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KAIRÓS Non venga meno la fede Anno V n. 5 Febbraio 2003 Sommario Editoriale 2 La Parola 4 Non venga meno la fede Severino Pagani La Tradizione 12 Un grido contro la paura Dietrich Bonhoeffer La Preghiera 19 Salmo 72 Letture Spirituali 22 Teresa di Lisieux Rosy Bellotti Krónos 35 Messaggio del Cardinale Arcivescovo alle famiglie Se cerchi un libro 38 Appuntamenti del mese 40

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KAIRÓS Non venga meno la fede

Anno V n. 5 Febbraio 2003

Sommario Editoriale 2 La Parola 4 Non venga meno la fede Severino Pagani La Tradizione 12 Un grido contro la paura Dietrich Bonhoeffer La Preghiera 19 Salmo 72 Letture Spirituali 22 Teresa di Lisieux Rosy Bellotti Krónos 35 Messaggio del Cardinale Arcivescovo alle famiglie Se cerchi un libro 38 Appuntamenti del mese 40

Kairós - Editoriale

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EDITORIALE

«Ho un vivo desiderio di vedervi per comunicarvi qualche dono spirituale

perché ne siate fortificati, o meglio,

per rinfrancarmi con voi e tra voi mediante la fede che abbiamo in comune, voi e io.

… Io non mi vergogno del vangelo,

poiché è potenza di Dio… È in esso che si rivela la giustizia di Dio

di fede in fede, come sta scritto:

Il giusto vivrà mediante la fede. (Rm 1, 11-12.16-17)

La preghiera di Gesù, sempre così straordinaria e sorprendente ai nostri poveri sguardi, assume nel corso delle riflessioni proposte nelle pagine di questo fascicolo una connotazione per certi versi commovente: Gesù prega per la fede di Pietro, perché non venga meno, nonostante conosca il cuore di questo discepolo. Un cuore capace di infinite generosità, un cuore capace di raggiungere gli abissi più profondi del peccato. Ci commuove, pertanto, pensare che la preghiera di Gesù continua ad essere la stessa, per gli uomini e per la storia, per ciascuno di noi: egli prega perché la nostra fede, la nostra povera fede piena di contraddizioni e così incline al peccato, possa essere conservata nel momento della prova. Gesù prega perché sa che ogni nostro sforzo potrebbe risultare inutile, vano, se non fosse sostenuto dalla sua fedeltà e dalla sua misericordia. Il volto di Gesù, in questa particolare circostanza, ci si manifesta in tutta la sua mansuetudine e in tutta la sua benevolenza. Egli conosce il nostro cuore, conosce le nostre intenzioni, sa che il peccato è una insidia alla quale ci è di fatto impossibile sottrarci: è scritto nella nostra natura umana. Ma proprio di fronte a tutto ciò egli prega e chiede al Padre per noi il dono della perseveranza:

Kairós - Editoriale

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Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede. La fede non è però qualcosa di scontato, mai. Essa va chiesta con insistenza nella preghiera, affinché il Signore sempre ce la accordi, perché sempre la ravvivi in noi. Senza la fede il cristiano maturo, «il giusto», non può vivere, e la durezza dei momenti di aridità e di sfiducia in Dio ne sono una prova. È anche un dono di comunione, che sostiene e tiene viva la chiesa. Così scriveva infatti san Paolo ai Romani: «Ho un vivo desiderio di vedervi… per rinfrancarmi con voi e tra voi mediante la fede che abbiamo in comune, voi e io». La fede, per chi crede, è l’ultima parola sulla storia. Perché essa viva c’è bisogno della preghiera di Gesù e della disponibilità degli uomini. Così scriveva Bonhoeffer nel 1942: «Io credo che Dio può e vuole far nascere il bene da ogni cosa, anche dalla più malvagia. Per questo egli ha bisogno di uomini che sappiano servirsi di ogni cosa per il fine migliore. Io credo che in ogni situazione critica Dio vuole darci tanta capacità di resistenza quanta ci è necessaria. Ma non ce la dà in anticipo, affinché non facciamo affidamento su noi stessi, ma su di lui soltanto. In questa fede dovrebbe essere vinta ogni paura del futuro. Io credo che neppure i nostri errori e i nostri sbagli siano inutili, e che a Dio non è più difficile venirne a capo di quanto non lo sia con le nostre supposte buone azioni. Sono certo che Dio non è un Fato atemporale, anzi credo che egli attende preghiere sincere e azioni responsabili, e che ad esse risponde». (Resisenza e resa, ed. Paoline, p. 68) La Parabola

Kairós – La Parola

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LA PAROLA

don Severino Pagani

NON VENGA MENO LA FEDE

LA PREGHIERA PER PIETRO TENTATO LA PERSEVERANZA

Dal vangelo secondo Luca (22, 28-34)

Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove; e io preparo per voi un regno, come il Padre l'ha preparato per me, perché possiate mangiare e bere alla mia mensa nel mio regno e siederete in trono a giudicare le dodici tribù di Israele.

Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli».

E Pietro gli disse: «Signore, con te sono pronto ad andare in prigione e alla morte». Gli rispose: «Pietro, io ti dico: non canterà oggi il gallo prima che tu per tre volte avrai negato di conoscermi».

Il tema della perseveranza è molto importante in una cultura che appare sempre più preoccupata di trovare esperienze che abbiano in sé novità sempre diverse e sempre più fruibili. La perseveranza invece implica il rimanere fedeli a qualcosa di vero che si è trovato in un momento della vita.

Man mano che si entra nell’esperienza, spirituale ciascuno di noi si accorge che la perseveranza è quel tratto vuoto in cui si continua a porre dei gesti anche se in quel momento sembrano sparite le motivazioni.

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1. AVETE PERSEVERATO CON ME «Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove»

Il contesto di questo brano è molto particolare: se noi, infatti, andiamo a leggere i versetti precedenti ci accorgiamo che i Dodici si manifestano «incapaci di servire» perché sono distratti dalla preoccupazione di sé stessi e della loro immagine. Stavano parlando tra loro per vedere chi fosse il più grande, si stavano preoccupando di quello che erano loro, perdendo la dimensione fondamentale del servizio.

Si sentono i discepoli della «prima ora», che sono andati con Gesù «decisamente» verso Gerusalemme, che sono sempre stati insieme a Gesù. Eppure la loro fedeltà si sta smarrendo, la loro decisione pare venir meno. L’affermazione di Gesù, voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove, ci invita a riflettere sulle stagioni della nostra fede:

• La questione del tempo: essere tempo (il divenire della fede)

Il tempo ci viene indicato come luogo nel quale si declina l’essere. La percezione del tempo è una condizione che dobbiamo assimilare perché fa parte di quell’entrare nella creaturalità che rende semplici e in quella semplicità che permette di ascoltare la rivelazione. Questa riflessione sul tema del tempo può aiutare a diventare liberi e a ritrovare lo spazio per la fede: rimanere nella fede man mano che passa il tempo, scoprendo i limiti e le possibilità del tempo che c’è stato. Anche questa è perseveranza.

• La virtù della perseveranza: esercizio senza motivazione

sensibile La storia della spiritualità ha sempre sottolineato che l’indice della perseveranza è quello della preghiera proprio perché essa, molto spesso è un esercizio durissimo della volontà. Anche l’aridità spirituale rende più difficile la perseveranza perché non c’è riscontro emotivo né sulla preghiera né sulla carità. La perseveranza della preghiera è un dono da chiedere.

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• Le diverse età della vita: imparare, insegnare, raccogliersi e

mendicare. Con la perseveranza si entra nelle diverse età della vita imparando a gestire il tempo: c’è una stagione segnata soprattutto dall’imparare, quando ci si prepara ci si dispone per un’attività propria. Viene poi l’età in cui si insegna e si trasmette quello che si ha imparato, quindi l’età in cui ci si raccoglie, in cui si è arricchiti di quello che si è insegnato. Infine giunge la stagione durante la quale si impara a mendicare: è l’esperienza straordinaria, ma per certi aspetti durissima, del dipendere da altri.

• Il dialogo con le generazioni Quando una persona è matura e intelligente non perde mai la fiducia nelle nuove generazioni. Questo ci permette di avere fiducia nei nostri figli e in tutti coloro che vengono dopo di noi. Nella virtù della perseveranza è importante coltivare la capacità di dialogo tra le generazioni, senza farsi prendere dalla sfiducia, perché ogni generazione ha le sue fragilità e le sue risorse. Signore Gesù, tu hai pregato per me perché io possa diventare un uomo o una donna di perseveranza; toglimi ogni preoccupazione per me stesso, anch’io voglio andare decisamente verso Gerusalemme. La forza della mia perseveranza è tutta ancorata sulla tua preghiera per me e non sulle mie energie. Signore, ti offro la mia vita, il tempo che passa, il suo disincanto, la mia preghiera arida, la mia carità pesante. Ma davanti a tutto questo ci sei tu, Signore, e io ritrovo la fiducia. Ancora raccoglierò i miei giorni e camminerò nella perseveranza. 2. IO PREPARO PER VOI UN REGNO «Io preparo per voi un regno, come il Padre l'ha preparato per me, perché possiate mangiare e bere alla mia mensa nel mio regno e sedere in trono a giudicare le dodici tribù di Israele» Se riusciremo a mantenere la perseveranza nelle varie stagioni della fede il Signore preparerà per noi un regno. Preparare per noi un regno vuol dire nel linguaggio di Gesù sceglierci come suoi eredi, quali figli

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carissimi: «Io faccio testamento a vostro favore, ho un’eredità preziosa da donare a voi». Oggetto del testamento è il regno, appunto, che è la comunione definitiva con Gesù. La purificazione della fede esige che ciascuno di noi abbia a cuore di ricevere questa eredità. Il Regno di Gesù si è reso presente attraverso la Pasqua: grazie all'eucaristia (mangiare e bere alla mensa) partecipiamo alla Pasqua. Ci viene richiesta la fatica dell'offerta di noi stessi e della comunione con le persone come partecipazione allo stesso sacrificio. Gesù promette la fecondità della Pasqua: non è una morte senza futuro, né un abbandono di Dio. Il dono dell'eucaristia è una presenza nei nostri giorni: quando partecipiamo all’eucaristia impariamo a soffrire, ad amare e a sperare come ha fatto Gesù. Gesù promette ai suoi discepoli che siederanno come giudici delle tribù di Israele. Dobbiamo qui ricordare che l'essere «giudici», nel contesto dell'Antico Testamento, non indicava tanto gli aspetti giuridici, piuttosto quelli riferiti alla costituzione e al futuro della comunità: coloro che venivano designati giudici erano costituiti come «servi», per far regnare la pace e la giustizia nel popolo. Anche in Luca il tema del giudizio e del giudicare è indicativo dell'esercizio dell'«apostolato» e di nessun’altra prerogativa o privilegio. 48008035

Signore, tu mi hai donato una preziosa eredità, tuttavia a volte io sono ancora distratto a pensare chi sia il più grande, a misurarmi di continuo con i miei fratelli, ma la tua Pasqua mi spalanca le porte del Regno, di questa comunione definitiva con te. Ti ringrazio per il dono dell’eucaristia, perenne memoria del tuo soffrire, del tuo amare, del tuo sperare. Se tu sei con me anch’io potrò lasciare una piccola eredità di amore! 3. SATANA VI HA CERCATO PER VAGLIARVI «Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano» Con queste parole Gesù introduce la questione del male e la consistenza del maligno. Il problema rimane serio: gli schemi interpretativi restano incerti. Comunque il male è reale e indebolisce, confonde e uccide chi lo compie.

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Il tema dell'essere vagliati era già presente nel profeta Amos: «scuoterò la casa di Israele come si scuote il setaccio... di spada periranno tutti peccatori». o un criterio che viene da Dio. Arrivano anche per noi i momenti della tentazione. Non dobbiamo cedere a due estremi: - la tentazione manichea che vuole il mondo gestito da due principi: quello di Dio e quello del diavolo, due forze opposte di uguale entità in perenne lotta fra loro. La fede cristiana si è sempre opposta alla teoria manichea, perché ha sempre pensato che, anche se interpretiamo il male come una personificazione, comunque si tratta di un angelo decaduto, infinitamente al di sotto di Dio. Dall’altra parte dobbiamo evitare la tentazione del semplicismo naturalistico che va dietro all’istinto immediato. Il male si manifesta sotto varie forme: il materialismo, la divisione, l’apatia, la violenza. Tutte queste forme si riassumono in una omologazione: tutto è reso uguale, indifferenziato. Quando il male in una cultura assume la figura dell’omologazione si perdono le differenze, si perdono le distanze, si perde il mistero e si ripiomba in uno squallido materialismo. Nella cultura di oggi è facile riconoscere il male come la subdola insinuazione che comunque va bene omologarsi a tutto, senza tenere viva l’istanza critica evangelica. Di fronte al male vengono dei momenti in cui la libertà ha tempi difficili, perchè dobbiamo scegliere. Dobbiamo ritornare davanti a Dio con la struttura della vigilanza, chiedendo la grazia del discernimento o il coraggio per scegliere. Signore Gesù, liberami dal male, dalla tentazione di essere come tutti. Sostieni la mia libertà e guida le mie scelte perché possa difendere sempre le istanze più profonde del tuo Vangelo. Non voglio avere tutto per perdermi nel nulla di un desolato materialismo, voglio Te Signore, tu solo puoi aprirmi le porte del mistero di Dio.

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4. MA IO HO PREGATO PER TE «... ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede» Come ha affidato agli apostoli il Regno, anche se incapaci di servire, così ora Gesù affida a Pietro che sta per rinnegarlo, il servizio dell'unità. Siamo ancora una volta invitati a guardare e contemplare l'efficacia della preghiera di Gesù: il dono della sua vita rimette sulla strada della conversione. Senza il dono che Gesù fa di se stesso sarebbe impossibile per noi restare fedeli. Se entriamo nella preghiera di Gesù, che ha pregato perché noi non perdiamo la fede, è ancora possibile la rivelazione. Nella preghiera il Signore si rivela ancora a ciascuno di noi. Signore, tu hai pregato per me, per i miei peccati, perchè non venga meno la mia fede. Signore, conosco ancora così poco del tuo mistero, ma se entro docilmente nella tua preghiera so che è ancora possibile ricevere la tua rivelazione. Rivelati ancora, Signore, al mio cuore che ha continuamente bisogno di conversione. 5. CONFERMA I TUOI FRATELLI «... e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli» La missione di Pietro assicura i legami della fraternità: tiene fermi, tiene uniti, mantiene l'unità della comunità cristiana. Quello rivolto da Gesù a Pietro è un invito ad assumere il compito apostolico in un contesto di rifiuto e di ostilità. Il prendersi a cuore i fratelli: mi sento responsabile per la fede del fratello. Penso a coloro che mi sono affidati. Penso ai miei interlocutori più scomodi.

L'esercizio della pazienza: cercherò di favorire la comunione tra le persone. Penso alla gioia e alla fatica del tenere uniti nel nome del signore. Il ministero della consolazione: mi abituerò tra la gente ad esercitare il ministero della consolazione senza finzione e senza retorica.

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Le parole della speranza: saprò fare emergere i motivi della speranza nelle vicende della vita. Signore, la forza della tua preghiera mi permette di andare dai miei fratelli. Concedimi di sapere costruire legami di unità, di sapere tessere i fili di relazione autentiche. Rendimi, buono , paziente, senza giudizi, capace di sostenere la fede e di trasmettere speranza. Aiutami a riconoscere le sofferenze dei miei fratelli e a portare la gioia della tua consolazione 6. SIGNORE CON TE SONO PRONTO... PIETRO IO TI DICO... «E Pietro gli disse: «Signore, con te sono pronto ad andare in prigione e alla morte». Gli rispose: «Pietro, io ti dico: non canterà oggi il gallo prima che tu per tre volte avrai negato di conoscermi» La generosità di Pietro assume i tratti di una prontezza generosa e le forme della ingenuità. Ci interroghiamo circa il senso delle nostre «promesse» fatte a Signore. La gestione evangelica dei conflitti. La vittoria di Gesù non passa attraverso la violenza della spada ma si consuma attraverso la croce. Mi interrogherò, innanzi tutto sulle mie fragili promesse. Affronto il tema della ingenuità nella mia vita spirituale. Sarò umile davanti al Signore, riconoscendo i mie falsi entusiasmi, le mie battaglie inutili, l'umiliazione dei miei rinnegamenti. So quanto costa la vigilanza cristiana: mi interrogo quindi davanti al Signore riguardo a che cosa debba stare attento di più nella mia vita: che cosa mi sfugge, che cosa vorrei saper controllare di più di me. Penso poi alle mie prontezze sbagliate: quando sono immediato ma non sono capace di perseverare. Mi tornano alla mente tutti i luoghi dei miei conflitti, le mie battaglie inutili: cercherò di non alimentare inutili polemiche.

Infine ripenso all'umiliazione dei miei rinnegamenti: il Signore conosce i miei peccati.

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Signore Gesù, la mia fragile generosità è un fuoco di paglia che si scontra con l’umiliazione dei miei rinnegamenti e dei miei peccati. Toglimi ogni forma di ingenuità su me stesso: da solo non posso fare nulla, è la tua grazia che mi precede. Aiutami a rimanere nella vigilanza cristiana e a misurare la mia generosità passando attraverso la croce.

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LA TRADIZIONE

Dietrich Bonhoeffer

IL GRIDO CONTRO LA PAURA

Essendo Gesù salito su una barca, i suoi discepoli lo seguirono. Ed ecco scatenarsi nel mare una tempesta così violenta che la barca era ricoperta dalle onde; ed egli dormiva. Allora, accostatisi a lui, lo svegliarono dicendo: "Salvaci, Signore, siamo perduti!". Ed egli disse loro: "Perché avete paura, uomini di poca fede?". Quindi, levatosi, sgridò i venti e il mare e si fece una grande bonaccia. Gli uomini furono presi da stupore e dicevano: "Chi è mai costui al quale i venti e il mare obbediscono?" (Mt 8,23-27).

Non è la creatura di Dio, questa

La Bibbia, l'evangelo, Cristo, la chiesa, la fede, sono un grido di guerra contro la paura. La paura: è il nemico originario. Essa si installa nel cuore dell'uomo, lo scava, sino a che improvvisamente egli si trova privo di resistenza, senza forza, e crolla. Furtivamente essa corrode tutti i fili che congiungono l'uomo a Dio e agli altri, e quando l'uomo, dall'abisso della propria indigenza, tenta di aggrapparvisi si strappano, ed egli impotente sprofonda ricadendo su di sé, fra gli sghignazzi dell'inferno. E allora la paura lo guarda dritto in faccia con un sogghigno e dice: "Adesso siamo soli, tu e io, adesso ti mostro il mio vero volto". Chi ha visto la paura svelarsi cosi, nella sua nudità, chi è stato da essa -ridotto in orrida solitudine - dalla paura dinanzi a una grande decisione dinanzi a un duro destino, a una difficoltà Professionale, a una malattia; dalla paura dinanzi a un vizio a cui non è Più in grado di opporre resistenza e che lo fa schiavo; dalla paura della vergogna, dalla paura dell'altro, dalla paura della morte - chi ha provato questo sa che la paura altro non è se non la maschera del male, sotto la quale il mondo ostile a Dio cerca di. aggredirlo. Nulla rende l'uomo capace di avvertire cosi chiaramente la reale potenza delle forze ostili a Dio quanto questa solitudine, questa inipotenza, questa nebbia che si stende sopra ogni cosa; nulla quanto

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questa assoluta mancanza di vie di scampo, nulla quanto l'agitazione con cui si cerca di sfuggire a

questa disperazione infernale. Avete mai visto com'è un uomo quando è preda della paura? Orribile nel bambino, più orribile ancora nell'adulto: il tremito è quello dell'animale, la difesa è implorazione. Non è la creatura di Dio, questa; questo sembra il figlio del diavolo, la creattura fatta schiava, distrutta, malata.

Ma l'uomo non deve avere paura! Questo è ciò che distingue l'uomo da tutte le altre creature: nella mancanza di ogni via di scampo, nella confusione e nella colpa egli conosce una speranza. E questa speranza si chiama: “Sia fatta la tua volontà"; anzi “La tua volontà è fatta”. Tutto passa, solo Dio resta e non vacilla; i suoi pensieri, la sua parola, la sua volontà han fondamento per l'eternità". E chiederete: come lo sai? E allora pronunceremo il Nome di colui dinanzi al quale il male si ritrae, dinanzi al quale paura e angoscia sono costrette ad aver paura, al cui cospetto tremano e fuggono; il Nome di colui che, solo, ha sgominato la paura, l'ha trascinata in catene nel corteo trionfale, l'ha inchiodata alla croce e l'ha sottomessa alla vanità (cf. Col 2,14-15; Rm 8,20); il Nome di colui che è il grido di vittoria dell'umanità liberata dalla paura: Gesù Cristo, il crocifisso, il vivente. Egli è il Signore della paura ed essa lo sa suo Signore, di fronte a lui retrocede.

Nella vostra paura, dunque guardate a lui, pensate a luì, ponetelo davanti ai vostri occhi, invocatelo, pregatelo, credete che egli ora è presso di voi e vi aiuta. Allora la paura impalIidirà e indietreggerà, e voi sarete liberi nella fede in Gesù Cristo, il redentore forte e vivente. Cristo è nella barca!

Una barca solca le onde. Ardua lotta. Il vento di tempesta si fa più impetuoso. La barca è piccola, in balìa delle onde, il cielo cupo, le forze vengono meno.

Ecco che il primo viene afferrato... Da chi? Da che cosa? Neppure lui lo sa. Ma nella barca è salito qualcuno che prima non c'era. Ora questo qualcuno gli si avvicina, posa le mani gelide sulle sue braccia che remano... Ed ecco, egli sente i muscoli come paralizzati, le forze lo abbandonano, e ora lo sconosciuto gli afferra il cuore, il cervello, lo strega con le immagini più strane; egli vede la sua famiglia, i figli. Che ne sarà di loro, quando non ci sarà più? Improvvisamente, ecco, egli ha l'impressione di essere di nuovo in

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quel luogo dove un giorno l'aveva spinto il male, dove aveva a lungo servito il male; vede i volti di coloro che sono stati suoi compagni nel male, vede il vicino che ancora ieri ha ferito con una parola cattiva. Tutt'a un tratto, poi, non vede e non ode più nulla, non può più remare, un'onda lo travolge,

e come in un ultimo grido di aiuto urla: "Chi sei tu, sconosciuto, nella barca?". E quegli risponde: "Sono la paura". Subito la barca è percorsa dal grido: “La paura è nella barca!”, e tutte le braccia ricadono paralizzate come per sortilegio. Ogni speranza si è dissolta.

Ma ecco, è come se i cieli si lacerassero e le legioni celesti intonassero il grido di vittoria: "Cristo è nella barca, Cristo è nella barca!". E non appena la parola è pronunciata e udita, la paura si ritrae, le onde tornano alla calma, il mare si fa silenzioso, la barca solca acque pacificate. Cristo era nella barca!

Non c'eravamo anche noi in quella traversata? Non è stato anche per noi salvezza il grido"Cristo è nella barca"? La potenza della paura

Ora non siamo forse tutti di nuovo impegnati nella traversata, in questa traversata senza fede, senza speranza, oppressi, incatenati, paralizzati dalla paura, senza coraggio, senza gioia, con una pesantezza opprimente nelle membra (ognuno sa bene ciò che lo riguarda)? Forse, anzi probabilmente, non sappiamo neppur più bene cosa ci sia avvenuto. Ci siamo dunque già talmente abituati a questo stato da accettarlo, anzi da esserci quasi affezionati ai lamenti? E che altro ci resterebbe da fare, se non potessimo neppure più gemere?

Questa è la cosa peggiore: che già non vogliamo più venir fuori da questa situazione. Il trionfo supremo della paura su di noi è proprio il fatto che temiamo di sfuggirle, che ci sottomettiamo ad essa come degli schiavi. La paura ci ha vinti e si aggira tra noi assumendo molteplici forme. Ecco quelli che sono divenuti torpidi e insensibili, che ostinati e chiusi in se stessi vivono alla giornata, senza neanche più la forza di togliersi la vita, perché anche per questo sono divenuti troppo apatici. Ecco altri, che invece danno voce alla loro paura, e riversano su tutti i loro gemiti veementi. Ecco altri ancora, che ritengono di poter mettere in fuga la loro paura con le armi della retorica e di fantasie ardite, e questa è una strategia che, se sostenuta da un'enfasi appropriata, può persino, per qualche tempo, dare l'illusione di reggere. Ma colui che ha cognizione del vero sa ben riconoscere, sotto queste spoglie, ancora una volta la potenza della paura. La paura è nella barca, nella nostra stessa vita, - la nuda paura

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dell'ora che viene, del domani, del dopodomani - perciò diventiamo torpidi, perciò ci lamentiamo e ci inebriamo di questo e di quello. Cos'altro è del resto lo strepito e l'ebbrezza che ci coglie la notte di san Silvestro, se non la grande paura del nuovo, del futuro? La paura si è installata nell'uomo.

Chi, in simili circostanze, vorrà mostrarsi orgoglioso, come se

nulla lo riguardasse? Non sarebbe un essere umano chi non comprendesse perché l'umanità debba oggi temere, nel mondo intero. Uomini di poca fede

Ma al cuore di questo mondo preda della paura c'è ormai un luogo che ha il compito specifico, incomprensibile per il mondo, di lanciare all'uomo il grido sempre nuovo e sempre uguale: "La paura è vinta, non temete; nel mondo voi avete tribolazione, ma fatevi coraggio, io ho vinto il mondo (Gv 16,33)! Uomini di poca fede, perché siete così paurosi?". Cristo è nella barca!

E il luogo da cui giunge questa parola è il pulpito delle chiese. Dal pulpito lo stesso Cristo vivente vuole dire al mondo che in colui presso il quale egli prende dimora, la paura viene sgominata. “Uomini di poca fede, perché siete così paurosi?". In queste parole dobbiamo cogliere tutta la delusione e insieme tutto l'amore di Gesù Cristo nei confronti dei suoi discepoli. "Non sapete dunque ancora che voi siete nelle mani di Dio, che dove sono io, là è Dio? Perché tanta paura? Siate coraggiosi, siate forti, siate saldi, siate risoluti, sicuri, certi; non tremate, non chinate il capo, non lamentatevi dei tempi avversi! Io sono nella barca". Ascoltatelo, dunque, e credete in lui!

Sì, noi sappiamo che qualcosa deve cambiare nella nostra vita. Lo sentiamo: così piccola, così misera, così meschina, così miope è la nostra vita in questo momento. Vediamo le nostre ansie e le nostre difficoltà, e non riusciamo più a vedere quelle dell'altro mille volte più grandi. I nostri problemi ci appaiono giganteschi e infinitamente gravi, e finiamo per essere apatici verso tutto il resto. È l'effetto della paura in noi. Ma ora sentiamo che non possiamo tollerare più oltre questa morsa, che essa ci strangola, e in questo nostro presagire e interrogarci, ecco erompere il grido della chiesa: "Una sola è la cosa che manca, ed è credere che Dio, l'onnipotente, è nostro Padre e nostro Signore; che dinanzi a lui le nostre più grandi ansie sono come per i genitori le ansie di un bimbo; che egli tutto può comporre e tutto capovolgere, in un attimo; che ogni cosa è per lui leggera, per nulla difficile; che per lui mille anni sono un giorno solo; che i suoi pen-sieri non sono i nostri pensieri; che nonostante tutto egli è con noi".

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Lasciamoci dunque riscuotere dal grido della chiesa: "O uomini di poca fede, perché avete tanta paura? Nell'infuriare della tempesta c'è Cristo nella barca!". Indietreggia, paura! Appari, Signore Gesù, aiuto potente, salvatore! In ogni naufragio Dio ci ributta su di lui

Ma ecco avanzare l'esercito delle obiezioni e dei pretesti. Diciamo: "Oh, crederemmo volentieri, lo vorremmo, ma non possiamo più". Non prendiamo sul serio questi discorsi! Voi non po-tete credere? Bene. Neanche noi lo possiamo. Voi volete credere? Bene, credete allora, in qualche maniera, magari ancora debolmente, in forma embrionale, e sarà forse mille volte più forte di tanti altri che sostengono di poter credere. Non fissate lo sguardo sulle vostre parole o sulla vostra debole fede, fissatelo su di lui, su colui nel quale credete, e ditegli: "Signore, aumenta la nostra fede" (Lc 17,6).

Diciamo: "Non è la miseria che ci terrorizza, è il nostro peccato che ci fa paura; è di esso che dobbiamo aver paura, altrimenti ci coglie di sorpresa". Questo ragionamento sembra tanto giusto, ma in realtà non è che simulazione, sotto la quale si cela di nuovo la paura. No, non è vero che dobbiamo aver paura del peccato; è vero invece che chi ha paura, vi è già coinvolto. La paura è la rete con cui il maligno ci cattura. Egli dapprima ci incute paura, poi, nel nostro tur-bamento, noi giungiamo ad appartenergli. Non paura, ma coraggio, coraggio! Come ci si può opporre al nemico con la paura nel cuore? Perché avete paura, uomini di poca fede? Dio non è forse più grande del vostro peccato? Lasciatelo diventare forte in voi, e il peccato è abbattuto. Credete in lui! Signore, aumenta in noi la fede!

E infine ecco coloro che ormai disperano: "Non è forse trascorso il nostro tempo? Questi anni di catastrofe e di decadenza, questo immenso caos, nel grande come nel piccolo, che nessuno è in grado di misurare, non sono forse il segno che Dio ci ha abbandonati, che Dio non ci vuole più, che ha ritirato da noi la sua misericordia, che ci è diventato nemico, e che ci dobbiamo rassegnare? Che non possiamo più tenerci stretti a lui, che non ci vuole più?". Questa è la voce dell'abisso. In questo caso non c'è che un aiuto: prendere la croce, tenerla dinanzi agli occhi e chiederci: Dio ha forse abbandonato il Crocifisso? Come non ha abbandonato lui, così non lascerà neppure noi. Riconoscete dunque questo segno nella vostra vita! Comprendete l'ora della tempesta e del naufragio: è l'ora del-l'inaudita prossimità di Dio, non della sua lontananza. Là dove tutte le

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altre sicurezze s'infrangono e crollano, e tutti i puntelli che reggevano la nostra esistenza sono rovinati l'uno dopo l'altro, là dove abbiamo dovuto imparare a rinunciare, proprio là si realizza questa prossimità di Dio, perché Dio sta per intervenire, vuol essere per noi sostegno e certezza. Egli

distrugge, lascia che abbia luogo il naufragio, nel destino e nella colpa; ma in ogni naufragio ci ributta su di lui. Questo ci vuol mostrare: quando tu lasci andare tutto, quando perdi e abbandoni ogni tua sicurezza, ecco, allora sei libero per Dio, e totalmente al sicuro in lui.

Che solo ci sia dato di comprendere con retto discernimento le tempeste della tribolazione e della tentazione, le tempeste d'alto mare della nostra vita! In esse Dio è vicino, non lontano, il nostro Dio è in croce. Quando Cristo è nella barca, sempre si leva la tempesta

La croce è il segno in cui la falsa sicurezza viene sottoposta a giudizio e viene ristabilita la fede in Dio. Siate dunque coraggiosi, siate forti, sicuri, certi. Così dovete essere. Purché però non ne venga un terribile equivoco. C'è infatti anche un falso coraggio, una falsa sicurezza, e questa falsa sicurezza è davvero il più raffinato travestimento della paura.

Guardate il nostro racconto! Quando i discepoli entrarono nella barca, essi parevano del tutto sicuri, pareva che la paura neppure li sfiorasse. Perché erano così sicuri? Vedevano il mare bel calmo ed erano quieti, senza preoccupazioni. Ma come il vento e la furia delle onde cominciarono a levarsi, svanì la loro calma, crebbe la paura. Colmi di angoscia, scrutavano il mare in tumulto. Là prima c'era la loro sicurezza, di là erompe ora contro di loro la paura. Di Gesù, il racconto dice che dormiva. Solo la fede può dormire senza esser preda dell'angoscia - ecco perché il sonno è memoria del paradiso -, la fede ha in Dio la sua sicurezza. I discepoli non potevano dormire, la loro sicurezza era svanita, avevano perso ogni fermezza: la loro era stata una falsa sicurezza, puro travestimento della paura, uno dei tanti. Non è quella la sicurezza che vince la paura. In un attimo va in frantumi. Vince la paura solo la fede che si lascia dietro tutte le false certezze, la fede che non crede a se stessa o al mare propizio, al favore delle circostanze o alla propria o all'altrui forza, ma crede in Dio, solo in Dio, che infuri o no la tempesta: ecco l'unica fede che non è superstizione, che non conduce nuovamente alla paura, ma che ci

Kairós – La Tradizione

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libera dalla paura. Signore, aumenta questa fede in noi, uomini di poca fede!

Ma non si deve dimenticare l'altro aspetto: quando Cristo è nella barca, sempre inizia a levarsi la tempesta: il mondo con tutte le potenze malvagie lo attacca, vuole annientarlo, lui e i suoi discepoli, gli si solleva contro, lo odia. Il cristiano deve sapere questo. Nessuno come il cristiano deve attraversare così tanta angoscia, così tanta paura. Ma

questo non lo deve sorprendere, poiché Cristo è il crocifisso, e nessun cristiano viene alla vita se non crocifisso. Egli soffrirà dunque e subirà la prova insieme con Cristo, ma guarderà sempre a colui che è con lui nella barca e che ben presto si leverà e sgriderà il mare, perché torni quieto e silenzioso.

Sembra, però, che al giorno d'oggi Cristo non compia più tali azioni prodigiose. E così stranamente nascosto, che sovente pensiamo: "No, non c'è affatto!". Cari fratelli, che sappiamo noi di ciò che può e vuole fare per noi Cristo quest'oggi stesso, se solo lo invochiamo, se gridiamo: "Signore, aiuto, siamo perduti"? Quella dei discepoli era paura, certo, ma c'era fede nella paura, fede che sapeva da dove solamente può venire la salvezza. "Non ci sono più miracoli!", diciamo. Ma che ne sai tu? Che ne so io? Quale vergogna dovremo provare, quando un giorno Dio ci farà vedere le sue vie!

E "furono presi da stupore e dicevano...” Sì, noi comprendiamo bene il loro stupore: "Chi è mai costui che fa indietreggiare la paura, che le toglie ogni potere?". Ma già nel formulare questa domanda noi pieghiamo le ginocchia e lo adoriamo, e indicando lui, l'uomo dei miracoli, diciamo: "Questi è Dio!". Amen. Predica, II domenica dopo l'Epifania, 15 gennaio 1933

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LA PREGHIERA

SALMO 72

È DIO LA MIA SORTE PER SEMPRE

“Per il dilagare dell’iniquità, l’amore di molti si raffredderà.

Ma chi persevererà sino alla fine, sarà salvato”.

( Mt 24, 12-13 )

Il salmo è la storia di un’anima che passa dalla crisi alla pienezza della fede in Dio. Si ha l’impressione che coloro che disprezzano Dio abbiano, nella vita, più successo dei credenti e il loro esempio diventa uno scandalo: a che pro restare fedeli? Al quadro dell’empio, felice, soddisfatto e sempre tranquillo, si contrappone con amarezza la situazione del giusto, nella pena e nel dolore, per cui la fede viene messa in crisi e sorge il desiderio di abbandonare la virtù sterile per un peccato ben più affascinante. È la tentazione di non essere più solitari e diversi ma di identificarsi con l’opinione corrente, col comportamento più “normale”.

Al versetto 17 la svolta: il salmista entra nel “santuario di Dio”: attraverso una rinnovata esperienza spirituale l’orante comprende la sorte dell’empio e del giusto. Il malvagio non ha avvenire mentre il giusto è raffigurato nella gioia della comunione con Dio che lo prende per mano e lo guida nella sua gloria. L’unione con Dio diventa così la meta di tutta l’esistenza, il bene più prezioso, il vertice di ogni attesa umana. In tempi di turbamento, nei momenti in cui si è stanchi di rimanere fedeli, questo salmo porta la grazia di qualche cosa di nuovo nella vita interiore. Quanto è buono Dio con i giusti, con gli uomini dal cuore puro. Per poco non inciampavano i miei piedi, per un nulla vacillavano i miei passi, perché ho invidiato i prepotenti, vedendo la prosperità dei malvagi.

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Non c'è sofferenza per essi, sano e pasciuto è il loro corpo. Non conoscono l'affanno dei mortali e non sono colpiti come gli altri uomini. Dell'orgoglio si fanno una collana e la violenza è il loro vestito. Levano la loro bocca fino al cielo e la loro lingua percorre la terra. Perciò seggono in alto, non li raggiunge la piena delle acque. Dicono: «Come può saperlo Dio? C'è forse conoscenza nell'Altissimo?». Ecco, questi sono gli empi: sempre tranquilli, ammassano ricchezze. Invano dunque ho conservato puro il mio cuore e ho lavato nell'innocenza le mie mani, poiché sono colpito tutto il giorno, e la mia pena si rinnova ogni mattina. Se avessi detto: «Parlerò come loro», avrei tradito la generazione dei tuoi figli. Riflettevo per comprendere: ma fu arduo agli occhi miei, finché non entrai nel santuario di Dio e compresi qual è la loro fine. Ecco, li poni in luoghi scivolosi, li fai precipitare in rovina. Come sono distrutti in un istante, sono finiti, periscono di spavento! Come un sogno al risveglio, Signore, quando sorgi, fai svanire la loro immagine. Quando si agitava il mio cuore e nell'intimo mi tormentavo, io ero stolto e non capivo. Ma io sono con te sempre: tu mi hai preso per la mano destra. Mi guiderai con il tuo consiglio e poi mi accoglierai nella tua gloria.

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Chi altri avrò per me in cielo? Fuori di te nulla bramo sulla terra. Vengono meno la mia carne e il mio cuore; ma la roccia del mio cuore è Dio, è Dio la mia sorte per sempre. Ecco, perirà chi da te si allontana, tu distruggi chiunque ti è infedele. Il mio bene è stare vicino a Dio: nel Signore Dio ho posto il mio rifugio, per narrare tutte le tue opere presso le porte della città di Sion. Preghiamo La tua preghiera e la tua grazia, Signore Gesù, sostenga la nostra fede, ci aiuti ad essere perseveranti e ci dia la forza di sostenere anche la fede dei nostri fratelli. Amen.

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LETTURE SPIRITUALI

Rosy Bellotti

TERESA DI L ISIEUX (1873-1897)

Maria Francesca Teresa Martin nasce il 2 gennaio 1873 ad Alençon, in Francia. L’ambiente familiare è tutto pervaso di fede e pietà. I genitori, che nella loro giovinezza avevano aspirato ambedue alla vita religiosa, formano una famiglia animati dalla preoccupazione principale del bene spirituale delle figlie. Teresa è l’ultima di nove figli, dei quali quattro morti molto piccoli. Ad Alençon Teresa conduce un’infanzia felice. Di indole e intelligenza precoce, è molto affettuosa e amata dalle sorelle. “Per tutta la vita il buon Dio si è compiaciuto a circondarmi d’amore: i miei primi ricordi sono permeati di sorrisi e carezze tenerissime”. A soli quattro anni vive la grande sofferenza della morte della mamma. Subito Teresa vede nella sorella Paolina la sua nuova mamma: “Il giorno in cui la Chiesa benedisse la spoglia mortale della nostra Mammina [ormai] del cielo, il buon Dio volle darmene un’altra in terra e volle che me la scegliessi liberamente. […] Mi gettai tra le sue braccia esclamando «Per me Paolina sarà Mamma»” e per tutta la sua infanzia Teresa si affida a Paolina per le cure materiali e spirituali. Questo dolore cambia la piccola e spensierata Teresa in una bambina molto fragile: “Dopo la morte della mamma il mio carattere felice cambiò completamente: io così vivace, così espansiva, divenni timida e mite, sensibile all’eccesso.”

Rimasto solo con cinque figlie, il padre di Teresa si trasferisce a Lisieux presso la loro zia materna per assicurare loro assistenza e consiglio.

Nel 1881 la piccola Teresa entra in semiconvitto nel collegio delle benedettine di Lisieux per ricevere l’istruzione a cui già Paolina l’aveva avviata. L’esperienza del collegio è difficile e dolorosa per lei: il suo temperamento timido e delicato mal sopporta le invidie delle compagne di scuola per la sua bravura ed intelligenza. “Il povero fiorellino era abituato a immergere le radici in un terreno scelto, fatto apposta per lui, perciò gli parve molto duro il

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trovarsi in mezzo a fiori di ogni sorta, anche dalle radici assai poco delicate, e di essere obbligato a trarre da un terreno comune il succo necessario alla sua sussistenza!”.

Dal 1883 al 1886 Teresa vive anni difficili: frequenti problemi di salute, talvolta anche molto gravi, l’entrata delle due sorelle maggiori al Carmelo, tra cui l’amata Paolina, la fatica della scuola, esasperano la sua angoscia, ma non turbano la sua fede fresca e forte, maturata in una vita famigliare ritmata dai tempi liturgici: preghiera, messa quotidiana, vespri domenicali, ritiri, pellegrinaggi, penitenze. Durante la malattia custodisce il desiderio di poter far parte, un giorno, del Carmelo: “Io sentivo che la speranza di essere carmelitana un giorno era ciò che mi faceva vivere”.

Nel 1884 riceve la prima Comunione e già mostra un profondo desiderio di unione a Gesù: “Ah come fu dolce il primo bacio che Gesù diede alla mia anima!... Fu un bacio d’amore, mi sentivo amata e dicevo anch’io: «Ti amo, mi dono a te per sempre». Non ci furono domande, né lotte né sacrifici: da tempo Gesù e la povera Teresa si erano guardati e compresi… Quel giorno non era più uno sguardo, ma una fusione: non erano più due, Teresa era scomparsa come la goccia d’acqua che si perde nell’oceano. Gesù solo restava, era il Maestro, il Re.”

La notte di Natale del 1886 ottiene la grazia della sua “completa conversione”. Riceve la forza di Cristo e supera l’eccessiva timidezza, l’ipersensibilità e le innumerevoli paure che la rendevano molto fragile.

“Fu il 24 dicembre 1886 che ricevetti la grazia di uscire dall’infanzia, in una parola, la grazia della mia completa conversione”. Ormai rassicurata, si apre a grandi desideri.

“ In quella notte luminosa incominciò il terzo periodo della mia vita, il più bello, il più colmo di grazie celesti. Il lavoro che non avevo potuto fare in dieci anni, Gesù lo fece in un istante, contentandosi della mia buona volontà, che non mi era mancata; io potevo dirgli, come i suoi apostoli: «Signore, ho pescato tutta la notte senza prendere niente» (Lc. 5,5), e, ancor più misericordioso per me che con i suoi discepoli, Gesù prese Lui stesso la rete, la gettò e la ritrasse piena di pesci… Egli fece di me un «pescatore d’anime». Infatti provai un gran desiderio di lavorare alla conversione dei peccatori, desiderio non mai sentito così vivamente… Sentii la carità entrarmi nel cuore, il bisogno di dimenticare me stessa per far piacere agli altri, e da allora fui felice!...”.

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Alcuni mesi dopo viene a sapere della condanna a morte di un

assassino: i gravi crimini commessi lasciavano pensare che sarebbe morto impenitente. Teresa si prodiga in preghiere e ne ottiene la conversione. È, per lei, il segno che Gesù la chiama per la conversione dei peccatori.

“Che risposta di ineffabile dolcezza! Dopo quella grazia veramente unica, il mio desiderio di salvare anime crebbe ogni giorno”.

Nel 1887 Teresa rivela al padre il desiderio di entrare al Carmelo, ricevendo la sua approvazione fiduciosa in Dio: “Papà con il suo carattere semplice e retto si convinse presto che il mio desiderio era quello di Dio stesso, e nella sua fede profonda esclamò che il buon Dio gli faceva un grande onore a chiedergli così le sue figliole”.

La sua tenera età, però, è di ostacolo presso i superiori ecclesiastici ed inizia, per Teresa, l’itinerario di colloqui e incontri che, in occasione d’un viaggio con il padre in Italia, la porterà fino a Roma davanti al Papa, intenzionata a dimostrare la verità della sua vocazione. “Insomma, se non avessi avuto una vera vocazione, mi sarei arrestata al principio, perché incontrai ostacoli appena incominciai a rispondere alla chiamata di Gesù”.

Durante il viaggio in Italia Teresa ha modo di visitare molte città d’arte: ne contempla le bellezze che rafforzano in lei l’amore per il Signore: “Contemplando tante bellezze, mi nascevano nell’anima pensieri profondi. Mi sembrava comprendere già le meraviglie del Cielo e la grandezza di Dio”.

Dopo il colloquio con il Papa, che sembra non ottenere esito positivo, Teresa sente che anche nella fatica di rispondere alla sua vocazione è presente la volontà del Signore. “Già da qualche tempo mi ero offerta a Gesù Bambino per essere il suo piccolo giocattolo: gli avevo detto di servirsi di me non come di un giocattolo di prezzo che i bambini si contentano di guadare senza osar di toccarlo, ma come di una pallina di nessun valore che Egli poteva gettare a terra, spinger col piede, bucare, lasciare in un cantuccio, oppure stringere al cuore, se questo gli facesse piacere: volevo abbandonarmi ai suoi capricci infantili… Egli aveva esaudito la mia preghiera.

A Roma Gesù bucò il suo giocattolino; voleva vedere cosa vi era dentro e poi avendolo veduto, contento della sua scoperta, lasciò cadere in terra la sua pallina e si addormentò… Che fece nel suo dolce sonno, e che divenne la palla abbandonata?... Gesù sognò di

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divertirsi ancora col suo giocattolo, lasciandolo e prendendolo ripetutamente, e che dopo averlo fatto rotolare molto lontano, Egli se lo stringeva al cuore senza permettere più che si allontanasse dalla sua manina…”. Teresa, tuttavia, persevera nella speranza: “Tutta la mia speranza riposava in Dio solo”, e rimane consapevole che “per i suoi intimi [il Signore] non fa miracoli, se non dopo aver messo alla prova la loro fede […] . Gesù agì ugualmente con la sua piccola Teresa: dopo averla provata per lungo tempo, colmò tutti i desideri del suo cuore”.

Nell’aprile del 1888 Teresa fa il suo ingresso al Carmelo, dando pieno compimento alle parole del Papa: “Lei entrerà se Dio lo vorrà”. Per volere della priora assume il nome di Teresa di Gesù Bambino, realizzando un suo desiderio segreto. Al Carmelo trova per sempre la sua pace: “Finalmente i miei desideri erano realizzati. Sentivo nell’anima una pace così dolce e profonda che non posso esprimerla; e da sette anni e mezzo questa intima pace è stata la mia parte, e non mi ha abbandonato neppure tra le più grandi prove”. Entrata al Carmelo “per salvare anime e soprattutto a pregare per i sacerdoti”, Teresa inizia la sua missione nel rispetto della Regola, nella carità verso le consorelle, nell’oblazione della sofferenza e nel desiderio unico e totale dell’amore di Gesù. “Sì, la sofferenza mi aprì le braccia e io mi ci sono gettata con amore […]. Quando si vuol raggiungere uno scopo bisogna prenderne i mezzi: Gesù mi fece comprendere che mi avrebbe dato anime per mezzo della croce, e la mia attrattiva per la sofferenza crebbe man mano che il patimento aumentava”. “La preghiera ed il sacrificio umano formano tutta la mia forza, sono le armi invincibili datemi da Gesù; possono commuovere le anime molto meglio delle parole, ne ho fatto l’esperienza molto spesso”. “ Oh, com’è soave la via dell’Amore…Come voglio applicarmi a compiere sempre, col più grande abbandono, la volontà di Dio!”. Con questa disposizione interiore compie la sua professione religiosa nel 1890. Coltiva la sua fede attraverso la lettura di San Giovanni della Croce e dell’Imitazione di Cristo: “Quanti lumi non ho attinto dalle opere del nostro Santo Padre Giovanni della Croce!”, ma comprende che solo il Vangelo può darle tutto ciò che l’anima ricerca: “Ma è soprattutto il Vangelo che mi occupa durante le mie orazioni, in lui trovo tutto ciò che è necessario alla mia povera

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piccola anima; vi scopro sempre nuovi lumi, sensi misteriosi e nascosti…”. Pur attraversando periodi di aridità spirituale, riceve la grazia di un puro misticismo: “Mi sembra che l’Amore mi pervada e mi circondi: mi sembra che ad ogni istante questo Amore misericordioso si rinnovi, mi purifichi l’anima e non vi lasci più traccia di peccato”. Dopo una lunga sofferenza nel 1894 muore il padre di Teresa. Nel 1895 Teresa si ammala di tubercolosi ed ha il primo episodio di emottisi: la sua salute è molto compromessa e, pur con intervalli di quiete, si avvia ad una sofferenza lunga e al limite della sopportazione, che la accompagnerà fino al 30 settembre 1897, quando con totale abbandono si consegna a Dio: “Il calice è colmo fino all’orlo, non posso spiegarmi quello che soffro se non con il mio desiderio estremo di salvare anime… Ma non mi pento di essermi abbandonata all’Amore!...” (dal racconto degli ultimi giorni, riferito dalla sorella M. Agnese di Gesù). Le sue ultime parole sono: “Mio Dio... ti amo!”.

Nel 1898 viene pubblicata la “Storia di un’anima”, l’insieme degli scritti autobiografici di Teresa: tre manoscritti, diversi tra loro, composti negli ultimi anni di vita per volontà delle sue sorelle maggiori e delle superiore del Carmelo.

Il manoscritto A (1895-1896) comprende i ricordi d’infanzia; il manoscritto B (1896) è una risposta alla sorella maggiore suor Maria del Sacro Cuore, che desiderava conoscere il segreto della vita interiore di Teresa; il manoscritto C (1987) raccoglie i ricordi di Teresa relativi alla sua vita religiosa. Restano, inoltre, preghiere e poesie composte da Teresa.

Teresa scrive come sa, senza alcuna preoccupazione di essere letta o di realizzare un’opera letteraria: usa un vocabolario povero che riflette la semplicità della sua anima, carico di vezzeggiativi e di espressioni infantili, secondo la forma della letteratura romantica. Il periodare non è sempre scorrevole e i pensieri a volte si intrecciano… Eppure raggiunge una grazia e una poesia di immagini che arrivano al lettore senza bisogno di mediazioni e che ben ritraggono il suo tesoro spirituale. È il suo cuore che parla.

Teresa ha dato alla sua vita religiosa il titolo di “infanzia spirituale”, conformemente all’invito di Gesù a farsi piccoli come i bambini, e denomina “piccola via” il cammino che porta a Dio.

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Nell’ordinarietà del quotidiano, nella fedeltà alla propria

vocazione, nella gioiosa carità, nell’umiltà e nella semplicità dei desideri Teresa trova la via che la conduce diritta al Padre, una via fatta di confidenza e di abbandono filiale tra le braccia di Dio. L’amore e l’infinita misericordia del Padre sono per lei fonte di vita e meta ultima.

Il suo rapporto con Dio ci presenta un Padre misericordioso e tenero verso chi, persuaso della propria debolezza e delle proprie miserie, si volge a lui con illimitata fiducia.

Forte è il desiderio di Teresa di diffondere a tutti gli uomini questo Amore Misericordioso: da qui deriva il suo essere missionaria pur tra le mura del convento. MANOSCRITTO A La santità consiste nel fare la volontà di Dio “Ho aperto il Santo Vangelo, gli occhi mi sono caduti su queste parole: «Gesù, salito su una montagna, chiamò a sé quelli che volle, ed essi andarono da lui» (Mc. 3,13). Ecco il mistero della mia vocazione, di tutta la mia vita e soprattutto il mistero dei privilegi di Gesù concessi alla mia anima… Egli non chiama quelli che ne sono degni, ma quelli che vuole, o, come dice san Paolo: «Dio ha pietà di chi vuole, e usa misericordia a quelli cui vuole usarla. Non si tratta dunque dell’opera di chi vuole o si affanna, ma di Dio che usa misericordia» (Rom. 9, 15-16). A lungo mi sono chiesta perché il buon Dio avesse delle preferenze, perché le anime non ricevessero tutte lo stesso grado di grazie.[…] Gesù si è degnato di istruirmi su questo mistero: mi ha messo davanti agli occhi il libro della natura e ho capito come tutti i fiori che ha creato sono belli, e che lo splendore della rosa e il candore del giglio nulla tolgono al profumo della violetta o all’affascinante semplicità della pratolina. […] Lo stesso accade nel mondo delle anime che è il giardino di Gesù. Ha voluto creare i grandi santi, che si possono paragonare ai gigli e alle rose; ma ne ha creati anche di più piccoli, e questi devono accontentarsi di essere pratoline o violette, destinate a rallegrare lo sguardo del buon Dio quando lo abbassa a suoi piedi. La perfezione consiste nel fare la sua volontà, nell’essere quel che vuole che siamo… Inoltre, ho capito che l’amore di Nostro Signore si rivela all’anima più semplice, che non si oppone in nulla sua grazia, tanto quanto nell’anima più sublime: infatti, è proprio dell’amore il sapersi abbassare. […] Mi sembra che se un fiorellino sapesse parlare, direbbe solo quello che il buon Dio ha fatto per lui, senza cercare di nascondere i

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suoi benefici. […] Il fiore che sta per raccontare la sua storia, si rallegra di poter proclamare i favori totalmente gratuiti di Gesù, riconoscendo che niente in lui era tale da attirare il suo sguardo divino, e che solamente la sua misericordia ha fatto tutto ciò che c’è di buono in esso.” “Pensavo di essere nata per la gloria, e cercavo di trovare il modo per raggiungerla. […] Il Signore mi fece anche capire che la mia gloria non sarebbe apparsa agli occhi mortali, ma che sarebbe consistita nel diventare una grande Santa!!!... Questo desiderio potrebbe sembrare temerario, se si considera quanto ero debole e imperfetta, e quanto ancora lo sono dopo sette anni di vita religiosa; tuttavia avverto sempre la stessa audace fiducia di diventare una grande Santa, perché non conto sui miei meriti – dato che non ne ho alcuno -, bensì spero in Colui che è la Virtù, la Santità stessa. Lui solo, accontentandosi dei miei deboli sforzi, mi innalzerà fino a Sé e, coprendomi con i suoi meriti infiniti, mi farà Santa.” Anima semplice “Una buona Madre anziana […], un giorno in ricreazione mi disse ridendo: «Fogliolina mia, credo che lei non debba avere molte cose da dire alle sue Superiore». «Perché Madre, mi dice questo?» «Perché la sua anima è estremamente semplice, ma quando sarà perfetta lei sarà ancor più semplice; più ci si avvicina a Dio, più ci si semplifica». La buona Madre aveva ragione.” Il giorno della professione religiosa “Il mattino dell’8 settembre mi sentivo inondata da un oceano di pace (Is. 66,12) e fu in questa pace che supera ogni sentimento ch’io pronunziai i Santi Voti. La mia unione con Gesù avvenne non tra fulmini e saette, cioè in mezzo a grazie straordinarie, ma in seno ad uno zeffiro leggero, simile a quello udito dal Nostro Santo Padre Elia sul monte (III Re, 19,12). Quante grazie non domandai quel giorno! Mi sentivo veramente la Regina, perciò approfittai del mio titolo per liberare i prigionieri, ottenere i favori del Re per i suoi sudditi ingrati, cioè volevo liberare tutte le anime del Purgatorio e convertire i peccatori…Pregai molto per la Madre mia, le mie carissime sorelle, per tutta la famiglia, ma soprattutto per il mio babbino così provato e così santo… Mi sono offerta a Gesù affinché Egli compia in me perfettamente la sua volontà, senza che le creature possano mettervi ostacolo…”.

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Biglietto della professione religiosa “o Gesù, mio sposo divino! Che io non perda mai la seconda veste del mio battesimo! Prendimi prima che faccia la più piccola colpa volontaria. Che io non cerchi e non trovi mai che te solo, che le creature siano niente per me e che io sia niente per esse, ma te, Gesù, sia tutto… Che le cose della terra non possano mai turbare l’anima mia, che nulla turbi la mia pace. Gesù, non ti domando che la pace, ed anche l’amore, l’amore infinito senza altro limite che te…, l’amore che faccia sì che non sia più io a vivere, ma te, mio Gesù. Gesù, che per te io muoia martire, il martirio del cuore o del corpo o piuttosto tutti e due… Dammi di adempiere ai miei voti in tutta la loro perfezione, e fammi comprendere ciò che deve essere una sposa tua. Fa’ che io non sia mai di peso alla comunità, ma che nessuno si occupi di me, che io sia considerata qualcosa da calpestare, dimenticata come un granello di sabbia tuo, o Gesù. Che la tua volontà sia fatta perfettamente in me, che io giunga al posto che tu sei andato avanti a prepararmi… (Gv. 14,3) Gesù, fa’ che io salvi molte anime, che oggi non ce ne sia neppure una dannata, e che tutte le anime del purgatorio siano salvate … Gesù perdonami se dico delle cose che non si devono dire, io non voglio che rallegrarti e consolarti”. MANOSCRITTO B La scienza dell’Amore “La scienza d’amore! Ah sì, questa parola mi risuona dolcemente all’orecchio dell’anima mia: io non desidero che questa scienza qui; per essa, pure avendo dato ogni mia ricchezza, come la Sposa del Cantico, mi sembra non aver dato nulla (Cant.8,7). Comprendo così bene che soltanto l’amore può renderci graditi al buon Dio, che questo amore è l’unico bene che io bramo. Gesù si compiace di mostrarmi l’unico sentiero che conduce a questa fornace divina: questo sentiero è l’abbandono del bambino piccolo che si addormenta senza timore tra le braccia di suo padre… «Se qualcuno è molto piccolo, venga a me! » (Prov. 9,4) ha detto lo Spirito Santo per bocca di Salomone, e questo medesimo Spirito d’Amore ha detto anche che «la misericordia è usata con i piccoli» (Sap. 6,7); in suo nome il profeta Isaia ci rivela che nell’ultimo giorno «il Signore condurrà il suo gregge al luogo del pascolo, raggrupperà gli agnellini e li stringerà al seno» (Is. 40,11) e come se tutte queste promesse non bastassero, il medesimo profeta, il cui sguardo ispirato penetrava già le profondità eterne, esclama nel nome del Signore: «Come una madre

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carezza il suo bambino, così io vi consolerò, vi porterò in braccio e vi cullerò sulle ginocchia» (Is. 66,12-13). O Madre carissima, dopo un simile linguaggio, non ci resta più che tacere, e piangere di riconoscenza e d’amore… Ah! Se tutte le anime deboli ed imperfette sentissero ciò che sente la più piccola di tutte le anime, l’anima della sua Teresina, non una sola dispererebbe di giungere sulla cima del monte dell’amore, poiché Gesù non chiede opere grandi, ma soltanto l’abbandono e la riconoscenza. Egli ha detto nel Salmo 49: «[…] offrite a Dio sacrifici di lode e di ringraziamento». La vocazione all’Amore “Mi caddero sotto gli occhi i capitoli 12-13 della prima epistola ai Corinzi.[…] L’apostolo spiega come i doni più perfetti sono nulla senza l’amore… che la carità è la via eccellente, che conduce sicuramente a Dio. Finalmente avevo trovato riposo!... Considerando il corpo mistico della chiesa, non mi ero riconosciuta in nessuno dei membri descritti da S. Paolo, o piuttosto volevo riconoscermi in tutti. La carità mi offrì la chiave della mia vocazione. Compresi che se la chiesa aveva un corpo composto di varie membra, non le mancava l’organo più necessario, il più nobile di tutti: compresi che la Chiesa aveva un cuore, e che questo cuore era infiammato d’amore. Compresi che l’amore soltanto fa agire le membra della Chiesa.[…] Compresi che l’amore racchiudeva tutte le vocazioni, che l’amore era tutto, che abbracciava tutti i tempi e tutti i luoghi, in una parola: che l’amore è eterno… Allora, nell’eccesso della mia gioia delirante, ho esclamato: o Gesù, Amor mio, finalmente ho trovato la mia vocazione: la mia vocazione è l’Amore!... Sì, ho trovato il mio posto nella Chiesa, e questo posto me lo avete dato Voi, mio Dio… nel cuore della Chiesa, che mi è madre… io sarò l’Amore…così sarò tutto, così il mio sogno sarà realizzato! Perché parlare di gioia delirante, no, questa espressione non è giusta: è piuttosto la pace calma e serena del navigatore in vista del faro che gli indica il porto… O Faro luminoso dell’amore, so come giungere fino a te, ho trovato il segreto di appropriarmi della tua fiamma. Io non sono che una bambina, impotente e debole, tuttavia è la mia stessa debolezza che mi dà l’audacia di offrirmi Vittima al tuo Amore, o Gesù![…] Sì, mio diletto, ecco come si consumerà la mia vita… non ho altro modo di provarti il mio amor che spargere fiori, cioè non lasciarmi sfuggire nessun piccolo sacrificio, nessuno sguardo, nessuna

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parola, approfittare di tutte le più piccole cose, e farle per amore. Voglio soffrire per amore, ed anche gioire per amore; così spargerò fiori dinanzi al tuo trono; non ne incontrerò uno solo senza sfogliarlo per te… E poi, lanciando i miei fiori, canterò (e si potrebbe forse piangere compiendo una così gioconda azione?), io canterò, anche quando dovrò cogliere i miei fiori in mezzo alle spine; e il mio canto sarà tanto più melodioso, per quanto le spine saranno lunghe e pungenti. A cosa ti serviranno, o Gesù, i miei fiori ed i miei canti? … Ah, lo so bene: questa pioggia profumata, questi petali fragili e di nessun valore, questi canti d’amore del più piccolo dei cuori, ti rapiranno; sì, questi piccoli nulla ti faranno piacere: faranno sorridere la Chiesa trionfante, che raccoglierà i miei fiori sfogliati per amore e li farà passare nelle tue mani divine, o Gesù; la Chiesa celeste vorrà giocare col suo bambino e lancerà anch’essa questi fiori che dal tuo tocco divino avranno acquistato un valore infinito, li lancerà sulla Chiesa purgante per spegnerne le fiamme, sulla Chiesa militante per farle conseguir vittoria!...”. Debole uccellino “Un’anima imperfetta come la mia, come può aspirare al possesso della pienezza dell’amore? O Gesù, mio primo ed unico Amico, te che amo unicamente, dimmi dunque, cos’è questo mistero?... Perché non riservi queste aspirazioni immense alle anime grandi, alle aquile che si librano nelle altezze?... Io invece mi considero un debole uccellino coperto soltanto di tenera lanugine, non sono un’aquila, ne ho semplicemente gli occhi e il cuore; infatti, malgrado la mia estrema piccolezza, oso fissare il Sole Divino, il Sole dell’Amore, ed il mio cuore sente in sé tutte le aspirazioni dell’Aquila. […] Tutto quanto può fare [l’uccellino] è sollevar le sue alucce, poiché spiccare il volo non è nel suo limitato potere! E che farà dunque? Morirà di dolore vedendosi tanto impotente?... O no! L’uccellino non se ne affliggerà neppure: con un abbandono audace rimarrà a fissare il suo Sole divino; nulla varrà a spaventarlo, né la pioggia né il vento; e se nubi scure vengono a nascondere l’Astro d’Amore, l’uccellino non cambia posto, sapendo che al di sopra delle nuvole il suo Sole splende sempre, che il suo splendore non potrebbe eclissarsi un solo istante. Talvolta, è vero, il cuore dell’uccellino si trova assalito dalla tempesta, gli sembra di non credere che esista altro al di fuori delle nuvole che lo avvolgono. È questo il momento della gioia perfetta per

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la povera debole creatura; che felicità rimanere lì ad ogni costo, fissare l’invisibile luce che si nasconde alla sua fede! […] O Gesù, come è felice il tuo uccellino di esser debole e piccolo!... che farebbe se fosse grande?”. MANOSCRITTO C La piccola via “Ella lo sa, Madre mia, io ho sempre desiderato di farmi santa, ma ho sempre constatato, ahimè!, nel paragonarmi ai santi, che tra loro e me vi è la stessa differenza che esiste tra una montagna la cui cima si perde nelle nuvole, e il granellino di sabbia scura calpestato dai passanti. Ma invece di scoraggiarmi, mi sono detta: «Il Signore non potrebbe ispirare desideri irrealizzabili; malgrado la mia piccolezza, io posso dunque aspirare alla santità. Farmi grande, è impossibile; devo sopportarmi così come sono, con tutte le mie imperfezioni; ma voglio cercare il mezzo di andarmene in Paradiso per una strada dritta, dritta, corta corta, una stradina proprio nuova. Siamo nel secolo delle invenzioni; adesso non val più la pena di salire i gradini di una scala: presso i ricchi un ascensore la sostituisce comodamente; ed io vorrei trovare un ascensore per innalzarmi fino a Gesù, perché sono troppo piccola per salire l’aspra scala della perfezione». Allora ho cercato nei Libri santi l’indicazione dell’ascensore che desideravo, ed ho letto queste parole uscite dalla bocca della Eterna Sapienza: «Se qualcuno è molto piccolo venga a me» (Prov. 9,3). Sono dunque venuta, intuendo di aver trovato quanto cercavo; e volendo sapere, mio Dio, ciò che fareste al piccolissimo che rispondesse al vostro appello, ho continuato le mie ricerche ed ecco quanto ho trovato: «Come una madre carezza il suo bambino, così io vi consolerò, vi porterò in braccio e vi cullerò sulle ginocchia» (Is. 66,13). Ah! Mai parole più tenere, più melodiose vennero a rallegrare l’anima mia: l’ascensore che deve issarmi fino al cielo sono le vostre braccia, o Gesù! Perciò non ho bisogno di crescere, occorre, al contrario, che io resti piccola, che lo divenga sempre di più. O Dio mio, Voi avete superato la mia aspettativa ed io voglio cantare le vostre misericordie!”. La carità “Quest’anno, Madre mia, il Signore mi ha fatto la grazia di comprendere cos’è la carità. […] All’Ultima Cena dice con tenerezza inesprimibile: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate scambievolmente; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni

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gli altri. Il segno da cui tutti sapranno che siete miei discepoli è che vi amiate scambievolmente». (Gv. 13,34). In qual modo Gesù ha amato i suoi discepoli, e perché li ha amati? Ah! Non erano davvero le loro qualità naturali che potevano attrarre il suo amore, tra Lui e i discepoli vi era una distanza infinita. […] Eppure Gesù li chiama suoi amici, fratelli, vuol vederli regnare con Lui nel regno di suo Padre, e per aprir loro questo regno vuol morire su di una croce, poiché ha detto:«Non vi è amore più grande che quello di dar la vita per coloro che si amano» (Gv. 15,13). Diletta Madre, meditando queste parole di Gesù compresi quanto era imperfetto il mio amore per le mie consorelle, compresi che non le amavo come le ama il Signore. Adesso capisco che la carità perfetta consiste nel sopportare i difetti degli altri, non stupirsi delle loro debolezze, edificarsi dei più piccoli atti di virtù che si vedono praticare, ma soprattutto comprendo che la carità non deve assolutamente restar chiusa in fondo al cuore. […] Ah, Signore, so che non comandate niente che sia impossibile, Voi conoscete meglio di me la mia debolezza, la mia imperfezione e sapete bene che io non potrò mai amare le mie consorelle come le amate Voi, se Voi stesso, mio Gesù, non le amate anche in me.[…] Sì, lo sento infatti, quando sono caritatevole è soltanto Gesù che agisce in me; più sono unita a Lui, più amo tutte le mie sorelle”. Atto d'offerta all'Amore Misericordioso del buon Dio (1895) “Offerta di me stessa come vittima di olocausto all'Amore misericordioso del Signore. O mio Dio, Trinità beata! desidero amarvi e farvi amare, lavorare per la glorificazione della santa Chiesa, salvando le anime che sono sulla terra e liberando quelle che soffrono nel purgatorio. Desidero compiere perfettamente la vostra volontà e giungere al grado di gloria che Voi mi avete preparato nel vostro regno. In una parola, desidero farmi Santa, ma sento la mia impotenza e vi chiedo, o mio Dio, di essere Voi stesso la mia santità. Poiché mi avete amata fino a darmi il vostro unico Figlio perché fosse il mio salvatore e il mio sposo, i tesori infiniti dei suoi meriti sono i miei: ve li offro con gioia, supplicandovi di non guardarmi se non attraverso il volto di Gesù e nel suo cuore ardente d'amore. Vi offro anche tutti i meriti dei Santi (che stanno in Paradiso e sulla terra), i loro atti d'amore e quelli dei Santi Angeli; infine vi offro, o Trinità beata!, l'amore e i meriti della Vergine santa, mia cara Madre; abbandono a Lei la mia offerta, pregandola di presentarvela. Il suo divin Figlio, mio Sposo diletto, durante la sua vita mortale ci ha detto: «Tutto ciò che domanderete al Padre nel mio nome, ve lo

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concederà»! (Gv. 16,23). Sono dunque sicura che esaudirete i miei desideri; lo so, mio Dio! più volete dare, più fate desiderare (S. Giovanni della Croce). Sento in cuore dei desideri immensi e con fiducia vi chiedo di venire a prendere possesso dell’anima mia. Ah! non posso ricevere la santa comunione così spesso quanto lo desidero, ma, Signore, non siete voi Onnipotente?... Rimanete in me come nel tabernacolo, non allontanatevi mai dalla vostra piccola ostia... Vorrei consolarvi dell'ingratitudine dei cattivi e vi supplico di togliermi la libertà di dispiacervi. Se per debolezza cado talvolta, subito il vostro sguardo divino purifichi l’anima mia consumando tutte le mie imperfezioni, come il fuoco che trasforma ogni cosa in se stesso... Vi ringrazio, mio Dio, di tutte le grazie che mi avete concesse, in particolare di avermi fatto passare per il crogiolo della sofferenza. Con gioia vi contemplerò, l’ultimo giorno, con lo scettro della croce. Poiché vi siete degnato di darmi in eredità questa croce così preziosa, spero di rassomigliarvi in cielo e veder splendere sul mio corpo glorificato le sacre stimmate della vostra Passione… Dopo l'esilio della terra, spero di venire a godere di Voi nella Patria, ma non voglio accumulare meriti per il cielo, voglio lavorare per il solo Amore vostro, nell’unico fine di farvi piacere, di consolare il vostro Sacro Cuore e di salvare anime che vi ameranno eternamente. […] Per vivere in un atto di amore perfetto, io mi offro quale vittima d'olocausto al vostro amore misericordioso, supplicandovi di consumarmi incessantemente, lasciando traboccare nell’anima mia i flutti di tenerezza infinita racchiusi in Voi, e così che io divenga martire del vostro amore, o mio Dio!... Che questo martirio, dopo avermi preparata a comparire davanti a voi, mi faccia infine morire e che la mia anima si slanci senza alcuna sosta all’abbraccio eterno del vostro amore misericordioso... O mio Diletto, voglio rinnovarvi questa offerta ad ogni battito del mio cuore un numero infinito di volte, fino a che, dissipatesi le ombre (Cant. 4,6), io possa ridirvi il mio amore in un eterno faccia a faccia!...”.

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KRÓNOS

MESSAGGIO DEL CARDINALE

ARCIVESCOVO ALLE FAMIGLIE

Milano, 26 gennaio 2003 Festa della Santa Famiglia

Carissime famiglie, c’è una frase bellissima nel Vangelo, con la quale Gesù ci assicura la sua presenza: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Matteo 18,20). Sono parole che si adattano in un modo tutto particolare alla coppia e alla famiglia. Vogliamo lasciarci illuminare da queste parole nel celebrare la Festa della S.Famiglia, che quest’anno siamo chiamati a vivere con una specifica attenzione alla preghiera, mentre tantissime famiglie si trovano riunite a Manila per il loro IV incontro mondiale, dal tema: “La famiglia cristiana: una buona novella per il terzo millennio”. Sento vivo il bisogno di rinnovare a tutte voi, famiglie, l’invito e l’incoraggiamento a pregare, a riunirvi come “comunità familiare” (chiesa domestica) che proprio nella preghiera, vissuta tra le pareti della casa, trova un momento qualificante e irrinunciabile per la sua fede. È vero, alcune volte noi viviamo anche senza pregare; altre volte, invece, sono gli stessi momenti faticosi e pesanti delle nostre giornate a costringerci, quasi, a pregare. Ma, così facendo, avvertiamo che il nostro è come un vivere respirando affannosamente, muovendoci senza orientamento, rimanendo soli, privi cioè della presenza amorosa di Dio, che come Padre accompagna la nostra vita e quella delle persone che ci sono care. Ma pregare non è affatto un’impresa impossibile: anche nelle condizioni di vita di oggi, nella fretta esagerata e nelle tante o troppe occupazioni, dentro la fatica, la malattia, il dolore che non poche volte sperimentate nella vostra esperienza familiare, il Signore ha preparato per voi il dono della preghiera. "Signore, insegnaci a pregare”(Luca 11,1). Non abbiate paura a rivolgere questa invocazione al Signore. Non stancatevi di ripeterla, come sposi, come genitori, come figli. Il Padre, ci assicura Gesù, “concede lo Spirito santo a coloro che glielo chiedono” (Luca 11,13).

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Ma quale può essere la preghiera nelle vostre case? Il Sinodo 47° della nostra Chiesa ambrosiana ci offre una sintesi interessante: ricca, precisa e stimolante. Ecco come descrive la modalità della preghiera cristiana in famiglia: «Le nostre comunità parrocchiali sono composte prevalentemente da famiglie. Il “culto spirituale” che in esse si svolge si identifica con le espressioni dell’affetto sponsale; con la riconoscente accoglienza della vita, la lieta condivisione del cibo, il godimento della salute e della guarigione, l’offerta della malattia e della sofferenza, l’esperienza del lavoro, della scuola e della vacanza; con le feste degli anniversari e dei compleanni, l’oblazione della vita che muore e la memoria perenne dei propri defunti. Queste molteplici forme trovano la loro cristiana ispirazione nella lettura comunitaria e personale della sacra Scrittura, nella preghiera familiare e nella partecipazione alla liturgia eucaristica nel giorno del Signore e di questa sono espressione e continuazione nel quotidiano» (Costituzione 68). Come si vede, non si può pregare mettendo tra parentesi le situazioni concrete della vita, né si può pensare di vivere la vita ‘come se Dio non esistesse’. C’è, dunque, un dialogo essenziale tra la preghiera e la vita, tra la vita e la preghiera. Proprio questo “dialogo” la famiglia cristiana è chiamata a realizzare, educando ad esso tutti i suoi membri. Ed è questo il contributo specifico che la famiglia deve portare nella grande famiglia della comunità cristiana, dalla quale peraltro dovrà essere aiutata a vivere questo suo compito prezioso e insostituibile. Chiedo con tanta fiducia alle comunità parrocchiali di sostenere il cammino spirituale delle famiglie, curando innanzitutto i momenti della preghiera comunitaria, ai quali le famiglie sono presenti. Esorto pertanto le parrocchie ad assicurare alle famiglie, secondo le indicazioni del Papa, quell’aiuto spirituale particolare - da non sottovalutare affatto - che è il santo Rosario, definito preghiera della famiglia e per la famiglia (Lettera Rosarium Virginis Mariae, n. 41). Invito tutti a dare attuazione alle preghiere proposte per questa Giornata: la benedizione della mensa, la preghiera per i fidanzati che si preparano al matrimonio, la preghiera per le mamme che stanno attendendo una nuova vita. Desidero ora rivolgermi in modo particolare agli sposi, ai genitori, ai figli. Agli sposi ricordo che la loro relazione coniugale, trovando la sua radice e la sua forza nella relazione con Dio, potrà essere rinnovata e resa perfetta proprio grazie alla preghiera. Saranno allora spontanei il ringraziamento per l’esperienza dell’amore reciproco, l’invocazione del dono della generazione della vita, la richiesta di aiuto per accompagnare e proteggere la vita nascente, la domanda per avere il

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coraggio e la gioia di perdonarsi e ricominciare a volersi bene… Ai genitori richiamo le parole del Papa: “Solo pregando insieme con i figli, il padre e la madre scendono in profondità nel loro cuore, lasciando tracce che i successivi eventi della vita non riusciranno a cancellare” (Esortazione Familiaris consortio, n. 60). Quale grande aiuto può derivare dalla preghiera per la non facile ma esaltante missione educativa che a voi genitori viene da Dio affidata! Ai figli rivolgo l’invito a guardare a Gesù: come figlio, pregava con Maria e Giuseppe nella casa di Nazaret, oppure con loro prendeva parte al pellegrinaggio annuale a Gerusalemme. Accettate volentieri l’invito di papà e mamma a pregare, soprattutto se vi state preparando a ricevere i sacramenti dell’Eucaristia e della Cresima. E, senza paura, chiedete loro non tanto di ricordarvi che dovete “dire” le preghiere, ma di ritrovarvi tutti insieme uniti per dar vita ad una preghiera veramente “familiare”. In particolare, ai giovani chiedo che sappiano amare e coltivare la preghiera personale: solo così possono ricevere luce, orientamento e forza per riconoscere la propria vocazione e per seguirla con generosa fedeltà. In questo modo, con il contributo di tutti, genitori e figli, anche la vostra ‘piccola chiesa’ potrà diventare - come dice il Papa - “la casa e la scuola della preghiera” (Lettera Novo millennio ineunte, n. 43). Infine, chiedo che la vostra preghiera diventi “intercessione” per tutte quelle famiglie che - anche in mezzo a noi - sono state toccate dalle difficoltà del posto di lavoro, dalle calamità naturali, dalla malattia, dalle tensioni e divisioni, dalla scomparsa di persone care, da altre prove … Sarà questa stessa “preghiera di intercessione” ad aprire la strada per vivere una condivisione e una solidarietà più sincera, operosa e incisiva. “Vita e benedizione sulla casa che teme il Signore” : così ci fa pregare la liturgia. Così prego anch’io per voi e così vi auguro di cuore, carissime famiglie. Desidero con la mia preghiera e con il mio affetto entrare in ciascuna delle vostre case e donare al vostro cuore la gioia e la pace di Cristo Signore. + Dionigi Card. Tettamanzi Arcivescovo di Milano

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SE CERCHI UN LIBRO ELOGIO DELLA PICCOLEZZA Luigi Pozzoli San Paolo € 8,00 La piccolezza ha un fascino straordinario. Si riveste infatti di leggerezza, di scioltezza, di sorridente ironia, di affettuosa fiducia nei confronti della vita che ad ogni alba rinasce e invita a sperare. Al fascino della piccolezza si è arreso anche Dio il quale, attraverso la vicenda esemplare di quel meraviglioso «piccolo» che è stato Gesù, ha voluto esprimere tutto il suo divino stupore per le creature fragili e oscure che però hanno il dono di irradiare la luminosa bellezza della bontà. Viene in mente una frase di Tagore: «Dio si stanca dei grandi regni, mai dei piccoli fiori».Queste pagine si propongono di ospitare e di trasmettere alcune suggestioni riguardanti la piccolezza evangelica, modulandole sulla «piccola musica» di un linguaggio che vuol essere leggero e al tempo stesso aperto a quelle vibrazioni profonde che nascono dall’incontro con un Dio piccolo e leggero. IL CAMMINO DELL’UOMO Martin Buber Qiqajon € 5,00 Così Hermann Hesse scriveva a Martin Buber: “Tra i suoi scritti, Il cammino dell’uomo è indubbiamente quanto di più bello io abbia letto. La ringrazio di cuore per questo dono così prezioso e inesauribile. Lascerò che mi parli ancora molto spesso”. Un autentico capolavoro in miniatura, il cui messaggio si rivela inesauribile proprio perché parla al cuore di ogni uomo in ogni tempo e in ogni situazione. Un libro che obbliga a pensare e invita a imboccare il cammino dell’autentica crescita umana in armonia con gli altri uomini e con il mondo intero. L’IMITAZIONE DI CRISTO Versione di Ugo Nicolini Presentazione di Enzo Bianchi San Paolo € 6,2 «L’ Imitazione di Cristo ha il grande merito di essere una traccia di ascesi cristiana profonda, spontanea, attentissima al quotidiano dell’uomo, ma soprattutto semplice e per questo veramente traccia

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communis per ogni cristiano che vi può trovare consolazione, pace, serenità in ogni situazione… Resta sempre un testo fondamentale nel segnare per il cristiano il momento del passaggio dall’uomo vecchio all’uomo nuovo (Col 3,10), dall’uomo esteriore destinato al disfacimento all’uomo interiore che si rinnova di giorno in giorno (2Cor 4,16), e nell’additargli la patria che è nei cieli, non sulla terra (Fil. 3,10), la ricerca delle cose di lassù e non quelle di quaggiù attraverso quella mortificazione da parte dell’uomo che alla terra appartiene (Col. 3,2 e 5).. Certo, l’operetta presenta solo alcune dimensioni della vita cristiana e non esaurisce tutte le chiamate e le urgenze radicali poste dal vangelo, ma oggi può aiutare a trovare il giusto equilibrio tra i valori emergenti – quali il pubblico, il politico, il sociale, il comunitario, l’oggettivo – e il personale, il soggettivo, l’interiore» (Enzo Bianchi)