La gloria di colui che tutto move per l'universo penetra, e risplende in una parte più e meno...

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La gloria di colui che tutto moveper l'universo penetra, e risplendein una parte più e meno altrove.

Nel ciel che più de la sua luce prendefu' io, e vidi cose che ridire

né sa né può chi di là sù discende;

perché appressando sé al suo disire,nostro intelletto si profonda tanto,che dietro la memoria non può ire.

Veramente quant' io del regno santone la mia mente potei far tesoro,sarà ora materia del mio canto.

Canto I vv 1-12

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Surge ai mortali per diverse focila lucerna del mondo; ma da quella

che quattro cerchi giugne con tre croci

con miglior corso e con migliore stellaesce congiunta, e la mondana cerapiù a suo modo tempera e suggella.

Fatto avea di là mane e di qua seratal foce, e quasi tutto era là bianco

quello emisperio, e l'altra parte nera,

quando Beatrice in sul sinistro fiancovidi rivolta e riguardar nel sole:

aguglia sì non li s'affisse unquanco.

E sì come secondo raggio suoleuscir del primo e risalire in suso,

pur come pelegrin che tornar vuole,

Canto I vv. 37-81

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così de l'atto suo, per li occhi infusone l'imagine mia, il mio si fece,

e fissi li occhi al sole oltre nostr' uso.

Molto è licito là, che qui non lecea le nostre virtù, mercé del loco

fatto per proprio de l'umana spece.

Io nol soffersi molto, né sì poco,ch'io nol vedessi sfavillar dintorno,

com' ferro che bogliente esce del foco;

e di sùbito parve giorno a giornoessere aggiunto, come quei che puoteavesse il ciel d'un altro sole addorno.

Beatrice tutta ne l'etterne rotefissa con li occhi stava; e io in lei

le luci fissi, di là sù rimote.

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Nel suo aspetto tal dentro mi fei,qual si fé Glauco nel gustar de l'erbache 'l fé consorto in mar de li altri dèi.

Trasumanar significar per verbanon si poria; però l'essemplo basti

a cui esperïenza grazia serba.

S'i' era sol di me quel che creastinovellamente, amor che 'l ciel governi,

tu 'l sai, che col tuo lume mi levasti.

Quando la rota che tu sempiternidesiderato, a sé mi fece atteso

con l'armonia che temperi e discerni,

parvemi tanto allor del cielo accesode la fiamma del sol, che pioggia o fiume

lago non fece alcun tanto disteso.

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Un'intera nottata buttato vicino

a un compagno massacrato

con la sua bocca digrignata

volta al plenilunio con la congestione

delle sue mani penetrata

nel mio silenzio ho scritto

lettere piene d'amore  

Non sono mai stato tanto

attaccato alla vita  

Mattina Santa Maria La Longa il 26 gennaio 1917

  M'illumino

d'immenso.

Ungaretti la luce

Preghiera

Quando mi desterò

Nel barbaglio della promiscuità

In una limpida e attonita sfera

Quando il mio peso sarà leggero

Il naufragio concedimi Signore

Di quel giovane giorno al primo grido

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Canto XI vv. 1-12

O insensata cura de' mortali,quanto son difettivi silogismi

quei che ti fanno in basso batter l'ali!

Chi dietro a iura e chi ad amforismisen giva, e chi seguendo sacerdozio,e chi regnar per forza o per sofismi,

e chi rubare e chi civil negozio,chi nel diletto de la carne involtos'affaticava e chi si dava a l'ozio,

quando, da tutte queste cose sciolto,con Bëatrice m'era suso in cielocotanto glorïosamente accolto.

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Non era ancor molto lontan da l'orto,ch'el cominciò a far sentir la terra

de la sua gran virtute alcun conforto;

ché per tal donna, giovinetto, in guerradel padre corse, a cui, come a la morte,

la porta del piacer nessun diserra;

e dinanzi a la sua spirital corteet coram patre le si fece unito;

poscia di dì in dì l'amò più forte.

Questa, privata del primo marito,millecent' anni e più dispetta e scura

fino a costui si stette sanza invito;

né valse udir che la trovò sicuracon Amiclate, al suon de la sua voce,

colui ch'a tutto 'l mondo fé paura;

Canto XI vv 55-117

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né valse esser costante né feroce,sì che, dove Maria rimase giuso,

ella con Cristo pianse in su la croce.

Ma perch' io non proceda troppo chiuso,Francesco e Povertà per questi amanti

prendi oramai nel mio parlar diffuso.

La lor concordia e i lor lieti sembianti,amore e maraviglia e dolce sguardo

facieno esser cagion di pensier santi;

tanto che 'l venerabile Bernardosi scalzò prima, e dietro a tanta pace

corse e, correndo, li parve esser tardo.

Oh ignota ricchezza! oh ben ferace!Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro

dietro a lo sposo, sì la sposa piace.

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Indi sen va quel padre e quel maestrocon la sua donna e con quella famiglia

che già legava l'umile capestro.

Né li gravò viltà di cuor le cigliaper esser fi' di Pietro Bernardone,né per parer dispetto a maraviglia;

ma regalmente sua dura intenzionead Innocenzio aperse, e da lui ebbe

primo sigillo a sua religïone.

Poi che la gente poverella crebbedietro a costui, la cui mirabil vita

meglio in gloria del ciel si canterebbe,

di seconda corona redimitafu per Onorio da l'Etterno Spiro

la santa voglia d'esto archimandrita.

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E poi che, per la sete del martiro,ne la presenza del Soldan superba

predicò Cristo e li altri che 'l seguiro,

e per trovare a conversione acerbatroppo la gente e per non stare indarno,

redissi al frutto de l'italica erba,

nel crudo sasso intra Tevero e Arnoda Cristo prese l'ultimo sigillo,

che le sue membra due anni portarno.

Quando a colui ch'a tanto ben sortillopiacque di trarlo suso a la mercede

ch'el meritò nel suo farsi pusillo,

a' frati suoi, sì com' a giuste rede,raccomandò la donna sua più cara,e comandò che l'amassero a fede;

e del suo grembo l'anima preclaramover si volle, tornando al suo regno,e al suo corpo non volle altra bara.

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Canto XVII vv 46-75

Qual si partio Ipolito d'Ateneper la spietata e perfida noverca,tal di Fiorenza partir ti convene.

Questo si vuole e questo già si cerca,e tosto verrà fatto a chi ciò pensalà dove Cristo tutto dì si merca.

La colpa seguirà la parte offensain grido, come suol; ma la vendetta

fia testimonio al ver che la dispensa.

Tu lascerai ogne cosa dilettapiù caramente; e questo è quello strale

che l'arco de lo essilio pria saetta.

Tu proverai sì come sa di salelo pane altrui, e come è duro calle

lo scendere e 'l salir per l'altrui scale.

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E quel che più ti graverà le spalle,sarà la compagnia malvagia e scempia

con la qual tu cadrai in questa valle;

che tutta ingrata, tutta matta ed empiasi farà contr' a te; ma, poco appresso,

ella, non tu, n'avrà rossa la tempia.

Di sua bestialitate il suo processofarà la prova; sì ch'a te fia belloaverti fatta parte per te stesso.

Lo primo tuo refugio e 'l primo ostellosarà la cortesia del gran Lombardo

che 'n su la scala porta il santo uccello;

ch'in te avrà sì benigno riguardo,che del fare e del chieder, tra voi due,fia primo quel che tra li altri è più tardo.

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Canto XVII vv.121-141

La luce in che rideva il mio tesoroch'io trovai lì, si fé prima corusca,

quale a raggio di sole specchio d'oro;

indi rispuose: «Coscïenza fuscao de la propria o de l'altrui vergogna

pur sentirà la tua parola brusca.

Ma nondimen, rimossa ogne menzogna,tutta tua visïon fa manifesta;

e lascia pur grattar dov' è la rogna.

Ché se la voce tua sarà molestanel primo gusto, vital nodrimentolascerà poi, quando sarà digesta.

Questo tuo grido farà come vento,che le più alte cime più percuote;

e ciò non fa d'onor poco argomento.

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Non chiederci la parola Montale

Non chiederci la parola che squadri da ogni latol'animo nostro informe, e a lettere di fuocolo dichiari e risplenda come un crocoperduto in mezzo a un polveroso prato.

Ah l'uomo che se ne va sicuro,agli altri ed a se stesso amico,e l'ombra sua non cura che la canicolastampa sopra uno scalcinato muro!

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.Codesto solo oggi possiamo dirti,ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

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Canto XXXIII vv. 1- 39

«Vergine Madre, figlia del tuo figlio,umile e alta più che creatura,

termine fisso d'etterno consiglio,

tu se' colei che l'umana naturanobilitasti sì, che 'l suo fattore

non disdegnò di farsi sua fattura.

Nel ventre tuo si raccese l'amore,per lo cui caldo ne l'etterna pace

così è germinato questo fiore.

Qui se' a noi meridïana facedi caritate, e giuso, intra ' mortali,se' di speranza fontana vivace.

Donna, se' tanto grande e tanto vali,che qual vuol grazia e a te non ricorre,

sua disïanza vuol volar sanz' ali.

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La tua benignità non pur soccorrea chi domanda, ma molte fïate

liberamente al dimandar precorre.

In te misericordia, in te pietate,in te magnificenza, in te s'aduna

quantunque in creatura è di bontate.

Or questi, che da l'infima lacunade l'universo infin qui ha vedutele vite spiritali ad una ad una,

supplica a te, per grazia, di virtutetanto, che possa con li occhi levarsi

più alto verso l'ultima salute.

E io, che mai per mio veder non arsipiù ch'i' fo per lo suo, tutti miei prieghi

ti porgo, e priego che non sieno scarsi,

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La tua benignità non pur soccorrea chi domanda, ma molte fïate

liberamente al dimandar precorre.

In te misericordia, in te pietate,in te magnificenza, in te s'aduna

quantunque in creatura è di bontate.

Or questi, che da l'infima lacunade l'universo infin qui ha vedutele vite spiritali ad una ad una,

supplica a te, per grazia, di virtutetanto, che possa con li occhi levarsi

più alto verso l'ultima salute.

E io, che mai per mio veder non arsipiù ch'i' fo per lo suo, tutti miei prieghi

ti porgo, e priego che non sieno scarsi,

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perché tu ogne nube li disleghidi sua mortalità co' prieghi tuoi,

sì che 'l sommo piacer li si dispieghi.

Ancor ti priego, regina, che puoiciò che tu vuoli, che conservi sani,

dopo tanto veder, li affetti suoi.

Vinca tua guardia i movimenti umani:vedi Beatrice con quanti beati

per li miei prieghi ti chiudon le mani!».

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Canto XXXIII vv54-63

Da quinci innanzi il mio veder fu maggioche 'l parlar mostra, ch'a tal vista cede,

e cede la memoria a tanto oltraggio.

Qual è colüi che sognando vede,che dopo 'l sogno la passione impressarimane, e l'altro a la mente non riede,

cotal son io, ché quasi tutta cessamia visïone, e ancor mi distilla

nel core il dolce che nacque da essa.

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Canto XXXIII vv 85-93

Nel suo profondo vidi che s'interna,legato con amore in un volume,

ciò che per l'universo si squaderna:

sustanze e accidenti e lor costumequasi conflati insieme, per tal modo

che ciò ch'i' dico è un semplice lume.

La forma universal di questo nodocredo ch'i' vidi, perché più di largo,

dicendo questo, mi sento ch'i' godo.

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Canto XXXIII vv 115-144

Ne la profonda e chiara sussistenzade l'alto lume parvermi tre giri

di tre colori e d'una contenenza;

e l'un da l'altro come iri da iriparea reflesso, e 'l terzo parea foco

che quinci e quindi igualmente si spiri.

Oh quanto è corto il dire e come fiocoal mio concetto! e questo, a quel ch'i' vidi,

è tanto, che non basta a dicer 'poco'.

O luce etterna che sola in te sidi,sola t'intendi, e da te intellettae intendente te ami e arridi!

Quella circulazion che sì concettapareva in te come lume reflesso,

da li occhi miei alquanto circunspetta,

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dentro da sé, del suo colore stesso,mi parve pinta de la nostra effige:

per che 'l mio viso in lei tutto era messo.

Qual è 'l geomètra che tutto s'affigeper misurar lo cerchio, e non ritrova,

pensando, quel principio ond' elli indige,

tal era io a quella vista nova:veder voleva come si convenne

l'imago al cerchio e come vi s'indova;

ma non eran da ciò le proprie penne:se non che la mia mente fu percossada un fulgore in che sua voglia venne.

A l'alta fantasia qui mancò possa;ma già volgeva il mio disio e 'l velle,sì come rota ch'igualmente è mossa,

l'amor che move il sole e l'altre stelle.

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Talora nell’arsura di C. Sbarbaro