LA STORIA DI UN UOMO, IL DECLINO DI UNA NAZIONE · Ma Londra era un tale carosello di tentazioni...

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1 APRILE 2014 ORE 18.30 Testo di Monica Capuani LA STORIA DI UN UOMO, IL DECLINO DI UNA NAZIONE TUTTO QUELLO CHE AVRESTE VOLUTO SAPERE MA CHE NON HANNO MAI VOLUTO SPIEGARVI LA VERITÀ VI PREGO SUL DENARO

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1 APRILE 2014 ORE 18.30

Testo di Monica Capuani

LA STORIA DI UN UOMO,

IL DECLINO DI UNA NAZIONE

TUTTO QUELLO CHE AVRESTE VOLUTO SAPERE MA CHE NON HANNO MAI VOLUTO SPIEGARVILA VERITÀ VI PREGO SUL DENARO

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John Lawdi Monica Capuani

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All’inizio del Settecento, visse un uomo che per un breve giro di anni fu considerato un mago. Per dirla con una formula più laica, la gente lo giudicò – almeno al culmine della sua parabola – un genio della finanza. L’universo finanziario dovrebbe essere immune dall’intervento di qualsiasi forma di magia. Eppure, ancora oggi, a più riprese, milioni di persone continuano a subire il fascino di qualche pifferaio magico che promette di coprirle d’oro. E le conduce invece alla rovina. Ma l’uomo di cui parleremo questa sera non era un impostore. Tutt’altro. Era un innovatore, e si sentiva così sicuro delle proprie idee che riuscì a convincere il reggente di Francia, Filippo d’Orleans, che regnò alla morte di Luigi XIV in attesa che il futuro re raggiungesse la maggiore età, ad affidargli il ministero delle Finanze. Nonostante fosse uno straniero. Nonostante fosse di religione protestante. Il fine di quest’uomo, sempre preceduto dalla propria fama di grande giocatore d’azzardo, non era l’inganno. Il suo obiettivo – in questo decisamente moderno, anticipatore e, per certi versi, in piena sintonia con l’epoca dei Lumi in arrivo – era la razionalizzazione di un sistema economico confuso e insufficiente. Nel Saggio sul commercio e il lusso, Voltaire scrisse: “Fu destino che uno scozzese dovesse venire in Francia e cambiare l’intera economia del nostro Governo e istruirci...”. La sua visione pagò anche la scotto della difficoltà di organizzare il funzionamento di società sempre più complesse. La sua è una figura paradigmatica, perché tanti dopo di lui hanno disegnato la sua stessa traiettoria. Si chiamava John Law, e stasera vi raccontiamo la sua storia.

John Law nacque a Edimburgo nel 1671, mezzo secolo prima di un altro grande scozzese, Adam Smith, uno dei padri dell’economia moderna. John veniva da una famiglia di uomini di Chiesa e di orefici. Il nonno era un pastore anglicano, che trovandosi a vivere per anni in ristrettezze economiche nell’infernale capitale scozzese, spinse i due figli a un apprendistato nell’oreficeria. Saggia decisione, anche perché all’epoca, oltre alla propria arte, gli orafi cominciarono a sviluppare un’attività collaterale: il prestito di denaro. In un momento in cui il problema della scarsità di moneta si faceva sempre più grave, questa seconda linea d’affari era molto redditizia.

A quell’epoca, cominciava a profilarsi una questione che avrebbe ossessionato John Law negli anni a venire: i bisogni dell’uomo sono infiniti, le attività economiche potenzialmente illimitate, ma la quantità di moneta – indispensabile ancella dell’economia – era disponibile in dimensioni molto ridotte, a quei tempi. L’oro e l’argento, infatti, non abbondavano di certo. Nell’America coloniale del tardo Seicento, per esempio, la moneta proveniente dalla madrepatria era così esigua che alcuni stati, come il Massachusetts, erano dovuti ricorrere al wampum, un vongolone usato dagli Indiani d’America, che divenne addirittura legale come strumento di scambio.

Il padre di Law fece una folgorante carriera tra gli orafi di Edimburgo, tanto che gli fu affidato l’incarico pubblico di certificare il valore degli oggetti d’oro e d’argento. Ma il giovane John era molto più interessato all’attività “bancaria” del genitore, piuttosto che all’arte dell’oreficeria. Fin da piccolo, aveva assistito alle discussioni e ai negoziati nella bottega del padre, assimilando – grazie a una mente particolarmente versata nella matematica – i concetti di capitale e interessi, tempo del prestito e scaglionamenti del rimborso. Non è difficile immaginare che il vivace rampollo abbia cominciato a porsi delle domande. Dov’è ancorata la ricchezza? La scarsa quantità di moneta basterà a garantire gli scambi di tanti beni e servizi, come le risorse naturali e gli infiniti prodotti

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del lavoro umano? Oggi, in tempi di moneta fiduciaria1 , c’è il problema inverso: evitare che l’eccesso di moneta crei inflazione. Ma allora questo scenario non esisteva. Al giovane John, doveva sembrare che la quantità di moneta fissa (che per di più scarseggiava) fosse un giogo, una morsa, un guinzaglio al collo dell’economia in una situazione in cui c’è voglia di crescita...

Quando John aveva dodici anni, il padre William andò a Parigi per farsi asportare dei calcoli biliari e morì sotto i ferri. Il figlio si ritrovò improvvisamente erede del castello in cui il padre aveva investito i guadagni provenienti dalle sue attività, Lauriston Castle, e dei proventi delle terre circostanti. John era un adolescente irrequieto, iperattivo e svogliato, nonostante un’acuta intelligenza. In collegio, passava tutto il suo tempo a giocare a carte e a dadi. Si può dire, senza ombra di dubbio, che la sua scuola di vita fu proprio il gioco d’azzardo. Era anche un bel ragazzo, e cominciò a dilettarsi nella conquista di fanciulle con cui aveva successo facile. A ventun anni, chiese alla madre di poter andare a Londra, perché la Scozia gli stava stretta. Ma Londra era un tale carosello di tentazioni che ben presto il gaudente John si ritrovò indebitato fino al collo. Il gioco gli aveva preso la mano. Una lezione amara. L’unica soluzione fu chiedere alla madre di vendere il castello di Lauriston, che acquistò lei stessa perché restasse in famiglia.

Quell’umiliazione, però, insegnò a John una lezione che non avrebbe più dimenticato. Da quel momento in poi, praticò il gioco d’azzardo con un atteggiamento scientifico. Del resto, alla fine del Seicento, lo studio del rischio e del calcolo delle probabilità aveva cominciato a intrigare le migliori menti matematiche dell’epoca: all’università di Padova, Gerolamo Cardano aveva studiato la “scienza” del giocare a dadi, Blaise Pascal in una lettera spiegava le probabilità di fare un doppio sei gettando i dadi venticinque volte, e Jakob Bernoulli nella sua Ars conjectandi affrontava un’analisi delle possibilità di successo di diversi giochi d’azzardo. Fatto sta che John Law cominciò a vincere. E vinse così tanto, che molti si persuasero che avesse trovato un modo infallibile per barare.

Amsterdam fu un osservatorio privilegiato per John Law. Vi trascorse lunghi periodi, e non solo perché – come scrisse – le donne lì badavano all’igiene personale molto più accuratamente delle inglesi. Amsterdam era la capitale commerciale d’Europa, e questo grazie a una banca fondata nel 1609. Nel panorama caotico dell’economia dell’epoca, in Europa si cominciavano a tentare i primi esperimenti bancari. E di tutti quelli intrapresi fino a quel momento, la Banca di Amsterdam era quello che aveva riscosso più successo. Il segreto era la sua “affidabilità”. I capitali che affluivano in Olanda erano capitali sottratti all’utilizzo in altri paesi, aggravando sempre di più la penuria di moneta. In Europa, circolava – anche all’interno dello stesso paese – una varietà di monete di diverso peso e reputazione, a seconda del loro contenuto in metallo prezioso. Ovviamente, il valore reale in esse contenuto scatenava ogni genere di truffa. Come la “sbarbatura”, che consisteva nel limare il bordo della moneta e fondere i trucioli d’oro per fabbricare altro denaro. I sovrani non erano da meno: con la pratica – questa, sì, legale – dello “svilimento”, mettevano in circolazione monete con lo stesso valore facciale di prima ma con meno contenuto di metallo prezioso. La gente reagiva nascondendo le vecchie monete o non accettando le nuove. La zecca rispondeva con

1 Ossia accettata come mezzo di pagamento in virtù di una convenzione e di un rapporto di fiducia nell’emittente e non del suo valore intrinseco.

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altre emissioni, più vicine al valore reale e con i bordi zigrinati per ostacolare la sbarbatura. Insomma, a un osservatore attento come John Law non può essere sfuggito che una moneta stabile e affidabile sarebbe stata il presupposto necessario e indispensabile per lo sviluppo di un’economia sana. La grande circolazione di moneta cui aveva assistito in Olanda lo portò però a equivocare sul fatto che lo sviluppo economico è una conseguenza diretta di una grande quantità di moneta circolante. Sta di fatto, comunque, che la Banca di Amsterdam si era costruita una reputazione di integrità. Accettava depositi in tutte le monete, le saggiava e le pesava, ed emetteva “note di credito” fondate sul valore intrinseco del metallo prezioso. Queste spesso venivano accettate più volentieri delle monete stesse. Alla fine del Seicento nacque anche la Bank of England, per finanziare re Guglielmo III nella guerra contro la Francia. Un gruppo di investitori privati versò un capitale complessivo di 1.200.000 sterline che il sovrano avrebbe restituito in undici anni con un interesse dell’8 per cento. Un’operazione oggi proibita dagli statuti delle banche centrali moderne, che hanno giustamente sancito il divorzio tra emissione di moneta e governi, ai quali la banca centrale non può prestare soldi.Con il patrimonio accumulato grazie al gioco d’azzardo, John Law avrebbe anche potuto partecipare a quella sottoscrizione. Ma in quel momento, aveva problemi più impellenti. Era in carcere, con una condanna a morte che gli gravava sulla testa. A Londra, aveva ucciso un uomo in duello a causa di una donna.

Dopo mesi di prigionia, nel 1695 John Law attraversò la Manica da latitante. Sembra che una cordata di amici lo abbia aiutato a fuggire, mettendo in atto mille accortezze perché non venisse scoperto: sulla sua testa pendeva una taglia, ma venne diffuso un suo identikit assolutamente fuorviante in modo che nessuno potesse riconoscerlo. Law la fece franca e si gettò a capofitto in una nuova vita di peregrinazioni in tutta Europa: Amsterdam, Vienna, Torino, Genova, Venezia... E finalmente la Parigi di Luigi XIV, dove approdò per la prima volta nel 1697. Furono proprio gli eccessi del re Sole a creare la congiuntura che quasi vent’anni dopo gli avrebbe consentito di diventare l’uomo della Speranza, il mago della rinascita economica miracolosa di un paese prostrato e gravemente impoverito dalle guerre. Negli anni parigini, Law continuò ad arricchirsi grazie al gioco e incontrò la sua compagna di vita, Katherine, un’inglese espatriata discendente di Anna Bolena, che lasciò il marito e lo seguì a Venezia, “bordello d’Europa”, dove casinò e casini coabitavano negli stessi locali. Lì, John poteva “lavorare” libero dai sospetti francesi che fosse una spia inglese e un truffatore. Ma a Venezia poté anche osservare i cambiavalute sul ponte di Rialto, le “botteghe bancarie” che scontavano cambiali e rilasciavano lettere di credito, i passaggi tra metallo e carta e la possibilità di scambiare l’uno con l’altra, insomma quella “rivoluzione della carta” che sarebbe diventata il suo pallino.

Alla fine delle sue peripezie, Jonh Law aveva accumulato una fortuna notevole: 20.000 sterline, l’equivalente, oggi, di 2 milioni di euro. Nel 1704 si imbarcò con Katherine per la Scozia. Era stufo di fuggire, e chiese il perdono della regina Anna d’Inghilterra (che regnava anche sulla Scozia), dopo aver comprato l’assenso al perdono reale della famiglia dell’uomo che aveva ucciso. Per due volte il perdono gli fu rifiutato. Nel frattempo, John Law aveva cominciato a pensare in grande. I giochi d’azzardo non avevano più segreti per lui. Adesso aveva un progetto più ambizioso: voleva risolvere il problema della scarsità della moneta che affliggeva, in maniera più o meno grave, tutte

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le corti d'Europa. Era possibile creare una moneta svincolata dall’oro? si chiedeva John Law. Su cosa avrebbe potuto basarsi, quella moneta, perché la gente potesse farvi affidamento? Settant’anni dopo, Adam Smith avrebbe spiegato che la ricchezza delle nazioni è un concetto molto più ampio dell’accumulo mercantile di oro e argento.

John Law ebbe una geniale intuizione: la terra. Ma certo. Una nazione è innanzitutto definita dal suo territorio, che la ancora sulla crosta terrestre. E gran parte delle terre, all’epoca, apparteneva alla Corona. Allora perché non stabilire che la moneta è garantita da quella ricchezza che è la terra, che produce le messi, dà riparo a greggi, ospita case, ponti, tribunali... Nel Saggio su una banca della terra, John Law proponeva di creare una banca che emettesse banconote che avevano a garanzia le terre della Corona. Nel suo pamphlet, c’era un’affermazione assolutamente moderna: cioè che quel tipo di “riserva” era più saldo dell’oro e dell’argento, perché i metalli preziosi hanno un prezzo volatile, che dipende dalla loro altalenante scarsità, mentre il prezzo della terra è più stabile. Era una proposta convincente? All’inizio, sembrò proprio di no. John Law fece il giro delle Corti europee. Ricevette un coro di risposte negative. No dall’Inghilterra, dove la regina Anna si vide recapitare dallo stesso uomo una richiesta di perdono per omicidio e una proposta di riorganizzazione economica dello Stato. No dalla Scozia. No dall’Imperatore d’Austria. No da Vittorio Amedeo, duca di Savoia, che all’inizio aveva espresso un certo interesse per la sua teoria. Perché una simile novità venisse accolta e realizzata, ci voleva una crisi, una situazione disperata in cui il ricorso al progetto di Law fosse l’ultima spiaggia. E una congiuntura simile stava maturando in Francia.

Nel 1707, durante un soggiorno a Parigi, in una casa da gioco, John aveva fatto una conoscenza che a tempo debito gli sarebbe tornata estremamente utile: Filippo II, duca d’Orléans. Anche lui era un giocatore, amante dei piaceri, frustrato in quel momento dallo strapotere dello zio re Sole, che non amava affatto il nipote. John e Filippo, che all’epoca avevano trentasei e trentatré anni, si piacquero fin dall’inizio, e John non fece fatica a convincere il duca delle sue rivoluzionarie teorie economiche, che nessuno a Corte aveva mai voluto ascoltare. Law tornò alla carica nel 1713, dopo la pace di Utrecht, quando le casse dello Stato erano sempre più prosciugate dalle guerre. Per finanziare la politica aggressiva di Luigi XIV, erano stati emessi i billets de monnaie, dei titoli di Stato acquistati degli investitori, che diventavano quindi creditori della corona in cambio di un interesse, una sorta di BTP insomma. Ma la fiducia in quei titoli era molto scarsa, e in ogni caso non era la gente normale a buttarsi in quelle operazioni, ma i finanzieri privati che avevano in mano l’esazione delle imposte. Tra il 1690 e il 1715, lo Stato aveva svilito la moneta quaranta volte, e nel 1715 il debito pubblico ammontava a 2 milioni di livres.

John Law acquistò una casa in place Louis le Grand (l’odierna place Vendôme), dove risiedevano i più ricchi finanzieri, e si stabilì a Parigi in grande pompa. Continuava a scrivere al ministro delle Finanze Nicolas Desmarets perché lo ricevesse: intendeva proporgli la sua idea di una banca di Stato che emettesse banconote cartacee a fronte di depositi in moneta metallica. Dopo molte esitazioni, il ministro si convinse a dargli udienza, ma il 1° settembre 1715, dopo settantadue anni di regno, Luigi XIV morì. Filippo d’Orléans, amico di John Law, divenne Reggente. La situazione sembrava finalmente ideale. Ma Filippo mise a capo delle Finanze il duca di Noailles, che si trovò ad affrontare una situazione economica disperata e reagì con una politica di bilancio

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restrittiva. Contrario alle idee di Law, il ministro ridusse gli stipendi pubblici e le pensioni, aumentò il valore del luigi d’oro da 14 a 20 livres, scatenando l’inflazione e spingendo la gente a nascondere i vecchi luigi, e introdusse misure autoritarie sul debito abbassando d’autorità gli interessi. Di conseguenza, i prezzi dei titoli crollarono e con loro ogni residuo di fiducia. Filippo d’Orléans ne approfittò per riportare sul tavolo il cosiddetto “sistema” di Law.

Erano due scuole di pensiero a scontrarsi. La scuola bancaria sosteneva la necessità di un’espansione creditizia per sostenere l’espansione economica. La scuola metallica sosteneva che quanto più il commercio si sviluppava, tanto più ci sarebbero state cambiali allo sconto, tanto maggiore sarebbe stata l’inflazione. Il problema della moneta è che si tratta di una materia volatile, che è difficile inchiodare e fissare a una certa quantità ideale per l’economia.

Law auspicava la creazione non più di una banca di Stato, ma di una banca privata di sconto che all’inizio sarebbe stata capitalizzata da un gruppo di investitori, tra i quali lui stesso. Rischiando in prima persona, sperava di galvanizzare la sensazione di fiducia intorno al suo progetto. La prima emissione di banconote sarebbe avvenuta sulla base del capitale proprio della banca. La Banque Générale nacque nel maggio del 1716, con un capitale di 6 milioni di livres suddiviso in 1.200 azioni da 5.000 livres ciascuna. A John Law venne richiesto di assumere la nazionalità francese prima di dare corso all’operazione. All’inizio, la diffidenza ebbe la meglio. Quell’operazione non convinceva. Solo un quarto delle azioni vennero sottoscritte, e pagate in gran parte con gli screditati billets d’état (i vecchi billets de monnaie che, nel frattempo, avevano cambiato nome), ossia le obbligazioni che avevano finanziato le guerre di Luigi XIV e che avevano un valore di mercato molto più basso. Law cercò di escogitare stratagemmi per far crescere la fiducia. Con una geniale strategia di marketing, organizzò una visibilissima operazione che ebbe un’eccezionale ricaduta promozionale: il Reggente, con tanto di carrozze e forzieri pieni d’oro e d’argento, si recò nella banca di John Law e fece un deposito di un milione di livres sotto gli occhi di tutti. Segno evidente che la Banque aveva la benedizione della Corona, in un momento in cui si scommetteva sul suo insuccesso. Presto la Banque Générale cominciò anche a offrire veri e propri servizi bancari, come la possibilità di trasferire soldi tra la provincia e Parigi. Qualche mese dopo la nascita della banca, Filippo d’Orléans decretò che gli esattori dovevano usare le banconote della banca per versare al Tesoro le imposte raccolte. In seguito, si diede la possibilità agli stessi contribuenti di pagare in banconote. La fiducia reale accordata alla banca fece molto scalpore e impressionò anche gli stranieri che cominciarono a usare la banca per scontare lettere di credito, creando così un afflusso di moneta estera. Ma la cosa più straordinaria fu la garanzia che i biglietti della nuova banca corrispondevano a scudi del titolo e del peso del 2 maggio 1716. Una specie di miracolo. Finalmente, la moneta aveva un valore “certo”. Ottimo motivo per stipulare in biglietti e per andare in banca a depositare la moneta metallica in cambio di banconote. Gli stranieri che non commerciavano più con la Francia, perché non si fidavano dei suoi valori, ripresero a fare affari nel paese proprio grazie ai biglietti bancari. Fu così che le banconote della Banque Générale cominciarono a circolare e a essere sempre più apprezzate, per vari motivi. Innanzitutto, perché la banca ne garantiva in qualsiasi momento la conversione in oro e argento. Inoltre, il loro valore non variava a seconda della quantità che c’era in circolazione. In più, avevano il vantaggio di essere facilmente trasportabili e accettate

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un po’ ovunque. Questo costituiva un “premio” rispetto alla moneta metallica, perché semplificava enormemente gli scambi e le transazioni. La dimostrazione tangibile dell’aumento della fiducia nelle banconote fu che cominciarono a essere valutate al di sopra del loro valore facciale. Insomma, grazie al successo della Banque, tutto il sistema economico si stava rimettendo in moto: con un fondo di appena 6 milioni poté emettere fino a 50 o 60 milioni in banconote senza intaccare la fiducia del pubblico. Un complotto ordito da un gruppo di finanziatori privati, che temevano la fine dei propri privilegi legati all’esazione dei tributi, finì per trasformarsi in un boomerang facendo aumentare ancora di più la credibilità della banca: i cospiratori misero insieme 5 milioni di livres in banconote della Banque Générale e le presentarono tutte insieme perché venissero convertite in moneta metallica. Un gesto che farebbe saltare qualsiasi banca, anche oggi. Ma lo Stato venne in soccorso di John Law con una serie di accorgimenti che scongiurarono il fallimento della banca.

C’è da dire che il “sistema” di John Law era molto più articolato di così. Si componeva di più pezzi, che alla fine avrebbero contribuito tutti insieme al funzionamento di un unico grandioso meccanismo. Uno di questi pezzi fu la creazione della Compagnia delle Indie Occidentali, o Compagnia del Mississippi.

La Francia non aveva mai tratto profitto dall’avventura coloniale, a differenza di altri paesi. Per lo più appaltava a investitori privati lo sfruttamento episodico delle proprie terre oltreoceano. La Francia possedeva la Louisiana, un enorme territorio che comprendeva l’omonimo stato odierno, più il Mississippi, l’Arkansas, il Missouri, l’Illinois, l’Iowa, il Wisconsin, il Minnesota e parte del Canada. Non si sapeva quali ricchezze contenesse quell’immane estensione di terra, molto più grande della madrepatria, ed era facile proiettarvi un favoloso Eldorado. John Law approfittò di un colpo di fortuna. Uno dei più importanti imprenditori francesi in Louisiana, il finanziere parigino Robert Crozat, venne scoperto debitore nei confronti della Corona, e decise con riluttanza di cedere la concessione del Mississippi per pagare una parte del suo debito all’erario. John Law cominciò la sua opera di persuasione su Filippo d’Orleans. La colonia americana aveva fruttato così poco fino a quel momento perché nessuno l’aveva inserita in una grande visione e perché non si erano investiti capitali a sufficienza per trarne il potenziale profitto.

John Law, come di consueto, pensava in grande. La sua idea – un’altra tessera del “sistema” che continuava a profilarsi nella sua mente – era fondare una società (la Compagnia delle Indie Occidentali, appunto) con un grosso capitale iniziale che sarebbe stato raccolto con un’emissione di azioni. Il Parlamento, ostile a Law, cercò di ostacolare il progetto in tutti i modi. Finché il Reggente perse la pazienza. Quello che gli piaceva in questo nuovo sogno dello scozzese era la concessione ai cittadini di poter acquistare le azioni pagandone un quarto in moneta e tre quarti in billets, al valore facciale. Quei titoli pubblici erano molto screditati e sul mercato valevano molto meno del valore facciale, quindi la possibilità di usarli per l’acquisto di azioni era un grosso incentivo alla sottoscrizione. Un’operazione che oggi equivale a uno scambio tra un titolo di debito con una quota del capitale della Compagnia. Il vantaggio per la Corona era che su quei billets la Compagnia si accontentava di un interesse inferiore a quello che la Corona avrebbe dovuto versare ai singoli proprietari di titoli. In fin dei conti, l’operazione era

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semplice: lo Stato conferiva a una parte dei suoi creditori la proprietà e il commercio della Louisiana e del Canada, a patto che gli facessero credito per la fondazione della nuova colonia.

All’inizio, non ci fu la corsa all’accaparramento delle azioni che John Law aveva sperato: nell’ottobre del 1717 erano stati sottoscritti solo 30 dei 100 milioni del capitale. Law allora pensò di esaltare l’aspetto imprenditoriale della Compagnia per renderla più attraente agli occhi degli investitori. Si garantì una schiera di concessioni esclusive, come quelle sul tabacco e sul commercio degli schiavi. In più, propose la fusione della Compagnia delle Indie Orientali e della Cina con la nuova Compagnia delle Indie Occidentali, per formare un’unica nuova grande Compagnia delle Indie grazie alla quale la Francia avrebbe solcato i mari, accaparrandosi le ricchezze intatte dell’Oriente e del Nuovo Mondo. Il Parlamento, la Compagnia delle Indie Orientali, i finanzieri privati che temevano di perdere i propri privilegi gridarono allo scandalo. Come osava questo scozzese dall’oscuro passato cercare di mettere le mani ovunque ci fosse un po’ di profitto?

Nel dicembre 1718, intanto, la Banque Générale fu trasformata in Banque Royale, sempre sotto la direzione di John Law. Una mossa azzardata. Le finanze della Francia poggiavano sempre più pesantemente sulla Banque. E adesso il fatto che fosse di proprietà della Corona e l’assenza di azionisti che potessero chiedere conto della sua gestione l’avrebbe resa meno controllabile. L’emissione di banconote, che fino a quel momento era stata tenuta a freno, rischiava d’ora in poi di superare i livelli di guardia. L’imposizione di una serie di provvedimenti forzosi con la complicità della Corona per incrementare ulteriormente l’uso e la circolazione della carta avrebbe dovuto costituire un segnale di allarme. Per esempio, venne sancito l’obbligo che le transazioni superiori alle 600 livres dovessero avvenire in banconote. Nel frattempo, John Law propose di aumentare il capitale della Compagnia del Mississippi, emettendo altre azioni, che si sarebbero chiamate le filles, le figlie, per distinguerle dalle azioni-madri dell’emissione precedente, le mères, appunto. Grazie a un’operazione di marketing ancora inedita, Law stabilì che all’inizio i sottoscrittori avrebbero dovuto versare solo un decimo del capitale. Il resto avrebbero potuto pagarlo in nove comode rate mensili. Di nuovo, lo scozzese ci mise del suo e convinse anche alcuni amici a sottoscrivere un quinto del capitale, vale a dire l’intera emissione della prima rata. Vedere questi uomini che rischiavano i propri capitali nell’impresa ebbe, come per la Banque, l’effetto di una potente iniezione di fiducia. Anche sul Reggente, che il 23 maggio 1719 autorizzò l’emissione che avrebbe sancito la nascita della grande Compagnia delle Indie. Law era riuscito a costruire la fiducia, l’ingrediente-chiave di ogni speculazione finanziaria. A quel punto, i risparmiatori si precipitarono a sottoscrivere le azioni filles, e trascinate da questo entusiasmo, anche le azioni mères superarono finalmente la pari. La riduzione dell’offerta scatenò la reazione psicologica elementare di far salire vertiginosamente la domanda.

In quel momento di euforia, in cui la domanda era diventata improvvisamente fortissima, non si potevano più pagare le azioni in billets, ma solo in contanti. Ma da dove provenivano quei contanti? Ecco il primo meccanismo malato che porterà, più avanti, all’esplosione della bolla del Mississippi. La Banque stampava banconote che venivano prestate a chi le chiedeva per acquistare azioni. Era il trionfo della carta:

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billets, banconote bancarie, azioni che rappresentavano pezzetti di società e che potevano salire di prezzo. “È la finanza, bellezza!”, deve aver pensato John Law, che vedeva il suo sogno di carta realizzarsi al di là di ogni sua più rosea previsione. Ma la carta è una materia infiammabile e non può permettersi di giocare col fuoco. John Law peccò di scarsa prudenza e vi soffiò sopra a pieni polmoni. Fu questo l’errore fatale dello scozzese. Law decretò che per acquistare un’azione fille bisognava essere in possesso di quattro mères, scatenando una caccia alle vecchie azioni che raddoppiarono di valore proprio nel momento in cui scadeva la seconda rata della sottoscrizione. Law soffiò ancora sul fuoco, annunciando un interesse del 12% per l’anno successivo. Alla fine di luglio 1719, annunciò di voler comprare la zecca reale grazie a una terza emissione di azioni, le petits filles, le nipoti, per acquistare le quali bisognava già possedere quattro mères e una fille. La febbre salì ancora. A fine agosto le azioni del Mississippi valevano sette volte il valore iniziale. La gente voleva sempre più azioni, la banca stampava sempre più banconote, il prezzo delle azioni continuava a salire, la gente acquistava azioni per poi rivenderle e realizzare, la banca stampava altri soldi... E la bolla continuava a gonfiarsi sempre di più.

A quel punto, Law rilanciò ancora. Come quando giocava d’azzardo e aveva capito che il banco vince sempre. O quasi. Il debito pubblico in quel momento ammontava intorno ai 1.500/1.600 milioni di livres, parte in forma di contratti di rendita perpetua, parte in billets d’état esigibili a breve termine. L’interesse da pagare equivaleva alla metà delle entrate dello Stato. Bisognava trovare un sistema per far fronte all’imminente scadenza dei billets e per diminuire l’onere annuale che il Tesoro non era più in grado di pagare. John Law fece una mossa spettacolare: decise di assumersi tutto il debito pubblico della Francia. Come? Semplice, proprio con lo strumento che ormai sembrava infallibile: altre, enormi, emissioni di azioni. Il 13 settembre vi fu un’altra emissione di azioni, le cinq cents, sottoscritte interamente in un batter d’occhio. Seguirono altre due emissioni identiche, e un’ultima più limitata. A differenza delle emissioni precedenti, non bisognava essere proprietari di altre azioni per accaparrarsi queste. Chiunque, a questo punto, poteva comprare il sogno del Mississippi. Ma la febbre continuava a impennarsi, e John Law si offrì di pagare alla Corona 52 milioni di livres per garantirsi il diritto esclusivo all’esazione di tutte le imposte del regno. Ormai il meccanismo marciava a tutta forza, sembrava una frenetica corsa all’oro. Fin qui, nessuna frode: il “sistema” di Law era semplicemente il tentativo di promuovere un’istituzione ambiziosa che riunendo la banca, il commercio coloniale e l’amministrazione fiscale avrebbe dovuto dare forma alla potenza finanziaria più colossale che si fosse mai vista fino a quel momento.

In ottobre, il prezzo delle cinq cents era salito vertiginosamente e la gente era letteralmente impazzita. Si crearono fortune dal nulla: il termine millionaire fu coniato in quei giorni. La rue Quincampoix, sede dell’ufficio di John Law, ebbe la ventura di diventare una Borsa a cielo aperto, e cominciò a pullulare di gente. L’unico strumento per cercare di prevedere l’andamento del mercato, all’epoca, era il pettegolezzo. Notizie dalle colonie, voci sulle politiche del governo, soffiate sulle prossime mosse di John Law: tutto questo determinava le fluttuazioni del costo delle azioni. La gente stazionava in rue de Quincampoix cercando di informarsi, e le strade circostanti erano intasate da carrozze e cavalli. Aristocratici, vescovi, cortigiane, attrici, cantanti d’opera, magistrati,

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borseggiatori, e ancora italiani, olandesi, inglesi: c’era un po’ di tutto nella strada della corsa alla ricchezza. L’élite parigina era stupefatta dal numero di nuovi ricchi che aumentava ogni giorno grazie alla speculazione: prendere in prestito denaro era facilissimo e, pur di acquistare azioni, tutti vendevano tutto: dai castelli alle greggi di capre. Si moltiplicavano i racconti di ricchezze nate dall’oggi al domani. Un valletto guadagnò una fortuna e si comprò una meravigliosa carrozza, ma invece di entrare nell’abitacolo, salì in piedi nella sua abituale postazione sul retro, tanta era la forza dell’abitudine. Un fornaio di Tolosa comprò un intero negozio di argenti e li fece inviare a sua moglie perché imbandisse un sontuoso banchetto. La donna servì la zuppa nelle scodelline per raccogliere le offerte, il sale prese posto nei calici da Messa e lo zucchero negli incensieri, data la poca consuetudine della bottegaia con l’arte di imbandire la tavola. Molti dei servi che si arricchirono trassero profitto dalle incombenze svolte per conto dei loro padroni. In un diario dell’epoca si racconta di un servo spedito dal padrone in rue de Quincampoix con la consegna di vendere 250 azioni a 8.000 livres. Quando arrivò lì, le azioni si vendevano a 10.000. Lui intascò la differenza di mezzo milione di livres, la investì e qualche giorno dopo si ritrovò con un patrimonio di due milioni. I residenti di rue de Quincampoix affittavano tutti i locali possibili per una fortuna. Si raccontava che in pochi giorni un gobbo avesse guadagnato un patrimonio appoggiandosi a un gelso e noleggiando la sua deformità a mo’ di tavolino per le frenetiche transazioni.

Tutta quella ricchezza poi andava spesa e il mercato del lusso conobbe un’impennata, dai gioielli alle stoffe ai mobili a tutti gli status symbol immortalati nei dipinti di Watteau. “Il denaro scorre come le acque della Senna”, scriveva Defoe. “Metà della nazione ha trovato la pietra filosofale nelle cartiere?”, si domandava Voltaire. E proseguiva: “Law è un dio, un furfante o un ciarlatano che sta avvelenando se stesso con la droga che distribuisce a tutti?”. Anche molti stranieri cominciarono ad accorrere a Parigi, per investire nella città che un giocatore d’azzardo scozzese aveva trasformato nella capitale finanziaria d’Europa. Sembra che in quel periodo gli stranieri accorsero a Parigi in un numero che oscillava tra i 200.000 e i 500.000. John Law incoraggiava questo flusso: sapeva che gli stranieri portavano oro e argento per convertirli in banconote e rafforzavano quindi la base metallica di un’emissione di banconote che era dilagata in maniera inarrestabile. A dicembre, le azioni erano alle stelle e salirono ulteriormente nel gennaio del 1720, data in cui il “mago” John Law – dopo essersi opportunamente convertito al cattolicesimo – venne nominato ministro delle Finanze. Le azioni non accennavano a fermarsi: salirono fino a una quotazione 30 volte più alta del capitale investito. Il commercio di tutte le Indie aveva davvero prodotto tali e tanti benefici da autorizzare una simile rivalutazione del capitale, fruttando l’interesse a essa proporzionato? Nessuno si poneva questa domanda. La madre del Reggente scriveva con una sfumatura di preoccupazione: “È inconcepibile quale immensa ricchezza vi sia al momento in Francia. Tutti parlano in termini di milioni. Io non ne capisco nulla, ma vedo chiaramente che a Parigi il dio Mammona regna come un monarca assoluto”.

Nella frenesia della speculazione, tutti avevano dimenticato il presupposto di questa sempre più gigantesca operazione. Su cosa poggiavano le azioni? La Compagnia del Mississippi era stata fondata per sfruttare le presunte ricchezze dell’“altra” Francia, la Francia americana, per dissodare, scavare, coltivare, strappare alle viscere della terra le ricchezze favolose di cui s’immaginava traboccasse la Louisiana. Era una scommessa in

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piena regola, una puntata da giocatore d’azzardo. E le azioni erano solo dei pezzi di carta sui quali era stipulata questa puntata. John Law ne era perfettamente consapevole. Tra il 1717 e il 1720 si preoccupò di promuovere la colonizzazione del Mississippi con una grande operazione pubblicitaria, che spinse migliaia di coloni ad attraversare l’oceano, attratti dalla pubblicità che celebrava le meraviglie della Nouvelle Orléans e la ricchezza delle miniere d’argento dell’Illinois. Quando questi intrepidi viaggiatori approdarono nel Nuovo Mondo la delusione fu cocente, e molti persero addirittura la vita nell’impresa. E pian piano lo Stato si vide costretto a fare degli arruolamenti forzati per spedire i francesi nel nuovo continente: venne promulgata una legge che consentiva di deportare in Louisiana qualsiasi criminale, mendicante, vagabondo, orfano, prostituta, servitore disoccupato da più di quattro giorni. Vennero organizzati matrimoni di massa tra criminali e donne di malaffare: le cronache dell’epoca ne registrarono uno enorme in cui le coppie di novelli sposi in catene vennero scortate fino all’imbarco sulle navi a La Rochelle. Anche l’eroina dell’abate Prévost, nel romanzo autobiografico Manon Lescaut, pubblicato nel 1731, è una cortigiana che trova la sua triste fine nella tutt’altro che attraente colonia francese. Gli emissari della Compagnia, i cosiddetti “arcieri”, erano incaricati di condurre vere e proprie retate per riempire le navi dirette in America. Si fecero talmente prendere la mano dal loro compito che presto chiunque seppe di poterli corrompere. Dietro lauta ricompensa, si poteva far imbarcare a forza sulle navi dirette in Louisiana qualunque nemico o avversario, segnalandolo a un arciere. Un capitolo buio nella storia di Francia. All’inizio del 1720, John Law cominciò a rivolgersi agli stranieri, che si facevano convincere a partire più facilmente dei poco avventurosi francesi: irlandesi, scozzesi, svizzeri, tedeschi andarono a stabilirsi nella disagiata colonia francese. Il vantaggio almeno temporaneo di John Law fu che, all’epoca, le notizie non viaggiavano alla velocità di oggi. Ma assistendo alla crudeltà degli arcieri, tutti pian piano cominciarono a chiedersi come mai bisognava costringere la gente ad andare in quella terra del latte e del miele. Nel frattempo, i nemici dello scozzese – i finanzieri, gli ex esattori delle tasse, i membri del Parlamento che la politica del banchiere aveva danneggiato – si stavano riorganizzando. Ma, cosa più grave, la fiducia degli investitori, che era il vero pilastro a sostegno del potere acquisito da John Law, cominciò a vacillare.La quantità di banconote in circolazione ora era completamente fuori controllo. Gli studiosi stimano che alla fine del 1719 ne circolassero per 1,2 miliardi di livres. La Francia, grazie al magico “sistema” di John Law, si era arricchita di circa 5,2 miliardi di livres. Una bolla di dimensioni gigantesche. Ma anche i bambini sanno cosa succede quando una bolla si gonfia in maniera esagerata.

Nel dicembre 1719, John Law si era reso conto che bisognava cominciare a frenare la macchina. Diede istruzioni perché la Banque cessasse di prestare soldi per acquistare le azioni della Compagnia. Questo provvedimento, com’era prevedibile, fece calare bruscamente le quotazioni. Law si spaventò, e revocò il divieto, facendo risalire le azioni. E il 30 dicembre, per restituire fiducia al mercato, annunciò all’assemblea generale della Compagnia un dividendo pari al 40% del nominale e circa il 2% del prezzo di mercato.Ma la parabola aveva imboccato la sua curva discendente. L’aumento sconsiderato del prezzo delle azioni era stato sostanziato dall’iniezione di ingenti somme di denaro cartaceo nell’economia. Il velo che gli avidi e incauti investitori avevano davanti agli occhi prima o poi sarebbe caduto. Law cercò di riattizzare l’entusiasmo del mercato introducendo quelle che oggi si chiamerebbero opzioni call: con 1.000 livres, un

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investitore aveva diritto all’acquisto di un’azione a 10.000 livres entro sei mesi. Ovviamente, chi comprava doveva essere convinto che le azioni avrebbero superato le 11.000 livres. Ma lo stratagemma si rivelò un boomerang perché molti proprietari di azioni cominciarono a venderle per acquistare le opzioni, sperando di guadagnare di più. Nel gennaio 1720, pochi giorni dopo l’introduzione delle opzioni, che vennero nominate primes, le azioni della Compagnia crollarono. Due tonfi nel giro di due mesi. I più accorti tra gli investitori cominciarono a pensare che forse era arrivato il tempo di convertire i guadagni in moneta vera, d’oro e d’argento. E magari di portarli fuori dalla Francia. Law aveva sempre sostenuto che i mercati dovevano svilupparsi liberamente. “La costrizione è contraria ai principi sui quali deve essere costruito il credito”, aveva scritto in uno dei suoi pamphlet. Ma a poche settimane dalla sua nomina a capo delle Finanze francesi, fu costretto a emettere il primo di una lunga serie di decreti restrittivi: la proibizione di esportare monete e lingotti. La gente tentò di portare fuori dal paese diamanti, gioielli e argenteria, e Law proibì anche quel traffico. L’ironia della sorte fu che molti francesi che riuscirono a portare le proprie fortune all’estero investirono nella Compagnia dei Mari del Sud inglese, che presto avrebbe fatto la stessa fine di quella del Mississippi. Nel frattempo il prezzo delle azioni saliva e scendeva come fosse sulle montagne russe. A fine febbraio, Law decretò che nessuno poteva possedere più di 500 livres in moneta, e che i pagamenti superiori a 100 livres dovevano essere effettuati in banconote. L’ambasciatore inglese a Parigi, John Dalrymple, osservò con sarcasmo che la conversione di John Law al cattolicesimo doveva essere stata autentica se il banchiere aveva introdotto l’Inquisizione, dopo aver creduto nella transustanziazione dell’oro in carta. Alla fine del 1720, circa 500 milioni di livres in argento e oro erano state portate fuori dalla Francia.

John Law cominciava a perdere colpi. Filippo d’Orleans cercava un capro espiatorio per il malcontento generale, e ovviamente se la prese con lo scozzese. Minacciò di gettarlo nel carcere della Bastille. Nel panico, il banchiere cominciò a fare una serie di gesti inconsulti: provvedimenti imposti e subito revocati, che confondevano l’opinione pubblica. Si cominciò a perdere la fiducia e questo si tradusse in un unico risultato: una corsa a vendere le azioni. A quel punto, la circolazione monetaria era diventata chiaramente inflazionistica. Una pagnotta che prima del boom costava un soldo, nel dicembre 1719 ne costava quattro. La gente abbandonava la carta, e correva di nuovo verso l’oro, che ancora costituiva una certezza. Per reagire a questa tendenza, nel maggio 1720 John Law stabilì l’abolizione delle monete d’oro e d’argento, che non avrebbero più avuto corso legale. In un paese famoso per il suo conservatorismo finanziario, un sistema monetario che non fosse basato sull’oro e sull’argento era inconcepibile. Law venne sospettato di interferire con i fondamenti stessi sui quali poggiava la società, che poi erano anche le basi della sua stabilità. Ma la manovra più incomprensibile messa in atto dal Reggente, probabilmente su suggerimento del guardasigilli d’Argenson, acerrimo nemico di Law, fu quella del 21 maggio 1720: l’editto ferale stabiliva che il prezzo delle azioni, che fino a quel momento era stato tenuto su artificialmente scendesse drasticamente, e che via via anche il valore delle banconote venisse ridotto del 50%. La manovra, che tutti attribuirono a Law, era una svalutazione rispetto all’oro, molto difficile da capire da parte di chi perdeva metà delle proprie sostanze. Avrebbe avuto un senso se anche i prezzi fossero scesi di conseguenza, cosa che non accadde. Il risultato fu che la gente si sentì derubata di metà dei propri beni. A Parigi, scoppiarono tumulti violentissimi dovuti alla povertà sempre più feroce. I ricchi, ai quali si

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continuava a fare credito, si abbandonarono invece a eccessi sempre più folli: nel 1720 spesero all’Opera dieci volte di più che nell’anno precedente, le produzioni teatrali erano costosissime, la gente si vestiva con ostentazione ancor più stravagante e dava banchetti con infinite portate di cibi esotici. Ma John Law, che fino a qualche tempo prima era il beniamino di tutti, l’uomo più desiderato nei salotti della città, era così odiato che cominciò a temere per la propria incolumità e quella della famiglia. A fine maggio, quando le azioni precipitarono, fu licenziato dall’incarico alle Finanze e confinato nella sua casa di place Vendôme con le guardie alla porta, “per la sua protezione”, almeno così venne dichiarato. La sua paura era che la rabbia generale chiedesse la sua testa.

A giugno, però, Filippo d’Orléans, che non sapeva più che pesci prendere, e temeva che i nemici di Law tramassero per diminuire il tempo della sua reggenza, richiamò John Law con stupore di tutti. Lo scozzese dichiarò di poter gestire la situazione. Applicò uno stretto razionamento al cambio di banconote in monete. Poi decise addirittura di distruggere letteralmente quella “carta” che aveva tanto aiutato a diffondersi, che ora era presente sul mercato in maniera eccessiva. Milioni di livres in azioni della Compagnia e in biglietti di banca vennero bruciati per le strade in falò che lasciavano la gente attonita. A Parigi vi fu un’impennata della criminalità – furti, rapimenti, omicidi – che la gente attribuì all’incertezza economica dovuta ai provvedimenti di Law. Si emanarono misure di rigore contro i mississipiens arricchiti: si istituì il ruolo degli individui noti per avere speculato sulle azioni. Ma, a volte, succedeva anche di peggio. Il conte Antoine Joseph de Horn, che aveva organizzato l’omicidio di un ricco azionista in una taverna, venne condannato a morte sulla ruota, un supplizio destinato alla gente comune. Quando la famiglia supplicò il Reggente di concedergli una morte più consona, questi fu irremovibile e rispose loro con i versi di Corneille: “Il crimine è il disonore, non il patibolo”. Il 26 marzo 1720 de Horn e il suo complice, morirono davanti alla folla dopo un lungo supplizio: prima vennero loro spezzate le braccia, poi le gambe, poi le ossa del torace.

Il tasso di cambio della livre contro la sterlina passò dalle 39 livres di maggio alle 92 di settembre, una svalutazione di quasi il 60%. E come se non bastasse, una nave proveniente dalla Siria portò a Marsiglia la peste, che in Francia avrebbe mietuto 100.000 vittime. L’epidemia paralizzò completamente il commercio marittimo. Fu la fine di John Law. La gente identificò il crollo finanziario con la devastazione e la morte provocata dall’epidemia e identificò un unico colpevole: lo scozzese. Il 15 settembre 1720, un decreto stabilì che tutte le banconote ad alto valore facciale avrebbero perso corso legale, che per qualsiasi pagamento si esigeva almeno la metà in metallo, che i depositi custoditi nei conti bancari fossero ridotti d’autorità a un quarto del loro valore, e che il valore delle azioni della Compagnia fosse fissato a 2.000 livres. Gli storici dell’economia sono ancora divisi sull’attribuzione di questi provvedimenti a Law, perché potrebbero essere stati frutto delle consultazioni del Reggente con dei finanzieri privati. L’opinione pubblica, comunque, li ascrisse a Law e ritenne lui responsabile del malcontento che scatenarono. Alla fine di novembre, un altro decreto, stavolta emesso chiaramente dalla Reggenza che aveva voltato le spalle a Law, decretò in pratica la fine della Compagnia e della Banque: si richiedeva a ogni azionista di prestare obbligatoriamente alla Compagnia 150 livres per azione. A chi rifiutava, le azioni sarebbero state annullate.

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La vita avventurosa di John Law ebbe un triste epilogo: il 17 dicembre 1720 fu costretto a fuggire dalla Francia con suo figlio, peregrinò tra le corti d’Europa, separato dal suo patrimonio e da Katherine, che fu trattenuta in Francia insieme a tutti i loro beni. John Law ricominciò a giocare. Quando capì che neanche il capitale che aveva portato in Francia quando vi si era trasferito gli sarebbe stato restituito, come gli aveva promesso il Reggente, cominciò a pensare a come garantire un’eredità ai suoi figli. I debiti che aveva a causa dell’esplosione della bolla del Mississippi non gli consentivano di accumulare denaro. Così, con un altro personale colpo di genio, cominciò a investire il surplus delle sue vincite in opere d’arte, attività del tutto inedita. Nel giro di due anni accumulò una collezione di quasi cinquecento opere, firmate da Tiziano, Raffaello, Tintoretto, Veronese, Holbein, Michelangelo, Poussin e Leonardo. La speranza di tornare in Francia e ricongiungersi a Katherine si spense il 2 dicembre 1723, quando Filippo d’Orleans fu stroncato da un infarto a 49 anni tra le braccia di una delle sue amanti, Marie Thérèse de Falaris. A 54 anni, John Law intraprese la sua ennesima vita come spia del governo inglese in Europa e morì a 58 in povertà, il 21 marzo 1729, a Venezia, dove riposa nel cimitero di San Moisé. La nave sulla quale viaggiava la sua collezione d’arte fu vittima di un naufragio, ma Katherine riuscì a recuperarne una parte. Le bastò vendere quindici quadri per trasferirsi a vivere in un convento, dove rimase fino alla sua morte nel 1747.

Il triste epilogo della parabola di John Law non toglie nulla all’acutezza di molte sue intuizioni: la convinzione che la moneta metallica in quantità esigua ostacoli la crescita dell’economia; la necessità di creare un’altra forma di moneta sostenuta dalla ricchezza della nazione; la visione che alcune attività della nazione – nello specifico del momento in cui operò, il Mississippi, il diritto al commercio oceanico, la potestà sovrana di creare moneta – potevano essere “cartolarizzate”, cioè attribuite a una società in grado di vendere titoli, monetizzando l’attività. La crisi del Mississippi ebbe in qualche modo anche il merito di democratizzare l’economia del paese. Lo stesso Voltaire osservò che la grande ondata speculativa del Mississippi portò alla ribalta nuove classi sociali e strappò agli aristocratici, agli esattori e ai ricchi mercanti la prerogativa esclusiva di operare negli ambienti economici e finanziari. I nouveaux riches – macellai, vinai, cocchieri, marinai, tessitori e quant’altro, che avevano affollato la rue Quincampoix – venivano disprezzati e sbeffeggiati nei salotti. Ma forse, chissà, contribuirono in parte anche loro a far maturare nella società francese quell’idea di égalité che sarebbe esplosa a fine secolo con la Rivoluzione francese. Ma la moneta e la finanza erano strumenti potenti, che potevano scoppiare in mano a chi li maneggiava per la prima volta, e fu questo che accadde a John Law. Law aveva creato un’inflazione sfrenata, seppure altamente benefica per la Corona che ridusse il suo debito di due terzi, e in quel modo alleggerì il bisogno di un’alta tassazione. Ma il prezzo di tutta questa operazione lo pagarono con la loro rovina personale tutti coloro che detenevano il debito governativo in forma di bond, annualità o azioni del Mississippi. L’operazione finanziaria di John Law ebbe due significative ulteriori conseguenze: da una parte, una profonda sfiducia che rese impossibile creare una banca di stato prima della Rivoluzione del 1789; dall’altra parte, una crescente domanda di trasparenza. Le banconote tornarono in auge in Francia solo ottant’anni dopo, quando all’inizio della Rivoluzione l’Assemblea Nazionale diffuse una forma di denaro cartaceo – gli assignats – basata sul valore della terra. Paradossalmente, una delle prime idee di John Law rispetto al denaro cartaceo.

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MARTEDÌ 13 MAGGIO 2014 ORE 18.30

2007-2014 ODISSEA NELLA CRISI. CAPIRE IL PASSATO PER NAVIGARE IL PRESENTE

Che cosa è accaduto dal 2007 a oggi? $OHVVDQGUR�+DEHU�UDFFRQWD�OH�WDSSH�SULQFLSDOL�GL�XQD�GLVFHVD�ILQDQ]LDULD�FKH�VHPEUD�QRQ�ILQLUH�PDL��8QȠRFFDVLRQH�SHU�JXDUGDUH�GLHWUR�OH�TXLQWH�GL�FL´�FKH�ª�accaduto e comprendere, attraverso la OXFLGD�DQDOLVL�GHOOȠHFRQRPLVWD�0DUFR�Onado, meccanismi e dinamiche della FULVL�FKH�VWLDPR�DWWUDYHUVDQGR�

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