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KAIRÓS Il volto di Dio 58 Anno XI n. 1 Ottobre 2006 Indice La Parola 4 Il volto di Dio Don Severino Pagani La Preghiera 11 Salmo 26 La Tradizione 13 Mosè, dall’adorazione all’intercessione Jacques Loew

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KAIRÓS Il volto di Dio

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Anno XI n. 1 Ottobre 2006

Indice La Parola 4 Il volto di Dio Don Severino Pagani La Preghiera 11 Salmo 26

La Tradizione 13 Mosè, dall’adorazione all’intercessione Jacques Loew

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Kairòs 58

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Nota previa La Lectio Divina che accompagnerà i fascicoli di Kairos di questo anno sarà un viaggio nella storia della salvezza alla ricerca del volto di Dio e della sua rivelazione nella storia. Seguirà i testi della riforma della liturgia ambrosiana, attraverso le tre letture dell’anno A della domeniche dopo Pentecoste. Questi sono i temi: 1. La Trinità e il volto di Dio; 2. La creazione e il suo splendore; 3. L’uomo e la donna; 4. Noè e la presenza del male nella storia; 5. Abramo nostro Padre nella fede; 6 Mosè e il dono della legge; 7. Giosuè e l’assemblea di Sichem. Lo schema consueto di ogni lectio è proposto in tre tappee: Introduzione al tema; 1. La storia della salvezza, in cui si presenta una figura dell’Antico Testamento (prima lettura) ; 2. La meditazione teologica in cui si presenta una lettura apostolica comunemente tratta dalle lettere di Paolo (seconda lettura); 3. La gioia del Vangelo, tratta dai vangeli (terza lettura). Ognuna di queste tre tappe vengono introdotte in due passaggi: 1. La lettura del testo, che serve a contestualizzare il brano biblico; 2. La preghiera e la vita, con lo scopo di avviare una preghiera personale e una comunicazione nella fede.

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Kairós 58 – La Parola

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LA PAROLA

Don Severino Pagani

IL VOLTO DI DIO Sappiamo così poco sulla misteriosità di Dio: ogni pensiero tradisce la nostra piccolezza, ogni previsione si rivela nella sua fragilità; eppure la nostra vita è nelle sue mani, così unica, debole e preziosa. Vorremmo scoprire qualcosa di più del volto e della personalità di Dio. Mettiamo un attimo da parte ciò che già sappiamo per gustare un po’ di più la sua rivelazione. 1. LA STORIA DELLA SALVEZZA

Dal libro dell’Esodo

Esodo 3, 1-15 La rivelazione a Mosé

del Nome divino

A. LA LETTURA DEL TESTO

Il roveto ardente

1Ora Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, e condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb. 2 L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco in mezzo a un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva nel fuoco, ma quel roveto non si consumava. 3 Mosè pensò: “Voglio avvicinarmi a vedere questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?”. 4 Il Signore vide che si era avvicinato per vedere e Dio lo chiamò dal roveto e disse: “Mosè, Mosè! ”. Rispose: “Eccomi!”. 5 Riprese: “Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!”. 6 E disse: “Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe”. Mosè allora si velò il viso, perché aveva paura di guardare verso Dio.

Il roveto ardente è il mistero di Dio, misterioso e inesauribile nell’ amore. Mosè mentre sta facendo il suo lavoro quotidiano

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Kairós 58 – La Parola

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arriva in un luogo, del tempo e dell’anima, in cui Dio si rivela a lui. Porta con sè tutta la sua drammatica storia di fughe e di nascondimenti, di audacie e di passioni. Dio gli appare, attraverso la mediazione di un angelo: come sempre nella vita, Dio ci si avvicina attraverso qualcuno, in un contesto di esperienza luminoso e incandescente: illumina, brucia e non si consuma. Quante situazioni della nostra vita sono insieme molto significative, a volte drammatiche, altre volte interminabili da portare. Mosè vuole avvicinarsi al mistero e scoprire il perchè. In questo suo desiderio, Dio lo chiama per nome. Sono tre gli elementi che introducono alla rivelazione del mistero: il nome, la disponibilità e la distanza. Il nome, perchè Dio conosce Mosè, sa tutto di lui: le sue vicende passate, le sue sofferenze, il suo vagare impaurito, l’ospitalità nella casa di Ietro, l’amore per sua moglie, il suo lavoro, le sue paure, il desiderio di fare qualcosa per il suo popolo; Mosè si sente conosciuto da Dio. Come noi. Questo doppia chiamata per nome – Mosè…Mosè – racchiude tutta la sua vocazione, raccoglie tutta la sua vita. La disponibilità, perchè Mosè nonostante tutte le sua paure non si sottrae: Eccomi! Quante volte lo abbiamo detto anche noi: sono qui Signore, tu mi vedi, tu mi ami, tu mi perdoni. Di fronte alla chiamata del Signore, Mosè lasca da parte il suo lavoro e risponde: questa risposta lo porterà a nuove partenze, questa disponibilità lo porterà a nuovi sacrifici. La distanza, perchè Dio non è subito soggetto di facile conversazione o di superficiale confidenza: Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi. Ci si può avvicinare a Dio solo a prezzo di progressive purificazioni. Durano tutta la vita. Mosè prende coscienza della intensa sacralità dell’esperienza di fede, la quale, come la terra, è sacra e non si può calpestare. Finalmente Dio si presenta e Mosè si copre la faccia perchè ha paura. Dio si presenta come uno che fa parte della sua storia, nascosto tra le memorie dei suoi padri, tra le vicende della sua gente; un dio che viene da lontano, un dio che non si può cancellare; un dio che dà e un dio che chiede. Cosa gli chiederà il Signore: è un dio che fa paura, e Mosè, ingenuo e sincero, cerca di nascondersi coprendosi il viso. Fa sempre un po’ di paura guardare verso Dio.

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Kairós 58 – La Parola

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La Missione di Mosè 7 Il Signore disse: “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. 8 Sono sceso per liberarlo dalla mano dell’Egitto e per farlo uscire da questo paese verso un paese bello e spazioso, verso un paese dove scorre latte e miele, verso il luogo dove si trovano il Cananeo, l’Hittita, l’Amorreo, il Perizzita, l’Eveo, il Gebuseo. 9 Ora dunque il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho visto l’oppressione con cui gli Egiziani li tormentano. 10 Ora và! Io ti mando dal faraone. Fà uscire dall’Egitto il mio popolo, gli Israeliti! ”. 11 Mosè disse a Dio: “Chi sono io per andare dal faraone e per far uscire dall’Egitto gli Israeliti? ”. 12 Rispose: “Io sarò con te. Eccoti il segno che io ti ho mandato: quando tu avrai fatto uscire il popolo dall’Egitto, servirete Dio su questo monte”.

Il Dio di Mosè è un dio estremamente attivo e presente, si definisce di più per quello che fa più che non per quello che è: è un dio che vede la storia, la vita della gente, e si avvicina ad essa in maniera interessata (ho osservato… sono sceso…). Dio è particolarmente attento a coloro che soffrono per qualcosa, è un compagno delle oppressioni umane: se soffri qualcosa, Dio è vicino e lo sa. Mosè riceve la missione di accompagnare Dio attraverso la sofferenza umana (ti mando… fa’uscire…); deve far qualcosa per far uscire le persone dalle loro sofferenze, dalla loro miseria, dalla loro assoluta povertà economica, psichica e spirituale. Un compito che si può fare in mille maniere anche oggi, di fronte a tante solitudini e a tante tristezze. Dio non lascia da solo Mosè: lo accompagna con la promessa di una terra e con l’assicurazione che non lo lascerà sa solo: gli dice che ci sarà un frutto per il suo lavoro e che ci sarà una comunione per le sue solitudini. Anche Mosè si fa dei problemi, si sente inadeguato, è stanco, ha già provato, vorrebbe una vita più tranquilla, meno indaffarata; chi è lui… in fondo, per mettersi ancora in cammino, per assumersi questo impegno, per tirare un popolo dalla testa dura. Mosè è stanco e non sa se ne vale la pena. Ma Dio gli promette che davvero non lo lascerà mai da solo, e questo gli basta per ripartire di nuovo. Io sarò con te.

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Kairós 58 – La Parola

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La Rivelazione del nome divino

13 Mosè disse a Dio: “Ecco io arrivo dagli Israeliti e dico loro: Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi. Ma mi diranno: Come si chiama? E io che cosa risponderò loro? ”. 14 Dio disse a Mosè: “Io sono colui che sono! ”. Poi disse: “Dirai agli Israeliti: Io Sono mi ha mandato a voi”. 15 Dio aggiunse a Mosè: “Dirai agli Israeliti: Il Signore, il Dio dei vostri padri, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione.

B. LA PREGHIERA E LA VITA

Signore non rendermi superficiale nell’accostarmi a te: donami sempre un santo timore. A volte per me sei un Dio troppo d’abitudine, mi vai sempre bene, ti tratto a secondo dei miei stati d’animo, ti sottopongo al gioco delle mie pigrizie, ti affido soltanto alla mie emozioni. Signore vorrei che tu fossi ancora un roveto ardente per me: vivo e misterioso, non disponibile alla mia superficialità. Donami o Signore un santo timore, fatto di riverenza e di rispetto, di ricerca e di attenzione. Quando, o Signore, ti manco di rispetto? Signore, tu sei un Dio attento alla storia dei tuoi figli: vedi nel loro cuore e conosci le loro sofferenze e le loro pene. Ascolti il grido del tuo popolo. Non lasci da solo chi spera in te e vieni in aiuto alle nostre solitudini. Ascolti e intervieni se chi ti invoca veramente ti cerca con fede. A cosa devo rinunciare per favorire in me una vera esperienza di preghiera? Signore non rimanere estraneo alla mia esistenza. Ho bisogno continuamente della tua misericordia creatrice. Ho bisogno di conoscere il tuo nome: vorrei e dovrei dedicare più tempo alla conoscenza di te e del tuo modo di agire nella mia vita. Signore ho bisogno di una più approfondita contemplazione del tuo mistero. Vorrei conoscerti di più, sentirti più vicino, ripetermi nel cuore le tue parole, scoprire un po’ di più come sei e cosa chiedi a me e alla mia famiglia. Dedico tempo per questo, e sono capace di qualche scelta significativa?

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Kairós 58 – La Parola

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2. LA MEDITAZIONE TEOLOGICA

A. LA LETTURA DEL TESTO

Dalla Lettera ai Romani Romani 8, 14-17

Nello Spirito possiamo gridare a Dio: Abba !

Essere guidati dallo Spirito

14 Tutti quelli infatti che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. 15 E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: “Abbà, Padre! ”. 16 Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio.

La vita spirituale consiste nell’essere guidati dallo Spirito di Gesù. Lo Spirito del Figlio ci rende figli. La vita nello spirito – la vita spirituale – ci dona un grande affidamento a Dio; questa fiducia ci toglie la paura, l’inquietudine, ogni sottile strato di soddisfazione. Avvertiamo una sintonia interiore, la quale è la predisposizione ad ogni nostra preghiera. La preghiera ci toglie da ogni schiavitù, educa la nostra libertà, ci fa scegliere giusto e ci fa vivere in pace.

Stare sotto la croce

17 E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.

La vita spirituale consiste nella partecipazione alla pasqua del Signore: in ogni tempo della vita ciascuno di noi partecipa a qualche sofferenza, piccola o grande che sia. Ereditiamo questa partecipazione alla croce, attraverso la quale possiamo esprimere un amore più grande. La partecipazione, attraverso qualche forma di sofferenza, alla passione del Signore ci permette di partecipare anche alla sua gloria: Dio, con il suo modo di amare, si manifesta anche attraverso di noi.

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Kairós 58 – La Parola

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A. LA PREGHIERA E LA VITA Signore, ti chiedo il dono del tuo Spirito. Spirito di sapienza,

intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà, timore di Dio. Ho bisogno di maggiore contemplazione: a volte non mi ricordo di abbandonarmi a te, e allora sono impaziente, agitato, mi sento orfano, solo con mille pensieri. Signore ti chiedo la pace del cuore, la contemplazione del tuo volto, la gioia del tuo amore. Guidami,con il tuo spirito, verso le scelte giuste della vita. Ho qualche scelta da compiere in questo periodo della vita? Signore, cosa significa veramente per me partecipare alle tue sofferenze, per partecipare alla tua gloria: il mio soffrire deve diventare una manifestazione di te e del tuo modo di amare. Il mio soffrire mi deve avvicinare a te. La mia preoccupazione deve essere affidata a te. Ti chiedo di aiutarmi a cogliere la mia piccolezza: anche la mia famiglia è nelle tue mani. Ho bisogno di maggiore fiducia per questa e per quella cosa. Ho bisogno di prendere la giusta misura del tempo e dell’essenziale; ho bisogno di pensare di più all’eternità. La maturità della fede sta nell’affidamento.

3. LA GIOIA DEL VANGELO

Dal vangelo di Giovanni Giovanni 16, 12-15 Il Figlio e lo Spirito

nella rivelazione del Padre

A. LA LETTURA DEL TESTO

12 Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. 13 Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. 14 Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l’annunzierà. 15 Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l’annunzierà.

Ci sono delle cose nella vita che ancora devono essere capite. Se dedico tempo e preghiera per stare con Gesù, allora l’intelligenza e il cuore si aprono e scoprono cose non ancora provate. Soprattutto si

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Kairós 58 – La Parola

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scopre un senso nuovo di Dio, una maggiore penetrazione del suo mistero, un’attrazione nuova verso di Lui; questa attrazione a volte è molto consolante, altre volte molto dolorosa. La Parola è inesauribile, più la si conosce e la si assimila e più dà forza; è un vero aiuto per la vita. Se invece si dimentica la Parola di Dio, se non le si dedica tempo, allora vengono dubbi, sorgono disaffezioni e stanchezze, tutto diventa più sbiadito. Cose che prima erano molto significative rischiano di non esserlo più. Gesù continua ancora a parlarci e ci conduce verso la verità della vita, tutta intera.

B. LA PREGHIERA E LA VITA Signore, ho bisogno di sostenere la mia fede; la complessità della vita deve rendere matura anche la fede. Cosa mi sta dicendo il Signore, qual è quella verità tutta intera che ancora mi deve svelare. Il mistero di Dio è sempre affascinante; alcune volte scompare, altre volte si ripresenta con forza e costringe a porsi dinnanzi alle cose future. Sono molte le cose future nella vita di una persona e di una famiglia; pensieri, preoccupazioni, incertezze, dubbi. Vorrei, o Signore, tenere sempre lo sguardo fisso su di te, sul tuo mistero. Vorrei contemplare il tuo volto.

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Kairos 58 – La Preghiera

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LA PREGHIERA

Salmo 26

IL TUO VOLTO , SIGNORE , IO CERCO

Per quanto si moltiplichino i nemici o le difficoltà della vita, il credente trova sempre un appoggio sicuro in Dio; questo salmo si apre appunto con un canto di fiducia. Poi il movimento della preghiera si approfondisce, diviene ricerca e desiderio avido di Dio. È il tempio il luogo nel quale si scopre la presenza del Signore: nel sacrificio, nel canto, nella supplica, nella Legge. Se questa ricerca diviene esigenza itale, come potrà Dio non essere vicino al suo servo più abbandonato e più contrariato? È questa una preghiera di speranza per i momenti nei quali la fiducia nell’uomo ci abbandona.

Il Signore è mia luce e mia salvezza,

di chi avrò paura? Il Signore è difesa della mia vita, di chi avrò timore?

Quando mi assalgono i malvagi per straziarmi la carne, sono essi, avversari e nemici, a inciampare e cadere. Se contro di me si accampa un esercito, il mio cuore non teme; se contro di me divampa la battaglia, anche allora ho fiducia. Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per gustare la dolcezza del Signore ed ammirare il suo santuario.

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Kairos 58 – La Preghiera

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Egli mi offre un luogo di rifugio

nel giorno della sventura. Mi nasconde nel segreto della sua dimora, mi solleva sulla rupe.

E ora rialzo la testa

sui nemici che mi circondano; immolerò nella sua casa sacrifici d’esultanza, inni di gioia canterò al Signore. Ascolta, Signore, la mia voce. Io grido: abbi pietà di me! Rispondimi. Di te ha detto il mio cuore: “Cercate il suo volto”; il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto, non respingere con ira il tuo servo. Sei tu il mio aiuto, non lasciarmi, non abbandonarmi, Dio della mia salvezza. Mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, ma il Signore mi ha raccolto. Mostrami, Signore, la tua via, guidami sul retto cammino, a causa dei miei nemici. Non espormi alla brama dei miei avversari; contro di me sono insorti falsi testimoni che spirano violenza. Sono certo di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi. Spera nel Signore, sii forte, si rinfranchi il tuo cuore e spera nel Signore.

Preghiamo Signore, donaci sempre la consolazione di poter contemplare il tuo volto: tenendo fisso lo sguardo su di te noi abbiamo la certezza di poter camminare sulla tua via senza smarrirci, fino alla terra della tua promessa. Amen

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Kairos 58 - La Tradizione

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LA TRADIZIONE

Jacques Loew

MOSÈ, DALL ’ADORAZIONE ALL ’ INTERCESSIONE

Dopo Abramo, maestro della preghiera, e Giacobbe che lottò

con Dio, accostiamoci ora a Mosè. Abramo è colui che ha scoperto la fede nuda, l'uomo che parte per un paese che non conosce, verso un futuro imprevedibile, solo in base a una parola, sostenendosi solamente sulla fragilità d'una parola interiore, e tuttavia con una pura e completa fiducia. Va avanti senza che ci sia una pista tracciata. Nella preghiera troviamo sempre una parte d'Abramo: è sempre una partenza verso l'ignoto, è sempre una dimostrazione di fiducia.

Mosè è l'uomo cui sarà rivelato il contenuto della fede e da Dio stesso. Abramo partì senza avere davanti una strada, verso un paese di cui Dio indica solamente, giorno per giorno, la direzione: “Il paese che io t'indicherò”. A Mosè Dio offre il materiale per costruire la strada, gli dà la Torah, termine che malamente traduciamo con legge. “La Torah infatti - afferma il grande scrittore ebreo Neher - in ebraico non è l’ordine ma l’orientamento; non la legge ma la via, la strada sulla quale è possibile camminare insieme”. Il termine Torah, pertanto, richiama un cammino, una strada da seguire, e non solamente per un singolo ma per tutto un popolo.

Con Mosè, come con Abramo, Dio suggella un’alleanza. L’essenziale dell’alleanza con Abramo era la promessa della creazione d’un popolo, quella d’un nuovo rapporto con Dio (“Sarò il tuo Dio”) e quella del possesso d’un paese. Per stabilire simile alleanza, Dio chiede che Abramo “cammini alla sua presenza”, e si appropri dei doni divini promessi mediante la concretizzazione d’un segno: la circoncisione. Ma è ancora una promessa cui Abramo deve aderire per la fede; Israele diventerà popolo, possesso esclusivo di Dio, solo mediante la rivelazione della Torah: è l’alleanza di Dio con Mosè sul Sinai.

In questa Alleanza, Dio rivela a Mosè un segreto inimmaginabile: Dio viene all’uomo, si lega all’uomo con un contratto, per condurlo verso quella terra promessa un giorno ad Abramo, quella terra del riposo che, in definitiva, sarà lo stesso Dio, la stessa vita di Dio con l’uomo.

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Kairos 58 - La Tradizione

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Quando Paolo parla del “mistero nascosto da secoli e rivelato in

Gesù Cristo”, si riferisce alla Nuova Alleanza, quella realizzata da Cristo con tutti gli uomini e non più con un solo popolo. Ma l’Alleanza con Mosè è già un primo passo verso una simile rivelazione.

I quattro libri del Pentateuco che parlano di Mosè lo indicano come l’uomo della preghiera, d’una preghiera che si manifesta sotto forme diverse, ma che è ‘una’ e incessante nel suo cuore. Mosè è il contemplativo lanciato nell’azione, l’apostolo, il profeta. Mosè è il profeta per eccellenza dell’Antico Testamento, il cui titolo gli viene dato da Dio stesso (Dt 18,15; 34,10), il più grande profeta fino a Giovanni il Battista, il quale, a detta dello stesso Gesù, sarà “più che un profeta”.

Mosè, con la sua vita, c’insegna soprattutto tre comportamenti dell’uomo di fronte a Dio, tre forme e tre realtà della preghiera. Mosè è l’uomo dell’adorazione, l’uomo d’intercessione e d’azione, l’uomo della lode.

L'adorazione

Mosè è solo al di là del deserto, ai piedi dell’Oreb, mentre

conduce al pascolo i greggi del suocero. È scappato dall’Egitto da molti anni (cfr. Es 2, 23). Ma certamente, nonostante il lungo tempo trascorso, il ricordo dei suoi fratelli che, lontano, “gemevano” e per i quali aveva sofferto, per i quali era in esilio, lo accompagnava nella solitudine del deserto. Umanamente, apparentemente, questo esilio è senza sbocchi, come tutti i gemiti dei figli d’Israele sono senza speranza. Chi è Mosè di fronte al Faraone, e così lontano?

Allora come sempre, come per Abramo, Dio prende l’iniziativa, interviene. Dio chiama sempre per primo. Lo stesso farà Gesù: “Sono stato io a scegliervi” e “chiamò a sé chi volle”.

“L'angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco in mezzo a un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva nel fuoco, ma quel roveto non si consumava” (Es.3, 2).

Così la prima visione di Mosé, come quella di san Paolo, comincia con qualcosa di strano, di insolito per la vita d’ogni giorno: un ‘disorientamento’. È il caso d’Isaia le cui labbra sono purificate dalla brace ardente del serafino, mentre il tempio è riempito della nube; è il caso di Paolo, accecato dalla troppa luce sulla strada di Damasco. C’è sempre un disorientamento. La vicinanza di Dio nella preghiera, anche in quella quotidiana, deve essere preceduta da un disorientamento.

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Kairos 58 - La Tradizione

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“Mosè pensò: ‘Voglio avvicinarmi a vedere questo grande

spettacolo: perché il roveto non brucia?” (Es 3, 4). Avvicinandosi, Mosè deve uscire dal suo orientamento, lasciare

il suo posto, non per non ritornarvi più. Se vogliamo entrare nella preghiera dobbiamo abbandonare il nostro posto, lasciare la nostra strada. Gesù dirà: bisogna chiudersi nella propria stanza. Non voglio con questo dire che, per pregare, bisogna uscire dalla vita. No! Mosè non esce dalla sua vita, e le peripezie dell’Esodo lo dimostreranno ben presto. Ma c’è comunque uno spostamento, un disorientamento iniziale. Dio, dice la Bibbia, vede questo spostamento. Dio vede gli spostamenti che facciamo per avvicinarci a lui. E subito “Dio lo chiamò dal roveto e disse ‘Mosè, Mosè’. Rispose: ‘Eccomi’”.

“Eccomi”. È la risposta d’Abramo alla chiamata di Dio, prima del sacrificio d’Isacco. Sarà pure la risposta di Maria. Questo del cuore pronto ad ascoltare è il solo atteggiamento che faccia entrare nella preghiera. Mosè ha il cuore pronto a rispondere alla prima chiamata di Dio. E tuttavia: “Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi perchè il luogo sul quale tu stai è una terra santa” (Es 3, 5). Ossia: lascia la tua polvere e le tue impurità. Pure la preghiera deve essere preceduta da un tempo di decantazione. Quando un’acqua, dopo che è stata agitata, la si lascia riposare, diventa limpida. Le impurità e il fango si adagiano sul fondo. Bisogna andare alla preghiera, dono di Dio, con un cuore chiaro e ‘decantato’. Per questo è necessario un certo tempo per la preghiera, il tempo sufficiente per ‘decantarsi’. Lo proviamo tutti: ci sono dei giorni, dei momenti in cui soltanto dopo una mezz’ora cominciamo a trovarci un po’ a nostro agio. La prima mezz’ora è presa dall’agitazione interiore, nonostante la nostra buona volontà. Per questa ragione tre quarti d’ora staccati non faranno mai tre quarti d’ora di seguito. Può darsi che un certosino, non appena si mette a pregare, non provi nessuna difficoltà a entrare nella preghiera. Può darsi. Ma in qualsiasi forma di vita, il cuore umano non è mai naturalmente completamente ‘decantato’.

Quando Gesù parlerà della preghiera dirà solamente: “perseverate”. Non ha mai detto: “che la vostra preghiera sia dolce, confortevole, o altro”, ma unicamente: “perseverate”. Non venendo meno, la decantazione si opera.

Il primo atteggiamento, dunque, che prepara l’adorazione, è quello di scostarsi dalla propria strada, di levare i propri calzari per avvicinarsi a Dio. Dio stesso ce lo insegna: non ci si avvicina a Lui invano e non importa come. L’adorazione di Mosè non è un’adorazione a ruota libera.

Allora questo Dio invisibile, e tuttavia presente sotto forma d’una fiamma di fuoco, gli si rivela: “Io sono il Dio di. tuo padre, il

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Kairos 58 - La Tradizione

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Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe”. E subito dopo, mentre Mosè si vela il viso: “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido [...] Ora va, ti mando...”.

“Ho visto”, dice Dio. L’uomo, come Mosè durante il suo esilio, si crede solo nel suo io: pensa, si ricorda, s’inquieta, soffre. Solo. E uno stato d’animo in cui ci troviamo spesso; non sappiamo, o non ci ricordiamo più, che Dio è presente.

“Dio era presente e io non lo sapevo”. È la grande scoperta di Giacobbe, rivissuta da Mosè nel roveto ardente, e che noi dobbiamo spesso ricalcare. Ma Mosè, al primo appello di Dio, ha risposto: “Eccomi!”. Allora Dio manifesta che è veramente vicino, che pure Lui, e non solo Mosè, si ricorda della miseria del suo popolo.

“Io sono il Dio di tuo padre”. Dopo avere dimostrato a Mosè di essere il Santo, il Tutt’Altro, Dio si fa vicinissimo a Mosè, si fa “riconoscere” da lui. “A quest’uomo della tribù di Levi, il Dio dei Padri si rivela in perfetta conformità con una lunga tradizione”, dice Neher. È soggiacente al testo quasi una familiarità con questo Dio, perché ci sono state generazioni (Abramo, Isacco, Giacobbe) che l’hanno conosciuto e adorato. Altre generazioni l’hanno dimenticato forse durante quei secoli di schiavitù; tuttavia Dio non esita a presentarsi a Mosè come “il Dio di tuo padre”. Il ricordo dei patriarchi era rimasto vivo.

“Ora va... ti mando...”. Mosè disse allora: “Ecco io arrivo dagli Israeliti e dico loro: ‘il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi’. Ma mi diranno: ‘Come si chiama?’ E io che cosa risponderò loro?”’.

Il Nome divino

Allora, come nel caso d’Abramo, ma ancora più chiaramente, è

dato a Mosè il Nome divino. Ad Abramo Dio stesso aveva dato il proprio nome: El-Shaddai (Dio delle montagne). Ma El-Shaddai era diventato per Abramo, durante la sua lunga vita alla presenza di Dio, il suo Signore in un modo così forte che Dio stesso si presenta a Mosè sotto il nome di Dio d’Abramo.

Tuttavia Mosè vuole conoscere personalmente il Dio del padre suo; desidera questa conoscenza per se stesso e per i suoi fratelli. Qui Mosè comincia veramente a pregare. Certo, Dio chiama ed entra per primo in dialogo, ma il dialogo, esiste veramente solo se l’uomo lo desidera. Dio rispetta la volontà dell’uomo in quanto essa ha di più intimo. In un certo senso, Dio non rivela il suo Nome da se stesso: aspetta che lo si voglia conoscere, che lo si cerchi. Dio disse allora a Mosè: “Io sono colui che sono”.

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Questa rivelazione del Nome di Jahvé è una risposta a un

desiderio di Mosè, una risposta vera, non un enigma. E tuttavia Dio è l’Innominabile, l’Indefinibile: per questo tale Nome divino è, nello stesso tempo, una rivelazione di Dio e una rivelazione del mistero di Dio. Dio si rivela, si scopre nel suo Nome, anche se tale nome rimane misterioso. Diverse sono le possibili traduzioni; ciascuna getta una luce su questo Nome insondabile: “Io sono colui che sono”; o “Io sono colui che è”; o “Io sarò chi sarò”; o “Io sono presente”.

Così, pregare significa aprire la propria intelligenza su questo Nome, o meglio permettere che questo Nome divino apra la nostra intelligenza e il nostro cuore al vero significato dei valori: la trascendenza di Dio di fronte alla quale scopriamo i nostri limiti, e questo appello di Dio che ci chiama a lasciare il nostro posto per andare verso di Lui. È necessario che conosciamo i nostri limiti, che li accettiamo e, nello stesso tempo, abbiamo fretta di superarli. La preghiera è questo incessante movimento del nostro cuore.

Il dialogo: il Tu e l’Io

Da questo momento s’intreccia un dialogo fra Jahvé e Mosè. Quest’ultimo si mette in cammino attraverso il deserto, col “bastone di Dio”. Durante questo cammino, che prospetta infinite meraviglie e difficoltà e che lo porterà al Sinai, Mosè entra sempre di più nell’intimità con Dio, desiderando che questa presenza non lo abbandoni più. Mosè non cessa di pregare, d’implorare, anche d’insistere - come l’amico importuno dell’Evangelo -; tutta la sua preghiera, come quella d’Abramo, si baserà ormai sulla parola stessa di Dio: “Eppure m’hai detto...” (Es 33, 12).

La grandezza di Mosè non è la potenza che Dio gli dà per vincere il Faraone o condurre il popolo attraverso le enormi difficoltà, e nemmeno il fatto di essere profeta. La grandezza di Mosè consiste nel fatto che egli ha un cuore amante del suo Signore, e non tanto per avere ricevuto da Lui tutti quei doni straordinari. È la grandezza di essere il servo di Jahvé non solamente per la missione che ha ricevuto ma anche nel profondo del cuore. Dio stesso ci ha rivelato una simile grandezza:

Se ci sarà un vostro profeta, io, il Signore, in visione a lui mi rivelerò, in sogni parlerò con lui. Non così per il mio servo Mosè; egli è l’uomo di fiducia in tutta la mia casa. Bocca a bocca parlo con lui,

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in visione e non con enigmi ed egli guarda l'immagine del Signore (Nm 12, 6-9).

La grandezza di Mosè è quella della intimità col suo Signore. Se Mosè ha dimorato nella casa del Signore come “servo fedele”, “Cristo lo fu come figlio”, ci dice la Lettera agli Ebrei. E anche noi, per la preghiera principalmente anche se non esclusivamente per la preghiera, siamo nella casa di Dio in qualità di figli (cfr. Eb 3,2-6).

Un’altra pagina dell’Esodo ci rivela questa intimità di Mosè col suo Dio e al momento dell’Alleanza. C’è tutta una preparazione alla conclusione dell’Alleanza: “Mosè salì dunque sul monte e la nube coprì il monte. La gloria del Signore venne a dimorare sul monte Sinai e la nube lo coprì per sei giorni. Al settimo giorno il Signore chiamò Mosè dalla nube. La gloria del Signore appariva: agli occhi degli Israeliti come fuoco divorante sulla cima della montagna. Mosè entrò dunque in mezzo alla nube e salì sul monte. Mosè rimase sul monte quaranta giorni e quaranta notti” (Es 24, 15-18).

Mosè attese, dunque, sei giorni. Dio lo chiama solo il settimo giorno. Sei giorni a disposizione di Dio. Mosè deve penetrare sempre di più nella nube, deve continuare a salire la montagna (non si finisce mai di salire la montagna di Dio); vi resterà quaranta giorni e quaranta notti (non sono i nostri poveri quarti d’ora!). La Bibbia rispetta il segreto di questo dialogo di quaranta giorni. Abbiamo, infine, un altro passaggio, tutto intimità e singolarità, cui sfortunatamente siamo troppo abituati: “Mosè a ogni tappa prendeva la tenda e la piantava fuori dell’accampamento, a una certa distanza dall’accampamento” dove abitava il popolo che aveva prevaricato, e “scendeva la colonna di nube e restava all’ingresso della tenda. Allora il Signore parlava con Mosè [...]. Così il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come un uomo parla con un altro” (Es 33,7-11).

Ci troviamo, così, al vertice della preghiera d’adorazione. Infatti il nostro Dio non è un Dio la cui trascendenza ci schiacci, che ci chieda di annientarci davanti a lui, ma è un Dio che ci parla come un uomo parla con il suo amico. S’applica qui a Mosè la parola di Gesù: “Non vi chiamerò più servi ma amici”.

Nel suo bellissimo libro Moise et la Vocation juive, un’opera che colpisce ancora di più se si pensa che è stata scritta dopo tutti i massacri d’Auschwitz e di altri campi di sterminio degli ebrei, André Neher, che è ebreo, tratteggia mirabilmente il carattere di Mosè: “Mosè, afferma, è l’uomo del primo comandamento, l’uomo ricercato, designato, ingaggiato da Dio, col dirgli ‘Io sono il tuo Dio’”.

È necessario che sottolineiamo questa espressione: il tuo Dio. Dio non dice a Mosè semplicemente: “Io sono Dio”, ma “Io sono il

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tuo Dio”. Certamente, come osserva Neher, “Mosè ha interpretato questo tuo da parte di Dio non come un appello lanciato alla propria persona singola, ma come la Parola detta, una volta per sempre, al popolo ebreo”. Infatti, come vedremo, Mosè non si è mai dissociato dal popolo, tutt’altro. Ha voluto prendere a suo carico tutte le mormorazioni e le mancanze di fiducia della moltitudine nei confronti di Dio. Mosè, è stato il primo che ha accolto questo ‘tuo’ Dio e l'ha vissuto in grado eminente, come Maria ha potuto essere da sola tutta la Chiesa in un determinato momento. In Mosè, il ‘tuo’ collettivo e il ‘tuo’ personale sono diventati una sola realtà al primo istante della rivelazione sul Sinai, ma è partendo da Mosè e da lui che questo ‘tuo Dio’ s’è progressivamente, con infinite lentezze e incomprensioni, esteso a tutti.

Infatti, Mosè, dopo il suo incontro con Jahvé è al roveto ardente, non è più solo nel suo io: “Non è mai solo in se stesso”, dice Neher. La preghiera dovrebbe essere tutto questo. Mosè, avendo riconosciuto in Jahvé il Dio dei padri suoi, ha cantato, dopo il passaggio vittorioso del Mare Rosso: “Egli è il mio Dio, io lo canto”. Ora Dio diventa sempre più intimo, sulla base di un ‘tu’ continuo: “Io sono il tuo Dio”.

Egli è il mio Dio. La preghiera è questo tu e io, un dialogo d’amore. Oggi tu dialoghi in amore con Dio e Dio dialoga oggi in amore con te (cfr. Dt 26, 17-18). È un peccato che una certa letteratura falsamente pia abbia guastato questa realtà profonda; ma è un fatto pur sempre vero. Comprendiamo allora perché Dio si presenti come un ‘fuoco divorante’, come un ‘Dio geloso’: è lo stesso eccesso di un simile amore che porta a tale gelosia.

Conoscere Dio = il dono del Nome + il dialogo

Il dono del Nome divino, il dialogo con Dio, il rapporto del tu e

dell’io con Dio portano a una conoscenza sempre più profonda di Dio e al desiderio di conoscerlo sempre meglio. La preghiera è questa accentuazione del desiderio di conoscere Dio.

Una sete di Dio ha preso possesso di Mosè; qualunque cosa egli faccia, andrà sempre alla ricerca del volto di Dio, di quel Dio in cui ha trovato grazia e che conosce per nome (Es 33, 12-17). In questo atteggiamento egli è veramente nostro maestro.

Allora, sempre più assetato della conoscenza del suo Signore, Mosè diventa ardito nella sua preghiera: “Mostrami la tua Gloria”. Sulla terra l’uomo non può desiderare nulla di più grande che condividere questa intimità divina; nella forza e nella purezza di tale desiderio risiede la nostra nobiltà. Con questo desiderio, l’uomo

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ritrova la rassomiglianza con Dio. Vedere Dio significa diventare simili a Lui: “Noi saremo simili a lui perché lo vedremo così come egli è” (l Gv 3, 2). Tutte le aspirazioni dell’uomo d’oggi, e non solo del credente, alla conoscenza, altro non sono che questa sommessa richiesta, spesso deformata e inconscia: “Mostrami la tua Gloria”.

La gloria di Dio è il suo splendore nella sua magnificenza. Lo si vuole conoscere così, come egli è, e non nella nostra deformante misura. In un altro manoscritto è detto: “Mostrati a me”. È sempre il continuo desiderio di Mosè di aprirsi sempre di più al senso dell’infinita grandezza di Dio: “Fatti conoscere”.

Dio ascolta tale domanda: “Farò passare davanti a te tutto il mio splendore e proclamerò il mio nome: Signore, davanti a te” (Es 33, 19). Ascolterai questo nome che desideri conoscere dalla stessa bocca di Dio; non vedrai solamente il suo splendore ma conoscerai anche questo Nome. Ci troviamo allora davanti alla grande rivelazione che oltre a prospettare il Nome lo “sviscera” per così dire, mostrandoci tutto quanto contiene: tenerezza, pietà, dolcezza, grazie, fedeltà.

“Ma tu non potrai vedere il mio volto perché nessun uomo può vedermi e restare vivo”. La tensione della preghiera nasce dall’udire Dio affermare allo stesso tempo: “Passerò davanti a te” e “Non puoi vedere il mio volto”. Tuttavia Jahvé esaudisce la preghiera di Mosè: “Ecco un luogo vicino a me. Tu starai sopra la rupe: quando passerà la mia Gloria, io ti porrò nella cavità della rupe e ti coprirò con la mano, finché sarò passato. Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non lo si può vedere” (Es 33, 21-23).

Il desiderio di Mosè è esaudito: anche se lo vede di spalle, vede pur sempre Dio. Abbiamo qui descritte tutta la dialettica e tutta la mistica dell’incontro di Dio e di quanto crea in noi la sete di Dio. Dio è presente, eppure lo si coglie solo imperfettamente, “a tentoni”, “come in uno specchio”, per esprimerci con san Paolo. Il desiderio del faccia a faccia si fa più pressante nel dialogo della preghiera e nella conoscenza sempre più intima del Nome divino.

La sconvolgente scoperta

Spesso i giornali portano dei titoli come questo. Anche noi lo

possiamo usare per indicare la scoperta di Mosè: l’uomo può amare Dio! Che Dio ami l’uomo è già un fatto sconvolgente; ma che l’uomo possa amare Dio supera la nostra possibilità di comprensione. Neher osserva: “Altri geni antichi avevano intuito, anche se non espresso chiaramente, che Dio amasse gli uomini, che fosse loro Padre, il loro protettore. Ma che gli uomini siano invitati ad amare Dio, è veramente qualcosa che sconvolge la struttura religiosa del mondo”. A

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conclusione dell’Alleanza non troviamo solamente il timore, ma anche l’amore. “Il Signore passò davanti a lui proclamando: ‘Il Signore, il Signore Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà!’” (Es 34, 6).

Tutta la Bibbia ci dice che Dio rivela la sua esigenza d’amore (“Sono un Dio geloso”) solo perché ha bisogno d’essere amato, attende d’essere amato. Per questo la preghiera non è una cambiale che si deve pagare a Dio, nè un dovere che gli abbiamo promesso di soddisfare. La preghiera è la ricerca amorosa del volto di Dio. Se dico amorosa, non intendo con questo affermare che tutto si svolge nella gioia, ma solo che Lo ricerco, che mi rivolgo a Lui abbandonando la mia strada, che mi avvicino a Lui, che desidero conoscerLo. Jahvé parlava a Mosè faccia a faccia, nella nube oscura, come un uomo parla col suo amico. Sull’esempio di Mosè, la preghiera è ascoltare Dio che mi parla faccia a faccia, come un amico con un amico; se è così, dovrò io pure comportarmi allo stesso modo.

L’intercessione

La preghiera d’adorazione e il dialogo ci portano

all’intercessione. L’ordine deve essere rispettato: come il primo comandamento della carità è amare Dio e il secondo amare il proprio fratello (il secondo non è minore del primo, ma vi trova la propria fonte), così l’intercessione ha la sua sorgente nell’adorazione e non viceversa. La pagina straordinaria sulla quale stiamo meditando continua: “Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà [ecco la ragione dell’intercessione] che conserva il suo favore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato, ma non lascia senza punizione”. Ed ecco l’intercessione: Mosè cade in ginocchio e si prostra. Poi pronuncia queste parole: “Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, mio Signore, che il Signore cammini in mezzo a noi. Sì, è un popolo di dura cervice, ma tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato: fa di noi la tua eredità” (Es 34, 6-9). In questo modo, l’adorazione (“Mostrami la tua Gloria”, “Voglio conoscerti”) si trasforma in intercessione.

“Signore, perdona la nostra colpa, fa di noi la tua eredità”. È questa una costante nella vita di Mosè: l’adorazione fa di lui il servitore dei suoi fratelli e del suo Dio, il mediatore e il servitore. Quando Dio gli rivela il proprio nome al roveto ardente e gli dice di riunire gli Anziani d’Israele per comunicare loro che Jahvé gli era apparso, ci troviamo davanti sia alla rivelazione che all’adorazione. E poi Dio gli dice: “Va’”, un “va’” che percorrerà come in filigrana tutta la vita di Mosè: “Va’ a dire al Faraone”, “Va’ a trovare il Faraone”,

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“Di’ agli Israeliti di ritornare indietro”, “Di’agli Israeliti di ripartire”. “Va’ dal popolo e fallo purificare”, “Parlerai così agli Israeliti”, “Tu mi costruirai un altare”, “Ecco le leggi che darai loro”.

Da vent’anni la migliore invenzione del Diavolo consiste nel far dire che l’adorazione non entra nella vita! Ma come è possibile pensare che l’adorazione del Dio vivente ci faccia uscire dalla vita reale? Tutt’altro; con l’adorazione vi siamo proiettati in pieno! “Va’, parlerai, farai. Ecco le leggi che tu darai loro”. Certo, l’adorazione non entra nella vita se adoro il mio io, se sviolino a me stesso e sui miei toni le mie canzonette. Ma la vera adorazione di Dio, paradossalmente, ci rinvia alla vita. È sempre così quando Dio appare a un uomo e lo chiama. Osserviamo, ad esempio, le pagine riguardanti la vocazione di Isaia: vede la santità di Dio, diventerà il servitore e il profeta della santità di Dio; la vocazione di Maria Maddalena: Maria! - Rabbuni! - Non mi toccare, ma va’ ai miei fratelli... (la Parola di Dio ci butta sempre nella folla, al servizio degli altri); la vocazione di san Paolo: “Va’, tu sei uno strumento scelto [...] saprai che cosa dovrai soffrire a causa del mio Nome”.

Dio non ha altri modi d’agire. L’adorazione porta all’intercessione. Ogni tappa della vita di Mosè sarà punteggiata da una preghiera d’intercessione.

Dopo il ritorno di Mosè in Egitto e il suo intervento presso il Faraone, davanti all’aumento di redditi imposti dal Faraone con le recriminazioni del popolo, ecco la parola, che è l’espressione dell’intercessione: “Signore, perché?”. Gesù dirà: “Perché mi hai abbandonato?”. È l’interrogazione.

Il popolo è adirato contro Mosè perché gli Egiziani non gli danno tregua. Mosè non si difende ma si rivolge a Dio: “Perché spingi contro di me simili clamori?”. Il popolo mormora, alle acque amare, quando il Mare Rosso è stato attraversato. Mosè grida ancora verso Jahvé e l’acqua scaturisce dalla roccia. Mosè intercede.

E le mormorazioni di Myriam e di Aronne? Non è stata veramente facile la vita di Mosè con la sorella Myriam e il fratello Aronne, tutti e due scontenti di lui a causa della moglie etiope: “Il Signore ha forse parlato soltanto per mezzo di Mosè? Non ha parlato anche per mezzo nostro?” (Nm 12, 2). Ebbene, Mosè intercede per loro, nonostante la loro gelosia. Egli tace umilmente; e per questo silenzio Dio stesso prende le sue difese.

Vediamo, infine, la grande intercessione di Mosè durante la battaglia determinante contro gli Amaleciti: “Giosuè eseguì quanto gli aveva ordinato Mosè per combattere contro Amalek, mentre Mosè, Aronne e Cur salirono sulla cima del colle. Quando Mosè alzava le

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mani, Israele era il più forte, ma quando le lasciava cadere era più forte Amalek” (Es 17, 10-11).

L’efficacia della preghiera e la giustificazione dei contemplativi in rapporto all’azione sono nettamente affermate: “Poiché Mosè sentiva pesare le mani dalla stanchezza, presero una pietra, la collocarono sotto di lui ed egli vi si sedette, mentre Aronne e Cur, uno da una parte e l’altro dall’'altra, sostenevano le sue mani. Così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole” (Es 17, 12). Non è affatto per stanchezza che Mosè sceglie la preghiera invece della spada: “Il suocero di Mosè gli disse: ‘'Non va bene quello che fai! Finirai per soccombere, tu e il popolo che è con te, perché il compito è troppo pesante per te!”, (Es 18, 18). Troviamo poi nello stesso passaggio, una frase che è caratteristica di questo ruolo d’intercessore: “Tu sta davanti a Dio in nome del popolo e presenta le questioni a Dio” (Es 18, 19).

La preghiera d’intercessione non è platonica. Dopo che si è pregato, è necessario buttarsi a corpo morto là dove si opera il male e non lavarsene le mani. Pensiamo a Gandhi che viveva in modo straordinario questo impegno, arrivando perfino a punirsi quando i suoi discepoli agivano male. Bisognerebbe arrivare a questo punto! La preghiera d’intercessione non vuole lavarsi le mani alla maniera di Pilato. Ricordiamo l’episodio del Vitello d’oro che ci dispiega tutta la grandezza della preghiera d’intercessione (Es 3.2).

L’episodio comincia con una scena che ci richiama un certo linguaggio di famiglia come quando la moglie dice al marito, o viceversa: Tuo figlio ha fatto questo o quest’altro. “Allora il Signore disse a Mosè: ‘Va, scendi, perché il tuo popolo, che tu hai fatto uscire dal paese d’Egitto, si è pervertito. Non hanno tardato ad allontanarsi dalla via che io avevo loro indicata! Si sono fatti un vitello di metallo fuso’ [...]. Il Signore disse inoltre a Mosè: ‘Ho osservato questo popolo e ho visto che è un popolo dalla dura cervice. Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li distrugga. Di te invece farò una grande nazione’” (Es 32, 7-10).

Viene, insomma, proposto a Mosé di prendere le sue distanze da questo popolo dalla dura cervi ce e di diventare lui solo una grande nazione. Ma Mosè si rifiuta e cerca di calmare Jahvé (ammiriamo anche la bellezza di ogni parola): “Mosè allora supplicò il Signore, suo Dio, e disse: ‘Perché, Signore, divamperà la tua ira contro il tuo popolo, che tu hai fatto uscire dal paese d’Egitto con grande forza e con mano potente? Perché dovranno dire gli Egiziani: Con malizia li ha fatti uscire, per farli perire fra le montagne e farli sparire dalla terra? Desisti dall’ardore della tua ira e abbandona il proposito di fare del male al tuo popolo. Ricordati d’Abramo, d’lsacco, d’Israele tuoi

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servi, ai quali hai giurato per te stesso e hai detto: Renderò la vostra posterità numerosa come le stelle del cielo...” (Es 32,11-13).

Mosè è veramente il figlio diletto che ha fiducia nel padre suo e che intercede per i suoi fratelli. Allora Dio gli disse: “Va a trovare il tuo popolo”. Mosè ubbidisce. È irato, lo rimprovera, annuncia il castigo. Anche Gesù nel tempio si adira perché del luogo di preghiera hanno fatto una bottega. Mosè parla al popolo: “Voi avete commesso un grande peccato”, perché l’intercessore è dalla parte di Dio: “Io stavo fra il Signore e voi per riferirvi la Parola del Signore” (Dt 5, 5). Bisogna avere del coraggio per dire agli uomini la verità: “Ora salirò verso il Signore; forse otterrò il perdono della vostra colpa. Mosè ritornò dal Signore e disse: Questo popolo ha commesso un grave peccato: si sono fatti un dio d’oro. Ma ora se tu perdonassi il loro peccato... E se no cancellami dal tuo libro che hai scritto” (Es 32, 31-32). Mosè sale di nuovo la montagna per intercedere dopo il grave peccato del popolo: “Io sono rimasto sul monte, come la prima volta, quaranta giorni e quaranta notti; il Signore mi esaudì anche questa volta; il Signore non ha voluto distruggerti” (Dt 10, 10).

La preghiera d’adorazione dà all’uomo il senso dei veri valori, ma l’intercessione scaturisce dalla profondità d’un mondo peccatore.

La lode

Adorazione + intercessione = lode. La lode è l’adorazione che entra nell’ordito dell’intercessione - la lode biblica - poiché è una lode innervata nella vita e negli avvenimenti. Un’intercessione senza che ci sia stata adorazione si risolve in amarezza, in disperazione, in sfiducia: “Si va di male in peggio'”, “Non si risolve niente”.

Anche la vita di Mosè è disseminata ogni giorno d’insuccessi, di amarezze. A volte egli si lascia portare dalla collera; per temperamento ha degli scoppi d’ira, non s’acquieta, ha sete d’assoluto. Quando era giovane aveva sete della giustizia degli uomini: uccide il sorvegliante, separa gli Ebrei che litigano fra di loro, protegge i pastori di Madian contro quelli che li angariavano. Ma più tardi Mosè si accorgerà che c’è anche il peso della condizione umana; sarà così portato alla lode.

Deve fare i conti, innanzitutto, con la sua stessa pesantezza: è il dialogo al roveto ardente: “Va, io ti mando... Chi sono io? ... No, manda un altro, io non sono un buon parlatore... non sono capace...”. È la prima pesantezza. Probabilmente la sentirà più amaramente dopo, fra la durezza di cuore del suo popolo, le mormorazioni nel deserto, l’idolatria.

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Muore senza che abbia potuto raggiungere quel bene per il

quale aveva penato tutta la vita: l’entrata nella Terra promessa. E tuttavia si sprigiona la lode che risuona in una delle più belle pagine del Deuteronomio: “In quel medesimo tempo io supplicai il Signore: ‘Signore Dio, tu hai cominciato a mostrare al tuo servo la tua grandezza e la tua mano potente; quale altro Dio, infatti, in cielo o sulla terra, può fare opere o prodigi come i tuoi? Permetti ch’io passi al di là e veda il bel paese che è oltre il Giordano [...] e questi bei monti e il Libano?’ Ma il Signore si adirò contro di me a causa vostra e non mi esaudì. Il Signore mi disse: ‘Basta, non parlarmi più di questa cosa. Sali sulla cima del Pisga, volgi lo sguardo a occidente, a settentrione, a mezzogiorno e a oriente e contempla il paese con gli occhi; perché tu non passerai questo Giordano’” (Dt 3, 24-27).

Mosè sollecita qui un nuovo faccia a faccia, ma solamente da lontano vede quella terra promessa verso la quale ha fatto camminare il suo popolo fra tante difficoltà, come aveva visto Dio solo nascosto dalla Sua mano, nella spaccatura della roccia.

“Mosè, servo del Signore, morì in quel luogo, nel paese di Moab, secondo l’ordine del Signore... Mosè aveva centoventi anni quando morì; gli occhi non gli si erano spenti e il vigore non gli era venuto meno” (Dt 34, 5-7).

È proprio questo miscuglio inestricabile di fallimenti e d’adorazione, di buon grano e di zizzania, d’adorazione e d’intercessione per il peccato, che porta Mosè alla lode, a questi Te Deum della gioia, dell’acclamazione, della liberazione che costellano tutta la sua vita. Proprio perché, nello stesso tempo in cui adora, accetta tutta l’avventura umana, egli può entrare nella lode di Dio, una lode che informa tutta la sua vita:

Mia forza e mio canto è il Signore, Egli mi ha salvato. È il mio Dio e lo voglio lodare, è il Dio di mio padre e lo voglio esaltare! (Es 15, 2).

E con quale gioia, alla fine della sua vita, celebrerà ancora la potenza di Dio manifestata al passaggio del Mar Rosso:

Ascoltate o cieli, io voglio parlare; oda la terra le parole della mia bocca! Stilli come pioggia la mia dottrina

scenda come rugiada il mio dire. …

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Voglio proclamare il nome del Signore: date gloria al nostro Dio! Egli è la rocca, perfetta l’opera sua.

Ecco la lode, e una lode che prende tutta la sua vita: È un Dio verace e senza malizia, Egli è giusto e retto. Peccarono contro di lui i figli degeneri, generazione tortuosa e perversa.

La lode di Dio scaturisce dalla sua intercessione; ed è tutta la

storia di questo popolo, di questa “generazione tortuosa e perversa” e tuttavia sempre guidata, protetta, amata da Dio:

Così ripaghi il Signore o popolo stolto e insipiente? Non è lui il padre che ti ha creato, che ti ha fatto e ti ha costituito? Ricorda i giorni del tempo antico, medita gli anni lontani. Interroga tuo padre e te lo farà sapere, i tuoi vecchi e te lo diranno. Quando l’Altissimo divideva i popoli, quando disperdeva i figli dell’uomo, egli stabilì i confini delle genti secondo il numero degli Israeliti. Perché porzione del Signore è il suo popolo, Giacobbe è sua eredità. Egli lo trovò in terra deserta, in una landa d’ululati solitari. Lo circondò, lo allevò, lo custodì come pupilla del suo occhio. Come un’aquila che veglia la sua nidiata, che vola sopra i suoi nati, egli spiegò le ali e lo prese, lo sollevò sulle sue ali. Il Signore lo guidò da solo, non c’era con lui alcun Dio straniero (Dt 32,1-12).

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Tutta la vita di Mosè ha la sua più alta espressione in

quest’ultima certezza: egli muore in vista della Terra promessa, ma non ha nessun dubbio sulla promessa del suo Dio. È certo che niente potrà scuotere la fedeltà a tutta prova di Dio e del suo immenso amore.