Un secolo di censura cinematografica in Italia · La censura, così come l'abbiamo descritta sino a...

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1 IL IL COMUNE SENSO DEL COMUNE SENSO DEL CENSORE CENSORE Un secolo di censura cinematografica in Italia La nascita della censura cinematografica in Italia I l rapporto che lega il cinema e la censura cinematografica, si può dire che sia ini- ziato sin dagli albori della cosiddetta set- tima Arte. Certo non da subito, cioè non dai primi, brevi filmati dei Fratelli Lumiére, essendo a quel tempo il cinema considerato alla stregua di una bizzarria da fiera paesana, tanto che gli stessi Lumiére lo bollarono come "un invenzione senza futuro". Ma pochi anni dopo quando, grazie a perso- naggi quali Georges Méliès in Francia o Edwin Porter negli Stati uniti, si iniziò ad affermare quella che oggi definiamo fiction, ecco che gli strati alti della popolazione, la high society, iniziarono ad inquietarsi per quella che considerarono una volgare attra- zione popolare che voleva ambire a una dignità artistica. Una dimostrazione dell'enorme potere sugge- stivo che aveva il cinema è rappresentata pro- prio dalla inquadratura del film di Porter The Great Train Robbery, in cui un pistolero punta la pistola verso l'obiettivo facendo esplode- re un colpo verso gli spettatori che, ignari, stanno assistendo alla proiezione e che restano letteral- mente terrorizzati per questo ina- spettato sviluppo del film. Questo episodio tante volte citato nelle varie storie del cinema, è da considerarsi simbolicamente un po' il punto di partenza del rapporto fra cinema e società morale. Ben presto il cinema lascia le fiere di paese e i tendoni da circo per trasferirsi all'interno di sale chiuse espressamente dedicate alla proiezione dei film. Parallelamente, con l'au- mentare delle sale cinematografiche, inizia- no sempre più a diffondersi sulla stampa reprimende da parte di giornalisti benpensan- ti e moralisti. Per fare alcuni esempi, sulla rivista Il Pungolo, un anonimo cronista si scaglia con- tro il cinematografo definendolo "uno spetta- colo immorale" che, in pochi anni, "compirà devastazioni nelle anime e nelle fantasie". Tutto ciò perché i film si proiettano al buio e "l'oscurità sollecita azioni indegne: in una sala di Roma, per esempio, un galante stu- dentino ha applicato un pizzicotto a una signora…". Da qui, a vere e proprie crociate contro il cinema, il passo è breve. Nel 1908 il quo- tidiano torinese La Gazzetta del Popolo, inizierà una accanita campagna di stampa contro il cinema che, si ritiene, evesse un'influenza sociale negativa, in quanto capace di aggregare Il pistolero di The Great Train Robbery che spara contro lo spettatore fu uno shock per il pubblico del tempo

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ILIL COMUNE SENSO DELCOMUNE SENSO DEL CENSORECENSOREUn secolo di censura cinematografica in Italia

La nascita della censura cinematografica in Italia

Il rapporto che lega il cinema e la censuracinematografica, si può dire che sia ini-ziato sin dagli albori della cosiddetta set-

tima Arte. Certo non da subito, cioè non daiprimi, brevi filmati dei Fratelli Lumiére,essendo a quel tempo il cinema consideratoalla stregua di una bizzarria da fiera paesana,tanto che gli stessi Lumiére lo bollaronocome "un invenzione senza futuro".Ma pochi anni dopo quando, grazie a perso-naggi quali Georges Méliès in Francia oEdwin Porter negli Stati uniti, si iniziò adaffermare quella che oggi definiamo fiction,ecco che gli strati alti della popolazione, lahigh society, iniziarono ad inquietarsi perquella che considerarono una volgare attra-zione popolare che voleva ambire a unadignità artistica.Una dimostrazione dell'enorme potere sugge-stivo che aveva il cinema è rappresentata pro-prio dalla inquadratura del film di Porter TheGreat Train Robbery, in cui un pistoleropunta la pistolaverso l'obiettivofacendo esplode-re un colpo versogli spettatori che,ignari, stannoassistendo allaproiezione e cherestano letteral-mente terrorizzatiper questo ina-spettato sviluppodel film.Questo episodiotante volte citatonelle varie storiedel cinema, è da

considerarsi simbolicamente un po' il puntodi partenza del rapporto fra cinema e societàmorale.

Ben presto il cinema lascia le fiere di paese ei tendoni da circo per trasferirsi all'interno disale chiuse espressamente dedicate allaproiezione dei film. Parallelamente, con l'au-mentare delle sale cinematografiche, inizia-no sempre più a diffondersi sulla stampareprimende da parte di giornalisti benpensan-ti e moralisti.Per fare alcuni esempi, sulla rivista IlPungolo, un anonimo cronista si scaglia con-tro il cinematografo definendolo "uno spetta-colo immorale" che, in pochi anni, "compiràdevastazioni nelle anime e nelle fantasie".Tutto ciò perché i film si proiettano al buio e"l'oscurità sollecita azioni indegne: in unasala di Roma, per esempio, un galante stu-dentino ha applicato un pizzicotto a unasignora…".

Da qui, a vere eproprie crociatecontro il cinema,il passo è breve.Nel 1908 il quo-tidiano torineseLa Gazzetta delPopolo, inizieràuna accanitacampagna distampa contro ilcinema che, siritiene, evesseu n ' i n f l u e n z asociale negativa,in quanto capacedi aggregare

Il pistolero di The Great Train Robbery che spara contro lospettatore fu uno shock per il pubblico del tempo

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masse soprattutto popolari.Alla Gazzetta del Popolo fa eco un paio dianni più tardi Il Corriere della Sera che defi-nisce il cinema come una deplorevole asso-ciazioni di immagini e considera i film comeromanzi per analfabeti, effimeri come la lorobreve durata.La violenta campagna di stampa, ovviamente,non passa inosservata. Ben presto, al corodegli accusatori si uniscono molti esponentipolitici, del clero e moralisti di ogni genere,mentre uno sparuto drappello di intellettuali,avendone intuito le enormi potenzialità arti-stiche, cerca di arginare le accuse difenden-do strenuamente il cinema.

Ma le critiche sempre più intense che piovo-no sul cinema, definito un attentato alla mora-lità pubblica per le "frequenti scene di adulte-ri, furti, suicidi, tresche lascive…", e la nasci-ta di comitati pro-censura, daranno lo spuntoper un intervento della classe politica. IlMinistero degli Interni, nel 1913, emana unaCircolare che fissa i criteri ai quali le autoritàdevono attenersi per il rilascio delle licenze aisoggetti operanti nella cinematografia, non-ché per il rilascio dei nulla osta alla circola-zione dei film, sia italiani, sia stranieri.Tale Circolare ministeriale sarà il mezzo concui prefetti e questori inizieranno a esercitareun'intensa e indiscriminata azione censoriache getterà nel panico i produttori cinemato-grafici che, pur di salvaguardare i propri inte-ressi, invocheranno opportunisticamente essistessi, a scapito della libertà di espressione,l'istituzione di una commissione giudicantedelle opere. Il risultato è l'emanazione di una nuovaCircolare ministeriale inviata ai prefetti conla quale si istituzionalizza, siamo nel 1913, lacensura preventiva, mediante la quale è pos-sibile autorizzare o vietare la circolazione diun film sul territorio nazionale.

Da questo momento si susseguono vari inter-venti governativi tesi a mettere a punto l'in-tervento censorio, sino al regio decreto del 9ottobre 1919 con il quale il Ministro degliInterni viene autorizzato a "sottoporre a revi-sione i copioni o scenari dei soggetti destina-ti a essere tradotti in pellicole cinematografi-che".Ecco, quindi, che la censura diventa effettiva-mente preventiva, con un'azione censoria cheviene esercitata a monte, direttamente suicopioni, mentre sino a quel momento, il con-trollo veniva esercitato solo sui film già ter-minati. In tal modo un'opera cinematograficarischia di venir bloccata addirittura prima delsuo nascere, evitando così al produttore diperder denaro nel caso in cui l'opera fosseritenuta sconveniente.Quando nel 1920 nascono le commissioni dicensura, sottraendo quindi ai funzionari dipubblica sicurezza il compito di revisionarele opere cinematografiche, la musica noncambia. Le fobie dei censori rimangono sem-pre le stesse. È soprattutto la sessuofobia afarla da padrona, con la persecuzione, oltreche delle scene esplicite di sesso, anche solodell'allusione a esse: baci insistiti, danzeammiccanti, didascalie pruriginose.Altri temi "scottanti" che regolarmente ven-gono colpiti dalla mannaia del censore sonoquelli legati alla cosiddetta scuola di violenzao di delitto. Pertanto viene regolarmente cen-surato ogni riferimento a effrazioni, furti conscasso, borseggi, raggiri. Vengono vietaterappresentazioni in cui compaiano "la camor-ra, la teppa, la barabba, la mano nera, gliapaches" e via dicendo.Ovviamente censurabili sono i riferimentialla corruzione dei dirigenti e funzionari distato e agli incidenti sul lavoro. Viene altresìeliminato qualsivoglia riferimento allaRivoluzione russa e al comunismo.

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La censura, così come l'abbiamodescritta sino a questo momento, nonera che un mero strumento in mano

alla classe politica dominante. Con l'avventodel fascismo le cose non cambiano molto.Infatti il fascismo decide di mantenere pres-soché invariata tale istituzione che trova asso-lutamente funzionale alla propria strategiapolitica. Le uniche modifiche avvengono alivello di composizione della commissione dicensura, nella quale entrano a far parte mem-bri del Partito nazionale fascista e rappresen-tanti dell'Istituto Luce e dell'Ente nazionaleper la cinematografia nonché le rappresentan-ti delle madri di famiglia.Solo successivamente il regime apporteràmodifiche sostanziali alla commissione,caratterizzandola sempre più apertamente insenso politico, sino a che lo stesso Mussoliniavocherà a sé le funzioni di censura per casi

particolarmente "delicati" quali, ad esempio, icapolavori della cinematografia sovietica,vera e propria ossessione del duce.

Verso la metà degli anni Trenta i cattolici, cheistituzionalizzeranno il Centro cattolico cine-matogafico, entreranno prepotentemente nelcontrollo preventivo dei film. Inizialmente ilCentro avrebbe dovuto essere solamente unostrumento di ingerenza morale. Tuttaviadiverrà ben presto un vero e proprio mezzo diintervento politico e ideologico, esercitandoun'azione capillare di controllo sull'interaproduzione cinematografica nazionale. Ilrisultato fu che più della metà dei film realiz-zati venne bocciata. L'azione dei censori sirivolgeva soprattutto all'erotismo o a temisociali, mentre venivano privilegiati soggettiche inneggiassero alle presunte italiche virtù.Sono ammesse soprattutto rappresentazioni

della violenza e di stragi, tese,però, a esaltare la politica colonia-le imperialistica dell'epoca.

Sempre in quegli anni, dopo unperiodo di crisi, al fine di risolle-vare l'industria cinematografica, ilregime decide di sostenere econo-micamente la produzione nazio-nale, sovvenzionando fra 1933 e il1937, i film italiani. A tale scopo,nel 1935, viene creata presso laBanca nazionale del lavoro unasezione per il credito cinemato-grafico. Ovviamente gli incentivistatali vengono elargiti lautamen-te solo a patto che i produttori siattengano scrupolosamente alleindicazioni dettate dalla censura.Ecco, quindi, che nasce unanuova e più temibile forma di cen-sura: la censura economica, che sistringerà come un cappio al collo

La censura ai tempi del fascismo

La locandina diAll’ovest niente dinuovo, il film di Lewis Mileston del1930 vietato in Italiadal regime fascista e“sdoganato” solo nel 1956.

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dei produttori cinematografici ogni qual voltaquesti tentino di agire in maniera diversa daquanto dettato dal partito.Contemporaneamente la Chiesa acquisiràsempre maggior potere nel controllo dei filmcon l'azione congiunta del Centro cattolicocinematografico e della fitta rete di sale par-rocchiali che si va formando in quegli anni.

L'azione censoria nel periodo fascista siabbatterà come un maglio su una infinità diopere italiane e straniere.Per quanto riguarda la produzione nazionale,a farne le spese sono soprattutto quei giovaniautori che tentavano, per quanto possibile, didifferenziarsi dai vecchi cineasti affermati edi regime. I vari Lattuada, Visconti,Antonioni, De Santis si vedono, a varie ripre-se, bocciare i propri progetti, in quanto i cen-sori avvertono il pericolo devastante dellarappresentazione di temi tratti dalla realtà(quello che sarebbe divenuto, di lì a poco, ilNeorealismo).Anche la trasposizione cinematografica diromanzi invisi al fascismo incontra non pochiostacoli: Lattuada nel 1942 si vede bocciare ilprogetto di realizzazione di un film tratto daGli indifferenti, di Moravia. Visconti, che conOssessione decide di ridurre per lo schermo ilnoir americano Il postino suona sempre duevolte, di James Cain, incontra enormi diffi-coltà tanto che, alla sua uscita a Bologna, l'o-pera viene subito ritirata dalle sale e seque-strata, mentre l'arcivescovo a Salsomaggiore

accorre a benedire il cinema nel quale è stataproiettata.Sorte migliore non ebbero i film stranieri,anzi! A molte opere di qualità non viene pro-prio concessa la possibilità di essere vista inItalia.Ovviamente vengono vietati i capolavorisovietici, in quanto considerati altamentesovversivi. Analogamente viene vietata l'im-portazione di film con una forte carica pacifi-sta che denunciano l'orrore della guerracome, ad esempio, All'ovest niente di nuovo,film americano del 1930 per la regia di LewisMilestone, tratto dal capolavorio letterarioNiente di nuovo sul fronte occidentale diErich Maria Remarque; oppure Addio allearmi di Borzage, tratto dall'omonimo roman-zo di Ernest Hemingway. Addirittura il filmdi Milestone sarà visibile in Italia solo nel1956! Analoga sorte ebbero i film del reali-smo poetico francese, fra i quali, giusto percitare i più famosi, Alba tragica e Il portodelle nebbie, entrambi di Marcel Carné o icapolavori di Jean Renoir, considerati pessi-misti e disfattisti, nonché assai sovversivi.Sorte diversa ebbero i film di CharlieChaplin: quando arrivò in Italia Tempimoderni Mussolini, che lo volle visionarepersonalmente, per timore di adottare unprovvedimento impopolare ne permise la cir-colazione, limitandosi a imporre il tagliodella scena in cui Charlot si nutre, inavverti-tamente, di cocaina.

Tempi moderni, un film risparmiato dal fascismo

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Dal primo dopoguerra agli anni Sessanta

Il vento di libertà che soffiò sull'Italia allafine della Seconda guerra mondiale, portònel nostro paese tutti quei film, americani,

sovietici, francesi, ecc., sino a quel momentovietati dal regime.Al contrario il cinema italiano è quasi com-pletamente assente. Gli studi di Cinecittàridotti a ricovero per sfollati, i residui dellescenografie usati per accendere fuochi a cuiscaldarsi. La pellicola scarseggia e i produtto-ri sono restii a investire soldi nei film. Fra ipochi a non scoraggiarsi, recuperando pelli-cola di scarto e scendendo a girare diretta-mente nelle strade è Roberto Rossellini che,con Roma città aperta, realizza in condizio-ni di estrema difficoltà una delle pietre milia-ri della storia del cinema mondiale.La voglia di cambiamento dopo gli anni buidella dittatura e della guerra porta, per quan-to riguarda la censura cinematografica, all'a-brogazione di molte delle norme in materiaintrodotte in Italia fra il 1923 e il 1945.Soprattutto viene cancellata la censura pre-ventiva, pur restando in vigore il regolamen-to che norma il controllo governativo sulleopere cinematografiche.

Non passerà,però, molto tempoprima che ilgoverno approvila legge 379 del16 maggio 1947che, in sostanza,eredita dal fasci-smo la normativaessenziale sullacensura.Se a questo siaggiunge chemolti zelanti cen-sori attivi ai tempidel regime riesco-

no a riciclarsi nel nuovo corso democristia-no, si comprende come, in realtà, poco o nullasia cambiato da quando l'Italia vestiva incamicia nera.Tutto questo è ironicamente descritto ne Ilcensore, episodio tratto dal film di DomenicoPaolella Gran varietà (1954), dove RenatoRascel interpreta la parte di un attore di avan-spettacolo spesso censurato da un funzionariodella Commissione censura durante il fasci-smo (il censore è interpretato dallo stessoRascel) e che, finita la dittatura, continuerà aessere censurato dal medesimo censore, rici-clatosi democristiano.

A questo "nuovo corso" si adeguarono i pro-duttori cinematografici che, sull'esempio delfamigerato Codice Hays americano, varanoun Codice di autocensura per prevenire e,nello stesso tempo, accattivarsi l'operato deicensori. Un codice che, in ogni caso, verràreso inutile dalla Legge 379/47.

Sarà la Democrazia cristiana a tentar con suc-cesso di legittimare, con la benedizione delloStato e con crociate per la moralizzazione delcinema italiano, il potere cattolico in ambito

Anna Magnani el’allora sottose-gretario allo spet-tacolo GiulioAndreotti al festi-val del cinema diVenezia del 1948

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cinematografico. Quello stesso potere che icattolici avevano già instaurato a partire daglianni Trenta.Negli anni Cinquanta l'influenza dei cattolicicrescerà a dismisura grazie anche al già cita-to reticolo di sale parrocchiali che ormaicoprono capillarmente il territorio della gio-vane repubblica. Addirittura, nel 1953, arri-veranno a rappresentare un terzo dell'interocircuito nazionale di sale cinematografiche,grazie anche ai copiosi finanziamenti elargitidallo Stato.Quindi, poiché l'esclusione di un film dal cir-cuito parrocchiale avrebbe avuto conseguen-ze nefaste per la vita del film stesso, è facilecomprendere quale importante ruolo avesse ilCentro cattolico cinematografico nel decreta-re l'ammissibilità o meno di una pellicola. Siarriverà al punto che un rappresentante delCentro verrà illegalmente ammesso alle sedu-te della Commissione censura, facendo cosìassumere un'importanza enorme allaPontificia commissione dello spettacolo laquale avrà, in concreto, il potere di deciderese un film può o non può aspirare al nulla ostagovernativo per la circolazione nelle sale.

Fra i personaggi che, in maniera sottile,hanno contribuito a rendere più raffinato ilcontrollo censorio, ci fu l'allora giovane sot-tosegretario allo Spettacolo Giulio Andreottiil quale, in un intervento alla Camera datato1948 disse: "non basta un'eventuale azione dicensura (…); la censura è come la pena. È unrimedio estremo, che però non sana le cause;(…) noi dobbiamo incoraggiare una produ-zione sana, moralissima e, nello stessotempo, attraente", che in pratica, voleva direche il governo avrebbe concesso aiuti finan-ziari all'industria del cinema solo nel caso incui questa avesse "moralizzato" i suoi pro-dotti. Quindi, per Andreotti, che nella Chiesaaveva contatti molto influenti, bisognavaesercitare una pressione su quei registi sco-modi, i vari Rossellini, Visconti, De Sica che,

con i loro film neorealisti, "rischiavano" dielevare il livello culturale degli italiani, abi-tuandoli a vedere ciò che realmente accadevain quegli anni nel Paese.

Sono anni in cui i censori non sono altro cheun mero strumento nelle mani del potere poli-tico-religioso. Anni in cui a soccombere sonoi registi non allineati, quelli che si rifiutano diaccettare "i consigli" che giungono dagliambienti ecclesiastici: di evitare, cioè, parti-colari tematiche, tra le quali le meno graditeerano, pare incredibile, la Resistenza partigia-na, la guerra, il fascismo. Svariati problemi con la censura li avrannofilm di chiaro stampo neorealistico che rac-contano la realtà italiana fatta di miseria,furti, prostituzione.Ad esempio al film di Vergano Il sole sorgeancora viene concesso il visto di censura inritardo e viene eliminata una scena in cui unmilitare sbandato si rifugia in un bordellovestito da prete. A Sciuscià di Vittorio DeSica si vieta il permesso di essere esportatoall'estero.Tutto ciò è comprensibile se si pensa che,come detto, nelle commissioni censura sonorientrati a pieno titolo ex gerarchi fascisti rici-clatisi democristiani.

Altro caso illuminante circa il clima che sirespirava in quegli anni fu il caso di RenzoRenzi autore, nel 1953, di un articolo sullarivista Cinema Nuovo. Viene arrestato e poicondannato da un tribunale militare insiemeal suo direttore Guido Aristarco, perchè nel-l'articolo, dal titolo L'armata s'agapò (s'a-gapò in greco vuole dire "ti amo"), propone-va la realizzazione di un film sull'occupazio-ne italiana in Grecia durante la Guerra. Il filmavrebbe dovuto mostrare come i soldati ita-liani, anziché comportarsi da conquistatoricome gli alti vertici militari avrebbero volu-to, incapaci di comprendere il senso di unaguerra assurda dessero invece sfogo "a un

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caratteristico istinto nazionale: il gallismo"andando con le donne greche che, affamate, siconcedevano per una pagnotta.La condanna di Renzi e Aristarco volle esse-re esemplare, tanto che convinse molti registia rinunciare, almeno per il momento, ai pro-getti di film sulla Resistenza e a tematicaanti-fascista.

L'elenco dei film "interdetti" o che comunquehanno avuto problemi con la censura, in que-gli anni è sterminata. Si tratta di pellicole siaitaliane che straniere, e difficile sarebbe elen-carle tutte.Tra i casi più eclatanti, per quanto riguarda lafilmografia straniera, ricordiamo ancora unavolta All'ovest niente di nuovo, il film diMilestone già vietato durante il fascismo acui viene nuovamente negata l'uscita suglischermi italiani nel 1950, questa volta daGiulio Andreotti.Altri titoli vietati dalla censura furono Diesirae di Dreyer, La ronde di Max Ophüls,Casco d'oro di Jacques Becker, Nodo alla

gola di Hitchcock e molti altri ancora.Ampiamente tagliati risultarono essereDuello al sole di King Vidor, Manon diClouzot. Furore di John Ford viene ammessoalla programmazione solo aggiungendo unadidascalia iniziale che specifica che gli avve-nimenti narrati si riferiscono a molti anniprima e che il film dimostra la superioritàdella democrazia americana.

Non hanno miglior sorte i film italiani, bersa-gliati oltre che dalla censura, anche da uncerto tipo di stampa.Miracolo a Milano, il film di De Sicaambientato fra i barboni di Milano, è oggettodi severe critiche da parte di Gian LuigiRondi, famoso critico cinematografico eGiovan Battista Amaduzzi, professore di sto-ria e filosofia che, sulle colonne de Il Tempo,lo tacciano di filobolscevismo, cosa che faanche un corsivista dell'Europeo che, alladomanda su dove vanno i barboni in groppaalle loro scope nel finale del film, si risponde:"si dirigono verso la porta orientale, la stra-

Una scena del film di VittorioDe Sica Umberto D.

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da che porta dalla Lombardia all'Austria,dall'Austria all'Ungheria e dall'Ungheriafinalmente in Russia", dimostrando, per lomeno, di aver ben chiara la geografia euro-pea.

Umberto D., altro capolavoro di Vittorio DeSica, storia amara sulla solitudine e sullamiseria dell'Italia del dopoguerra, è oggettodi un profondo attacco da parte del sottose-gretario allo Spettacolo Giulio Andreotti chesulle pagine di Libertà, un quindicinale dellaDemocrazia cristiana, conclude un suo artico-lo scrivendo: "E se è vero che il male si puòcombattere anche mettendone a nudo gliaspetti più crudi, è pur vero che se nel mondosi sarà indotti - erroneamente - a ritenere chequella di Umberto D. è l'Italia della metà delventesimo secolo, De Sica avrà reso un pessi-mo servizio alla sua patria, che è anche lapatria di Don Bosco, del Forlanini e di unaprogredita legislazione sociale". Andreottitermina l'articolo auspicando un "ottimismosano e costruttivo". Cioè se l'Italia del dopo-guerra è ridotta a tutta questa drammaticamiseria che si vede nel film, facciamo finta diniente. Ottimismo, signori. Ottimismo. E lemagagne del bel paese nascondiamole agliocchi degli spettatori, come si nasconde la

polvere sotto il tappeto.

Le cose certo non migliorano quando a dive-nire ottosegretario allo Spettacolo è OscarLuigi Scalfaro, futuro Presidente dellaRepubblica. Di Scalfaro, del quale si ricordal'episodio in cui, pare, schiaffeggiò in unristorante una signora colpevole, a suo dire,di mostrare un decolleté particolarmentegeneroso. Ma il suo oscurantismo si percepìfin dal suo primo discorso da sottosegretario,quando affermò di non considerare ammissi-bile che in un film venisse svilito e umiliatol'ideale di patria e che non avrebbe tolleratooffese alla religione.D'altra parte anche il papa, l'allora Pio XII,intervenne per dichiarare che la censura civi-le e quella ecclesiastica con la proibizione diuna determinata opera se necessario, sonogiustificate dal diritto di difendere il comunepatrimonio civile e morale.

Nel frattempo monta la protesta dei registi.Soldati, Visconti, Rossellini, De Santis,Lattuada, Comencini, Blasetti e molti altri:tutti si scagliano contro quel sistema di cen-sura ufficiale ma, contemporaneamente, defi-niscono ancor più pericolosa la censura pre-ventiva attuata dai produttori.

Il grido, di MichelangeloAntonioni

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Tutto il fronte dei registi è unito. Non lo sonoinvece i partiti politici che si spaccano ancheal proprio interno quando viene approvata, il31 luglio 1956, la legge generale sulla cen-sura, che stabilisce un termine (il 31 dicem-bre 1957) entro il quale dovranno essere abo-lite le leggi di origine fascista del 1923 inmateria di censura.Di proroga in proroga tale termine slitteràsino al 30 aprile 1962, quando viene votata lalegge 1312, che prevede nuovamente com-missioni allargate e il sostanziale manteni-mento del controllo governativo sui film.Nel frattempo molti altri film cadono sotto leaffilate lame della censura. È il caso de Ilgrido, di Michelangelo Antonioni e di Lenotti di Cabiria, di Federico Fellini.La pellicola di Antonioni dopo varie vicissi-tudini, uscirà con una scena tagliata, fonda-mentale per la comprensione del film, in cuiuna bambina diventa spettatrice turbata del-l'amplesso fra il padre e la sua amante.Per quanto riguarda il film di Fellini, chenarra le vicissitudini della prostituta Cabiria,interpretata da Giulietta Masina che, ingenua-mente, crede nella possibilità di cambiar vita,a dar fastidio ai censori fu la scena in cuiCabiria si reca in pellegrinaggio al Santuariodel Divino Amore.Tale scena, che offenderebbe il sentimentoreligioso dei cattolici, avrebbe dovuto essereeliminata. Tuttavia Fellini, che non volleseguire il consiglio, si rivolse a un suo buonamico, il padre gesuita, nonché filosofoappassionato di cinema Angelo Arpa, il qualesi adoperò affinché il film venne sottoposto invia preventiva alla visione del cardinale Siri,autorità ecclesiastica molto influente in mate-ria di censura. Al termine della proiezione privata Siri simostrò estremamente commosso dalle vicen-de di Cabiria, tanto che commentò: "Questepovere creature fanno anche pietà" dando, difatto, il benestare per l'uscita del film chearrivò poi a vincere l'Oscar come miglior film

straniero.

L'affermarsi della televisione verso la metàdegli anni Cinquanta come mezzo di diffusio-ne di massa, causerà una crisi del cinema chevedrà calare le presenze degli spettatori afavore di trasmissioni diventate popolarissi-me come, ad esempio, Lascia o raddoppia, ilquiz televisivo di Mike Bongiorno.Per tentare di arginare in qualche modo que-sto calo di pubblico, si allenteranno tempora-neamente, a partire dal 1956, le maglie dellacensura, allo scopo di consentire la libera cir-colazione di materiale considerato prurigino-so, in maniera tale da invogliare gli spettatoria frequentare maggiormente le sale cinemato-grafiche.Ad approfittarne saranno numerose operestraniere, sino a quel momento vietate inItalia, come i già citati La ronde, All'ovestniente di nuovo, Dies irae, Nodo alla gola,mentre pochi o nessun problema avrannonuovi film come Piace a troppi di RogerVadim, con una conturbante Brigitte Bardot(anche se nella versione italiana venne cam-biato il titolo originale Et Dieu créa lafemme); La ragazza Rosemarie, del tedescoRolf Thiele, storia che narra dell'uccisione diuna prostituta e fornisce un ritratto impietosodell'alta borghesia tedesca, mettendo in crisil'immagine della Germania di Adenauer;Peccatori in blue jeans, di Marcel Carné,ritratto, per altro mal riuscito, della gioventùbruciata di St. Germain des Prés.

Tuttavia questa apparente ondata di liberaliz-zazione durerà poco. Il critico Gian LuigiRondi, con una lettera indirizzata a GiulioAndreotti e pubblicata proprio su un periodi-co andreottiano, si scaglia scandalizzato dallagran quantità di opere immorali in circolazio-ne, contro i film di Vadim e Thiele, La ragaz-za del peccato, di Claude Autant-Lara e anchecontro La ronde che lui stesso aveva premia-to al Festival di Venezia, chiedendo ad

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Andreotti se gli è noto che nelle sale "usciràpersino 'La ronde', il film di Max Ophüls che,come critico io ho premiato a Venezia ma chetu, come sottosegretario, molto opportuna-mente hai poi proibito".L'ansia di moralizzazione, tuttavia, non colpi-sce solo gli addetti al mestiere, come Rondi.Anche privati cittadini si ergono a paladinicostituendosi in comitati, come quellodell'Associazione dei padri di famiglia,capeggiato da un tal Agostino Greggi cheacquisterà in tal modo notorietà, arrivando aguadagnarsi un posto come Assessore al

Comune di Roma e poi, addirittura, comeministro. La figura di Greggi verrà sbeffeg-giata da Alberto Sordi nel film del 1959 Ilmoralista, con la regia di Giorgio Bianchi.

Quelli a cavallo fra i Cinquanta e i Sessantasaranno anni estremamente difficili per i pro-dotti cinematografici e molti film verrannocolpiti dalla furia censoria, come accade a Lagrande guerra di Mario Monicelli e, soprat-tutto, ad altri due capolavori della cinemato-grafia italiana: La dolce vita di Fellini eRocco e i suoi fratelli di Visconti.

Giulietta Masina in una scena del film di Federico Fellini Le notti di Cabiria

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Nel 1960 due film italiani salgono allaribalta della cronaca, e non solo per iloro indiscutibili meriti artistici, ma

perché vanno a incidere profondamente sulcostume italiano.Si tratta di La dolce vita del regista nato aRimini Federico Fellini e di Rocco e i suoifratelli del milanese Luchino Visconti.Proiettato in prima nazionale il 5 febbraio1960 a Milano presso il cinema Capitol, ilfilm di Fellini viene interrotto dal alcuni spet-tatori che urlano: "È una indegnità, è unaporcheria, è una falsità. Viva l'Italia!". Ilregista, all'uscita del cinema, è fatto oggettodi insulti, sputi, accuse di voler gettare l'Italiain mano ai bolscevichi. Nei giorni seguenti Fellini riceve centinaia ditelegrammi pieni di insulti e di accuse. Siindignano giornali fascisti, associazioni cat-toliche, l'Osservatore romano. Addirittura ilConsiglio araldico nazionale accusa Fellini diaver offeso la classe nobiliare. Si ergono a paladini della moralità e a difesadell'immagine della patria giornalisti fascisti,preti cattolici, sindaci, deputati dei partitidella destra. Ovviamente, a tale gazzarra, nonpuò mancare il pretore di turno, in questocaso quello di Novara, che decide di chiuderela sala dove il film era in programmazione.

Agostino Greggi scomoda le buonanime diMazzini e Cavour chiedendosi che cosaavrebbero mai detto questi padri fondatoridell'Italia se avessero visto il film.Tutta quest'agitazione fa da gran cassa pub-blicitaria al film. Frotte di spettatori si recanoal cinema per poterlo vedere. I maggiori quo-tidiani hanno titoli su quattro colonne. Ilministro dello Spettacolo si domanda se nonsia il caso di richiamare La dolce vita in cen-sura ma poi, temendo il rischio di un gestoimpopolare decide di soprassedere. La stampa, compresa quella cattolica, è spac-cata fra chi è favorevole all'opera di Fellini echi è contrario.Alla fine il clamore sollevato dall'uscita de Ladolce vita si placa e il film si salva dalla scurecensoria.

Non molto dissimile, ma per certi versi moltopiù grottesca, è la vicenda di Rocco e i suoifratelli, il film con Alain Delon, AnnieGirardot e Renato Salvatori sulle vicendedella famiglia Parondi che, dalla natiaLucania si trasferisce a Milano in cerca dimiglior fortuna.Prima ancora dell'uscita nelle sale il film diVisconti inizia ad avere problemi legati allacensura, nel senso che, sulla scia dello scan-

“La dolce vita” e “Rocco e i suoi fratelli”

A sinistra: la famossascena del bagno nellaFontana di Trevi neLa dolce vita;A lato: FedericoFellini

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dalo de La dolce vita, viene a questi parago-nato e come questi giudicato. Inoltre a Visconti viene negato, da parte dellaProvincia di Milano, il permesso di girarealcune scene all'Idroscalo di Milano in quan-to si reputa che l'immagine del luogo chedeve diventare "un luogo per gente sana,sportiva, per i giovani", come dice AdrioCasati, presidente della Provincia, ne verreb-be sicuramente svilita.Visconti avrebbe dovuto girare all'Idroscalola scena in cui Simone (Renato Salvatori)accoltella Nadia, la prostituta di cui era inna-morato, interpretata dalla attrice franceseAnnie Giradot. Visto il rifiuto dovrà ripiegaresu una località del lago di Fogliano, in pro-vincia di Latina.Fra mille polemiche la pellicola viene proiet-tata alla Mostra del cinema di Venezia. Lamancata assegnazione, da parte della giuria,del Leone d'oro all'opera considerata da tuttila migliore di quelle viste in concorso, scate-na l'indignazione da parte di molta critica disinistra e le veementi repliche da parte dellastampa di destra.Polemiche che continueranno al momentodell'uscita nel normale circuito di program-mazione. Anche in questo caso, come già suc-cesso per La dolce vita, la prima si tiene a

Milano al cinema Capitol, la sera del 14 otto-bre 1960. Tuttavia, a differenza del film diFellini non ci sono particolari disordini, aparte qualche fischio e qualche ovazione.Tuttavia già il giorno successivo, ilProcuratore capo della Repubblica delTribunale di Milano, Carmelo Spagnuolo,chiede di poter visionare il film. Al terminedella visione chiede che vengano eliminatealcune scene, pena il sequestro della pellicolacon l'imputazione di diffondere materialeosceno. Tali tagli riguardano in particolare lanotte d'amore fra Nadia e Simone, lo stupro diNadia, la scazzottata fra Rocco e Simone ealcune sequenze relative all'uccisione diNadia.A queste imposizioni Visconti risponderenegativamente, rifiutandosi di apportare alcu-na modifica al suo film in quanto in possessodi regolare visto di censura.Fra varie vicissitudini - il caso nel frattempoera finito sulla scrivania del procuratoregenerale Pietro Trombi - il film non verràsequestrato, nonostante le forti pressioni divarie associazioni cattoliche. Verranno oscu-rati i brani incriminati mediante degli effettiflou ottenuti con mezzi rudimentali, diretta-mente in cabina di regia da parte dell'operato-re durante le proiezioni.

Annie Girardot e Alain Delon inRocco e i suoi fratelli

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Il caso fa sensazione: sul quotidiano L'Unitàsi parla di "censura dei proiezionisti"; LaNotte esce con il titolo Oscuramento aMilano, mentre la stessa Unità titola: "Hannocoperto Rocco con le foglie di fico". Solo IlCorriere della Sera approva il provvedimen-to.Nonostante le forti proteste del regista, il filmverrà comunque richiamato in censura e, il 2

novembre 1960, la commissione d'appellostabilisce definitivamente che la pellicoladeve essere "alleggerita" delle scene sottoaccusa. Non solo: Visconti verrà anche denunciatoper aver realizzato un film gravemente offen-sivo del pudore. L'istruttoria durerà sino al1966, quando il regista milanese verrà defini-tivamente assolto dall'imputazione.

Si inasprisce l’azione censoria

Sulla scia del caso "Rocco", il procurato-re generale Pietro Trombi si accaniscecontro L'avventura, di Michelangelo

Antonioni. Anche in questo caso viene chie-sto il sequestro del film, che si salva solodopo un accordo sui tagli da apportare. A far desiderare agli italiani "discutibili ecci-tazioni" che portano a una "nuova ondata diviolenza e sensualità" è, secondo le convin-zioni del nuovo sottosegretario alloSpettacolo Renzo Helfer, il benessere econo-mico.Helfer è un montanaro trentino, ex ufficialedegli alpini nonché mancato ministrodell'Industria che ha dovuto ripiegare su unposto da sottogretario. Secondo Helfer "lacensura sui film (…) è ritenuta generalmenteindispensabile per la natura stessa del cine-

ma e per quella sua capacità di raggiungeregli spettatori più sprovveduti".Nel frattempo, siamo sempre nel 1960, men-tre il sottosegretario Helfer distilla questeperle di saggezza, continuano a finire sotto leforbici della censura moltissimi film, anche diqualità.Fra gli altri, a essere colpiti in questo periodosono La notte, di Antonioni; La fontana dellavergine, di Ingmar Bergman; La ragazza invetrina, di Luciano Emmer; Kapò, di GilloPontecorvo; La giornata balorda di MauroBolognini, il quale già aveva avuto problemiper il suo film precedente La notte brava.Non solo: il regista insieme a Pier PaoloPasolini sceneggiatore e Alberto Moraviasoggettista, vengono denunciati. L'anno successivo verranno colpiti

Due immagini tratte da altrettanti film deglianni ‘6o che hanno avuto noie con la censura:L’avventura (a sinistra) e Accattone (sopra)

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Accattone, di Pasolini; Non uccidere, diClaude Autant-Lara; L'assassino, di ElioPetri; Un giorno da leone, di Nanni Loy.Però, passato l'anno, si assiste a un rallenta-mento dell'azione persecutoria della censura.Merito dell'approvazione della nuova legge,la 161 del 21 aprile 1962, sulla Revisione deifilm e dei lavori teatrali, che affianca, per laprima volta ai funzionari delle commissioniamministrative, rappresentanti delle categoriecinematografiche.Ha inizio, così, una terza fase dell'eserciziocensorio, dopo quello collocato fra le dueguerre e quello che va dalla fine della secon-da guerra mondiale al 1962.

Uno studio condotto da Alfredo Baldi e pub-blicato sulla rivista Bianco e Nero nel 1979,analizza i tagli effettuati su lungometraggi ecorto e mediometraggi nel periodo compresofra il 1947 e il 1962.In particolare Baldi si sofferma sui tagli argo-mento per argomento. Dallo studio si evincecome, per quanto riguarda i lungometraggi,l'argomento più colpito dal furore censoriosia stato l'eros (comprendente il pudore, lamorale e il buon costume) con il 62,4%,seguito dalla violenza (15,8%), dalle scenemacabre, ripugnanti e impressionanti (7,5%),

l'offesa e il vilipendio a persone, istituzioni estati (2,8%) e poi via, via tutti gli altri: offesaalla religione, turpiloquio, temi politici, l'eroslegato alla violenza, ecc.

La minor pressione della censura dopo l'ap-provazione della legge 161/62 permette aCesare Zavattini, sceneggiatore e Carlo Ponti,produttore di realizzare un film a episodi,Boccaccio '70, da affidare a quattro dei mag-giori registi del momento: De Sica, Fellini,Visconti e Monicelli. In particolare l'episodiodi Fellini, dal titolo Le tentazioni del dottorAntonio e interpretato da Peppino De Filippoe Anita Ekberg, con le sue situazioni parados-sali e i dialoghi volutamente di grana grossa,vuole essere un modo per mettere a nudo tuttele ipocrisie e l'insulsaggine dei moralizzatoridell'epoca. Nel film, oltre a tutto, viene ripre-so l'episodio in cui Scalfaro insultò unasignora al ristorante a causa della sua scolla-tura.

Tuttavia questo momento di relativa quietedura poco. Già l'anno successivo a quello del-l'approvazione della legge la magistratura, inpratica, arriva a sostituirsi quasi completa-mente ai censori governativi ritenuti, oramai,troppo permissivi.

A sinistra: Pier Paolo Pasolini. A destra: una scena del Satyricon di Fellini

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A farne le spese sarà Pasolini che con Laricotta, episodio del film Ro.Go.Pa.G., vieneaccusato di vilipendio alla religione.La sera del 1° marzo 1963, durante la proie-zione, arriva presso il cinema Corso di Romaun ufficiale dei carabinieri con un decreto disequestro a firma del sostituto procuratoredella Repubblica. La proiezione viene inter-rotta e il film sequestrato. Il regista viene sot-toposto a processo e condannato a quattromesi di reclusione con la condizionale.Seguiranno una infinita serie di ricorsi erichieste di revisione. Alla fine, il 6 maggio1964, Pasolini verrà assolto perché il fattonon costituisce reato e il film dissequestrato eammesso alla visione in pubblico con il divie-to ai minori di 18 anni.

Ormai la magistratura è lanciata. Negli annisuccessivi è lunghissimo l'elenco di filmsequestrati. Si tratta, in ogni caso, di pellico-le già in possesso di regolare visto della cen-sura amministrativa. Fra questi ricordiamoTeorema, di Pasolini; Blow-up, di Antonioni;Satyricon, di Fellini; il Decameron e gli altrifilm della cosiddetta trilogia della vita diPasolini; La grande abbuffata, di MarcoFerreri; Portiere di notte, della Cavani;Novecento, di Bertolucci. Nella maggior parte dei casi i film verrannopoi assolti o dissequestrati e condannati altaglio di un numero più o meno elevato discene ritenute pericolose. Poche sono le pelli-cole condannate penalmente e raramente siarriva al sequestro definitivo.

Condannato al rogo

Uno fra i pochissimi film condannatialla distruzione, caso che fece grandescalpore all'epoca, fu Ultimo tango a

Parigi, film di Bernardo Bertolucci conMarlon Brando e Maria Schneider.Dopo aver ottenuto senza particolari proble-mi il visto della censura, il film di Bertolucciviene programmato in prima nazionale aPorretta Terme il 15 dicembre 1972. Pochigiorni dopo, il 21 dicembre, il sostituto pro-curatore della Repubblica Nicolò Amato ordi-na il sequestro del film su tutto il territorionazionale in quanto ritenuto "osceno e privodi contenuto artistico".Regista, produttore, sceneggiatore e interpre-ti vengono rinviati a giudizio e assolti inprimo grado il 2 febbraio 1973.Il film può quindi tornare nelle sale, dovericeve una strepitosa accoglienza da parte delpubblico. Tuttavia il pubblico ministero ricor-re contro la sentenza di primo grado e l'operadi Bertolucci deve ritornare davanti ai giudiciper il giudizio di secondo grado che ribalta laprima sentenza di assoluzione. Nella secondasentenza viene scritto che "il film, nel suo

complesso, è un fumettone spettacolare" eche "sul fine espressivo psicologico (…) pre-vale la tesi dell'esaltazione visiva del sesso ascopo spettacolare speculativo; e prevale latesi della distruzione dei valori morali". Tuttele copie della pellicola vengono confiscate.Questa volta a ricorrere sono gli autori delfilm. Ma nel 1974 una nuova sentenza di con-danna infligge a Bertolucci, agli sceneggiato-ri e agli attori una condanna a due mesi direclusione con la condizionale. Nel 1976 ci sarà l'ultimo appello, questa voltain Cassazione, ma la sentenza non cambia e,oltre al divieto di circolazione del film sututto il territorio della Repubblica, ne vieneordinata la confisca delle copie e la distruzio-ne dei negativi. Agli inizi di febbraio di quell'anno ilSindacato nazionale critici cinematograficiitaliani (Sncci) propone, in maniera provoca-toria contro l'azione dei magistrati, di traspor-tare su video-tape Ultimo tango a Parigi etutte quelle pellicole eventualmente condan-nate alla distruzione.

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Sarà il giudice istruttore di Roma PaoloColella a riaprire il caso undici anni dopo, nel1987. Nomina tre esperti del settore,Maurizio Grande, docente universitario diMetodologia della critica e dello spettacolo,Fausto Giani e Claudio Trionfera, critici cine-matografici rispettivamente di Paese Sera e IlTempo, che avranno il compito di valutare ilvalore artistico dell'opera di Bertolucci.I tre esperti stileranno un documento in cui sidefinisce Ultimo tango a Parigi "uno dei piùimportanti e lucidi documenti realizzati dalcinema italiano negli ultimi vent'anni" dimo-strando, con ciò, il valore del film in quantoopera d'arte.A fronte di questa valutazione estremamentepositiva da parte dei tre esperti, il giudiceColella assolse il film, che poté tornare aessere distribuito nelle sale e visto da milionidi spettatori.

Esiste un vero e proprio disegno persecutoriodella magistratura in quei primi anni Settanta,volto a indebolire qualsiasi velleità artisticain una società in pieno fermento culturale.Ciò è suffragato dal fatto che la corte diCassazione, intervenendo nella vicenda de Iracconti di Canterbury di Pasolini, sentenziache un film sequestrato, anche se assolto nellefasi di giudizio intermedie, non può tornarenel normale circuito di programmazione madeve attendere la sentenza di assoluzionedefinitiva. Visti i tempi della giustizia italia-na, un film rischiava, così, di rimanere seque-strato per anni. A fronte di questo ostracismo,molti intellettuali intervengono chiedendo diabrogare la legge che ha permesso alla cortedi Cassazione di emettere la sua sentenza.

A fronte del continuo sequestro di pellicole, il

Maria Schneider e Marlon Brando in una scena del film Ultimo tango a Parigi

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26 aprile 1974, i lavoratori del cinema entre-ranno in sciopero. A fermarsi saranno anchele troupe al lavoro, compresa quella diLuchino Visconti che sta girando Gruppo difamiglia in un interno.Sta di fatto che il 1974 è uno degli anni più

neri per quanto riguarda il cinema in Italia. Afine anno si contano ben 27 film messi sottosequestro da parte della magistratura di cui unterzo bloccati dal tristemente noto, ai tempi,procuratore della Repubblica di CatanzaroDonato Massimo Bartolomei.

Di sequestro in sequestro

Nel gennaio del 1976 esce postumo, dopo latragica morte di Pasolini, la sua ultima fatica:Salò o le 120 giornate di Sodoma. Già in sede di Commissione di censura il filmaveva dovuto sopportare numerose resistenzeda parte dei commissari che lo reputavanoaberrante e ripugnante di perversioni sessua-li, offensive del buon costume. Ciononostanteil film esce nelle sale con lo scontato divietoai minori di 18 anni.Tuttavia, dopo soli tre giorni di programma-zione il procuratore della Repubblica diMilano ne ordina il sequestro e, contempora-neamente, viene promossa un'azione legale

nei confronti del produttore AlbertoGrimaldi, che verrà poi condannato a duemesi di reclusione, reo di "aver realizzato emesso in circolazione a scopo di lucro il filmcostituito tutto da scene e da linguaggio osce-no".Di ricorso in ricorso e di modifica in modifi-ca, la vicenda giudiziaria dell'ultimo lavoro diPier Paolo Pasolini, che nel corso degli anniera stato dissequestrato e risequestrato piùvolte, si concluderà solo nel 1991, quando ilfilm tornerà a essere visibile con il divieto aiminori.

L’attrice a “luci rosse” Ilona Staller, in arteCicciolina, condannata a quattro mesi di reclusioneper il suo Cicciolina, amore mio

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Guai con la giustizia li ebbero anche ilCasanova, di Federico Fellini; Porci con leali, di Paolo Pietrangeli; Al di là del bene edel male, di Liliana Cavani, già tartassataqualche anno prima per Galileo; nonchémolti film erotici o "porno-soft" come, adesempio, Emanuelle - Perché violenza alledonne? di Aristide Massaccesi, in arte JoeD'Amato, attaccato dal solito procuratoregenerale Bartolomei, trasferitosi, nel frattem-po all'Aquila.Persino Sophia Loren avrà noie con la giu-stizia, finendo fra gli indiziati di reato per ilfilm Angela - Il suo unico peccato era l'amo-re.

Nel frattempo in tutta Italia le forze dell'ordi-ne chiudono le sale a "luci rosse", anche soloper qualche giorno, per dare l'esempio.L'azione censoria avocata a sé dalla magistra-tura è un vero e proprio esempio di censuraideologica, obbedendo più a principi etici chegiuridici, con alcuni magistrati che assumono

le funzioni di controllori della morale pubbli-ca.Tutto questo accanimento nei confronti delleopere cinematografiche porta a danni econo-mici assai gravi per il cinema italiano, ancheperché seppur non siano molti, in realtà, i giu-dici che si scagliano contro i film, non sononeanche tanti quelli che tentano una difesadelle pellicole perseguitate.

Il decennio si chiuderà con la condanna defi-nitiva del film del regista francese AlainRobbe-Grillet Spostamenti progressivi delpiacere con l'accusa di oscenità.È il preludio al 1980 che vedrà la magistratu-ra scatenata nel denunciare, sequestrare, pro-cessare una quantità incredibile di opere cine-matografiche. In quell'anno si assisterà allacondanna a quattro mesi di reclusione diIlona Staller, in arte Cicciolina, l'allora popo-lare attrice a "luci rosse" rea di aver realizza-to Cicciolina, amore mio.

Dagli anni ‘80 a oggi

Il 1980 sarà anche l'ultimo anno di onoratacarriera del super censore togato DonatoMassimo Bartolomei che, a fine anno, va inpensione. Prima dell'ambito traguardo, però,il nostro deciderà di ergersi per un'ultimavolta a paladino della moralità pubblicasequestrando il film di Renzo Arbore IlPap'occhio, accusando il regista, lo sceneg-giatore Luciano De Crescenzo e RobertoBenigni coautore e attore nel film, di vili-pendio della religione. Tra le scene incrimi-nate quella parodiante l'Ultima cena e ilmonologo di Benigni di fronte al Giudiziouniversale, al quale segue un immaginariodialogo con Karl Marx, il quale verrà con-dannato alla fine a fare il portiere con il com-pito di rispondere: "Mi dispiace, Dio nonc'è!". Alla fine, comunque, gli accusati verrannoprosciolti e il film ridistribuito una prima

volta nel 1985 e, successivamente, nel 1998.Gli anni Ottanta vedranno, comunque, unaattenuazione delle pressione della censura,che si dimostrerà più permissiva soprattuttoverso alcuni temi come il sesso, mentre verràperseguita più che in passato la violenza.Non sfuggiramnno ai problemi legati allacensura Querelle de Brest, film uscito postu-mo nel 1982 del regista tedesco RainerWerner Fassbinder e Je vous salue Marie, diJean-Luc Godard, contro il quale si scatenaanche papa Wojtyla, ritenendolo un filmoffensivo della religione cattolica e, in parti-colar modo, della Madonna.È quasi superfluo specificarlo, ma il film diGodard viene sequestrato e, a Milano, il car-dinale Martini lancia anatemi nei suoi con-fronti.Altre vittime illustri della censura negli anniOttanta saranno Stanley Kubrick con Full

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Metal Jacket che verrà vietato ai minori di 18anni, per poi vedersi ridurre il divieto ai 14anni dopo qualche mese e Martin Scorsesecon L'ultima tentazione di Cristo.

Il 1990 è l'anno di approvazione in parlamen-to della cosiddetta "legge Mammì" dal nome

del suo estensore. La legge, che diventa lanormativa che regola l'etere e, fra l'altro, lamessa in onda dei programmi televisivi, pre-vede il divieto assoluto di programmazione intelevisione delle pellicole vietate ai minori di18 anni e la programmazione solamente nellefasce "protette", cioè dopo le 22.30, dei film

UN FILM SCOMPARSO: IL LEONE DEL DESERTO

Particolare, nel panorama dei film colpiti dalla censura, è il caso della produzione libico-statu-nitense Il leone del deserto.Si tratta di un film del 1980 diretto dal regista siro-americano Moustapha Akkad e interpretatoda attori di fama internazionale, fra gli altri Anthony Quinn, Rod Steiger, Irene Papas, OliverReed e gli italiani Raf Vallone e Gastone Moschin.Il tema è quello dell’occupazione coloniale italiana in Libia durante gli anni ’20 e della lotta delpopolo libico contro gli invasori.Nel 1929, di fronte alle difficoltà incontrate per la strenua resistenza guidata dal leader OmarMuhktar, Mussolini decise di inviare in Libia il generale Rodolfo Graziani. Questi, rendendosiconto dell’impossibilità a debellare la rivolta fino a che questa era sostenuta dalla popolazione,iniziò una spietata repressione. Avvelenò i pozzi, distrusse le coltivazioni, uccise e deportò incampi di concentramento costruiti appositamente nella zona del Golfo della Sirti, decine dimigliaia di civili. Si stima che in questi campi morirono circa 40.000 persone. Alla fine Omar Muhktar viene catturato e impiccato di fronte a una folla fatta arrivare dai campi.Si tratta, come ha scritto Denis Mack Smith, autorevole storico inglese esperto di storia italiana,di un film attendibile dal punto di vista storico e ammirevole per l’ampiezza della ricerca.

Il film, tuttavia non piacque alle autorità italiane.Nel 1982, anno del suo arrivo in Italia, l’allora sottosegretario agli esteri, il liberale RaffaeleCosta, lo giudicò lesivo dell’onore dell’esercito italiano e ne vietò la distribuzione.La paura di Costa era quella che il film avrebbe potuto offuscare l’immagine dell’Italia porta-trice di un colonialismo dal volto umano, come si era portati a credere.Il film rimane, perciò, un mistero per il grosso pubblico e, ancora pochi anni fa, il 15 aprile2003, il Ministro della cultura e delle spettacolo Giuliano Urbani, rispondendo a un’inter-rogazione parlamentare relativa al film, disse che Il leone del deserto non poteva essere proiet-tato in quanto non era in possesso del regolare visto di censura, per il quale nessuno aveva fattorichiesta.

In questi ultimi anni, tuttavia, alcune proiezioni non ufficiali hanno svelato, a pochi per la veri-tà, il mistero di questo film “scomparso”, che continua a rimanere tale per la maggior parte deglispettatori italiani.

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vietati ai minori di 14 anni.Tali restrizioni avranno un peso non indiffe-renze sulla successiva produzione cinemato-grafica, condizionando pesantemente le scel-te e le strategie di mercato di produttori edistributori e influenzando negativamentesulla formazione culturale cinematograficadelle nuove generazioni che, per forza dicosa, saranno private di molte opere essenzia-li della cinematografia mondiale, impeditenel passaggio televisivo.In pratica il risultato della legge Mammì èche molti produttori e registi, pur di potervendere il loro prodotto alle emittenti televi-sive, si autocensurano, eliminando le sceneche hanno causato il divieto ai 18 anni, inmaniera tale da rendere visibile il film in tele-visione.Con l'avvento della legge Mammì si è inizia-to a produrre i film sempre più in funzionedella televisione rispettando i canoni e leregole imposte dal piccolo schermo. Questospiega come, negli ultimi tempi, non si sianoavuti, salvo rari casi, grossi interventi censo-ri. Fanno eccezione Assassini nati (NaturalBorn Killer) di Oliver Stone e Pulp Fiction diQuentin Tarantino, mentre il film Crash, cheil regista canadese David Cronenberg ha rea-lizzato nel 1996 da un romanzo del roman-ziere J.C. Ballard, vietato dalla censura aiminori di 18 anni, viene fatto oggetto di unacampagna moralizzatrice da parte addiritturadi Legambiente e del Codacons che si rivol-gono alla magistratura per chiederne il seque-stro. Le critiche a questa richiesta fioccano,

oltre che da critici moderni come GianniCanova ed Enrico Grezzi, anche da chi, comeTullio Kezich, era considerato più tradiziona-lista. Fortunatamente la magistratura non proce-derà contro il film di Cronenberg e il casoviene archiviato. Permarrà, invece, il divietoai minori di 18 anni.

Infine, il 1998 è l'anno dell'ultimo, fino adora, caso di blocco di una pellicola da partedella censura cinematografica. Si tratta diTotò che visse due volte, della coppia dicineasti siciliani Daniele Ciprì e FrancoMaresco.Proiettato in anteprima al Festival di Berlinonel febbraio 1998, il film di Ciprì e Marescoviene bloccato pochi giorni dopo dalla com-missione di censura che, visionatolo, decidedi vietarne l'uscita nelle sale, pare a causadella sodomizzazione di una gallina, dellaviolenza a un angelo e di alcune masturba-zioni.Sarà un divieto che dura poco. Il 13 marzo, ameno di un mese dalla presentazione aBerlino, viene annullato il provvedimento dicensura, permettendo quindi la visione dell'o-pera al pubblico, dal quale, però, viene snob-bata. Perché, come scrive il critico PaoloMereghetti: "È uno dei film più dolorosi eangosciati di tutto il cinema italiano, la cuiprogrammatica sgradevolezza rischia però dirimbalzare su un pubblico pronto a rifiutarloa priori".

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Schede

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ALL’OVEST NIENTE DI NUOVO

Regia di Lewis MilestoneInterpreti: Lew Ayres, Louis Wolheim, JohnWray, Slim SummervilleDirettore della fotografia: Arthur EdesonUsa, 1930, b/n, 128’

Tratto dal famoso romanzo del narratoretedesco Erich Maria Remarque Niente dinuovo sul fronte occidentale, è la vicendaumana e drammatica di un gruppo diadolescenti spinto dal loro professore, fanati-co e militarista, ad arruolarsi nell’esercitotedesco per andare a combattere al fronte durante la Prima guerra mondiale.Pochi di questi ragazzi riusciranno a tornare, e chi tornerà avrà perso, insieme alla giovinez-za, le proprie illusioni e i propri ideali.

Si tratta di uno dei film hollywoodiani che meglio ha saputo esprimere i temi pacifisti, comu-nicando al mondo un messaggio di pace e fratellanza. Quando il protagonista Paul Baumer,dopo anni passati in trincea, tornerà in licenza al proprio paese, andrà a trovare il suo vecchioprofessore. Invitato da questi a spiegare alla nuova generazione di studenti quanto sia neces-sario che nuovi volontari si rechino al fronte per combattere il nemico, Paul, ormai disilluso,risponderà con le seguenti parole:

“Vi ho sentito ripetere le stesse cose: «per creare altri uomini di ferro, altri giovani eroi».Pensate ancora che sia bello e dolce morire per la patria, vero? Pensavamo che sapeste cosasignificava. Ma il primo bombardamento ce l’ha insegnato meglio. Morire per il propriopaese è una cosa sporca e dolorosa. Se si deve morire per la patria, è meglio non morire affat-to! A milioni muoiono per il proprio paese e a che serve? Vi sta dicendo: «Andate a morire». Perdonatemi, ma è più facile dirlo che farlo. Sul fronte, osei morto o sei vivo! Noi sappiamo di essere perduti, sia vivi che morti. Ci siamo stati tre,quattro anni. E ogni giorno dura un anno, ogni notte un secolo. Corpi di polvere e mentid’argilla che dormono e mangiano con la morte. Siamo finiti perché, dopo questo, non ti restanulla dentro”.

Il senso dell’opera è proprio questo: la perdita della ragione, la mancanza di senso in tutto ciòche sta avvenendo. Nel pessimismo di fondo che permea l’intera pellicola. Quando nellascena finale una farfalla si poserà accanto a Paul, questi si sporgerà dalla trincea nel tentati-vo di afferrare uno scampolo di vita. Ma non ci sarà più vita, né per Paul né per nessuno; nem-meno per quel cecchino che, nascosto, metterà fine ai giorni, ormai perduti, di tutta una gene-razione.

Il film, del 1930, venne vietato in Italia, allora sotto il regime fascista, in quanto ritenutodisfattista per le sue tematiche pacifiste. Fu sdoganato nel nostro paese solamente nel 1956,

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quando le maglie della censura, per un breve periodo, si allargarono permettendo l’arrivo dinumerosi capolavori della cinematografia mondiale.Originariamente durava 152’. Venne poi accorciato direttamente dalla Universal a 103’. Oggi circola la versione che presentiamo di 128’.

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OSSESSIONE

Regia di Luchino ViscontiInterpreti: Clara Calamai, Massimo Girotti,Juan De Landa.Sceneggiatura: Luchino Visconti, MarioAlicata, Giuseppe De Santis, Gianni Puccini.Ita, 1943, b/n, 135’

Film tratto dal romanzo noir dello scrittoreamericano James M. Cain Il postino suonasempre due volte, non accreditato nei titoli perquestione di diritti. Alla sceneggiatura hannocollaborato, oltre allo stesso regista LuchinoVisconti, Giuseppe de Santis, Mario Alicata e Gianni Puccini. Fu il regista francese Jean Renoir a far conoscere a Visconti, che allora era il suo assistente,il libro di Cain, a quel tempo non ancora tradotto in italiano.Gli autori trasferiscono l’azione del film dall’America in Italia, lungo il delta del Po.La storia è nota: Gino, un vagabondo, arriva in un posto di sosta e qui si innamora, ricambi-ato, di Giovanna, la moglie del padrone, il Bragana, un uomo grasso e sciatto, privo di attrat-tive. I due amanti decidono di uccidere l’uomo, vedendo nell’omicidio l’unico modo possibile perpoter riscuotere l’assicurazione. Il delitto, tuttavia, avvelenerà i rapporti fra i due, sino aldrammatico epilogo finale.

Si tratta di un film disperato dove, come scrive lo studioso di cinema Lino Miccichè: “La«passione sessuale» non è che il propellente della dinamica drammatica di ‘Ossessione’. Mail vero dramma di cui il film appare, contemporaneamente, rappresentazione e metafora, èaltrove: nell’impossibilità della Liberazione, nella inappagabilità del Desiderio, nella invivi-bilità della Norma, nella irrealizzabilità della Fuga”.

A differenza del romanzo, Visconti introduce nel film un personaggio nuovo, chiamato loSpagnolo. Si tratta di un uomo che ha un credo politico socialista e che vuole essere, nell’ideadegli sceneggiatori, un’immagine positiva, portatrice di ideali di libertà. Già combattentenella guerra di Spagna nelle file dei repubblicani, lo Spagnolo simboleggia anche un’alterna-tiva sessuale alla passione morbosa e devastante di Gino e Giovanna. Anche se mai esplicita-to, lo Spagnolo sembrerebbe parlare di omosessualità, un tema considerato tabù negli anni buidel fascismo. Sicuramente rappresenta una possibile liberazione di Gino dal rapporto cosìasfissiante con Giovanna.

Anche se non attacca mai direttamente il regime, la mancanza di speranza e il realismo delracconto che descrive un’Italia squallida, intrisa di miseria, fece sì che venne boicottato findalle sue prime uscite nei cinema, con sequestri delle copie in circolazione e benedizione deivescovi delle sale in cui veniva rappresentato.Il film, che rompe in maniera netta con il cinema di regime, quello “dei telefoni bianchi”, è

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considerato il primo esempio di film neorealista della storia del cinema.

Su tutto il film aleggia un senso di morte. La tragedia si percepisce sin dalle prime battute,con il camion su cui viaggia Gino (che ancora non abbiamo scoperto, in quanto la scena èripresa in soggettiva dagli occhi del guidatore) che viene accompagnato da una musica forte-mente drammatica. La lunga soggettiva con cui si apre la pellicola, permette allo spettatore di scoprire il paesag-gio in cui verrà ambientata tutta la vicenda e che diverrà uno dei protagonisti del film. Il fumoche si vede provenire dal radiatore rimanda a un altro fumo, quello emesso da un altrocamion, nel finale del film, che indurrà Gino a tentare il sorpasso andando incontro alla morteinsieme a Giovanna. E mentre all’inizio la macchina da presa mostra ciò che gli occhi di Ginoosservano, alla fine la telecamera mostra gli occhi dell’uomo e della donna imprigionati daun ambiente dal quale tentano disperatamente di scappare.Questi e altri rimandi, partenze e ritorni, conferiscono al film una struttura circolare nellaquale i protagonisti sono come ingabbiati. Su tutto, come si diceva, il paesaggio, i luoghi:“una provincia italiana impregnata di fascismo invisibile, immersa in un silenzio eterno, doveanche la violenza e il lavoro hanno le forme evanescenti e distanti di un sogno: una terradove viaggiare e restare, partire e tornare sono la stessa cosa” (S. Bernardi: Prigionieri delpaesaggio. Sfondi e volti di “Ossessione”, in Bianco&Nero, marzo-aprile 1999).Dell’importanza del paesaggio se ne ha una dimostrazione circa a metà del film, durante l’in-terrogatorio dopo il delitto: un lungo piano sequenza della durata di 4’ e 16” dove la macchi-na da presa passa dal volto di Gino a quello di Giovanna riprendendo nei passaggi un pae-saggio soffocante, in piena luce, violento contrasto con le atmosfere notturne delle sceneprecedenti, testimone muto di quanto è successo, immagine del destino da cui i due nonpotranno fuggire.

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UNA STORIA MODERNA – L’APE REGINA

Regia di Marco FerreriInterpreti: Ugo Tognazzi, Marina Vlady,Riccardo Fellini, Walter Giller, Achille MajeroniSoggetto: Goffredo Parise, Pasquale FestaCampanile, Diego FabbriSceneggiatura: Marco Ferreri, Rafael AzconaIta, 1963, b/n, 90’

È la storia di Alfonso, un impiegato quarantenneche sposa Regina, una giovane donna seria ediscreta, proveniente da una famiglia cattolicissi-ma vicino alle alte sfere vaticane. Illibata sino al matrimonio, Regina si rivelerà una sorta di mantide religiosa, che sfiancheràAlfonso allo scopo di ottenere un figlio. Avutolo, finirà per dimenticarsi del marito, maschio-fuco, sino alla sua morte, ormai ignorato da tutti.

Prima opera italiana di Marco Ferreri, dopo il periodo spagnolo. Il film venne bocciato in cen-sura e ammesso nel normale circuito solo dopo un parziale cambio del titolo (in originaleavrebbe dovuto intitolarsi solamente L’ape regina) e qualche taglio (Alfonso che accarezza lecosce di Regina; i due sotto le lenzuola che ridono e scherzano; Regina che sbottona la cami-cia di Alfonso steso sul letto e stanchissimo). Inoltre Ferreri fu costretto a dichiarare ufficialmente di “rispettare i solidi e immutabili prin-cipi della morale e della religione”.È un umorismo tragico e grottesco, quello che Ferreri sfodera in questo film, magistralmenteinterpretato da un Tognazzi che usa la sua maschera, il suo sguardo triste, per rappresentareil fallimento del ceto borghese.Utilizzando l’arma del grottesco, senza per altro arrivare agli estremi di altre sue opere,Ferreri, con questo suo film, sferra un violento attacco alla concezione cattolica del matrimo-nio e della famiglia.Su tutto si respira un’aria di chiuso, un’atmosfera soffocante, dove i vari personaggi simuovono fuori da ogni contesto sociale che non sia il mondo ristretto di un bigottismo oppri-mente e ottuso.

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LE TENTAZIONI DEL DOTTORANTONIO(episodio di Boccaccio ’70)

Regia di Federico FelliniInterpreti: Peppino De Filippo, Anita Ekberg,Mario Passante, Polidor, Giuliano GemmaSoggetto: Federico FelliniSceneggiatura: Federico Fellini, EnnioFlaiano, Tullio Pinelli, con la collaborazionedi Brunello Rondi e Goffredo PariseMusica: Nino RotaIta-Fra, 1961, col., 60’

Il dottor Antonio Mazzuolo, intransigente moralista che premia i boy-scout e tende agguatialle coppiette appartate, decide di dichiarare guerra a un immenso manifesto che pubblicizzale qualità del latte tramite le giunoniche forme di Anita Ekberg. Ossessionato dall’immagine,il dottor Antonio cadrà in un sogno dove ne subirà le tentazioni amorose.

Questo film, che Fellini ha girato dopo il successo de La dolce vita, fa parte di un’opera col-lettiva a episodi dal titolo Boccaccio ’70 che ha come filo conduttore la satira del moralismoe del puritanesimo. Prodotto da Carlo Ponti, su un’idea di Cesare Zavattini, ne fanno parte anche gli episodirealizzati da Visconti (Il lavoro), De Sica (La riffa) e Monicelli (Renzo e Luciana). Il film di Fellini, in particolare, vuole essere un po’ una vendetta nei confronti dei censori edei moralisti che avevano reso particolarmente travagliata l’esistenza a La dolce vita.Una scena rimanda al famoso episodio in cui l’onorevole Oscar Luigi Scalfaro, che pare fossestato l’anonimo estensore di una stroncatura del capolavoro felliniano sulle paginedell’Osservatore romano, irretito in un ristorante dalla scollatura di un’avventrice, si alzòinsultando la signora e invitandola a ricoprirsi. Il film è anche un’occasione per Fellini per mettere in risalto il quartiere dell’EUR e permet-tergli qualche sfogo nei confronti dell’invadenza dei cartelloni pubblicitari.Per evitare problemi con la censura italiana , la Cineriz inviò un telegramma al Ministero delTurismo e dello Spettacolo in cui si notificava l’eliminazione di alcuni fotogrammi e pre-cisamente quelli in cui il portacipria di Anita Ekberg poteva essere identificato con un osten-sorio.

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LA RICOTTA(episodio di Ro.Go.Pa.G.)

Regia: Pier Paolo PasoliniInterpreti: Mario Cipriani, Orson Welles,Laura Betti, Edmonda AldiniSoggetto: Pier Paolo PasoliniSceneggiatura: Pier Paolo PasoliniMusica: Carlo RustichelliFotografia: Tonino Delli ColliIta-Fra, 1963, b/n e col., 35’

Episodio del film collettivo Ro.Go.Pa.G.,acronimo tratto dalle iniziali dei registi chehanno girato i singoli episodi (Rossellini, Godard, Pasolini e Gregoretti).Sul set di un film sulla Passione di Gesù, Stracci, un poveraccio che interpreta la parte di unladrone, muore sulla croce per indigestione della ricotta con cui si era ingozzato durante unapausa della lavorazione.Ultimo di una ideale trilogia di film ambientati nel mondo del sottoproletariato (Accattone eMamma Roma gli altri due titoli), La ricotta se ne discosta in quanto, per la prima volta, fail suo ingresso quella società borghese che, sino a quel momento, Pasolini non aveva preso inconsiderazione in quanto rozza e volgare.Come volgare e pacchiano, d’altronde, è anche il sottoproletariato che fornisce il materialeumano per le comparse del film: la troupe si scatena nei balli all’ultima moda, il cinismo chepermea sia Stracci quando si vende il cane della prima attrice perché gli aveva fregato il cibosia i membri della troupe che sfottono Stracci per la sua fame atavica.Cinismo che, d’altra parte, non è solo di pertinenza di Stracci. Anche il regista, interpretatomagistralmente da Orson Welles (doppiato da Giorgio Bassani) che si definisce marxistaortodosso e che detesta la piccola borghesia. Alla morte di Stracci commenterà senza un mini-mo di commozione: “Povero Stracci. Crepare… non aveva altro modo di ricordarci cheanche lui era vivo…”.Film su un film, dove vengono ben sottolineati due piani di finzioni con l’uso alternato delbianco e nero e del colore. Il primo usato per descrivere “il reale” del set cinematografico; ilcolore utilizzato per descrivere la Deposizione del Cristo dalla Croce a citazione delleDeposizioni del Rosso Fiorentino e del Pontormo.

I carabinieri, descritti da Pasolini in maniera innocua, intenti a raccogliere fiorellini nei prati,non furono, in realtà, così benevolenti nei confronti del film. Infatti il 1° marzo 1963 feceroirruzione nel cinema Corso di Roma e sequestrarono la pellicola, con l’accusa di “vilipendioalla religione di Stato”.Il processo venne celebrato per direttissima e Pasolini condannato a quattro mesi di carcerecon la condizionale.Pare che alla notizia della condanna la madre del regista scoppiò in lacrime. Pasolini alloraalzò il telefono e telefonò al magistrato per fargli sentire ciò che stava accadendo, dicendo:“Le sente queste grida? È mia madre che piange”.

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Nella sentenza sul film la IV Sezione del Tribunale di Roma per prima cosa emette ungiudizio in cui si sostiene non esservi incompatibilità con il visto concesso dallaCommissione Censura e l’incriminazione da parte del Tribunale di Roma. In quanto non c’ènulla da eccepire per quanto riguarda la trama e il messaggio sociale del film.Secondo la Corte a essere condannabili sono le immagini che offendono, a partire dal valoresimbolico delle scelte cromatiche e musicali. I colori e le musiche che accompagnano i quadridella deposizione tendono a inspirare un senso di profonda religiosità che viene, poi, pro-fanata dalle immagini in bianco e nero. Ad esempio, è sulla base della musica sacra che viene“dimostrata” una identificazione fra Stracci e Gesù, nella scena in cui Stracci legato allaCroce, ha un’erezione perché osserva una ragazza eseguire una danza molto sensuale.

Il produttore del film, Alfredo Bini, vista la condanna dopo pochi giorni, tenta di correre airipari modificando in parte i dialoghi della Ricotta. Dopo qualche mese il film viene ripresen-tato alla Commissione censura di secondo grado. Viene introdotta una dichiarazione diPasolini; vengono modificati leggermente alcuni dialoghi e vengono leggermente tagliatealcune scene quali il bivacco sotto le croci, lo spogliarello e la risata del Cristo.

Dopo varie vicissitudini Pasolini verrà assolto il 6 maggio 1964 dalla Corte d’Appello diRoma in quanto il fatto non costituisce reato e l’opera dissequestrata.

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LA NOTTE BRAVA

Regia: Mauro BologniniInterpreti: Jean-Claude Brialy, Anna MariaFerrero, Franco Interlenghi, Laurent Terzieff,Rosanna Schiaffino, Tomas MilianSoggetto: Pier Paolo PasoliniSceneggiatura: Pier Paolo Pasolini,Laurence BostMusica: Piero PiccioniIta-Fra, 1959, b/n, 94’

Tre giovani borgatari, Ruggeretto, Scintillonee Bella-Bella, passano la notte a divertirsi dopo aver compiuto un furto. Si farannoimbrogliare da alcune ragazze di facili costumi e uno di loro finirà in carcere.

Ispirato al romanzo Ragazzi di vita di Pasolini, che firma anche la sceneggiatura insieme aLaurence Bost.Si tratta di un film scarno dove viene indagato il mondo del sottoproletariato romano fatto dibulli, prostitute, ladruncoli. Giovani perdenti che Bolognini e Pasolini osservano senzaemozione, ma registrandone i fatti: ambienti, situazioni, dialoghi. Tutto con estrema e impla-cabile precisione.

Ovviamente un film del genere non poteva non avere noie con la censura.Ne venne decretato il divieto per i minori di 16 anni e ammesso alla proiezione pubblica solose si fossero apportati numerosi tagli. In particolare:Anna sdraiata accanto a Scintillone con le gambe nude e sconciamente divaricate;la cameriera che, a letto, viene scoperta da Ruggeretto, apparendo di spalle nuda con i gluteicoperti solo da sottilissimi slip;Ruggeretto che si rotola in terra con la cameriera;Ruggeretto e Rossana che ballano abbracciati, le bocche unite in un lungo e intenso bacio.

Solamente nel 1977 venne tolto il divieto ai minori di 16 anni.

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ULTIMO TANGO A PARIGI

Regia di Bernardo BertolucciInterpreti: Marlon Brando, Maria Schneider,Jean-Pierre Léaud, Massimo GirottiSoggetto: Bernardo Bertolucci, GiuseppeBertolucci, Franco ArcalliSceneggiatura: Bernardo Bertolucci, FrancoArcalliFotografia: Vittorio StoraroMusica e sax solista: Gato BarbieriIta-Fra, 1972, col., 131’

A Parigi, due sconosciuti, Paul, un uomo nonpiù giovane (Marlon Brando) e Jeanne, una giovane donna (Maria Schneider), si ritrovano inun appartamento vuoto in affitto nella zona di Passy.Da subito fra di loro nasce un’attrazione che li porterà a intrattenere rapporti sessuali che, perun accordo fra i due, non devono lasciare spazio ad altri sentimenti.Le loro sono due storie diverse, drammatica e maledetta quella dell’uomo, la cui moglie si èda poco tolta la vita in un bagno di un albergo; borghese quella della ragazza, in procinto disposarsi con Tom (Léaud), che sta per farle interpretare la parte della protagonista in un filmtelevisivo.Ben presto tuttavia gli accordi fra Paul e Jeanne, che non avrebbero dovuto lasciar spazionemmeno alla conoscenza dei rispettivi nomi, si incrinano per volere dell’uomo che si illudedi poter ricominciare una nuova vita.Quando Jeanne decide di troncare il loro rapporto dopo un ultimo tango danzato in una salain cui si sta svolgendo una gara di ballo, lui la rincorre sino a casa della madre pretendendodi conoscere il suo nome. Verrà ucciso da un colpo di pistola sparato da Jeanne che ripeteràattonita: “Non lo conosco, è un pazzo. Mi ha seguito per la strada e voleva violentarmi. Nonso come si chiama. È uno sconosciuto”.

Ultimo tango a Parigi è un film di atmosfere e di attori, su cui spicca Marlon Brando per lasua carica magnetica, lui bellissimo, invecchiato, con i capelli grigi e lunghi. È un film sul post Sessantotto. Ci parla degli anni dopo la Rivoluzione sessuale, con i per-sonaggi della Schneider e di Léaud. Brando, invece, rappresenta la tradizione, il cinema deipadri. Ma contemporaneamente, recita anche se stesso. Tanto che, ad un certo punto, lacameriera dell’albergo ne parlerà descrivendolo come uno che “faceva il pugile ma gli èandata male, poi ha fatto l’attore , ha trafficato a New York, ha fatto il rivoluzionarionell’America del Sud; il giornalista in Giappone. Un giorno sbarca a Tahiti, piglia la mala-ria, poi arriva a Parigi e qui trova una con un po’ di soldi e se la sposa”, tratteggiando unpo’ la biografia di Brando raccontata attraverso i film da lui interpretati (Fronte del porto,Viva Zapata!, Sayonara, Gli ammutinati del Bounty e, appunto, Ultimo tango a Parigi).È un film fatto anche di riferimenti e citazioni. Dalla Voix humaine di Cocteau e Rossellini,alla Gina di Prima della rivoluzione (precedente film di Bertolucci) con le foto sparse sul lettonella solitudine della propria camera, al personaggio di Tom, il fidanzato di Jeanne, interpre-

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tato da quel Jean-Pierre Léaud-Antoine Doinel di truffautiana memoria, al salvagente con cuiTom blocca Jeanne chiedendole di sposarlo e su cui campeggia la scritta L’Atalante, il titolodell’ultimo film di Jean Vigo. E come per Vigo il film segnò il passaggio dall’impegno politi-co, antiborghese e anarchico, al disagio esistenziale, al furore dell’emarginazione, il sal-vagente rappresenta per Tom e Jeanne la consapevolezza di un passaggio da una vita alterna-tiva a una più tradizionale, con la proposta di matrimonio. Cioè con la proposta di costruireuna famiglia, quella famiglia, invece, che Paul dissacrerà – lui che ha visto sfaldarsi la suacon il suicidio della moglie – quando sodomizzerà Jeanne nell’appartamento vuoto (la famosa“scena del burro” che tanto fece inorridire i censori) costringendola a ripetere: “Santafamiglia, sacrario dei buoni cittadini, dove i bambini sono torturati finchè non dicono laprima bugia, la volontà è spezzata dalla repressione, la libertà è assassinata dall’egoismo”.

Della vicenda giudiziaria che portò il film a essere distrutto e Bertolucci a venire condanna-to con la perdita per cinque anni dei diritti civili, si è già detto precedentemente.L’assoluzione del 1987, alla riapertura del caso da parte del giudice Colella, giunta in quan-to, mutando i tempi era mutata anche la percezione del “comune senso del pudore”, non can-cella quella che è stata una della pagine più nere della storia del cinema in Italia.

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PER SAPERNE DI PIÙSuggerimenti bibliografici

Argentieri Mino. La censura nel cinema italiano. Editori Riuniti, 1974.Baldi Alfredo. Lo sguardo punito. Film censurati 1947-1962. Bulzoni, 1996Baldi Alfredo. Schermi proibiti. La censura in Italia 1947-1988. Bianco&Nero,

2002.Brunetta Gian Piero. Storia del cinema italiano. Editori Riuniti, 1982.De Berti Raffaele (a cura di). Il cinema di Luchino Visconti tra società e altre arti.

Analisi dei film. Cuem, 2005.De Berti Raffaele (a cura di). Federico Fellini. Analisi di film: possibili letture. McGraw-

Hill, 2006.Liggeri Domenico. Mani di forbice. La censura cinematografica in Italia. Ed.

Falsopiano, 1997.Massaro Gianni. L’occhio impuro. SugarCo. 1976.Mereghetti Paolo: Il Mereghetti. Dizionario dei film 2006. Baldini Castaldi Dalai editore,

2005.Murri Serafino. Pier Paolo Pasolini. Ed. Il Castoro.Pastore Sergio. Proibitissimo: la censura nel tempo. A. Gallina, 1980.Sanguineti Tatti (a cura di): Italia taglia. Transeuropa, 1999.Socci Stefano. Bernardo Bertolucci. Ed. Il Castoro.Verdone Mario. Federico Fellini. Ed. Il Castoro.