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La parola ai rettori 12 Rosario Rizzuto, dell'ateneo di Padova « L ' università investa per reclutare i super - ricercatori » «Bisogna attrarrei vincitori stranieri e italiani dei grandi premi», attacca il "Magnifico". «Ma serve metodo . E il governo finanzi chi s'impegna» di Edoardo Vigna bbiamo voglia e com- petenza. Basta: io vedo nelle università italiane lo stesso spirito di quelle straniere, ora dobbiamo toglierci il com- plesso di inferiorità». Che però continua a esserci... «Ce lo fanno sentire continua- mente. Sulla rivista scientifica Nature, i no- stri ricercatori sono arrivati con uno studio assai prima di un altro statunitense. E con il triplo delle informazioni. Loro, comunque, hanno aspettato due mesi, per pubblicarlo assieme all'altro. La scienza, per fortuna, fa giustizia; sa invece, qui in Italia, chi hanno intervistato per presentare il progetto? Gli americani, naturalmente...». Rosario Riz- zuto è da un anno l'energico rettore, classe 1962, dell'ateneo di Padova, classe MCCXXII, com'è scritto nello stemma. Anno di fonda- zione 1222, insomma: una delle università più antiche del mondo. Oggi Padova conta 6o mila studenti per 17o corsi di laurea, con- tiene la Scuola Galileiana di Studi Superiori, 37 corsi di dottorato, 44 master, 29 corsi di perfezionamento e 49 scuole di specializza- zione. Il numero del corpo docente, però, è sceso drasticamente, da 2.400 a 2.053. Riz- zuto non è solo un "giovane", nel suo ruolo. È anche il primo medico a diventare "Ma- gnifico", a Padova, dopo 7o anni («Ma il no- stro punto di forza è l'interezza dei saperi», sottolinea, «questo è l'ateneo della filosofia e della fisica»), con un curriculum scientifi- co notevolissimo, troppo lungo da riportare qui, che comincia con 246 pubblicazioni e passa per il rientro in Italia dopo anni di ri- cerca a New York. Con lui (che si è appena autoridotto lo stipendio del 1o°) prosegue il viaggio a puntate di Sette al centro dell'uni- versità attraverso la voce di chi le governa. Partiamo da qui: sono in molti a pensa- re che uno dei punti di rottura dell'intero sistema di studi in Italia sia costituito, e ben provato, dalla "fuga dei cervelli". «Che cosa vuoi dire questa espressione?

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La parola ai rettori 12 Rosario Rizzuto, dell'ateneo di Padova

«L'università investa perreclutare i super - ricercatori»«Bisogna attrarrei vincitori stranieri e italiani dei grandi premi», attaccail "Magnifico". «Ma serve metodo . E il governo finanzi chi s'impegna»di Edoardo Vigna

bbiamo voglia e com-petenza. Basta: io vedonelle università italianelo stesso spirito di quelle

straniere, ora dobbiamo toglierci il com-plesso di inferiorità». Che però continuaa esserci... «Ce lo fanno sentire continua-mente. Sulla rivista scientifica Nature, i no-stri ricercatori sono arrivati con uno studioassai prima di un altro statunitense. E con iltriplo delle informazioni. Loro, comunque,hanno aspettato due mesi, per pubblicarloassieme all'altro. La scienza, per fortuna, fagiustizia; sa invece, qui in Italia, chi hannointervistato per presentare il progetto? Gli

americani, naturalmente...». Rosario Riz-zuto è da un anno l'energico rettore, classe1962, dell'ateneo di Padova, classe MCCXXII,com'è scritto nello stemma. Anno di fonda-zione 1222, insomma: una delle universitàpiù antiche del mondo. Oggi Padova conta6o mila studenti per 17o corsi di laurea, con-tiene la Scuola Galileiana di Studi Superiori,37 corsi di dottorato, 44 master, 29 corsi diperfezionamento e 49 scuole di specializza-zione. Il numero del corpo docente, però, èsceso drasticamente, da 2.400 a 2.053. Riz-zuto non è solo un "giovane", nel suo ruolo.È anche il primo medico a diventare "Ma-gnifico", a Padova, dopo 7o anni («Ma il no-

stro punto di forza è l'interezza dei saperi»,sottolinea, «questo è l'ateneo della filosofiae della fisica»), con un curriculum scientifi-co notevolissimo, troppo lungo da riportarequi, che comincia con 246 pubblicazioni epassa per il rientro in Italia dopo anni di ri-cerca a New York. Con lui (che si è appenaautoridotto lo stipendio del 1o°) prosegue ilviaggio a puntate di Sette al centro dell'uni-versità attraverso la voce di chi le governa.Partiamo da qui: sono in molti a pensa-re che uno dei punti di rottura dell'interosistema di studi in Italia sia costituito, eben provato , dalla "fuga dei cervelli".«Che cosa vuoi dire questa espressione?

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Che italiani brillanti vanno all'estero perchél'università - mettiamo - di Cambridge of-fre loro di più? Ma questo è normale. Dov'è,invece, che siamo deboli? Nel fatto che, dauna parte il numero degli italiani che vannoall'estero è superiore al valore fisiologico,dall'altra non attraiamo nessuno. Ma ormaici troviamo in un mercato della scienza, edella competizione nella scienza. Un indi-catore fondamentale è dato dal numero deivincitori del progetto più competitivo dellaComunità europea, quello individuale, chesi vince con un progetto individuale e checorrisponde a un milione e mezzo di euro difinanziamento: l'Erc. Bene, il primo livello,

che è poi quello in cui si investe sui giovanipiù promettenti, si chiama "Starting". Se siosserva quanti lo prendono, si vede che laGermania ne conta più di 70, che Il RegnoUnito sta poco sotto, mentre 1Ttalia non ar-riva a una ventina, dopo Francia e Spagna».Pessimo piazzamento.«Poi però analizzi Il dato. E ti accorgi chele cose sono diverse da come appaiono. Gliitaliani di passaporto che lo vincono, infatti,sono molti di più: altri 23 assegnatari infattilavorano all'estero. Se fai Il confronto conle altre nazionalità, scopri che gli inglesi dipassaporto sono meno degli italiani. Eppu-re le loro università attraggono più talentidi noi: così, nella classifica, sono in alto inquanto grandi "attrattovi". La Francia nonattira altrettanto, ma si tiene stretta i "suoi".I tedeschi, in testa, conservano i propri ri-cercatori e ne attraggono qualcuno in più.Il nostro problema, insomma, va messonel contesto: noi "perdiamo" anche perchénon siamo attrattivi verso gli stranieri. Cosìfiniamo in una situazione di debolezza neiconfronti dei grandi generatori di scienza».Che cosa si può fare?«Quando mi sono insediato ho detto: cisarà una quota di bilancio che voglio inve-stire in iniziative strategiche. Una di questeè reclutare vincitori di grandi progetti di

ricerca che non sono a Padova. Così il mioprorettore ha alzato Il telefono e li ha chia-mati. E adesso siamo in discussione con uncerto numero di loro che potrebbero venireda noi. Uno di quelli che torna a Padova èMatteo Millan, che era ormai a Dublino, ri-cercatore di storia sulla violenza politica nelprimo Novecento».Quando lei era all'estero, che cosa ap-prezzava in particolare?«La flessibilità del mercato della ricerca.Straordinaria. Le università sono molto di-namiche nel reclutare le persone. "Voglioquello, lo faccio venire". E lo possono fare,rapidamente, possono dare uno stipendioproporzionale alle loro qualità, e una dota-zione per mettere in piedi un laboratorio,uno "start-up package". Noi questo nonl'abbiamo. Noi abbiamo procedure di re-clutamento lente. Vincoli Oggi per la veritàsulle chiamate dirette dall'estero possiamoavere margini di flessibilità per arrivare auna certa una fascia stipendiale. Ma se chia-mi dall'Italia no. Vorremmo dare almeno Ilsegnale di uno "start-up package"».Perché è tornato in Italia?«Perché siamo un grande Paese. Ricordoche con gli altri colleghi, in America, ci di-cevamo: siamo qui, ma in fondo, anche seci fanno arrabbiare, cerchiamo i giornaliitaliani per avere informazioni. Mi sentivoe mi sento italiano. L'idea era: tomo, e seriesco a svolgere la mia attività in Italia, avròpiù soddisfazione. Sapevo, però, che sareipotuto ripartire. Io credo che, a mente fred-da, al 99% chi ha la possibilità accetta un'of-ferta all'estero. Ma i nostri giovani hanno

La storia della culturaNel tondo, Rosario Rizzuto, rettoredell'università di Padova. Nelle foto, dasinistra, il Teatro Anatomico, eretto nel1595, l'Aula Magna e una bibliotecadell'ateneo.

passione. E so che molti ci proverebbero, eci provano, davanti a un'opportunità di re-stare, o di tornare. Se si vuol competere congli altri atenei internazionali, però, bisognaessere rapidi. Servono margini e strumen-ti. Non arriveremo mai alla competizioneall'americana, in cui, quando un ateneo de-cide di ingaggiare qualcuno, una settimanadopo questo è lì a firmare il contratto. Però,da qui all'anno e mezzo che serve da noi pertutta la procedura, ce ne passa: i vari talentisono nomi nel mirino di tante altre univer-sità, non stanno certo ad aspettare».Va bene, questo vale verso l'esterno. E vol-gendo lo sguardo all'interno?«Se vogliamo che i nostri giovani scienziativincano i progetti Erc, bisogna che abbianola cultura di scriverli in maniera competi-tiva. Allora abbiamo creato un programma- chiamato "Mini Erc", visto che non pos-siamo certo assegnare un milione e mez-zo... - in cui facciamo redigere un progettoche sarà esaminato con gli stessi criteri del"grande" Erc. Il vincitore avrà un finanzia-mento, ioo mila euro, che comunque nonsono male... Ma, soprattutto, tutti i parteci-panti sono stati"coslrelli" a mettersi a scri-vere progetti. E daremo loro un feedbackpreciso: "Progetto debole per l'indirizzo chegli stai dando", oppure "Devi dettagliare di-versamente la parte sperimentale.. ". E cosìvia. Quando si tratterà di giocare la partita"vera" - l'Erc Advanced Grants, per i ricer-catori già più consolidati, vale anche duemilioni e mezzo - si troveranno istruiti allacompetizione internazionale».A livello di Paese , la spinta a invertire la

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direzione funziona se anche negli altriatenei si crea un movimento simile.«Non c'è dubbio. E infatti, quando l'ho rac-contato ad alcuni colleghi, è scattata anchea loro la molla. Molto dipenderà, comun-que, da quanto il governo saprà dare glistrumenti di incentivo giusti. Se premieràchi ha reclutato i bravi, chi ha saputo inver-tire la fuga dei cervelli... Se questi diventanoelementi di valutazione positivi, qualunqueecosistema si riorganizza. E allora chi hacominciato prima sarà avvantaggiato, chiinvece no, si muoverà per farlo».Serve, lei dice , una politica di valorizza-zione delle scelte virtuose.«Semplice: se tu stai facendo bene, io ti pre-mio. Ma lo faccio oggettivamente sulla basedei tuoi dati. Questo è importante, se ci dia-mo come obiettivo il rientro degli italiani.Un'altra delle iniziative che stiamo attivandoè un bando interno all'università, una "cali",per la chiamata di professori dall'estero chedice: io posizioni saranno interamente fi-nanziate direttamente dal rettore, non dalbudget dei dipartimenti. Che avrebbero po-tuto spingere invece per uno 0,4° in più peri dipartimenti e invece si fidano, e approva-no la direzione. Certo, i fondi sono limitati.Ma se questo fosse valorizzato, e il governodicesse: "A chi ha fatto arrivare professoridall'estero di buon livello, do un premio,gli attribuisco un finanziamento in modoche la prossima volta, invece di io ne possaportare 20", allora metteremmo in moto unmeccanismo virtuoso».Parliamone di formazione internaziona-le. Ormai la presenza degli atenei dell'Oc-cidente in Asia e in Medio Oriente è con-solidata . Quelli nostrani spesso latitano.«Non possiamo chiamarci più fuori.Noi proprio in questi giorni apriamo a

Guangzhou (l'ex Canton, ndr). In Cina sonoandato subito dopo aver iniziato il miomandato di rettore. Ho visitato ShanghaiTech, un polo incredibile, nato due anni fa,in cui il governo ha riversato una tale quan-tità di denaro che se un rettore italiano cipensa si mette a piangere: da scienziato vo-levano che creassi un laboratorio. Ci sonoandato invece da rettore e ho detto: vorreiche aprissimo un rapporto consolidato di

ricerca e formazione. Guangzhou, l'altrameta, era una rete che esisteva da tempo,con scambi di dottorato con Padova. Oraapriamo la sede lì e cominciamo a struttu-rare alcuni dei corsi».L'obiettivo?«Costruire programmi congiunti di eco-nomia e ingegneria civile. Ma c'è un altroesempio che voglio portare: il Camerun. Quiil merito è dei nostri ingegneri. Mi spiega-vano che, oltre alla capacità di investimentoche manca, in Africa il problema dello svi-luppo è dovuto fra l'altro a costruzioni chenascono già vecchie e cadenti perché man-ca la stessa competenza progettuale. I no-stri docenti ora tengono un corso di laureadalla prima ora all'ultima. Poi, nel processodi internazionalizzazione dell'università èimportante anche cercare di identificare learee di eccellenza scientifica e riconoscibi-lità internazionale che meglio funzionanoper noi. Se apriamo un corso, con la facoltàdi Agraria, di "Food and Wine" e "Sustaina-ble Agricolture", è probabile che ci venga ri-conosciuta una leadership da tutti. Se inve-ce puntiamo sull'informatica o la medicina,abbiamo ragioni per dire che siamo bravi,ma dobbiamo sapere che la competizione sifa più difficile, perché dovremo convincerele persone a non andare a Stanford».Salto di qualità tutt'altro che scontato.«Le università devono essere strumento delnostro Paese e del nostro territorio. Il nododel problema è essere visti come una gran-de potenzialità del Paese. Questo significaaccettare la sfida: ma abbiamo la possibili-tà di reggere la competizione. Io, un po' diattenzione verso l'università l'ho vista: dopoche da anni, ogni legge di stabilità facevatagli, questa volta almeno non ci sono stati.C'è poi il segnale di reclutamento dei giova-ni, che è molto importante. L'inversione ditendenza è palpabile, ma dobbiamo finan-ziare il sistema e giudicarlo in base ai risul-tati. E siccome conosco la realtà della ricer-ca italiana, ci accorgeremo che nei posti piùdisparati c'è una qualità e una capacità diinnovazione che nessuno conosce. Noi co-munque ci sentiamo alla prova».Come ve la giocate?«Io ho una squadra giovane, tutti i proret-

tori sono sotto i 6o, l'età media è sotto i 50.Più donne che uomini. Persone che non si

occupavano tradizionalmente di politica ac-cademica, ma presi sulla base delle compe-tenze. Poi vogliamo anche mescolarci conla città, farne crescere il livello culturale, farpercepire l'università come una realtà viva epresente non solo perché ci sono gli studen-ti, ma anche perché proponiamo un'offertaculturale organizzata e coerente: abbiamoanche avviato un palinsesto di incontri cheva da iniziative nelle scuole a conferenzecon premi Nobel. Sul fronte "interno", ab-biamo voluto dare subito un segno ai nostristudenti investendo sei milioni di euro suldiritto allo studio, una fetta del budget perripescare quelli che, sulla modulazione deicriteri, sono diventati all'improvviso "ricchi"e si sono quindi trovati fuori dal sistema».Come vede il rapporto con le imprese?«Una volta c'era il pregiudizio che l'applica-zione industriale della scoperta significa-va svenderla. Oggi per fortuna il mondo ècambiato. Il problema è che anche questorichiede, oltre alla volontà, training. Cosìci sono alcune aree come l'ingegneria, chehanno integrazione con il territorio straor-dinaria. La sfida è far arrivare la cultura deltrasferimento tecnologico in campi che nonce l'hanno in maniera consolidata».Mi fa un esempio?«Penso all'area biomedica, che è di assolu-ta eccellenza. Siamo fra le sedi, se non lasede, più avanzate. Quante biotech ci sonoinvece nel territorio? Pochissime. Bisognametterlo in moto, questo meccanismo. L'u-niversità deve comunicare col territorio perfar conoscere gli investimenti. E cercare i"success case". Il buon esempio funziona. Èla partenza la fase più difficile. I cacciatori diidee di Gsk (GlaxoSmithlline, ndr) mi han-

no contattato per venire a selezionare pro-getti di sviluppo tecnologico e industriale.Abbiamo invitato i ricercatori a avanzare leloro proposte applicative: ne sono arrivate4o in 15 giorni. I cacciatori ne hanno selezio-nate r3, poi se ne sono portati via tre: hannodetto che è il risultato più grande che ab-biano avuto nelle loro ricerche, anche nelleuniversità di punta».

(2 - continua)

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Gli studenti iscritti Annodi fondazione delloalle varie facoltà (per storico ateneo: la sede170 corsi di laurea) centrale è nel Palazzo deldell'università di Padova. Bo, al centro di Padova.

Per il ballo e per i libriUn altro dei tesori artisticidell'ateneo patavino: laSala dei Giganti. Fin dallasua costruzione è legataall'università: già pocodopo la sua realizzazionevi si organizzavano festeda ballo per gli studentie, dal 1631 fino al 1912,fu la sede della bibliotecauniversitaria.