piano, trovò sotto le dita qualcosa che cerca-va da anni, e da lì si alzò solamente molti anni dopo.

La storia d’amore sarebbe finita lì, ma la musica èpiù complessa delle vita sentimentale (ancora piùcomplessa) e quindi manca ancora un terzo elemen-to, decisivo: l’accordatore. Guardate che non è solouna questione di note stonate: l’accordatore scolpi-sce il suono di un pianoforte, praticamente ne dise-gna l’anima. Ora, prendete il pianista più geniale delpianeta e sedetelo davanti a un pianoforte unico equasi insuonabile: lo capite che quello che manca èun accordatore speciale.

Si chiamava Charles Verne Edquist, aveva un annopiù di Gould, era praticamente cieco e veniva daun’infanzia di miseria e fatica. Ad accordare pia-noforti ci era arrivato perché i ciechi erano conside-rati, a ragione, particolarmente adatti a quel mestie-re. Partì dal basso, studiò molto, entrò nella pancia dimigliaia di pianoforti, e si fece il Canada avanti e in-dietro per accordare a tre dollari l’uno i pianoforti del-le famigliole per bene. Poi qualcuno si accorse che luinon era solo bravo: era il migliore. All’inizio degli an-ni ’60 accadde ciò che doveva accadere: Edquist,Gould e il CD 318 si incontrarono per la prima volta.Naturalmente non andò subito tutto bene, perchéerano tre tipi complicati. Ma avevano una storia, da-vanti a loro, e lo sapevano.

Il resto, è leggenda. Per capirla basta un aneddoto.Edquist vedeva pochissimo, quasi niente, ma era ingrado vagamene di riconoscere i colori. Aveva anchel’orecchio assoluto, per cui sapeva riconoscere le no-te. Nella sua testa, le due cose si erano mischiate. Percui se gli suonavi una nota lui era in grado di dirti cheera un Fa e se gli chiedevi come faceva a saperlo lui ri-spondeva: be’, è blu. Il Do era un verde giallastro, il Labianco, il Re color sabbia. Un giorno, alcuni anni do-po che si erano conosciuti, ebbe un momento di co-raggio e spiegò a Gould quel suo strano modo di ve-dere le note. Dovette dirgli che il Sol era arancione, ouna cosa del genere. Sì, lo so, rispose Gould.

(Li ho tutti, i librisu Glenn Gould.Figurati se perdevo questo)

ILLUSTRAZIONE DI: MANUELE FIOR

© RIPRODUZIONE RISERVATA

SULLO SCAFFALE

I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni

ALESSANDRO BARICCO

IL LIBRO“Glenn Gould e la ricercadel pianoforte perfetto”di Katie Hafner (Einaudi,traduzione di AlbertoFiabane, Fulvia Tassini,Pietro Schenone)La foto di Baricco è© LesAmp&rsands

“È l’incontro tra Gould, un pianoforte anomaloe un accordatore. È quasi una storia d’amore”

N

Open di Andre Agassi ** Le radici del Romanticismo di Isaiah Berlin ** Olive Kitteridge di Elisabeth Strout ** American Dust di Richard Brautigan ** Esercizi spirituali e filosofia antica di Pierre Hadot * * Il medico di cor-te di Per Olov Enquist ** Fantozzi totale di Paolo Villaggio ** Democrazia: cosa può fare uno scrittore? di Antonio Pascale e Luca Rastello ** La donna nel XVIII secolo di Edmond Jules de Goncourt ** Godown Mosesdi William Falkner ** Anatomia di un istante di Javier Cercas ** Le api e i ragni di Marc Fumaroli ** Magellano di Stefan Zweig ** Storia delle idee del calcio di Mario Sconcerti ** La principessa sposa di William Goldman

** Vergona di J.M. Coetzee ** Nessun luogo. Da nessuna parte di Christa Wolf ** La guerra del Peloponneso di Donald Kagan ** La trilogia di Hadamsberg di Fred Vargas ** Trilogia degli Aubrey di Rebecca West **Bangkok di Lawrence Osbome ** Divina di Gianni Clerici ** Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa ** La casa delle belle addormentate di Yasunari Kawabata ** Padre Pio. Miracoli e politica... di Sergio Luzzatto

I PRIMI25 TITOLI

Tutti i racconti westerndi Elmore Leonard

Breve storia della vita privatadi Bill Bryson

La pelledi Curzio Malaparte

Discorso sul metododi René Descartes

Il Partenonedi Mary Beard

La ragazza che fa a pugnicon l’ombradi Inka Parei

L’opera struggente di un formidabile geniodi Dave Eggers

UNA CERTAIDEADI MONDO

Page 36: Una certa idea di mondo

R CULT ■ 52DOMENICA 15 LUGLIO 2012

llaa RReeppuubbbblliiccaa

gni tanto, se fai il mio mestiere, accade che ti chie-dano qual è il libro che avresti voluto scrivere. Perun po’ di anni ho risposto I Tre Moschettieri, e nonera una risposta snob, era una cosa sincera. Daqualche anno, invece, mi sono convinto che ilmassimo, per uno scrittore, è questo: aver scrittoColazione da Tiffanye anche A sangue freddo. Fac-cio fatica a immaginare una più cristallina e in-contestabile esibizione di bravura. Già scrivereuno dei due sarebbe un risultatone: ma come siariuscito Truman Capote a concepirli e costruirlitutti e due, questo davvero mi sfugge. A rigor di lo-gica l’autore di A sangue freddo dovrebbe vomita-re leggendo Colazione da Tiffany, e viceversa. Maevidentemente per Capote erano solo stagioni di-verse del suo essere autore. È questo tipo di talen-to, esibizionista, inutile e potenzialmente infinito,che mi ha sempre affascinato: alla fine gli scrittoriper cui davvero vado matto sono quelli che hanno

finito per confutarsi da se stessi: per dire, MobyDick e Bartelby lo scrivano si sopprimono a vicen-da: non è fantastico?

Tornando a Capote (un uomo che se avessi avu-to il privilegio di incontrare avrei sicuramente tro-vato insopportabile), va detto che, dei due libri ci-tati, quello veramente geniale è A Sangue freddo,d’accordo. Per quello che ci capisco io, ci sono treo quattro libri, in tutta la storia moderna dei libri,che sono riusciti a ottenere letteratura limitando-si a raccontare fedelmente un fatto di cronaca: so-no così pochi che non si può nemmeno parlare digenere: sono miracoli e basta. Uno è sicuramenteA sangue freddo. Ho provato tante volte a capireperché gli riesca l’acrobazia in cui naufragano in

modo grottesco tanti altri libri con la stessa am-bizione, e non sono mai riuscito veramente a ca-pire. Ma credo che sia innanzitutto una sovru-mana abilità nel frenare: lo stile, l’immaginazio-ne, la partecipazione emotiva. In quel libro laparte geniale è tutto quello che non c’è. Ma co-munque. L’ho letto più di dieci anni fa e questomi esime dal parlarne qui: vi spiace se passo aHolly Golightly?

Purtroppo c’è il film. Il problema con Colazio-ne da Tiffany è che per un po’ continua a fare ca-polino l’insopportabile Audrey Hepburn delfilm di Blake Edwards. Sulla questione, ecco co-me stanno le cose: le donne vano matte per Au-drey Hepburn mentre per tutto il pubblico ma-schile (Truman Capote compreso) Holly è evi-dentemente Marilyn Monroe. Come che sia,uno legge il libro e ha quelle due che sbucano datutte le parti, e all’inizio c’è un po’ di confusione.

Ma poi Capoteprende il con-trollo e alloravedi Holly, so-lo lei, e chiara-mente capisciche se ci sonodieci perso-naggi femmi-nili davvero

indimenticabili nella letteratura del Novecento,lei è una delle dieci. Quelle fantastiche tirate. Lohumour sempre, soprattutto nella tristezza. Ilfatto che se deve leggere la lettera di un fidanza-to, prima si mette il rossetto. Cose così. Verso la

fine, quando ormai il film te lo sei scordato, dice unafrase che se solo avessi letto a trent’anni forse miavrebbe fatto risparmiare un sacco di tempo: «Nonpuò continuare così per sempre, a non sapere checos’è tuo finché non lo butti via». Verso l’inizio, in-vece, quando ancora nella mia mente ha la voce e lecurve di Marilyn Monroe, stacca un breve dialogoche immagino farò scrivere a caratteri eleganti, pri-ma o poi, su un muro un po’ defilato della Holden,dove i più pazienti lo leggeranno, o quelli più di-sposti a sopportare la realtà delle cose. È un dialogotra Holly e il narratore, un aspirante scrittore cheabita sotto di lei. Si sono appena conosciuti, e sistanno giusto presentando.

Lei: Dimmi, sei un vero scrittore, tu?Lui: Dipende da quello che intendete per «vero». Lei: Be’, tesoro, c’è qualcuno che compera quel-

lo che scrivi?Naturalmente la faccenda non è tutta lì, è più

complessa, e tuttavia c’è anche un modo di rotola-re sulle cose – di rotolare divinamente sulle cose –che dalle cose gratta via una qualche verità. Ecco,tra l’altro, quel che fa tutto il libro, dalla prima al-l’ultima pagina: rotolare, ed è dubbio che molti ab-biano ottenuto una tale fluidità, leggerezza e soa-vità. Anche per questo, il libro è incomparabilmen-te più riuscito del film, coerentemente a un verdet-to che avrei deciso di assumere come definitivo,tanto per semplificarsi la vita, almeno in questo ge-nere di cose: se sai che un film viene da un libro, il li-bro è più bello. (Anche Full Metal Jacketviene da unlibro, ma non lo sai, e infatti è incomparabilmentepiù bello del libro). Non escludo che adottandoquesto sistema si finisca per prendere qualchegranchio gigantesco: ma il risparmio di tempo è evi-dente, e vale pure qualche errore.

Per la cronaca – e per confermare quanto appenadetto – il libro non finisce nel modo disdicevole incui finisce il film, e questo perché è un libro, cioè ilprodotto di una civiltà che sapeva, e ancora sa, qualè il passo del commiato, e l’arte di lasciare andareuna storia lontano, quando il suo tempo è colmato.

(Era una cosache rimandavo da anni:capire come TrumanCapote potesse averscritto un romanzettodel genere)

ILLUSTRAZIONE DI: MANUELE FIOR

© RIPRODUZIONE RISERVATA

SULLO SCAFFALE

I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni

ALESSANDRO BARICCO

IL LIBRO“Colazione da Tiffany”di Truman Capote(Garzanti, traduzionedi Bruno Tasso)La foto di Baricco è© LesAmp&rsands

“Holly è indimenticabile: perché se deve leggerela lettera del fidanzato, prima si mette il rossetto”

O

Open di Andre Agassi ** Le radici del Romanticismo di Isaiah Berlin ** Olive Kitteridge di Elisabeth Strout ** American Dust di Richard Brautigan ** Esercizi spirituali e filosofia antica di Pierre Hadot * * Il medico di cor-te di Per Olov Enquist ** Fantozzi totale di Paolo Villaggio ** Democrazia: cosa può fare uno scrittore? di Antonio Pascale e Luca Rastello ** La donna nel XVIII secolo di Edmond Jules de Goncourt ** Godown Mosesdi William Falkner ** Anatomia di un istante di Javier Cercas ** Le api e i ragni di Marc Fumaroli ** Magellano di Stefan Zweig ** Storia delle idee del calcio di Mario Sconcerti ** La principessa sposa di William Goldman

** Vergona di J.M. Coetzee ** Nessun luogo. Da nessuna parte di Christa Wolf ** La guerra del Peloponneso di Donald Kagan ** La trilogia di Hadamsberg di Fred Vargas ** Trilogia degli Aubrey di Rebecca West **Bangkok di Lawrence Osbome ** Divina di Gianni Clerici ** Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa ** La casa delle belle addormentate di Yasunari Kawabata ** Padre Pio. Miracoli e politica... di Sergio Luzzatto

I PRIMI25 TITOLI

Tutti i racconti westerndi Elmore Leonard

Breve storia della vita privatadi Bill Bryson

La pelledi Curzio Malaparte

Discorso sul metododi René Descartes

Glenn Gould e la ricerca del pianoforte perfettodi Katie Hafner

Il Partenonedi Mary Beard

La ragazza che fa a pugnicon l’ombradi Inka Parei

L’opera struggente di un formidabile geniodi Dave Eggers

UNA CERTAIDEADI MONDO

Page 37: Una certa idea di mondo

R CULT ■ 52DOMENICA 22 LUGLIO 2012

llaa RReeppuubbbblliiccaa

bicicletta: semplicemente non ho passato abba-stanza tempo a pedalare per capire certe differenze,o aspettarmi molto di più che un funzionamento se-reno e felice: è solo questione di gesti che non si è fat-ti a lungo, o molte volte: si hanno gusti semplici, nonscemi, semplici. Quindi, amici come prima).

Riassumendo: contro ogni logica matematica, seami la Storia e adori i romanzi avrai i tuoi bei pro-blemi a trovare un romanzo storico che ti piaccia. Iol’ho trovato quando certi amici mi hanno rifilatoquesto Wolf Hall, insistendo sul fatto che non era af-fatto quello che pensavo e portandomi all’incredi-bile risultato di spararmi settecento pagine su unCromwell che poi, oltretutto, non era nemmenoquel Cromwell.

Questo, di nome, fa Thomas, Thomas Cromwell,e sui libri di storia non c’è, o quasi, perché fu sì unuomo dal potere immenso, ma declinato in modoinappariscente e sordo. Privo di funamboliche

acrobazie fu ilsuo destino.Holbein il Gio-vane ne fece unritratto che iotrovo splendi-do: Cromwell vicompare diafa-no, sfuggente eilleggibile: tut-

tavia è chiaro che se c’è qualcuno che non vorrestimai trovarti contro è quell’uomo. Abilissimo negliaffari, era venuto su dal niente scalando l’Inghilter-ra di Enrico VIII con due sole capacità, ma esercita-te a livelli straordinari: la fermezza e la capacità di ri-

solvere problemi. Aveva forse una sua deontologiaprofessionale, uno spiccato senso dell’onore, e un’i-stintiva grandezza d’animo: tuttavia il gioco del potereera piuttosto duro, ai tempi, e di tali virtù fece uso mol-to misurato e sapiente. Veniva dal nulla, ebbe quasi tut-to e morì all’età di 55 anni in un modo che, visto il ge-nere di lavoro che faceva, va considerato banale: unboia gli staccò la testa (pare fallendo il primo colpo equindi complicando un po’ la faccenda).

Poiché inappariscente, Thomas Cromwell non par-rebbe l’eroe ideale per un romanzo storico, e qui sta laprima mossa di talento della Mantel: l’averlo scelto –cosa che in un istante la mette a spiare la Storia da die-tro, dagli occhi di un personaggio di seconda fila. È unbel trucco perché i re, i papi, le Marie Stuarde sono inquesto modo personaggi che sfilano mai troppo vicini,sempre riflessi in uno specchio, spesso rimbalzati davoci altrui: leggermente sfocati, risultano improvvisa-mente più raccontabili. A questa accortezza la Mantelha fatto seguire almeno due altre mosse di cui le sonostato grato. La prima è che scrive bene e non ha ritenu-to opportuno dimenticarsene. Non scrive neanchetanto semplice, e questo, per il lettore che ha pedalatomolto, è di infinito sollievo perché lo porta a quel mi-nimo di fatica che lo fa sentire rispettato. Potrei dire cheaddirittura ha uno stile, e non sbaglierei di molto. È unascrittrice, ecco, non solo una narratrice. E infine, ha la-vorato su un patrimonio di erudizione sterminato, manon sta a ricordartelo in continuazione. Ha studiatomolto, ma non si sente. Questa è una cosa su cui, neglianni, sono diventato intollerante: non perdono a nes-suno scrittore di farmi intravedere le ore passate in bi-blioteca, o a informarsi sul terreno, o a intervistare lagente: mi piace che quelle fatiche scompaiano nel gor-go del testo, fuse in maniera invisibile con la storia,questo sì. Ma quelli che non hanno la pazienza, o la ca-pacità, di fare questa fusione, non li sopporto. Lascia-re sulla superficie di un libro le tracce di quanto hai stu-diato è una cosa penosa come poche altre: oserei direche siamo ai livelli delle spalline del reggiseno in pla-stica trasparente. (Non potrei giurare che la Mantelnon le abbia mai messe, ma so che in questo libro nonle mette mai. Thank you, madam).

(In effetti era quelloche mi dicevano: unodi quei libri che versole sette di sera inizia pensare che poia letto ti aspetta lui)

ILLUSTRAZIONE DI: MANUELE FIOR

© RIPRODUZIONE RISERVATA

SULLO SCAFFALE

I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni

ALESSANDRO BARICCO

IL LIBRO“Wolf Hall”di Hilary Mantel(Fazi editoretraduzionedi Giuseppina Onero)La foto di Baricco è©LesAmp&Sands

I

Open di Andre Agassi ** Le radici del Romanticismo di Isaiah Berlin ** Olive Kitteridge di Elisabeth Strout ** American Dust di Richard Brautigan ** Esercizi spirituali e filosofia antica di Pierre Hadot * * Il medico di cor-te di Per Olov Enquist ** Fantozzi totale di Paolo Villaggio ** Democrazia: cosa può fare uno scrittore? di Antonio Pascale e Luca Rastello ** La donna nel XVIII secolo di Edmond Jules de Goncourt ** Godown Mosesdi William Falkner ** Anatomia di un istante di Javier Cercas ** Le api e i ragni di Marc Fumaroli ** Magellano di Stefan Zweig ** Storia delle idee del calcio di Mario Sconcerti ** La principessa sposa di William Goldman

** Vergona di J.M. Coetzee ** Nessun luogo. Da nessuna parte di Christa Wolf ** La guerra del Peloponneso di Donald Kagan ** La trilogia di Hadamsberg di Fred Vargas ** Trilogia degli Aubrey di Rebecca West **Bangkok di Lawrence Osbome ** Divina di Gianni Clerici ** Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa ** La casa delle belle addormentate di Yasunari Kawabata ** Padre Pio. Miracoli e politica... di Sergio Luzzatto

I PRIMI25 TITOLI

Tutti i racconti westerndi Elmore Leonard

Wolf Halldi Hilary Mantel

Breve storia della vita privatadi Bill Bryson

La pelledi Curzio Malaparte

Discorso sul metododi René Descartes

Glenn Gould e la ricerca del pianoforte perfettodi Katie Hafner

Il Partenonedi Mary Beard

La ragazza che fa a pugnicon l’ombradi Inka Parei

L’opera struggente di un formidabile geniodi Dave Eggers

UNA CERTAIDEADI MONDO

Lromanzo storico di qualità è un raro animale anfibioche nella catena genetica del raccontare sta in un in-terstizio nascosto tra il fumettone indegno e il capo-lavoro letterario alla Memorie d’Adriano. Dato che ilrischio del capolavoro letterario è privilegio di pochi,la tendenza più abituale è scivolare indietro nel fu-mettone, parola che mi farebbe comodo non starenemmeno a spiegare e che invece eccomi qui a spie-gare: è quando scrivono in quella lingua così priva diambizioni, o incapace di sottigliezze, da rendere im-possibile al lettore di gusto superare la ventesima pa-gina senza la mesta impressione di essere lì a mangia-re fois gras direttamente dalla scatoletta. Spesso sitratta di raccontatori eccellenti, ma va anche capitoche se uno viene da buone letture, e magari da qual-che Shakespeare, la pretesa di vedersi la tavola alme-no un po’ imbandita non è un’arrogante snobberia, ègiusto la cosa più naturale del mondo. Va anche det-to che il romanzo storico impone, nella sua apparen-

te semplicità, tutta una serie di prodezze tecnico-sti-listiche che lo rendono di una perfida difficoltà: se maidovesse accadervi di scriverne uno sappiate che vitroverete nella necessità di mettere in bocca delle bat-tute a Carlo Magno, o di fare andare a letto Abelardoed Eloisa, o di sedervi a tavola a una cena da Madamede Pompadour: tanti auguri. Io trovo incredibile co-me tanti narratori si infilino in simili scalate da sestogrado superiore con un equipaggiamento stilisticoche supera di rado l’infradito. Mi verrebbe da chie-dermi come mai non c’è qualcuno che li ferma in tem-po, ma poi mi ricordo quante copie vendono e allorala domanda mi sembra un tantino meno urgente.(Niente da dire, peraltro, contro quel tipo di pubblico:anche io sono così quando, ad esempio, compro una

“Ti nasconde tutta la sua immensa erudizioneperché Hilary Mantel è una vera scrittrice”

Page 38: Una certa idea di mondo

R CULT ■ 50DOMENICA 29 LUGLIO 2012

llaa RReeppuubbbblliiccaa

e mortale», l’istinto primario, quasi animale, è can-cellarla rimettendosi in movimento, in modo ne-vrotico, maniacale e spesso geniale. Il bello di Schi-velbusch (uno studioso che ama occuparsi di cosecome i primi treni o l’invenzione dell’illuminazio-ne artificiale) è che questi movimenti dell’anima lispia studiando i sintomi sparsi sulla superficie del-la vita materiale: in pratica uno si trova a ricostrui-re il sentire del mondo passando per la mania delballo, l’estasi delle prime autostrade, l’invenzionedello sport, l’utopia della catena di montaggio. Siimparano un sacco di cose, e il diletto è assicurato.

Sarei qui a fare degli esempi, per il divertimentocomune, se non fosse che, rileggendo il libro perscrivere queste righe, non mi fossi imbattuto in al-cune paginette che ai tempi avevo letto di scappa-ta, e invece ora, alla luce di quello che sta succe-dendo là fuori, mi hanno lasciato secco per la loroportata profetica (il libro è del 2001). Spegnete la

musica e senti-te qui. DiceSchivelbuschche è impor-tante ricordarecome la guerrasia sempre, einnanzitutto, ilconfronto tradue economie:

si combatte per stabilire chi è il più ricco, e il più ric-co la vince. In passato, variabili come il coraggio ola perizia militare lasciavano qualche margine diimprevedibilità, ma da metà dell’Ottocento, diceSchivelbusch, le cose si sono irrigidite: «senza ec-

cezioni, le guerre totali dell’età moderna sono statedecise da fattori economici piuttosto che militari. Laguerra è diventata un fenomeno nel quale le risorseumane e materiali sono inviate su campo di battagliaper essere distrutte, finché solo la parte economica-mente più solida, il vincitore, rimane in piedi». Fin quipotevo forse anche arrivarci da solo. Ma Schivelbuschnon si ferma qui: «In un ulteriore perfezionamentodello schema, la Guerra fredda ha eliminato comple-tamente l’intero processo di distruzione sul campo dibattaglia, schierando le economie delle nazioni in lot-ta direttamente l’una di fronte all’altra». Giusto. In ef-fetti mi ero sempre chiesto qual era il senso di queglienormi arsenali nucleari, quando una sola testataavrebbe chiuso la partita: adesso so la risposta. Stava-no contando i soldi. Schivelbusch non si ferma e ci ri-corda com’è finita la Guerra fredda: la caduta del Mu-ro di Berlino, cioè NON un evento militare: «la vittoriadel blocco occidentale nella Guerra fredda è stata laprima a essere conseguita esplicitamente attraversole armi dell’economia». Chiarissimo. Non resta che ti-rare l’ultima conseguenza: ed è quella che mi ha fattosaltare sulla sedia.

Dice Schivelbusch che a partire dagli anni ’90, coe-rentemente al processo prima descritto, l’economiasi è sostituita, nell’immaginario collettivo e nellaprassi della lotta politica, alla guerra. Traduco: quellalà fuori non assomiglia a una guerra, lo è. Per usare leparole di Schivelbusch, implacabili: «in Occidente laminaccia di estinzione collettiva non è più connessacon la guerra ma piuttosto con l’economia, con ladoppia minaccia della devastazione ambientale edella disoccupazione». Bingo!

Così adesso è giorni che mi chiedo chi ci ha dichia-rato guerra, senza dirlo, chi ha deciso di attaccarel’Europa, da sud e in questo modo invisibile e asetti-co, e in quale ginepraio ci stiamo trovando. Penso al-le prime pagine dei giornali nel 1914, e alle nostre dioggi. Penso alla gente che nel ’44 ragionava di bom-bardamenti e sommergibili, e adesso sa di spreade de-fault. Mantengo la calma, ma intanto penso.

Credo che andrò a cercare il numero di telefono diSchivelbusch. Ce l’avrà, no?

(Capita di perderecome è noto,per cui l’ideache qualcuno si fossededicato al problemaprometteva una qualcheconsolazione)

ILLUSTRAZIONE DI: MANUELE FIOR

© RIPRODUZIONE RISERVATA

SULLO SCAFFALE

I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni

ALESSANDRO BARICCO

IL LIBRO “La cultura dei vinti”di WolfgangSchivelbusch(Trad. di N. RainòIl Mulino)La foto di Baricco è ©LesAmp&Sands

G

Open di Andre Agassi ** Le radici del Romanticismo di Isaiah Berlin ** Olive Kitteridge di Elisabeth Strout ** American Dust di Richard Brautigan ** Esercizi spirituali e filosofia antica di Pierre Hadot * * Il medico di cortedi Per Olov Enquist ** Fantozzi totale di Paolo Villaggio ** Democrazia: cosa può fare uno scrittore? di Antonio Pascale e Luca Rastello ** La donna nel XVIII secolo di Edmond e Jules de Goncourt ** Go down, Moses diWilliam Faulkner ** Anatomia di un istante di Javier Cercas ** Le api e i ragni di Marc Fumaroli ** Magellano di Stefan Zweig ** Storia delle idee del calcio di Mario Sconcerti ** La principessa sposa di William Goldman **Vergona di J.M. Coetzee ** Nessun luogo. Da nessuna parte di Christa Wolf ** La guerra del Peloponneso di Donald Kagan ** La trilogia di Adamsberg di Fred Vargas ** Trilogia degli Aubrey di Rebecca West ** Bangkokdi Lawrence Osbome ** Divina di Gianni Clerici ** Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa ** La casa delle belle addormentate di Yasunari Kawabata ** Padre Pio. Miracoli e politica... di Sergio Luzzatto

I PRIMI25 TITOLI

Tutti i racconti westerndi Elmore Leonard

Wolf Halldi Hilary Mantel

Colazione da Tiffanydi Truman Capote

Breve storia della vita privatadi Bill Bryson

La pelledi Curzio Malaparte

Discorso sul metododi René Descartes

Glenn Gould e la ricerca del pianoforte perfettodi Katie Hafner

Il Partenonedi Mary Beard

La ragazza che fa a pugnicon l’ombradi Inka Parei

L’opera struggente di un formidabile geniodi Dave Eggers

UNA CERTAIDEADI MONDO

ià l’idea di partenza è affascinante: di norma la Sto-ria insegna che gli sconfitti escono dalle guerre conuna vitalità e un’energia creativa che i vincitori si so-gnano. Il primo esempio, come sempre, viene dallaguerra per eccellenza, cioè la guerra di Troia: mentregli Achei vincitori se ne tornavano a casa, incontro atragedie di tutti i tipi, dai sopravvissuti troiani ger-minò mezzo mondo: da Enea nacque Roma, daFrancio (uno dei figli di Priamo) la Francia, e da Bru-to (nipote di Enea) l’Inghilterra: miti, leggende, sidirà, ma quando la narrazione collettiva si trascinadietro certe costanti, è chiaro che lì sotto c’è un’inti-ma convinzione, o una qualche istintiva certezza.Schivelbusch l’ha presa su serio e si è messo a rico-struirla, esaminando gli exempla offerti dalla Storia.In particolare si è messo a studiare tre celebri scon-fitti: gli Stati del Sud dopo la Guerra di Secessioneamericana, la Francia dopo la guerra franco-prus-siana del 1870 e la Germania uscita perdente dalla

Prima Guerra Mondiale. Non ci ha messo molto,Schivelbusch, a capire che in effetti la sconfitta, inquei tre casi, aveva messo in moto un’urgenza di ri-nascita e una capacità di futuro davvero sorpren-denti: gente che avrebbe dovuto essere in ginocchioinvece ballava, e intanto immaginava il riscatto conla libertà e la forza che solo il ripartire da zero può da-re. Chi vuole può dedurne qualcosa di confortanteper le più misurate, ma sempre dolorose, sconfittequotidiane, ma intanto molto si può imparare deimeccanismi mentali che abbiamo quando siamopopoli in guerra, o comunità in emergenza. Uno deipiù affascinanti è il culto del movimento, del dina-mismo: poiché la sconfitta è in genere percepita,quasi irrazionalmente, come «un blocco improvviso

Schivelbusch ti affascina con l’intuizioneche le guerre servono più ai vinti che ai vincitori

Page 39: Una certa idea di mondo

R CULT ■ 50DOMENICA 5 AGOSTO 2012

llaa RReeppuubbbblliiccaa

acqua da tutte le parti: ma bisogna immaginare chenon c’è una riga di questo saggio che non sia perva-sa da un’ammirazione cieca, quasi sconsolata. Piùmena mazzate, più deve finire per riconoscere chequell’uomo era un genio. E bisogna vedere che maz-zate: il messaggio sociale di Tempi difficili? «Una co-lossale banalità». Le trame dei libri di Dickens?«L’ultima cosa che ci si ricorda di quei romanzi è lavicenda principale». I suoi personaggi? «Non hannouna vita mentale. Cominciano come le silhouettedella lanterna magica per poi ritrovarsi in una pelli-cola di terz’ordine». Riassumendo: un autore piut-tosto ignorante, un caricaturista, uno scrittore in-capace di sviluppare i personaggi, un uomo il cuiideale di vita non andava al di là di una vecchia casacoperta d’edera, una moglie dolce e femminile, unatribù di bambini e nessun lavoro. Critica sociale: po-ca roba, giusto un patetico auspicio di un capitali-smo buono. Sesso: «quasi al di fuori della sua porta-

ta». Non è stranoche, più meno ametà del saggio,Orwell si sia preso labriga di scrivere laseguente frase: «Aquesto punto,chiunque amiDickens, e sia arri-vato a leggere fin

qui, probabilmente ce l’avrà con me».E invece non ce l’hai con lui, perché non c’è una

pagina di questo saggio, per quanto rabbiosa, chenon sia una sofisticata glorificazione di Dickens edella sua arte singolare. È un modo piuttosto per-

verso di ammirare qualcuno, ne convengo, ma se ave-te la pazienza di leggere la citazione che sto per stac-carvi, capirete che è un modo possibile, e anzi lumino-so. Sono dieci righe di un’intelligenza che a me è sem-brata strepitosa. Nel testo sono precedute da una mi-cidiale paginetta in cui Orwell dimostra, fuori da ogniragionevole dubbio, come Dickens fosse tristementeincapace di far agire i suoi personaggi, di farli normal-mente vivere, cosa che spiega perché si limitasse a di-segnarli – splendide figurine – per poi direttamentebuttarli in qualche scena melodrammatica, l’unicomodo che conoscesse per fargli accadere qualcosa. Edecco le dieci righe (le parentesi sono mie): «Natural-mente sarebbe assurdo affermare che Dickens è unoscrittore superficiale o puramente melodrammatico(l’ha appena fatto!). Molto di ciò che scrisse è estrema-mente realistico e forse nessuno è mai riuscito a egua-gliare il potere evocativo delle sue immagini. QuandoDickens descrive una cosa una volta, la si vede per tut-ta la vita (commovente). Ma in un certo senso (ah, ecco,c’è un ma) la concretezza della sua visione è proprio unsegno di ciò che a lui manca (si può essere più perfidi?).Perché in fondo è questo che vede sempre lo spettato-re casuale: l’aspetto esteriore, ciò che non è funziona-le, la superficie delle cose. Solo chi non è davvero inte-ressato al paesaggio riesce a vedere il paesaggio (non èun genio?)».

Alla fine, non sapendo più a cosa appigliarsi per con-vincere se stesso che Dickens non gli piace, Orwell tirain ballo Tolstoj, tanto per avere un termine di parago-ne capace di disintegrare Pickwick e tutti quegli altri.Per dirla con le sue parole, «i personaggi di Tolstoj so-no in grado di valicare le frontiere, quelli di Dickenspossono essere ritratti su una cartina di sigaretta». Io,personalmente, baratto volentieri tutta Guerra e Paceper tre pagine di Grandi Speranze, e non vedo la neces-sità di interessarsi a quel trombone del conte Vronskijquando si può avere a che fare con uno come Snod-grass. Tuttavia concordo con Orwell che «nessuno ècostretto a scegliere tra uno o l’altro più di quanto sa-rebbe costretto a scegliere tra una salsiccia e una rosa».Che tra l’altro ho sempre trovato di una noia sconcer-tante – le rose.

(Dovendo salvarsila vita, nientedi meglioche un Dickens,anche uno a caso)

ILLUSTRAZIONE DI: MANUELE FIOR

© RIPRODUZIONE RISERVATA

SULLO SCAFFALE

I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni

ALESSANDRO BARICCO

IL LIBRO“Tempi difficili”di Charles Dickens(Einaudi, traduzionedi Maria Rita Cifarellie Cristina Scagliotti)La foto di Baricco è© LesAmp&rsands

M

Open di Andre Agassi ** Le radici del Romanticismo di Isaiah Berlin ** Olive Kitteridge di Elisabeth Strout ** American Dust di Richard Brautigan ** Esercizi spirituali e filosofia antica di Pierre Hadot * * Il medico di cortedi Per Olov Enquist ** Fantozzi totale di Paolo Villaggio ** Democrazia: cosa può fare uno scrittore? di Antonio Pascale e Luca Rastello ** La donna nel XVIII secolo di Edmond e Jules de Goncourt ** Go down, Moses diWilliam Faulkner ** Anatomia di un istante di Javier Cercas ** Le api e i ragni di Marc Fumaroli ** Magellano di Stefan Zweig ** Storia delle idee del calcio di Mario Sconcerti ** La principessa sposa di William Goldman **Vergona di J.M. Coetzee ** Nessun luogo. Da nessuna parte di Christa Wolf ** La guerra del Peloponneso di Donald Kagan ** La trilogia di Adamsberg di Fred Vargas ** Trilogia degli Aubrey di Rebecca West ** Bangkokdi Lawrence Osbome ** Divina di Gianni Clerici ** Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa ** La casa delle belle addormentate di Yasunari Kawabata ** Padre Pio. Miracoli e politica... di Sergio Luzzatto

I PRIMI25 TITOLI

Tutti i racconti westerndi Elmore Leonard

Wolf Halldi Hilary Mantel

La cultura dei vintidi Wolfgang Schivelbusch

Colazione da Tiffanydi Truman Capote

Breve storia della vita privatadi Bill Bryson

La pelledi Curzio Malaparte

Discorso sul metododi René Descartes

Glenn Gould e la ricerca del pianoforte perfettodi Katie Hafner

Il Partenonedi Mary Beard

La ragazza che fa a pugnicon l’ombradi Inka Parei

L’opera struggente di un formidabile geniodi Dave Eggers

UNA CERTAIDEADI MONDO

ettendo da parte Il circolo Pickwick – libro a cui devomoltissimo, ma per ragioni squisitamente private, equindi insignificanti – io nei confronti di Dickens ho ilseguente, curioso rapporto: adoro lui e non amo par-ticolarmente i suoi libri. Non voglio dire che adoro ilpersonaggio e non lo scrittore, non è questo: io adorocome scrive, non c’è nessuno con quella luce nellascrittura, e quella salvezza. Ma non c’è un suo solo li-bro che potrei definire un capolavoro, e forse neancheuno che sia riuscito a leggere senza una certa fatica. Inrealtà li confondo un po’ tutti, e forse quando penso aDickens, al suo modo di scrivere, penso a un unicosplendido, smisurato testo che mi è accaduto di leg-gere qua e là, senza neanche troppa urgenza di orien-tarmi in modo più preciso. Così ho la vaga sensazioneche Tempi difficili mi sia piaciuto più di altri romanzi(se non altro l’ho finito) ma non potrei giurarci, e in-fatti la ragione per cui ne parlo qui non è la sua bellez-za, che ricordo appena, ma una circostanza fortuita:

il fatto che, in questa particolare edizione pubblicatada Einaudi, Tempi difficilisia seguito da un breve sag-gio di George Orwell dedicato a Dickens. E quello sì, loricordo con certezza, è straordinario. È lì che ho sco-perto come la leggera discrasia che mi permette diadorare come scriveva Dickens ma non cosascriveva,sia un fenomeno che non riguarda solo me: anzi, leg-gendo quelle pagine sono arrivato a pensare che sial’unico approccio corretto che si può avere al grandegenio inglese.

In pratica il saggio di Orwell potrebbe intitolarsi co-sì: perché diavolo amo così tanto Dickens quando socon certezza che i suoi libri fanno acqua da tutte le par-ti? Vi assicuro che la lettura è esilarante. La parte piùsviluppata, a tratti furibonda, è quella dedicata al far

“Adoro come scrive Dickens, perché non c’ènessuno con quella luce nella scrittura”

Page 40: Una certa idea di mondo

R CULT ■ 52DOMENICA 12 AGOSTO 2012

llaa RReeppuubbbblliiccaa

nello che passa e ripassa su una superficie li-scia, fino donarle un colore. Con un’andaturaanaloga, si sarà notato, si vive. Non sempreproducendo, però, la poesia e il suono e la dan-za che Fosse ottiene dalle sue pagine, conver-tendo la feroce discesa nell’angoscia di un uo-mo in una festa musicale. Di mio, non scendovolentieri nell’angoscia altrui, disponendo giàdella mia, ma quando un libro ti invita al ballo,e lo fa con una simile solenne sicurezza, non èfacile restare a fare tappezzeria: si va e si balla.

Pare, a proposito di Hertervig, che fossemaestro nel dipingere le nuvole: in altro modopotrei spiegare la bravura di Fosse, dicendoche la sua scrittura si muove come si muovonole nuvole dentro se stesse. Non attraverso il cie-lo, quello è banale, son buono anch’io: attra-verso se stesse, addosso a se stesse. Di tanto intanto assumendo il profilo di un oggetto, la

silhouette di unapezzo di vita. Co-me se questa solafosse la loro mis-sione.

Devo aggiun-gere che nella ter-za parte del libro,l’unica non diret-tamente consa-

crata a Hertervig, e anzi vagamente autobio-grafica, Fosse racconta di uno scrittore – chepoi è lui, ma con un nome diverso, Vidme – equello che racconta è un istante che mi è statoconcesso di conoscere molto bene, e cioè l’i-

stante in cui uno capisce qual è il libro che devescrivere, e cerca la forza per iniziarlo. Nel caso spe-cifico Vidme si è convinto, guardando un quadrodi Hertervig, che il libro che vuole scrivere è un li-bro su quel pittore, perché guardare quel quadrolo ha portato in prossimità di qualche mistero, otesoro nascosto, o divinità segreta. Io, col tempo,mi sono ritrovato a concepire il mio mestiere co-me un sofisticato lavoro d’artigianato che sullabellezza di alcune superfici ottiene talvolta di ri-disegnare bagliori che vengono dal profondo,nulla di più: tuttavia so di cosa sta parlando Vid-me, e dunque Fosse, e so che è un’ambizione mol-to alta e nobile, per quanto probabilmente illuso-ria, e quindi da tramandare. Per questo non hosmarrito una sua frase – una delle sue fluviali fra-si – che ogni tanto rileggo, un po’ per non disim-parare le ambizioni più alte, e un po’ per ricordar-mi da dove viene l’istinto a scrivere, contro ognilogica e a dispetto di qualsiasi indigenza dei risul-tati. La trascrivo qui, così muore un po’ meno.«Perché lui, Vidme, un uomo sui trent’anni fatti,ma già con qualche capello grigio, ritiene di averscoperto qualcosa di importante che gli cambieràa vita, ha capito che si è addentrato in qualcosa diimportante attraverso la sua attività di scrittore,qualcosa con cui deve fare i conti se vuole conti-nuare la sua vita, e per questo Vidme camminanella pioggia e nel vento pensando che già moltianni di lavoro come scrittore gli hanno man ma-no insegnato qualcosa di importante, qualcosa dicui pochi sono a conoscenza, lui ha visto qualco-sa che non così tanti hanno visto, pensa Vidme,mentre cammina nella pioggia e nel vento, infat-ti, se uno si concentra abbastanza, lavora con suf-ficiente profondità e concentrazione, a capofittoin qualcosa, se uno vuole, se solo arriva dentro ab-bastanza, se si immerge abbastanza, arriva a ve-dere qualcosa che gli altri non hanno visto e quel-lo che lui ha visto, pensa Vidme, mentre cammi-na nella pioggia e nel vento, è la cosa più impor-tante che ha ricavato di tanti anni in cui pratica-mente ogni santo giorno ha scritto».

(Trovatoper caso,ma conquel titoloè evidenteche mi stavaaspettando)

ILLUSTRAZIONE DI: MANUELE FIOR

© RIPRODUZIONE RISERVATA

SULLO SCAFFALE

I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni

ALESSANDRO BARICCO

IL LIBRO“Melancholia”di Jon Fosse(Fandango libri,traduzionedi Cristina Falcinella)La foto di Baricco è© LesAmp&rsands

D

Open di Andre Agassi ** Le radici del Romanticismo di Isaiah Berlin ** Olive Kitteridge di Elisabeth Strout ** American Dust di Richard Brautigan ** Esercizi spirituali e filosofia antica di Pierre Hadot * * Il medico di cortedi Per Olov Enquist ** Fantozzi totale di Paolo Villaggio ** Democrazia: cosa può fare uno scrittore? di Antonio Pascale e Luca Rastello ** La donna nel XVIII secolo di Edmond e Jules de Goncourt ** Go down, Moses diWilliam Faulkner ** Anatomia di un istante di Javier Cercas ** Le api e i ragni di Marc Fumaroli ** Magellano di Stefan Zweig ** Storia delle idee del calcio di Mario Sconcerti ** La principessa sposa di William Goldman **Vergona di J.M. Coetzee ** Nessun luogo. Da nessuna parte di Christa Wolf ** La guerra del Peloponneso di Donald Kagan ** La trilogia di Adamsberg di Fred Vargas ** Trilogia degli Aubrey di Rebecca West ** Bangkokdi Lawrence Osbome ** Divina di Gianni Clerici ** Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa ** La casa delle belle addormentate di Yasunari Kawabata ** Padre Pio. Miracoli e politica... di Sergio Luzzatto

I PRIMI25 TITOLI

Tutti i racconti westerndi Elmore Leonard

Wolf Halldi Hilary Mantel

La cultura dei vintidi Wolfgang Schivelbusch

Tempi difficilidi Charles Dickens

Colazione da Tiffanydi Truman Capote

Breve storia della vita privatadi Bill Bryson

La pelledi Curzio Malaparte

Discorso sul metododi René Descartes

Glenn Gould e la ricerca del pianoforte perfettodi Katie Hafner

Il Partenonedi Mary Beard

La ragazza che fa a pugnicon l’ombradi Inka Parei

L’opera struggente di un formidabile geniodi Dave Eggers

UNA CERTAIDEADI MONDO

i questo pittore norvegese, Lars Hertervig, nonavevo mai saputo nulla, e tutt’ora non potrei di-re di sapere veramente qualcosa, tranne che so-no stato nella sua angoscia e questo perché JonFosse mi ci ha portato per mano.

Nato nel 1821, Hertervig ebbe in sorte una vi-ta che sembra un dépliant della sensibilità ro-mantica: artista di talento, lasciò alcuni memo-rabili quadri prima di, disciplinatamente, im-pazzire: tanto per non lasciare nulla di intentato,morì povero e solo. Naturalmente, il mondo siaccorse della sua grandezza solo quando ormaiera sotto terra, e questa va considerata come lafirma di una precisa civiltà apposta in calce a unomicidio perfetto. La vicenda è talmente stereo-tipata che si fa fatica a immaginare una vita vera,sotto la pelle del luogo comune: tuttavia un gior-no mi è capitato di aprire un libro, in francese, eall’inizio non volevo credere che fosse scritto in

quel modo, poi mi son lasciato andare – era co-me una marea – ed è così che sono entrato nellaangoscia di Lars Hertervig, senza neanche chie-dergli il permesso e sicuramente con una luciditàdi cui lui non fu mai capace: tanto possono i libri.

Non sarebbe successo nulla, comunque, seJon Fosse (norvegese anche lui, molto noto co-me drammaturgo, meno come scrittore) nonavesse scritto questo libro in un modo singolare,a tratti anche sfinente, ma in definitiva meravi-glioso. Difficile dare un’idea, ma vi basti adesempio sapere che la scrittura va avanti di duepassi e poi indietro di uno, e così procede per pa-gine e pagine, spesso ripartendo da capo, in ungesto che assomiglia in tutto e per tutto a un pen-

“Hertervig, pittore norvegese, ebbe in sorte una vitache sembra un dépliant della sensibilità romantica”

Page 41: Una certa idea di mondo

R CULT ■ 56DOMENICA 19 AGOSTO 2012

llaa RReeppuubbbblliiccaa

(aveva idee spigolose per chiunque) e campa-va di un mestiere sublime: molava lenti per te-lescopi e microscopi. La sera, si dedicava inmodo maniacale a un unico problemino danulla, riassumibile così: che ne è di Dio in unmondo in cui l’uomo può cavarsela da solo?Quando morì, lasciò dietro di sé la seguenteeredità: un ducato d’argento, qualche spiccio-lo e un coltello. Be’, oltre a un pila di scritti cheavrebbero cambiato il mondo.

Leibniz, al contrario, era luterano, tedesco,innamorato del denaro e della fama, abilissimocortigiano: un uomo di mondo. Fu probabil-mente l’ultimo genio universale: ebbe modo didire la sua in una sfilza di discipline che meritadi essere citata: chimica, cronometria, geolo-gia, storiografia, giurisprudenza, linguistica,ottica, filosofia, fisica, poesia e teoria politica.Inutile dire che, in tanta generosità, gli accad-

de anche di spara-re sciocchezzeterrificanti (dagiovane era vaga-mente convintoche la terra fossefatta di bolle), maresta l’ultimo lu-minoso esempiodi cosa voleva dire

essere dei sapienti quando il sapere era ancorabambino (ora è diventato adulto, e questa è laragione per cui Steve Jobs non ha lasciato, oltreall’iPhone, trattati sull’angina pectoris e sul-l’accoppiamento dei camosci).

A livello teorico, venivano entrambi dallo stes-so posto, cioè dal futuro: giocavano nel campoaperto che Cartesio aveva spalancato (l’avremmopoi chiamato modernità) e la scoperta della ra-zionalità come diritto e direzione dell’umanorappresentava per tutti e due un passaggio senzaritorno. Il problema era come coniugare questopasso avanti con una cosetta a cui nessuno deidue intendeva veramente rinunciare: Dio. In par-ticolare Spinoza aveva fama di ateo pericolosissi-mo e radicale, ma non era questa l’idea che lui ave-va di se stesso, e non riuscì davvero mai a capirecome la gente potesse pensare questo di lui. (Loavrebbe certo consolato la risposta che Einstein,molto tempo dopo, diede quando gli chiesero secredeva in Dio: «Io credo nel Dio di Spinoza»).Leibniz se la cavava meglio, perché era piuttostoun grande conservatore, un mediatore abilissi-mo, un democristiano del Seicento, e così di sot-tigliezza in sottigliezza riuscì a sollevare un talepolverone che quanto c’era di eretico del suo pen-siero risultava alla fine imprendibile. Nati dallastessa domanda, se ne filarono via poi per stradediverse, incontro a risposte diverse, e questo ne fadue tipici antagonisti da film. Dato che lo sceneg-giatore aveva lavorato per bene, Spinoza, che nonusciva mai di casa, era bellissimo; Leibniz, chenon perdeva una festa, un mostro. E naturalmen-te: non si amavano. Ma anche si ammiravano, ov-viamente, in qualche modo. Vi piacerà sapere chealla fine, una volta, si incontrarono: ma come finìil duello, questo non ve lo posso raccontare.

Lo racconta però molto bene Stewart, chequando c’è da ricostruire la vita quotidiana di queidue è brillante e leggero il giusto, ma quando c’èda andare al sodo e spiegare cosa mai avessero intesta non si tira indietro e, devo dire, riesce a por-gere anche al lettore non particolarmente attrez-zato le chiavi di lettura di due sistemi filosofici chequanto a complessità non scherzavano affatto.Non dico che si capisca tutto: ma certo, al termi-ne del libro, mi era più chiaro il pensiero di Spino-za che il bugiardino della Tachipirina.

(Me l’aveva passato un’amicaa cui avevo detto: ho chiusocoi romanzi, da qui alla fineleggo saggi e basta.Lo dico spesso, e ogni tantolo faccio anche.)

ILLUSTRAZIONE DI: MANUELE FIOR

© RIPRODUZIONE RISERVATA

SULLO SCAFFALE

I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni

ALESSANDRO BARICCO

IL LIBRO“Il cortigiano e l’eretico”di Matthew Stewart(Feltrinelli, traduzionedi Francescoe Marta Sircana)La foto di Baricco è© LesAmp&rsands

N

Open di Andre Agassi ** Le radici del Romanticismo di Isaiah Berlin ** Olive Kitteridge di Elisabeth Strout ** American Dust di Richard Brautigan ** Esercizi spirituali e filosofia antica di Pierre Hadot * * Il medico di cortedi Per Olov Enquist ** Fantozzi totale di Paolo Villaggio ** Democrazia: cosa può fare uno scrittore? di Antonio Pascale e Luca Rastello ** La donna nel XVIII secolo di Edmond e Jules de Goncourt ** Go down, Moses diWilliam Faulkner ** Anatomia di un istante di Javier Cercas ** Le api e i ragni di Marc Fumaroli ** Magellano di Stefan Zweig ** Storia delle idee del calcio di Mario Sconcerti ** La principessa sposa di William Goldman **Vergona di J.M. Coetzee ** Nessun luogo. Da nessuna parte di Christa Wolf ** La guerra del Peloponneso di Donald Kagan ** La trilogia di Adamsberg di Fred Vargas ** Trilogia degli Aubrey di Rebecca West ** Bangkokdi Lawrence Osbome ** Divina di Gianni Clerici ** Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa ** La casa delle belle addormentate di Yasunari Kawabata ** Padre Pio. Miracoli e politica... di Sergio Luzzatto

I PRIMI25 TITOLI

Tutti i racconti westerndi Elmore Leonard

Colazione da Tiffanydi Truman Capote

Breve storia della vita privatadi Bill Bryson

La pelledi Curzio Malaparte

Discorso sul metododi René Descartes

Glenn Gould e la ricerca del pianoforte perfettodi Katie Hafner

Il Partenonedi Mary Beard

La ragazza che fa a pugnicon l’ombradi Inka Parei

L’opera struggente di un formidabile geniodi Dave Eggers

UNA CERTAIDEADI MONDO

el prolungato e virtuosistico esercizio di intelli-genza che chiamiamo Storia della Filosofia bril-lano momenti di avventura assoluta e uno diquesti, senza alcun dubbio, è la stagione, delica-tissima, in cui a pochi eruditi di genio riuscì l’im-mane impresa di spaccare l’invincibile compat-tezza dell’ordine teocratico in cui si viveva, rega-landoci l’opportunità di non morire sotto l’In-quisizione. La scienza diede la spallata decisiva,certo, ma il lavoro più raffinato lo fecero i filoso-fi, a cui spettò il compito di mettere insieme i coc-ci di una certezza collettiva che stava crollando ericomporli in una qualche sicurezza con cui siriuscisse a campare. Già che la Bibbia non sem-brava essere il sistema migliore per capire comeandavano le cose, c’era da trovarne un altro chenon facesse sentire proprio abbandonati nelnulla. L’impresa, oltre che difficilissima, era an-che mostruosamente pericolosa, perché mentre

loro pensavano e scrivevano, il mondo intornoera ancora rigidamente teocratico, per cui, a dir-la in termini semplici, a dire cosa pensavi ri-schiavi la vita. Degli eroi, per essere chiari.

Un modo ideale di farsi raccontare le loro im-prese è leggere questo libro di Stewart, dedicatoalle due figure che in quel West del pensiero in-carnavano, per così dire, i due pistoleri più velo-ci della Frontiera: Spinoza e Leibniz. Diciamoche Cartesio gli aveva fornito le Colt, e loro spa-ravano come nessun altro. Come se la storia l’a-vesse scritta uno sceneggiatore di Hollywood, idue erano magistralmente antitetici, tipo Borg eMcEnroe. Spinoza era olandese, faceva vita mo-nacale, era un ebreo espulso dalla sua comunità

“Scoprite le vite di Spinoza e Leibnizi pistoleri più veloci del West (filosofico)”

Wolf Halldi Hilary Mantel

La cultura dei vintidi Wolfgang Schivelbusch

Tempi difficilidi Charles Dickens

Melancholiadi Jon Fosse

Page 42: Una certa idea di mondo

R CULT ■ 52DOMENICA 26 AGOSTO 2012

llaa RReeppuubbbblliiccaa

psicanalisti e certi scrittori inglesi reputano lorocompito ricondurre a una certa, definitiva, chia-rezza. Per come la vedo io, a chi scrive libri spet-terebbe piuttosto ritrarre l’imprendibilità diquell’infinito, una cosa simile al rendere perma-nente in un quadro il riflesso in una pozzanghe-ra o eterno, in una pagina, il momentaneo pas-saggio di un velo di nebbia su un lago. Ho in men-te quelle frasi di Céline, che muoiono a metà e sela cavano con tre puntini di sospensione: nella lo-ro indigenza, sono la figura di tutto quello per cuimi verrebbe da utilizzare il termine “letteratura”.Proprio perché il vuoto in cui si perdono è il vuo-to pieno di fantasmi in cui effettivamente acca-dono i nostri gesti, che non sono mai finiti, masempre seguiti da puntini di sospensione (di so-lito ci pensano gli altri a cercare di completarli equesto è quel che definiamo “avere delle relazio-ni”). Così, quella abilità di cui McEwan è maestro,

mi sembra alla fineuna abilità artifi-ciosa magari noninutile, ma certoinutilizzabile: nonsi muore di meno afarlo con gli occhifissi sulle propriecartelle cliniche.Invece ho sempre

pensato che un certa luce sulla parete, a saperlafermare, o l’illeggibile sorriso di uno chinato su dite, ecco, questo sarebbe più appropriato guarda-re, disponendo di un istante ancora e di un paiodi occhi per renderlo gentile.)

E tuttavia Chesil Beach è bellissimo, lo devo am-mettere, e questo in virtù della storia che racconta.Al lavoro c’è sempre il consueto contabile di talen-to, ma stavolta il calcolo a cui si applica l’ho trovato,con molta invidia, geniale. Non mi è facilissimospiegare perché, forse non lo so neanche bene, è unacosa più che altro istintiva. Ma metà della grandez-za di uno scrittore è isolare una particolare tesseradel mondo, beccando, quasi alla cieca, quella dovetutto il mondo è scritto (o almeno una parte signifi-cativa), e in questo libro la particolare tessera dimondo, scomposta, calcolata, messa in colonna,seguita fino a quattro cifre dopo la virgola, è la primanotte di matrimonio di due giovani inglesi nel 1962,cioè volendo la prima notte di matrimonio di un sac-co di giovani nel 1962, quando era davvero una pri-ma notte di matrimonio, cioè la prima volta che sco-pavano, e dovevano farlo, come sarà successo sicu-ramente a moltissimi giovani nel 1962 e quindi, an-no più o anno meno, a gran parte dei genitori di quel-li della mia età, che analogamente a quei due giova-ni inglesi si saranno trovati a improvvisare un gestoche per lo più erano stati educati a reprimere o te-mere, e che in quella notte si trovavano costretti aeseguire, pur senza la minima preparazione tecnicae psicologica, mettendo insieme alla buona sensa-zioni come l’urgenza, il ribrezzo, la paura, il puro de-siderio. E io ho spesso pensato che entrare in quellasorta di surreale tabernacolo sarebbe stato come ac-cedere ai codici in cui erano stati scritti i nostri geni-tori, convinto che in ogni gesto di quella unica not-te erano scritti tutti loro, e quindi tutti noi, come inuna sacra pittura runica da cui tutta la loro, e quindila nostra, esistenza poteva essere dedotta. Potevaessere un pensiero assurdo, e infatti l’ho pensato peranni senza grande fiducia, ma Chesil Beach invece èentrato in quella notte e poi ne ha stilato i tabulati,con una minuzia di cui non sarei mai stato capace,restituendomi un pensiero che era un pensiero ap-pena, prima, e adesso un libro che non potrò piùscrivere, dopo di lui, ma, come ora mi accorgo, checovavo da sempre. (Be’, ovviamente è meglio pertutti che l’abbia scritto lui, su questo non ho dubbi).

(Quando l’ho vistoin testaalla classificaho pensato chebisognava almenorendergliomaggio...)

ILLUSTRAZIONE DI: MANUELE FIOR

© RIPRODUZIONE RISERVATA

SULLO SCAFFALE

I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni

ALESSANDRO BARICCO

IL LIBRO“Chesil Beach”di Ian McEwan(Einaudi, traduzionedi Susanna Basso)La foto di Baricco è©LesAmp&rsands

I

Open di Andre Agassi ** Le radici del Romanticismo di Isaiah Berlin ** Olive Kitteridge di Elisabeth Strout ** American Dust di Richard Brautigan ** Esercizi spirituali e filosofia antica di Pierre Hadot * * Il medico di cortedi Per Olov Enquist ** Fantozzi totale di Paolo Villaggio ** Democrazia: cosa può fare uno scrittore? di Antonio Pascale e Luca Rastello ** La donna nel XVIII secolo di Edmond e Jules de Goncourt ** Go down, Moses diWilliam Faulkner ** Anatomia di un istante di Javier Cercas ** Le api e i ragni di Marc Fumaroli ** Magellano di Stefan Zweig ** Storia delle idee del calcio di Mario Sconcerti ** La principessa sposa di William Goldman **Vergona di J.M. Coetzee ** Nessun luogo. Da nessuna parte di Christa Wolf ** La guerra del Peloponneso di Donald Kagan ** La trilogia di Adamsberg di Fred Vargas ** Trilogia degli Aubrey di Rebecca West ** Bangkokdi Lawrence Osbome ** Divina di Gianni Clerici ** Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa ** La casa delle belle addormentate di Yasunari Kawabata ** Padre Pio. Miracoli e politica... di Sergio Luzzatto

I PRIMI25 TITOLI

Tutti i racconti westerndi Elmore Leonard

Colazione da Tiffanydi Truman Capote

Breve storia della vita privatadi Bill Bryson

La pelledi Curzio Malaparte

Discorso sul metododi René Descartes

Glenn Gould e la ricerca del pianoforte perfettodi Katie Hafner

Il Partenonedi Mary Beard

La ragazza che fa a pugnicon l’ombradi Inka Parei

L’opera struggente di un formidabile geniodi Dave Eggers

UNA CERTAIDEADI MONDO

n realtà, per dirla tutta, non è che di solito McEwanmi faccia impazzire. Un po’ troppo professorino, secapite cosa voglio dire. C’è sempre quell’aria di stu-dio medico, tanto ordine, troppa pulizia. Lui fa, adaltissimo livello, quella specie di contabilità dell’e-sistere, precisa fino alla quarta cifra dopo la virgo-la, che gli inglesi spesso amano scambiare per altaletteratura. Più che raccontare, mette le cifre in co-lonna, moltiplica e divide, e in questo è meticolosofino all’acrobazia. Spesso tira anche le somme, for-nendo una sorta di risultato finale, e questo già èpiù discutibile (la vita non è un conto che torna, cheio sappia). Tuttavia lo fa spesso per puro rispettodell’ordine, quasi se ne sentisse obbligato: così ri-mangono per lo più in mente quelle pagine di cifreallineate, senza correzioni e senza errori, quasi untabulato del vivere, ma scritto a mano, con bellacalligrafia e un certo senso estetico per la dimen-sioni dei segni, l’equilibrio degli spazi, l’eleganza

delle simmetrie. È abbastanza per ammirarlo, maun po’ poco per amarlo – o almeno così la vedo io.

(Il fatto è che ho sempre qualche resistenza perquesta letteratura che inquadra la vita vera e poi lascompone e ne dà conto, con l’aria di poterla, inquesto modo, restituire ai viventi, per far loro ve-dere quello che fanno quando vivono. Una speciedi replay al rallentatore. La moviola del lunedì – do-po la domenica della vita. Mah. Io intanto non cre-do sinceramente che si viva con quattro cifre dopola virgola. Siamo macchine più approssimative. Inun istante della nostra vita non passano mai tuttele cose che ci vedono gli scrittori come McEwan.Sono convinto che se viviamo un decimale è giàtanto: il resto è un infinito evanescente che solo gli

“Chesil Beach entra nella prima notte di matrimonioin un’epoca in cui questa era ancora la prima notte”

Il cortigiano e l’ereticodi Matthew Stewart

Wolf Halldi Hilary Mantel

La cultura dei vintidi Wolfgang Schivelbusch

Tempi difficilidi Charles Dickens

Melancholiadi Jon Fosse

Page 43: Una certa idea di mondo

R CULT ■ 52DOMENICA 2 SETTEMBRE 2012

llaa RReeppuubbbblliiccaa

dersi girare attorno 'sto americano che non lasmetteva un attimo con le sue battutine feroci.Per la cronaca, c'è anche chi sostiene che non siamai morto. Un ricercatore, forse per riequilibra-re la cosa, ha sostenuto la tesi che non sia mai esi-stito.

Tra le tante cose che scrisse, prima di sparirein quel modo beffardo, c'è anche questo Dizio-nario, che lui sosteneva essere utilissimo, al con-trario di tutti gli altri dizionari. Ne ho sempreignorato l'esistenza, ma un giorno, su una rivi-sta fighettissima comprata negli States, ho in-contrato per la prima volta, citata, una delle suevoci. Si trattava del termine "Linguaggio". La de-finizione recitava così: Musica con cui si affasci-nano i serpenti a guardia dei tesori altrui. Capi-te bene che da lì non ho più trovato requie fino aquando non ho recuperato un'edizione del di-zionario in italiano (incredibilmente esisteva,

sebbene fosse una sele-zione, e non il testo inte-grale.) L'aprii e quel chemi capitò di leggere fu lavoce Clarinetto. Eccolaqua: Clarinetto (s.m.)Strumento di tortura.Chi lo suona, lo fa met-tendosi cotone nelleorecchie. Peggiori del

clarinetto ci sono solo due strumenti: due clari-netti. Da lì non mi sono più fermato (e sì che ilclarinetto lo adoro, chiunque ami Mozart loadora).

Naturalmente non è il tipo di libro che uno si

legge dall'inizio alla fine. Lo si tiene sul comodino,e nelle sere di stanca si leggiucchia qua e là. Anchein bagno va piuttosto bene. Si apre a caso e si legge.Egocentrico (agg.): Persona di cattivo gusto che si in-teressa più di sé che di noi. Solo (agg.): In cattivacompagnia. Immaginazione (s.f.): Magazzino difatti, in comproprietà fra il poeta e il bugiardo. Cosecosì.

Certo, era uno che dalla vita non si aspettava nul-la di buono. O faceva finta, non lo so. Di fatto non sal-vava praticamente nulla. Aiutare (v.tr): Crearsi uningrato. Amicizia (s.f.): Nave abbastanza grande perportare due persone con il tempo buono, una sola conil tempo cattivo. Autostima (s.f.): Stima mal riposta.In genere io non amo particolarmente questo tipo dicinismo brillante, ma in effetti son disposto a per-donarlo, e ad ammirarlo, in chiunque sia in grado diesibirlo con velocissima sintesi. Lui ne era capace.Applauso (s.m.): Eco di una banalità.

Quando ci si stanca si molla lì, il libro si perde tra imeandri di casa, scompare per mesi, finché, spintoda misteriose correnti sotterranee, rispunta in su-perficie, e vi aspetta lì, sapendo che tanto prima o poisarete troppo stanchi per aprire il libro che state leg-gendo ma non così tanto da cercare un fumetto e si-curamente non così incurabilmente da spegnere laluce senza leggere. Al momento buono ve lo ritrova-te in mano, ciao Ambrose, come va?, sempre a zon-zo per il Messico?, dai, vediamo cosa hai da dissa-crare oggi.

Nichilista (s.m.): Un russo che nega l'esistenza ditutto, tranne di Tolstoj. Capo di questa scuola è Tol-stoj.

Dai, Ambrose, non sparare boiate.Genuino (agg): Autentico, reale. Per esempio, ge-

nuina contraffazione, genuina ipocrisia, eccetera.Già meglio. Non hai qualcosa di speciale?, che sta-

sera ce ne sarebbe proprio bisogno.Fotografia (s.f.): Dipinto realizzato dal sole nella

totale ignoranza dei rudimenti dell'arte.Qualcosa di veramente speciale, volevo dire.Chemisier (s.m.): Non so cosa significa.Ecco. Adesso sì. Grazie.

(Scoperto per caso,citato in una rivistaamericana perintellettuali milionari.Ovviamente iol’avevo comprataper sbaglio)

ILLUSTRAZIONE DI: MANUELE FIOR

© RIPRODUZIONE RISERVATA

SULLO SCAFFALE

I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni

ALESSANDRO BARICCO

IL LIBRO“Il dizionario del diavolo”di Ambrose Bierce(traduzione di GiancarloBuzzi, pubblicato daBaldini Castoldi Dalai).La foto di Baricco è©LesAmp&Sands

S

Open di Andre Agassi ** Le radici del Romanticismo di Isaiah Berlin ** Olive Kitteridge di Elisabeth Strout ** American Dust di Richard Brautigan ** Esercizi spirituali e filosofia antica di Pierre Hadot * * Il medico di cortedi Per Olov Enquist ** Fantozzi totale di Paolo Villaggio ** Democrazia: cosa può fare uno scrittore? di Antonio Pascale e Luca Rastello ** La donna nel XVIII secolo di Edmond e Jules de Goncourt ** Go down, Moses diWilliam Faulkner ** Anatomia di un istante di Javier Cercas ** Le api e i ragni di Marc Fumaroli ** Magellano di Stefan Zweig ** Storia delle idee del calcio di Mario Sconcerti ** La principessa sposa di William Goldman **Vergogna di J.M. Coetzee ** Nessun luogo. Da nessuna parte di Christa Wolf ** La guerra del Peloponneso di Donald Kagan ** La trilogia di Adamsberg di Fred Vargas ** Trilogia degli Aubrey di Rebecca West **Bangkok di Lawrence Osbome ** Divina di Gianni Clerici ** Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa ** La casa delle belle addormentate di Yasunari Kawabata ** Padre Pio. Miracoli e politica... di Sergio Luzzatto

I PRIMI25 TITOLI

Tutti i racconti westerndi Elmore Leonard

Colazione da Tiffanydi Truman Capote

Breve storia della vita privatadi Bill Bryson

La pelledi Curzio Malaparte

Discorso sul metododi René Descartes

Glenn Gould e la ricerca del pianoforte perfettodi Katie Hafner

Il Partenonedi Mary Beard

La ragazza che fa a pugnicon l’ombradi Inka Parei

L’opera struggente di un formidabile geniodi Dave Eggers

UNA CERTAIDEADI MONDO

trano tipo, questo Bierce. Adesso, a un secolo dallasua morte, viene da deliziarsi col suo humour, con-tenti di aver trovato una perla simile nel gran maredell'oblio. Ma non è nemmeno escluso che, da vi-vo, fosse insopportabile: una di quelle intelligenzeacutissime che una piega cinica o un eccesso di nar-cisismo condannano all'esibizionismo puro esemplice. Non so. So che era dell'Ohio ed era natonel 1842, decimo figlio di un padre che a tutti i figliaveva dato un nome che iniziava con la A (apprez-zo sempre questi miti tentativi di dare un ordine al-l'esistenza). A quindici anni salutò la famiglia e ini-ziò ad andarsene in giro, cosa che praticamentenon smise più di fare. Tra una cosa e l'altra parte-cipò alla Guerra di Secessione, scrisse un bel po' diromanzi e racconti, conobbe Mark Twain (di cui, avedere le foto, sembra il fratello bello, pur non es-sendolo, visto che Mark inzia con la M), divenne ungiornalista alla moda e coi suoi articoli al curaro si

guadagnò il soprannome di "The Wickedest Man inSan Francisco" (L'uomo più cattivo di San Franci-sco). Ignoro se la cosa gli procurasse una qualchefierezza; so che lo costringeva a girare con una pic-cola pistola in tasca. Quando si trattò di organizza-re i commiati di rito (era ormai il 1913, e lui era unsettantenne) si fece un bel giro nei luoghi in cui ave-va combattuto, poi informò tutti che andava inMessico a dare un'occhiata alla rivoluzione di Za-pata e Villa, quindi sparì nel nulla. Sul serio: nessu-no ne seppe più niente. La versione più accredita-ta lo dà per stecchito in una sparatoria tra rivolu-zionari e esercito regolare: ma sa un po' di agiogra-fico. Secondo un'altra versione, che io trovo deli-ziosa, fu Pancho Villa stesso a sparargli, stufo di ve-

“Tra le tante cose che scrisse Bierce c’è anchequesto Dizionario, che lui sosteneva utilissimo”

Il cortigiano e l’ereticodi Matthew Stewart

Chesil Beachdi Ian McEwan

Wolf Halldi Hilary Mantel

La cultura dei vintidi Wolfgang Schivelbusch

Tempi difficilidi Charles Dickens

Melancholiadi Jon Fosse

Page 44: Una certa idea di mondo

R CULT ■ 54DOMENICA 9 SETTEMBRE 2012

llaa RReeppuubbbblliiccaa

suo stupore al suo pubblico. Ancora oggi, unolegge Erodoto e, ogni due pagine, prova l’istintodi girarsi verso il primo che ha a portata di manoe dirgli «No, dico, ma senti questa...». Per dire, ec-co come risolvevano il problema del matrimo-nio gli Illiri (già il fatto che uno arrivi a interessar-si degli Illiri dà un’idea del talento del ragazzo).Dunque, schieravano le ragazze da marito inpiazza, tutte, in ordine, dalla più bella alla più im-presentabile. Poi iniziavano a mettere all’asta lapiù bella: chi offriva di più se la portava via. Il de-naro veniva messo da parte. Quando si arrivavaal mediobrutto, le offerte iniziavano a latitare. Ec’era sempre il momento in cui, per la Gina, nes-suno offriva niente. Allora si prendeva il denaromesso da parte e si iniziava a fare un’asta al con-trario. Gina più conguaglio. Chi si accontentavadel più modesto, la sposava. Se avevi la pazienzadi aspettare l’ultima, e magari eri cieco, te ne par-

tivi ricco sfondato. «Il denaro», annota compiaciu-to Erodoto, «proveniva dalle ragazze belle, e così lebelle procuravano il marito alle brutte e alle stor-pie». Sospendendo un attimo il raccapriccio per ilmaschilismo imperante (erano fatti così, e non c’èniente da fare), ci si può fare un’idea di ciò che Ero-doto dava al suo pubblico: storie da raccontare.

Naturalmente sarebbe il caso di chiedersi: ma eravero? Gli Illiri facevano veramente così? E lì si apre ildibattito, perché Erodoto era pignolissimo, maaveva anche molto senso dello spettacolo: ogni tan-to gli piaceva bersi delle fandonie spaziali o pigliarecantonate pazzesche (altre invece mise in riga tuttii cacciaballe dell’epoca), e insomma era piuttostoondivago su questa faccenda della verità: certol’impressione è che dovendo scegliere tra una mez-za falsità molto bella e una mezza verità noiosissi-ma, non avesse dubbi. E questo ci fa intravederel’aurora di una splendida debolezza che alla lungaavrebbe portato un termine che significava inda-gare a significare quel magnifico gesto, vagamenteruffiano, che è raccontare storie. Erano storie nelsenso che intendiamo noi, e in fondo lui lo sapeva,e probabilmente gli piaceva così. (D’altronde ab-biamo ragione di credere che lui, le sue storie, le leg-gesse davanti a un pubblico pagante, e questo, piac-cia o no, chiarisce molto i termini della faccenda.)

Aggiungo che non saremmo ancora qui a legger-le, probabilmente, se a Erodoto non fosse riuscito ilmiracoloso gesto di scriverle come aria schietta delmattino, trasparenti, cristalline, veloci, pulite. Perme leggerle vale una cura disintossicante da qual-siasi altra narrativa. È la Fiuggi del lettore forte. Perdire, se sei reduce da una Christa Wolf, o da un Tho-mas Bernhard, con tutte quelle tossine in corpo, al-lora riprendi Erodoto, e mentre lasci scorrere il rac-conto di come gli Sciti svuotavano il cranio dei ne-mici sconfitti in battaglia e poi se lo tenevano sul ta-volo, ecco tornare una sorta di leggerezza inaugu-rale, e affiorare l’impressione di un ritorno alle ori-gini, dove ancora era tutto semplice e, in qualchemodo, mai usato. Alle volte, ci vuole. Poi, ripartire,è uno scherzo.

(Che io mi ricordi, non hannomai smesso di staresul comodino o sulla scrivania.Intendo metterci una vita interaa finire di leggerle)

ILLUSTRAZIONE DI: MANUELE FIOR

© RIPRODUZIONE RISERVATA

SULLO SCAFFALE

I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni

ALESSANDRO BARICCO

IL LIBRO“Storie” di Erodoto(Mondadori, a curadi Luigi Annibaletto)La foto di Baricco è© LesAmp&rsands

I

Open di Andre Agassi ** Le radici del Romanticismo di Isaiah Berlin ** Olive Kitteridge di Elisabeth Strout ** American Dust di Richard Brautigan ** Esercizi spirituali e filosofia antica di Pierre Hadot * * Il medico di cortedi Per Olov Enquist ** Fantozzi totale di Paolo Villaggio ** Democrazia: cosa può fare uno scrittore? di Antonio Pascale e Luca Rastello ** La donna nel XVIII secolo di Edmond e Jules de Goncourt ** Go down, Moses diWilliam Faulkner ** Anatomia di un istante di Javier Cercas ** Le api e i ragni di Marc Fumaroli ** Magellano di Stefan Zweig ** Storia delle idee del calcio di Mario Sconcerti ** La principessa sposa di William Goldman **Vergogna di J.M. Coetzee ** Nessun luogo. Da nessuna parte di Christa Wolf ** La guerra del Peloponneso di Donald Kagan ** La trilogia di Adamsberg di Fred Vargas ** Trilogia degli Aubrey di Rebecca West **Bangkok di Lawrence Osbome ** Divina di Gianni Clerici ** Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa ** La casa delle belle addormentate di Yasunari Kawabata ** Padre Pio. Miracoli e politica... di Sergio Luzzatto

I PRIMI25 TITOLI

Tutti i racconti westerndi Elmore Leonard

Colazione da Tiffanydi Truman Capote

Breve storia della vita privatadi Bill Bryson

La pelledi Curzio Malaparte

Discorso sul metododi René Descartes

Glenn Gould e la ricerca del pianoforte perfettodi Katie Hafner

Il Partenonedi Mary BeardLa ragazza che fa a pugnicon l’ombradi Inka Parei

L’opera struggente di un formidabile geniodi Dave Eggers

UNA CERTAIDEADI MONDO

ntanto: il temine storie nasce lì. Non risulta chequalcuno l’avesse usato prima di Erodoto. Il qua-le, va detto, lo usava con un significato legger-mente diverso da quello che usiamo noi: il termi-ne greco che lui utilizzò (e da cui nacque il nostrostoria), significava per lui inchiesta, ricerca: quel-lo che lui amava fare, indagare. Aveva delle curio-sità (ne aveva a palate) e indagava per cercare del-le risposte. Era il prototipo del pignolo che non siaccontenta delle spiegazioni del dépliant e alza lamano in continuazione chiedendo chiarimenti:che si trattasse delle maree del Nilo, delle guerredi conquista dei persiani o dei bizzarri costumisessuali dei babilonesi, faceva poca differenza.Gli interessava tutto. Una sua frase, tra le tante,descrive bene il personaggio: «Volendolo sapere,domandai». Ti trovavi in viaggio con uno del ge-nere, e ti sparavi.

Se, tuttavia, quel termine (Storie) è diventato il

nome che dice la bellezza e il frutto del raccontare,questo lo dobbiamo anche a lui, il viaggiatore pi-gnolo: la distanza che c’è tra il verbale di un detec-tive e il raccontare di un narratore iniziò a colmar-la lui, trasformandosi da Sherlock Holmes a in-cantatore di serpenti. Perché se le sue curiositàerano maniacali e vagamente noiose, non lo era af-fatto il materiale che lui, assecondandole, accu-mulò. Chiedi alla terra spiegazioni, e quella tirafuori dei tesori che non ci credi: la prima lezione diErodoto è questa. In un’epoca in cui immaginaredomande era già più della metà dell’essere sa-pienti lui inventò la meraviglia e lo splendore del-le risposte. Lo spettacolo delle risposte. Ne rimaseabbacinato lui per primo, e poi seppe trasferire il

“Scoprite Erodoto, il viaggiatore pignoloche inventò la bellezza delle Storie”

Il cortigiano e l’ereticodi Matthew Stewart

Chesil Beachdi Ian McEwan

Il dizionario del diavolodi Ambrose Bierce

Wolf Halldi Hilary Mantel

La cultura dei vintidi Wolfgang Schivelbusch

Tempi difficilidi Charles Dickens

Melancholiadi Jon Fosse

Page 45: Una certa idea di mondo

R CULT ■ 56DOMENICA 16 SETTEMBRE 2012

llaa RReeppuubbbblliiccaa

McCarthy (un libro il cui orrore è inarrivabile) fi-nisce per risultarti intollerabile: se hai bisogno diliberare tutto quell’armamentario di ferocia e si-tuazioni limite per pronunciare l’orrore dell’u-mano allora scrivere non è il tuo mestiere.

Ora la domanda è: come fa (faceva, ahimé)quella donna a ottenere un simile risultato as-surdo? Immagino che la risposta sarebbe moltocomplessa, ma io ne conosco una fettina: ci riu-sciva perché scriveva in quel modo. Con un rigo-re inarrivabile. Con un controllo totale. Con unasicurezza di sé sconcertante (non becchi mai unaggettivo aggiunto lì per insicurezza). Con unaforza invisibile. Con una fiducia incrollabile nel-l’esattezza delle parole semplici. Con un disgu-sto continuo per tutto ciò che non è strettamen-te necessario. Con un’idea monastica di bellez-za. Per farvi un’idea, prendete le prime righe delterzo libro e leggete. Fate caso ai verbi. Il novan-

ta per cento sono,semplicemente, ilverbo essere. E’, so-no. C’è, ci sono. Oraprovate a raccontareuna qualsiasi storia,o a descrivere una si-tuazione qualsiasi,usando praticamen-te solo il verbo esse-

re. Vi regalo anche il verbo avere, se proprio nonci riuscite. Tanto l’esperimento non cambia:provate a dire il mondo con quei due verbi (tutta

la storia letteraria potrebbe essere riassunta nell’af-finamento tecnico con cui siamo riusciti a sosti-tuirli). Pensate un racconto in cui sempre il verbopiù esatto che potete trovare è il verbo essere: ben-venuti nel mondo della Kristof.

Naturalmente si potrebbe tradurre tutto questonel termine «freddezza», ma per come la vedo io laKristof è la scrittrice che, anzi, ha smascherato defi-nitivamente la freddezza come stilema letterario.Secondo me lei ha insegnato una volta per tutte cheesiste effettivamente un processo possibile di sot-trazione, nello scrivere, e che esso ha due risultatipossibili: nei mediocri, la freddezza, nei grandiscrittori, la verità. (Va da sé che, vivendo in un mon-do presidiato dai mediocri, le due cose risultanospesso, e tragicamente, equivalenti). La Kristof eratutto tranne mediocre.

Il che, peraltro, introduce una domanda che ha ache vedere con quell’effetto verità che trasuda dal-le sue pagine. La domanda è: ma è vero? Ma l’uma-no è davvero quell’orrore? Non sarà anche quellauna proiezione letteraria, uno stilema, una forma diretorica ben camuffata? A essere cattivi come i suoipersonaggi, la domanda te la devi fare. Ecco comerisponde la Kristof: ci sono due umani uno di fron-te all’altro e a un certo punto uno dice che lui scrive.Cosa?, chiede l’altro. Non ha importanza, dice il pri-mo. Ma l’altro insite: mi piacerebbe sapere se scri-ve delle cose vere o delle cose inventate. Ed ecco larisposta. «Le rispondo che cerco di scrivere dellestorie vere, ma, a un certo punto, la storia diventainsopportabile proprio per la sua verità e allora so-no costretto a cambiarla. Le dico che cerco di rac-contare la mia storia, ma che non ci riesco, non neho il coraggio, mi fa troppo male. Allora abbelliscotutto e descrivo le cose non come sono accadute,ma come avrei voluto che accadessero». Ed ecco, inquesto modo, enunciata una splendida teoria del-la letteratura. Scrivere libri significa puntare i piedidavanti alla verità, dopo averla vista. E’ la magnifi-cenza di un passo indietro, animale e di danza. Ov-viamente dovrebbe essere proibito a chi non di-spone della paura e dell’eleganza necessarie.

(Realizzatoche non si trattavadi Agatha Christiema di Agota Kristof,mi sono arreso ai milleche non potevano crederenon l’avessi mai letta)

ILLUSTRAZIONE DI: MANUELE FIOR

© RIPRODUZIONE RISERVATA

SULLO SCAFFALE

I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni

ALESSANDRO BARICCO

R

Open di Andre Agassi ** Le radici del Romanticismo di Isaiah Berlin ** Olive Kitteridge di Elisabeth Strout ** American Dust di Richard Brautigan ** Esercizi spirituali e filosofia antica di Pierre Hadot * * Il medico di cortedi Per Olov Enquist ** Fantozzi totale di Paolo Villaggio ** Democrazia: cosa può fare uno scrittore? di Antonio Pascale e Luca Rastello ** La donna nel XVIII secolo di Edmond e Jules de Goncourt ** Go down, Moses diWilliam Faulkner ** Anatomia di un istante di Javier Cercas ** Le api e i ragni di Marc Fumaroli ** Magellano di Stefan Zweig ** Storia delle idee del calcio di Mario Sconcerti ** La principessa sposa di William Goldman **Vergogna di J.M. Coetzee ** Nessun luogo. Da nessuna parte di Christa Wolf ** La guerra del Peloponneso di Donald Kagan ** La trilogia di Adamsberg di Fred Vargas ** Trilogia degli Aubrey di Rebecca West **Bangkok di Lawrence Osbome ** Divina di Gianni Clerici ** Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa ** La casa delle belle addormentate di Yasunari Kawabata ** Padre Pio. Miracoli e politica... di Sergio Luzzatto

I PRIMI25 TITOLI

Tutti i racconti westerndi Elmore Leonard

Colazione da Tiffanydi Truman Capote

Breve storia della vita privatadi Bill Bryson

La pelledi Curzio Malaparte

Discorso sul metododi René Descartes

Glenn Gould e la ricerca del pianoforte perfettodi Katie Hafner

Il Partenonedi Mary BeardLa ragazza che fa a pugnicon l’ombradi Inka Parei

L’opera struggente di un formidabile geniodi Dave Eggers

UNA CERTAIDEADI MONDO

infrescatisi un po’ con Erodoto, come detto, si puòtornare ad affrontare anche i testi più impervi. Adesempio questa Trilogia della città di K, il libro piùtriste che io abbia mai letto. Ma triste non è la pa-rola esatta, figlia com’è di una sfera sentimentalevagamente borghesuccia e per bene. Solo uno co-me me può definire triste la Kristof, mi rendo con-to. Quindi vado oltre, o almeno cerco di farlo. LaKristof pronuncia l’orrore del mondo, la tragediadell’esistere e la ferocia dell’umano. E in questo,per quello che ci capisco io, è la migliore. Non c’ènessuno come lei.

Va ricordato che una delle ambizioni che si amaattribuire alla letteratura sarebbe proprio questa:una maestria intransigente che si spinge nel cuorefetido del mondo e riesce a pronunciarlo. Per mol-ti, nella sua accezione più alta, la letteratura è, o do-vrebbe essere, questo. Una sorta di contronarra-zione che smaschera la giuliva rappresentazione

del mondo che altre narrazioni ci danno. Ma vor-rei ricordare che un simile precetto è rispettato damoltissima alta letteratura con una non evidentis-sima ma innegabile approssimazione. Diciamo inmodo piuttosto blando e conciliatorio. Ma te nerendi conto solo quando incontri la Kristof: la leg-gi e molti libri che sono, indubbiamente, feriteaperte, o suturate con atroce dolore, sfumano ablando entertainment. E’ incredibile come tuttoCéline diventi lo sfogo di un allegro barbone, se so-lo stai un po’ a mollo nella Trilogia della città di K.Proust uno che aveva tempo da vendere, Salingerun innocuo scrittore per ragazzi e Faulkner untrombone sudista. Non lo sono, ma quando staicon la Kristof, lo sembrano. Perfino La strada di

“La Kristof pronuncia l’orrore del mondoe lo fa usando semplicemente il verbo essere”

Il cortigiano e l’ereticodi Matthew Stewart

Chesil Beachdi Ian McEwan

Il dizionario del diavolodi Ambrose Bierce

Le storiedi Erodoto

Wolf Halldi Hilary Mantel

La cultura dei vintidi Wolfgang Schivelbusch

Tempi difficilidi Charles Dickens

Melancholiadi Jon Fosse

IL LIBROAgota KristofTrilogia della cittàdi K, Einaudi(trad. di ArmandoMarchi, VirginiaRipa di Meana,Giovanni Bogliolo)La fotodi Baricco è©LesAmp&rsands

Page 46: Una certa idea di mondo

RCULT■ 64DOMENICA 23 SETTEMBRE 2012

la Repubblica

re sicurezza nel sentirsi un popolo prima ancorache degli individui, la tentazione dell’antisemi-tismo, il culto per certe forme di élite dorata, lateorizzazione della gioventù come fuoco sacrodove ricomporre la purezza dell’esistere, Nietz-sche e Hölderlin, il nudismo e il mito del paesag-gio contadino, il culto della bellezza maschile ela passione per il canto polifonico: c’era già tut-to, nell’incubatrice tedesca, e da un sacco di tem-po. Ma va anche capito che ciascuna di quelletessere, di per sé, non aveva affatto il nazismo co-me necessario e inevitabile epilogo: come bigliesul panno della Storia potevano rotolare un po’dappertutto. Quel che fece il nazismo fu infilarletutte nella stessa buca, dando forma a un sinte-tico sistema mentale e poi politico che blindavatante passioni tedesche nell’ordine sferico di ununico proiettile di piombo. Per dire: Nietzsche –un pensatore in cui il nazismo trovò un sacco di

legna da ardere – io,cinquant’anni dopo,l’ho studiato sui ban-chi dell’universitàcome padre nobiledel pensiero debole:giuro che era abba-stanza di sinistra.Analogamente, vadetto che molti dei

protagonisti di quei movimenti di pensiero, semai fossero vissuti davvero sotto il nazismo sa-rebbero certamente finiti in galera o in esilio: in

certo modo portarono i mattoni per la costruzionedi una prigione che se li sarebbe facilmente ingoia-ti. Con questo non voglio dire che i tedeschi eranotutti buoni e che solo i nazisti erano cattivi: vogliodire «Guarda la meraviglia della storia della cultura,e come carambolano le idee, e che spettacolostraordinario è quello degli umani che seminanoidee e passioni che poi qualcuno miete riempiendoi granai della Storia: spesso di cibo avvelenato».

Naturalmente, di fronte a questo spettacolo,qualcosa bisognerebbe imparare, tanto per evitaredi rifare gli stessi errori. E qui è più complicato. Co-sa si impara da Mosse? Cosa mette allo scoperto, lui,che possa aiutarci a non sbagliare la prossima vol-ta? Io, personalmente, ho imparato una cosa, stati-stica: tutti i movimenti di pensiero che, in un modoo nell’altro, finirono per comporre l’ideologia nazi-sta nacquero come ribellione a una qualche moder-nità. Nascevano tutti dall’idea che l’incursione diun repentino futuro stava svuotando l’umano deisuoi principali valori, strappandolo via dalla suaautenticità. Naturalmente l’idea non era idiota: ineffetti spesso il progresso spinge l’uomo lontano dase stesso. Ma il tipo di reazione era molto meno con-divisibile: l’istinto era quello di ripristinare una cer-ta purezza dell’umano, mettendolo al riparo dallemutazioni dettate dal tempo. Così, quello che allafine mi è parso di imparare da Mosse, è un verdettoche bisognerebbe prendere sul serio: fino a quandoancora sarà percepibile il riverbero dell’apocalissenovecentesca, dovrebbe essere categorico, per gliumani, non ripetere l’errore di inchiodarsi davantialla modernità e di sospenderla nel tempo vuoto, epericolosissimo, di un ritorno alle origini. L’ultimavolta che ci siamo riscaldati al tepore di una simileutopia abbiamo combinato un disastro colossale.Non potremo certo fare di peggio, se solo accette-remo qualsiasi modernità come un campo apertoin cui mettere in gioco ciò in cui crediamo. Non unbaratro davanti a cui fuggire, ma una mappa appe-na accennata, in cui sarà un privilegio trascrivere inostri nomi, tutta la nostra storia e ogni bellezza cheabbiamo conosciuto.

(Se non lo leggi, mi dissero, del nazismo non capiraimai niente Un po’ troppo categorico,ma non così lontano dal vero)

ILLUSTRAZIONE DI: MANUELE FIOR

© RIPRODUZIONE RISERVATA

SULLO SCAFFALE

I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni

ALESSANDRO BARICCO

S

Open di Andre Agassi ** Le radici del Romanticismo di Isaiah Berlin ** Olive Kitteridge di Elisabeth Strout ** American Dust di Richard Brautigan ** Esercizi spirituali e filosofia antica di Pierre Hadot ** Il medico di cortedi Per Olov Enquist ** Fantozzi totale di Paolo Villaggio ** Democrazia: cosa può fare uno scrittore? di Antonio Pascale e Luca Rastello ** La donna nel XVIII secolo di Edmond e Jules de Goncourt ** Go down, Moses diWilliam Faulkner ** Anatomia di un istante di Javier Cercas ** Le api e i ragni di Marc Fumaroli ** Magellano di Stefan Zweig ** Storia delle idee del calcio di Mario Sconcerti ** La principessa sposa di William Goldman **Vergogna di J.M. Coetzee ** Nessun luogo. Da nessuna parte di Christa Wolf ** La guerra del Peloponneso di Donald Kagan ** La trilogia di Adamsberg di Fred Vargas ** Trilogia degli Aubrey di Rebecca West **Bangkok di Lawrence Osbome ** Divina di Gianni Clerici ** Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa ** La casa delle belle addormentate di Yasunari Kawabata ** Padre Pio. Miracoli e politica... di Sergio Luzzatto

I PRIMI25 TITOLI

Tutti i racconti westerndi Elmore Leonard

Colazione da Tiffanydi Truman Capote

Breve storia della vita privatadi Bill BrysonLa pelledi Curzio MalaparteDiscorso sul metododi René Descartes

Glenn Gould e la ricerca del pianoforte perfettodi Katie Hafner

Il Partenonedi Mary BeardLa ragazza che fa a pugnicon l’ombradi Inka PareiL’opera struggente di un formidabile geniodi Dave Eggers

UNACERTAIDEADI MONDO

arà anche banale, ma la domanda, pensando al na-zismo, e ancora sempre quella: ma come è statopossibile? Com’è potuto succedere proprio nelcuore della vecchia, civile, raffinatissima e coltaEuropa? E soprattutto: come ha fatto a essere sin-ceramente nazista gente molto normale, di buonsenso, medici da cui ti saresti fatto togliere senzaproblema le tonsille, vicini di casa che alle assem-blee di condominio portavano la torta fatta nel po-meriggio, simpatiche domestiche a cui avresti af-fidato i tuoi figli senza neanche pensarci un atti-mo? Che razza di follia li aveva colpiti?

Il libro di Mosse dà una risposta a questa do-manda, e io devo registrare il fatto che nessuna ri-sposta, mai, mi è sembrata pacata, intelligente,credibile, come la sua. Se la dovessi riassumerebrutalmente la pronuncerei così: non era una fol-lia, era l’adesione appassionata a un’ideologiache, magicamente, componeva ideali e convin-

zioni che da un sacco di tempo erano in circolo nelsistema sanguigno della sensibilità tedesca. Nonera una malattia mentale, ma una costruzionementale i cui ingredienti venivano da molto lonta-no. Per capire il nazismo bisogna capire quasi duesecoli di menti tedesche.

Se uno lo fa, e Mosse l’ha fatto, scopre i tanti af-fluenti che, spesso senza saperlo, portarono acquaal fiume devastante del nazismo, venendo giù dal-le vette o dalle colline della sensibilità tedesca: tut-ta la tradizione romantica, una certa vena mistica,le fantasticherie antico-germaniche, il culto dellanatura, certe bizzarre teorie su razze e destini, il na-zionalismo patriottico cresciuto a dismisura nellungo parto della Germania unita, l’istinto a trova-

“Sarà banale, ma la domanda sul nazismo è quella:ma come è stato possibile? Mosse dà una risposta”

Il cortigiano e l’ereticodi Matthew Stewart

Chesil Beachdi Ian McEwanIl dizionario del diavolodi Ambrose BierceLe storiedi ErodotoTrilogia della città di K.di Agota Kristof

Wolf Halldi Hilary MantelLa cultura dei vintidi Wolfgang SchivelbuschTempi difficilidi Charles DickensMelancholiadi Jon Fosse

IL LIBRO“Le originiculturali del TerzoReich” di GeorgeL. Mosse (IlSaggiatore, trad.di FrancescoSaba-Sardi). Lafoto di Baricco è©LesAmp&rsands

Page 47: Una certa idea di mondo

R CULT ■ 56DOMENICA 30 SETTEMBRE 2012

llaa RReeppuubbbblliiccaa

libro, ma cinque libri. E' una vicenda curiosa,uno di quei casi in cui lo scrittore si comporta co-me uno dei suoi personaggi (circostanza che famolto godere i lettori e molto irritare gli scritto-ri). Agli inizi degli anni '90, quando era più o me-no quarantenne, Bolaño seppe che probabil-mente non gli rimaneva molto da vivere (glielodissero dei medici, non una chiromante in Piaz-za Navona). Aveva una compagna e due figli.Così pensò bene di scrivere un po' di libri e di te-nerli lì, da parte, perché uscissero uno per unodopo la sua morte, così da mantenere la fami-glia, nel tempo (un personaggio da romanzo diBolaño, l'ho detto). Poi, in effetti morì, a cin-quant'anni, nel 2003, e quel che successe è che isuoi eredi, letti i cinque libri, pensarono che era-no un gesto solo, e decisero di pubblicarli tuttiinsieme, sotto un solo titolo, assumendosi unaresponsabilità non da poco. Il risultato è un uni-

co romanzo che necontiene cinque: ilrapporto tra loro èevanescente, a voltechiarissimo, spessoinesistente. Unaprossimità distante.Io, dico la verità, neho letti quattro sucinque. L'ultimo me

lo sono tenuto da parte, un po' perché eroschiantato, come ho avuto modo di dire, e unpo' perché tenerne uno per il futuro mi è parso

un omaggio tardivo, ma sincero, alle intenzioni diBolaño.

Mentre leggevo il primo, rapito, mi accadde chequalcuno mi chiedesse: di cosa racconta? Ricordobene la mia risposta: non lo so, non è importante.Adesso ritorno a quella risposta e mi piacerebbe ri-costruire il lungo percorso mentale che finii perraccogliere in sei parole, perché se ne fossi capaceallora potrei dire di avervi spiegato in cosa consistela bellezza di questo libro. Ma non è facile. Ricordoche il punto da cui partiva tutto era la prosa di Bo-laño, divinamente fluida, eppure esatta oltre ognidire: come se le cose, naturalmente, fossero desti-nate da sempre a diventare frasi. Nessuno sforzoapparente, nessuna frizione. Chiare, fresche, dol-ci acque: per pagine e pagine, collezionando gran-di storie e minimi dettagli senza increspare prati-camente mai il pelo dell'acqua. A quei livelli di lim-pidezza, il vero spettacolo diventa il disporsi dellestorie una accanto all'altra, o dentro l'altra, conuna mitezza che nella vita non risulta, e nei libri èsempre il risultato di un processo: lì invece eraqualcosa che si sostituiva a qualsiasi processo: eraun delizioso dato di fatto. Così, pur registrando cheil libro era pieno di storie (rigurgitava, in modostrafottente, di storie, per dirla tutta) quando michiesero cosa raccontava risposi come potrebberispondere uno chino su un puzzle da duemilapezzi alla domanda: cos'è?, montagne svizzere oun Rembrandt? Non lo so più, non è importante. E'il mite, morbido incastrarsi dei pezzi che è impor-tante: è l'irragionevole promessa, mantenuta, cheper ogni pezzo dell'esistente ce ne sono altri natiper stare accanto a lui, e per farlo con una morbi-dezza direttamente proporzionale alla fatica ditrovarli nel gran mucchio del tutto.

Comunque, nel caso di 2666, non si tratta né dimontagne svizzere né di un Rembrandt. Credo chesia una cosa tipo Il male. Ma non ci giurerei. Il ma-le e la delizia dei viventi, forse. O Il male e il misterodei viventi. Insomma, non lo so, di preciso. Maga-ri, il giorno che finirò il puzzle lo saprò. Nel caso, mifaccio vivo.

(Ne avevo sentitoparlare in Spagna comedi un libro leggendarioQuando finalmentel’hanno tradottoin italianoho capito perché)

ILLUSTRAZIONE DI: MANUELE FIOR

© RIPRODUZIONE RISERVATA

SULLO SCAFFALE

I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni

ALESSANDRO BARICCO

Q

Open di Andre Agassi ** Le radici del Romanticismo di Isaiah Berlin ** Olive Kitteridge di Elisabeth Strout ** American Dust di Richard Brautigan ** Esercizi spirituali e filosofia antica di Pierre Hadot * * Il medico di cortedi Per Olov Enquist ** Fantozzi totale di Paolo Villaggio ** Democrazia: cosa può fare uno scrittore? di Antonio Pascale e Luca Rastello ** La donna nel XVIII secolo di Edmond e Jules de Goncourt ** Go down, Moses diWilliam Faulkner ** Anatomia di un istante di Javier Cercas ** Le api e i ragni di Marc Fumaroli ** Magellano di Stefan Zweig ** Storia delle idee del calcio di Mario Sconcerti ** La principessa sposa di William Goldman **Vergogna di J.M. Coetzee ** Nessun luogo. Da nessuna parte di Christa Wolf ** La guerra del Peloponneso di Donald Kagan ** La trilogia di Adamsberg di Fred Vargas ** Trilogia degli Aubrey di Rebecca West **Bangkok di Lawrence Osbome ** Divina di Gianni Clerici ** Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa ** La casa delle belle addormentate di Yasunari Kawabata ** Padre Pio. Miracoli e politica... di Sergio Luzzatto

I PRIMI25 TITOLI

Tutti i racconti westerndi Elmore Leonard

Colazione da Tiffanydi Truman Capote

Breve storia della vita privatadi Bill Bryson

La pelledi Curzio Malaparte

Discorso sul metododi René Descartes

Glenn Gould e la ricerca del pianoforte perfettodi Katie Hafner

Il Partenonedi Mary BeardLa ragazza che fa a pugnicon l’ombradi Inka Parei

L’opera struggente di un formidabile geniodi Dave Eggers

UNA CERTAIDEADI MONDO

uel che ricordo bene è l'sms che un mio amicoscrittore (Dario Voltolini, uno che tra l'altro scriveda dio) mi mandò qualche settimana dopo che gliavevo ingiunto di leggere 2666. Ecco il testo: "Let-to Bolaño. Cambiato mestiere." Difficile essere piùesatti e concisi. In genere, se scrivi libri, leggere i li-bri dei contemporanei ti procura una certa auto-stima, talvolta ti stimola alla sfida, ogni tanto ti fapercepire amaramente i tuoi limiti: molto di radoti schianta. Io, se si parla di scrittori viventi, questabrutta esperienza l'ho fatta solo due volte: con Fo-ster Wallace e con Bolaño. Adesso voi direte chequei due sono morti, e se ci atteniamo alla realtàavete ragione, ma mi permetto di catalogarli tra iviventi perché chi muore a libri ancora caldi non èmorto davvero, o almeno così la penso io. Quindi,loro due. Che per molti versi mi viene sempre piùda tenere vicini nella memoria, ma solo in parteper il loro destino mozzato, e piuttosto per un'al-

tra caratteristica che li accomuna e li strappa fuo-ri dal gruppo: la strafottenza. La dismisura. Losfoggio impudente di bravura. Nei loro libri mi-gliori c'è molto di più di quello che sarebbe basta-to a sancire la semplice verità che a loro, quel ge-sto, riusciva molto meglio che agli altri. Evidente-mente non scrivevano per scalare classifiche, maper scalare il proprio talento, che poi sarebbe l'u-nico modo giusto di fare la cose.

Adesso dovrei forse spiegare in cosa consista lamagnificenza di 2666 ma volentieri rimando lacosa per annotare quel che è utile sapere della suagenesi. Intanto, non chiedetemi perché si intitolacosì, nessuno lo sa. Lui lo sapeva, pare, ma nean-che quello è sicuro. Seconda cosa, 2666 non è un

“Ecco 2666 è come un puzzle da duemila pezzie credo sia sul male e il mistero dei viventi”

Il cortigiano e l’ereticodi Matthew Stewart

Chesil Beachdi Ian McEwan

Il dizionario del diavolodi Ambrose Bierce

Le storiedi ErodotoTrilogia della città di K.di Agota KristofLe origini culturali del Terzo Reichdi George L. Mosse

Wolf Halldi Hilary Mantel

La cultura dei vintidi Wolfgang Schivelbusch

Tempi difficilidi Charles Dickens

Melancholiadi Jon Fosse

IL LIBRO“2666”di Roberto Bolaño(traduzione di IlideCarmignani,pubblicatoda Adelphi).La fotodi Baricco è©LesAmp&Sands

Page 48: Una certa idea di mondo

R CULT ■ 58DOMENICA 7 OTTOBRE 2012

llaa RReeppuubbbblliiccaa

sione americana: self service. In teoria, era un pas-so indietro: invece che essere servito, dovevi fareda te, senza che nessuno ti spiegasse niente, spin-gendo pure un carrello: ancora un po' e ti faceva-no fare le pulizie. Non ti portavano la spesa a casa,non ti salutavano per nome, non sapevano i tuoigusti. Quindi, sulla carta, una cavolata. Tuttavia iprezzi erano un po' più bassi, gli scaffali pieni diprodotti, la luce ben studiata, la disposizione del-le merci piuttosto spettacolare. Il carrello scivola-va bene sul pavimento pulito, e per qualche ragio-ne che non capivi, ma che doveva risalire a qual-che bella pubblicità o addirittura a un film ameri-cano visto una domenica, tu ti sentivi piuttosto fi-go, nello spingerlo, e improvvisamente così auto-nomo nel fermarti qua e non là, nel prenderequesto invece che quello, e forse addirittura libe-ro (sì, libero), un cittadino libero di scegliere quel-lo che voleva, e capace di farlo. Fare la spesa di-

ventava unaspecie di di-v e r t e n t eesercizio dimodernità,di intelligen-za, di indi-pendenza edi democra-zia.

Le cronache dicono che i primi tempi furonocomunque difficili, perché gli italiani si dimostra-rono più poveri e meno malleabili del previsto.

Ma, rimpiccioliti i carrelli e aggiunti qua e là un set-tore gelati e una friggitoria, le cose iniziarono a mar-ciare in modo inarrestabile. Richard W. Boogart pen-sò che ce l'aveva fatta quando, sulle ali dell'entusia-smo, un ospizio, a Firenze, portò sette ciechi a "ve-dere" un suo supermercato. Partita vinta. Da lì, laprogressione fu inarrestabile: il primo ipermercatoeuropeo è del '63 (un Carrefour in Francia); un annodopo, in un posticino vicino a Francoforte, aprì il pri-mo centro commerciale che non fosse sul suoloamericano. E così si ritorna a me che vado a compra-re sei bicchieri da vino, alla sensazione di disastro,ecc ecc.

Si dirà: ma nessuno intuì i rischi della cosa? Anchesu questo il libro della De Grazia è molto istruttivo.Quando Boogart aprì i suoi supermercati si trovò unsacco di gente contro. Molti difendevano i loro inte-ressi (il macellaio dell'angolo), molti cercavano untornaconto (tipico vezzo italiano) e molti intuivanole implicazioni ideologiche, cioè l'avanzata silenzio-sa del modello culturale americano (i comunisti, cheallora in Italia erano tanti). Tuttavia, nessuno riusci-va a trovare degli argomenti davvero convincenticontro i supermercati. I comunisti, che pure eranoabili in quel genere di cose, non riuscirono a trovareniente di meglio che denunciare come, non facendocredito, i supermercati discriminassero i più poveri,quelli che dal pizzicagnolo pagavano quando pote-vano: un po' poco per fermare la marea della mo-dernità. Così, l'assurda idea del supermercato si ri-velò una mossa per cui non c'erano risposte, e allalunga una delle mosse che portarono gli Stati Uniti avincere la partita culturale ed economica che si gio-carono con noi sulla scacchiera dell'Europa. Quellapartita è ormai scritta nella storia, e ripercorrerla, co-me fa questo libro, significa capire come l'invenzio-ne dei Rotary, della lavatrice, dei detersivi, del we-stern, della pubblicità e del 3x2 siano solo pezzi bian-chi manovrati da una specie di giocatore invisibile,che tuttavia sapeva cosa stava facendo, e che non sisarebbe fermato fino a quando non avrebbe vinto.

Che poi abbia vinto davvero, be', questa è un'altrastoria.

(Preso al volo,quando ho capitoche qualcunomi stava per spiegarecome mai avevoimparato a leggeresu “Topolino”)

ILLUSTRAZIONE DI: MANUELE FIOR

© RIPRODUZIONE RISERVATA

SULLO SCAFFALE

I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni

ALESSANDRO BARICCO

M

Open di Andre Agassi ** Le radici del Romanticismo di Isaiah Berlin ** Olive Kitteridge di Elisabeth Strout ** American Dust di Richard Brautigan ** Esercizi spirituali e filosofia antica di Pierre Hadot * * Il medico di cortedi Per Olov Enquist ** Fantozzi totale di Paolo Villaggio ** Democrazia: cosa può fare uno scrittore? di Antonio Pascale e Luca Rastello ** La donna nel XVIII secolo di Edmond e Jules de Goncourt ** Go down, Moses diWilliam Faulkner ** Anatomia di un istante di Javier Cercas ** Le api e i ragni di Marc Fumaroli ** Magellano di Stefan Zweig ** Storia delle idee del calcio di Mario Sconcerti ** La principessa sposa di William Goldman **Vergogna di J.M. Coetzee ** Nessun luogo. Da nessuna parte di Christa Wolf ** La guerra del Peloponneso di Donald Kagan ** La trilogia di Adamsberg di Fred Vargas ** Trilogia degli Aubrey di Rebecca West **Bangkok di Lawrence Osbome ** Divina di Gianni Clerici ** Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa ** La casa delle belle addormentate di Yasunari Kawabata ** Padre Pio. Miracoli e politica... di Sergio Luzzatto

I PRIMI25 TITOLI

Tutti i racconti westerndi Elmore Leonard

Colazione da Tiffanydi Truman Capote

Breve storia della vita privatadi Bill Bryson

La pelledi Curzio Malaparte

Discorso sul metododi René Descartes

Glenn Gould e la ricerca del pianoforte perfettodi Katie Hafner

Il Partenonedi Mary BeardLa ragazza che fa a pugnicon l’ombradi Inka Parei

L’opera struggente di un formidabile geniodi Dave Eggers

UNA CERTAIDEADI MONDO

agari per andare al cinema, ma una volta cercavosolo sei bicchieri da vino, e l'altro ieri un rastrello:si finisce in questi enormi centri commerciali chesono dei mondi, intubati in strutture architettoni-che insignificanti, rutilanti di un'umanità mista,dalla felicità indecifrabile, dalla disperazione illeg-gibile. Come si sa, io detesto gli apocalittici da sofà,per cui mi spiace perfino un po' registrarlo, ma cer-to che davanti a quello spettacolo uno ha l'insop-primibile istinto a pensare a un disastro. Poi ci si ra-giona su, e le cose vanno più o meno a posto: macerto che, sulle prime, quel che uno finisce perchiedersi è quando diavolo ci siamo distratti e ab-biamo permesso che tutto quello iniziasse. Chegiorno era, precisamente.

Io ho letto L'impero irresistibile e quindi lo so. Ilgiorno no, ma l'anno sì. 1957. L'anno in cui un cer-to Richard W. Boogart iniziò a setacciare Milano incerca del posto giusto per mettere su quella che, al

momento, era un'utopia e, col tempo, divenne l'i-nizio di tutto: il primo supermercato europeo. Lui,Boogart, veniva dal Kansas, lavorava per Rockfel-ler, e, a casa sua, girava in Cadillac e cappello dacowboy. Milano se la girò a piedi o, quando anda-va bene, in 500. Lavorò come una bestia, lui e i suoi,per mesi, ma alla fine, il suo supermercato riuscì adaprirlo. Qualche anno, e sarebbe diventato il fa-moso Esselunga.

Ora, per comprendere a pieno la portata dell'e-vento, è necessario immaginare l'effetto che un su-permercato poteva avere, ai tempi, in un mondosenza supermercati. Vi aiuto: nei supermercati tiprendevi le cose da solo. Era una cosa talmente as-surda che per definirla bisognava usare un'espres-

“Leggetelo per capire una delle mosse che portaronogli Usa a vincere la partita culturale in Europa”

Chesil Beachdi Ian McEwan

Il dizionario del diavolodi Ambrose Bierce

Le storie di Erodoto

Trilogia della città di K.di Agota Kristof

Le origini culturali del Terzo Reichdi George L. Mosse

Wolf Halldi Hilary Mantel

La cultura dei vintidi Wolfgang Schivelbusch

Tempi difficilidi Charles Dickens

Melancholiadi Jon Fosse

2666di Roberto Bolaño

IL LIBROVictoria De Grazia“L'imperoirresistibile”Einaudi(trad. di AndreaMazza e LucaLamberti)La fotodi Baricco è©LesAmp&rsands

Il cortigiano e l’ereticodi Matthew Stewart

Page 49: Una certa idea di mondo

R CULT ■ 58DOMENICA 14 OTTOBRE 2012

llaa RReeppuubbbblliiccaa

male che si blocca, in mezzo alla strada, per un atti-mo ti fissa, gli occhi metallici nella luce dei fanali, epoi scompare.

Sì, va bene, ma di cosa diavolo parla, direte? Giu-sto. Di tutto, mi verrebbe da dire, ma posso esserepiù preciso. Di barbieri, fisarmoniche, sottaceti,lucciole, zanzare, falegnami, autostrade, mercati,trattorie, sassetti incastonati nell’asfalto. Di Mila-no, di un circo. A un certo punto c’è anche Arbasi-no. È un tutto molto particolare che saprei solospiegare così: se ogni tanto vi è accaduto (succedeper lo più per stanchezza) di scivolare via dalla let-tura del mondo, dallo sforzo quotidiano e necessa-rio di leggere il mondo come fosse un testo da capi-re, allora sapete cosa significa vedere scivolare lon-tano qualsiasi senso complessivo, e magari sapetequalcosa di quell’improvviso sollievo che si prova –quasi una felicità – a vedere appoggiate davanti avoi, senza ormai scopo apparente, le lettere del

mondo – nonle parole,non le frasi –le lettere. So-no momentiin cui il rifles-so in unapozzanghe-ra, come hai n s e g n a t o

Salinger, può significare molto. Prendete quelle let-tere, posatele su fogli bianchi, poche alla volta, e, sesapete scrivere come Voltolini, scriverete un libro

come questo, ammesso che la cosa possa interessarvi.Il cui saper scrivere (di Voltolini) è anch’esso diffici-

le da definire, ma ad esempio potrebbe essere un pun-to di partenza il ripetere che non c’entra con lo scrive-re della poesia. Lui riesce a stare un passo oltre il direpuro e semplice, e un passo prima dell’acrobazia poe-tica. Lì in mezzo c’è una forma di bellezza che è di po-chi, e anche per quei pochi è una specie di esito prov-visorio, inanellato tra un fallimento e l’altro: tanto èprecario il suo stare. Non mi va di fare esempi, ma cer-to che a pagina 133, dove per slittamenti invisibili si èpervenuti in un ufficio postale, passa una ragazza che,direi io, ha gli occhi a mandorla. Un poeta, dal cantosuo, troverebbe sicuramente un’espressione bellissi-ma per sostituire alla semplicità rudimentale delle co-se il talento sublime del suo linguaggio. Tra me e il poe-ta, lì in mezzo, sta Voltolini. «…ma dietro un carrellocarico di scatoloni / una ragazza con i pantaloni attil-lati / spinge e strattona / ha occhi copiati da una man-dorla e nello sforzo semiassente / le rimane chiusa labocca minuta come un pistacchio… ».

Alle volte slitta in un’altra forma di scrittura celibe,quella delle canzoni. Sarò pazzo, ma ogni tanto leggoVoltolini e le parole si cantano da sole. «…fare l’amorea Genova / è un atto di umiltà / con tutto quel mare chesi versa sulla terra / con tutta la terra che scende nel ma-re / dalla finestra si vedono passare / a pochi metri le au-tomobili sospese…. ». Io già gli darei il Premio Tenco.Altre volte lo beccano incomprensibili furori e alloraparte in invettive irresistibili, «…avete vissuto vite sen-za sostanze / avete fatto cose senza senso / e vi piacevate/ vi inorgogliva sentirvi un po’ abbandonati / un po’ fuo-ri dal giro un po’ originali / tutto in minime quantità /sprecavate pomeriggi in case / vuote facendo ululare laFender Stratocaster / chissà cosa pensavate di fare / diessere / niente eravate niente avete fatto…», chissà co-sa lo prende, non si sa, ma è un attimo, poi torna a fis-sare le lettere del mondo, mitemente, una per una,«…un albero carico di limoni fa ombra sulla sedia la-sciata nel cortile / una sfera d’aria è impigliata nelle fo-glie…». È fatto così, e non c’è nulla che si possa fare ariguardo.

Oddìo, magari leggerlo, eccolo, quello sì.

(Letto e riletto,sempre senza saperecosa stavofacendo,ma conla certezzache lo sapesse lui)

ILLUSTRAZIONE DI: MANUELE FIOR

© RIPRODUZIONE RISERVATA

SULLO SCAFFALE

I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni

ALESSANDRO BARICCO

O

Open di Andre Agassi ** Le radici del Romanticismo di Isaiah Berlin ** Olive Kitteridge di Elisabeth Strout ** American Dust di Richard Brautigan ** Esercizi spirituali e filosofia antica di Pierre Hadot * * Il medico di cortedi Per Olov Enquist ** Fantozzi totale di Paolo Villaggio ** Democrazia: cosa può fare uno scrittore? di Antonio Pascale e Luca Rastello ** La donna nel XVIII secolo di Edmond e Jules de Goncourt ** Go down, Moses diWilliam Faulkner ** Anatomia di un istante di Javier Cercas ** Le api e i ragni di Marc Fumaroli ** Magellano di Stefan Zweig ** Storia delle idee del calcio di Mario Sconcerti ** La principessa sposa di William Goldman **Vergogna di J.M. Coetzee ** Nessun luogo. Da nessuna parte di Christa Wolf ** La guerra del Peloponneso di Donald Kagan ** La trilogia di Adamsberg di Fred Vargas ** Trilogia degli Aubrey di Rebecca West **Bangkok di Lawrence Osbome ** Divina di Gianni Clerici ** Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa ** La casa delle belle addormentate di Yasunari Kawabata ** Padre Pio. Miracoli e politica... di Sergio Luzzatto

I PRIMI25 TITOLI

Tutti i racconti westerndi Elmore Leonard

Colazione da Tiffanydi Truman Capote

Breve storia della vita privatadi Bill Bryson

La pelledi Curzio Malaparte

Discorso sul metododi René Descartes

Glenn Gould e la ricerca del pianoforte perfettodi Katie Hafner

Il Partenonedi Mary BeardLa ragazza che fa a pugnicon l’ombradi Inka Parei

L’opera struggente di un formidabile geniodi Dave Eggers

UNA CERTAIDEADI MONDO

h, la fragilità di questo libro. Non devo guardarlo trop-po, se no sparisce. Scriverò due frasi alla volta, poipausa: non vorrei incenerisse.

Ogni tanto lo scrivere è così, si arresta un soffio ol-tre il nulla, e in quel bordo raccatta le briciole che ro-tolano giù dalla tovaglia colorata dove le cose sono,rumorose e certe. Ma si potrebbe anche dire: a voltelo scrivere si arresta sul bordo del fiume, e sdraiato lì,un po’ pigro un po’ astuto, lascia che sia l’acqua a por-targli le cose rumorose e certe, dopo che hanno man-cato la vita. Questo libro, dal titolo lungo e il respirobreve, è una cosa e l’altra. Prima che sia troppo tardi,lo voglio infilare in questa catena di libri cui devo gra-titudine, perché tra tanti energumeni dello spirito emuscolari dell’anima, non potrei tollerare che man-casse un po’ di bellezza fragile, indigente: che idea dimondo sarebbe, se no? Non la mia.

Tanto per cominciare è mezzo bianco. Niente diavanguardistico, è che Voltolini (sì, quello di «Letto

Bolaño. Cambiato mestiere») va a capo ogni pocheparole, a volta anche due, una, per cui il libro risultacome in versi, e quindi mezzo bianco. Ma non è unapoesia, vi prego di credermi, non c’entra molto con lapoesia. La poesia ha comunque una sua forza deva-stante (quando vale qualcosa), invece qui è solo ilpasso millimetrico del vecchietto curvo che risale ilmarciapiede, è lo sguardo lento del bambino che fis-sa un albero, sono le scarpe lucide di un ballerino ditango al ralenti. Dice le cose, e le dice in quel modo,per 177 pagine, e senza un solo segno di punteggia-tura: solo quell’andare a capo. La prima parola ha lamaiuscola. Non c’è un punto dopo l’ultima.

Così è una specie di lampo lentissimo, senza primané poi. Quando nella notte, guidando, incroci un ani-

“Il libro di Voltolini è un lampo lentissimo,una forma di bellezza fragile che è di pochi”

Chesil Beachdi Ian McEwan

Il dizionario del diavolodi Ambrose Bierce

Le storie di Erodoto

Trilogia della città di K.di Agota Kristof

Le origini culturali del Terzo Reichdi George L. Mosse

Wolf Halldi Hilary Mantel

La cultura dei vintidi Wolfgang Schivelbusch

Tempi difficilidi Charles Dickens

Melancholiadi Jon Fosse

2666di Roberto Bolaño

L’impero irresistibiledi Victoria De Grazia

IL LIBRODario Voltolini“Le scimmie sonoinavvertitamenteuscite dallagabbia”FandangoLa fotodi Baricco è©LesAmp&rsands

Il cortigiano e l’ereticodi Matthew Stewart

Page 50: Una certa idea di mondo

R CULT ■ 56DOMENICA 21 OTTOBRE 2012

llaa RReeppuubbbblliiccaa

to. Se n’erano andati, tutti. Questa sì, era una co-sa che non conoscevano: era una mossa che nonavevano mai visto fare.

Per la cronaca, quel 22 giugno, lo zar Alessan-dro era occupato in una festa da ballo in un gra-zioso castello nei dintorni di Vilnius. I suoi gene-rali, per cui combattere contro Napoleone erauna cosa simile a giocare contro il Barcellona diGuardiola, avevano optato per una soluzione in-terlocutoria: prendere tempo, e organizzarsi.Così i 400.000 di Napoleone, pronti a sfondare laporta di ingresso alla Russia, trovarono la portaaperta: e la casa vuota. Vuota davvero: non solonon c’era un esercito ad aspettarli, ma neppurela gente. Tutti spariti.

Così si misero ad avanzare, piuttosto interdet-ti, in un deserto: devastati dall’estate russa, fattadi sole rovente e acquazzoni biblici. Non trova-vano acqua, non trovavano cibo, non capivano

cosa stavasucceden-do, e so-prattuttonon riu-scivano at r o v a r en e s s u n ocon cuimenar le

mani. Come ben sapeva Napoleone, gli eserciti,e soprattutto i suoi, sono animali che vivono nel-la lotta e deperiscono nell’attesa: un esercito che

non combatte è un esercito che sta perdendo. Pri-ma della fine del mese, Napoleone contò le perditee si rese conto che gli stessi uomini gli avrebbe per-si se avesse combattuto ogni giorno. Girava male.

Dovettero aspettare il 27 luglio per vedersi difronte, finalmente, l’esercito russo schierato. Si era-no appostati su un altopiano, a difesa della cittadi-na di Vitebsk. I francesi li guardarono, da lontano, ein quel modo i bambini guardano i regali di Natale,ancora impacchettati. Napoleone passò la giorna-ta a curare ogni particolare della battaglia. I suoi sol-dati ritrovarono in un amen tutta l’ardore per cuierano famosi e temuti. Andarono tutti a dormire inodore di gloria. La mattina si svegliarono, dibuon’ora, e i russi erano spariti. Nella notte aveva-no lasciato i fuochi accesi e se n’erano andati. Fu im-possibile perfino capire in che direzione fossero an-dati: non si erano lasciati dietro niente, né tracce, népersone da interrogare. Svaniti nel nulla.

Non è un partita affascinante? Be’, sappiate chequeste sono solo le mosse d’apertura, il bello è an-cora tutto da venire. Napoleone la giocò trovando-si di fronte un giocatore invisibile le cui mosse era-no incomprensibili. Non era facile neanche capirese quella guerra la stava vincendo o perdendo. Ladecisione che ripetutamente dovette prendere fuse fermarsi e dichiararsi vincitore, o continuare adavanzare fino a che lo zar non si dichiarasse scon-fitto. Sapeva che qualsiasi cosa avesse deciso, dove-va deciderla in fretta perché l’inverno russo loaspettava, come una trappola micidiale. Intorno alui aveva solo gente che riteneva una follia andareavanti, e che mai si sarebbe tirata indietro se luiavesse deciso di essere folle. Mi riesce difficile im-maginarmelo nella sua tenda, chino sulla scacchie-ra. Ma conosco uno dei suoi principi, che ho sem-pre trovato, nella sua semplicità, geniale: non esi-stono piani giusti e piani sbagliati e non esistono re-gole migliori di altre. Esistono piani che vincono, equelli stabiliscono le regole che gli altri, ingenua-mente, adotteranno come regole giuste.

Applicate alla vita quotidiana, e scoprirete chenon aveva affatto torto.

(Come si sarà capito,adoro i libri sullesconfitte. Certo nonpotevo trascurarela mirabile disfattadel più grandetra i vincitori)

ILLUSTRAZIONE DI: MANUELE FIOR

© RIPRODUZIONE RISERVATA

SULLO SCAFFALE

I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni

ALESSANDRO BARICCO

Q

Open di Andre Agassi ** Le radici del Romanticismo di Isaiah Berlin ** Olive Kitteridge di Elisabeth Strout ** American Dust di Richard Brautigan ** Esercizi spirituali e filosofia antica di Pierre Hadot * * Il medico di cor-te di Per Olov Enquist ** Fantozzi totale di Paolo Villaggio ** Democrazia: cosa può fare uno scrittore? di Antonio Pascale e Luca Rastello ** La donna nel XVIII secolo di Edmond Jules de Goncourt ** Godown Mosesdi William Falkner ** Anatomia di un istante di Javier Cercas ** Le api e i ragni di Marc Fumaroli ** Magellano di Stefan Zweig ** Storia delle idee del calcio di Mario Sconcerti ** La principessa sposa di William Goldman

** Vergogna di J.M. Coetzee ** Nessun luogo. Da nessuna parte di Christa Wolf ** La guerra del Peloponneso di Donald Kagan ** La trilogia di Hadamsberg di Fred Vargas ** Trilogia degli Aubrey di Rebecca West **Bangkok di Lawrence Osbome ** Divina di Gianni Clerici ** Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa ** La casa delle belle addormentate di Yasunari Kawabata ** Padre Pio. Miracoli e politica... di Sergio Luzzatto

I PRIMI25 TITOLI

Tutti i racconti westerndi Elmore Leonard

Colazione da Tiffanydi Truman Capote

Breve storia della vita privatadi Bill Bryson

La pelledi Curzio Malaparte

Discorso sul metododi René Descartes

Glenn Gould e la ricerca del pianoforte perfettodi Katie Hafner

Il Partenonedi Mary BeardLa ragazza che fa a pugnicon l’ombradi Inka Parei

L’opera struggente di un formidabile geniodi Dave Eggers

UNA CERTAIDEADI MONDO

uestastoria ha duecento anni esatti. Mi rendo con-to che bisogna glissare sulla marea di sofferenzeche è costata a umani come noi, ma resta il fatto checome vicenda è, da un punto di vista narrativo, ma-gnifica: questo libro la racconta benissimo, e pertutti è una bella occasione di scoprirne l’indimen-ticabile profilo.

A invadere la Russia, Napoleone ci finì, con400.000 uomini, per schiantare gli inglesi. Non eraun ragionamento molto lineare, e infatti pochissi-mi lo capirono. D’altronde non avevano le ideemolto più chiare quelli che marcirono nelle trinceedella Prima guerra mondiale, o i caduti del Viet-nam. Le partite tra i potenti alle volte sono così raf-finate da diventare assurde: macelleria surreale.

Partirono, comunque, e lo spettacolo dovevaessere accecante: per capirsi, tra gli ufficiali c’erachi si portava dietro la cristalleria, e centomila era-no i capi di bestiame che scolavano miti dietro al-

la grande colonna, come una sorta di dispensa mo-bile. Il resto ve lo potete immaginare. Napoleone,lui, era piuttosto sobrio: ma, per dire, si portò die-tro una bibliotechina da viaggio di tremila volumi.Dato che era un fanatico dei dettagli si era fattostampare tutto su carta molto leggera e marginipiccolissimi. E’ così che diventi il padrone delmondo.

Varcarono il confine il 22 giugno 1812: eranotantini, e visto che il confine era rappresentato daun fiume, ci misero tre giorni. Davanti a loro c’eraun paese sterminato, che non conoscevano e di cuinon esistevano neppure delle mappe decenti. Mafin qui, tutto sommato era una cosa accettabile.Quel che li lasciò secchi è che quel paese era vuo-

“Per i russi combattere contro Napoleone eracome giocare contro il Barcellona di Guardiola”

Chesil Beachdi Ian McEwan

Il dizionario del diavolodi Ambrose Bierce

Le storie di Erodoto

Trilogia della città di K.di Agota Kristof

Le origini culturali del Terzo Reichdi George L. Mosse

Wolf Halldi Hilary Mantel

La cultura dei vintidi Wolfgang Schivelbusch

Tempi difficilidi Charles Dickens

Melancholiadi Jon Fosse

2666di Roberto Bolaño

L’impero irresistibiledi Victoria De Grazia

"Le scimmie sono inavverti-tamente uscite dalla gabbia"di Dario Voltolini

IL LIBRO“Napoleone aMosca” di AnkaMuhlstein (BrunoMondadori,trad. di NanniCagnone)La fotodi Baricco è©LesAmp&rsands

Il cortigiano e l’ereticodi Matthew Stewart

Page 51: Una certa idea di mondo

R CULT ■ 54DOMENICA 4 NOVEMBRE 2012

llaa RReeppuubbbblliiccaa

Troppo cinematografico, aveva sentenziato Vit-torini (era il 1950). Vedi come è strana l’intelligen-za. Ci aveva visto giusto, ma non gli era passato perla mente che proprio il meticciato con il cinemaera quello che stava disarcionando la letteraturada se stessa, come ormai avevano insegnato gliamericani. La verità è che all’inizio degli anni cin-quanta Fenoglio faceva, con naturalezza, il tipo diletteratura che, trent’anni dopo sarebbe diventa-ta la nuova letteratura italiana. Era maledetta-mente avanti. Ma, come i veri profeti, era anchesontuosamente antico, con quella sua lingua du-ra, arcaica, petrosa, velatamente dialettale. Face-va cinema, ma un cinema nebbioso, contadino, escettico. Raccontava rapido, inquadrava da dio,scriveva dialoghi degni di un Hemingway, ma iltutto con una grammatica spigolosa, una voce ar-caica, e una musica da balera autunnale e lontana.Era il futuro e il passato, simultaneamente, era

città ec a m p a -gna, alba etramonto:una cosache riescea pochissi-mi.

N e l l aPaga del

sabato raccontò la storia di uno di quelli che, gio-vanissimi, erano tornati dalla Resistenza, e nellavita normale non si erano trovati più. Disadattati.

(Immagino che non fossero così contenti, ai tempi, difarsi raccontare storie del genere). Oggi, a bocce fer-me, è più facile riconoscere quel che di eterno, lì, Fe-noglio raccontava: la frizione fatale tra l’infinito del-l’immaginazione - della voglia, della speranza, dellagiovinezza, della fame - e la sterilità del mondo reale.Mi è molto chiaro che lui poteva farlo con quell’esat-tezza e quella poesia perché era piemontese. Vi faràsorridere, perché la piemontesità è un mito non per-venuto, ma noi che siamo nati lì sappiamo come aquella terra e alla sua gente è stata data in dote una co-noscenza inusuale di cosa sia il dolore: giacché danessuna altra parte, in Italia, si eredita di padre in fi-glio la stessa miscela di timidezza e ribellione, di co-raggio e modestia. Il mix è micidiale: siamo goffi al co-spetto della felicità, e dignitosi nelle avversità: cosìmanchiamo lo spettacolo della vita, spesso, ma ne ri-spettiamo la dignità come pochi altri. Ciò fa di noigente sfumata, spesso destinata ai titoli di coda. Se datutto questo traiamo un privilegio, questo è proba-bilmente un certo sguardo d’acciaio e dolcissimo suldolore, una specie di confidenza. Fenoglio è quellosguardo, lo è in ogni singola riga, e lo è con una preci-sione e una maestria che io non riconosco a nessunaltro.

(Be’ siamo anche meravigliosamente arroganti,con misura, e assurdamente severi, con arte. Ettore,si chiama il protagonista della Paga del sabato. Versola fine lo abbaglia una speranza, una specie di sognoprovinciale ma luminoso, vede un distributore, lun-go la strada, in mezzo alla campagna, una pompa dibenzina, nulla di più. Ma lucida, brillante. Allora siferma, la guarda, fa due conti, vede un futuro. Lui e lasua pompa di benzina. Un sogno. C’è un amico conlui, e anche lui si scalda, all’idea, e allora va lungo conl’immaginazione, e dice come sarebbe bello metteresu anche una tavola calda, accanto al distributore,come quelli che si vedono nei film americani, il di-stributore e la tavola calda. Non sarebbe fantastico?,dice.

La risposta di Ettore è lunga mezza riga. La mia ter-ra è tutta lì.

“No. Niente puzza di fritto nel mio distributore”.)

(Scoperto per caso,quando eroconvinto di averegià lettotutto Fenoglio.Una folgorantesorpresa)

ILLUSTRAZIONE DI: MANUELE FIOR

© RIPRODUZIONE RISERVATA

SULLO SCAFFALE

I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni

ALESSANDRO BARICCO

O

Open di Andre Agassi ** Le radici del Romanticismo di Isaiah Berlin ** Olive Kitteridge di Elisabeth Strout ** American Dust di Richard Brautigan ** Esercizi spirituali e filosofia antica di Pierre Hadot * * Il medico di cor-te di Per Olov Enquist ** Fantozzi totale di Paolo Villaggio ** Democrazia: cosa può fare uno scrittore? di Antonio Pascale e Luca Rastello ** La donna nel XVIII secolo di Edmond Jules de Goncourt ** Godown Mosesdi William Falkner ** Anatomia di un istante di Javier Cercas ** Le api e i ragni di Marc Fumaroli ** Magellano di Stefan Zweig ** Storia delle idee del calcio di Mario Sconcerti ** La principessa sposa di William Goldman

** Vergogna di J.M. Coetzee ** Nessun luogo. Da nessuna parte di Christa Wolf ** La guerra del Peloponneso di Donald Kagan ** La trilogia di Hadamsberg di Fred Vargas ** Trilogia degli Aubrey di Rebecca West **Bangkok di Lawrence Osbome ** Divina di Gianni Clerici ** Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa ** La casa delle belle addormentate di Yasunari Kawabata ** Padre Pio. Miracoli e politica... di Sergio Luzzatto

I PRIMI25 TITOLI

Tutti i racconti westerndi Elmore Leonard

Colazione da Tiffanydi Truman Capote

Breve storia della vita privatadi Bill Bryson

La pelledi Curzio Malaparte

Discorso sul metododi René Descartes

Glenn Gould e la ricerca del pianoforte perfettodi Katie Hafner

Il Partenonedi Mary BeardLa ragazza che fa a pugnicon l’ombradi Inka Parei

L’opera struggente di un formidabile geniodi Dave Eggers

UNA CERTAIDEADI MONDO

gni tanto, quando giro per il mondo, accade che michiedano chi sono per me i grandi della letteratura ita-liana. Si aspettano di sentirsi dire Calvino, perché lacosa li rassicura. Io, per perfidia, Calvino non lo citomai, e al posto dico: be’, naturalmente Fenoglio. Maiuna volta che ne abbiano sentito parlare. Proprio nonsanno chi sia. Si fanno ripetere il nome mille volte. Laprendono per una mia stranezza.

Lui, invece, grande lo era davvero, e il fatto che per-fino in Italia la cosa sia nota solo fino a un certo puntoè probabilmente la conseguenza del tipo che era, del-la sua strana vicenda editoriale, e della sua inesorabi-le piemontesità. Visse arroccato in un angolo del Pie-monte, mai combattivo riguardo ai proprio destini,sproporzionatamente dignitoso nel suo fare. Raccon-tava cose scomode, non prendeva volentieri il trenoper Roma, e morì troppo presto. Gente con la metà delsuo talento, adesso è sui libri di scuola. Sono cose chesuccedono.

I più sanno del Partigiano Johnny, ma probabil-mente il meglio che lui ha scritto è in alcuni suoi rac-conti, e forse nel romanzo breve Una questione priva-ta. Poi c’è una piccola setta che segretamente sa comestanno realmente le cose: il vero gioiello è La paga delsabato. Libro poco conosciuto, addirittura assentenella raccolta fatta dalla Pléiade. Vittorini, boss del-l’Einaudi, pensò bene di bocciarlo consigliando Fe-noglio di ricavarne un paio di racconti. Inspiegabil-mente Fenoglio ringraziò del consiglio e ubbidì. CosìLa paga del sabatoè finito in una specie di binario mor-to, dove mi ci è voluto un bel po’ per scoprirlo. Ricor-do di averlo iniziato senza particolari attese, giustocontento che ci fosse qualche rimasuglio fenoglianoda scoprire ancora: e invece era il libro perfetto.

“C’è un certo sguardo d’acciaio e dolcissimosul dolore. Questo, in ogni riga, è Fenoglio”

Chesil Beachdi Ian McEwan

Il dizionario del diavolodi Ambrose Bierce

Le storie di Erodoto

Trilogia della città di K.di Agota Kristof

Le origini culturali del Terzo Reichdi George L. Mosse

Wolf Halldi Hilary Mantel

La cultura dei vintidi Wolfgang Schivelbusch

Tempi difficilidi Charles Dickens

Melancholiadi Jon Fosse

2666di Roberto Bolaño

L’impero irresistibiledi Victoria De Grazia

"Le scimmie sono inavverti-tamente uscite dalla gabbia"di Dario Voltolini

IL LIBRO“La pagadel sabato”di BeppeFenoglio(Einaudi)La fotodi Baricco è©LesAmp&rsands

Il cortigiano e l’ereticodi Matthew Stewart

"Napoleone a Mosca" di Anka Muhlstein

Page 52: Una certa idea di mondo

R CULT ■ 52DOMENICA 11 NOVEMBRE 2012

llaa RReeppuubbbblliiccaa

bolizzare senza sgradevoli effetti secondari». E ineffetti con lo stesso tono scriveva di tutta la sua vi-ta, anche dei momenti incandescenti: «Desiderodedicare alcune pagine a mio padre che fu per mol-ti aspetti un uomo notevole». E due pagine dopo:«Non credo di essermi avvantaggiato molto, intel-lettualmente, dalla sua vicinanza; ma dal punto divista morale il suo esempio ha certo insegnato mol-to a tutti noi figli». Era uno che poteva riassumerecosì una delle più difficili prove dell’esistere, cioèavere un padre.

In un’altra pagina, che adoro, si attardò a regi-strare come la passione per il lavoro scientifico, coltempo, avesse finito per sottrargli quella certa sen-

sibilità artistica che,pure, da giovane ave-va. «La mia mente sem-bra diventata una spe-cie di macchina perestrarre delle leggi ge-nerali da una vasta rac-colta di fatti, ma nonriesco a capire perchéciò debba aver causatol’atrofia di quella parte

del cervello da cui dipende il gusto estetico». Mi pia-ceva Shakespeare, dice, mi ricordo distintamenteche da giovane mi piaceva da matti Shakespeare:adesso mi sembra una palla colossale («lo trovo co-sì insopportabilmente pesante da trarne disgusto»,sono le parole esatte). Se vivessi un’altra volta, con-clude, mi costringerei a leggere poesia e ascoltare

musica almeno una volta alla settimana, così rimarreicapace di gustarmele, come adesso invece non so fa-re. Dopo di che stacca una frasetta che detta da me var-rebbe niente, ma quello è Darwin, detta da lui io la tro-vo irresistibile, nel suo candore, nella sua semplicità:«La perdita di questi gusti è una perdita di felicità».

Sulla sua vita privata dice poco o nulla, e quella èun’altra lezione da imparare. C’è giusto un piccolo ca-pitolo, sul suo stile di vita, due paginette, e sono traquelle che amo di più. «Poche persone hanno fatto vi-ta più ritirata della nostra». Ma è la spiegazione, che micolpisce: «Nel primo periodo della nostra residenzafrequentavamo un po’ la società e ricevevamo amici,ma la mia salute risentiva quasi sempre di questa ec-citazione, tanto che sopravvenivano un violento tre-more e attacchi di vomito». Ora, solo un naturalista,ovviamente, poteva annotare nella sua autobiografial’entità esatta del tremore che lo coglieva quando ve-deva gli amici, senza soffermarsi sull’enormità dellacosa. Per Darwin era una semplice questione di causaeffetto, emozione – tremore, e non lo sfiorava nem-meno l’idea che un uomo costretto a vivere isolatoperché quando vede gli amici si emoziona fino a vo-mitare è una storia di sconcertante dolore, non unsemplice automatismo della natura: è una cosa che cipuoi scrivere un libro: lui le dedicò quattro righe. E sta-va parlando di se stesso, di anni di solitudine, di un nu-mero disarmante di serate passate nel silenzio e nell’i-solamento, santocielo. Quattro righe. Più tre: «Perciòfui costretto a rinunciare per molti anni a tutti i pran-zi, non senza risentire di questa privazione perché ta-li riunioni mi mettevano sempre di buon umore».Struggente.

(Mi chiedevo con che parola avrei terminato questaavventura lunga un anno, e adesso mi ritrovo questostruggente. Non so. Non è male ma certo, che so, la-vandinoo riflessomi sarebbero piaciuti di più. Più leg-geri, ecco. Anche lontano ci sarebbe stato bene. Obianco.

Ecco una cosa che non si riesce mai bene a control-lare: cosa rimane per ultimo, a galla, quando ciò che faiè stato fatto, e ciò che resta è il meritato sollievo di unaqualche fine).

(Trovato, usato,in una bancarella, per casoMa non credo che il casoesista quando si prendonolibri alle bancarelle)

ILLUSTRAZIONE DI: MANUELE FIOR

© RIPRODUZIONE RISERVATA

SULLO SCAFFALE

I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni

ALESSANDRO BARICCO

C

Open di Andre Agassi ** Le radici del Romanticismo di Isaiah Berlin ** Olive Kitteridge di Elisabeth Strout ** American Dust di Richard Brautigan ** Esercizi spirituali e filosofia antica di Pierre Hadot * * Il medico di cor-te di Per Olov Enquist ** Fantozzi totale di Paolo Villaggio ** Democrazia: cosa può fare uno scrittore? di Antonio Pascale e Luca Rastello ** La donna nel XVIII secolo di Edmond Jules de Goncourt ** Godown Mosesdi William Falkner ** Anatomia di un istante di Javier Cercas ** Le api e i ragni di Marc Fumaroli ** Magellano di Stefan Zweig ** Storia delle idee del calcio di Mario Sconcerti ** La principessa sposa di William Goldman

** Vergogna di J.M. Coetzee ** Nessun luogo. Da nessuna parte di Christa Wolf ** La guerra del Peloponneso di Donald Kagan ** La trilogia di Hadamsberg di Fred Vargas ** Trilogia degli Aubrey di Rebecca West **Bangkok di Lawrence Osbome ** Divina di Gianni Clerici ** Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa ** La casa delle belle addormentate di Yasunari Kawabata ** Padre Pio. Miracoli e politica... di Sergio Luzzatto

I PRIMI25 TITOLI

Tutti i racconti westerndi Elmore Leonard

Colazione da Tiffanydi Truman Capote

Breve storia della vita privatadi Bill Bryson

La pelledi Curzio Malaparte

Discorso sul metododi René Descartes

Glenn Gould e la ricerca del pianoforte perfettodi Katie Hafner

Il Partenonedi Mary BeardLa ragazza che fa a pugnicon l’ombradi Inka Parei

L’opera struggente di un formidabile geniodi Dave Eggers

UNA CERTAIDEADI MONDO

ome dicevo cinquanta libri fa, scrivere dei libri cheami è un modo di scrivere di te stesso, di come stai almondo, e per questo mi è grato concludere questa al-legra carrellata con un’autobiografia, senz’altro lapiù bella che io abbia letto in questi ultimi dieci anni.A scriverla fu Charles Darwin nel 1876, cioè sei anniprima di morire e sessantasette dopo essere nato. Lascrisse mettendosi al tavolino, ogni giorno, per un’o-ra, il pomeriggio: metodico. Non intendeva lasciarsiandare, nella luce del proprio tramonto, al valzer deisentimenti e dei ricordi: semplicemente si chinò sul-la propria vita come avrebbe potuto fare su un liche-no, e ne diede conto. Nello stesso modo con cuiavrebbe studiato le squame di una carpa del Borneo

(invento) mise in fila le tessere della sua vita, regi-strando costanti e anomalie, senza alcuna enfasiemotiva, ma sempre con l’affettuosa cura che loscienziato riserva ai propri oggetti di studio. Il risul-tato è una prosa pacata e dolce, talvolta infantile, maiinelegante, sempre precisa: vorrei comunicarvi uffi-cialmente che se mai vi accadesse di parlare di voistessi con quel tono lì, e di farlo con assoluta natura-lezza, in quel momento sarete salvi.

Del suo incomparabile lavoro di scienziato diedeuna definizione che io trovo meravigliosamente sin-tetica e pulita: «Fin dalla prima giovinezza ho conce-pito un vivo desiderio di capire o di spiegare tutto ciòche osservavo, cioè di raggruppare tutti i fatti sottoleggi generali». Tutto sommato si tratta dell’uomoche sbugiardò il Padreterno, e quindi una certa enfa-si se la sarebbe anche potuta concedere. E invece no:con lo stesso tono avrebbe potuto scrivere «Fin dallaprima giovinezza ho concepito una viva avversioneper il cavolo verza, non potendolo digerire o meta-

“Concludo questa allegra carrellata di libricon un’autobiografia: quella di Darwin”

Chesil Beachdi Ian McEwan

Il dizionario del diavolodi Ambrose Bierce

Le storie di Erodoto

Trilogia della città di K.di Agota Kristof

Le origini culturali del Terzo Reichdi George L. Mosse

Wolf Halldi Hilary Mantel

La cultura dei vintidi Wolfgang Schivelbusch

Tempi difficilidi Charles Dickens

Melancholiadi Jon Fosse

2666di Roberto BolañoL’impero irresistibiledi Victoria De GraziaLe scimmie sono inavvertita-mente uscite dalla gabbiadi Dario Voltolini

IL LIBRO“Autobiografia”di Charles Darwin(Einaudi, a curadi Nora Barlow,introd. di GiulioGiorello, trad.di Luciana Fratini)La fotodi Baricco è©LesAmp&rsands

IL 18 NOVEMBREIN EDICOLA“Una certa ideadi mondo. Imigliori 50 libriche ho lettonegli ultimi 10anni” diBaricco diventaun libro cheuscirà con“Repubblica”il 18 novembrea soli due euroin più rispettoal costo delquotidiano

Il cortigiano e l’ereticodi Matthew Stewart

Napoleone a Mosca di Anka Muhlstein

La paga del sabatodi Beppe Fenoglio