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KAIRÓS Stringendovi a Lui Anno VIII n. 2 Novembre 2005 Indice Lettera di Avvento 3 Don Severino Pagani La Parola 7 Stringendovi a Lui Silvia Girola La Tradizione 16 Natale qui e adesso Carlo Maria Martini La Preghiera 20 Dio solo Charles de Foucauld Se cerchi un libro 26

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KAIRÓS Stringendovi a Lui

Anno VIII n. 2 Novembre 2005

Indice Lettera di Avvento 3 Don Severino Pagani La Parola 7 Stringendovi a Lui Silvia Girola La Tradizione 16 Natale qui e adesso Carlo Maria Martini La Preghiera 20 Dio solo Charles de Foucauld Se cerchi un libro 26

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Don Severino Pagani

LETTERA DI AVVENTO

Carissimi Discepoli del Signore, in questa sera di vigilia vorrei chiedere al Signore per le vostre famiglie e per ciascuno di voi una grazia particolare: vorrei che fosse la grazia dell’avvento di quest’anno. Ed è questa: di saper andare e venire da un giorno all’altro, senza mai smarrire il senso della storia e senza perdere il valore profondo della nostra esistenza quotidiana. È un’arte difficile, appunto una grazia, quella di restare continuamente in tensione (attesa) dentro questo passaggio, tra l’usuale e lo straordinario, in modo tale da essere sempre pronti a passare dalla vanità delle cose all’adorazione di Dio. Questa è la parte migliore dell’avvento. Rimanere nella vanità non è una cosa semplice; riconoscere veramente nella vita ciò che è vano, ciò che passa, ciò che non ha valore, ciò che non merita le nostre soste; scoprire ciò che è vanità per esserne alla fine in qualche modo liberati, è veramente un’impresa difficile, è una grazia di Dio. Alla fine può essere possibile, proprio dentro le nostre corse e i nostri affari, ritrovarci insieme nell’adorazione. L’adorazione è la sosta di chi ha esattamente attraversato e conosciuto tra tutte le cose che ci riempiono la vita, ciò che è necessario, ciò che è utile, e ciò che è vano. L’adorazione è riconoscere i nascondimenti di Dio tra le cose che passano e che tuttavia sono cose necessarie per vivere: quante cose in una casa sono necessarie per vivere, quante parole e quanti silenzi segnano il tempo, quanto lavoro, quante ferite e quanti sospiri ci sono nei cuori. Penso alla vostra vita, cari Discepoli del Signore, penso alla vostra preghiera, ai pensieri, alle domane, alle pigrizie, alle stanchezze. Avremo, aiutandoci insieme, la forza di attendere e di credere che ancora qualcosa può venire da Dio?

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Adorare significa lasciare che Dio, nei giorni normali della vita sempre da capo, riprenda il suo posto: chiarissimamente distinto da ciò che è vano. Io vorrei chiedere questa grazia al Signore durante l’avvento di quest’anno: Gesù, fammi tendere a te, mentre io passo nella vita e passi anche tu; purificami mentre sono quasi costretto e rimanere dentro le cose vane; fammi capire, Gesù, in una straordinaria liberazione dell’anima, mentre rimango nelle mille cose che faccio tutti i giorni, quanto di inutile c’è in me e nelle mie aspettative; quante cose necessarie tristemente vedo cadere. Fammi capire quali sono le torri che voglio costruire, ma che non sono secondo il tuo cuore; le città che voglio edificare, senza rendermi conto che se tu non costruisci la città vano è il lavoro e la fatica di ogni giorno. Con voi, Discepoli del Signore, in questo avvento vorrei cercare dei segni, che mi facciano passare dalla vanità all’adorazione. Un primo segno può essere questo: purificherò i miei desideri; che cosa desidero per me, per la mia vita, per il mio futuro, per miei figli, per quello che mi sta davanti; che cosa desidero nei miei sogni, nelle mie immaginazioni, nelle proiezioni che mi agitano la mente; dove voglio arrivare, cosa voglio diventare. Tante volte si potrebbe essere sorpresi da un immaginario, da una proiezione sul futuro che non è cristiana, e che proprio non sa riconoscere ciò che è vano, finendo per non lasciare il posto a Dio. Sarebbe terribile rendermi conto che non sono più capace di adorare: proprio io che sono cresciuto con il Signore e che mi sentivo così sicuro. Cercherò di purificare i miei desideri, e finalmente saprò che l’unico grande desiderio deve essere quello del ritorno di Cristo. So che tornerai, Signore, so che mi accoglierai, che mi chiamerai per nome, che mi farai delle domande, che mi darai delle spiegazioni, che mi farai vedere quello che non sono stato capace di vedere. Per questo, per passare dalla vanità all’adorazione vorrei purificare i miei desideri, anche quelli che si riferiscono al modo di essere cristiano, alla mia vocazione di uomo o di donna sposata, di padre, di madre. Aiutami a purificare i desideri; donami un cuore puro che ti possa vedere, passando attraverso la pazienza, la forza,

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la decisione, l’umiliazione, il coraggio. Cerco un altro segno per il tempo di avvento: vorrei riordinare gli affetti e tutti i miei attaccamenti. Se il desiderio è ciò che ci attira, l’affetto è ciò che ci lega; gli attaccamenti esigono un ordine, una capacità di vicinanza e di distacco, di presenza e di assenza, di uguaglianza e di diversità nelle relazioni. Bisogna imparare a stare in piedi con poco e con molto, a stare con tutti e con qualcuno in particolare; bisogna imparare a rimanere insieme liberi e disponibili. Ti chiedo, o Signore, di ordinare i miei affetti: che non mi attacchi troppo a qualcuno piuttosto che a qualcun altro, ad una cosa piuttosto che ad un’altra; che non rimanga disordinato nelle mie emozioni, nei miei sentimenti, nei miei attaccamenti; lo so, Signore, che mi darai talvolta il coraggio e la forza di un amore libero e definitivo, altre volte certamente proverò l’umiliazione, la confusione, lo scoraggiamento. Se cado, prendimi per mano, dammi la grazia e la forza di volontà per riprendere il cammino, liberami da ogni forma di attaccamento, di cose o persone, che mi allontana da te. E un terzo segno è questo: riscoprire l’essenziale, ciò che ogni giorno non può mancare. Per riconoscere ciò che è vano in tutte le cose che faccio, tenderò al Signore, l’adventus, colui che viene; cioè scoprirò ciò che è assolutamente irrinunciabile per me in ogni giornata. Tenderò nuovamente al Signore. Rimarrò sempre alla sua presenza. Creerò nel mio cuore qualche spazio di silenzio in più, di dialogo segreto con Lui. Tenderò a lui; attenderò lui. Il resto mi interessa di meno; posso fare anche tante cose in meno nella vita, ma questa non posso tralasciarla; non posso lasciarla cadere. Manterrò uno spirito di preghiera anche quando la mia mente e il mio corpo è impegnato altrove. Il quarto segno è una nuova qualità del lavoro quotidiano. Tutti gli uomini onesti lavorano e cercano lavoro, ne portano il peso, ne consumano il profitto: lavoro fisico, mentale, emotivo, spirituale. Ogni vera laboriosità umana richiede attenzione e vigilanza. In questi giorni che ci conducono a Natale, ogni lavoro

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può essere occasione propizia, è il kairos, è il tempo favorevole, il luogo della salvezza. È l’unica possibilità di vicinanza del regno. Si tratta di quella laboriosità, innanzitutto spirituale, che mi permette di sconfiggere la pigrizia della mente e del corpo. Incomincerò a curare bene le piccole cose; le piccole cose della vita, che fanno l’amore in una casa e la gioia di abitarla. E anche questo sarà un segno che mi aiuta a scoprire ciò che è vano; vorrei tornare allo spirito di Betlemme, imparare a vivere con poco. E poi un ultimo segno: essere pronti e vigilanti nella preghiera. E’ il segno semplice di chi è capace di non trovare troppe scuse, trovando tempo e voglia per fare sempre prima altre cose, rispetto a quelle del Signore. Tutto può diventare una scusa: un piccolo malessere del corpo, il freddo, il caldo, il sonno, il tempo, un figlio; perfino un’opera di bene potrebbe diventare una scusa per allontanarsi in qualche modo dall’adorazione di Dio. Liberami dalle mie facili scuse, o Signore. Certamente, tutte giustificabili, ma alla fine sono costretto ad ammettere che è povero il mio amore; e Dio è silenzio, e Dio è invisibile. Cari, discepoli del Signore, che la tentazione non ci prenda per questa strada: è così facile per tutti, in ogni vocazione. Questa strada non ci aiuta, ci rende vecchi prima del tempo, ci rende giudici senza misericordia, ci rende pigri mentre pensiamo di morire di stanchezza. Ci vogliono tra noi nuovi angeli e profeti, altrimenti non saremo più capaci di costruire i presepi, perché a quel punto li avremmo giudicati inutili. Talvolta è difficile credere a Dio: Dio è buono ma non si piega alle nostre mediocrità. Forse ci chiede soltanto di dedicare più tempo alla preghiera personale. La preghiera ci terrà svegli; ci terrà svegli nella fede, ci terrà svegli nella vocazione, ci terrà svegli nel matrimonio, ci terrà svegli nella carità. Questa vigilanza della preghiera ci farà vedere veramente ciò che è vano e ciò che deve essere lasciato cadere. Vorrei che l’Avvento fosse un tempo di gioia, di speranza semplice, di stima reciproca, di aiuto fraterno. Chiedo questo al Signore, per me e per voi. Passando attraverso la vanità delle cose ci verrà data la forza di stare con Dio. Con affetto, don Severino.

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LA PAROLA

Silvia Girola

STRINGENDOVI A LUI

Dalla prima lettera di Pietro (1Pt 1,22-2,10)

Dopo aver santificato le vostre anime con l`obbedienza alla verità, per amarvi sinceramente come fratelli, amatevi intensamente, di vero cuore, gli uni gli altri, essendo stati rigenerati non da un seme corruttibile, ma immortale, cioè dalla parola di Dio viva ed eterna. Poichè

tutti i mortali sono come l`erba e ogni loro splendore è come fiore d`erba. L`erba inaridisce, i fiori cadono, ma la parola del Signore rimane in eterno.

E questa è la parola del vangelo che vi è stato annunziato. Deposta dunque ogni malizia e ogni frode e ipocrisia, le gelosie e ogni maldicenza, come bambini appena nati bramate il puro latte spirituale, per crescere con esso verso la salvezza: se davvero avete già gustato come è buono il Signore. Stringendovi a lui, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio, anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo. Si legge infatti nella Scrittura:

Ecco io pongo in Sion una pietra angolare, scelta, preziosa e chi crede in essa non resterà confuso.

Onore dunque a voi che credete; ma per gli increduli la pietra che i costruttori hanno scartato è divenuta la pietra angolare, sasso d`inciampo e pietra di scandalo.

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Loro v`inciampano perché non credono alla parola; a questo sono stati destinati. Ma voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce; voi, che un tempo eravate non-popolo, ora invece siete il popolo di Dio; voi, un tempo esclusi dalla misericordia, ora invece avete ottenuto misericordia.

Un’esigenza della santità, espressa nei versetti precedenti (1Pt 1,13-21), viene ora declinata come esigenza di amore fraterno, il frutto più concreto e insieme il vero scopo della rigenerazione del credente operata dalla parola di Dio: chi crede veramente al potere della Parola, e se ne nutre quale cibo completo e nutriente (si veda la metafora del latte), potrà sperimentarne il frutto mediante una vita nuova, segnata da un amore sincero, cordiale, reciproco e intenso.

Questa Parola per i cristiani ha un nome e un volto precisi: Gesù Cristo. Stringendosi a lui, pietra viva, rifiutata dagli uomini, ma scelta e preziosa per Dio, i cristiani si lasciano edificare quale casa di Dio. Tale verità viene ridetta mediante il ricorso all'immagine della comunità cristiana quale popolo sacerdotale e regale: se la vita dei cristiani è modellata su quella di Gesù Cristo, la chiesa può mediare all'umanità il volto di Dio narrato da Gesù stesso, e farlo nella consapevolezza di essere discepola di un Messia che «regna dal legno».

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L'amore fraterno

Pietro ritorna di nuovo sul tema dell'obbedienza, questa volta caratterizzandola quale obbedienza alla «verità» (1Pt 1,22). Tale verità non è sentita solo come una questione di conoscenza, come qualcosa di intellettuale, ma porta il segno della perseveranza, della fedeltà. Non si tratta, in altri termini, di fare obbedienza a una verità astratta, ma alla verità-fedeltà di Dio; tale obbedienza è rivolta alla Parola vivente, che, se custodita dai cristiani, ha come frutto l’«amore fraterno» (1Pt 1,22).

La santificazione della vita, attraverso l'obbedienza alla Parola, porta i cristiani all'amore fraterno, che è il «coman-damento nuovo» lasciatoci da Gesù: «Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati» (Gv 13,34). Tale comunione nasce solo nella misura in cui la comunità è obbediente alla Parola, ma poi si manifesta soprattutto in amore fraterno. Anzi, questo amore fraterno diviene quasi uno scopo: si crede per giungere all'amore; la fede e l'obbedienza hanno un fine: la carità. La chiesa stessa è il luogo dell'esercizio dell’ amore: i cristiani sono tutti amici (1Pt 3,8) e la comunità è una «fraternità» (1Pt 2,17; 5,9). Non lo si ripeterà mai abba-stanza: se la chiesa è veramente il luogo dove regna la Parola, allora si connota innanzitutto come il luogo in cui si esercita l'arte della fraternità, non fosse altro perché Dio è il Padre di tutti. Sì, se la chiesa si concepisce così, allora è amabile; se appare solo un'istituzione, non lo è più e perde la sua identità! Il seme della Parola, fonte di vita nuova

L’amore dei credenti deve tradursi in una vita nuova, in modo da dare visibilità e testimonianza alla rigenerazione da essi sperimentata. Essi, infatti, sono stati rigenerati da un seme incorruttibile, la parola di Dio (1Pt 1,23): ecco la fonte dell'amore fraterno nella comunità cristiana. E si noti che come negli Atti degli apostoli la vita di comunione dei primi

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cristiani (cfr. At 2,42-48; 4,32-35) è il frutto della discesa dello Spirito santo (cfr. At 2,14 l; 4,3 1), così Pietro connota la comunità cristiana quale luogo dell'amore fraterno a partire da una rigenerazione operata dalla Parola: due immagini per descrivere una medesima realtà.

A questo punto Pietro cita Is 40,6-8 per delineare una contrapposizione: l'uomo è come l'erba, ma la parola di Dio rimane in eterno. La parola uscita da Dio crea sempre e non permette più all'uomo di morire, ma lo rigenera. E’ la medesima meditazione compiuta da Isaia, il quale si trova a dover profetizzare l'esodo da Babilonia, vera e propria ricreazione del popolo di Dio, a una comunità devastata, desolata, scoraggiata. Per questo egli constata la fragilità della vita umana, ma avverte che la parola di Dio, pro-nunciata sul popolo come una promessa che non può venire meno, resta in eterno ed è capace di realizzare una nuova creazione, un nuovo esodo in favore di Israele.

Secondo l'attualizzazione compiuta da Pietro, questa Parola è ora l'Evangelo, annunciato dagli apostoli, che consente all'uomo di non morire, anzi lo rigenera. Se è vero che l'uomo è debole, votato alla morte, se è vero che la sua condizione è caduca come quella di un fiore, tuttavia la parola di Dio ha il potere di dare nuovamente vita, vita eterna, ai credenti. Il puro latte della Parola

Pietro esorta innanzitutto a deporre una volta per tutte un abito, nel senso latino di habitus, cioè le consuetudini, un determinato comportamento: il cristiano deve spogliarsi di ogni malizia, frode, ipocrisia, gelosia e maldicenza (1Pt 2,1). Non c'è spazio per alcuna esitazione, occorre imboccare risolutamente una strada che testimoni il desiderio di vivere realmente una vita nuova, la vita cristiana.

A tale monito segue l'esortazione ad assumere il latte quale cibo per crescere verso la salvezza. Siamo di fronte a una metafora, volta a indicare che i cristiani, dopo aver

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deposto ogni comportamento errato, devono diventare

come bambini che bramano solo il latte. Si ritorna all'immagine dell'uomo fatto di desideri: come i bambini desiderano soltanto il latte materiale, così i credenti devono desiderare soltanto quello spirituale allo scopo di crescere verso la salvezza. E non può essere diversamente, se i cristiani hanno già gustato come è buono il Signore, poiché si tratta di un'esperienza spirituale profonda che si impone all'uomo per la sua assolutezza: buono è il Signore! Per questo l'invito è espresso all'imperativo: Come bambini appena nati bramate il puro latte della Parola. E’ questione di vita o di morte, esattamente come per i neonati, i quali non possono vivere se non si nutrono di latte.

Tale latte è definito mediante due aggettivi: puro e «spirituale» o meglio nel senso «della Parola». Per i padri l'interpretazione va infatti nel senso di latte della parola di Dio, e probabilmente Pietro vuole proprio raccomandare questo: il cibo di cui i cristiani hanno un bisogno primario e fondamentale è la Parola di Dio! Importante è infine il riferimento di 1Pt 2,3 al Sal 34: «Gustate e vedete come è buono il Signore», con cui si proclama che il Signore indicato nel salmo, è Cristo, desiderabile, «gustabile» in un'esperienza concreta. Emerge, ancora una volta, la sensibilità dell'apostolo per un rapporto col Signore che sia esperienziale, cioè che si concretizzi davvero in una relazione di amore, di cui si gusta tutta la dolcezza. Cristo, pietra viva

Pietro ci presenta a questo punto una riflessione sulla nuova comunità di cui il cristiano è chiamato a far parte, una comunità delineata quale casa e popolo.

E innanzitutto importante rilevare che qui, come del resto in tutta la lettera, non appare il termine specifico «chiesa», ma Pietro parla piuttosto di «casa spirituale», pre-ferendo il linguaggio esistenziale a quello istituzionale. Egli considera la nuova comunità nella storia, quale opera dello

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Spirito santo, edificio spirituale degli ultimi tempi di cui

Dio è l'architetto. Il cristiano si stringe, si accosta a Cristo, pietra viva,

rifiutata dagli uomini, ma scelta e preziosa per Dio. E molto bello che Pietro, Pétros, introduca l'immagine della pietra non per parlare di sé, ma di Cristo e dei cristiani. Emerge tutta l'umiltà dell'apostolo che, pur avendo ricevuto da Gesù stesso il nome di Kefa'-Pétros, non fa di questo titolo un motivo di vanto né lo esibisce agli occhi dei credenti, ma rimanda all'unica vera pietra su cui la chiesa si erge: Gesù Cristo. Egli è la pietra scartata, la pietra vivente, perché è il Risorto e vive per sempre presso Dio.

Pietro fa poi un passo ulteriore: Cristo è la pietra vivente e respinta. Il rifiuto da parte degli uomini è in corso: tale rifiuto, infatti, è avvenuto nel passato, nell'evento della croce, ma i suoi effetti sono presenti nell'oggi, è un rifiuto che, permane e si rinnova costantemente. E’ all'interno della storia che Gesù si colloca come pietra vivente, e vivente per sempre, eppure sempre respinta dagli uomini. Cristo è colui che è scelto da Dio, ma che nel mondo è disprezzato, rifiutato: ciò avviene perché il mondo subisce lo scandalo della croce, non riconosce la gloria di Cristo nel fallimento umano della croce e perciò non può accettare questa pietra, questo fondamento. I cristiani, pietre vive

Se questo è l'atteggiamento del mondo, i cristiani, strin-gendosi a Cristo, aderendo a lui, devono invece lasciarsi impiegare come pietre vive: l'iniziativa spetta a Dio, i cristiani non possono pretendere di essere costruttori! E, d'altra parte, questo testo ci dice che il cristiano deve avere quale fine la costruzione dell'edificio di Dio, affinché Dio possa abitare con gli uomini, sia in mezzo al suo popolo sia in mezzo a quelli che lo accolgono! Solo se c'è tale obbedienza, unita a una reale passione per il tempio di Dio che è la comunità, i cristiani vengono dunque impiegati per la

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costruzione di una casa spirituale, per un sacerdozio santo,

per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio.

Pietro utilizza immagini ed espressioni tradizionali dell'AT, proponendone però una riedizione cristiana capace di conferire loro un senso nuovo: i «sacrifici spirituali graditi a Dio» sono le nostre vite, il nostro essere nella sua totalità, corpo e spirito! Non vi sono più agnelli da offrire, ma i cristiani devono offrire se stessi, poiché questo è il nuovo culto introdotto da Cristo con l'abolizione di tutti i sacrifici. La comunità cristiana: una casa spirituale

L'annuncio di questa casa spirituale e di questo sacerdo-zio santo riposano sulle profezie dell'AT, finalmente rea-lizzate. Pietro, infatti, costruisce il suo discorso mediante un sapiente accostamento di tre passi scritturistici citati espressamente, i quali si illuminano a vicenda. La profezia di Is 28,16 annuncia la presenza in Sion di una pietra angolare, una pietra preziosa, scelta da Dio per reggere tutto l'edificio, il nuovo tempio. Ebbene, se per Isaia questa pietra indica JHWH, la sua presenza sicura e salvifica, nell'interpretazione di Pietro essa è il Cristo, il Messia!

La testimonianza di Isaia viene subito arricchita e com-pletata da quella del Sal 118: «La pietra che i costruttori hanno scartato, questa è diventata testata d'angolo», un passo che deve avere fornito alla chiesa delle origini una chiave di lettura importante per comprendere la morte di Gesù. Pietro innesta a questo punto una terza profezia, quella di Is 8,14, ancora sul tema della pietra. E’ un oracolo di JHWH, il quale, parlando di se stesso, si definisce «laccio e pietra d'inciampo e scoglio che fa cadere per le due case di Israele, laccio e trabocchetto per chi abita in Gerusalemme».

A partire dalla lettura di questi testi Pietro motiva il rifiuto di Gesù da parte degli uomini. Gesù, infatti, «è venuto tra i suoi e i suoi non l'hanno accolto» (Gv 1, 11): egli è il

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profeta rifiutato in patria, secondo le sue stesse parole

(cfr. Mc 6,4). Ancor più precisamente, egli è la roccia posta in Sion, che è diventata pietra d'inciampo per Israele. Gesù è dunque visto nella sua duplice valenza: positiva e salvifica per i credenti, di contraddizione e d'inciampo per chi non aderisce alla sua parola. Però si noti: Pietro evita di affermare che per coloro che non vi hanno creduto questa pietra rappresenti la perdizione, ma parla soltanto di inciampo e scandalo, contrapponendolo all'onore che spetta a chi aderisce alla Parola, e si tiene lontano dai toni duri e categorici.

E evidente che qui riecheggia la riflessione della gene-razione apostolica sulla delicatissima questione della po-sizione di Israele all'interno del piano salvifico di Dio.

1. In vista di un amore fraterno

Pietro precisa che l’amore che caratterizza il clima della

comunità cristiana non è generico, ma ha quattro qualità precise (1Pt 1,22): deve essere sincero, cordiale, reciproco e intenso, cioè deve essere specchio fedele dell’ amore trinitario. E’ dunque un amore che non deve essere simulato: non vi è posto per l'ipocrisia, né per la strumentalizzazione, né per la schizofrenia tra agire e pensare, tra ciò che appare e ciò che si vive nella propria interiorità. Deve inoltre essere cordiale, deve cioè venire dal cuore, fonte di ogni desiderio, atteggiamento, pensiero, sentimento; non può essere un amore volontaristico, né solo cortese o superficiale, ma deve essere un amore intelligente. Tale amore è inoltre reciproco, cioè caratterizzato dalla tensione verso uno stile di vita che si concretizzi in comportamenti segnati dalla reciprocità e in un movimento di fuga dall'individualismo, per approdare sempre di nuovo alla condivisione. Esso è infine intenso, ossia forte, robusto, visibile, concreto: il cristiano non può limitarsi a nutrire un'intenzione o un atteggiamento interiore di amore, ma deve anche manifestarlo ai propri fratelli.

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Kairós – La Parola

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Rifletto su come l’amore cristiano si concretizza nella mia famiglia e all’interno della mia comunità di fede. Penso alle gioie e alle

difficoltà nella costruzione di relazioni fraterne.

2. Rigenerati dalla Parola

Tornando alla nostra lettera, l'immagine che essa fornisce è molto suggestiva: i cristiani sono rinati grazie a un vero e proprio principio generante, a un seme, la parola di Dio vivente e salda che, come vedremo, è una Parola eterna. La vita dei cristiani, nella misura in cui proviene e dipende dalla Parola, seme che contiene in sé la forza creatrice, è una vita cristiana autentica, essa pure eterna, non soggetta alla morte.

Rileggo sinteticamente come l’ascolto e l’obbedienza della Parola ha trasformato i modi di pensare e di leggere la mia vita e la storia del

mondo. Penso a come mi accosto alla Parola nei momenti di preghiera e durante la meditazione.

3. Come Pietre vive

La comunione dei cristiani con la “pietra viva” li rende a loro volta pietre vive, perché come Gesù, con la resurre-zione, è stato strappato alla morte, così anche i cristiani sono strappati alla morte e costituiscono una casa spirituale, un tempio nuovo, un sacerdozio nuovo. Ma c'è di più. Edificio spirituale, o tempio, e sacerdozio sono un'unica realtà, dal momento che sono così intimamente legati che l'uno non può esistere senza l'altro. Rifletto su come rinnovo l’offerta del mio sacrificio quotidiano in

comunione con l’offerta di Cristo. Mi sento pietra viva nella costruzione di una nuova umanità capace di relazioni fraterne?

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LA TRADIZIONE

Carlo Maria Martini

NATALE QUI E ADESSO

Riproponiamo una riflessione del cardinal Martini apparsa su Avvenire la vigilia di Natale del 1983. A distanza di così tanti anni le parole che il vescovo di allora rivolgeva agli uomini di buona volontà appaiono ancora estremamente attuali rispetto al momento storico che stiamo vivendo.

È stato più difficile, almeno per me, dai tempi della ri-scoperta del mistero pasquale, vivere la consueta atmosfera del Natale.

Par di sentire in essa qualcosa di artificioso, di non pie-namente autentico. Di fronte alla Pasqua, rivissuta in pie-nezza nell'Eucaristia, il Natale appare o come rievocazione di un evento dei passato, o tutt'al più come una parte del mistero di salvezza, difficilmente scomponibile dal mistero della croce e della resurrezione, quasi una Messa a metà.

La contemplazione del presepio, il ripetersi l'augurio e la certezza che il Signore viene, che è venuto oggi tra noi, non possono lasciar cadere la domanda su che cosa accade veramente oggi a Natale, al di là del ricordo commosso di ciò che è avvenuto o dell'anticipazione credente di ciò che verrà.

Mi ha colpito perciò in questi giorni la lettura dell'omelia tenuta da s. Carlo nell'ultimo Natale della sua vita, nel 1583, esattamente quattrocento anni fa.

È l'unica omelia di Natale che si sia conservata di lui. Ha il tono vibrante dell'annuncio di un fatto presente: «Oggi pertanto anche noi vi annunciamo, o milanesi, essere nato il Salvatore dei mondo: venite e vedete il Figlio di Dio!».

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Kairós – La Tradizione

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Ma l'omelia ha l'intuito dell'insieme dei misteri di Cristo: «Tu che creasti con una parola l'universo […] tu hai voluto assumere la nostra carne e hai voluto patire per noi, tanto caro ti è l'uomo!». .

Questo modo di contemplare la natività richiama quello suggerito da s. Ignazio negli esercizi spirituali, là dove dice: «Guardare e considerare come il Signore nasce in somma povertà per poi morire in croce, dopo tanti stenti [...] e tutto questo per me».

Nel Natale celebriamo dunque, come in ogni altra festa li-turgica di Cristo, la pienezza della redenzione e della salvezza, guardando alla croce e alla resurrezione. Ma la celebriamo secondo questi aspetti e modalità che riguardano la forza propria e specifica di questo mistero, quel modo particolare di essere di Cristo che il mistero manifesta e che è, grazie al sacrificio eucaristico, evento salvifico qui per noi adesso.

Ci domandiamo dunque qual è oggi la forza di questo mistero, in che modo esso manifesta la via di Cristo verso l'uomo. Essa è segnata da stretta solidarietà con gli uomini, da povertà, da riconciliazione.

Ne nasce un appello per i cristiani alla solidarietà nella concretezza storica odierna e in tutte le direzioni. Da una parte verso la condivisione della fede, annunciando e testi-moniando che il Cristo è qui per noi. Dall'altra partecipando insieme con tanti altri alla costruzione della città dell'uomo secondo giustizia e fraternità, consapevoli che la salvezza inaugurata a Natale è per tutto l'uomo e fin da ora si manifesta.

Ne emergono numerose forme di solidarietà e condivi-sione da proporre alle comunità cristiane oggi in Italia.

Voglio accennare in particolare alla condivisione del «bene lavoro», a cui ha richiamato il documento di qualche

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Kairós – La Tradizione

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giorno fa della conferenza episcopale lombarda dal titolo «Affrontare la crisi». Ma vanno ricordate a questo proposito anche tutte le iniziative di volontariato, verso cui orientare soprattutto i giovani e le ragazze, in particolare a servizio dei «nuovi poveri».

L'annuncio di Natale richiama anche l'attualità del valore evangelico della povertà da proporre a tutti i cristiani (singoli, famiglie, comunità) come una delle condizioni essenziali della solidarietà. Ciò significa essere poveri, cioè liberi rispetto ai propri beni (economici, culturali, professionali, di tempo, di energie fisiche) e saperli condividere senza rimpianti. Ma significa anche essere per i poveri, cioè dalla loro parte, in una scelta preferenziale culturale e operativa, che non privilegia o trascura nessuno, ma dà attenzione primaria a chi ne ha più urgenza e necessità. E significa so-prattutto essere con i poveri, cioè condividere e capire dal di dentro, per quanto ci è dato, le condizioni di esistenza di chi (e sono legioni) manca di quelle cose che - dal pane al lavoro, all'affetto e alla salute - costituiscono un bisogno primario della vita.

Se ci sforziamo anche solo per un poco di vivere queste cose, ci accorgiamo di come ciò ci è tanto difficile, anzi ci appare, nelle condizioni presenti della nostra vita e forse anche delle nostre comunità, un poco utopia. Ci rendiamo allora conto più che mai che il Natale è una grazia, non un semplice stimolo morale. È una presenza di colui che im-ploriamo come sigillo, corona ed efficacia dei nostri poveri sforzi. Poveri, perché poveri siamo anche tutti noi, bisognosi della sua ricchezza di condivisione.

Ci apparirà così che anche rispetto al più grave e, al limite, al più utopico degli impegni, quello della pace universale, siamo chiamati a offrire incessantemente le nostre povere energie, senza risparmio e senza sotterfugi, fino

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Kairós – La Tradizione

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all'esaurimento delle forze, ma con la coscienza che lui solo è la nostra pace.

Ogni nostro convinto inserimento nel diffuso e sincero movimento per la pace e contro la corsa al riarmo sarà anche allora rifiuto di appiattire ogni forma di «pacifismo cristiano» in nome di pur legittime esigenze, col realismo politico, enunciato e praticato un po' ovunque con motivazioni certamente serie e gravi, ma insufficienti a rispondere alla gravità delle domande poste dalle nuove possibilità di di-struzione che sono nelle mani dell'uomo. Certamente facendo così incliniamo dalla parte dell'utopia, e sarebbe forse irragionevole farlo se non ci fosse l'evento del Natale che pone qui e oggi nel mondo una nuova dimensione di esi-stenza.

Del resto sappiamo che l'utopia, proprio per la sua forza interiore, genera un nuovo realismo che di volta in volta sa indicare concretamente passi possibili verso la pace che si compongono con gli altri passi dettati dal realismo politico.

La stessa coscienza di dover servire la pace si legherà al-lora alla consapevolezza della stretta connessione tra pro-mozione della pace, disarmo (o almeno cessazione della corsa agli armamenti) e possibilità di un'efficace politica di sviluppo del terzo mondo. Come ricordava Giovanni Paolo II, le risorse sprecate in armamenti son pane rubato ai poveri.

Ecco l'oggi del Natale per il mondo. Accogliere Gesù in casa nostra significa aprirgli le porte dell'umanità, quelle porte che il papa ci esorta, a non aver paura di spalancare al Signore che viene.

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Kairós – La Preghiera

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LA PREGHIERA

Charles de Foucauld

DIO SOLO

“Come monaco, che vive solo per Iddio, non posso parlarti nè pensarti senza desiderare ardentemente per te l’unico bene che desidero per me stesso: Dio. Dio conosciuto, amato e servito, nel tempo e nell’eternità. Perdonami se ti parlo così intimamente. O piuttosto, non ti chiedo perdono, essendo certo che mi comprendi e mi approvi. Dio è grande, più grande di tutte le cose che possiamo enumerare. Lui solo merita i nostri pensieri e le nostre parole. E se noi parliamo, se tu fai fatica a leggermi e io per scriverti rompo il silenzio del chiostro, lo faccio per aiutarci vicendevolmente a meglio conoscerlo e servirlo. Tutto ciò che non porta a questo, conoscere e servire meglio Dio, è tempo perduto. Appena credetti che ci fosse un Dio, capii che non potevo fare altrimenti che vivere soltanto per lui. La mia vocazione religiosa data al momento stesso della mia fede. Dio è così grande ed esiste una differenza tale tra Dio e tutto ciò che non è lui! Desideravo essere religioso, non vivere che per Iddio e fare ciò che è più perfetto a qualunque costo. Il Vangelo mi mostrò che il primo comandamento è di amare Dio con tutto il cuore e che bisognava racchiudere tutto nell’amore.” (Da una lettera di Charles de Foucauld a Henri de Castries. 1938)

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Kairós – La Preghiera

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Padre mio, io m'abbandono a te.

Fa' di me ciò che ti piace. Qualunque cosa tu faccia di me,

ti ringrazio. Sono pronto a tutto.

Accetto tutto. La tua volontà si compia in me,

in tutte le tue creature. Non desidero altro, Dio mio.

Affido l'anima mia alle tue mani. Te la dono, mio Dio,

con tutto l'amore del mio cuore, perché ti amo,

ed è un bisogno del mio amore di donarmi, di pormi nelle tue mani senza riserve,

con infinita fiducia, perché tu sei mio Padre.

L’abbandono

Signore Gesù, solo, davanti a te, cerco le parole della preghiera. Avverto in me una esigenza profonda di raccogliere tutta la mia vita e di porla nelle tue mani, senza ansie, senza timori, senza richieste.

So, come mi insegna fratel Caharles, che l’essenziale sta nel “darsi in pura perdita di sé” davanti al tuo amore, “come incenso, come lampada calda e luminosa, come un suono melodioso”.

Mi offro in sacrificio a te, mio Dio, dimenticando completamente me stesso ed ogni mia pretesa. Tu stesso,

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Kairós – La Preghiera

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Signore, nei giorni della tua passione mi hai insegnato le parole dell’abbandono: «Padre mio, se è possibile… Però non come voglio io, ma come vuoi tu…». Mettimi nel cuore queste parole, ponile sulla mia bocca ed aiutami ogni giorno a comprendere che la misura dell’amore non sta nel mio esserti fedele, ma nell’abbandono fiducioso e senza resistenze alla tua volontà.

La riconoscenza Il mio sacrificio, Signore, sia un sacrificio di lode e di

riconoscenza. Ti ringrazio, Gesù, per tutto quello che la tua bontà mi ha concesso: il tuo amore, la tua misericordia, il dono della vocazione, le persone che mi hai posto accanto nella vita… Oggi, nella mia preghiera, vorrei riconsegnare tutto a te, per sentirmi più povero, spogliato di ogni mia ricchezza, per poter guardare con occhi puri la straordinarietà del tuo amore. Solo guardando la mia miseria nasceranno in me le parole della riconoscenza e la disponibilità ad essere nuovamente plasmato dalla tua grazia.

“Qualunque cosa tu faccia di me, ti ringrazio”. È facile, Signore, esserti riconoscente per quanto hai operato nella mia vita. Altra cosa è concederti questo credito di fiducia illimitato: “qualunque cosa… ti ringrazio”. Intravedo dietro queste parole la disponibilità a deporre ogni aspettativa nei miei riguardi, la disponibilità a lasciare che “tu cresca e io diminuisca”. Intravedo dietro queste parole la sagoma della croce, quel legno duro e freddo che mi ostino a non voler riconoscere.

Insegnami, Signore, questa riconoscenza, che è la disponibilità del cuore e della mente a mettermi, senza indugio, ogni giorno, alla tua sequela.

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Kairós – La Preghiera

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La prontezza

“Sono pronto a tutto, accetto tutto”. Vorrei, Signore, che queste parole nascessero spontanee sulle mie labbra. Invece, tu, o Signore, conosci tutte le mie resistenze, tutte le mie scuse, le mie pretese giustificazioni. Anch’io, come tanti tuoi discepoli un tempo, ho moglie, figli, campi… Come posso fare? Eppure tu mi hai detto che chi non è disponibile a qualche sacrificio non è degno del Regno. Ti consegno, o Signore, tutta la mia fragilità, le mie paure, il “buon senso” che spesso mi incatena. Rendimi forte e pronto e donami insieme l’onestà e l’amore per riconoscere i segni che poni nella mia vita, per seguire le indicazioni che vorrai darmi… affinché non resti forte e pronto in astratto, ritrovandomi un giorno vecchio e triste per non aver avuto il coraggio di un po’ più di amore.

La libertà Davanti a te, o Signore, vado riconsiderando le vicende della mia vita e via via allargo lo sguardo sulle persone che mi hai posto accanto e sulla loro storia. Raccolgo le mie preoccupazioni e quelle di coloro di cui ho raccolto qualche confidenza. Sono poca cosa. Penso alla gente che abita le nostre città, penso a tante solitudini, alle sofferenze che soffocano il cuore, a tante forme di povertà materiale e spirituale. Considero la complessità della storia che stiamo vivendo, le infinite contraddizioni tra chi e ricco e chi è sempre più povero, tra chi è potente e chi è sempre più oppresso. Ti affido le sofferenze dei popoli che anche oggi hanno pianto per le guerre, per le carestie, per le calamità della natura, per tutto ciò che nessuna forma di progresso riesce ad evitare. Mi sento così povero e impotente… So che non mi chiedi di salvare il mondo – lo hai già fatto tu- ma di rimanere in esso come segno del tuo amore, in un continuo

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Kairós – La Preghiera

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intercedere che attraversi, con libertà, la storia degli uomini. La mia preghiera, allora, sia una vera intercessione perché “la tua volontà si compia in me e in tutte le tue creature”. Chiedo il dono del tuo Spirito perché, come mi hai insegnato, solo “dove c’è il tuo Spirito c’è libertà”. Il desiderio Se il tuo Spirito viene in mio soccorso e sostiene ogni mia debolezza, non sento alcuna mancanza. Null’altro desidero, mio Dio.

Fin da bambino, o Signore, mi hanno insegnato ad esprimere qualche desiderio. Mi veniva chiesto di dire ciò di cui sentivo la mancanza, così che, nel limite del possibile, potessi essere soddisfatto. Oggi, mio Signore, mi piacerebbe poter affermare con verità che la misura della mia soddisfazione è il sentirmi amato da te, è la certezza che la tua Parola rimane vera, per me e per la storia, è la speranza che l’ultima parola su di me e su ogni tua creatura sarà una parola di misericordia. È il benessere di un povero peccatore a cui vengono continuamente rimessi i peccati. Signore, nient’altro desidero. La misura della mia soddisfazione sarà quella di sentirmi ogni giorno sempre più desiderato da te.

Tutto l’amore Ti rivolgo questa preghiera, Signore, con tutto l’amore del mio cuore, perché ti amo. Avverto un profondo benessere, una pace dell’anima che non conosce paragone nel pronunziare queste parole: ti amo, mio Signore. Con tutto l’amore, Signore, mi abbandono a te, con tutto il mio amore ti sono riconoscente. Con tutto il mio amore mi rendo disponibile a qualche audacia nella carità, con tutto il mio amore ti consegno la mia libertà perché venga

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Kairós – La Preghiera

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colmata dal tuo Spirito. Con tutto il mio amore ti ripeto che non desidero altro che te, Signore. Perché tu sei mio Padre.

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Kairós - Recensioni

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SE CERCHI UN LIBRO La sapienza del cielo. Proverbi, Giobbe, Qohèlet, Siracide, Sapienza Maurice Gilbert Edizioni San Paolo € 16,00 I “libri sapienziali” dell’Antico Testamento, commentati con minor frequenza in confronto ad altri testi della Bibbia, all’inizio del XXI secolo attirano di nuovo l’attenzione. Il lettore semplicemente interessato all’argomento troverà qui un’esposizione chiara e scandita di ciascun libro, un commento dei testi più significativi e una presentazione dei temi maggiormente sviluppati dalla corrente sapienziale. Il cristiano, da parte sua, vi scoprirà anche come questi testi antichi abbiano ancora senso per la sua vita di uomo e credente. Le orme di Cristo. Discernimento e profezia Franco Manzi Ancora € 12,00 “La Bibbia contiene per ciascuno di noi un messaggio cifrato. Il codice per decifrarlo, ce lo dà la fede” (Julien Green). Questo libro è una piccola guida per aiutare il credente di oggi a decifrare alla luce della fede i segni che Dio diffonde nel mondo e nella vita delle persone. I Profeti e Gesù-profeta illuminano il cammino.