Un paese indebitato. - CaritasAttenta a non smarrire lo spartito tra strumen-talizzazioni, rimbalzi...

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Richiedenti asilo Un anno di accoglienza: qualche luce, parecchi nodi Nepal Charimaya, che a essere schiava non si è mai abituata Guinea Bissau Arretratezza e conflitti, la spirale che soffoca un paese Italia Caritas POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L.27/02/2004 N.46) ART.1 COMMA 2 DCB - ROMA MENSILE DI CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XLV - NUMERO 5- WWW.CARITASITALIANA.IT giugno 2012 indebitato. Un paese E strozzato Famiglie e imprese sovraesposte. Nel giogo dell’usura. Colpa della crisi? In parte: c’è un modello di consumo da cambiare

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Richiedenti asilo Un anno di accoglienza: qualche luce, parecchi nodiNepal Charimaya, che a essere schiava non si è mai abituataGuinea Bissau Arretratezza e conflitti, la spirale che soffoca un paese

Italia Caritas

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MENSILE DI CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XLV - NUMERO 5 - WWW.CARITASITALIANA.IT

giugno 2012

indebitato.Un paese

E strozzato

Famiglie e imprese sovraesposte. Nel giogo dell’usura. Colpa della crisi? In

parte: c’è un modello di consumo da cambiare

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PROSSIMITÀOLTRELE EMERGENZE

editoriali

in fuga e una maggiore condivisionedelle responsabilità tra gli stati».

In realtà – come è emerso anche aMigraMed, meeting tra le Caritas delMediterraneo, organizzato a maggio daCaritas Italiana a Cagliari – le politichedi contrasto all’immigrazione adottateda molti stati stanno cambiando le rot-te delle migrazioni e alimentando nuo-ve violazioni di diritti e sfruttamento. Ènecessario perciò il contributo di tutti,per moltiplicare le azioni a tutela deimigranti e garantire il rispetto delleconvenzioni internazionali.

A un anno dall’esplosione della co-siddetta “Primavera araba”, col massiccio riversamento nel nostro paese di mi-gliaia di persone in fuga dal nord Africa, si può dire che la voce della Chiesa, voltaa incarnare la Parola del Vangelo, sia stata concretizzata nell’azione coerente enell’impegnativo sforzo delle comunità locali. Uno sforzo però finora scontratosicon una grande ambiguità politica e giuridica da parte delle nostre istituzioni.

Nonostante tutto, è più che mai necessario tenere sempre viva e desta questavoce, e coinvolgere e accordare tutte le altre voci del coro, che costituiscono l’in-tera comunità umana. Ciò non vuol dire ignorare i problemi reali, anzi imponedi evidenziarli per cercare soluzioni condivise. La sinfonia delle azioni deve potersuonare con gli strumenti adatti. Attenta a non smarrire lo spartito tra strumen-talizzazioni, rimbalzi di responsabilità, rimbombi assordanti nel vuoto disimpe-gno. Attenta ancora a non esser soffocata dall’aridità, nel deserto di coscienzeinsensibili e immotivate; o peggio incancrenita dalla chiusura del cuore, che cer-ca giustificazioni, cavalcando anche l’onnipresente discorso della crisi econo-mica. Il coro delle nostre voci, sostenute dalla sinfonia di strumenti adeguati, de-ve invece riuscire a dare soluzione alla crisi peggiore: quella umana.

a terra che trema in Emilia e nel nord Italia, una bombache scoppia a Brindisi davantialla scuola “Francesca Morvil-

lo Falcone”. Morte, dolore, sgomen-to, paura, smarrimento, rabbia.

Di fronte a questi fatti, siamo pro-vocati a riflettere sul senso vero dellecose, sul significato cristiano dellavita e della morte, e al contemposulla necessità di moltiplicare glisforzi per rialzarci e ricostruire insie-me il tessuto connettivo del paese.

Non ci colga impreparatiA partire dalla testimonianza dellafede e della carità, offerta ai creden-ti e a tutte le persone di buona vo-lontà. Quella fede e quella carità ca-paci di generare “reti di prossimità”che nascono dal Vangelo e si china-no, come il buon Samaritano, su chisubisce povertà, ingiustizia, violen-za ed emarginazione. Valori chevengono dal Vangelo ma che, decli-nati nella vita della società civile,diventano difesa della vita e delladignità di ogni persona; solidarietà,promozione del bene comune, te-stimonianza di pace e di educazio-ne alla pace e alla giustizia; valori di equità, moralità e dedizione, capaci di creare coesione e di rico-struire il paese, segnato da crisieconomica e occupazionale, maanche da sfiducia e da paura.

Per la Caritas, dunque, cammina-re con persone e comunità vittime di un’emergenza è una forte espe-rienza di prossimità, relazione, at-tenzione concreta ai bisogni. In unesercizio di responsabilità educativa,per cambiare giorno dopo giorno il quotidiano, affinché l’emergenzanon ci colga mai impreparati.

«I rifugiati che chiedono asilo, fuggiti da persecuzioni, vio-lenze e situazioni che mettono in pericolo la loro vita, han-no bisogno della nostra comprensione e accoglienza, del

rispetto della loro dignità umana e dei loro diritti, nonché della con-sapevolezza dei loro doveri». Così scriveva Benedetto XVI nel suo“Messaggio per le migrazioni” dello scorso gennaio. Aggiungendoche la sofferenza dei rifugiati chiede «atteggiamenti di mutua ac-coglienza, superando timori ed evitando forme di discriminazione(...). Tutto ciò comporta un vicendevole aiuto tra le regioni che sof-frono e quelle che già da anni accolgono un gran numero di persone

Rifugiati e migranti: la loro sofferenza

richiede apertura, e unamaggiore condivisione

di responsabilità tra stati. Invece

continuano a prevalereambigue politiche

di contrasto. Il ruolodella chiesa, la lottaalla crisi peggiore:

quella umana

Ldi Francesco Soddu di Giuseppe Merisi

SUONIAMO INSIEMELA SINFONIADELL’ACCOGLIENZA

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MENSILE DI CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XLV - NUMERO 5 - WWW.CARITASITALIANA.ITgiugno 2012

indebitatoUn paese

Famiglie e imprese sovraesposte. Nel giogo dell’usura. Colpa della crisi? In

parte: c’è un modello di consumo da cambiare

Ancora più attualifedeli a una

lunga storia

Italia CaritasUNANNOCON

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Italia Caritas

direttoreFrancesco Soddudirettore responsabileFerruccio Ferrantecoordinatore di redazionePaolo Brivioin redazioneDanilo Angelelli, Ugo Battaglia, Paolo Beccegato,Salvatore Ferdinandi, Renato Marinaro, FrancescoMarsico, Sergio Pierantoni, Domenico Rosatiprogetto grafico e impaginazioneFrancesco Camagna, Simona [email protected] Sambuca Pistoiese, 56 - 00138 Romatel. 06 83962660 - fax 06 83962655sede legalevia Aurelia, 796 - 00165 Romaredazionetel. 06 [email protected]. 06 66177215-249inserimenti e modifiche nominativi richiesta copie [email protected] abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n.46)art.1 comma 2 DCB - RomaAutorizzazione numero 12478del 26/11/1968 Tribunale di RomaChiuso in redazione il 25/5/2012

Associato all’Unione Stampa Periodica Italiana

Si ringrazia Asal (www.asalong.org - [email protected])per l’utilizzo gratuito della Carta di Peters

PARROCCHIE, CARITAS E UFFICI PASTORALI CONTINUERANNO A RICEVEREUNA COPIA DI IC A TITOLO GRATUITO, A SOSTEGNO DELLE LORO ATTIVITÀ DIINFORMAZIONE E ANIMAZIONE NEL TERRITORIO

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sommario

rubriche3 editoriali

di Francesco Soddue Giuseppe Merisi

4 parola e paroledi Benedetta Rossi

11 databasedi Walter Nanni

16 dall’altro mondodi José Angel Oropeza

19 contrappuntodi Domenico Rosati

20 panoramaitalia TERREMOTO EMILIA

24 poster GIORNATA DEL RIFUGIATO

36 zero povertydi Laura Stopponi

39 contrappuntodi Giulio Albanese

40 panoramamondo PACE TRA NORDE SUD SUDAN

45 a tu per tuPAOLA TURCI: «GLI ALTRI, UNO A UNONON MUSICA OMOLOGATA» di Danilo Angelelli

47 generatoridi speranzaUNA CASA ACCESSIBILEdi Ettore Sutti

nazionale6 SOVRAINDEBITAMENTO E USURA:

ANATOMIA DI UN PAESE STROZZATOdi Andrea Barolini

12 PEZZOTTA, INTERVISTA SULLACRISI: «IL LAVORO È CENTRALE,LA FINANZA IRRAZIONALE»di Paolo Brivioe Ferruccio Ferrante

17 RIFUGIATI: UN ANNODI ACCOGLIENZA:QUALCHE LUCE, MOLTI NODIdi Manuela De Marco

speciale26 MEMORIA, FEDELTÀ,

PROFEZIA: 2011,UN ANNO DI CARITAS

internazionale30 NEPAL, TRAFFICO DI DONNE:

MA CHARIMAYANON SI È MAI ABITUATAdi Laura Sheahen

34 IRAQ: E QUESTASAREBBE DEMOCRAZIA?di Silvio Tessari

37 GUINEA: LA SPIRALE PERVERSACHE INVISCHIA BISSAUdi Anna Pozzi

anno XLV numero 5

IN COPERTINALa morsa dell’usura: denaro prestato“a strozzo”, esperienza semprepiù diffusa tra famiglie e imprese.Ma non solo a causa della crisi...foto di Romano Siciliani

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bottino”, cioè di quelle vesti che erano state loro strappa-te: si ridona la stessa dignità che era stata tolta.

Ancora, “provvidero loro di vesti e di sandali”: vienedonata una scorta di indumenti, cioè a dire la possibilitàche l’identità e la dignità ridonate possano durare neltempo. “Li fecero mangiare e li fecero bere”: offrire ciboe bevanda esprime concretamente il desiderio che l’altroviva, così che egli possa sentire che la sua esistenza perqualcuno è importante e preziosa. “Li unsero, trasporta-rono i deboli su degli asini”: si accompagna il fratello,passo dopo passo, facendosi carico di chi non può cam-minare da solo e di quelle ferite che la cura non riesce asanare. E infine “li condussero a Gerico, città delle palme,presso i loro fratelli”: per chi viene ricondotto nella suaterra, si apre la possibilità di nuove relazioni di fraternità,segno che una nuova vita è finalmente possibile.

senta l’unica via d’uscita possibiledalla desolazione. I superstiti, ab-bandonati a se stessi, senza soste-gno, possono avere di nuovo la vitasolo se la comunità si prende cura diloro, non rifiutando di guardare leconseguenze di ciò che essa stessaha prodotto – con i suoi eserciti –non voltando lo sguardo dall’altraparte, facendo finta che con la ritira-ta dei soldati tutto sia risolto.

Le ferite della guerra fratricida so-no profonde e solo i fratelli possonocercare la via per risanarle: solo laconsapevolezza che la ferita del fra-tello è la tua ferita può spingere aprendersi cura. Così “alcuni uomini[…] si levarono e presero i prigionie-ri”. È un’attenzione fatta di gesti con-creti e personali, quella che il testo cidescrive al versetto 15: “Tutti i nudi lirivestirono dal bottino”. La nuditàevoca vulnerabilità, mancanza diprotezione; i prigionieri erano portativia nudi e scalzi, in segno di umilia-zione. Al fratello reso impotente eumiliato viene ora donata una veste,segno di nuova dignità. Ed è signifi-cativo che essi vengano rivestiti “dal

parolaeparoledi Benedetta Rossi

I l racconto del capitolo 28 del secondo libro delle Cronache(28,5-15) ci consegna uno sguardo inedito e singolare su unconflitto fratricida, la guerra siro-efraimita, narrato altrove nel

testo biblico (secondo libro dei Re 16; Isaia 7-8), con accenti deci-samente diversi. Lo sguardo del narratore delle Cronache indugiasenza fretta sulle conseguenze dello scontro, quelle patite dalla gen-te, “donne, figli e figlie” (v. 8), duecentomila persone strappate dallaloro terra (Giuda) e condotte forzatamente a Samaria, la capitaledei vincitori, parte essi stessi del bottino di guerra.

L’entità del dramma resta sottotono, finché compare sulla scena

UN GRIDO SALE AL CIELOI FRATELLI SANANO LE FERITE

“un profeta del Signore, di nomeOded” (v. 9), altrimenti sconosciuto,che “uscì incontro all’esercito chegiungeva a Samaria”. Davanti allaschiera armata dei vincitori, Oded le-va la voce per denunciare la realtà didell’accaduto, per mettere a nudo lavergogna e la gravità dello scempio:“Voi li avete massacrati con un furoretale che è giunto fino al cielo” (v. 9).Un’accusa senza mezzi termini, checontiene un’eco dolorosa, quella dellaprima volta in cui nelle pagine bibli-che risuona questo verbo: “Caino si al-zò contro Abele, suo fratello e lo mas-sacrò” (Genesi 4,8). Il sangue fraterno versato grida (comein Genesi 4,10), giungendo fino al cielo e scuotendo la vitadi un profeta che non può più tacere e chiede con forzaun’azione concreta: “Rimandate i prigionieri!” (v. 11).

L’unica via d’uscitaA quel punto, “i soldati abbandonarono i prigionieri e ilbottino davanti ai capi e a tutta l’assemblea” (v. 14). Fra-telli imprigionati, deportati e spogliati di tutto, privati diogni possibilità di futuro, vengono lasciati soli. Quella chepare una liberazione, in realtà comporta più di un rischio:ridotte dal vincitore in uno stato di radicale dipendenza,prostrate e sfigurate nell’autonomia e nella dignità, le vit-time del conflitto restano abbandonate a sé stesse, spos-sessate e inermi, in un territorio straniero.

Tutto ciò accade davanti alla comunità, che rappre-

Scene da una guerrafratricida. Un libro

della Bibbia guarda al conflitto dalla partedelle vittime. Il profetacondanna il massacro.

E costringe la comunità a farsi

carico delle sofferenzeche essa ha prodotto:

nuove relazionisono possibili

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Secondo Sos Impresa, l’usura costringea chiudere 50 aziende al giorno. Ciò sitraduce in un’emorragia occupazionale:

nel 2010, bruciati 130 mila posti di lavoro.Colpito soprattutto il commercio

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persino indebitandosi a tassi prossi-mi all’usura, spesso senza farsi nep-pure due conti in tasca, prima di fir-mare un contratto con una delle cen-tinaia di finanziarie che propongonoprestiti “irrinunciabili”.

Bruciati 130 mila postiIl risultato è stato un progressivo de-

terioramento dei bilanci delle fami-glie italiane, così come delle imprese.E il proliferare risulta indisturbato (leleggi italiane non sono in grado dicontrastare efficacemente il fenome-no, vedi box) e incontrollato (il nu-mero di denunce è ancora a un livellomarginale rispetto alla reale entitàdel problema).

Così, secondo il tredicesimo rap-porto dell’associazione Sos Impresa,intitolato Le mani della criminalitàsulle imprese, l’usura costringe ormaialla chiusura 50 aziende al giorno. Senon fosse abbastanza chiara la por-tata del fenomeno, si può tradurre ildato nella relativa emorragia occupa-zionale: solo nel 2010, sono stati bru-ciati circa 130 mila posti di lavoro. Adessere colpito è, storicamente, so-prattutto il settore del commercio: ipiù a rischio sono – prosegue il rap-porto – «persone mature, intorno ai50 anni, che hanno sempre lavoratonel commercio e faticano, ad esem-pio, a riconvertire le proprie impre-se». Alimentaristi, fruttivendoli, ge-stori di negozi di abbigliamento ecalzature, fiorai: disposti a tutto, purdi evitare un protesto o il fallimentodelle attività.

«Ma ormai ci si rivolge agli usuraiperfino per aprire bottega, mancandoaltri canali di credito», si legge nel li-bro L’Italia incravattata, edito dalmensile Altreconomia. E qui entranoin gioco le banche. O meglio spari-scono, perché quello che gli econo-misti chiamano il credit crunch, ovve-ro la chiusura dei rubinetti dei presti-ti, costituisce una delle principalimicce del ricorso agli “strozzini”. Epensare che proprio gli istituti di cre-dito hanno ormai da mesi la possibi-lità di accedere a finanziamenti pres-soché illimitati dalla Banca centraleeuropea. La quale, nel tentativo diplacare le turbolenze dei mercati, haconcesso qualcosa come mille miliar-di di euro alle banche, all’irrisorio tas-so dell’1% (circa un quinto di quantoviene chiesto ai cittadini per un mu-tuo...). Uno sforzo mastodontico, no-nostante il quale, secondo la stessaBce, i prestiti arrivati al settore privato– famiglie e imprese – sono aumentatiin febbraio solo dello 0,7% rispetto almedesimo periodo del 2011.

«Le banche – osserva Pietro Gior-dano, segretario generale di Adicon-sum – dovrebbero varare una mora-toria sul credito al consumo, che pre-veda sospensione e allungamentodelle rate di qualsiasi finanziamento.È necessario che recuperino il lororuolo sociale, anche attraverso la so-lidarietà a favore dei clienti che peranni le hanno foraggiate e oggi sonocaduti in disgrazia». Ma gli istituti dicredito, per ora, sembrano orientati

L’usura non è un fenomeno immobile. Al contrario, evolve. E lo fa al passo coi tempi. Il caso più emblematico è proba-bilmente l’“usura di giornata”, che colpisce soprattutto piccolie piccolissimi imprenditori. I quali, per pagare i propri fornito-ri o evitare scoperti bancari, si fanno prestare al mattinosomme non ingenti (mille euro in media), ma alla sera devo-no restituirle maggiorate anche del 10%.

A preoccupare, però, è soprattutto la “mano” della crimina-lità organizzata. Secondo l’ultimo rapporto di Sos Impresa,via via che la crisi si inasprisce, cresce la quantità di denarorichiesto agli strozzini. Un tappeto rosso per le mafie, che diliquidità ne hanno a disposizione più di chiunque altro. Cosìse il “prestatore di quartiere”, ovvero l’usuraio abituale, nonriesce a far fronte alla “domanda”, entrano in gioco i gestoridel traffico internazionale di droga. Con alcune particolarità:l’usuraio di mafia, spesso si accontenta di tassi di interesse“modesti”. Poi, però, annoda un doppio cappio al collo del-l’imprenditore: costringendolo a pagare e imponendogli alcontempo il proprio ingresso in compartecipazione nell’azien-da. Fino, pian piano, a sottrargliene la proprietà. «Ecco cosìche l’usura entra nell’interesse mafioso, motivo per il qualemolti boss non considerano più spregevole tale attività», silegge nel rapporto dell’associazione anti-racket.

C’è poi chi ha sottolineato l’affiorare di cosiddetti “usurai incolletto bianco”. «È un’usura dalla faccia pulita – spiega LinoBusà, presidente di Sos Impresa –, i cui attori protagonisti, oc-culti o meno, occupano posti rispettabili. Sono imprenditori,commercialisti, avvocati, notai, bancari, finanche funzionari mi-nisteriali e statali. Conoscono molto bene i meccanismi delmercato del credito legale, e, spesso, anche le condizioni econo-miche delle proprie vittime». I rischi, d’altra parte, sono di fattocontenuti, dato che solo pochissime vittime trovano il coraggiodi puntare il dito contro i loro aguzzini. Il numero di denuncepresentate alle forze dell’ordine resta risibile, se confrontatocon le stime di chi monitora il fenomeno sul campo. Dal 1996– anno di emanazione dell’ultima legge anti-usura – le denuncesono mediamente persino calate. Nel 2008, uno degli anni piùduri della crisi, sono stati segnalati solo 375 reati, e le personedenunciate sono state solo 905. Paura e vergogna vincono. E l’usura resta un fenomeno sommerso e silenzioso.

Di giornata, col colletto bianco:un fenomeno che cambia volto

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è un’Italia alla quale man-ca il fiato. Per continuare alavorare, a sperare, a combat-tere. Decine di migliaia dipersone, famiglie, aziende,

costrette a fare i conti con il sovrain-debitamento. Un fenomeno cresciu-to negli ultimi anni a ritmi inquietan-ti, in un circuito di marginalità eco-nomica, sociale e umana che sialimenta di silenzi, paura, vergogna.E non di rado spinge nelle giogo me-schino e odioso dell’usura.

Un “effetto collaterale” della duracrisi economica che stiamo vivendo?

Certamente sì. Ma la fotografia delpaese “strozzato” rimarrebbe sfocatase la si guardasse solo da questo pun-to di vista. Occorre concentrarsi an-che sulle cause del fenomeno. A co-minciare dal modello di crescita eco-nomica che, negli ultimi decenni, ciha guidati verso uno sviluppo inso-stenibile, imperniato sulla “leva” esa-sperata dei consumi. Ciascuno ha su-bito, infatti, un bombardamento me-diatico, finalizzato a convincere chenon si può rinunciare a quasi nulladel superfluo e a far concludere ac-quisti ad ogni costo (letteralmente),

C’

nazionale indebitamento e usura

Famiglie e impresesovraindebitate. Chefiniscono nel giogodell’usura. Effettocollaterale della crisi?Soltanto in parte:è un modellodi sviluppo ad averinnescato il fenomeno.Che nella congiuntura si inasprisce. Conpesanti effetti sociali

di Andrea Barolini

strozzatoAnatomia di un paese

MANI LEGATEPropensione scriteriata al consumo.

Cui si aggiungono gli effetti della crisi.E così molti italiani si trovano

prigionieri degli usurai...

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struttura lombarda è dotata di vo-lontari che offrono consulenza ainuclei sovraindebitati; nei casi piùdifficili può garantire anche “presti-ti-ponte”, in attesa che vengano ero-gati finanziamenti – fino a un massi-mo di 25 mila euro e a un tasso, ov-

viamente, non superiore al 3% – dauna serie di banche convenzionate.«Abbiamo aiutato duemila personeed erogato 230 prestiti per 1,5 milio-ni di euro complessivi. Senza conta-re le persone per le quali è stata suf-ficiente una semplice consulenza.

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contratti per l’acquisto e la ristruttu-razione di immobili». Come se nonbastasse, l’11,1% delle famiglie risultacostretto a far fronte a debiti superio-ri al 30% del reddito complessiva-mente incassato ogni mese.

Il ritardo delle normeIl problema è sempre più pressante,dunque. Eppure lo stato deve ancoraaffrontarlo da un punto di vista nor-mativo. In Italia, infatti, non esiste

Perfino un nostro dipendente, al di sopradi ogni sospetto, in due mesi avevaprosciugato i risparmi al gioco. Grazie

al supporto della Fondazione ha confessatotutto alla moglie e lavora ancora con noi

nazionale indebitamento e usura

a far contenti soprattutto i loro azio-nisti, tenendosi stretti i capitali rice-vuti dall’Europa. Il che, inevitabil-mente, ha fatto schizzare il livello diindebitamento delle aziende italiane:180 mila euro in media, quasi il dop-pio dell’ultimo decennio, secondoSos Impresa. Non sorprende che i fal-limenti, solo nei primi due anni dicrisi, siano cresciuti vorticosamente:+16,6% nel 2008, +26,6% nel 2009.

E se le imprese vacillano, le fami-glie non possono che pagarne le con-seguenze. Secondo i dati della Bancad’Italia, l’indebitamento medio dellefamiglie è ormai pari a 22 mila euro.Uno studio della Cgia di Mestre hasottolineato come tale dato, dal set-tembre 2008 allo stesso mese del2011, sia cresciuto del 36,4%; le areepiù fragili sono le province di Roma(indebitamento medio di 29.287 eu-ro), Lodi (28.470 euro) e Milano(28.251 euro). Questo perché «la si-tuazione economica delle famigliemeno abbienti nelle grandi aree me-tropolitane è mediamente peggioredi quella registrata dai nuclei ubicatinelle realtà medio-piccole, dove il co-sto della vita è inferiore», sottolineaGiuseppe Bortolussi, segretario dellaCgia. Bankitalia aggiunge che «la per-centuale di famiglie indebitate è parial 27,7%», e la ragione principale è le-gata alle passività legate «ai mutui

biamo sette esperti che coprono l’in-tero territorio altoatesino – spiegaPetra Priller, responsabile della strut-tura –. A bussare alla nostra portanon sono più solo persone indebita-tesi a causa di un divorzio o per com-prare casa. Oggi a mettere in ginoc-chio le famiglie sono la disoccupa-zione e i redditi troppo bassi, oltre alcosto della vita sempre più alto. Sen-za dimenticare i “servizi” di certe fi-nanziarie, che sono usurai legalizzati,con tassi che arrivano al 16 o al 17%.

Abbiamo visto pensionati ultraset-tantenni arrivare a perdere la propriacasa, sacrificio di una vita intera…».

A Milano opera la Fondazione SanBernardino, nata nel 2004 per voleredei vescovi della Lombardia: «Tracarte revolving, prestiti insostenibilidi banche o finanziarie e cessioni delquinto dello stipendio, la situazioneè sempre più preoccupante – osservail presidente, Luciano Gualzetti – ecolpisce ormai non solo le famigliepovere, ma anche il ceto medio». La

olte realtà ecclesiali, tracui le Caritas diocesane,sono impegnate da anni,lungo l’intero stivale, nelcontrasto del fenomeno

dell’usura, nonché – in chiave pre-ventiva – nell’aiutare famiglie so-vraindebitate.

Il servizio Consulenza debitoridella Caritas diocesana di Bolzano-Bressanone è nato nel 1999; da allora,ha fornito supporto a 12 mila tra per-sone singole e nuclei familiari. «Ab-

MMolte strutture di sostegno, in Italia, a famiglie sovraindebitate, createda diocesi e Caritas. «Crisi, finanziarie, gioco, mafie: l’usura dilaga»

La conferma delle fondazioni«Il ceto medio ai nostri sportelli»

una disciplina specifica per il so-vraindebitamento: «In parlamento –spiega Donata Monti, dell’associa-zione Proseguo – ancora non è in di-scussione un disegno di legge vero eproprio, nonostante sia evidente l’ur-genza di una norma ad hoc, che delresto è presente in numerosi altripaesi europei». Una bozza, tuttavia, èstata presentata dal ministro dellagiustizia, Paola Severino. Ma da quel-lo che è trapelato attraverso gli organidi stampa, essa fa riferimento nongià ai “cittadini”, bensì ai “consuma-tori”. Il che comporterebbe tutta unaserie di problematiche giuridiche:come si determina lo status di “con-sumatore”? E se lo si perde, non si èpiù “protetti” dalla legge?

L’usura, invece, è ovviamente puni-ta da tempo da norme specifiche. Inparticolare dalla legge 108 approvatanel 1996. Le “falle” però non mancanoneanche in questo caso: l’arrestodell’usuraio è disposto solo se il mal-vivente è colto in flagranza di reato, ilche avviene molto di rado. Il più dellevolte si passa per un tribunale, e i tem-pi della giustizia italiana, si sa, impon-gono lunghe attese. Senza contare ilfatto che la sola valutazione del tassodi interesse effettivo comporta, spes-so, onerose perizie e consulenze. Tutteinefficienze che non fanno altro cheaiutare il racket dell’usura.

Professione delle vttime Età delle vittime

Padri o madri separate, anche molti“ludopatici”. Perfino un nostro di-pendente, al di sopra di ogni sospet-to, che in due mesi aveva prosciuga-to tutti i risparmi familiari al gioco, eche grazie al supporto della Fonda-zione lavora ancora con noi e haconfessato tutto alla moglie».

La cultura e la malavitaA Palermo, invece, il problema è con-dito da mali annosi: disoccupazione,mancanza di strutture pubbliche,

LA SOLITUDINE IMPRIGIONAManifesto di denuncia del fenomenodell’usura, campagna del comune di Roma. A destra, quadro sul problema

La mappa dell’Italia strozzataNumero commercianti

coinvolti [tra parentesi il giro d’affari in milioni di euro]

Emilia Romagna8.500 [0,95]

Campania32.000 [2,8]

Basilicata3.000 [0,27]

Sicilia25.000 [2,5]

Puglia17.500 [1,5]

Lombardia 16.500 [2]

Piemonte 9.500 [1,1]

Commercianti46%

31>40 anni31%

41>50 anni29%

Imprenditori30%

Artigiani10%

Fino a 30 anni22%

Lavoratori dipendenti7%

Liberi professionisti6%

Disoccupati pensionati1%

Oltre i 60 anni

1%51>60 anni17%

Calabria 13.500 [1,1]

Lazio28.000 [3,3]

Toscana8.000 [0,9]

Liguria5.700 [0,6]

Abruzzo6.500 [0,5]

Molise2.300 [0,18]

Legenda >20.00010.000>20.0005.000>10.0000>5.000Altre 24.500 [2,3]

Totale 200.000 [20]

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claggio che sfruttano la disperazionesoprattutto dei piccoli imprendito-ri», conferma Alfisi.

La criminalità organizzata diventavia via più presente anchenelle provincie meridionalidel Lazio. Nel territorio diFrosinone, ad esempio, laFondazione anti-usura dellaCaritas ha riscontrato un “sal-to di qualità”, soprattutto nel-l’area di Cassino.

«Il fenomeno attecchisceanche perché il ricorso ai pre-stiti concessi da privati è dif-fuso da decenni, e costituisceun “peso” culturale con ilquale dobbiamo fare i conti»,spiega il presidente, MarcoToti. Ma a premere sulle spal-le delle famiglie sovraindebi-tate sono soprattutto societàfinanziarie spregiudicate, checoncedono prestiti anche achi non avrebbe le garanzieper ottenerli: «Abbiamo ri-scontrato casi di persone ar-rivate ad accumulare otto odieci prestiti».

A loro la Fondazione offreuna consulenza, per indivi-duare il modo migliore peruscire dal tunnel: «Abbiamocostituito un fondo di garan-zia con le quattro diocesi delterritorio – prosegue Toti – estipulato accordi con duebanche popolari locali. Afronte di una nostra garanziasul 90% del prestito (ma a vol-te siamo costretti a elevarla al100%) possono essere conces-si crediti fino a 20 mila euro a70 mesi. A volte, però, arrivia-mo tardi: è necessaria un’ope-ra di prevenzione, anche at-traverso le parrocchie».

I NUMERI DI UN PAESEPIÙ POPOLOSO E PIÙ VECCHIO

il 23,5% nell’Italia meridionale e perl’11,2% in quella Insulare. La popo-lazione femminile supera dovunquequella maschile: mediamente si con-tano 51,7 donne ogni 100 residenti.

Rispetto al precedente censimento(2001), la popolazione è aumentata di2.468.000 unità (+4,3%): ciò si devequasi esclusivamente all’aumento deicittadini stranieri, mentre si confermala tendenziale staticità demograficadella popolazione di cittadinanza ita-liana. La popolazione è cresciuta so-prattutto al centro-nord, dove oltre il70% dei comuni ha registrato un in-cremento demografico; il numero deiresidenti è invece sceso in oltre il 60%dei comuni del sud e nelle isole.

Nell’ultimo decennio intercensua-rio, la popolazione straniera abitual-mente dimorante in Italia è quasi tri-plicata (+182,4%), passando da pocopiù di 1,3 milioni a circa 3,77 (da-to provvisorio). Un incremento di parientità si registra anche nell’incidenzadegli stranieri sul totale della popola-zione, dal 2,34 al 6,34%.

Gli incrementi più elevati di presenza straniera si os-servano nell’Italia nord-orientale e meridionale, dove pe-rò l’incidenza sul totale della popolazione (24,3 stranieriper mille censiti) resta ben inferiore a quella del centro-nord. Quasi un terzo dei cittadini stranieri risiede nei co-muni con popolazione compresa tra 5 mila e 20 mila abi-

tanti. Nei comuni con popolazionesuperiore a 100 mila abitanti risiede il26,7% degli stranieri.

Alloggi vuoti, cinque milioniCon il termine “famiglia”, l’Istat in-tende un insieme di persone legateda vincoli di matrimonio, parentela,affinità, adozione, tutela o da vincoliaffettivi, coabitanti e aventi dimoraabituale nello stesso comune. Unafamiglia può essere costituita ancheda una sola persona.

Tra il 2001 e il 2011, le famiglie re-sidenti in Italia sono aumentate del12,4%, passando da 21.810.676 a24.512.012. Anche in conseguenzadel progressivo invecchiamento dellapopolazione, è continuata la progres-siva riduzione del numero medio deicomponenti per famiglia, da 2,6 per-sone nel 2001 a 2,4 nel 2011.

Il censimento delle abitazioni ha in-vece rilevato quelle occupate da per-sone residenti e non residenti, le abi-tazioni non occupate e gli altri tipi dialloggio, questi ultimi solo se occupati(ad esempio baracche, roulotte, tende,ecc.). Il 9 ottobre 2011 sono dunquestate rilevate 28.863.604 abitazioni,di cui 23.998.381 occupate da per-sone residenti. Sono 1.571.611 leabitazioni in più rispetto al censimen-to 2001 (+5,8%); nell’Italia nord-orientale è stata registrata la variazio-ne massima (+13,2%), la minima nel-l’Italia meridionale (+1,6%).

I primi risultati del 2011 mostranoche in Italia vi sono 71 mila famiglieche risiedono in altri tipi di alloggio (ba-racche, roulotte, tende, ecc.). Il rappor-

to di incidenza rispetto alle abitazioni è pari al 3 per mille,con oscillazioni dal massimo di 3,4‰nell’Italia meridiona-le al minimo di 2,5‰ nell’Italia nord orientale. Si deve poinotare che il fenomeno ha subito nel decennio un notevoleincremento: gli altri tipi di alloggio occupati da residenti era-no 23.336 nel 2001 e sono risultati 71.101 nel 2011.

A fine aprile l’Istat ha diffuso i primi risultati del 15° Censi-mento generale della popolazione e delle abitazioni. Iden-tikit dell’Italia all’alba del terzo millennio: anche se si tratta

di dati provvisori, in quanto il censimento è ancora in via di ulti-mazione in alcuni grandi centri abitati.

Al 9 ottobre 2011 (data di riferimento del censimento), la popola-zione residente del nostro paese era pari a 59.464.644 individui, deiquali 28.750.942 maschi e 30.713.702 femmine. La popolazioneresidente si distribuiva per il 26,5% nell’Italia nord-occidentale, peril 19,3%nell’Italia nord-orientale, per il 19,5% in quella centrale, per

Diffusi dall’Istati primi risultati

del Censimento 2011della popolazione.

Siamo arrivati a quasi60 milioni, grazieall’apporto degli

stranieri. Famigliesempre più piccole.

Boom di personeche abitano tende,

baracche, roulotte…

databasedi Walter Nanni

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Diritto al credito: anche se “micro”alimenta responsabilità e dinamismo

Il sovraindebitamento grave e l’usura sono mali atavici, ma inaspriti dalla crisi. Fa-miglie e piccola impresa spesso si trovano sole a combattere contro le difficoltà di accesso al credito o di gestione dei debiti contratti. Società civile e soggetti ec-clesiali mettono in atto una pluralità di risposte (centri di ascolto, fondazioni antiu-sura, forme di prestito agevolato, tra cui il Prestito della Speranza Cei-Abi) che nondevono però far dimenticare l’importanza di leggi più capaci di garantire i cittadini.

Le buone pratiche, anche attraverso la sinergia fra organismi caritativi e im-prenditoriali, insegnano che uno dei fronti d’intervento più incisivi è il microcredi-to. Soggetti sociali ed ecclesiali hanno registrato innumerevoli volte il dramma di persone definite “non bancabili” non solo per demerito bancario, ma a causa di problemi extra-finanziari o perché le istituzioni finanziarie le hanno ritenute pri-ve di sufficienti garanzie reali. Spesso, però, i criteri usati dalle banche per esclu-dere dal credito non sono esaustivi, e finiscono per tradire un presupposto etico:la fiducia umana non deve fondarsi solo su indicatori di tipo economico, e tanto-meno bancario. Occorre dunque, nell’analisi della condizione di un individuo o fa-miglia o piccola impresa, tener conto degli elementi di fragilità, ma anche dellepotenzialità umane che renderebbero sostenibile l’accesso al credito, se accom-pagnate da adeguate forme di garanzia. Costituite, nelle sperimentazioni nei terri-tori, da fondi ad hoc, sorti anche grazie alla mobilitazione delle comunità locali.

Il microcredito in Italia (sociale o d’impresa, volto a lottare contro l’esclusio-ne sociale o a promuovere il diritto di iniziativa economica delle persone) puònon essere una scelta di nicchia. Ma richiede un cambiamento culturale. Il fattoche si investa sulla responsabilizzazione, passando, quando è possibile, da unalogica di contributo a fondo perduto a un concetto di “prestito”, prefigura infattiun vero e proprio investimento sociale.

In altre parole: non è solo il passato delle persone che conta. E l’attenzioneprioritaria alla persona ispira la convinzione che l’accesso al credito è un diritto;affinché sia esercitato, sono necessari servizi di assistenza, consulenza e ac-compagnamento. Dovrebbero dunque essere abilitati a esercitare le attività di microcredito – e la legge deve riconoscere questa opportunità, anche preve-dendo adeguate agevolazioni fiscali – tutti i soggetti di natura finanziaria e nonfinanziaria che hanno come finalità prevalente e statutariamente definita il con-trasto all’esclusione finanziaria. A essi deve essere richiesto un impegno anchesul versante della prevenzione del sovraindebitamento, tramite un’informazioneampia e trasparente. Prevenire i debiti eccessivi, affermare il diritto al credito:premesse di una comunità non solo con meno poveri, ma anche più equilibratae dunque più dinamica, persino sul versante economico. [Andrea La Regina]

meno la paura di essere scoperti». Lamafia, poi, cavalca l’onda, offrendola propria liquidità: «I nostri utentiraccontano di nuove forme di rici-

nazionale indebitamento e usura

RETECAPILLARE

Sportellodella fondazione

antiusuradi Napoli. Sonomolte, in Italia,

le diocesi ele Caritas attive

per la prevenzionedel fenomeno

LENTE ITALIAIl simbolo del Censimento generale 2011della popolazione scelto da Istat

presenza massiccia della criminalitàorganizzata. Vittorio Alfisi dirige laFondazione anti-usura SS. Mamilia-no e Rosalia, e racconta di un boomdi richieste di aiuto «soprattutto dal-la fine del 2010. Incontriamo disoc-cupati, persone alle quali hanno di-minuito l’orario di lavoro. Ormai an-che insegnanti, dipendenti pubblici,gente che ha una retribuzione digni-tosa ma non riesce ad andare avanti.Soprattutto chi entra nella spirale delgioco, che con il proliferare di siste-mi online non comporta più nem-

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devono ricorrere al mercato finanzia-rio per far fronte alle loro necessità.Rilanciare la centralità del lavoro nonè dunque solo un’esigenza di solida-rietà e di giustizia. Credo sia ancheun’idea di economia, in cui il valore dibeni e servizi si misura sulla loro utili-tà, concetto da troppo tempo uscitodal dibattito politico ed economico.

Tra chi perde il lavoro (o chi vedefallire la propria attività imprendi-toriale) sembra essere sempre piùdiffuso un sentimento d’irrime-

Il peso della finanza sull’economiasposta l’attenzione sulla remunerazionedell’azionista; il valore non risiede più

nel lavoro e nell’impresa, ma nell’azione,da remunerare in tempi brevi

nanziari, o attribuire tutto alla specu-lazione. La crisi ha dimostrato che laconcorrenza finanziaria destabilizza imercati con prezzi eccesivi e bolle chesfuggono a ogni idea di razionalità. Ilpeso della finanza sull’economia spo-sta l’attenzione sulla remunerazionedell’azionista; il valore non risiede piùnel lavoro e nell’impresa, ma nel-l’azione, che chiede di essere remune-rata in tempi brevi. Un tale modelloha inoltre effetti pesanti sull’insiemedell’economia, e pone problemi nonindifferenti agli stati indebitati, che

diabilità, che spinge alcuni al sui-cidio. Eccesso di pessimismo nellacomunicazione pubblica, o solitu-dine reale di fronte ai problemi?

La crisi ha accentuato fenomeni e ac-cresciuto forme d’insicurezza già pre-senti, ma tacitate da una situazioneche comunque offriva opportunità,anche se minime o precarie. Abbia-mo molto e correttamente riflettutosulla precarietà di molti lavoratori,poco sulla precarietà di molte piccoleimprese. Mi sembra che il piccolo im-prenditore si sentisse più “sicuro” delgiovane con contratto a termine: illu-sione scoppiatagli tra le mani, spessovissuta come una sorta di fallimentoindividuale, anziché come la conse-guenza di una certa organizzazionedel lavoro. Si devono dunque affinare

Il Nord Est italiano, ovvero uno dei principali motori economici del paese.Piccole e medie imprese, commerci, aziende familiari: parabole e destiniatomizzati, sovente individuali, su cui la crisi si accanisce senza fare trop-pe distinzioni. Lo sa bene – e per due motivi – Paolo Zanet, che a Porde-none è direttore della Caritas diocesana e al contempo imprenditore, tito-lare di un’azienda di materiali per l’edilizia: un ruolo che gli concede unosguardo duplice sull’evoluzione del rapporto tra economia, lavoro e po-vertà. «La nostra realtà ci propone segnali contrastanti – osserva –. Il tes-suto industriale, nonostante tutto, sembra reggere di fronte al terremotodegli ultimi anni. Però, d’altro canto, fino al 2010 il tasso di disoccupazio-ne nel territorio era pari al 3%, mentre oggi siamo arrivati al 5-6%».

A farne le spese, inevitabilmente, sono i più deboli. «I ceti meno ab-bienti – aggiunge Zanet – prima riuscivano a sopravvivere con l’aiutodelle famiglie, ma oggi non riescono più nemmeno a raccogliere le bri-ciole. Il problema riguarda anche e soprattutto gli stranieri, che rappre-sentano nella nostra provincia il 20-22% della manodopera. Non a casonella provincia si riscontra un numero crescente di casi di nuove migra-zioni da parte degli stranieri: questa volta lasciano l’Italia per andare a cercare fortuna in altre zone d’Europa (soprattutto nel nord del conti-nente) o negli Stati Uniti».

Per fornire un supporto a chi sprofonda nella povertà, la Caritas haistituito un Fondo diocesano di solidarietà. Avviato nel 2010, con un pri-mo versamento dei sacerdoti, che hanno offerto una mensilità per ali-mentarlo. Ulteriori donazioni l’hanno fatto lievitare a 400 mila euro: unsuccesso per una diocesi di medie dimensioni, tradottosi in un aiuto dapoco meno di mille euro, in media, per quasi 500 famiglie: «Abbiamo pri-vilegiato le situazioni più gravi, soprattutto i casi di nuclei con minori».

Ma boccate d’ossigeno simili non bastano: «Anche altri soggetti – sot-tolinea Zanet – devono fare la loro parte, a partire dalle banche. Oggi siè presentata da noi una coppia con due stipendi e due figli studenti uni-versitari, che ci ha raccontato di non riuscire ad ottenere crediti bancari.Così si è costretti ad attingere ai risparmi di una vita, magari quelli deinonni». E se le risorse si esauriscono, la povertà bussa alla porta. Anchenelle terre del più recente miracolo italiano. [a.b.]

PordenoneImprenditore e direttore Caritas:«Ai poveri neanche più le briciole»

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nazionale interviste sulla crisi / 4

la finanza irrazionaleè centrale

Pezzotta, unavita in fabbrica e nel sindacato. «La crisi? Non solodisonestà di alcuni o attacchi speculativi.È la dimostrazionedell’insostenibilità di un modello, per cui remunerarel’azionista conta piùche sostenereimprese e lavoratori»

a crisi, oggi, la soffre e la va-luta da politico: è deputatodal 2008. Ma pensieri e sen-timenti sono ancora quellidel sindacalista: passione e

responsabilità di una vita. È entratoin Cisl (dalla fabbrica) a 20 anni, ne èstato segretario generale dal 2000 al2006. Savino Pezzotta conosce il va-lore del lavoro. E sa che l’attuale, do-lorosa transizione si deve, in ultimaanalisi, al tradimento di quel valore.

Italia, repubblica fondata sul la-voro. Eppure non passa giornosenza statistiche allarmanti sulcalo dei livelli di produzione e oc-cupazione, reddito e potere d’ac-quisto. Nella sua vita da sindaca-lista ha visto crisi di ogni genere.

L’attuale è solo più ampia e aspra,o pone in discussione la centralitàdel lavoro nella vita del paese?

Sono convinto che l’attuale crisi siamolto profonda. La responsabilità ini-ziale è nel crollo finanziario iniziatonegli Usa nel 2007 ed estesosi comeuna pandemia a tutto il mondo eco-nomicamente e capitalisticamentestrutturato e all’economia reale. Ciòmette in luce la stretta interdipenden-za tra finanza ed economia reale. Ilproblema principale, non affrontatodalla teoria liberista dominante, ri-guarda chi e come debba regolare imercati finanziari. La crisi dimostrache l’autoregolamentazione non reg-ge, e non ci si può liberare la coscienzapuntando il dito contro la disonestà el’irresponsabilità di alcuni attori fi-

Ldi Paolo Brivio e Ferruccio Ferrante

Il lavoro

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«Siamo disposti a fare insiemeuna revisione profonda del mo-dello di sviluppo dominante, percorreggerlo in modo concertato eilluminante?». L’interrogativo po-sto da Benedetto XVI coinvolgetutti. Quale ruolo può e deve averela Chiesa di fronte a questa crisi?

La mia generazione ha assistito al fal-limento di due modelli: quello marxi-sta delle economie pianificate, quelloliberista delle economie anarchiche.Ambedue hanno, in modo diverso,

succhiato il sangue dei poveri. Diven-ta sempre più urgente cercare nuovevie. Non inseguo sogni palingenetici,ma come povero cristiano, che fa ri-ferimento alla dottrina sociale dellaChiesa, un briciolo di messianismomi attraversa. La prima cosa da fare èimparare a valutare i processi di cam-biamento con la lente della dignitàumana: la società degli uomini nonsarà mai perfetta, non diventerà perfortuna un formicaio o un alveare, magiorno dopo giorno può conquistarespazi di decenza, senza discrimina-zioni ed emarginazioni. Poi occorreche progressivamente cambiamo ilnostro stile di vita, ispirandoci allasemplicità, al rispetto dell’ambiente ea relazioni umane sempre più solidali

e amicali. Infine, è ne-cessario partecipare atutto ciò (impegno so-ciale, comunitario, fa-migliare, politico, reli-gioso) che porta gli uo-mini e le società versoun avvenire nuovo. Incui scambi economici,lavoro e fare impresasiano liberi, ma regolatidalla solidarietà.

povertà e sostegno ai redditi fami-gliari. Le persone hanno diritto adavere un reddito da lavoro o da pen-sione, che consenta loro di non esse-re mantenute.

La crisi martella, ma non tutti allostesso modo: cosa prova di frontealle sempre più sbalorditive di-sparità di reddito e ricchezza checaratterizzano la società italiana(e non solo)?

Sono stupefatto. E anche indignato,soprattutto quando sento certuniche fanno l’elogio dei sacrifici, mahanno redditi altissimi e sono indi-sponibili alla patrimoniale. O che silamentano per le troppe tasse, e in-tanto evadono e portano i capitaliall’estero. Mi sono stancato di questimoralismi, vorrei un poco più di at-tenzione alle disuguaglianze. La cre-scita delle disparità mette in pericolola società, la rende più rancorosa einvidiosa, impedisce gli elementi dicoesione necessari per fare fronte al-le difficoltà. Far agire i criteri di ugua-glianza – non l’egualitarismo, che pe-nalizza merito e capacità – rende lesocietà più forti. e in grado di reggerela molteplicità delle sfide.

PIOVE SULLE BORSEContinui rovesci, negli ultimi mesi,sui mercati finanziari internazionali.Ne risente l’economia reale: sotto,protesta contro l’assenza di lavoro

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gli strumenti di protezione sociale perquanto riguarda i lavoratori, ma forsebisognerebbe pensare anche a formedi mutualità per i piccoli imprendito-ri. Non m’intendo molto di psicolo-gia. Ma penso che sarebbe veramenteutile una nuova dimensione comuni-taria, con momenti di condivisione eaccompagnamento sociale. La crisinon si può affrontare da soli. Dobbia-mo affrontarla insieme.

Si è fatto un gran discutere, peranni, sull’avvento della civiltà dei“lavori”, evoluzione dell’epoca (edella mitologia) del posto fisso. Lacrisi evidenzia che siamo rimastitroppo rigidi? O la corsa a flessibi-lizzare non poteva che generareperdita di sicurezze, infine di ca-pacità e qualità produttiva?

Stiamo facendo i conti con un ritardodi 15 anni. In quel tempo, le condizio-ni economiche avrebbero consentitodi avviare un processo di consolida-mento dell’impresa italiana e di incre-mento della capitalizzazione, cosìavremmo potuto affrontare questacrisi con un apparato produttivo euna situazione economica un pocopiù solidi. E avremmo maggiori risor-se da investire in tecnologie e forma-zione umana. Invece ci siamo adagiatie abbiamo applicato la logica del “la-sciar fare”. Risultato: ci siamo ritrovatidi fronte alla crisi con imprese più pic-cole, ditte individuali, un apparatoproduttivo impoverito dalle delocaliz-zazioni, indebolito dalla concorrenzadei paesi a basso costo, che ha dovutofare i conti con i nuovi vincoli postidall’euro. Eppure si poteva contare suuna nuova flessibilità del lavoro (leggiTreu e Biagi), sul comportamento ra-gionevole dei sindacati e su una con-flittualità sociale ridotta al minimo daun modello concertativo virtuoso. Èstata un’occasione mancata, da partedei governi e di una serie d’imprendi-tori, che hanno preferito la strada fa-cile della finanza e dell’investire fuori

confine. Ora è arrivato il tempo che,dopo i sacrifici, l’Italia si dia una mos-sa. Tocca alla politica dare il via allacrescita, ma la società civile non puòstare a guardare e limitarsi a protesta-re. La politica deve rigenerarsi, abban-donare ogni opacità, costare di menoe valorizzare volontariato e avvicen-damento delle classi dirigenti. Questoprocesso sarà possibile se non ci si af-fiderà solo all’autoriforma, ma se dallasocietà civile verrà uno stimolo con-creto fatto di azioni e interventi. A co-minciare dalle energie e dalle espe-rienze della “economia civile”.

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Ora è arrivato il tempo che, dopo i sacrifici,l’Italia si dia una mossa. Tocca alla politicadare il via alla crescita, ma la società civile

non può limitarsi a protestare: servonostimoli, a cominciare dall’“economia civile”

nazionale interviste sulla crisi / 4

Da febbraio gli imprenditori in difficoltà, nella provincia di Treviso, possono con-tare su un punto di riferimento, di ascolto e – forse – anche di svolta. ProgettoPenelope è un’iniziativa della Caritas diocesana, il cui obiettivo è “intercettare” i drammi e fornire supporto psicologico (oltre che di consulenza aziendale) a chiteme di veder fallire l’impresa di una vita. «Chi si rivolge a noi – racconta Gio-vanni Favaro, uno degli psicologi che risponde quotidianamente alle chiamatedegli imprenditori – non è solo in difficoltà economica: lo è anche e soprattuttoda un punto di vista personale, umano. È questo il primo aiuto di cui hanno bi-sogno. Successivamente forniamo supporto anche attraverso una squadra dicommercialisti, bancari, avvocati ed esperti, che forniscono una valutazione del-la situazione, aiutando a individuare la strada migliore per uscire dal tunnel».

Nell’iniziativa sono stati coinvolti associazioni di categoria, enti e realtà loca-li. «Chi collabora con noi lo fa in modo gratuito e volontario, aderendo ai princi-pi che ci animano», spiega don Davide Schiavon, direttore Caritas. In modo vo-lontario, ma competente: spesso un argine di fronte alle degenerazioni della disperazione, che possono trasformare il declino o il fallimento di un’azienda in qualcosa di molto peggiore. L’ondata di suicidi che attraversa l’Italia da mesitestimonia la gravità del problema: «Purtroppo temiamo che chi medita seria-mente di togliersi la vita sia in una fase di depressione così avanzata da nonriuscire neppure a chiamarci – confessa don Schiavon –. Le fabbriche chiudono,risollevare la propria azienda è difficile, per non parlare del tentativo di cercareun nuovo lavoro».

Il telefono del Progetto Penelope funge da supporto per tutti i casi conside-rati “a rischio”, ma per i quali è ancora possibile evitare il peggio. L’iniziativa ha riscosso apprezzamento nel territorio: «Abbiamo ricevuto più contatti rispet-to a quanti potessimo immaginare». Per il futuro, si stanno immaginando ac-cordi con le banche, per consentire a chi si trova in difficoltà di ottenere sup-porto finanziario a condizioni agevolate. Un modo per fornire una risposta con-creta, anche quando la crisi sembra senza via d’uscita. [a.b.]

TrevisoAscolto e consulenza contro la solitudine,Progetto Penelope previene il suicidio

Vecchi garantiti, giovani vittime diquelle garanzie: uno slogan fon-dato? Le famiglie italiane devonorassegnarsi a vedere i nipoti man-tenuti dalla pensione dei nonni?

Non sono mai stato un amante dislogan e semplificazioni. Esistonovecchi che vivono in condizioni disemplice sussistenza, o di povertà eprecarietà sociale, e altri che hannocondizioni più dignitose, anche senon favolose. Essere pensionato alminimo, o con una pensione che nonarriva a mille euro al mese, e magarivivere avendo a carico un disoccupa-to o un parente, non è una condizio-ne di privilegio. Poi ci sono i giovaniche non hanno un lavoro, o che de-lusi non lo cercano più. La rimodula-zione del welfare dovrebbe interveni-re su tre questioni: disuguaglianze,

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nazionale rifugiati

vorito la non frammentazione delpercorso di integrazione.

Tuttavia, quelle che sulla carta po-tevano rivelarsi decisioni vincenti,hanno presentato, nella loro materia-le messa in atto, diversi risvolti nega-tivi. Le modalità con cui le personesono state inviate nei centri sono sta-te talmente repentine da aver co-stretto ad allestire accoglienze pres-soché improvvisate, in strutture ingrado di garantire solo servizi di bas-sa soglia (vitto e alloggio). Si è creata,dunque, grande disomogeneità tra levarie esperienze di accoglienza, alcu-ne rodate (ad esempio perché giànella rete Sprar) e in grado di fornireefficaci servizi di accompagnamento,altre limitate a prestazioni essenzialiper la sopravvivenza. Un peso deter-minante l’hanno avuto anche l’inte-resse e il coinvolgimento manifestatidalle istituzioni locali.

Estrema etrogeneitàQuesta estrema eterogeneità ha avuto

a più di un anno le Caritasdiocesane, coordinate daCaritas Italiana, sono impe-gnate nell’accoglienza dellepersone giunte in Italia in

seguito alle crisi dei paesi nordafrica-ni. È tempo di bilanci: la gestione del-l’emergenza ha avuto aspetti positivi,superando criticità del passato, maha anche evidenziato punti oscuri,da non perpetuare in futuro.

In positivo, va segnalato il supera-mento della prima accoglienza ingrandi strutture come i Cara o centrianaloghi. L’accoglienza, attraversol’intervento della Protezione civile, instrutture medio-piccole diffuse,coinvolgendo attori regionali e locali,era una scelta da tempo auspicatadagli enti che si occupano di tutela dimigranti e richiedenti asilo. Anchel’aver garantito la presa in carico del-la persona richiedente asilo in unastessa struttura fino alla decisionedella Commissione territoriale inca-ricata di valutare la domanda ha fa-

DTempo di bilanci,dopo l’emergenzasbarchi 2011 dalNord Africa. Benela distribuzione deimigranti in piccolestrutture diffuse nelterritorio. Ma pesanol’improvvisazionegestionale e lamancata definizionedello status di chiarriva dalla Libia

di Manuela De Marco

LIMBO GIURIDICOGiovani africani richiedenti asilo:la vita, dopo lo sbarco in Italia, è un’attesa snervante, spessopurtroppo inconcludente

Un annodi accoglienza

Qualche luce, molti nodi

partivano: verso l’America, l’Austra-lia, alla ricerca di speranza, di una vi-ta da ricostruire.

Sei decenni dopo, siamo spettatoridi un’Europa ormai demografica-mente vecchia, divenuta meta di po-polazioni che migrano – alcune in fu-ga da guerre o persecuzioni, altre dapovertà e da fame – sempre con lostesso pensiero: la speranza di unavita migliore. Molti riescono ad arri-vare in modo regolare, altri sono co-stretti ad affidare la propria vita aitrafficanti.

Grande area di accoglienzaIl mondo è, e resterà, in movimento. Attualmente, comefece sessant’anni fa, nei 146 paesi in cui è presente l’Oimsi adopera per alleviare le fatiche di chi rischia la vita permigrare, ma anche per aiutare i paesi che accolgono iflussi migratori a comprendere, a gestire e a valorizzarela ricchezza – umana, economica – che le migrazioni por-tano con sé, per far sì che ci si possa muovere in sicurezza

migrante continuerà a crescere allo stesso ritmo degli ul-timi vent’anni, il numero complessivo di migranti inter-nazionali nel mondo potrebbe superare la soglia dei 405milioni entro il 2050. Infatti, entro il 2025 i giovani in etàlavorativa dei paesi in via di sviluppo supereranno il to-tale attuale dei paesi industrializzati. Le previsioni per i27 paesi dell’Unione europea per i prossimi 50 anni, adesempio, indicano un boom nel numero dei pensionati:

solo il 15% della popolazione sarà inetà lavorativa.

Gestire questo fenomeno conumanità ed efficienza: questa è la sfi-da che ci si pone davanti. Non biso-gna perdere la virtù dell’accoglienzae la consapevolezza che una migra-zione ben gestita è un bene per tutti:per i paesi di accoglienza, per quellidi origine, per i migranti stessi.

Bilancia italiana in equilibrio nei decenni

1,42 milioni gli italiani che emigrarono dal 1946 al 1951; 1,53 milioni gli stranieri immigrati in Italia dal 2006 al 2011

214 milioni i migranti nel mondo nel 2010: erano 191 nel 2005,potrebbero diventare 405 milioni nel 2050

146 i paesi del mondo in cui è presente Oim

UN BENE PER TUTTI,IL MONDO RESTA IN MOVIMENTO

dall’altromondodi José Angel Oropeza capomissione Oim Italia e Malta

e nel rispetto dei diritti umani.L’Italia, nel passato paese di con-

sistente emigrazione, è diventata unagrande area di accoglienza per milio-ni di immigrati. I cambiamenti diquesti ultimi sei decenni possono es-sere sintetizzati da un dato statisticoparticolarmente significativo: dal1946 al 1951 – anno di fondazionedell’Oim – gli italiani che emigraronoall’estero per cercare lavoro furono 1milione 420 mila; in questi ultimi cin-que anni, dal 2006 al 2011, sono statiinvece 1 milione 535 mila gli stranieriche sono immigrati in Italia. E negliultimi anni la crescita è stata espo-nenziale: ormai ci sono oltre 5 milio-ni di migranti regolari nel paese, checontribuiscono al 12% del Pil nazio-nale. Una vera e propria forza motri-ce per l’economia italiana.

Se allarghiamo lo sguardo e osser-viamo la situazione nel mondo, cirendiamo conto che oggi ci sonomolti più migranti internazionali nelmondo oggi di quanti non se ne sia-no mai registrati prima: dai 191 mi-lioni del 2005 siamo arrivati ai 214milioni del 2010. Se la popolazione

S essant’anni fa, nel 1951, alcuni stati, tra cui l’Italia, fondarono ilComitato intergovernativo provvisorio per il movimento dei mi-granti dall’Europa (Piccme), organismo diventato in seguito

Icem e infine Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni).A quel tempo un’Europa in ginocchio, piegata dagli orrori della se-conda guerra mondiale, era percorsa da centinaia di migliaia di per-sone che si spostavano da un paese all’altro. Un movimento di pro-porzioni enormi, che aveva bisogno di essere gestito nel modo piùordinato possibile e, soprattutto, nel rispetto dei diritti della persona.Era un’Europa – forse ancor di più un’Italia – dalla quale le persone

Sessant’anni fanasceva

l’Organizzazioneinternazionale delle

migrazioni. Un’Europain ginocchio era

percorsa da enormiflussi di persone, con

la speranza di una vitamigliore. Oggi accoglie

flussi: deve farlo conumanità ed efficienza

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TENTAZIONE ANTICA E NUOVAL’ANTIPOLITICA È IRRAZIONALE?

contrappuntodi Domenico Rosati

medio l’intemerata propulsione mo-ralizzatrice del Nord (poi s’è visto co-m’è finita). Ma una manifestazionerilevante e durevole di antipolitica s’èavuta anche in tutto il lungo itinera-rio del berlusconismo: lo spirito del-l’impresa era infatti sorretto da un ri-fiuto radicale delle strutture dellamediazione politica. I cittadini, ebbea dire il leader nel 1994, «debbono li-berarsi dell’illusione che i nostri rap-presentanti politici non abuserannomai del loro potere». E scatenò la suapotenza contro tutti i partiti (mentrene stava facendo uno) e contro lo sta-to-avversario, creando (irrazional-mente) l’attesa di una diminuzionedella pressione fiscale al 35% in diecianni oltre che, passaggio famoso, del«milione di posti di lavoro».

Da dove ripartire?Oggi tutti i partiti tuonano control’antipolitica. Ma spesso ignoranoche l’antipolitica ha già prosperato,nell’ultimo ventennio. La pretesa disuscitare nel popolo l’attesa del pro-digio, unita al culto della personalità,ha dirottato tante energie dalla ragio-

ne e dalla responsabilità dell’impegno civile, inducendoil miraggio delle soluzioni semplificate («ghe pensi mi»),in un habitat di sovrapposizione del privato al pubblico.

Se tutto questo è accaduto, il confronto con l’antipo-litica non si vince se ci si limita all’esecrazione polemicao alla predisposizione di interventi pur necessari, comeil contrasto alla corruzione e il contenimento della spe-sa per la politica. Lo sforzo decisivo consiste nel riabili-tare le categorie del discernimento etico-politico, inmodo che sia chiaro a tutti ciò che è meglio e ciò che èpeggio nella gestione della cosa pubblica, e si recuperila distinzione tra ciò che si colloca nel mio orizzonte in-dividuale e ciò che concerne l’insieme della comunitànei suoi valori di convivenza. Noi cattolici lo chiamiamo“bene comune”, e ne forniamo alcune coordinate essen-ziali. Ma l’impresa, se vuol essere tentata, ha bisogno diun’analisi anche autocritica. E di una credibilità che cor-risponda alla sfida.

Q uanto di corruzione e quanto di abitudine è all’origine del-l’antipolitica? Se fosse un composto chimico, sarebbe facilescoprirlo. Ma si tratta di un’entità immateriale, sentore dif-

fuso che si manifesta senza regole costanti. C’è una corruzione ef-fettiva, che ogni tanto la magistratura scopre nei comportamenti,e c’è una corruzione percepita, che si sintetizza nella convinzionecomune che «tanto sono tutti uguali». E siccome l’uguaglianza nelpeggio riguarda sempre, nel giudizio popolare, coloro che esercita-no il potere, ecco dunque configurarsi la situazione che dà luogo aquella che si definisce “antipolitica”. Che è riflesso stabilizzato diun’indignazione incontenibile e an-che, nella valutazione soggettiva, nonrimediabile sul terreno della raziona-lità. Se il sillogismo regge, se ne puòdedurre che l’antipolitica altro non èche il rifiuto della razionalità?

L’Italia, come ha ricordato il presi-dente della repubblica, si è confron-tata a varie riprese con il sentimentoantipolitico. Oggi fanno notizia i suc-cessi ma anche la radicalità di unGrillo, che vorrebbe instaurare un…processo di Norimberga per tutto ilceto dirigente. Ma subito insorgePannella, per il quale l’intera storiadella repubblica è marcata dall’illegalità, a rivendicare unaprimogenitura in materia. Si scatena, insomma, una sin-golare concorrenza: l’antipolitica mia è meglio della tua.

Anche in giorni più viciniDei precedenti conviene comunque parlare. Molti oggiricordano quello di un altro uomo di teatro, il comme-diografo Guglielmo Giannini, che raccolse molti voti allaCostituente in nome dell’Uomo Qualunque. Si schieròcontro i partiti antifascisti, tutti additandoli al ludibriodelle masse perché corrotti e affamatori del contribuen-te. In realtà pescava nel bacino del residuo consenso fa-scista, che solo più tardi avrebbe trovato espressione nelMsi di Almirante.

L’antipolitica s’è poi manifestata anche in giorni piùvicini. Il movimento leghista delle origini ha scaricato tut-ta l’energia su un solo bersaglio: la “Roma ladrona”, intesacome compendio di tutti i mali, ai quali avrebbe posto ri-

Dall’Uomo Qualunquein poi, il fenomeno ha fatto capolino

nel dopoguerra. E haprosperato nell’ultimoventennio. Le proposteattuali non si vincono

con l’esecrazione, o con rimedi

pur necessari. Serveuna chiarificazione

sul bene comune

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Le Quyen, sguardo oltre le apparenzeper i diritti di chi ha subito l’ingiustizia

Le Quyen Ngo Dinh, responsabile dell’area immigrati di Caritas Ro-ma, già collaboratrice di Caritas Italiana, tra le massime esperte di rifugiati in Italia, è morta a causa di un incidente stradale a metàaprile. La ricorda, con affetto, la direttrice del Servizio centrale delloSprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati).

Ho conosciuto Le Quyen una dozzina di anni fa, poco dopo aver intra-preso il mio percorso professionale nel campo della tutela dei richie-denti asilo e rifugiati. Da quel momento le nostre strade non hannomai cessato di incrociarsi, dapprima sul piano lavorativo, poi anche su quello personale dell’amicizia, un percorso di stima, confronto e affetto reciproci.

Mi piaceva Le Quyen, con quei modi talvolta bruschi e aspri, chesempre rivelavano un’attenzione estrema ai particolari e alle sfumatu-re di ogni situazione e di ogni persona, con una sensibilità e uno sguar-do sul mondo che vedevano al di là dell’apparenza. Il suo modo di lavo-rare era intenso e determinato; dietro ogni decisione, dalla più imme-diata e banale alla più impegnativa e complessa, si percepiva un’ideapiù grande, un programma a lungo termine di cui tentava di piantare i semi. Con coraggio, con speranza, ma anche con crudo realismo, affrontava il cinismo della realtà. Non era perfetta, Le Quyen, nessunolo è; anche a lei capitava di sentirsi stanca o delusa o arrabbiata. Ma io ho sempre sentito in lei la vitalità di uno scopo più grande e un forte amore per la vita.

È impossibile per me ricordare Le Quyen separando i due piani, pro-fessionale e personale; ciò che mi rimarrà sempre impresso è proprio la sua capacità di esserci al 100%, dando valore e importanza al singo-lo istante e lavorando con cura al raggiungimento del suo obiettivo: latutela dei diritti per ogni singola persona offesa dall’ingiustizia della vita.

Daniela Di Capua

articolo 20 del testo unico sull’immi-grazione) eviterebbe l’intasamentodel sistema giudiziario e dell’attivitàdelle Commissioni territoriali, chepotrebbero concentrarsi su questionidi maggiore urgenza, il primo, e suiveri rifugiati, le seconde.

Anche dal punto di vista delle acco-glienza, l’effetto del rilascio di permes-si secondo l’articolo 20 sarebbe posi-tivo: è sicuramente meglio predisporreservizi destinati a persone con pro-spettiva di rimanere legalmente sul

territorio, che investire risorse econo-miche e umane per accompagnarepersone con un destino di irregolarità.

La definitiva attribuzione di un ti-tolo di soggiorno ai cosiddetti “profu-ghi dalla Libia” dovrebbe comunqueavvenire in tempi celeri. Ciò consen-tirebbe di cominciare a lavorare suipercorsi di integrazione, ovvero suun’uscita dai circuiti assistenziali. E dievitare che a determinare il destino ditante persone sia solo il pronuncia-mento dei giudici (chiamati in causadai ricorsi avanzati dai richiedentiasilo contro le decisioni sfavorevolidelle Commissioni territoriali) e noninvece una scelta politica, esito au-spicabile di un’emergenza con fortiimplicazioni storiche e politiche.

conseguenze negative soprattutto pergli ospiti; in assenza di linee guida e distandard obbligatori sui servizi daerogare, qualcuno è stato più seguito,altri molto meno. Le conseguenze diquesta casualità sono state negativeanche in termini di status: basti pen-sare ai danni che può aver prodottol’inesperienza di operatori di struttureche per la prima volta hanno avuto ache fare con migranti o richiedentiasilo, e che dovevano preparare le per-sone al colloquio con la Commissioneterritoriale. In molti casi, proprio unorientamento inefficace può avercontribuito al rigetto della domandadi status. Ha inciso, inoltre, anche lamancanza di un referente istituziona-le certo, soprattutto a livello naziona-le, da interpellare nelle situazioni piùcritiche, sul versante gestionale e sulfronte dello status giuridico.

In prospettiva, occorrerebbe dun-que intervenire per costruire qualco-sa di più sistematico per chi si trovanel circuito dell’asilo. Le esperienzepositive emerse nel 2011 sono da va-lorizzare e recuperare, proprio al finedi costruire un sistema di accoglien-za nuovo e finalmente organico: bi-sogna cominciare a dare risposte at-tendibili a chi ha gestito con serietà eimpegno l’accoglienza nell’emergen-za. La rete delle Caritas diocesane,capace di accogliere tremila persone,ha espresso prassi operative valide,che le autorità centrali e locali nondovrebbero disperdere.

Permesso per protezioneSul fronte dello status giuridico da ri-conoscere alle persone arrivate in se-guito alle crisi nordafricane, governoe istituzioni non hanno ancora datorisposte, e i loro destini rimangonoancorati al canale della protezioneinternazionale e degli eventuali suc-cessivi ricorsi in via giudiziaria. Inquesto senso, il rilascio di un per-messo di soggiorno di protezionetemporanea per motivi umanitari (ex

nazionale rifugiati

Il rilascio di un permesso di soggiornodi protezione temporanea per motiviumanitari ai richiedenti asilo dalla Libia

eviterebbe di intasare il sistema giudiziarioe l’attività delle Commissioni territoriali

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panoramaitalia

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Un mare, di mezzo. E intorno, tante parole per conoscersi, testimoniare espe-rienze, confrontare punti di vista, mettere a fuoco problemi, argomentare denun-ce e suggerire percorsi di soluzione. La terza edizione di MigraMed Forum si è svolta a Cagliari, promossa da Caritas Italiana e organizzata dalla locale Caritas diocesana. Sul tema “Migrazioni nel Mediterraneo: dialogo tra le spon-de. Le rotte. Le rivoluzioni. Le religioni” si sono confrontati per tre giorni, dal 16 al 18 maggio, quasi 200 delegati in rappresentanza di due Caritas regionali(Europa e Medio Oriente Nord Africa), dodici nazionali (oltre all’Italia, Marocco,Algeria, Tunisia, Libia, Libano, Turchia, Grecia, Malta, Francia, Spagna e Germa-nia) e 80 diocesane italiane. Esplorando uno scenario definito dalle “Primaverearabe” e dalla crisi economico-finanziaria globale, ed entro il quale i flussi migra-tori si vanno rapidamente modificando e complicando.

Governare le relazioniDiversi i temi affrontati nel corso di tavole rotonde, relazioni, lavori di gruppo:l’“esternalizzazione” delle frontiere europee nei paesi del Nord Africa, i drammisilenziosi vissuti da molti migranti africani nei deserti del Sahara e del Sinai, il limbo senza certezza di status giuridico cui sono stati consegnati molte delle persone fuggite l’anno scorso verso l’Europa dai paesi nordafricani e mediorientali, i ritardi e le riluttanze dei paesi del vecchio continente nel definire una politica migratoria comune (possibilmente inclusiva, e fondatasu seri sforzi di cooperazione allo sviluppo), le ripetute violazioni al diritto d’asilo e la necessità della sua estensione a tutti i paesi dell’area mediterra-nea, l’ambiguità dei processi di rimpatrio assistito, le difficoltà di inserimento(lavorativo e sociale) nelle società europee al tempo di una crisi che gonfia le statistiche della disoccupazione della povertà, l’insorgere e il rafforzarsi di sentimenti xenofobi negli agoni politici e nelle opinioni pubbliche di diversipaesi, le fatiche e le potenzialità del dialogo interreligioso anche lungo le fron-tiere mobili delle migrazioni.

Al confronto hanno partecipato, oltre ai rappresentanti delle Caritas, diversi stu-diosi, politici, leader religiosi, esponenti di organizzazioni internazionali e umanita-rie. A conferma del fatto che MigraMed, giunto alla terza edizione, risponde a unasfida storica ineludibile: governare le relazioni tra popoli, nell’area euromediterra-nea, secondo le spirito del con-fronto e della responsabilità reci-proca. L’unica che evita alle crisidi tramutarsi in caos e declino.

migramed / Cagliari

Il Mediterraneo delle migrazioni,a Cagliari confronto ricco di contenuti

caricata tenendo conto dellacomposizione del nucleo fami-liare e delle entrate del nucleostesso. Con essa si avràla possibilità di “pagare” i pro-dotti contrassegnati tramitepunti. I prodotti alimentarisaranno raccolti nel territorio,offerti da aziende o reperitimediante raccolte alimentarinei supermercati.

periodo di tempo stabilito (dauno a sei mesi), sufficiente arenderli più autonomi e integra-ti. L’obiettivo del progetto è da-re una mano per superare unasituazione di crisi temporanea,evitando di innescare meccani-smi di dipendenza e assisten-zialismo. Le persone abilitatead accedere all’Emporio saran-no dotate di una card, che sarà

4di Paolo Brivio

possibilità di una diversa conce-zione della pena. La denunciadel sovraffollamento nelle carce-ri, il sostegno a percorsi di uma-nizzazione e recupero, la convin-zione che “Non è giustiziarispondere al male con il male!”:con questi scopi Caritas Ambro-siana ha allestito in uno stand lacopia di una cella, realizzata dal-la falegnameria del carcere mila-nese di Bollate. In tantissimi, co-sì, hanno provato “sulla propriapelle” cosa significa affrontarele procedure di incarcerazioneed essere rinchiusi (anche soloper pochi minuti) fino a sei per-sone in uno spazio angusto. “Ex-trema Ratio” fa parte di un per-corso (“Legalopoli”) che CaritasAmbrosiana conduce nel territo-rio e nelle scuole, sui temi dellalegalità e della pena.

TRIESTEDifficile farela spesa?L’Emporio offreaiuto temporaneo

È nato anche a Triestel’Emporio della Solidarie-

tà, su iniziativa della Caritasdiocesana e della FondazioneCrtTrieste. L’obiettivo è aiutarele famiglie che risentono pe-santemente della crisi, offren-do loro l’opportunità di farefronte alle esigenze del quoti-diano, facendo la spesa gratui-ta. Nell’Emporio – un market dimedie dimensioni – si potran-no trovare generi di prima ne-cessità, alimentari e prodottiper l’igiene della casa e dellapersona, compresi quelli per ineonati; vi potranno accederepersone e nuclei familiari italia-ni e stranieri, residenti oppuredomiciliati a Trieste, in condi-zione di reale difficoltà e di di-sagio familiare, lavorativo, eco-nomico e sociale, per un

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hanno deciso di attivare iniziati-ve di ascolto e consulenza.«Abbiamo cercato di predispor-re strumenti adatti a forniresupporto psicologico e morale– hanno dichiarato i promotori

dell’iniziativa –.Imprenditori e lavoratori non si devono sentirepiù soli, ma devo-no capire che anche se hannoperso il posto o l’azienda, que-sto non compro-mette la loro di-gnità di uomini. E dobbiamo edu-care l’opinionepubblica a porrela giusta attenzio-ne a questi temi,per far crescere

tutti insieme una sensibilità comune e condivisa».

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MILANO“Extrema Ratio”:stand-cellaper capire cos’èil carcere in Italia

“Extrema Ratio: come neuscirai?”. Una provocazio-

ne. Colta a Milano, ad aprile, inoccasione della fiera “Fa la cosagiusta”, da ben 1.408 persone.E poi da altre centinaia, in occa-sione di successivi eventi, nelterritorio ambrosiano. L’espe-rienza ha l’obiettivo di far riflette-re sulla condizione dei carcerati,in Italia, che presenta tratti dipreoccupante gravità, e insiemedi suggerire e approfondire la

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NOVARACrisi: con Cnaascolto dei disagidi imprenditorie lavoratori

Uno strumento per ascol-tare, accogliere, aiutare

piccoli imprenditori, artigiani, la-voratori e famigliari che si trovi-no ad attraversare un momentodi difficoltà, in seguito al perdu-rare della crisi economica. Cnadi Novara e Caritas diocesana,con l’aiuto del consultorio Co-moli, hanno deciso di unire leforze e dare vita a forme diascolto e consulenza mirate,coordinando l’azione dei centridi consulenza lavorativa e fami-liare attivi nel territorio (a Nova-ra e in provincia). L’iniziativasorge dall’esigenza di affrontareuna situazione di malessere so-ciale diffuso, rispetto alla qualemolte altre Caritas diocesane

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«La popolazione colpita reagisce con un atteggiamentodi fiducia nella rete della solidarietà». Il direttore di Cari-tas Italiana, don Francesco Soddu, ha sintetizzato così,il giorno dopo il sisma del 20 maggio, lo stato d’animodella popolazione dell’Emilia terremotata. La rete Cari-tas si è subito messa al lavoro per dare sostegno allevittime del disastro. Il lavoro farà perno sulla delegazio-ne regionale Caritas dell’Emilia Romagna: la priorità èstata attribuita all’ascolto e alla rilevazione dei bisognidelle persone sfollate (circa 5 mila) e colpite dal sisma,la volontà è quella di mantenere unite le comunità loca-li. Gli interventi di prossimità (centri di ascolto, anima-zione, supporto psicologico e morale) vedranno coinvolti

anche molti volontari. In un secondo tempo anche la re-te Caritas ragionerà su eventuali esigenze di ricostruzio-ne di strutture ecclesiali e pubbliche; intanto, avanza la riflessione sul ruolo che potrebbe avere l’attivazionedi linee di microcredito a sostegno di famiglie e piccoleaziende colpite dal terremoto.

Dopo l’appello di Benedetto XVI e la solidarietàespressa dalla Conferenza episcopale italiana, le Cari-tas di tutta Italia, ma anche Caritas Europa e CaritasInternationalis, si sono dette pronte a contribuire agli interventi, anche oltre la prima fase di emergenza. Per sostenere gli aiuti Caritas (diverse modalità, causale“Terremoto Nord Italia 2012”): www.caritasitaliana.it

TERREMOTOIn Emilia scosse, lutti e sfollati:rete Caritas attiva nell’ascolto,poi ricostruzione e microcredito

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CAMPAGNA UNHCRGiornata dei rifugiati: rimanere e rischiare, o fuggire e lasciare?

Rimanere e rischiare, o fuggire e lasciare chi si ama? Èl’atroce dilemma cui non sfugge nessuno, tra le decine dimilioni di persone che nel mondo vivono lontano da casa,per sottrarsi a guerre e persecuzioni. Come ogni anno, inoccasione del 20 giugno, Giornata mondiale dei rifugiati,

l’Unhcr (Agenzia Onu per i rifugiati) promuove una campa-gna di sensibilizzazione. Quella 2012 ripropone la dram-matica alternativa, tramite lo slogan “1 sola famiglia di-strutta dalla guerra è già troppo”. Caritas Italiana aderiscealla campagna, pubblicando il poster (vedi pagine 24-25).

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di strada, dove trovare riparo e accoglienza.Nelle intenzioni dei promotori del progetto, la casa non sarà un punto di arrivo, maun posto dove sostare e da cui riparti-re. Dopo due inverni nei quali la cittàdi Rovereto ha scelto di stare accantoalle persone senza dimora intensificando le ini-ziative di aiuto, con “Km 354” si apre una nuovafase. Ma il progetto, per poter essere attuato, habisogno del coinvolgimento di volontari, dapprima inqualità di muratori, carpentieri e artigiani, più avanti di collaboratori all’accoglienza. Lo stabile è infatti gra-vemente danneggiato e da tempo è un rifugio abusivoper diverse persone, più volte sgomberate. La Comuni-tà di Valle sosterrà l’iniziativa e coinvolgerà i comuninella promozione del volontariato. Il comune di Rovere-to sosterrà parte della spesa necessaria per i lavori disistemazione dello stabile. La comunità ecclesiale del-la Vallagarina coinvolgerà i volontari. La ristrutturazionesarà quindi gestita dalla Fondazione Comunità Solida-le, insieme alla Caritas diocesana e al Cedas.

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la possibilità di rinnovo per i prossimi. Inoltre l’Afam mette-rà a disposizione della Caritaspersonale e strumentazioni, per effettuare gratuitamentetest e misurazioni diagnostiche.

AMALFI CAVA DE’ TIRRENIAmministratoridi sostegno,percorsodi formazione

La Caritas diocesana diAmalfi – Cava de’ Tirreni,

che a inizio maggio a Cava hainaugurato il suo nuovo centroservizi, ha avviato (in collabora-zione con la regione Campaniae l’unità di salute mentale del-l’Asl del territorio) un percorsoper persone che desiderano por-si a servizio degli altri come vo-lontari, diventando amministra-tori di sostegno, L’iniziativaprevede momenti formativie strumenti informativi, che illu-strano natura, ruolo e compitidell’amministratore di sostegno,preparando a svolgere l’incaricodi tutela di persone in stato di svantaggio fisico e psichico.

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Da rifugio abusivo a casa accogliente per i senzadimora. Il progetto “Km 354”, promosso da Fon-

dazione Comunità Solidale e Caritas diocesana di Tren-to, prende il nome dalla posizione della casa cantonie-ra dismessa, collocata nelle vicinanze della stazioneferroviaria di Rovereto (nella foto). “Km 354” diventeràun luogo nel quale potersi fermare dopo aver fatto vita

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TRENTOAccoglienza al “km 354”: senzadimora nella casa cantoniera,non più in modo abusivo…

AGRIGENTOAbiti sequestratidalla Finanza,per vestire…ed educare

Capi di abbigliamento conmarchi contraffatti sono

stati donati al centro di raccoltadella Caritas diocesana di Agri-gento dalla Guardia di Finanza lo-cale. Il sequestro è avvenuto per-ché gli indumenti riportavanoillegalmente i marchi di prestigio-se firme della moda italiana edestera; ora, dopo l’asportazionedei marchi, serviranno a personein condizioni di difficoltà. L’inizia-tiva ha avuto anche un risvoltoeducativo: è stata pubblicizzataper sensibilizzare la collettività ri-guardo alle conseguenze che lavendita di merce contraffatta pro-duce nel mercato regolare. Se-questri e consegne di indumentialle Caritas diocesane avvengo-no periodicamente in tutta Italia.È accaduto di recente all’Ufficiodelle dogane di Trieste, che haconsegnato 400 abiti da uomo,confiscati perché recanti la dici-tura “Made in Italy” pur essendoprovenienti da altri paesi.

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LAMEZIA TERMEA Scuola didottrina sociale,occasioneper i giovani

È stata presentata a metàmaggio con un importante

convegno, alla presenza del car-dinale Peter Turkson, presidentedel Pontificio consiglio della giu-stizia e della pace, la “Scuolaeuro-mediterranea di dottrinasociale”. L’iniziativa si rivolge ai giovani e al loro spirito im-prenditoriale, come scelta stra-tegica per il futuro dei paesi del-l’area euro-mediterranea. Lascuola è sorta per volontà delladiocesi e vede attivamente coin-volta anche la Caritas diocesa-na; l’obiettivo di questo percor-so formativo è incentivare lacultura della crescita e dello svi-luppo, in una fase storica di gra-ve crisi e in un territorio che habisogno di superare logiche as-sistenziali e barriere poste dallacriminalità organizzata. La Scuo-la euro-mediterranea è apertaanche agli immigrati presentinel territorio, anche per favorireil dialogo tra culture.

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della povertà, soprattutto contronuove forme di marginalità chela crisi ha generato. Il progettoavrà una durata di due anni, e si proporrà in particolare di af-fiancare, rafforzare e implemen-tare percorsi di vicinanza all’in-terno di tre località del territoriodi Lucca, dove sono presenti for-me di consolidata povertà o diprogressivo impoverimento. Conil concorso di soggetti pubblici e privati, si individueranno nuoviservizi e si sperimenterannopercorsi di presa in carico dellepersone in difficoltà. Al contem-po, il progetto si propone di spe-rimentare anche una modalità di lavoro tra istituzioni, associa-zioni, soggetti del privato socialee cittadini, in grado di costruireuna nuova identità di quartiere,nella quale risultino irrobustiti i legami di buon vicinato e di so-lidarietà. Il nome del progetto al-lude al fatto che nel territorio simanifesta il bisogno, ma spes-so esiste già anche la risposta:come l’asola e il bottone, quelloche manca è l’incontro tra i due.

FOLIGNOSolidarietàin farmacia,prodotti permadri e anziani

Diocesi di Foligno e Azien-da delle farmacie comu-

nali (Afam) hanno firmato unprotocollo di intesa per avviareil progetto “Solidarietà in farma-cia”. L’accordo prevede chel’Afam metta a disposizione for-niture di prodotti farmaceutici,ad eccezione dei medicinali daprescrizione, da distribuire allepersone in difficoltà, in partico-lare giovani madri e anziani.Nelle farmacie comunali gli ope-ratori della Caritas diocesanapotranno ritirare latte in polvere,pannolini, creme e pappe, maanche prodotti e ausili per pen-sionati con problemi economicie di assistenza sociale. L’accor-do riguarda l’anno in corso, con

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LUCCAAsola e bottone:in tre territoririsposte nuovealle povertà

“L’asola e il bottone.Quartieri contro la pover-

tà”. Il progetto, presentato inaprile, vede alleate la Fondazio-ne Banca del Monte di Lucca,

5l’arcidiocesi e la Caritas dioce-sana nella sperimentazione di nuove strategie di contrasto

ottopermille / Otranto

Da qualche anno la Caritas diocesana di Otranto si interroga sull’opportunità di dotarsi di un braccio operativo per la gestione dei suoi servizi. Questa riflessio-ne è approdata alla costituzione di una cooperativa sociale onlus, dal nome unpo’ stravagante ma evocativo dello stile e della mission che intende interpretare:“atuttotenda”. Essa si colloca nel territorio come spazio di accoglienza e comeluogo di presenza e di prossimità verso le fragilità, le povertà e l’esclusione chetante persone vivono. Nel suo primo anno di vita si è impegnata soprattutto inprogetti di prevenzione per minori a rischio e di animazione di campi per ragazzinei comuni e nelle parrocchie della diocesi.

Ma il suo progetto più significativo, reso possibile anche grazie al finanziamentodella Conferenza episcopale italiana attraverso i fondi otto per mille, è stato la fon-dazione di una casa-rifugio per donne e minori vittime di tratta: Casa Raab. Il pro-getto è stato costruito con la collaborazione della Caritas diocesana, delle suoreFrancescane Alcantarine e accompagnato, nella formazione, dall’associazione Mi-caela, che da anni si occupa di donne vittime di sfruttamento. Il progetto prevedel’allontanamento immediato della donna dalla strada, dalla situazione di servitù e sfruttamento sessuale, lavorativo e accattonaggio, e la realizzazione di program-mi di assistenza individuali in un percorso di pronta accoglienza, volti a garantireadeguate condizioni di vitto, alloggio, assistenza sanitaria e tutela legale. Al termi-ne del percorso di tre mesi, la donna viene indirizzata in una casa di seconda acco-glienza per una permanenza più lunga volta, all’inserimento sociale e lavorativo.

Nessuna improvvisazioneLa strada della formazione degli operatori, la costruzione del progetto, la ricerca diuna rete sul territorio e il finanziamento Cei sono stati momenti costitutivi non solodell’opera, ma anche di un metodo di lavoro che non è improvvisazione, bensì per-corso di lettura e condivisione delle povertà e delle risorse di un territorio. Nel tenta-tivo e con l’intenzione, rispettando la vocazione pedago-gica della Caritas, di essere di stimolo anche per altri.

Casa Raab, insieme a tutto il lavoro di “atuttoten-da”, sono stati presentati nella seconda metà di apri-le, in occasione di un incontro pubblico, cui ha parte-cipato suor Eugenia Bonetti, missionaria dellaConsolata, da anni protagonista (anche come respon-sabile del coordinamento tra le congregazioni di reli-giose che si occupano del problema) della lotta perstrappare giovani donne ai circuiti della tratta.

Un anno di “atuttotenda”: Casa Raab,rifugio per sottrarre donne alla strada

6di Maurizio Tarantino

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Caritas ha cercato di dare risposte a una crisi sempre più seria e grave.Ricordando la necessità di risposte strutturali, che modifichino i modelli di sviluppo, in una globalizzazione da governare

con senso di democrazia e di solidarietà S. E. monsignor Giuseppe Merisi Presidente Caritas Italiana (dalla Presentazione del Rapporto annuale)

I numeri

oltre10 milai direttori, gli operatori, i volontari, gli ospiti dei servizi Caritas in tutta Italia, presentinella Basilica di San Pietro il 24 novembre, all’udienza di Papa Benedetto XVI peri 40 anni di Caritas Italiana

14.214i servizi socio-assistenziali e socio-sanitari legati alla Chiesa censiti nell’ambitodi Sinossi (rilevazione delle opere sanitarie e sociali ecclesiali in Italia)

2.971le persone provenienti dalla Libia in seguito alla guerra, accolte da 69 Caritas diocesane,coordinate da Caritas Italiana. Dato relativo al 15 aprile 2012: le persone accoltesono state molte di più (continuo turn over dalla primavera 2011). Nei primi mesi del2011, accolti per permanenze brevi fino a 850 tunisini (molti di più per turn over)

781i giovani immessi in servizio civile da Caritas dopo il bando di settembre 2010:in Italia 745 in 55 Caritas diocesane, a cui si aggiungono 36 all’estero. Il bandodi settembre 2011 permetterà l’immissione in servizio di 751 giovani nel 2012

185i progetti otto per mille Italia istruiti e analizzati (oltre 950 dal 2005), su iniziativadi 99 Caritas diocesane, per un valore di 11,1 milioni di euro richiesti alla Ceie una compartecipazione delle Caritas di 8,5 milioni di euro

806le iniziative monitorate da Caritas Italiana, realizzate in 203 diocesi sovente dalle Caritas,per fare fronte agli effetti della crisi su persone e famiglie (+39,6% rispetto al 2010). IlPrestito della Speranza, iniziativa anticrisi Cei-Abi, ha visto istruire e seguire (dalle Caritasdiocesane) 2.062 pratiche, per quasi 14,5 milioni di euro richiesti in 143 diocesi

3.125i servizi rivolti a persone senza dimora, erogati in 158 comuni italiani da 727 entie censiti da una ricerca nazionale condotta da Caritas, ministero del welfare, Istate Fio.psd. Secondo la rilevazione Sinossi sui servizi ecclesiali, le Caritas o loroemanazioni gestiscono 320 mense e 312 strutture di accoglienza

80i paesi del mondo dove sono stati realizzati decine di progetti e 321 microprogetti(in totale, oltre 13 mila i microprogetti realizzati da Caritas Italiana nei suoi 40 annidi vita)

oltre5 milapresenze Caritas su carta stampata, radio-tv e internet, anche a seguitodelle 8 conferenze stampa realizzate e dei 65 comunicati stampa emessi

103.071le visite complessive al sito www.esseciblog.it, che funge da blog del Tavoloecclesiale del servizio civile; durante l’anno esso ha avuto 37.869 utenti unicied è arrivato al traguardo dei 3 mila articoli complessivi

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La crisi, gli sbarchi, i giovaniLe iniziative straordinarie per il qua-rantennale non hanno impedito aCaritas di proseguire la sua attività or-dinaria in Italia, in Europa e nel mon-do, testimoniata dal Rapporto annua-le 2011 (disponibile nella sua versioneintegrale sul sito internet www.carita-sitaliana.it). Molteplici le iniziative, indiversi ambiti; lo spazio concede diricordare solo le più rilevanti.

Sul fronte formativo, nel 2011 ilPercorso équipe (per nuovi direttori enuovi membri delle équipe delle Ca-ritas diocesane) ha coinvolto 73 rap-presentanti di 46 Caritas di tutta Ita-lia, ai quali si sono aggiunti due diret-tori di Caritas dell’Europa dell’est; atutti sono stati sottoposti i contenutifondamentali dell’agire Caritas, com-preso un modello di organizzazioneinterna, sostenibile anche dalle realtàpiù piccole.

Nei settori animazione e promo-zione, l’attenzione dedicata agli stru-menti pastorali fondamentali del-l’azione Caritas (Centri di ascolto,Osservatori delle povertà e risorse,Laboratorio per la promozione e l’ac-compagnamento delle Caritas par-rocchiali) è proseguita in maniera co-stante, concentrandosi su 10 Caritasdiocesane, accompagnate in partico-lare nella definizione di idee proget-tuali e nel monitoraggio dello stato diavanzamento dei progetti.

Sul fronte del contrasto della po-vertà, Caritas Italiana ha monitoratol’impegno delle Caritas diocesane(203) nella elaborazione di progettianti-crisi (806) pensati per dare so-stegno a persone e famiglie in diffi-coltà economica: progetti di micro-credito per famiglie (133 progetti) epiccole imprese (70), fondi di emer-genza e solidarietà per famiglie (131),empori e botteghe solidali (45), carteacquisti (37), consulenza e orienta-mento al lavoro (120), sostegno abi-tativo e consulenza per la casa (55).

Il 2011 di Caritas Italiana condensato nel Rapporto annuale. Le celebrazioni per i 40 anni di istituzione. E le attività di formazione,studio e comunicazione; i progetti in Italia, in Europa e nel mondo:fatti e cifre, per inquadrare un intenso lavoro a servizio dei poveri

26 I TA L I A C A R I TA S | G I U G N O 2 0 1 2

a cura dell’Ufficio comunicazione to vita a Un percorso tra memoria, fe-deltà, profezia, culminato – il 24 no-vembre – nell’udienza concessa nellaBasilica di San Pietro, in Vaticano, daPapa Benedetto XVI a oltre diecimilapellegrini, in rappresentanza del “po-polo Caritas” di tutta Italia. Il senso diquesto percorso è stato ben sintetiz-zato dall’intervista rilasciata al men-sile Italia Caritas da monsignor Vit-torio Nozza, direttore di Caritas Ita-liana dal 2001, al momento (febbraio2012) di passare il testimone al suosuccessore, monsignor FrancescoSoddu: «Non si finisce mai di richia-mare la centralità della “prevalentefunzione pedagogica” che sta in capoai compiti dell’organismo pastoraleCaritas. (…) Questa funzione non vacerto sviluppata sostituendo le operecon la moltiplicazione delle parole.Ma va compreso che il gesto, l’opera,la risposta al bisogno, qualsiasi pro-getto e azione devono avere in sé laforza non solo di considerare conamore il povero, ma anche di sveglia-re, sensibilizzare, coinvolgere la co-munità e il territorio nella concretapresa in carico del bisogno».

ue motivi conduttori. Unoha attinto dal passato me-morie, insegnamenti e con-sapevolezza, per individua-re prospettive future. L’altro

ha messo a fuoco il decennio entran-te, per calibrare proposte e iniziativenel presente. Il 2011 di Caritas Italia-na è stato dunque modellato proprioda questa duplice sollecitazione:quella del percorso di rilettura storicae riflessione, per le celebrazioni delquarantennale di istituzione di Cari-tas Italiana (formalizzata nel novem-bre 1971, con la consegna dello Sta-tuto da parte di Papa Paolo VI); quellascaturita dall’assimilazione di Educa-re alla vita buona del Vangelo, ovverogli Orientamenti pastorali per il de-cennio, consegnati alla chiesa italia-na dall’assemblea dei vescovi.

Gli Orientamenti, oltre che negliincontri regionali con animatori emembri delle équipe delle Caritasdiocesane, sono stati oggetto di con-fronto anche di due seminari nazio-nali. Il percorso del quarantennale siè invece articolato, da luglio a fine no-vembre, in dieci tappe, che hanno da-

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rapporto annuale2011

Memoriafedeltà

Un anno di Caritas2011profezia

COSTI DI GESTIONE 3.665.054,00 9,8%

L’IMPEGNO CARITAS

PROGETTI /ATTIVITÀ IN ITALIA 19.188.965,46 51,3%

PROGETTIATTIVITÀ NEL MONDO 14.568.320,82 38,9%

TOTALE37.422.340,28

TOTALE IMPORTO

Progetti/Attività in Italia 19.188.965,46Progetti/Attività nel mondo 14.568.320,82Costi di gestione 3.665.054,00Totale 37.422.340,28

L’IMPEGNO CARITASRiepilogo complessivo utilizzo fondi 2011

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Medio Oriente e Nord Africa

EUROALGERIA 129.711,00EGITTO 97.900,00GIBUTI 88.740,49IRAN 340.000,00IRAQ 100.000,00LIBANO 46.597,00LIBIA 25.220,80MAROCCO 15.000,00MAURITANIA 15.000,00SOMALIA 187.500,00TERRA SANTA 74.000,00TUNISIA 58.555,00Progetti tematici 16.597,43TOTALE 1.194.821,72

America Latina e CaraibiEURO

ARGENTINA 46.136,00BOLIVIA 54.200,00BRASILE 102.888,00CILE 192.968,48COLOMBIA 47.000,00COSTA RICA 9.900,00CUBA 20.100,00ECUADOR 101.200,00EL SALVADOR 5.000,00GUATEMALA 34.850,00HAITI 4.160.351,91PARAGUAY 4.800,00PERU 123.600,00Progetti tematici 10.564,78TOTALE 4.913.559,17

Europa

EUROALBANIA 108.427,72BOSNIA ED ERZEGOVINA 93.159,30BULGARIA 35.000,00GEORGIA 23.433,34KOSOVO 75.000,00MACEDONIA 3.320,00MOLDAVIA 1.513,02MONTENEGRO 10.000,00ROMANIA 4.200,00RUSSIA 5.000,00SERBIA 141.360,00TURCHIA 312.159,54Progetti tematici 198.561,76TOTALE 1.011.134,68

ATTIVITÀ NEL MONDOUtilizzo fondi 2011

AFRICA 3.230.435,6922,2%

AMERICA LATINA E CARAIBI 4.913.559,1733,7%ASIA

E OCEANIA 4.218.369,5629,0%

MEDIO ORIENTE E NORD AFRICA1.194.821,728,2%

AREA GEOGRAFICA

SOCIO-ECONOMICO/SANITARIO 9.418.294,8364,6%

EMERGENZA /RIABILITAZIONE3.773.779,0425,9%

PROGETTI SOCIALI DELLE CHIESELOCALI908.733,976,3%

PACE / DIRITTI UMANI238.176,161,6%

PROMOZIONE / ANIMAZIONE229.336,821,6%

AMBITO DI INTERVENTO

AIUTI D’URGENZA1.525.258,2410,4%

FORMAZIONE /DOCUMENTAZIONE12.912,070,1%

PROGRAMMIDI SVILUPPO 11.693.566,5180,3%

MICROPROGETTI 1.336.584,009,2%

MODALITÀ DI IMPIEGO

EUROPA 1.011.134,686,9%

TOTALE14.568.320,82

ATTIVITÀ IN ITALIAUtilizzo fondi 2011

PROGETTI DI SERVIZIO CIVILE1.478.794,777,7%

PROGETTAZIONESOCIALE PER LE CHIESE LOCALI 10.693.281,0855,7%

PROMOZIONEANIMAZIONEFORMAZIONE 1.498.289,337,8%

EMERGENZE 5.518.600,2828,8%

AMBITO DI INTERVENTO

ACCOMPAGNAMENTODELLE CARITAS DIOCESANE 10.105.332,1152,6%

FORMAZIONECONVEGNISEMINARI 178.326,00 0,9%

PROGETTI CEI 8XMILLE ITALIA 8.568.529,2144,7%

DOCUMENTAZIONE 336.778,141,8%

MODALITÀ DI IMPIEGO

TOTALE19.188.965,46

“Non si finisce mai di richiamarela “prevalente funzione

pedagogica” della Caritas.Funzione che non va sviluppata

sostituendo le opere con lamoltiplicazione delle parole.

Ma l’opera deve avere in sé laforza di svegliare e coinvolgere

la comunità e il territorio”

Inoltre ha coordinato la mobilitazio-ne delle Caritas diocesane, nelle fasidi selezione e accompagnamento deidestinatari del Prestito della Speran-za, iniziativa anti-crisi Cei-Abi. Cari-tas Italiana ha inoltre organizzato lapresentazione, da parte di quasi lametà delle Caritas diocesane, di 185progetti in vari ambiti di bisogno (fa-miglie in difficoltà, minori, immigra-ti, detenuti ed ex detenuti, anziani,vittime di violenza e tratta, malatiterminali, senza dimora, richiedentiasilo, prevenzione di dipendenze esostegno a chi ne è affetto, problemidi occupazione, usura, indebitamen-to, abitativi…), finanziati con fondiotto per mille richiesti alla Conferen-za episcopale italiana.

Sul versante delle politiche sociali,l’attività è proseguita intensa, anchetramite tavoli di coordinamentodell’azione delle Caritas diocesane,riguardo a temi di scottante attualità:Aids; rom, sinti e camminanti; salutementale e ospedali psichiatrici giudi-ziari; carcere; persone senza dimora.A proposito di quest’ultimo ambito,Caritas Italiana ha finanziato e pro-mosso (insieme al ministero del wel-fare) un’importantissima ricerca na-zionale (realizzata da Istat e Fio.psd),destinata a colmare un vuoto cono-scitivo di decenni riguardo i servizirivolti alle persone senza dimora e ilprofilo degli homeless.

Nel 2011 sono state realizzate altreimportanti ricerche; in particolare, èstata presentata ai vescovi la “Rileva-zione delle opere sanitarie e socialiecclesiali in Italia”, promossa dallaConsulta ecclesiale nazionale degliorganismi socio-assistenziali, da Ca-ritas Italiana e dall’Ufficio nazionaleper la pastorale della sanità. Dallasintesi finale risulta che in Italia ope-rano 14.214 servizi socio-assistenzialie socio-sanitari legati alla Chiesa.

Sul fronte dell’immigrazione, il2011 è stato l’anno dell’emergenza

sbarchi, in seguito agli eventi dellaPrimavera araba. Caritas Italiana hacoordinato le accoglienze realizzateda quasi 70 Caritas diocesane, rivolteprima ai migranti “economici” dalla

Tunisia, poi ai rifugiati (nordafricani,africani subsahariani, asiatici) in fugadalla Libia in guerra e – in molti casi –richiedenti asilo, confrontandosi conle istituzioni e sollecitandole a non af-frontare il fenomeno solo in terminidi gestione dell’ordine pubblico.

Sul versante del servizio civile, Ca-ritas Italiana ha coordinato la gestio-ne di quasi 800 giovani in servizio ci-vile: il fatto che il loro numero sia incalo, ha spinto Caritas Italiana a par-tecipare al confronto pubblico sul-l’argomento, chiedendo una nuovalegge e – al governo – di non disinve-stire sui giovani.

Nel settore emergenze nazionali, èproseguito con l’inaugurazione dinuove strutture pubbliche l’intensolavoro di ricostruzione nell’Abruzzoterremotato, dove sono stati realizza-ti anche progetti di accompagna-mento sociale della popolazione eriabilitazione socio-economica.

Proiezione globaleAl di fuori dei confini nazionali, Cari-tas Italiana ha consolidato la suaazione pedagogica e di cooperazio-ne. In Europa, vanno evidenziate leiniziative per il 2011 Anno europeodel volontariato, naturale seguitodella campagna Zero Poverty, lancia-ta in occasione del precedente Annoeuropeo di lotta alla povertà e al-l’esclusione sociale.

Sul più ampio versante internazio-nale, infine, l’azione educativa e “po-litica” si è concretizzata in vari mo-menti, tra cui la partecipazione al Fo-rum sociale mondiale a Dakar(Senegal). Caritas Italiana è statainoltre responsabile di decine di pro-getti in 54 paesi e di 321 microproget-ti in 51 paesi: una presenza capillare,che alimenta interventi di emergenzae azioni di sviluppo, resa possibiledalla collaborazione con numeroseCaritas nazionali e diocesane in ognicontinente.

28 I TA L I A C A R I TA S | G I U G N O 2 0 1 2

rapporto annuale2011

AfricaEURO

ANGOLA 8.750,00BURKINA FASO 9.500,00BURUNDI 59.254,48CAMERUN 24.900,00CIAD 3.000,00CONGO, REPUBBLICA 91.900,00CONGO, REP. DEMOCRATICA 414.655,00COSTA D'AVORIO 37.050,00ERITREA 237.500,00ETIOPIA 371.500,00GUINEA 64.309,60KENYA 960.089,88MADAGASCAR 43.300,00MALAWI 15.000,00MALI 4.100,00MOZAMBICO 209.577,00NIGERIA 10.000,00SENEGAL 88.112,07SIERRA LEONE 73.000,00SUDAN 251.702,18TANZANIA 39.150,00TOGO 4.100,00UGANDA 52.216,00ZAMBIA 19.600,00Progetti tematici 138.169,48TOTALE 3.230.435,69

Asia e OceaniaEURO

AFGHANISTAN 55.487,00BANGLADESH 396.147,68CINA 30.000,00FILIPPINE 153.778,24GIAPPONE 150.000,00INDIA 409.630,00INDONESIA 545.274,85KAZAKHSTAN 26.000,00LAOS 5.000,00MALDIVE 10.000,00MONGOLIA 4.300,00MYANMAR 437.905,00NEPAL 29.300,00PAKISTAN 1.457.519,05SAMOA 8.000,00SRI LANKA 267.746,00THAILANDIA 162.782,00VIETNAM 35.800,00Progetti tematici 33.699,74TOTALE 4.218.369,56

Alla luce dei 40 anni di Caritas Italiana, “compiuti” nel 2011, si conferma la nostra vocazione: essere seme e seminatori di speranza attraverso la pedagogia dei fatti, in una dinamica

che ha come fondamento il dono di séMonsignor Francesco Soddu Direttore Caritas Italiana (dalla Introduzione al Rapporto annuale)

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sparirono, lasciandola con la “zietta”.La signora del bordello la chiuse a

chiave dietro a più porte. Poi fu minac-ciata ancora. Se non avesse consentitodi farle il bagno, l’avrebbero ustionatacon acqua bollente. Se non facevaquanto richiesto, sarebbe stata vendu-ta a un bordello peggiore.

Alcune donne nepalesi cercarono diconfortarla e le raccontarono del lororapimento: promessa di un lavoro, diun matrimonio combinato, di una vitamigliore. Tutte bugie, finite nello stessoluogo. Alla fine le dissero: «Abituati».

Premiata da HillaryCharimaya è rimasta nel bordello diMumbai per 22 mesi, ma non si è mai

abituata. Non sapeva come ne sarebbeuscita, ma era sicura che lo avrebbefatto. «Pensavo: quando tornerò in Ne-pal, racconterò come funziona». Im-prigionata nel distretto a luci rosse diMumbai, non pagata e abusata, iniziòa condurre le proprie ricerche. Venne asapere che, per esempio, il bordello pa-gava una tangente settimanale agli uf-ficiali della polizia. Raccolse informa-zioni e le serbò per il futuro.

Poi, un giorno, la polizia fece irru-zione nel bordello. Charimaya sapeva

Charimaya è rimasta nel bordellodi Mumbai per 22 mesi. Non sapeva comene sarebbe uscita, ma era sicura che

lo avrebbe fatto. «Pensavo: quando torneròin Nepal, racconterò come funziona»

cosa avrebbe fatto con la sua libertà.All’inizio lei e altre fecero pressioni pertornare a casa. Ma il governo nepalese«non ci voleva prendere. Disse cheeravamo il male e potevamo diffonde-re l’Aids». Ma per effetto della pressio-ne di Caritas e di altre associazioni,Charimaya e più di 128 altre donnetornarono in Nepal.

L’altra sfida era tornare al villaggio.Non andò bene. «Non venni accettata.C’erano molti litigi. Non i miei genito-ri, ma altri mi gridavano contro – ri-corda la ragazza –. Ci sono rimasta so-lo due ore».

Tornata alla capitale, grazie all’aiutodi una congregazione di suore cattoli-che, Charimaya è stata in grado di faremolto per combattere il traffico. È statala prima, nel gruppo di donne tornatecon lei, a perseguire i suoi trafficanti:«Il protettore è stato preso e messo incarcere per dieci anni»

Charimaya ha iniziato da allora a

DESTINAZIONE SFRUTTAMENTORagazza nepalese alla stazione dei bus,in partenza per l’India. A sinistra,materiali informativi anti-trafficking

Traffico di donne.Ingannate con fintepromesse. Perchépovere. E analfabete.Vengono dal Nepal.Vanno in India. In Malesia. Nel MedioOriente. Finisconoschiavizzate. Ai lavoriforzati. Prostituite.Caritas le aiuta a liberarsi

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Quattro uomini l’afferrarono, le lega-rono le mani dietro la schiena e le fe-cero ingerire della polvere.

Risvegliata a MumbaiSi risvegliò in una città dell’India delnord – «Era la prima volta che vedevoedifici così alti» – e chiese di ritornarea casa. Uno dei suoi rapitori le disseche le avrebbero dato un lavoro di tes-situra nel Kashmir. «Faceva così caldo,in India – ricorda –. Sudavo. Ero abi-tuata alla fresca brezza del mio villag-gio». Non volle bere nulla che le venivaofferto, ma alla fine la sete divenne in-tensa e bevve.

La volta successiva si svegliò aMumbai, anche se per un certo perio-do non sapeva dove si trovasse. «Miportarono in un ristorante. C’eranomolte persone, io piangevo e piange-vo, ma nessuno si è fatto avanti». Dopoaverla fatta salire su un taxi – «L’autistasapeva. Tutti sapevano» – gli uomini

el bordello non c’era-no finestre. L’unicafonte di luce era unalampadina, per noiera il sole e la luna».

Charimaya Tamang è cresciuta nellazona collinare del Nepal, lavorava nel-la fattoria della sua famiglia. Era abi-tuata a stare all’aperto, alla libertà. Madopo essersi risvegliata da un sonnoindotto dalla droga, a migliaia di chi-lometri dal proprio villaggio, la sedi-cenne è stata rinchiusa in una stanzadietro a tre porte, tutte chiuse a chia-ve, una dopo l’altra.

Diversamente da tante ragazze dellazona rurale del Nepal, Charimaya sa-peva che gli uomini che alla finel’avrebbero rapita erano criminali. Untizio le si era avvicinato al villaggio, fa-cendole complimenti per la sua intel-ligenza e per il lavoro che svolgeva inclasse, suggerendole di lasciare la pro-pria casa per trovare migliori opportu-nità. «Hai del potenziale, potresti lavo-rare in un’azienda», le aveva detto.

Ma Charimaya aveva letto un librosui trafficanti umani, che comprano evendono gente ignara per indurla allaprostituzione forzata, alla mendicità oal lavoro. Sapeva che veniva promessoun impiego che non c’era, e che si ve-niva portati nella grande città senza sa-pere cosa sarebbe successo in seguito.

Quindi era prudente, ancora di piùperché aveva visto ragazze sconosciutenascoste all’ultimo piano di una barac-ca nel suo villaggio. Ma alla fine l’ave-vano presa. Drogandola. Nonostantesolitamente andasse a tagliare l’erbainsieme alle altre donne del villaggio,un giorno si trovò da sola nella foresta.

«N

internazionale nepal

MOSTRA E RAPPORTO,INIZIATIVA CARITASLe immagini che compaiono in questepagine, scattate dalla fotoreporterstatunitense Katie Orlinsky, fanno partedi una mostra sulle donne nepalesitrafficate, che a metà maggio è stataesposta all’ambasciata Usa presso la Santa Sede, a Roma, in occasionedella presentazione del rapporto di CaritasInternationalis sull’argomento. Il networkCaritas è impegnato a dare risonanza al problema, e a promuovere soluzionitramite nuovi strumenti anche giuridici,in sede internazionale e alle NazioniUnite. Info su rapporto e mostrawww.caritas.org

abıtuataCharimaya,

che nonsi è maı

servizi di Laura Sheahen traduzione di Sabrina Montanarella

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vendeva tè, grazie all’aiuto diCaritas ho potuto comprareattrezzature ed espandermi.Il negozio è fiorito». Sumitraoggi lavora dalle 5 del matti-no alle 8 di sera, vende circa100 tazze di té al giorno: «Ilmio tè è buono. La gentedella clinica vicina è diven-tata mia cliente».

Yam Kumari Bhat stava in-vece per recarsi all’estero co-me cameriera. Un membrodello staff di Caritas la spinsea utilizzare un loro prestitoper gestire un’attività. Adessogestisce un negozio di tè eciambelle. I piccoli prestiti,insomma, aiutano donne po-vere – in particolare vedove e donnecon mariti malati o assenti – a rimanerecon i propri figli e ad auto-sostenersi.Ma soprattutto a non dover accettareofferte di lavoro sospette.

E poi c’è il lavoro per creare coscien-za della pericolosità del fenomeno, inmodo da prevenirlo: incontri nei villaggiper informare le donne, trasmissioni viaradio, supporto legale. La pressione sul-le autorità per ottenere leggi che proteg-gano le vittime del traffico d’uomini.

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Infine, c’è l’accoglienza di chi rien-tra, dopo esperienze traumatiche. Co-me la ventiquattrenne Damber Ku-mari Gurung, che aveva lasciato il suovillaggio per l’Arabia Saudita, per la-vorare come cameriera. Più di annodopo, è tornata piena di lividi. Avevalavorato in una casa privata saudita:dormiva solo quattro ore a notte, peril resto era impegnata a cucinare, pu-lire e lavare. La famiglia per la qualelavorava la pagava raramente, e quan-

do lei chiese il suo compenso la ri-mandarono all’agenzia di impiego.Rimasta sola, ha subito un tentativo diviolenza ed è stata percossa. Tornò inaereo a Kathmandu, capital del Nepal,piena di lividi, in evidente stato con-fusionale. Da allora ha evidenti pro-blemi psichici, ma Caritas Nepal l’haaiutata a ritrovare la propria casa e lapropria famiglia. Per lei la brutta av-ventura è finita. Per molte altre, c’è an-cora tanto lavoro da fare.

Ogni anno sono almeno diecimilale vittime di traffici e vessazioni

Una delle cose più tristi del Nepal è che, oltre a essere un paese povero, ogni anno circa10-15 mila donne e bambini sono oggetto di traffico e sfruttamento sessuale, in parti-colar modo verso il grande paese confinante, l’India. Queste persone vengono portatevia, con loro promessa di un lavoro e di una vita migliore in un paese estero. Ma alcunidi loro finiscono per essere venduti. E si trovano a dover subire la schiavitù sessuale.

Molti migranti prendono anche la strada dei paesi del Medio Oriente. Si ritieneche circa un milione di lavoratori nepalesi (su una popolazione di circa 28 milioni,ndr) lavorino fuori dal paese, la maggior parte appunto in Medio Oriente. Molti di loro soffrono terribilmente, essendo alla mercé dei loro datori di lavoro, in partico-lar modo le donne, che vengono tenute come aiuto domestico e trattate a volte co-me oggetti sessuali. Vi sono storie che raccontano come vengono vendute da unpadrone all’altro. Molte donne lavoratrici che hanno subito molestie sul luogo di la-voro si sono suicidate. Secondo le notizie più aggiornate, circa 30 donne nepalesiche si erano recate in Medio Oriente si sono suicidate nel solo 2010. E alcune nonerano mai nemmeno state pagate dal proprio datore di lavoro.

Il Nepal è uno dei paesi più poveri del mondo, si trova al 142° posto (su 168)della lista dei paesi più poveri. Secondo la graduatoria, realizzata dal Programma di sviluppo delle Nazioni Unite, il 68% dei nepalesi sopravvive con meno di 2 dollarial giorno e circa il 24% vive con meno di un dollaro al giorno. In una situazione così,la popolazione cede a qualsiasi promessa di fare fortuna fuori dal proprio paese, rischiando di precipitare in una situazione di sfruttamento e schiavitù.

Per far fronte a tale situazione, Caritas Nepal ha iniziato da anni a sostenere unprogramma di riabilitazione destinato alle vittime di questi traffici e abusi, e ha inol-tre avviato un programma per far prendere coscienza alla popolazione.

Dal 1999 al 2004 Caritas Nepal ha lavorato per il reinserimento sociale di 125giovani ragazze, riportate nel paese da case di tolleranza in India. Inoltre, sono statevarate iniziative per aumentare la consapevolezza nell’intero paese e per migliorarela vita delle donne, istituendo anche programmi di sviluppo e di istruzione. Agire sulversante della sensibilizzazione e formazione è una chiave di successo del program-ma, poiché il tasso di alfabetizzazione femminile nel paese è solo il 34%.

Bisogna lottare anche contro le condizioni sociali e le tradizioni. Molti genitori an-cora credono che lo scopo dell’educazione di una bambina sia il matrimonio, che es-sa debba pensare solo a vivere con il proprio marito, che debba imparare a cucinaree fare i lavori domestici. Caritas cerca di far superare questa discriminazione.

Le azioni intraprese hanno raggiunto importanti successi, aiutando i beneficiaria vivere con dignità. L’atteggiamento delle persone nei confronti delle vittime è piùpositivo. Inoltre, molte ragazze hanno evitato di cadere nella trappola del traffico,grazie alla funzione preventiva del progetto. E i programmi di sviluppo di comunitàe famiglie puntano a migliorare le condizioni di vita, per evitare che le bambine sia-no cedute o incanalate in vicende migratorie pericolose.

In quanto ex direttore di Caritas Nepal, intendo ringraziare Caritas Italiana e gli al-tri partner per il loro appoggio. Anche una sola vita salvata grazie al nostro program-ma è valsa l’impegno di tutti. Silas Bogati [ex direttore Caritas Nepal]

dirittura ruoli da stelle del cinema inIndia, ma poi vendendole o inducen-dole alla prostituzione o al lavoro for-zato. Le adulte, invece, sono le princi-pali candidate al lavoro di domestichepresso famiglie di paesi esteri, spessoin Medio Oriente, per esempio in Ku-wait. A volte devono lavorare gratis oaffrontare abusi fisici e anche sessuali.

Ai confini tra Nepal e India molticartelli avvertono le giovani nepalesiche un uomo che offre un lavoro inuna città indiana può in realtà averel’intenzione di venderle. A certi postidi frontiera, donne che sono state vit-time del traffico sono oggi guardie, chemonitorano attività sospette e cercanodi proteggere le giovani connazionali.

a trentenne Madhu Tharuha lavorato per gli altri sinda quando era una bambi-na. Un lavoro da schiavo inun villaggio di schiavi: le

donne nepalesi appartengono al pro-prio padre o marito-padrone. Il siste-ma di servitù che la intrappolava èstato abolito solo agli inizi di questomillennio. Ai suoi fratelli era consen-tito andare a scuola. Ma lei, in quantoragazza kamalari (serva) non poteva.

Con queste vicende alle spalle, Ma-dhu e migliaia di ragazze come lei sonoil principale obiettivo dei trafficanti,criminali che rapiscono o ingannanole ragazze, promettendo lavori in Ma-lesia, matrimoni in Medio Oriente, ad-

rappresentare altre donne sfruttate,pressando le istituzioni affinché le ra-gazze siano riconosciute vittime di cri-mini, e non criminali. Oggi conducealcuni gruppi di presa di coscienza perpersone a rischio, dicendo loro a cosafare attenzione. Supervisiona ancheprogrammi per i sopravvissuti al traf-fico, gestendo un rifugio per ragazze dietà compresa tra i 15 e i 22 anni. Il suolavoro è stato riconosciuto da molti,sia in Nepal che nel mondo. Nel 2011,Il segretario di stato statunitense, Hil-lary Clinton, l’ha insignita con il pre-mio “Eroe contro il traffico d’uomini”.

Oggi Charimaya è sposata e ha duebambini. Dedica la sua vita a metterea frutto quanto ha imparato nei perio-di oscuri, per combattere l’ingiustiziae proteggere altre donne. «Dobbiamodare segni di speranza – è la sua con-vinzione –. Dopo la notte, arriva il gior-no». Non quello della lampadina,quello della vita vera. E libera.

internazionale nepal

LGli snack di Madhu. I tè di Sumitra. Due donne, tra tante, che grazieai progetti finanziati anche da Caritas Italiana si sono ricostruite la vita

Coscienza per prevenire,microprestiti per ricominciare

Infine, c’è l’accoglienza di chi rientra,dopo esperienze traumatiche. ComeDamber Kumari Gurung, che aveva lasciato

il villaggio per l’Arabia Saudita, per lavorarecome cameriera. Ma è tornata piena di lividi

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Infatti, sebbene alcune donne riesca-no a lavorare tranquillamente e gua-dagnare a sufficienza, i rischi del-l’emigrazione sono gravi. Persino nelmigliore dei casi, i problemi nonmancano: molte sono le madri che,per lavorare, sono costrette a separarsidai loro bambini, che restano in patria.

Nei villaggi, via radioIl programma contro il traffico di don-ne di Caritas Nepal cerca di offrire loroalternative reali per farle rimanere a ca-sa. Sostenuto e finanziato dal 2008 an-che da Caritas Italiana, tale program-ma ha concesso a Madhu un piccoloprestito, per gestire un chioschetto chevende snack sul bordo di una strada. Isuoi due figli ora possono andare ascuola e suo marito, guidatore di risciò,non deve più lavorare fino a sfiancarsi.

Sumitra Bista invece ha un figlio damantenere. «Mio marito si è risposato– racconta –. Avevo un negozietto che

CONVERSAZIONE, PREVENZIONEMeena (a destra), formata daCaritas Nepal, illustra a Nachungi rischi del viaggio verso un lavoroda cameriera in India, prospettatoleda una vecchia del villaggio

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serve una democrazia quando, anchese sono diminuiti gli assassini si è re-golarmente minacciati di rapimento,e bisogna pagare riscatti di ventimiladollari? Oppure, anche senza essererapiti, se si è obbligati a pagare, altri-menti ci si vede privati della casa?».

Succede anche ai musulmani, mapiù spesso ai cristiani, per una singo-lare ragione: i cristiani sono prede fa-cili, non reagiscono, non hanno mi-lizie armate. E così si arrendono al-l’idea di vivere altrove la loro vita e laloro fede: «L’emigrazione è una... ma-lattia contagiosa».

I rapporti con i musulmani, peral-tro, c’entrano sino a un certo punto.Ci sono stati alti e bassi, nel corso di1400 anni di storia comune, da quan-do cioè l’islam è apparso nella terrache allora si chiamava Mesopotamia.«Ma si è sempre vissuti insieme – af-

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ferma il vescovo –, e anche oggi noicerchiamo di dimostrare con i fattiche non siamo settari, né tanto menoagenti dell’occidente: l’80% delle per-sone assistite da Caritas non sonocristiane. Se c’è, paradossalmente, unaspetto positivo in questa tragedia, èproprio lo stupore di molti musulma-ni che vedono cristiani parlare di pa-ce, e agire la pace, con quelli che do-vrebbero essere i loro nemici».

A confermare l’effetto pacificatoredel lavoro di Caritas Iraq ci sono i nu-merosi giovani musulmani che chie-dono di fare volontariato nelle strut-ture dell’organismo. «Però non bastalavorare per la pace in Iraq, come sipuò intuire: c’è la “disgrazia” del pe-trolio, di cui anche il democratico oc-cidente ha bisogno. Gli interessi eco-nomici però non sono quelli degli ira-cheni. Allora dov’è la democrazia?».

Povertà, non è un destinoDemocrazia fittizia, apparente, confi-scata nella quotidianità di tanta gente.Un ritornello. La cui responsabilità an-drebbe avvertita anche lontano daBagdad. Senza inoltrarsi in analisi po-litiche, i dirigenti di Caritas Iraq lancia-no un richiamo semplice e originale aicristiani d’occidente: «I cristiani pos-sono fare molto in Europa, possonoseminare pace nei loro parlamenti!».

Solo con la pace, infatti, finirà l’emi-grazione, «perché tutti gli iracheni sonomolto legati al loro paese e solo con lapace cesserà il fiume di profughi chetanto impensierisce l’occidente. E di-minuiranno le spinte secessionistiche

Se c’è, paradossalmente, un aspettopositivo in questa tragedia, è propriolo stupore di molti musulmani che vedono

cristiani parlare di pace, e agire la pace, conquelli che dovrebbero essere i loro nemici

MESSABLINDATAFedeli cristianiin fila, circondatida militari efilo spinato,per parteciparealla messadi Pasquaalla chiesa caldea della VergineMaria, nellacapitale Bagdad

L’impegno Caritas

Caritas Iraq continua a condurre progetti in corso da diversi anni. Gli inter-venti si realizzano in tutto il paese anche grazie a una rete di oltre trecento volontari. Nel suotour europeo, monsignor Warduni ha sottoposto ai donatori sei programmi: sostegno a bam-bini e famiglie; per la formazioni di giovani volontari alla solidarietà e alla cittadinanza atti-va; sostegno a poveri, vittime di violenza e persone in difficoltà; sostegno a famiglie sfollate;integrazione delle persone disabili; pace e riconciliazione. Caritas Italiana ha finanziato que-sti programmi nel 2011 con un contributo di centomila euro.Per contribuire alle attività di questa coraggiosa Caritas, donazioni a Caritas Italiana, specifi-cando “Programma Caritas Iraq”.

Poveri e sfollati: sei programmi

che vogliono dividere il paese secondoidentità etnico-linguistiche (il caso deicurdi nel nord) o religiose (la divisionetra sunniti e sciiti nel campo islamico)».

Finirà, o si attenuerà, si spera, anchela povertà che oggi sembra, ma non èun destino. «L’Iraq è un paese ricco,con gente generosa, un paese che po-trebbe dare da mangiare a tutto il Me-dio Oriente. Invece ora è poverissimo,soffre per i troppi bambini malnutriti,per le vedove senza parenti, di handi-cap fisici poco o per nulla curati, di an-ziani senza medicine, di giovani senzascuola, della mancanza di lavoro».

E, si diceva, dei tanti profughi al-l’estero. Iracheni “silenziosi”, «moltiaddirittura incitati a lasciare l’Iraq -sostiene monsignor Warduni – da par-te di paesi confinanti, salvo poi trova-re un’accoglienza precaria. I rifugiatisono obbligati a spendere i loro soldi,si impoveriscono e rimangono in at-tesa. Che ne sarà di questa personesenza futuro?». Altrettanto preoccu-pante è la situazione degli sfollati,centinaia di migliaia di persone spo-statesi all’interno dell’Iraq senza riu-scire a emigrare: «Sono famiglie chevivono nel terrore, perché hanno per-so le loro proprietà, e sono sopportatedove hanno trovato temporaneo rifu-gio, perché costrette a condividere gliscarsi aiuti con altri sfortunati, in unclima di sostanziale anarchia. Siamodavanti a due bombe ad orologeria –conclude preoccupato il vescovo –:una esterna, nei paesi confinanti –pensiamo alla Siria –; una interna allostesso Iraq, dove il flusso di sfollatinon diminuisce, perché il contesto ge-nerale non è cambiato. Povertà e sra-dicamenti, che non cessano di rivol-gersi alla Caritas per ogni necessità».

E questa, ci si chiedeva, sarebbedemocrazia?

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internazionale iraq

onsignor Shleimon War-duni è vescovo cattolicodi rito caldeo di Baghdad,e da sei mesi è presidentedi Caritas Iraq. Recente-

mente ha intrapreso un giro d’Europa,insieme al direttore dell’organismocaritativo, Nabil Naissan, e alla segre-taria generale, Balsam Bahnan, per in-traprendere colloqui e discutere pro-getti con le Caritas del vecchio conti-nente. Sono stati ospiti anche diCaritas Italiana. E hanno raccontatodella situazione di stagnazione a cui ècondannato il loro paese. Nel qualenon c’è alcuna seria evoluzione poli-tica. Lo spazio che giornali e tv inter-nazionali danno all’Iraq è ormai al-quanto ridotto. Anche perché attenta-ti e violenze sono diminuiti. Ma ciònon significa che il paese abbia risoltoi suoi laceranti problemi: «Non c’è pa-ce, non c’è riconciliazione, non c’èlegge», sintetizza il vescovo.

Non sono, quelle dei responsabilidi Caritas Iraq, affermazioni di mal-contento in astratto. Fotografano larealtà di un paese in cui la guerra è

conclusa, ma sicurezza e democraziasono traguardi lontani. Un esempio,che attiene alla quotidianità. «Quan-do una persona è derubata – affermaWarduni –, è inutile che vada a de-nunciare alla polizia. O non la trova,o questa non muoverà un dito». Ciòaiuta a comprendere un aspetto forsemeno noto della situazione irachena:«Il paese è afflitto non solo dalla vio-lenza terrorista a scopi politici o inchiave di minaccia islamica anticri-stiana. C’è anche una crescita delbanditismo che rimane impunito, eche diventa un ulteriore elemento dispinta all’emigrazione».

Lo stupore dei musulmaniGià, l’emigrazione. Molti musulmaniiracheni se ne sono andati. Ma la co-munità cristiana si è dimezzata. Si sti-ma che siano da 400 a 500 mila i cri-stiani fuggiti: «Dal 2003 abbiamo do-vuto subire un’emigrazione piùgrande che nei precedenti duecentoanni», contabilizza Warduni. Poi rial-za la testa, celando un moto d’ira: «Equesta sarebbe democrazia? A cosa

democrazia?E questa

sarebbe

Colloquio conmonsignor Warduni,vescovo di Bagdad e presidentedi Caritas Iraq.Il paese non è piùin guerra, mauna vera pace èlontana. Banditismo,violenze politichee religiose: fuggono incentinaia di migliaia.A cominciaredai cristiani

di Silvio Tessari

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internazionale guinea bissau

La spiraleperversa

Bıssauche ınvischia

a spiaggia di Varela, nell’estre-mo nord della Guinea Bissau,è un’appendice del paradisoterrestre. Un’immensa strisciadi sabbia bianca che si perde

a vista d’occhio, completamente de-serta. Di fronte, l’oceano trasparente ecalmo; alle spalle, la foresta tropicale.

A rompere l’incanto, però, ci pen-sano alcuni militari che passeggianosu e giù per la spiaggia. Una presenzasorprendente e stonata, in un luogosimile. Lì accanto, ci sono alcuni gio-vani pescatori e un funzionario, chesi presenta come un addetto della fi-scalisaçao della pesca. «Siamo quiper controllare le licenze dei pesca-tori tradizionali», dice senza troppaconvinzione.

In un paese completamente de-strutturato come la Guinea Bissau,che la gente dei villaggi abbia una li-cenza di pesca è alquanto improba-bile. Ma lui insiste e aggiunge che lorocontrollano anche i grandi pesche-recci stranieri, i quali vengono a fareincetta di pesce lungo le coste pesco-sissime di questo minuscolo paese

dell’Africa occidentale. Però il verobusiness, qui, non è certamente quel-lo del pesce. E le licenze non c’entra-no niente. Questo mare e le foresteadiacenti, nel nord della Guinea Bis-sau, come nel profondo sud, sono di-ventati un crocevia di traffici ben piùlucrosi e illegali: quelli di droga.

I militari, dopo essere diventatiparticolarmente aggressivi quandoproviamo a guardare in un secchiodove in superficie ci sono alcuni pe-sci, partono insieme ai sedicenti pe-scatori con una barchetta ricavata daun tronco d’albero, mentre altri sfrec-ciano via in foresta con la loro jeep.

Tutto appare piuttosto rudimentalee improvvisato. Ma dietro c’è un’orga-nizzazione articolata e ferrea, chechiama in causa i trafficanti di cocainacolombiani e, appunto, i militari gui-neani. Che, insieme ad alcuni uominipolitici, sono diventati in questi ultimianni la principale causa di destabiliz-zazione e caos del loro stesso paese.

Continuare impunementeLo dimostra anche il recente colpo di

Arretratezza chegenera conflitti.Conflitti politici chealimentano povertà e sfruttamento. Un circolo viziososoffoca la Guinea. Nel piccolo paeseafricano, in aprile,ennesimo colpo di stato: i traffici di pochi rovinano la vita di tutti

testo e foto di Anna Pozzi

L

SPERANZADI VITA

Una donna allattadue bambini,una maestra

insegna a una piccola alunna:

simboli di aperturaal futuro, in un paese

il cui presenteè attanagliato

da conflitti e povertà

36 I TA L I A C A R I TA S | G I U G N O 2 0 1 2

GIOVANI SENZA LAVORO?L’EUROPA HA QUALCHE RISPOSTA

zeropovertydi Laura Stopponi

cesso al mercato del lavoro. Essa sol-lecita inoltre i governi nazionali a ri-correre maggiormente al Fondo so-ciale europeo, per impiegare i 30 mi-liardi di euro non ancora assegnati aprogetti per il periodo 2007-’13; nona caso gli stati con i più alti livelli didisoccupazione, fra i quali l’Italia, so-no anche quelli non in grado di uti-lizzare tutte le risorse Fse per i giova-ni disoccupati.

Infine, Bruxelles delinea misureconcrete per sostenere soluzioni in-novative. Tra esse vi sono lo stanzia-mento di risorse per la partecipazio-ne dei giovani a programmi di ap-prendistato, allo scopo di realizzare370 mila nuovi contratti di apprendi-stato entro fine 2013, e per la nuovainiziativa “Garanzia per i giovani”,volta ad assicurare che entro quattromesi dalla fine del loro percorso sco-lastico i giovani abbiano un lavoro,proseguano gli studi o seguano una(ri)qualificazione. La Commissioneha inoltre lanciato una campagnaper incoraggiare le imprese europeead accogliere tirocinanti da tutta Eu-ropa nell’ambito dei programmi Era-

smus e Leonardo da Vinci, e a promuovere l’imprendito-rialità tra i giovani, anche nell’ambito dell’economia so-ciale; l’iniziativa “Erasmus per imprenditori”, per esem-pio, offre a giovani imprenditori 600 collocamenti in pic-cole imprese di altri paesi Ue. Infine, l’esecutivo Ue invitagli stati a incentivare l’impiego del portale europeo dellamobilità professionale Eures, tramite l’iniziativa “Il tuoprimo lavoro Eures”, che offre ai giovani un aiuto finan-ziario diretto per occupare posti vacanti (sono 1,2 milio-ni) in altri stati membri;

Risorse, programmi, proposte: non mancano solleci-tazioni e sostegni da parte dell’Europa. Occorre però co-noscerli e farli conoscere; far sì che i governi nazionalisfruttino le occasioni che possono dare risposte ai gio-vani esposti al rischio di disoccupazione e quindi diesclusione sociale. Vedremo se nei prossimi mesi i Pro-grammi nazionali di riforma 2012 recepiranno queste in-dicazioni.

T ra gli europei con meno di 25 anni, uno su quattro è disoc-cupato. Un tasso quasi tre volte superiore a quanto accadeagli adulti. Il Rapporto Ombra (The Shadow Report) di Caritas

Europa approfondisce il problema, sottolineando che la crisi eco-nomica ha avuto un impatto più duro sui giovani. Tanto che oggicirca 7,5 milioni di ragazzi tra i 15 e i 24 anni (fonte Eurostat) nonsono né occupati, né studiano o seguono una formazione.

Diversi Programmi nazionali di riforma, tra i 16 presi in esame dalrapporto Caritas, evidenziano la volontà di affrontare questo pro-blema. Indicando o pianificando molteplici azioni: miglioramentodei sistemi educativi, creazione dischemi di apprendistato, supportipiù mirati per l’inclusione lavorativa.

Tuttavia, rileva la CommissioneEuropea, molto di più può e deve es-sere fatto. E con urgenza! L’esecutivodi Bruxelles, nel documento Iniziati-va per i giovani, rilancia il tema, sot-tolineando come il costo per la socie-tà della disoccupazione di lunga du-rata o dell’inattività dei giovani, nei21 stati membri per i quali vi sonodati disponibili, è all’incirca di 2 mi-liardi di euro alla settimana, l’equiva-lente dell’1,1% del Pil della Ue. Lecause della disoccupazione giovanile e la portata dellasfida variano da uno stato all’altro, ma nella maggior par-te dei casi i fattori più comuni sono l’abbandono precocedegli studi, la carenza di competenze, le occupazioni pre-carie, le opportunità di formazione limitate, le politicheattive inadeguate in materia di mercato del lavoro.

Risorse dalla CommissioneBenché la responsabilità di affrontare la disoccupazionegiovanile competa agli stati membri, l’Ue può rivestire unruolo di sollecitazione, supporto e finanziamento, al paridella società civile, che può premere sulle istituzioni lo-cali, affinché – tra l’altro – utilizzino le risorse messe incampo dall’Europa. E così la Commissione europea pro-pone che gli stati membri adottino provvedimenti urgen-ti in quattro settori: prevenzione dell’abbandono scola-stico; sviluppo di competenze; sostegno a una primaesperienza di lavoro e formazione sul posto di lavoro; ac-

Il continente presentadati sconsolanti,

in materiadi disoccupazione

giovanile: 7,5 milionisenza lavoro costano

2 miliardi di euro a settimana. Gli statidevono fare di più. E l’Unione propone

strumenti di supporto,non abbastanza usati

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TENTAZIONE PESSIMISMOL’AFRICA RESTA IN OSTAGGIO

contrappuntodi Giulio Albanese

bienti. Sarebbe pertanto forviantepensare, ingenuamente, che le re-sponsabilità ricadano sempre e uni-camente sui golpisti o sui movimentiarmati che infestano questa o quellaregione. Vi sono infatti molto spessocolpe che ricadono sugli stessi go-verni civili, sulla cui legittimità de-mocratica pesano le ingerenze stra-niere di cui sopra, e i quali in molticasi non hanno risposto adeguata-mente ai bisogni delle popolazioni,disincentivandone la partecipazionealla vita civile.

Ma non v’è dubbio che l’instabili-tà del continente è in gran parte de-terminata dai meccanismi della glo-balizzazione, soprattutto di matricecommerciale. Un esempio emble-matico è costituito dalla politicafrancese, soprattutto sui versantimaghrebino e saheliano, e più in ge-nerale nel grande scacchiere del-l’Africa occidentale, dove si trovanomolte delle ex colonie di Parigi. No-nostante i ripetuti proclami all’inse-gna della cooperazione trasparente,soprattutto con i paesi francofoni, laFrancia guarda con grande interesse

al controllo delle fonti energetiche. Non è un caso che dasettimane circolino voci insistenti, negli ambienti diplo-matici africani, circa un sostegno francese in favore dellaribellione tuareg nel nord del Mali, dove abbondano pe-trolio e uranio.

L’Africa, insomma, è ancora e sempre ostaggio delleproprie ricchezze, dal Sahel alla Somalia, passando per ilSudan. D’altronde, a questo servono guerre e colpi di sta-to, non certo al bene delle stremate popolazioni e al so-gno del riscatto dall’onta coloniale. Ma attenzione, que-sto andazzo non può continuare a oltranza. È bene ram-mentare che già nel 1865 il celebre Adam Smith, fautoredel libero mercato, a giustificazione del suo sostegno alprogetto di Abraham Lincoln di abolire la schiavitù, avevapredetto: «Le economie di tutte le nazioni che praticanola schiavitù dei neri sono prossime a una caduta negli in-feri, e questa si trasformerà in un crudele risveglio il gior-no in cui le altre nazioni decideranno di destarsi».

D i questi tempi, guardando allo scenario africano, è difficileresistere alla tentazione dell’afropessimismo. In effetti, quan-to sta accadendo nel continente è estremamente preoccu-

pante. Anzitutto vi è il nuovo conflitto tra Nord e Sud Sudan, deter-minato dal duplice contenzioso sulla delimitazione dei confini esullo sfruttamento del petrolio. Nel frattempo la questione somalarimane aperta, con tutto il suo carico di miserie e nefandezze, cherendono quel territorio off limits. La regione del Sahel, sul versanteopposto del continente, è anch’essa in subbuglio, non solo perl’emergenza carestia lanciata dalle organizzazioni internazionali, maanche a seguito della secessione del-l’Azawad decretata dai ribelli tuareg:un fenomeno estremamente com-plesso, che coinvolge anche altri com-ponenti armate, di matrice più o me-no dichiaratamente jihadista. Dulcisin fundo, il 13 aprile scorso in GuineaBissau vi è stato l’ennesimo colpo distato, in un paese la cui popolazionesognava a occhi aperti l’avvento di unnuovo corso democratico.

Se a quanto detto aggiungiamo lacrisi globale dei mercati finanziari, ei conseguenti tagli imposti alla coo-perazione, non sorprende affatto sa-pere che molti governi africani siano in grande difficoltà.La crescita del prodotto interno lordo, per un’economiaemergente come quella sudafricana, o il fiorente businessdel petrolio angolano non riescono a imprimere, più ditanto, l’agognato cambiamento. Un dato che non an-drebbe sottovalutato, in questo ragionamento, è la pre-senza trasversale, a livello continentale, di oligarchie lo-cali, avvinte alle nuove o alle ex potenze coloniali. Pocoimporta che si tratti di cinesi o americani, di lobby petro-lifere o organizzazioni massoniche: questi potentati stra-nieri trovano grande accoglienza nelle élite africane, tra-dizionalmente avvezze al nepotismo.

La predizione di AdamQuesto fenomeno è ben consolidato da quando, unacinquantina d’anni fa, i paesi africani divennero indi-pendenti. Col risultato che la gestione della res publicaè sempre problematica, penalizzando i ceti meno ab-

Conflitti, ribellioni,colpi di stato.

Il continente continuaa essere uno scenario

di instabilità.In gran partedeterminata

dai meccanismidella globalizzazione,soprattutto di matrice

commerciale. Che miraalle ricchezze naturali

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internazionale guinea bissau

stato militare, che ha di fatto bloccatoun processo elettorale già di per sé al-quanto complicato e delicato. Il pae-se, infatti, era stato chiamato nuova-mente alle urne dopo il decesso permalattia del presidente Malam BacaiSanhá. E si apprestava ad andare alballottaggio il 29 aprile, con il favoritoCarlos Gomes Junior del Paigc (Parti-to africano per l’indipendenza dellaGuinea e Capo Verde) che si oppone-va a Koumba Yala, leader del Partitodi rinnovamento sociale.

«Giovedì 12 aprile, verso le 20, su-bito dopo la messa – racconta padreDavide Sciocco, missionario del Pi-me e direttore dell’emittente cattoli-ca nazionale Radio Sol Mansi –, quinella capitale Bissau abbiamo sentitoalcuni spari di mitra e un paio diesplosioni più forti. La sparatorianon è stata molto lunga, rispetto adaltre che abbiamo vissuto in passato.Abbiamo intuito che era nei pressidella casa dell’ex primo ministro e at-tuale candidato alle presidenzialiCarlos Gomes Junior, nettamente invantaggio dopo il primo turno di votoe in attesa del ballottaggio. Nel frat-tempo, dalla radio mi hanno chiama-to, dicendo che un gruppo di militariaveva ordinato di interrompere letrasmissioni, segno chiaro di un’ope-razione orchestrata ai livelli più alti».

Era, appunto, l’inizio dell’ennesi-mo colpo di stato, che ha nuovamen-te riportato la Guinea Bissau sull’orlodell’abisso. Il paese, ormai, sembrainvischiato in una perversa spirale disottosviluppo e arretratezza (econo-mica, infrastrutturale, tecnologica…), nonché in una situazione di fragili-tà istituzionale e politica da cui nonriesce a uscire. I deficit socio-econo-mico del paese sono impressionanti,anche in relazione ai già ridotti stan-dard africani: reti stradali e di comu-nicazione pressoché inesistenti, si-stema sanitario ed educativo allo sfa-scio (il tasso di alfabetizzazione, peresempio, è solo al 42%, e per le donne

cusata di voler mettere in atto inter-venti armati nel paese.

Il 19 aprile, comunque, i rappre-sentanti di 25 partiti politici hanno fir-mato un accordo con i golpisti per in-staurare un periodo di transizione didue anni. Il parlamento è stato sciolto,primo ministro e governo sono statidestituiti, è stato nominato un Consi-glio nazionale di transizione, che, co-me primo atto, ha designato presi-dente di transizione Manuel SerifoNhamadj, candidato di opposizione,sconfitto al primo turno delle elezioni.La procedura è stata però considerataincostituzionale dalla Comunità deglistati dell’Africa occidentale (Cedeao).E anche l’Unione africana ha ribaditola sua netta contrarietà.

«È triste – commenta padre Davide,le cui trasmissioni radio sono state“sospese” dai militari per alcuni giorni– vedere come questa nazione, chenegli ultimi due anni si stava ripren-dendo e dava segnali di crescita, si tro-vi di nuovo impantanata in questioniche riguardano l’interesse di pochi,ma che rovinano la vita di tutti».

La Chiesa, unica istituzione auto-revole e presente capillarmente nelterritorio, cerca di fare la sua parte,per risolvere l’ennesima situazione diconflitto. Il vescovo di Bissau, monsi-gnor José Camnate, è stato nominatoalla guida di una commissione permediare la difficile situazione politi-co-militare. «È davvero una Chiesa alservizio della pace e della riconcilia-zione, come si è detto nel Sinodo afri-cano – commenta padre Sciocco –. Ildialogo, però, ha bisogno di chiascolta e di chi comunica. Ma nondobbiamo desistere».

al 27%), economia fondata su agri-coltura e pesca di sussistenza. Tuttociò rende la Guinea Bissau uno deipaesi più poveri al mondo, in cui lamaggior parte della popolazione vivesotto la soglia di povertà, quintultimoal mondo nella graduatoria Onu 2010sull’Indice di sviluppo umano. E con-figura un circolo vizioso – come detto–, in cui l’arretratezza alimenta insta-bilità e conflitti, che, a loro volta, ali-mentano povertà, sfruttamento ecorruzione. Anche perché c’è chi hainteresse a mantenere un intero pae-se e un intero popolo in queste con-dizioni, per continuare impunemen-te i propri loschi traffici, arricchendo-si sulla pelle delle gente.

Mediazione della ChiesaIl comando militare ha infatti giusti-ficato la propria azione, diffondendouna nota in cui precisa che «non haambizioni di potere, ma è stato co-stretto ad agire per difendersi daazioni diplomatiche del governo, cheintendeva neutralizzare l’esercito at-traverso forze straniere». I golpistifanno diverse allusioni all’Angola,che aveva inviato una missione mili-tare sul posto per accompagnare ilprocesso elettorale, ma che viene ac-

Anche perché c’è chi ha interessea mantenere un intero paese e un interopopolo in queste condizioni,

per continuare impunemente i propri loschitraffici, arricchendosi sulla pelle delle gente

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ECONOMIA ARCAICAPesca sulle rive di un corso d’acqua.La Guinea Bissau soffre anche di unarilevante arretratezza di infrastrutture

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MOBILITÀ UMANAUN’UTOPIA,TANTE VIOLAZIONI

Le dichiarazioni di principio sono diffuse e sancite a tanti livelli. Ma nei fatti il diritto umano a muoversi e risiedere ovunque, a lasciare il proprio paese e a ritornarvi, è limitato da conflitti,dittature, povertà. E anche l’avanzata Europa lo ostacola

L a Dichiarazione universale dei diritti umani definisce, all’artico-lo 13, i due principi essenziali della libertà di movimento: il di-ritto “alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di

ogni stato”; il diritto “di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e diritornare nel proprio paese”. La Costituzione italiana assume entrambii principi all’articolo 16; inoltre, con il trattato di Schengen del 1985 ela Convenzione del 1990, tale diritto è stato esteso a tutto lo spaziodell’Unione europea.

Nonostante queste dichiarazioni di principi, tuttavia, la libertà di mo-vimento in molte parti del mondo resta un’utopia. Il perseverare di con-flitti armati e di situazioni di povertà estrema precludono la libertà di cir-colazione e il diritto di soggiorno a milioni di persone. Inoltre diversigoverni impediscono il diritto di muoversi liberamente e di uscire dal ter-ritorio dello stato (si pensi, tra i tanti casi, a Eritrea, Cuba, alla condizionedei cittadini palestinesi nello stato di Israele). E anche in Europa decinedi migliaia di migranti subiscono limitazioni alla libertà di movimento.L’Italia stessa è stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo,il 23 febbraio 2012, per i respingimenti di massa verso la Libia, per averviolato il principio di non refoulement, che proibisce di respingere mi-

granti verso paesi dove possono essere perseguitati osottoposti a trattamenti inumani o degradanti.

In tutto il mondo le Caritas operano non solo peraccogliere migranti e rifugiati, ma anche per aumen-tare la coscienza collettiva sulla loro condizione. Af-finché si realizzi quanto scritto nell’enciclica Pacemin Terris: “Per il fatto che si è cittadini di una determi-nata comunità politica, nulla perde di contenuto lapropria appartenenza alla stessa famiglia umana; equindi l’appartenenza, in qualità di cittadini, alla co-munità mondiale”.

di Angelo Pittaluga

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Rifugiati a milioni,tomba Mediterraneo

Nel mondo erano 43,7 milioni,nel 2010, le persone costrette a fuggire dalla propria casa: 15,4milioni sono rifugiate sotto laprotezione dell’Unhcr, 27,5 fuggiteall’interno del proprio paese e circa850 mila alla ricerca di asilo. Lamaggior parte dei rifugiati arrivanodall’Afghanistan, circa 3 milioniche vivono in 49 paesi. Tanti anchegli iracheni in fuga (1,7 milioni) e i somali (770 mila)

I rifugiati in Italia, sempre nel2010, erano 55 mila, in Germa-nia 600 mila, nel Regno Unito270 mila

Sono state 18.244 le persone mi-granti morte dal 1988 nel Mar Me-diterraneo (dato aggiornato al 16marzo 2012 e fondato sulle notiziecensite dalla stampa internazionale;il dato reale potrebbe essere moltopiù grande), 2.352 solo nel 2011

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più disastrose delle attuali «in entrambi i paesi». Statuto delle aree di confine e contesesul petrolio sono all’origine deinuovi scontri, ma secondo Cari-tas Internationalis «i popoli di Su-dan e Sud Sudan vogliono la pa-ce. I loro governi e la comunità internazionale hanno realizzato grandi obiettivi ponendo fine alla guerra, non ci si può permettereche tutto ciò vada sprecato». La rete Caritas, compresa CaritasItaliana, ha rinnovato l’impegno a fianco della popolazione, per for-nire assistenza umanitaria e pro-muovere la pace nei due paesi.www.caritasitaliana.itwww.campagnasudan.it

SANTA SEDEIl Papa approvastatuto e regoledi CaritasInternationalis

Un Decreto generale approvatoda papa Benedetto XVI e firmatodal cardinale Tarcisio Bertone,segretario di stato vaticano, hasancito a inizio maggio lo statutoe il regolamento interno di Cari-tas Internationalis, confederazio-ne cui aderiscono 164 organizza-zioni nazionali cattoliche dicooperazione e aiuto allo svilup-po. Il decreto porta a compimen-to il processo di definizione delquadro giuridico dell’organismo,avviato con una lettera autografadi papa Giovanni Paolo II, chestabiliva – nel 1994 – che Cari-tas Internationalis avesse “per-sonalità giuridica canonica pub-blica”. Rapporti con la SantaSede, assetti degli organi dirigen-ti, compiti e gestione economica,rapporti con le autorità nazionalie internazionali, relazioni con il personale: il Decreto istituisceun sistema di regole, per il qualeil segretario generale e il presi-dente di Caritas Internationalis,Michel Roy e cardinale Oscar Rodriguez Maradiaga, hannoespresso gratitudine al papa.www.caritas.org

archivium di Francesco Maria Carloni

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panoramamondo

“Vili o profeti? Obiezione di coscienza e scelta di servizio”: era questo il titolo,apparso su Italia Caritas del luglio 1977, di un articolo che approfondiva il temadell’obiezione di coscienza al servizio militare e tracciava le coordinate del servi-zio civile all’interno della Caritas. Era stata firmata, infatti, il 10 giugno 1977, unaconvenzione tra Caritas Italiana e ministero della difesa, in virtù della quale veni-vano assegnati obiettori di coscienza, da destinarsi ad attività assistenziali e di animazione nel Friuli terremotato (dell’anno precedente), soprattutto all’inter-no dei gemellaggi. E si prevedeva, inoltre, l’impiego di obiettori da parte delle Caritas diocesane in attività di promozione umana. La stipula della convenzionerispondeva a un’esplicita indicazione del convegno “Evangelizzazione e promozio-ne umana” (tenutosi a Roma dal 30 ottobre al 4 novembre 1976).

La grande figura di don Italo Calabrò, al tempo direttore della Caritas di ReggioCalabria, così si rivolgeva ai primi 26 obiettori entrati nella convenzione Caritas:«Si apre per voi obiettori, e attraverso la vostra obiezio-ne al servizio militare, il discorso della nonviolenza, cheè riflessione sulle cause dell’oppressione e dell’emargi-nazione; deve tradursi in mobilitazione di coscienze, per un’azione coraggiosa e costante di difesa della vitadi tutti gli uomini, specie dei più deboli, dei più indifesi,contro ogni ingiustizia, ogni alienazione».

Animati da questi insegnamenti, sono stati oltre cen-tomila i giovani che dal 1977 al 2001 hanno usufruitodella convenzione. Un’esperienza collettiva che ha se-gnato la vita di molti, oggi impegnati in ambito ecclesia-le e civile, e un insegnamento ancora molto attuale, anche per le giovani e i giovani che oggi svolgono il servizio civile nazionale.

La profezia dell’obiezione,esperienza per più di centomila

SUDANScontri militaritra Nord e Sud:appello direttoalla pacificazione

Caritas Internationalis si è pro-nunciata con un accorato appelloper la fine degli scontri tra Nord e Sud Sudan e la ripresa dei ne-goziati. A meno di un anno dallaproclamazione dell’indipendenzadel Sud, dopo decenni di guerracivile e – si calcola – due milionidi morti, la tensione è tornata adeflagrare violenta, in aprile, in al-cune zone di confine (Abyei, SudKordofan, Blue Nile). La rete Cari-tas ha chiesto ai due stati «diporre fine alle azioni militari allefrontiere. Non è troppo tardi – af-

ferma l’appello – per tenere sottocontrollo la situazione. La pacepuò essere raggiunta solo tornan-do al tavolo dei negoziati per lapiena attuazione dell'accordo dipace», urgente anche per evitareconseguenze umanitarie ancor

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VEGLIARELA PACEUn bimbo pregaper la pacenel suo paese,il Sud Sudan.Si torna a temerela guerra col Nord

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LASTORIA

MICROPROGETTO

Oggi, 22 maggio, festa grandea Nagbandja! Il pozzo è realizzato.Cambia la nostra vita? Sì, davvero:più salute, più tempo, meno fatica

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ARMENIARicollegati all’acqua

Beneficiarie del microprogetto saranno83 famiglie di Tsoghamarg (circa 1.680

abitanti), che vedranno ripristinato l’allaccia-mento al sistema idrico del villaggio (tramiteacquisto di tubature, scavo e messa in opera,costruzione di tombini e allacci, clorurazione).Questa parte dell’Armenia ha subito notevolidanni in seguito alla guerra con l’Azerbaigian e il terremoto del 1988. Le difficoltà economichedella nuova repubblica non hanno permessoattività di ricostruzione, né il rinnovo del siste-ma idrico, causando disagi e problemi sanitari.

> Costo 5 mila euro> Causale MP 137/12 Armenia

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AGISCI ORA! SOSTIENI UN PROGETTO INFO: [email protected]

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ETIOPIASviluppo grazie alle vedove

La regione di Gambella, confine col Su-dan, è a 800 chilometri dalla capitale

Addis Abeba. Nella regione vivono 85 gruppietnici. Il microprogetto prevede di assegnarefondi di rotazione a 30 donne vedove capofa-miglia, nella città di Bonga, per sostenerle nel-l’avvio di piccole attività commerciali. Bonga è stata a lungo abitata da rifugiati sudanesiUduk e Shluk, rientrati solo due anni fa. Le po-polazioni native e i gruppi etnici Aynwak stan-no tentando di riavviare lo sviluppo economicoe sociale locale.

> Costo 4.900 euro> Causale MP 8/12 Etiopia

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MICROPROGETTO

BRASILESi previene l’inurbamento

Il microprogetto intende combatterel’emarginazione dei giovani e prevenire

l’inurbamento verso le metropoli, attraversol’avvio di una formazione specializzata a favo-re di circa 90 ragazzi della comunità di SanFelix Do Xingu, in Amazzonia. Le attività previste sono apicoltura, riforestazione, orticoltura, igiene-cura ed estetica. Caritas Italiana contribuisce all’acquisto di attrezzatu-re e strumenti necessari ad avviare microim-prese, utili a migliorare le condizioni socio-economiche di tanti giovani.

> Costo 5 mila euro> Causale MP 73/12 Brasile

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MICROPROGETTO

ALBANIA“Risorse migranti”, il ritornopuò essere occasione di sviluppo

La migrazione albanese da anni ha cambiato volto: i migrantinon si muovono più a piedi o su imbarcazioni improvvisate, ma

raggiungono le loro destinazioni in aereo, quasi sempre con i documen-ti in regola. La migrazione resta però un percorso rischioso: il succes-so non è garantito, la crisi economica ha fatto sì che un numero sem-pre più alto di albanesi intraprendesse il viaggio di rientro in patria allaricerca di un lavoro. Per questo motivo Caritas Italiana ha promosso,insieme a Ipsia, Caritas Albania e Caritas Lezhe, il progetto “Risorsemigranti”, che ha l’obiettivo di favorire e supportare il reinserimentonel mercato del lavoro dei migranti di ritorno. Corsi di formazione pro-fessionale, borse lavoro, erogazione di finanziamenti a fondo perdutoper l’avvio o l’ampliamento di piccole e medie imprese (nelle foto): lo scopo è valorizzare l’esperienza professionale e umana dei migrantidi ritorno come risorsa per lo sviluppo del loro territorio di origine, dalpunto di vista economico e sociale. Il progetto ha durata triennale, èentrato nella sua ultima annualità e attualmente si tengono i bandi peril finanziamento alle microimprese proposte da migranti di ritorno. Sinoa oggi sono state finanziate 8 imprese nelle regioni fra Lezhe e Scuta-ri, in diversi settori (agricolo, caseario, manifatturiero e industriale),sempre favorendo l’innovazione tecnologica, la sostenibilità ambienta-le e una gestione etica dei rapporti di lavoro.

> Costo 25 mila euro> Causale UE/ALB/002 Progetto Migranti Albania

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ILPROGETTO

TOGOGeneviéve e il primo secchio,un pozzo può cambiare la vita

Mi chiamo Geneviéve ho 24anni e sono sposata da cin-

que. Dal matrimonio sono nati tre figli maschi,che oggi hanno 1, 2 e 4 anni. Abitiamo nel vil-laggio di Nagbandja, a venti chilometri dalla cittàdi Dapaong; una zona arida al nord del Togo,prossima alla fascia del Sahel. Nel villaggio sia-mo circa 500 persone, viviamo di agricoltura:miglio, sorgo, mais, arachidi. Nonostante lescarse piogge riusciamo a coltivare a sufficienzaper il nostro sostentamento. Il vero problema è l’acqua potabile: la fonte più vicina, infatti, dista tre chilometri dal villaggio, ci vuole un’oradi strada con un pesante recipiente sulla testa.Siamo noi donne del villaggio a svolgere, da “sempre”, questa mansione per le famiglie.Ma ora, grazie all’aiuto economico ricevuto da Caritas Italiana, la nostra comunità ha potutorealizzare un pozzo adeguato ai bisogni di tuttinoi, in una zona idonea. Ci sono voluti 16 metridi profondità per trovare l’acqua. Il pozzo, scava-to a mano, è preservato al suo interno da anellidi cemento, per evitare crolli, e all’esterno pro-tetto da un muretto circolare coperto. Questoeviterà finalmente che l’acqua si inquini.Oggi, 22 maggio 2012, è festa grande a Nag-bandja! In tre mesi il pozzo è stato realizzato e a me è stato dato l’onore di attingere il primosecchio d’acqua, limpida, fresca, pulita. È cam-biata la nostra vita? Sì, è cambiata davvero. Perché l’acqua potabile, vicino alle nostre abita-zioni, ci assicura salute, minor fatica, più tempoda dedicare ai nostri figli.

> Microprogetto 308/11 Togo Scavo di un pozzo nel villaggio di NagbanjaVideo su: www.caritasitaliana.it

5 Realizzato!

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villaggioglobale

di Danilo Angelelliatupertu / Paola Turci

Da Sanremo ad Haiti. Dai Bambini «armati e disarmati»che cantò ventiquattrenne al Festival del 1989, a quelli in-contrati nelle strade di Port-au-Prince che le «chiedono l’ac-qua». In mezzo, tanta vita mescolata alla musica, tante oc-casioni per scendere in piazza e dire la propria, tanti viagginel Sud del mondo. E il Sud del mondo è presente nell’ul-timo disco di Paola Turci, Le storie degli altri: nove canzoni,nove fotografie a colori vividi sulla realtà che ci circonda.

Chi sono gli altri, per Paola Turci?Uno che poi diventa un altro e un altro ancora. Non unpubblico, non una massa informe. In questo disco foto-grafo la persona, l’essere umano. Soprattutto quelloche occupa l’ultimo posto della fila.

Nella canzone I colori cambiano sostiene che ogniincontro ha bisogno di ascolto, cammino e memo-ria... Quali incontri hanno contribuito a maturarequesto pensiero?

L’incontro con Alessandra, malata terminale di Aids, ospi-te in un centro delle suore di Madre Teresa. Quello conun’altra ragazza, a Malindi: distesa in mezzo alla strada,voleva suicidarsi perché non aveva né lavoro né affetti.

In Devi andartene il riferimento a Berlusconi è chia-ro. Cosa pensa di chi è gli è subentrato?

La canzone si riferisce a chi ha esercitato il potere conarroganza e menefreghismo, a chi ci ha fatto vivere in una situazione pericolosa, di cui paghiamo le conse-guenze. Oggi, nonostante tutto, si sta scrivendo una pagina nuova, molto più chiara. Però le prime scelte del-l’attuale governo sono scollegate da chi fa fatica ad an-dare avanti. Le manovre economiche si fanno sui grandinumeri, ma come cittadina vedo uno squilibrio pesantis-simo: chi è ricco non sente la crisi, il disoccupato e il pensionato la sentono troppo.

Il disco parla anche di immigrazione. Quanto è im-portante capirla, per conoscere il mondo di oggi?

Il tema oggi è centrale, simbolico, rappresenta il mododi stare al mondo, misura il nostro grado di cultura e di conoscenza, è un’occasione per renderci conto se lastoria l’abbiamo dimenticata. Come ci saremmo sentiti,quando eravamo noi italiani a emigrare, se ci avesserochiamato clandestini? In molti casi ci apostrofavano an-che peggio, ma la parola “clandestino” è legalizzata.

Il tempo che viviamo valorizza o mortifica l’artistache coniuga musica e impegno civile?

La musica si è formattata sull’intrattenimento, si è omo-

chiere d’acqua! Io e mio marito desideravamo sposarciad Haiti anche perché lì c’è padre Rick Frechette, dell’or-ganizzazione Nuestros Pequeños Hermanos. E soprattut-to perché è un luogo dove sembra che l’amore e la vitasiano stati cancellati. Eppure ci sono, nonostante tutto.Noi volevamo celebrarli.

logata per paura di perdere pubblico. Eppure la musicadice, non è un sottofondo. Io quando ascolto una canzo-ne mi fermo. Ho sempre fatto musica puntando sullemie sensazioni a 360 gradi, non solo su quelle amoro-se. E mi sento a disagio quando mi definiscono “cantan-te impegnata”: sono parte di questa società, è naturalecantare considerando la politica, la realtà che vivo.

Si è sposata ad Haiti nel 2010, sei mesi dopo il de-vastante terremoto. Perché?

L’idea non è nata sulle ceneri del terremoto. Già ero sta-ta ad Haiti, poi dopo il sisma ho partecipato alle attivitàdella Fondazione Francesca Rava. Ho visto il prima e ildopo: la differenza è data dai cumuli di macerie, ma lapovertà è sempre stata immensa. A Port-au-Prince ibambini per strada non chiedono un soldino, ma un bic-

Gli altri, uno a uno:«La musica oggi è omologata, io raccontostorie di cammini»

Ci siamo sposatiad Haiti soprattuttoperché è un luogo

dove sembra che l’amoree la vita siano staticancellati. Eppure ci sono,nonostante tutto. Noivolevamo celebrarli

VOCE DI QUALITÀ,TRA ROCK E IMPEGNOPaola Turci e (sopra) la copertina del suonuovo album, Le storiedegli altri. Nata a Roma48 anni fa, ha esordito a metà degli anniOttanta. Cantautrice,intensa “vocazione” rock,sensibile ai temi sociali e all’impegno per causedi solidarietà, ha al suoattivo grandi successi e collaborazioniimportanti, con alcunedelle “firme” (autori di testi e musicisti) piùimportanti del panoramadella musica italianacontemporanea

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Caritas Italiana, partner storicodell’iniziativa rivolta ai giovanicreativi italiani (collabora sindalla seconda edizione), ha“dettato” il primo dei tre brief(temi) assegnati: “Il credito co-me diritto. Anche nel mio picco-lo”, invitando gli studenti a lavo-rare sull’esperienza delmicrocredito sociale e sul temadell’accesso al credito. Discretal’adesione dei partecipanti, sulfronte delle campa-gne di stampa; notevole invece il lavoro svolto daGiovanna Salzillo e Silvia Marfuggi,della Nad School di Napoli, che han-no vinto con unospot dedicato al te-ma Caritas la sezione video,concorrendo fino all’ultimo per il Grand Prix Sipra - comune

zoom

“Fa suonare le campane”per affermare giustizia e pace,nell’audiolibro rivive don Tonino

CONCORSIIl creditocome diritto,tema Caritasa Spot School

Ha avuto una presidente di giu-ria d’eccezione, ovvero Annama-ria Testa, una dei più importantie noti pubblicitari italiani. L’undi-cesima edizione (nella foto sotto,un’immagine della decima)di Spot School Award – Festivaldella creatività del Mediterra-neo, organizzato dall’associa-zione CreativisinascE con il sostegno delle più importantiassociazioni di categoria, ha visto partecipare oltre centocampagne pubblicitarie e dicreatività, realizzate da circa700 studenti in rappresentanza di numerose scuole e università(da Torino a Roma, da Milano a Napoli, da Firenze a Catania).

libro (dopo quelli dedi-cati tra gli altri a MadreTeresa, don Primo Maz-zolari, Rosario Livatino,don Luigi Di Liegro, Zef-firino Jiménez Malla;nella foto, la copertina) della collana PhonoStorie, curatada Caritas Italiana e Centro europeo risorse umane di Fi-renze. Lo strumento multimediale contiene scritti del ve-scovo pugliese, compresi alcuni meno noti, ma profondie profetici nella loro semplicità, diretti come erano al cuo-re di ogni uomo. Come sempre, lettura e interpretazionedei brani sono affidati ad attori famosi (in questo casoMichele Placido, Eleonora Mazzoni, Ignazio Oliva), cantan-ti (Niccolò Fabi), giornalisti (Susanna Petruni, del Tg1) esportivi (il calciatore Andrea Poli). La prefazione del libroè curata da monsignor Francesco Cacucci, arcivescovo diBari-Bitonto e presidente della Conferenza episcopale pu-gliese, e don Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele e diLibera. Edito e distribuito da Multimedia San Paolo, l’au-diolibro viene presentato a Roma, nella sede della RadioVaticana, il 21 giugno. www.caritasitaliana.it

Per tutti e per sempre, resterà “don Tonino”. Uomo distraordinaria capacità comunicativa, monsignor AntonioBello (1935-1993) ha coniugato il messaggio evangeli-co in forme ed espressioni nuove e pregnanti. Una – la più famosa – fra le tante: “chiesa del grembiule”,per sottolineare la missione di servizio e la scelta degliultimi che deve contraddistinguere la comunità religiosae l’istituzione canonica. Nativo del Salento, vescovo di Molfetta dal 1982 al momento della morte, presiden-te per otto anni della sezione italiana del movimento internazionale Pax Christi, promotore di iniziative e pro-nunciamenti di forte impatto pastorale e culturale suitemi della lotta all’esclusione, della giustizia e della pa-ce (una su tutte: la marcia nonviolenta verso la Saraje-vo sotto assedio), ha lasciato una testimonianza di vitache è diventata ancora più luminosa e incisiva durantel’ultima fase della sua malattia. In quell’ora di dolore, il pati divina e il pati humana ne hanno toccato il corpoe lo spirito, mettendo in luce il segreto della sua santità(la causa di beatificazione è stata avviata nel 2007).

La sua vita e la sua testimonianza sono ora ripercor-se e riproposte da Fa suonare le campane, ottavo audio-

di Salerno, ovvero il massimo riconoscimento della manifesta-zione, assegnato con tutti gli al-tri premi il 2 giugno a Salerno.www.spotschoolaward.it

SUSSIDIVolontariatoscuola di vita,nuova stagioneimpegni di sempre

È l’opuscolo numero 16 dellacollana Edb-Caritas, riservata alla pubblicazione di testi e documenti riservati all’appro-fondimento di temi cruciali perl’azione pastorale Caritas, daproporre a operatori e volontari,ma anche a un pubblico più am-pio di persone interessate. Volontariato scuola di vita alla“cattedra” dei poveri (nella foto,la copertina) è stato pubblicatoa maggio e affronta un tema

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UNA CASA ACCESSIBILE,UN QUARTIERE PER INTEGRARE

generatoridisperanzadi Ettore Sutti

arantire un’abitazione dignitosa a tutti. Ma anche una buona qualità della vita,favorendo processi di integrazione e servizi di qualità. Non è obiettivo da poco.Ma è precisamente l’obiettivo che si sono dati alla Fondazione Housing Sociale.

Un’impresa in grande stile, dalle ambizioni e dalle dimensioni molto meneghine: è statainfatti costituita a Milano nel 2004, su iniziativa della Fondazione Cariplo, con il sup-porto della regione e di Anci Lombardia. Da allora, ha sfornato idee a getto continuo.E, soprattutto, soluzioni abitative alla portata di tutti.

«La Fondazione Housing Sociale – spiega Paolo Barbetta, responsabile dell’unità stra-tegica di Fondazione Cariplo – vuole operare nel panorama immobiliare italiano come

soggetto innovatore e sperimentatore di nuove politiche dell’abitare, in ri-sposta al problema del sempre maggiore divario tra l’offerta di mercato e leconcrete possibilità economiche delle famiglie. Se in Italia ha finora prevalsola logica della casa di proprietà, negli ultimi anni la domanda di affitto è no-tevolmente cresciuta, soprattutto da parte di categorie fragili dal punto di vi-sta finanziario, quindi poco attrezzate per accedervi».

E così la Fondazione Housing Sociale si occupa, spiega Sergio Urbani, chene è consigliere delegato, «di quel segmento della società che si pone tra l’edi-lizia sociale pubblica (uno strumento ormai quasi dimenticato) e il liberomercato. Una “fascia grigia”, ma semprepiù consistente. Per aiutare questi concit-tadini siamo partiti dai soldi (creando unfondo immobiliare da 85 milioni di euro)e dalla ricerca delle aree su cui edificare.Ricerca tutt’altro che semplice: nel 2005

abbiamo incontrato oltre 80 comuni lombardi, e abbiamo “chiu-so” soltanto con due...».

Ma Housing Sociale non costruisce solo muri. Punta anche alrafforzamento e all’integrazione sociale dei soggetti fragili. Co-struire nuovi alloggi non basta, in altre parole. se non si immagi-na un nuovo modello di sviluppo urbano, in grado di garantireun’elevata qualità della vita, grazie alla presenza, nei quartieri etra le case, di servizi, relazioni e solidarietà. Dunque la Fonda-zione, oltre che con i partner economici per ottenere i finanzia-menti necessari e con le amministazioni locali per reperire learee, ha avviato un dialogo anche con costruttori e operatori im-mobiliari, per indirizzare gli interessi di mercato a un diverso tipodi approccio edificatorio, e con le cooperative edilizie, per ac-compagnare la formazione di un vero mix sociale tra i futuri re-sidenti. «La sfida è complessa – conclude Urbani –: far convergereattori diversi verso obiettivi comuni. Per noi l’innovazione è talesolo quando si traduce in buone pratiche, che diventano modellidi azioni replicabili ovunque. A noi piace pensare che stiamo cre-ando un bene pubblico, come tale a disposizione di tutti».

Housing Sociale: a Milano, per un

abitare di qualità. LaFondazione omonima

(nata da Cariplo) vuolesperimentare nuove

politiche, capacidi garantire il diritto

all’alloggio. Mal’obiettivo è costruire

reti e relazioni, non soltanto muri...

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Sogno vivo o programma in crisi?Aria nuova per la Chiesadalla finestra del Vaticano II

paginealtrepagine di Francesco Dragonetti

Il Concilio Vaticano II rappresentò una svolta epocale nella storia della Chiesa.La decisione di convocare un Concilio ecumenico fu comunicata da papa Giovan-ni XXIII, Angelo Maria Roncalli, nel gennaio 1959. L’ultimo Concilio, il Vaticano I,si era tenuto quasi un secolo prima, sotto Pio IX, e aveva stabilito l’infallibilità del pontefice in materia di fede quando questi si fosse rivolto al popolo cristianoex cathedra, ovvero nel suo ruolo di pastore di anime. Il Vaticano II ebbe inveceinizio nel 1962 e terminò dopo tre anni, il 7 dicembre 1965; durante il suo svol-gimento vide la morte del papa; si tentò di annullare l’assise, ma il successore,Paolo VI, ordinò di «aprire le finestre per far entrare aria nuova nella Chiesa».

Giuseppe Militello Alla scoperta del Concilio Vaticano II. Il programma d’azionedel cristianesimo del nostro tempo (Sugarco, pagine 252) compie una sorta di affascinante viaggio ideale alla conoscenza del concilio, in ascolto dei protagonisti e della loro autorevole interpretazione. Quasi un diario di bordo, che consente di comprendere la genesi dei documenti, lo svolgimento delle assise, per metterea fuoco le acquisizioni dottrinali e pastorali della chiesa del nostro tempo. Nono-stante le attese e le speranze di tanti, l’epoca che seguì il concilio non rappresen-tò però per la chiesa una “primavera” o una “pentecoste” ma, come riconobberolo stesso Paolo VI e i suoi successori, un periodo di crisi e difficoltà. Que-sta è una delle ragioni per cui si è aperta una vivace discussione erme-neutica, in cui si è inserita anche l’autorevole voce di papa Benedetto XVI.

Roberto De Mattei Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta (Lindau,pagine 625) offre invece il contributo non del teologo, ma dello storico,attraverso una rigorosa ricostruzione dell’evento, delle sue radici e dellesue conseguenze. Dall’indagine, documentata e appassionante, emergeuna “storia mai scritta” del Vaticano II, che ci aiuta a comprendere nonsolo le vicende di ieri, ma anche i problemi religiosi della chiesa di oggi.

L’evento, comunque, ha segnato profondamente la generazione di chi in quegli anni era in fase di formazione: «Personalmente, senza di essonon starei a insegnare teologia», annota Cettina Militello in Il sogno delConcilio (Edb, pagine 48). L’agile testo costituisce un invito a “sognare”ancora, accompagnati dal soffio dello Spirito e dall’eredità del Concilio.

villaggioglobale

rilevante: la necessità di confi-gurare una nuova stagione delvolontariato ecclesiale e civileitaliano, per esprimere nuovispazi di solidarietà, nella con-cretezza degli impegni e dellescelte. Ciò rende opportuno, da parte della Caritas, continuarea offrire contenuti e orientamen-ti, per contribuire a costruire,con la risorsa del volontariato,una civiltà più solidale e inclusiva.www.caritasitaliana.it

RADIOLe donnedi Scampiaaffidano all’eteremessaggi positivi

Radio Sca è nata a Scampiadue anni fa, dal coraggio di duedonne che volevano un luogodove poter far incontrare leenergie pulite del quartiere e raccontare come si possa riconoscere la speranza anchein una periferia “estrema”. Oggil’emittente radiofonica ha colla-boratori da tutta Italia, attraver-so collegamenti skype. Il comu-ne di Napoli ha aiutato ledonne di Scampia dando unasede per la radio e con agevo-lazioni economiche. Nel palin-sesto, musica ma anche politi-ca, cultura, questioni sociali,associazionismo, denuncia diproblemi e, viceversa, iniziativepositive. Contributi e approfon-dimenti anche nel ricco sito in-ternet, da cui è possibile ancheseguire le dirette streaming.www.radiosca.it

Benedetto XVI Te-stimoni del mes-saggio cristiano(Mondadori, pagi-ne 216). Il cammi-

no della Chiesa è segna-to da figure straordinarie:il papa ripercorre le sto-rie e le riflessioni digrandi maestri, le cui parole hanno segnatol’evoluzione della dottri-na cristiana, da San Ber-nardo a Sant’Agostino.

LIBRIALTRILIBRI

Alberto Vitali Gesùil messia dellapace (Paoline, pa-gine144). L’auto-re, prete della

diocesi di Milano, espo-nente di Pax Christi, ripercorre quanto la vio-lenza che ha insangui-nato il primo decenniodel nuovo millennio e ri-flette sulla pace, aspet-to importante dell’edu-cazione cristiana.

Suor EmmanuelleSono una delledonne più felicidella terra (Edizioni San

Paolo, pagine 147).Profilo di una vita dedi-cata ai poveri e agliemarginati, vissuta conpienezza anche nellavecchiaia, impegnataattivamente per la pa-ce, aperta al dialogocon l’islam.

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www.creativisinasce.it

SEZIONE MANIFESTI -ANNUNCIOSTAMPA

Brief CaritasMICRO AZIONIPER MACROVALORI. IL CREDITOCOME DIRITTO,ANCHE NEL MIO PICCOLO

Short listGiorgia Xia e ManuelaMarucchi De Luca Accademia delle Arti e NuoveTecnologie -Roma

Undicesimaedizione Premiazione a Salerno 2 giugno 2012

I lettori, utilizzando il c.c.p. allegato e specificandolo nella causale, possono contribuire ai costi di realizzazione, stampa e spedizione di Italia Caritas, come pure a progetti e interventi di solidarietà, con offerte da far pervenire a: Caritas Italiana - c.c.p. 347013 - via Aurelia, 796 - 00165 Roma - www.caritasitaliana.it