UN MESTIERE DIFFICILE

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UN MESTIERE DIFFICILE Il magistrato Giuffrè editore GIUSEPPE PERA DIRITTO e ROVESCIO Nuova Serie

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UN MESTIEREDIFFICILE

Il magistrato

Giuffrè editore

GIUSEPPE PERA

DIRITTO e ROVESCIONuova Serie

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Giuseppe Pera

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Il magistrato

Giuffrè Editore

DIRITTO e ROVESCIONuova Serie

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Ai miei amici e allievi magistrati

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PRESENTAZIONE

Giuseppe Pera, dopo essersi laureato a Pisa nel1952, e entrato in Magistratura nell’anno 1955: estato uditore giudiziario a Firenze, poi e stato nomi-nato pretore a San Miniato di Pisa e da ultimo hasvolto funzioni di giudice presso il Tribunale diLucca. Nel 1964 ha lasciato la Magistratura dopoessere stato nominato assistente ordinario di Dirittodel lavoro nella Facolta di Giurisprudenza dell’Uni-versita di Pisa, ove ha insegnato, come professoreordinario, dal 1966 al 2001.

Gli anni giovanili lo hanno visto impegnato po-liticamente: dopo essere stato espulso dal P.S.I., eentrato nell’Unione Socialisti Indipendenti; nellostesso periodo ha collaborato, talvolta con lo pseu-donimo di Arturo Andrei, a varie Riviste, tra le qualimeritano di essere segnalate Critica Sociale, Risorgi-mento Socialista, Il Mulino e Il Ponte.

Conclusa, dopo otto anni e mezzo, la carriera dimagistrato, Giuseppe Pera ha pubblicato nel 1967,con la Casa Editrice Il Mulino, il libro che ora, susollecitazione di alcuni allievi, abbiamo ritenuto diristampare.

Immutate sono le ragioni che ci hanno portato aprendere questa iniziativa.

Il libro, come e scritto nella premessa alla prece-dente edizione, « non denuncia scandali, non si at-

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tarda a raccontare pettegolezzi, non pronuncia re-quisitorie e non propone astratte riforme in nome diquesta o quella ideologia ». E un libro, quindi, chetestimonia l’esperienza di un ex magistrato, rico-struita sempre dall’interno, e cioe dall’intimita dellasua coscienza.

La crisi della giustizia che viene denunciata inquesto libro si percepisce in tutta la sua attualita,nonostante il notevole tempo trascorso; e per questomotivo lo riproponiamo ai lettori di oggi.

Milano, maggio 2003

PRESENTAZIONEVIII

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INDICE

Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . VII

1. Un mestiere, una scelta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12. I giudici quali sono . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 473. I processi e la giustizia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 874. Le riforme che urgono. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 171

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LA LEGGE PENALE PER GL’IMPIEGATI

Il nostro sapientissimo padronecon venerato motu proprio impone,che da oggi in avanti ogn’ impiegato

per il bene dello stato,

(per dir come si dice) ari diritto,e in caso d’imperizia o di delitto,lo vuol punito scrupolosamente

colla legge seguente:

Se un real segretario o cameriere,tagliato, puta caso, a barattiere,ficca, a furia di brighe, in tutti i buchi

un popolo di ciuchi;

Se un cancellier devoto della zeccasulle volture e sul catasto lecca,e attacca una tal qual voracita

alla Comunita;

Se a caso un ispettor di poliziasganascia o tiene il sacco, o se la spiainventa, per non perder la pensione,

una rivoluzione;

son piccoli trascorsi perdonabili,dall’umana natura inseparabili:ne sopra questi allunghera la mano

il benigno sovrano.

Ma nel delitto poi di peculato,posto il vuoto di cassa a sindacato,chi avra rubato tanto da campare,

sia lasciato svignare;

chi avra rubato poco, si perdoni,e tanto piu se porta testimonid’essersi a questi termini ridotto

per il giuoco del lotto;

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Se un real ingegnere o un architettoci munge fino all’ultimo sacchetto,per rimediar a questa bagatella

si cresca una gabella.

Se saremo costretti a trapiantareun vicario bestiale atrabiliare,tanto per dargli un saggio di rigore

sara fatto auditore.

Se un consiglier civile o criminale,sbadigliera sedendo in tribunale,visto che lo sbadiglio e contagioso,

si condanni ai riposo;

Se poi barella, o spinge la bilanciaa traboccar dal lato della mancia,gl’infliggeremo in riga di galera

congedo e paga intera.

Se un ministro riesce un po’ animale,siccome bazzicava il principale,titolo avra di consigliere emerito

e la croce dei merito.

Giuseppe Giusti (1835)

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1.Un mestiere, una scelta

Sono stato per otto anni e mezzo magistrato,avendo cosı la ventura di compiere una esperienzadecisiva nella mia personale vicenda; e in questianni, posti tra il grigiore e l’incertezza spesso tor-mentosa circa le prospettive che sono tipiche delperiodo immediatamente successivo al compimentodegli studi universitari e la mezza eta, che e avve-nuta, per il bene e per il male, la mia maturazione,certo in gran parte a spese (ma spero, non troppo!)di quanti hanno avuto a che fare col mio ufficio. Ein questa incombenza, in sostanza, che mi e capitatodi divenire uomo, con quei tratti e quelle caratteri-stiche secondo le quali ad un certo momento lanostra personalita, quale risultato del dialetticoreagire delle esperienze buone o cattive, liete emeno liete, ricche o povere di contenuto umano,sulla spinta naturale del carattere che ci viene « perli rami », piu o meno rigidamente si fissa ed edestinata a consolidarsi e ad insecchirsi nel tempo,in quel naturale processo che ci fa vecchi, oltre chenelle membra, nello spirito e nel modo di porsiinnanzi alla realta. Sono maturato cosı nel giudicarei miei simili, esplicando (ma non e il caso di caderein una abusata retorica) una funzione tra le piuessenziali in una civile convivenza, trascorrendo le

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mie giornate tra fascicoli civili e processi penali, traprove, ispezioni e ricerche nei campi piu disparati. Ementre sono pressoche agli inizi di un altro capitolodella mia vita al quale mi sono avviato senzapentimenti per la spinta che ho avuto in sorte divedere nei libri ed in quello che essi racchiudono erappresentano la fonte inesauribile e pressochemagica di un quotidiano diletto, che pur ha le suepunte faticose e tormentose, sento che restera sem-pre in me (semel abbas, semper abbas!) questaesperienza decisiva che ho alle spalle.

Di qui lo spunto a queste riflessioni che miaccingo a stendere, lo confesso, sull’onda di unsentimento che prepotentemente mi muove, pro-prio perche sono soddisfatto di questa mia vicendae di aver compiuto in essa le mie prime incancella-bili prove, perche in essa molto ho imparato e dallevicende e dai protagonisti, onde quando frequente-mente vi ripenso cio non avviene senza una nota dirimpianto e di malinconia. Ma se dietro a questepagine c’e, com’e naturale che avvenga, un senti-mento che mi induce altresı a dedicarle, con pie-nezza di affetto, ai miei ex colleghi dei quali ingenere conservo un caro ricordo e massimamente aquelli, non scarsi, dai quali appresi buone lezioni eche talora costituirono per me un modello, mimuove altresı la speranza di fare cosa non del tuttoinutile per quanti hanno a cuore le sorti dellagiustizia nel nostro paese. Spero cioe che in questoperiodo in cui per piu versi e da ogni parte dell’opi-nione pubblica, ivi compresa quella particolarmentesignificativa degli stessi magistrati, si denuncia lagravissima crisi nella quale versa la nostra ammini-

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strazione giudiziaria, non sia trascurabile questatestimonianza di un ex magistrato. Ed in verita, senon c’e bisogno di aggiungere una ennesima voce alcoro pressoche unanime delle lamentele, posto chela crisi non solo e, per adoperare una espressione dimoda, nelle cose, ma e ormai nella coscienza deipiu, della generalita dei cittadini, credo che vi siaviceversa necessita di indagini accurate e spassio-nate in proposito, per sollecitare ancora una volta eriforme e rimedi, pur se, per il carattere stesso diquesto scritto parziale e limitato, non e certo nellemie intenzioni il proposito di colmare lacune e difornire una completa, esauriente disamina.

Invero la piu larga opinione e in prevalenzainformata dell’andamento delle cose in questo fon-damentale servizio civile a mezzo delle indaginigiornalistiche ed ognuno ben sa quali siano, in unacon gli indubbi vantaggi di questo mezzo di comu-nicazione delle idee, gli inevitabili limiti delle stessee con cio stesso il pericolo che esse rappresentano.Negli scritti giornalistici, infatti, quand’anche non vidomini come spesso avviene il settarismo di parte, esempre di prammatica, forse per la parzialita e lasuperficialita delle indagini condotte, forse per l’an-damento naturale del discorso in quella sede (il c.d.colore), una certa dose di inesattezze, di approssi-mazioni piu o meno notevoli e talora di vero eproprio travisamento dei fatti; non per niente di unqualsiasi contributo di discutibile attendibilita sisuole affermare che e scritto in stile giornalistico,ove la valutazione sostanzialmente negativa e sem-mai di frequente temperata dal rilievo che si trattadi un lavoro brillante e scorrevole. Le stesse crona-

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che dei fatti giudiziari sono in genere zeppe diqueste mende e lo stesso avviene, come e logico,quando si intende parlare di cose assai piu grosse,dei fasti e nefasti dell’amministrazione giudiziaria.Al minimo si dicono sempre delle mezze verita;spesso si cade ancor piu in basso. Gia una volta miaccadde di dover protestare, in un foglio scritto dagiudici per i giudici (1), contro codesta superficialitagiornalistica, prendendo spunto dalla circostanzache un nostro giornalista che non a torto va per lamaggiore anche per il fatto d’essersi cimentato conlusinghiero successo in cose letterarie, in relazionead un famoso caso di errore giudiziario, si chieseangosciosamente se i magistrati « responsabili » delmedesimo fossero stati, come si sarebbe dovuto farea detta dell’articolista, subito rimossi dal loro uffi-cio! E assai di recente, per fare un altro esempioclamoroso, in una inchiesta si e scritto (2) che per imagistrati italiani la identificazione tra morale esesso e assoluta e corrente, onde « termini che sonostati banditi dal vocabolario corrente degli italiani(e che ricordano i romanzi di Guido da Verona o ivecchi trattati di sessuologia di Paolo Mantegaz-za)... appetito carnale, lascivia, concupiscenza, lus-suria, libidine costituiscono il tessuto connettivo dicentinaia di sentenze, da quelle dettate dalla Cassa-zione a quelle stilate dai pretori »; e pertanto par-rebbe, a tacere delle osservazioni che potrebberofarsi sulla accettabilita della proposizione princi-

(1) G. PERA, Valutazioni frettolose, in « Terzo Potere »,gennaio-febbraio 1962.

(2) Vd. N. AJELLO, Le toghe di piombo, ne « L’Espresso » del2 maggio 1965.

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pale, che i giudici italiani abbiano nella loro testa untal quale rovello... per certe cose, che sarebbe in essiirrefrenabile il bisogno di parlarne in qualsiasi loropronuncia, anche laddove, nella materia del conten-dere, per le passioni piu basse non vi sia il minimoaggancio obiettivo, dovendosi decidere, putacaso, diun credito o di un reato colposo e che quindi ilpovero cittadino, costretto malgrado lui a frequen-tare certi ambienti, dovrebbe tener presente d’averea che fare con pericolosi maniaci sessuali! Da tuttoquesto sorge, per quanti ne abbiano la possibilita,l’obbligo morale di contribuire viceversa ad unaonesta e non tendenziosa informazione; ed e inquesto ordine di idee che, accomunando alle ragionidel cuore quelle della testa, mi accingo a renderequesta testimonianza, lieto se potro obiettivamenterecare un pur modesto contributo ad una causa cosıgrande e nobile quale quella del miglior assettodell’amministrazione giudiziaria, una causa che do-vrebbe sommuovere e trascinare ogni cittadinopremuroso dell’interesse generale in una civile con-vivenza.

Naturalmente, per valutare il peso che obietti-vamente queste riflessioni possono avere, e neces-sario considerare che l’esperienza personale dallaquale prendo spunto, se e stata decisiva sul pianodel curriculum individuale, non puo dirsi piena ecomplessa come quella che sta dietro a chi lascial’ordine giudiziario avendo trascorso in esso tutta lasua vita fino al momento fatale del pensionamentoo larga parte, comunque, della sua esistenza. Ottoanni e mezzo di attivita giudiziaria non sono molti,in particolare se si toglie il primo anno di uditorato,

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cioe di mero tirocinio senza effettivo esercizio dellefunzioni; in un arco di tempo cosı relativamentebreve, il magistrato compie, a mio parere, solo laparabola inevitabile del suo definitivo inserimentonell’ambiente, si fa sostanzialmente le ossa, si con-solida nella sua personalita. Con larga approssima-zione, e solo dopo un decennio circa di attivita cheil giudice supera il periodo di assestamento e co-mincia a porsi e ad operare, con la piena maturitaacquisita nella varia esperienza quotidiana; ed esolo con l’esperienza intensamente vissuta che, spe-cialmente in queste funzioni, ci si forma e si mi-gliora sempre piu, relativamente avvicinandosi almodello ideale.

La mia testimonianza soffre quindi indubbia-mente di questa limitatezza dell’esperienza accumu-lata. In secondo luogo e bene che dica come ioabbia svolto le funzioni di magistrato in determinatiuffici ed in determinati ambienti, certo laddove nonpossono essere cosı intense come in altre situazionile occasioni decisive per potersi rendere contoappieno delle caratteristiche attive e passive delservizio. In concreto fui per un anno uditore vice-pretore in una grossa pretura di una citta media,essendo ivi destinato al penale e cosı trascorrendolarga parte del mio tempo sui fascicoli dei procedi-menti penali per lesioni colpose derivanti da fattidella circolazione stradale. Poi per cinque anni hocompiuto le mie prove decisive, come pretore, inuna cittadina della valle d’Arno ovunque famosaper lo strillare delle cicale di carducciana memoria,in un ambiente avente come tutti gli ambienti certeirripetibili caratteristiche e umane e specificata-

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mente rilevanti sul piano del lavoro giudiziario; adesempio in quel mandamento i procedimenti penaliderivano con schiacciante prevalenza dalla circola-zione stradale, contandosi le truffe e i furti sullepunte delle dita e risalendo l’ultimo omicidio volon-tario a circa trenta anni innanzi: solo nello scorciodella mia permanenza si verifico qualche graveepisodio di sangue nell’ambiente della massicciaemigrazione meridionale avvenuta nell’ultimo de-cennio, cio costituendo sociologicamente, con ilcontemporaneo abbandono delle campagne daparte dei nativi, il dato piu imponente di questaItalia che va, in mezzo a notevoli difficolta, felice-mente rimescolandosi nelle sue varie stirpi. Infineho trascorso l’ultimo periodo nel tranquillo tribu-nale della mia citta natale, con funzioni anche quipromiscue, nel penale e nel civile; e la mia citta ealtrettanto ben nota perche i suoi abitanti sono ingenere alieni per calcolata natura da ogni fatto chepossa ficcarli nei guai, intenti com’essi sono a per-seguire, senza avventure pericolose e con moltaproverbiale, arida taccagneria, il loro « particula-re »; uomini « d’ordine », insomma, nell’accezionemeno simpatica e meno nobile del termine, tantoche qui, dall’unita nazionale, la corte d’assise hatenuto aperti i battenti per celebrare, di norma,processi, anche famosi, quivi trasferiti per legittimasuspicione dalle piu turbolente province, che altri-menti gli indigeni possono fornire lavoro per due-tre udienze all’anno e magari per un vilipendioaddebitabile a qualche stravagante! Nel complesso,quindi, ho lavorato in ambienti tranquilli, dove lagrossa delinquenza e rara; in uffici, per cosı dire, di

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ordinaria amministrazione, senza eccessivo sovrac-carico di incombenze. Non ho percio conoscenzadiretta di quegli uffici, posti in particolare nellegrandi citta, nei quali, per qualita e per quantita, lacrisi della giustizia appare veramente macroscopicae ineludibile. Non ho nemmeno esperienza di tuttala trafila dell’amministrazione giudiziaria, ho cono-sciuto solo alcune delle funzioni che possono esserein concreto commesse ad un magistrato e che siprospettano in realta secondo una gamma assairicca. Quindi una esperienza non solo temporal-mente, ma anche qualitativamente e per piu ordinidi ragioni limitata; limitatezza che ovviamente in-fluisce, come ho premesso, sul valore di questatestimonianza la quale, a sua volta, puo apparireforse in parte condizionata in senso negativo daltipo specifico di esperienza compiuta, da quellecerte cose con le quali ho avuto a che fare nei treuffici ricoperti. Vedano i cortesi lettori quale pesopossa cosı obiettivamente attribuirsi a queste pa-gine, in particolare quando mi indurro a parlare disituazioni delle quali non ebbi conoscenza diretta,per formulare talune idee sulla crisi del sistema ingenerale.

Ho gia detto per inciso che mi considero soddi-sfatto della mia esperienza di magistrato; ed inverita penso di aver fatto a suo tempo la sceltamigliore tra le diverse prospettive che, piu o menoteoricamente, avevo innanzi a me dopo la laurea ingiurisprudenza, cosı come, presentandosi neglistessi termini la situazione, non esiterei ad imboc-care di nuovo quella via. Ora puo essere interes-sante che io chiarisca le ragioni di questa mia

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conclusione, specialmente in rapporto alle indaginiche cominciano a farsi, in sede sociologica e psico-logica, in ordine alle motivazioni e alle spinte chepossono indurre nella societa italiana un giovane adentrare in magistratura (3), come testimonianza —su questo piano — di un modo particolare di porsiinnanzi alla questione che probabilmente non e ilpiu diffuso, ma nemmeno, forse, del tutto raro. Cioimporta che io dica per quali ragioni, certo del tuttopersonali, scelsi di divenire magistrato e per le quali,se non si fosse presentata la possibilita di dedicare ilresto della mia vita allo studio della materia dielezione, certamente avrei l’onore di indossare an-cora la toga. Dico subito che scelsi, deliberatamentee coscientemente, per vocazione. E mi spiego, af-finche sia chiaro cosa intendo dire quando parlo divocazione; non adopero questa parola alquantoimpegnativa per dire che intesi compiere una sceltaaprioristica compiuta con l’unico intento di servirein assoluto un certo ideale al pari di chi, perispirazione religiosa o di redenzione sociale, lascia ilmondo, rinuncia alla soddisfazione dei personaliinteressi e si fa o sacerdote o militante rivoluziona-rio. Intendo piu modestamente dire che scelsi nellosforzo di ricercare la professione nella quale mifosse possibile, piu che altrove, combinare il soddi-sfacimento delle esigenze elementari di vita, postoche la natura lungi dall’avermi fatto asceta mi hadato una certa bramosia di vivere alquanto prosai-

(3) Vd. ad es. l’iniziativa illustrata da A. BERIA DI ARGENTINE,Una indagine sull’Amministrazione della Giustizia in Italia, ne « LaMagistratura », gennaio 1963, p. 4.

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camente, con il minor disagio possibile per la miapersona e per il mio carattere. Posta la mia naturaleinclinazione, se non agli studi severamente condotti,ad un certo lieto bighellonare nei vari settori dellacultura che si incentrano sui problemi dell’umanaconvivenza, se la sorte mi avesse concesso la rarafortuna di potermi bellamente disinteressare delpane quotidiano, certo non avrei bussato alla portadi nessuno e me ne sarei rimasto intento alle cose ame piu care secondo una scelta che, rispettate ledistanze che corrono tra l’uomo di genio ed ilcomune dilettante, mi avrebbe posto sullo stessopiano del non laureato Don Benedetto. Ma la deafortuna non ritenne di dover essere cosı prodiga neimiei confronti e poiche a quei tempi nemmeno nelbilancio universitario v’era quel poco che puo con-sentire ad un giovane desideroso di proseguire neglistudi la possibilita — per me presentatasi piu didieci anni dopo — di sbarcare il lunario, dovettiscegliere altrimenti. E poiche madre natura mi hafatto, d’altro canto, senza presunzioni e senza iat-tanza, uomo insofferente di legami gerarchici, didipendenze necessarie, intollerante delle costrizionidello spirito comunque esse si manifestino e taloraanche delle farisaiche convenienze, desideroso in-somma, nella misura umanamente possibile, di vi-vere in condizioni di piena indipendenza, se nonmateriale, quanto meno spirituale, tanto che ritengoche qui sia il problema essenziale che l’umanitadeve risolvere se vorra dirsi veramente civile (ga-rantire a tutti la massima misura possibile di libertae di rispetto della dignita, superando tutte le tiran-nidi di vario colore, quelle apertamente conclamate

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e quelle che di fatto la societa tende sempre acostituire nel suo seno), mi resi conto che nelle miecondizioni di uomo bisognoso e di laureato in dirittonon v’era soluzione migliore di quella di diveniremagistrato. Volli essere giudice soprattutto per as-sicurarmi il massimo di indipendenza possibile, nelsenso piu elevato del termine, avendo da risolvere ilproblema del minimo di garanzia economica, ciocostituendo, dal mio punto di vista, l’obiettivo es-senziale da raggiungere.

Il magistrato ha innanzi a se solo una missioneistituzionale da compiere, quella di operare avendocome unico metro e limite la legge, da ricostruirenella sua coscienza, innanzi agli infiniti casi dellavita che gli si prospettano, con una libera opera-zione spirituale; egli non ha ne gerarchi ne padroni,ma lo domina costituzionalmente solo il dovere diattenersi, secondo coscienza ed equita, al precettodi legge. Ed il magistrato puo in concreto utilizzarein pieno questa sua felice, istituzionale, posizione,puo essere veramente libero da ogni servaggio neilimiti del suo ufficio. Certamente sussiste un pro-blema di garanzie obiettive di questa posizione diindipendenza, alcune gia poste concretamente e datempo nelle nostre leggi, altre delle quali tuttora sidiscute; ma, in relazione a queste rivendicazioni diuna piu piena e completa garanzia dell’indipen-denza (ad esempio con la totale abolizione dellacarriera), puo dirsi che gia oggi il magistrato, sevuole, puo essere effettivamente indipendente. Giaoggi il magistrato gode, ad esempio, dopo il periodoiniziale, dell’inamovibilita; il che significa che se eglisi comporta bene, senza dar luogo a gravi censure,

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se si contenta di quello che ha, della sede assegna-tagli, della donna legittimamente avuta in sorte, seadempie cioe a tutti i suoi doveri e mantiene unaspecchiata condotta in ufficio e nella vita privata(ma le garanzie non debbono valere nel senso difavorire la violazione di questo minimo!), nessunopuo torcergli un capello ed egli puo continuare adamministrare giustizia in una condizione di effettivasovranita che nessun potere, nessuna autorita, nes-suna conventicola possono sminuire.

Ora a me e sempre parso che tutto questo fossedi un valore inestimabile e non ragguagliabile conalcuna moneta. Proprio perche a questo soprattuttotenevo, non ho mai provato sentimenti di invidiaverso chi, avendo i miei stessi titoli in astratto,magari nel regno del sottogoverno, godeva di piulaute prebende e di condizioni comunque piu favo-revoli; anzi, a dire il vero, mi sono sentito sempre,pur evitando di mettere in rilievo la cosa con unatteggiamento provocatorio di antipatie, in condi-zioni di gran lunga piu invidiabili, posto che mai, innessuna occasione, se avessi osservato gli ovvi limitisopra indicati, nessuno avrebbe potuto chiamarmi arapporto, chiedere spiegazioni sul mio operato odarmi istruzioni di sorta.

In questo senso e vero quanto frequentementesi afferma, magari al fine di difendere un determi-nato assetto tradizionale della magistratura, checioe la prima garanzia di indipendenza del magi-strato sta nella coscienza morale del medesimo;ancor di piu e difficile poter essere buoni magistratise non si e pervasi da questo spirito e da questavolonta di indipendenza. Ecco perche io ringrazio la

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sorte di avermi consentito quanto piu corrispondevaalla mia piu naturale ed invincibile inclinazione. Edin verita non c’e stata mai una occasione nella qualeio abbia sentita lesa la mia liberta di coscienza, maiuna occasione nella quale in definitiva non abbiapotuto affermare quanto l’intimo mi dettava, neilimiti ovviamente della mia competenza; al mas-simo, quando operava ancora la norma che consen-tiva al procuratore della repubblica di avocareinsindacabilmente al tribunale un procedimento dinaturale competenza del pretore, norma felice-mente caduta a seguito di una ottima sentenza dellaCorte Costituzionale per la quale io brindai, inqualche raro caso ebbi l’impressione che mi sivolesse sottrarre un processo ad hoc per ragioni nonmolto chiare ed inconoscibili: poteva esserci cioeun’« aggiramento » del giudice in forma di inecce-pibile legalita, mai poteva esserci coartazione otentativo di pressione diretta. Ed anche fuori del-l’ufficio, nella vita civile, non ho mai sentito meno-mata la mia personalita di uomo libero.

Cosı, in particolare, non mi fu impossibile, an-che quando come pretore di una cittadina di pro-vincia ero nella ristretta cerchia delle « autorita »che nel nostro paese sono, com’e ben noto, ancheecclesiastiche, comportarmi, con il dovuto rispettodi convenienza verso quanti rappresentano cerchiepiu o meno vaste della comunita, senza alcun disa-gio umiliante per la mia coscienza non solo laica, mafermamente non toccata dalla grazia divina, avendosempre cercato di attenermi anche qui ad una certadignita, il che, oltrettutto, e essenziale per poterottenere il rispetto degli « altri ». In realta tutto puo

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crollare, l’uomo puo vanamente umiliarsi e nelcontempo umiliare i valori che sono di gran lungapiu grandi della sua misera persona e quindi indi-sponibili, solo se non lo sorregge una intima consa-pevolezza e la ferma volonta di essere coerente; ede da questa deprecabile deficienza che, al di la dellalegge e delle forme istituzionali, puo derivare queldistorcimento nella societa civile che fa sı chetalora, indipendentemente dall’assetto formale ge-nerale, si sfoci, in pratica, in un clima di regimeeffettivo, con una serie di verita ufficiali non scritte,ma egualmente e piu pericolosamente operanti,tanto da piegare spesso i singoli ad un volgareconformismo. Per mio conto mi sono sentito sempreliberamente fuori di un siffatto clima, anche sespesso l’ho avvertito attorno a me e nelle piu variedirezioni, posto che, quando gli uomini sono inti-mamente disposti a servire, si moltiplica il numerodi quelle entita, astratte o ben altrimenti corpose,rispetto alle quali essi reputano opportuno di doversoffocare, peccando contro il piu vero degli impe-rativi morali, il loro spontaneo convincimento. Ecosı, ad esempio, proprio nella vasta aula romananella quale si svolgono le prove scritte dei variconcorsi, in occasione dell’esame di aggiunto giudi-ziario incontrai un collega che si meraviglio di comeio osassi talora, nei miei scritti, criticare gli indirizzidella Cassazione! Altra volta quando in occasionedi una cerimonia ufficiale porsi, come sempre, il miosaluto al vescovo in una forma compatibile con lacoscienza di miscredente, subito dopo mi trovaiinnanzi, maliziosamente sorridente, chi, ben cono-scendomi, mi disse: « volevo proprio vedere come si

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sarebbe comportato! », al che io risposi che certecose non potevano ovviamente costituire un pro-blema.

Nessuna invidia, pertanto, nei confronti di altrimaterialmente piu fortunati; ma spesso l’intima,profonda, indicibile soddisfazione di questa posi-zione di indipendenza, in particolare quando, perragioni di ufficio, scoprivo nei fatti l’inevitabile enaturale differenza tra il giudice ed il burocrate alquale, piu o meno correttamente, sono rivolti ordinio istruzioni la cui inosservanza puo essere dura-mente pagata. Come pretore presiedevo la commis-sione elettorale mandamentale e questo servizio eraaffidato, nell’ambito della burocrazia comunale, adun funzionario onestissimo, ossequiente fino all’ab-negazione ai doveri di ufficio, pur se nel suo animov’era la contropartita di un eccessivo, timorosorispetto delle superiori direttive cosı come, forse,nella sua testa, non era ben chiara la differenza checorre tra la legge e le circolari esplicative. Ora inuna cittadina vicina, in un certo momento il partitoal governo municipale, partito che non gode esatta-mente delle mie simpatie, ebbe il timore di riusciresconfitto nella prossima consultazione elettorale e,usufruendo della assoluta disponibilita di massicceschiere di adepti, ritenne di dover ricorrere alrimedio di far crescere nelle liste il numero dei suoisostenitori; e poiche in quella citta, disponentedell’unico attrezzato ospedale della zona, erano natimoltissimi cittadini di famiglie residenti nei comuniviciniori, vi fu una richiesta in massa di trasferimentiai fini elettorali, usufruendo della norma che con-sente appunto al cittadino di optare tra il comune di

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residenza e quello di nascita a quei fini. Pare che laprefettura si preoccupasse molto di questa situa-zione per ragioni politicamente inverse a quelle chel’avevano determinata, ed un giorno l’anzidettofunzionario venne a dirmi di codesta preoccupa-zione e di come un viceprefetto in visita ispettivaavesse caldamente raccomandato di farvi fronte e diprospettare « al signor pretore » l’opportunita direspingere le domande; risposi che come cittadinopotevo certo deprecare che la legge permettesse discegliere il domicilio elettorale sulla base di unacircostanza che nell’epoca attuale si risolve semprepiu di frequente in termini ostetrico-ginecologici eche, su questo piano, si poteva prendere in conside-razione, de lege ferenda, la proposta restrittiva fatta,per l’elettorato amministrativo, in una famosa pre-dica inutile di Luigi Einaudi; ma come soggettochiamato ad applicare la legge... l’avrei scrupolosa-mente applicata, previo controllo dei requisiti for-mali richiesti, non importandomi doverosamenteniente delle vicende elettorali di quel certo comune;soprattutto mi premurai di tranquillizzare l’onestacoscienza del bravo e timoroso burocrate.

Finora ho detto del valore della indipendenzadel magistrato dal punto di vista subiettivo, sulpiano della scelta personale di una professione incondizioni date. Ma ovviamente, pur potendosi conestrema franchezza prospettare la situazione daquesto punto di vista, e chiaro che l’indipendenza ericonosciuta al giudice non quale privilegio perso-nale, ma quale garanzia funzionale, concessa inragione delle esigenze tipiche della missione com-messa. L’indipendenza pertanto non e un beneficio

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del quale possa abusarsi, bensı quanto l’ordina-mento ritiene di dover assicurare affinche il magi-strato possa adempiere serenamente al suo lavoro,avendo nei fatti come unica bussola quella dellafedelta alla legge. Per cio stesso questo beneficio varigorosamente utilizzato dal singolo; costui, lungidal poterne approfittare per considerarsi quasi legi-bus solutus, deve fare tutto il possibile affinche,rimossa con le garanzie di legge ogni possibilita diattentato alla sua persona a ragione del modo nelquale in concreto amministra la giustizia, nel suooperare vi sia la visibile, costante testimonianza diquesta sua indipendenza verso tutti e verso tutte ledirezioni. Il magistrato deve essere cosı veramenteindipendente nella sua coscienza e nelle scelte chene conseguono nei vari casi che ha da risolvere,libero da ogni considerazione estranea a quelladoverosa di applicare la legge; ma, proprio infunzione di questa sua attivita, egli deve altresıpreoccuparsi di apparire anche all’esterno comeuomo veramente libero e non prevenuto. L’indipen-denza e, quindi, piu esattamente un dovere; questosolleva una serie di problemi delicati nel comporta-mento quotidiano, giacche il cittadino deve avere lamassima fiducia nel suo giudice, deve essere deltutto sicuro che il suo caso sara giudicato da uominiliberi, sciolti da qualsiasi legame pregiudiziale conqualsiasi parte, politica o no, e con qualsiasi gruppo.

Qui si pone il discusso problema della possibilitaper il giudice di militare in formazioni politiche oparapolitiche, o comunque di parte. Naturalmente ilgiudice e un uomo e come ogni uomo ha le sue ideeed i suoi orientamenti, piu o meno precisi e rigidi; ed

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e chiaro che di necessita si riflette nella sua attivita,in misura piu o meno accentuata, la concezione delmondo alla quale egli aderisce, specialmente quandoe in giuoco l’interpretazione della legge ed in parti-colare quando in un determinato ordinamento, qualee quello nostro attuale, codesta interpretazione devesovente svolgersi tenendo conto, ad esempio, del pro-fondo contrasto che sussiste tra certi principi dellasuperlegge costituzionale e la legislazione ordinaria,ancora in larga misura di ben diversa ispirazione, equando la risoluzione di questo contrasto implica ine-vitabilmente la scelta tra orientamenti generali e par-ticolari radicalmente agli antipodi, all’incirca con-trapponendosi un indirizzo genericamente « con-servatore » ad un indirizzo altrettanto genericamente« progressivo ». Il giudice-manichino non esiste nepuo esistere in rerum natura e su questo tema, com’enoto, s’e fin troppo scritto. Ma e altrettanto vero cheil giudice non deve avere pregiudiziali in materia nedeve apparire condizionato da codeste pregiudiziali,proprio perche, a tacer d’altro, di volta in volta cheun certo problema si ripresenta, egli deve ripropor-selo ex novo nella sua interezza come se dovesse ri-solverlo per la prima volta, pronto a riascoltare ideal-mente le varie voci in contrasto e quindi anche amodificare il suo precedente orientamento. E perquesto che il giudice non puo assolutamente militarein un partito politico per non essere costretto a se-guirne le direttive, perche, come si puo argomentarecon filologia spicciola, il partito e di per se una parte,un raggruppamento formatosi con l’accettazionepregiudiziale di una ideologia, quando tutte le ideo-logie sono intrinsecamente parziali, assolutizzazioni

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di certi aspetti tendenziali della realta e quindi, almassimo, mezze verita, mentre il magistrato ha daavere una sola pregiudiziale, un solo partito, quellodella legge. Al di la della questione se convenga o noche la legge, in svolgimento di una precisa normacostituzionale, ponga un divieto formale in materia(la questione e di sostanza e non di forma ed e piupericoloso, in ipotesi, il magistrato clandestinamenteiscritto), e indubitabile che il giudice deve sentirequesto elementare dovere di tenersi fuori dai partitie dalle loro competizioni.

Per mio conto risolsi in questo senso il pro-blema, abbandonando, al momento del mio in-gresso in magistratura e con formale dichiarazionepubblicata su « Risorgimento Socialista », l’attivitapolitica; e successivamente cercai sempre di com-portarmi di conseguenza, ricorrendo, per la pubbli-cazione di qualche rarissimo articolo anche nonspecificatamente politico, ad uno pseudonimo. Sonorimasto sempre perplesso dinnanzi alle aperte ma-nifestazioni di fede politica o di rilevanza politicaalle quali talora, pur rarissimamente, taluni magi-strati si abbandonano, in relazione o no alle tormen-tate vicende che dividono la categoria a propositodel suo definitivo assetto istituzionale; cio dicasi, inparticolare, per alcuni gruppi o uomini del settorepiu « estremista » dell’associazione nazionale magi-strati. E cosı non mi ha convinto l’adesione che direcente alcuni ed anche valentissimi giudici hannodato al manifesto costitutivo dell’« alleanza costitu-zionale », indipendentemente dal consenso o no checome cittadino posso avere per i fini di questosodalizio. In conclusione l’appartenenza alla magi-

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stratura implica (specialmente in un paese assaidiviso dal punto di vista della concezione costituzio-nale per la mancanza di un generale consenso perquanto attiene alla formula di regime e nel qualealtresı, sovente, la contrapposizione politica de-grada in volgare partigianeria interessata e nel piuferoce settarismo) la doverosa rinuncia a scenderein piazza sotto qualsiasi insegna; chi non ha la forzadi pagare questo scotto e meglio che si astenga dalpretendere l’esercizio di cosı delicate funzioni.

L’astensione non va, inoltre, perseguita solo neiconfronti dei partiti strettamente intesi, bensı inrelazione a tutte le possibili formazioni contrappo-ste che si rinvengono come antagoniste in una certacomunita, dividendola piu o meno acutamente. Nona torto si e talora affermato che il problema si poneanche, in particolare nel nostro paese per ben noteragioni, rispetto a certe organizzazioni d’ispirazioneecclesiastica nella misura in cui queste pretendonodi interferire nel concreto assetto della comunitanazionale su questo piano, in termini di discutibileconfessionalismo e in generale e per quanto attienealla risoluzione di determinati casi. Qui ovviamenteil discorso si fa piu delicato, perche tocca l’intimodella coscienza dell’uomo e ripropone, a questolivello, il tema della laicita dello Stato. E comunquechiaro che, a prescindere dalle legittime e rispetta-bili convinzioni religiose, il magistrato non puo farsipregiudizialmente condizionare da una determinataconcezione dei rapporti tra la predominante confes-sione nazionale e lo Stato; egli deve sentirsi impe-gnato alla stretta osservanza della legge statuale,eventualmente anche in contrasto con le direttive

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promananti dalle autorita ecclesiastiche, special-mente quando queste reclamino in ipotesi posizionidi favore che non possono trovare riconoscimentonell’ordinamento che egli serve, in particolarequando siano in questione i diritti fondamentali diliberta dei cittadini. Ma, piu in generale, a prescin-dere dalla posizione specifica del giudice, ove laquestione si pone sul piano dei doveri implicita-mente collegati alla funzione, io non vedo come ilgiurista, in quanto tale, possa aggettivarsi, politica-mente o confessionalmente, in un senso o nell’altro;confesso che non ho mai condiviso le ragioni per lequali taluni si raggruppano come giuristi democra-tici e altri come giuristi cristiani, giacche, a prescin-dere dalle prese di posizione in questo senso nellesedi adatte, i giuristi, a mio avviso, non sono nedebbono essere ne di questa ne di quella parte,posto che come tali si distinguono semmai dai nongiuristi. Cosı, a ben vedere, il tema dell’indipen-denza e della salvaguardia nell’opinione pubblica diquesta indipendenza, non si pone esclusivamenteper il giudice, ma concerne il giurista in generaleche, in relazione al suo lavoro interpretativo, distudioso della legge posta, deve sapersi liberare dalcontrasto d’interessi e di idealita che sta dietro lalegge e che puo condizionare i possibili modi dellasua applicazione, sentendo quindi soprattutto ilmotivo della fedelta al suo mestiere.

E in questo ordine di idee che ancor oggi, puravendo una posizione politica abbastanza definita eben nota, io mi astengo deliberatamente dal pren-dere la tessera di un partito per svariate ragioni, maanche e forse soprattutto per questa che mi pare

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preclusiva: che avendo io eletto a mia disciplina distudio professionale quella piu direttamente colle-gata al contrasto sociale, desidero non essere pre-giudizialmente condizionato nella mia attivita distudioso di un certo ramo del diritto da questa oquella piattaforma di interessi contrapposti; nonvoglio che qualcuno sia legittimato ad impormi, innome di una milizia politica, una certa scelta o possaconvocarmi per dar giustificazione di quanto dico escrivo; desidero, in particolare, che gli studenti chemi praticano per ragioni del mio ufficio avvertanosempre questa mia doverosa posizione di indipen-denza e comunque di non pregiudiziale partigiane-ria. In tal modo c’e, nella mia vicenda, una certacontinuita tra il vecchio ed il nuovo mestiere suquesto punto essenziale, cosı come io nella miacoscienza ho ritenuto, allora ed ora, di doverlorisolvere.

A prescindere dalle considerazioni fatte su unpiano piu elevato, e evidente che nei fatti di tutti igiorni c’e e non puo non esservi un divario profondotra il reciproco modo di porsi innanzi alle questionidel magistrato e dell’operatore di altro tipo, special-mente il politico in senso vasto. Il giudice ha per suanaturale funzione quella di prospettarsi i problemiin termini di stretta legalita, onde nell’opinionecorrente sempre lo accompagnera l’accusa di essereun arido formalista; viceversa il politico pone altret-tanto naturalmente l’accento sui profili di opportu-nita di volta in volta, a ragione o a torto, emergenti.Di qui il contrasto che fortunatamente e risolto sulpiano formale con la stabilita prevalenza del prin-cipio di legalita ed e attutito nei fatti dal distacco

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che c’e di norma tra i due mondi e quindi dallescarse occasioni di un confronto diretto.

Ma quando eccezionalmente, per necessita d’uf-ficio o per vicende della cronaca spicciola, il con-tatto si stabilisce, e naturale che si determinino dellefrizioni che il giudice puo tuttavia assai facilmentesuperare se, lungi dal rendersi comprensivo dellealtre anche legittime esigenze, tiene fermo il prin-cipio dell’inderogabile rispetto della legge. Perchese il giudice e non un eroe, ma un povero uomo, conle sue passioni, le sue debolezze e i suoi umanissimitimori, e altresı vero che egli ha dalla sua la forzasuprema della legge, quella forza a ragione dellaquale egli, nella normalita dei casi, e in grado disuperare ogni ostacolo e di imporsi, dato che nes-suno osa di norma chiedergli la violazione del suodovere, mentre con un pochino di fermezza e diopportuna ironia e facile smantellare le capzioseinterpretazioni elusive sovente prospettate dagliinteressati, quelle sottili costruzioni, intendo, con lequali talora si vuol dimostrare che il bianco e nero.

Nella mia esperienza posso ricordare in propo-sito un episodio alquanto gustoso. In base ad unalegge emessa nei primi anni di questo dopoguerra,un certo tipo di case costruite dallo Stato per i piubisognosi doveva essere assegnato da una commis-sione presieduta dal pretore, stabilendo la leggemedesima precisi criteri di preferenza. Venni adun-que chiamato alla presidenza di una di questecommissioni; mentre era in corso la raccolta delleinformazioni in relazione alle domande presentateper controllare l’appartenenza ad una delle catego-rie previste dalla legge e lo stato di grave bisogno,

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accadde nel capoluogo del comune interessato undisastro: per lo scoppio di una bombola di gas crolloun caseggiato e si ebbero numerosi feriti nonchealcuni morti. Celebrandosi, a spese dell’amministra-zione comunale e con grande concorso di follacommossa, i funerali, il sindaco, di colore piuttostovivace, ed il prefetto ritennero di poter assicurare,nelle loro orazioni, che le famiglie divenute cosıtragicamente prive di tetto avrebbero senz’altroottenuto le case disponibili... in corso di assegna-zione da parte della commissione da me presieduta.La cosa non si fermo qui; il prefetto, sollecitato dalsindaco che era del resto una brava persona (quantevolte succede che si chieda al giudice in perfettabuona fede ed anche a fin di bene cose che ilmagistrato non puo concedere!), ritenne di poterintervenire presso il presidente del tribunale af-finche questi mi convincesse dell’opportunita che lacommissione si adeguasse alla promessa pubblica-mente fatta, a vanvera e con scarsa correttezza, siapure con l’attenuante della suggestione derivantedal clima di generale commozione seguito allatragedia. Il presidente del tribunale compı il suodovere, limitandosi a trasmettermi la lettera delprefetto, con preghiera di rispondere direttamente;risposi come dovevo e la commissione assegno lecase nel pieno rispetto della legge; in particolarerisulto dalle informazioni che taluni dei recentisenza tetto si trovavano in condizioni economichenon disagiate. (Per la cronaca si trattava di quellostesso prefetto che in altra occasione ritenne didovermi escludere dalla lista degli invitati ad unacerimonia nella quale egli doveva consegnare una

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certa medaglia ad un notabile locale, a ragione dellamia passata attivita « sovversiva », non rendendosiegli conto del grande favore che mi rendeva esclu-dendomi da consimili cerimoniali dai quali sono pernatura alieno. Tuttavia l’episodio mi confermo cheero « schedato » come pericoloso soggetto; mentrequanto poi avvenne a proposito dei senza tetto,testimoniando della scarsa sensibilita che « sua ec-cellenza » — non ho mai adoperato questo titoloper la naturale avversione a tutti gli spagnolismi e atutte le stupidita della societa « bene » — aveva perl’indipendenza dei giudici, mi rese ancor piu evi-dente la persistenza di un clima assai piu tipico dialtra epoca).

Il magistrato deve in particolare cercare disalvaguardare al massimo la sua indipendenza, nonlegandosi ad alcun gruppo o conventicola locale;pertanto e consigliabile ch’egli segua talune intuibilicautele nella vita sociale e nei rapporti che in genereegli ed i suoi familiari intrattengono. Ne in questocampo si e mai sufficientemente guardinghi, perchesi tratta in primo luogo di non creare con le propriemani situazioni che poi possono essere causa didisagio nelle funzioni ed in secondo luogo di non farniente che possa indurre a pensare alla sussistenzadi speciali legami o di amicizia o di particolarecordialita. La situazione si prospetta relativamentefacile per gli addetti ai grossi uffici delle grandi emedie citta, perche quivi e la stessa ampiezza del-l’ambiente che nasconde il magistrato e gli consentedi approfittare dell’anonimato delle grandi folle.Viceversa il problema e ben piu arduo per il pretore« di campagna »; qui il giudice e in ogni momento

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della sua giornata sotto gli occhi di tutti e poiche lavita paesana e sovente caratterizzata dalla lotta edall’astio tra opposte conventicole, ogni passo puoapparire agli occhi di questo o di quello falso osospetto. L’ideale sarebbe certo quello di condurreuna vita del tutto appartata, evitando cosı ognirapporto nella vita civile, fatti salvi i contatti stret-tamente indispensabili; ma e inumano richiedere almagistrato e alla sua famiglia un tale sacrificiomortificante. D’altro canto, per non rinchiudersi enel contempo per non legarsi, la soluzione forse piuacconcia o meno pericolosa e quella che io prescelsi,non tanto per un deliberato proposito, quantoperche la natura mi sospinge ad una certa socievo-lezza e a non disdegnare talvolta le allegre, inno-centi brigate; e cosı mi risolsi, essendo giunto in unambiente che taluni colleghi mi avevano descrittomolto difficile anche per la tranquillita della miacarriera e che in effetti presentava, forse con unarabbiosita altrove sconosciuta, profonde divisioni eavversioni interne e a... piu piani (la piccola borghe-sia cittadina sommersa nel contado rosso, gli amicidell’on. X o dell’on. Y dello stesso partito, i preti diuna tinta o di altra, gli schieramenti che si determi-navano di volta in volta su singoli problemi etc),contrapposizioni che talora mi parvero veramenteintinte di odio sordo e feroce, mi risolsi, dicevo, aparlare e a trattare liberamente e cordialmente contutti, talora con deliberato proposito proponendomiuna equa ripartizione nelle gioviali patacche, cer-cando di dimostrare comunque la mia assolutaestraneita alle beghe locali ed in ogni caso distin-guendo nettamente tra i compiti d’ufficio e questo

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mio vario confondermi nell’ambiente locale senzaidentificarmi con questa o quella parte. E poicheebbi modo di dimostrare nei fatti che all’occorrenzasapevo ristabilire le distanze verso tutti e superareanche situazioni di disagio ponendo l’accento suldovere d’ufficio, talora essendomi capitato di dovermettere sullo stesso banco come imputati notabili didiversa affiliazione, credo di essermela cavata suffi-cientemente bene.

Ne ebbi anche, a prescindere dagli incensamentidi rito che sono di prammatica nei confronti delgiudice in certe occasioni e che pertanto lasciano iltempo che trovano, taluni riconoscimenti fattimi incircostanze tali da non consentirmi alcun dubbiosulla sincerita di chi mi parlava e dai quali dedussiche intorno si era capito che non intendevo sposarealcuna causa o persona. Riconoscimenti che mifurono talora amari, come quando, dopo aver pro-vocato in una delle famose commissioni per l’asse-gnazione degli alloggi il rigetto della domandapresentata, come « impiegato pubblico costretto pernecessita d’ufficio a risiedere nel comune » (tale,all’incirca, la dizione della legge), da un maresciallodei carabinieri che, prossimo al pensionamento eavendo ottenuto non so quale tipo di licenza, avevadovuto lasciare l’alloggio di servizio.., perche giuri-dicamente non poteva considerarsi piu in servizio,mi sentii poi dire da un componente della commis-sione che egli non avrebbe mai creduto che unpretore potesse essere cosı indipendente, laddovemi fu assai triste il constatare quale scarsa stima deimagistrati in genere poteva esserci in giro. E cosı,negli ultimi giorni di pretura, vi fu chi, venendomi a

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salutare, mi disse che era contristato della miapartenza perche io « andavo in farmacia, ma nonero della farmacia », cosı come deliberatamente miero proposto di dimostrare e verso il circolo dellafarmacia e verso qualsiasi altro circolo.

Ma, oltre il sentimento dell’indipendenza, laprofessione di magistrato e fonte, a mio avviso, dialtre non trascurabili soddisfazioni spirituali e mo-rali, le quali, naturalmente, sono diversamente ap-prezzabili in ragione dei vari caratteri e tempera-menti, onde in materia e assurdo voler ipotizzare unmodello ideale valido per ogni uomo. Contenendodi necessita il discorso nei limiti delle scelte inconcreto operabili da parte di chi e in possesso dellalaurea in diritto, e da dire, in primis, della alterna-tiva di norma piu frequente rispetto a quella quiesaminata e cioe dell’avvocatura, limitandomi amettere in rilievo quanto, in ragione della miaesperienza, mi pare degno di una certa considera-zione. Avendo scelto la magistratura per la spintapersonalissima dianzi indicata, debbo dire che pro-prio in quel contesto ho sempre avvertito comepreferibile, certo avendo solo riguardo al mio tem-peramento, la posizione del giudice rispetto a quelladell’avvocato. Spiritualmente ed eticamente la in-trasferibile bellezza del giudicare consiste appuntonel fatto che il magistrato ha come dovere istituzio-nale quello di esaminare e risolvere i vari casi dellavita sub specie juris e secondo coscienza; a questosolo egli deve prestare attenzione, premurandosi dirapportare il singolo caso ad una regola di diritto.Compito del giudice e quindi quello di ricercare, inun certo senso, la verita obiettiva alla stregua

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dell’ordinamento giuridico che serve e non giaquello di tener presente e di patrocinare l’interessedi questa o quella parte. L’avvocato, viceversa, e dinecessita e ferreamente condizionato dal suo bendiverso dovere che e quello di tutelare gli interessie le aspettative della parte patrocinata; egli adempiealla sua funzione istituzionale di collaboratore, insenso obiettivo, della giustizia, nella misura in cui,fermo il rispetto di certi principi e limiti, cerca diprospettare nella luce piu favorevole la tesi del suocliente. L’avvocato ha quindi un compito di parte,mentre il giudice ha il dovere di ricercare e diapplicare quello che sta sopra ed eventualmentecontro gli interessi delle parti, dai quali non deveessere, per definizione, condizionato. Se il giudice,come talora avviene, dopo essersi formato unaprima opinione della controversia, sulla base di altrielementi emersi nell’ulteriore corso del procedi-mento o in ragione di un ripensamento al quale estato indotto, in ipotesi, sulla base delle argomen-tazioni della difesa, muta convincimento e giungead una diversa conclusione, egli ha l’obbligo didecidere secondo quanto da ultimo gli detta lacoscienza e cosı comportandosi secondo l’ultimaimpressione egli compie semplicemente il suo do-vere. Questa liberta di capovolgimento anche radi-cale, nel senso della progressiva e costante ricercadella verita obiettiva, non e concessa agli altrioperatori che viceversa debbono sempre muoversinell’ambito dell’interesse tutelato, anche se possonoaffinare progressivamente, dal punto di vista tec-nico, le argomentazioni all’uopo prospettabili. Insostanza solo la professione di magistrato, tra le

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tante esercitabili dall’uomo, si basa peculiarmentesulla necessita istituzionale della ricerca della veritaobiettiva o come tale quanto meno in buona federitenuta. Proprio per questo, proprio perche il giu-dice non e vincolato ne da tesi ne da interessipregiudiziali, ho amato infinitamente il mio vecchiomestiere e, senza presunzioni, non l’ho mai ritenutocomparabile con altri pur degni ed essenziali nellavita comunitaria, giacche mancano obiettivamentegli estremi per un confronto.

D’altro canto, pur rendendomi conto della im-mensa responsabilita morale del giudicare, quellaresponsabilita che esige una continua disponibilitaper il ripensamento prima e dopo la decisione (edopo talora sopravviene il rimorso), non ho maimesso sullo stesso piano questa responsabilita conquella dell’avvocato che mi e sempre parsa, in uncerto senso, assai piu gravosa ed impegnativa; infattiil giudice si trova di necessita a dover giudicare dicasi e situazioni che egli non ha determinato e nonha posto in essere, mentre l’avvocato ha, di fre-quente, il compito di introdurre in via contenziosala lite. Se si vuole, in genere e l’avvocato che lanciala palla; il giudice se la trova ad un certo momentosul tavolo e deve cercare, bene o male, di sbrigar-sela: il primo ha sovente la responsabilita della lite,consigliando in questo senso il cliente, mentre ilgiudice ha la ben diversa responsabilita della solu-zione della lite medesima, mettendosi idealmente alcentro tra i due litiganti e cercando la soluzioneobiettiva del caso. Ora, sotto questo profilo, giuocadecisamente il temperamento personale; per chi sia,ad esempio, per natura portato al dubbio e alla

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perplessita, per chi non sia capace di scegliere ad uncerto punto con una certa tranquilla sicurezza e diassumersi quindi la responsabilita morale di consi-gliare in un senso o nell’altro, e senz’altro preferi-bile la via della magistratura, proprio perche l’av-vocatura richiede queste doti, la sapienza, difficilead aversi, di saper prendere, con un certo fiuto peril quale non esistono manuali, una decisione impe-gnativa e gravida di implicazioni sul piano degliinteressi, mentre il giudice e liberato istituzional-mente da questa responsabilita dell’affare. Per l’av-vocato e per il giudice la buona preparazione giuri-dica non e, rispettivamente, la dote decisiva, perchela conoscenza delle pandette e delle elaborazionidottrinali ci fa solo dotti o eruditi della particolaremateria; per l’uno e per l’altro si esige un’altraqualita, che la buona preparazione e l’esperienzapossano affinare, ma che e in definitiva dono dellanatura. Ma sono qualita assai diverse nei due casi;per l’avvocato la capacita di sapersi muovere e discegliere sul piano della valutazione degli interessinell’economia dei rapporti intersoggettivi, dellaconvenienza o no di dedurli in via contenziosa, direalisticamente considerarli seguendo questa viaanche sulla base di un calcolo delle probabilita, dipoter afferrare al volo la possibilita di una compo-sizione transattiva in corso di causa sulla base dellerisultanze gia acquisite ed anche degli umori delgiudice (che e dote non ultima, di olfatto, del buonavvocato); per il giudice non si tratta di averequesto fiuto dell’affare nella sua dimensione giuri-dica, ma di saperlo inquadrare e risolvere nellecategorie costruite sulla base della legge. L’avvo-

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cato e l’uomo della mischia e delle scelte sostanziali,del compromesso realisticamente opportuno a pre-scindere dalla linearita dei principi, della tesi edell’ipotesi subordinata; al giudice conviene vice-versa un animus profondamente diverso, una natu-rale inclinazione al dubbio come condizione essen-ziale per la ricerca della verita e quindi quellaconseguente umilta che consiste nel saper ascoltareogni voce giacche e da ogni parte che puo aprirsi lospiraglio, coltivando il quale puo venir fuori ladecisione piu esatta o meno discutibile. Il giudicenon puo mai dirsi completamente soddisfatto dellericerche compiute e delle analisi effettuate; e sefrequentemente si dice nell’ambiente, ad esempio,che e bene non abbondare negli scritti difensiviperche altrimenti si rischia di non farsi leggere, cosıfacendo balenare l’idea del giudice onnisciente chepuo bellamente disinteressarsi dell’attivita di parte,confesso che personalmente sono stato ben lungidall’incarnare questo preteso modello, essendomisempre sentito incerto e dubbioso innanzi allecause, di conseguenza leggendomi dalla prima al-l’ultima parola tutti i fascicoli perche non mi sfug-gisse, possibilmente, in qualche pagina o in unsingolo passo la chiave della soluzione; cosı come hosempre ascoltato chi parlava innanzi al mio banco,posto che, se talora visibilmente si menava il can perl’aia, non raramente da quelle parole mi venival’illuminazione decisiva e di volta in volta, comesempre si trattasse della prima trepida udienza,desideravo non lasciarmi sfuggire la preziosa occa-sione. E se mi preparavo alla decisione delle causecivili segnando diligentemente in certi miei taccuini

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le varie dichiarazioni, ammissioni ed argomenta-zioni, affrontavo l’udienza penale sulla base di unostudio altrettanto attento degli atti e dopo essermiprospettate anche le probabili eccezioni di dirittorispetto alle quali procuravo di non giungere disar-mato, anche perche ho sempre istintivamente te-muto gli improvvisi colpi di scena che potevanoturbarmi e scompaginare il filone raccolto, di granlunga preferendo la calma ed il silenzio della miastanza; con tutto cio era frequente che mutassi, sullabase delle risultanze dibattimentali, la prima im-pressione di massima e non raro il caso nel quale,innanzi all’improvvisa eccezione, mi liberavo senzaalcun disagio dal tumulto dell’aula per poter riflet-tere con maggior raccoglimento nel chiuso dellacamera di consiglio. Conclusivamente, tolte le pe-core nere che nell’uno e nell’altro versante egual-mente si trovano, avvocati e giudici formano ineffetti e senza ricorrere all’abusata retorica, un tuttodialetticamente legato nel giuoco delle rispettiveparti attraverso il quale si cerca di fare giustizia; nonraramente dal mio scanno di giudice ho sentito lainsostituibile funzione ed anche la bellezza dell’av-vocatura, soprattutto in quanto questa esprime unmomento irriducibile di liberta. L’importante e che,individualmente, non si sbagli porta, giacche il buongiudice puo essere pessimo avvocato e viceversa;per questo il problema piu grave e delicato delgiovane che esce dall’universita, in quel periodoassai tormentoso delle scelte, e quello di sapersigiudicare, con estremo rigore, circa le naturali atti-tudini, di avvertire senza deleteri infingimenti daquale parte del banco conviene che si collochi. E

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non e facile saper rispondere ad un cosı graveinterrogativo ed evitare un grave fallimento.

In quanto ho detto in tema di valutazione dellaposizione reciproca dei giudici e degli avvocati, ein un certo senso implicito quanto io penso aproposito del pubblico ministero. Il pubblico mini-stero si trova, rispetto al giudice, in una posizioneche e per qualche verso analoga a quella dell’avvo-cato. Egli e e deve essere, nella sostanza, l’avvoca-to di parte pubblica, colui che agisce azionando invia giurisdizionale l’interesse pubblico e che ha laresponsabilita-doverosita della lite, posto l’obbligodel promovimento dell’azione penale. In particolareil pubblico ministero, proprio come parte, ha e deveavere una propria politica giudiziaria, ponendo divolta in volta l’accento, in relazione al vario anda-mento della criminalita e della valutazione fattanesecondo una comparazione tra i vari aspetti dellasituazione sotto questo profilo nel codice penale,sulla necessita, ad esempio, di piu severamentereagire contro quei comportamenti che, in queldeterminato contesto, paiono piu minacciosi perl’ordine giuridico e per la pace sociale (4). Anche se

(4) Vd. le felici notazioni di D. GRECO, Il pubblico ministero,ne « Il tempo e la giustizia », Milano, Ed. Comunita, 1963, p. 67: « Enon vale obiettare che e sufficiente che il pubblico ministero siattenga alla legge, la quale e gia il risultato di una scelta politica. Chiragiona in questo modo ha conoscenza dell’attivita giudiziaria sol-tanto dai trattati procedurali; nella realta il momento dell’applica-zione della legge (la quale tra l’altro consente piu scelte di quantocomunemente non si creda) e preceduto per il pubblico ministero daun altro momento in cui le scelte sono di ordine politico. Quali formedi illecito perseguire con maggiore rigore e tenacia? quali orienta-menti sono rispondenti a quello che, si ritiene, sia l’interesse pubblico

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il pubblico ministero e quindi ispirato dall’interessepubblico secondo una sua discrezionale valutazione,egli si trova di necessita in una posizione assaidiversa rispetto a quella del giudice, precisamentein quei termini che, mutatis mutandis, ho primaconfigurato per l’avvocato; per il giudice la partepubblica e sostanzialmente sullo stesso piano dellaparte privata, prospettando essa una valutazione delcaso di per se opinabile e discutibile nella dialetticaprocessuale. Come si e giustamente osservato eassai diversa la situazione psicologica del portatoredell’accusa rispetto a chi deve poi giudicarne, e suquesto piano chi « per vocazione » aspiri a diveniremagistrato, specialmente se mosso dalla spinta chegiustifico la mia scelta, non puo certo considerare

e quali invece non sono rispondenti? in quali casi e tollerabile unorientamento clemente del giudice e in quali casi non lo e? quali sonole situazioni che esigono un piu tempestivo intervento? quale normae inopportuno invocare perche caduta in desuetudine e quale invecenon puo rimanere inapplicata senza gravi conseguenze sociali, eco-nomiche, politiche, ecc.? Questi sono i problemi che si pongono alpubblico ministero allorche deve sollecitare l’attivita giurisdizionale eche comportano scelte politiche ». Ed e facile anche esemplificare aproposito di questa inevitabile politica giudiziaria. Alcuni anni orsono nel distretto di una corte di appello del nord i magistrati delpubblico ministero solevano spiccare l’ordine di cattura nei confrontidei responsabili dei piu gravi incidenti stradali; e si introdusse anchel’uso di illustrare in conferenze-stampa questi provvedimenti proprioal fine di dimostrare come la macchina giudiziaria fosse decisamenteorientata verso una giustizia esemplare e tempestiva in materia pergarantire una situazione generale di rispetto delle norme di comuneprudenza nella circolazione. E di recente una scelta di politicagiudiziaria e stata compiuta dagli uffici della pubblica accusa quandosi e deciso di incriminare i ferrovieri per talune forme di lottasindacale (scioperi a singhiozzo), in una situazione normativa che enotoriamente assai controversa ed oscura.

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con soddisfazione la destinazione a questo ufficio;ed infatti per quanto mi riguarda ho sempre cercatodi tenermene lontano, anche quando, col passaggioalla requirente, mi sarebbe stato forse possibileottenere una sede di maggior gradimento. In so-stanza si tratta di due funzioni assai diverse cherichiedono uomini diversi, secondo una naturaleconsiderazione delle inclinazioni reciprocamenteopportune che e a torto misconosciuta in largamisura nell’attuale sistemazione nella quale si puoessere indifferentemente assegnati all’uno o all’al-tro ufficio; di qui, a mio avviso, la necessita diseparare radicalmente le due professioni, anche perfavorire con questa riforma l’affluire spontaneoall’una e all’altra di chi rispettivamente avverta in seil temperamento dell’accusatore o quello ben di-verso del giudice (5).

Con questo non intendo affatto schierarmi concoloro che propongono di sottrarre al pubblicoministero lo status di magistrato per farne un fun-zionario alle dipendenze del potere esecutivo (6).La separazione delle due professioni, di pubblicoministero e di giudice, non implica affatto una taleconseguenza che e giustamente deprecata nell’opi-nione forse maggioritaria, posto che e nel pubblicointeresse che vi siano determinati pubblici ufficiali,fruenti di garanzie analoghe a quelle dei magistrati,ai quali sia commesso l’obbligo di promuovere

(5) Vd. in tal senso F. CARNELUTTI, Lettera, in « La Magistra-tura », ottobre 1963; A. C. JEMOLO, La Giustizia, ne « La Stampa » del19 gennaio 1965.

(6) Vd. in questo senso G. FOSCHINI, La riforma del processopenale, in « Rassegna dei magistrati », dicembre 1961, pp. 385 e ss.

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l’azione penale, giacche altrimenti e assai probabileche assisteremmo a guai assai piu gravi degli attualise non vi fosse appunto qualcuno che, senza averniente da temere, abbia per specifica funzionequella di mettere in moto il meccanismo repressivo.Coi tempi che purtroppo corrono, quando dominauna classe politica che non puo certo dirsi moltosensibile all’esigenza di una giustizia che non guardiin faccia a nessuno, la degradazione amministrativadel pubblico ministero rappresenterebbe una gra-vissima iattura. Del resto, malgrado l’ambivalenzadi certe indicazioni anche costituzionali (7), nellanostra tradizione mi pare senz’altro diffusa e sentitanella opinione generale la considerazione del pub-blico ministero quale magistrato a servizio esclusivodella legge e non mi pare che sia opportuno, quicome altrove, rompere con quanto e gia radicato,non a caso, nell’ambiente. E a chi obietta che dal

(7) Vd. D. R. PERETTI GRIVA, L’indipendenza del magistratocon speciale riguardo al pubblico ministero, in Magistrati o funziona-ri?, a cura di G. Maranini, Milano, Ed. Comunita, 1962, p. 709. L’A.rileva che l’art. 107 Cost., laddove afferma che « il pubblico ministerogode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull’ordi-namento giudiziario » pare prospettare una situazione di minorigaranzie per questi magistrati che egli, a ragione, risolutamentecritica invocando una piena equiparazione tra i magistrati giudicantie quelli requirenti: « Cio dovrebbe intendersi rispondere allo spiritodella Costituzione, posto che avendo questa mirato a togliere alpotere esecutivo la possibilita di immettersi nell’ambito giuri-sdizionale, e logico che debba venir incluso nelle garanzie normali ilpubblico ministero, il quale, se e rappresentante del potere esecutivonel campo dell’esecuzione dei provvedimenti, fa pur sempre partedell’ordine giudiziario per cio che ha tratto alle sostanziali incidenzedella sua attivita nell’ambito giurisdizionale, tanto che la modalita delsuo intervento, positivo o negativo, puo essere esclusiva e dirimentenell’azione penale ».

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punto di vista delle garanzie del cittadino meglioconviene la proposta degradazione amministrativaspecialmente per porre rimedio all’eventuale rifiutodel pubblico ministero di promuovere l’azione pe-nale (8), si puo ribattere che bene puo aversi unsistema nel quale costui non abbia l’esclusiva delpromovimento dell’azione, un sistema cioe al-quanto piu articolato, permettendo e al potereesecutivo, a mezzo dell’avvocatura dello Stato, eanche ai cittadini eventualmente agenti in un certonumero (con un piu vasto impiego, quindi, del-l’azione popolare anche in materia penale), di met-tere in moto il procedimento; avremmo cosı la piuampia garanzia circa la possibilita di sottoporreeffettivamente al giudice tutti i casi nei quali ildubbio e seriamente prospettabile, mobilitando al-l’uopo il potere politico e la sensibilita collettiva edin ogni caso facendo affidamento su un magistrato acarico del quale sia posto un obbligo inderogabile,naturalmente previa valutazione del fumus bonijuris.

Tornando ai vantaggi spirituali che la profes-sione di magistrato assicura, mi pare di poter direche un benefico effetto discende dalle funzioniesercitate nella complessiva personalita di chi ne einvestito. Il giudice deve essere al di sopra degli

(8) Vd. P. CURATOLA, Indipendenza del giudice e guarentigie delpubblico ministero nell’ordinamento giudiziario, in Magistrati o fun-zionari?, cit., p. 38. Sul problema si e tenuto in Roma, nell’aprile1966, un apposito convegno promosso dai Comitati di azione per laGiustizia; vd., in particolare, la relazione di A. PIZZORUSSO, Laposizione ambigua del pubblico ministero nella Costituzione: necessitadi una revisione.

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interessi e delle passioni di parte; la logica del suomestiere lo porta di conseguenza non solo a com-portarsi da galantuomo anche nella vita privata, maa moderare, fino a tacitarle piu o meno completa-mente, le spinte negative che verrebbero altrimentifuori dalla sua natura. Pertanto, se il giudice everamente pervaso del suo compito, ha la ventura disubire un progressivo processo di miglioramentoetico e di perfezionamento civile. La funzione ri-chiede al magistrato inflessibilita nei principi, manel contempo una grande apertura e comprensioneverso le vicende umane; il processo, d’altro canto,imperniato com’e sul dovere di dare sfogo alleopposte tesi e di ascoltarle tutte senza prevenzioni,e una grande scuola di civismo, di tolleranza e diurbanita per tutti i suoi protagonisti. Naturalmentequesto implica una estrema lealta del giudice, nellasostanza e sul piano della condotta processuale (9);

(9) Vd. le essenziali osservazioni in proposito di G. LEONE, Lalealta nei processi, in « La Stampa » del 30 marzo 1965. Ed e sul pianodella lealta che in questi ultimi tempi la magistratura requirente haspesso formalmente esorbitato quando si e preteso di istruire col ritosommario processi estremamente delicati, estromettendo cosı ladifesa dalla possibilita di interloquire su indagini complesse e deci-sive. Questo sul piano della legge e dei criteri che essa intuitivamentefissa tra le situazioni nelle quali e possibile l’istruttoria sommaria e lealtre nelle quali e inevitabile il ricorso all’istruttoria formale; ma laquestione, da problema di corretta applicazione della legge secondoil buon uso del potere riservato in materia al magistrato, e divenutaun problema di legittimita di una determinata norma del codice diprocedura penale in quella convulsa vicenda che ha portato nel girodi pochi mesi da una prima sentenza « interpretativa » della CorteCostituzionale alla successiva sentenza che ha dichiarato tout courtillegittima la norma in questione, per il contrasto determinatosi con lasuprema magistratura ordinaria. C’e stata indubbiamente una logicain questa vicenda, essendo da una parte inconcepibile che il pubblico

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il giudice non puo lasciarsi guidare da prevenzioni,non puo « sposare » alcuna causa, non puo ricorrere

ministero possa essere arbitro della forma d’istruzione ed essendoinevitabile che la questione ad un certo punto si imposti in termini dilegittimita anche se questa impostazione e teoricamente discutibile,quando solo cosı e possibile stroncare un diffuso abuso nell’uso delpotere concesso; in pratica all’abuso del potere si e risposto con lasottrazione del medesimo. La conclusione non e comunque appa-gante rispetto alle esigenze del procedimento penale, specialmentenelle preture, ed e da auspicare che il problema venga organicamenterisolto con la riforma del codice di rito. Decisiva in materia resta lalealta del magistrato, su un piano di vera collaborazione coi difensori;per mio conto non mi trincerai mai dietro la tesi secondo la qualenell’istruttoria sommaria venivano meno le garanzie difensive, ma fuisempre pronto ad accogliere ogni istanza, in istruttoria e dopo, adesempio sul punto della rinnovazione delle indagini peritali e dellarichiesta di chiarimenti al perito d’ufficio. Tutto questo sul piano delrispetto delle forme, che nella sostanza, nella vicenda di determinatecose nel nostro paese, il problema e assai diverso. C’e infatti dachiedersi come e perche, ad un certo momento, certi uffici giudiziariabbiano assunto determinate iniziative rispetto a certe situazioni, inun clima specifico politico e di sottogoverno; interrogativo che per ilmomento e nascosto nella coscienza dei protagonisti di questi episodie al quale non puo certo rispondersi sulla base di quanto e stato dettoo pubblicato nelle varie occasioni. Per mio conto, astraendo dalleconsiderazioni puramente giuridiche in particolare in punto di pro-cedura, sono convinto che la vicenda e stata ed e complessivamentebenefica avendo essa messo in luce una realta esplosiva su come siamministrano le cose pubbliche e sulla natura dei rapporti checorrono tra il potere politico e il cd. sottogoverno. Sono staticommessi certo errori di forma, si sono fatte dichiarazioni che erameglio omettere (ad esempio la famosa frase dell’alto magistratoromano: « quando vengono meno gli usuali controlli dello Stato, nonpossono censurarsi i controlli dell’autorita giudiziaria », giacche ilmagistrato deve semplicemente ignorare quello che fanno o nonfanno gli altri poteri nell’ambito della loro competenza, premuran-dosi solo ed in ogni caso di compiere il suo dovere, salvando l’animasua, cosı come in generale egli deve evitare di teorizzare, special-mente in pubblico, parlando solo caso per caso con i suoi provvedi-menti: per questo ho sempre trovato discutibile il ricorso alleconferenze stampa che non si addicono al magistrato e lo possono

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nel processo a meschini espedienti e sotterfugi, madeve viceversa procedere con grande rispetto ditutti e di tutto, premurandosi in primo luogo di nontravisare mai quello che ascolta e registra. Soprat-tutto egli deve rifuggire dal troncare le possibilitadifensive, dal rifiutare gli accertamenti e gli esamiche gli vengono richiesti, col solo limite, di pubblicointeresse, di non prestarsi a manovre palesementedilatorie o a richieste chiaramente infondate. Ilcittadino e l’avvocato che lo tutela in giudiziodevono constatare palpabilmente che essi hannoavuto la possibilita piena di essere ascoltati, che ilcaso e stato veramente visto e considerato sottotutti i profili, rispetto ai quali se ne presentaval’opportunita, per far trionfare la verita; il senti-mento naturale di giustizia e soprattutto ferito nontanto dalle opinabili conclusioni finali comunquesempre sorrette da una piu o meno congrua moti-vazione, ma dalla sensazione di non aver potutodire a sufficienza, di non aver potuto prospettare afondo tutti gli aspetti, di essere stati ostacolati nellapossibilita di indurre tutte le possibili prove, diessersi in conclusione imbattuti in un giudice oprevenuto o frettoloso o negligente. Per mio contoho cercato sempre, nella misura del possibile, diattenermi a questi criteri; fui un giudice notoria-

porre in una posizione imbarazzante. E la liberta di stampa, la libertadei giornalisti di cercare notizie non significa che gli altri sianoobbligati a darne!), ma nel complesso e nella sostanza si e servito ilpaese, ne io mi sento di condannare la magistratura quando forse perla prima volta ha preso l’iniziativa doverosa di vedere come vannocerte cose. E se tutti i magistrati della requirente seguissero l’esempiomolte cose cambierebbero.

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mente assai severo per le considerazioni di cui diro,un giudice che non si adagiava nella falsa pieta enella colpevole indulgenza, che al contrario nonesitava, se convinto della responsabilita, a colpire eduramente; ma ho sempre cercato di fare tutto ilpossibile per dimostrare e convincere dello scrupoloche ponevo nel giungere alla decisione finale, con-ducendo con molta lealta, senza insofferenze disorta, il processo, essendo disposto in linea diprincipio ad ascoltare tutto e tutti, ma in ogni casosenza sotterfugi ed espedienti e comunque con lamassima cortesia possibile verso i difensori anchenelle loro richieste di rinvio, rispetto alle qualicercavo, se possibile, di conciliare l’interesse dell’uf-ficio, spostando eventualmente il processo al pome-riggio dello stesso giorno, pur se cosı andava infumo mezza giornata di « liberta ». In linea dimassima consideravo doveroso accogliere tutte leistanze probatorie, tranne i casi che mi parevano dipatente superfluita; ed ero solito far chiamare, allaudienza penale, i processi d’opposizione a decretoassai sul tardi, per fugare ogni ombra di dubbio cheio volessi speculare sull’orologio al fine di rispar-miarmi un poco di dibattimento ed una sentenzamotivata. In sintesi, massima liberalita nel processo,severita e rigore adeguati nelle decisioni, se neces-sario.

Deve tuttavia dirsi che per il giudice questo pro-cesso di progressivo affinamento etico-professionalenon costituisce, in definitiva, il risultato di un grandesforzo interiore per superare le sue passioni e le suetendenze istintive, non implica affatto, secondo unaimmagine di abusata retorica, l’esercizio eroico delle

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virtu di cui si legge nelle vite dei santi di santa romanachiesa. E questo perche l’ambiente stesso aiuta sin-golarmente il giudice ad essere sereno, equanime,cortese, poiche tutto cospira a circondare il magi-strato di un clima, in genere, di rispetto e di ossequioe da parte della generalita del pubblico, presso ilquale il concetto di giudice e uno di quei pochi cheancora conservano in tanta violenta iconoclastia unpoco di sacerta, e da parte degli avvocati che cosı dimassima si comportano meta per convinzione e metaper interesse, fino a scivolare, talora, in un quasi di-sdicevole servilismo. Il giudice procede cosı nel-l’ovatta, tutto di massima e ammorbidito intorno a luied in questo clima e assai facile, quindi, comportarsisecondo quei canoni elementari che qui si sono ri-baditi, giacche e veramente raro che vi sia l’occasionepropizia per lo scatenamento dei nervi e per il di-sfrenarsi dell’attacco collerico. Tutto quindi aiuta ede per questo che mi e sempre stato difficile rendermiconto di come possa pervenirsi all’oltraggio del ma-gistrato; infatti, se non si ha a che fare con un esaltatoche talora circola nelle aule di giustizia al pari delviolento, questi episodi, in considerazione del climagenerale, farebbero viceversa pensare che all’originedi tutto vi sia qualche comportamento poco correttodell’oltraggiato o qualche sua grave deficienza; daessi, pertanto, a prescindere dal profilo puramentepenale, dovrebbe trarsi l’occasione per valutare ap-pieno la personalita del giudice.

Ed infine, visto che l’uomo non vive di solopane, si mettano nel conto anche i vantaggi nonesclusivamente spirituali e quelli puramente mate-riali. Si consideri, ad esempio, per chi ci tiene, il

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prestigio formale del giudice; il suo trattamentoeconomico che, pur non essendo favoloso, non enemmeno trascurabile quanto meno secondo unavalutazione comparativa nell’ambito del pubblicoimpiego e che e — inflazione evitandosi — certo adogni scadenza; la possibilita assai frequente di poterdecidere sui tempi del proprio lavoro; il periodonon trascurabile anzi veramente cospicuo di ferie. Siaggiunga, infine, che molto spesso, in questo allegropaese nel quale si lasciano sopravvivere uffici ormaiinutili rispetto alle necessita, i magistrati sono pre-posti a canonicati di tutto riposo o prestano il loroservizio in uffici nei quali la mole del lavoro non einvero eccessiva, onde resta ad essi molto tempolibero da dedicare, secondo la personale inclina-zione, o agli studi giuridici o ai diletti vari dellospirito o anche alle battute di caccia e alle partite discopone nel circolo cittadino. Se e infatti vero che inmolti altri uffici, come contropartita della disorga-nizzazione che importa la dilapidazione del pub-blico denaro, con l’organico esistente non si puoprovvedere a smaltire convenientemente l’ingentemole del lavoro accresciutosi come risultato con-giunto dell’aumento dell’urbanesimo e del ritmodegli affari, ed e quindi imposto un ritmo assaiintenso di lavoro condotto alquanto frettolosa-mente e comunque sempre impari alla bisogna,credo che una non trascurabile percentuale degliuffici cosı malamente distribuiti consti, appunto, dicanonicati o di semicanonicati, mentre in preva-lenza l’accento cade comunque sui tranquilli tribu-nali di provincia nei quali l’otium e piu o menocopiosamente consentito. Per tutto questo non

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credo che corrisponda alla situazione media, comepur si e detto, un lavoro massacrante; ancor piu mipare alquanto esagerata l’affermazione che, a ra-gione di questo preteso ritmo ossessivo, le morti perinfarto sono percentualmente piu elevate tra i ma-gistrati (10); quanto meno di queste punte delfenomeno non mi sono reso conto nella mia purlimitata esperienza.

(10) Cosı A. PERONACI, La crisi della giustizia, ne « La Magi-stratura » del febbraio 1963.

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2.I giudici quali sono

Come risulta dalle cose che ho detto finora, visono molti, eccellenti e nobili motivi per i quali ilgiovane laureato in giurisprudenza puo essere in-dotto ad entrare in magistratura e a restarvi conpiena soddisfazione spirituale, senza delusioni esenza rimpianti, nuovamente convinto, giorno pergiorno, della bonta della scelta, quanto meno se-condo una valutazione comparativa delle possibilialternative. Per quanto mi riguarda fui sempre inquesto stato di grazia e dal punto di vista delrelativo appagamento delle esigenze personali eperche, malgrado la piena consapevolezza della crisidel sistema della quale diro in seguito, trovai sem-pre conforto nella constatazione che avevo la ven-tura di operare nel settore comunque piu pulito,meno toccato da quei fenomeni deteriori che sonoforse il dato caratteristico, coessenziale di tantaparte delle nostre cose e in particolare della pub-blica amministrazione in senso vasto. Le disillusioni,le amarezze, la tristezza che prende nel rovellocostante che deriva dal pensare alla crisi del sistemae della nostra societa moralmente cosı tarata, nonmisero mai in dubbio la relativa bonta della scelta,non mi tolsero se non fugacemente la soddisfazionee la gioia del mio lavoro, anzi furono motivo per

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ritrovare sempre in esso una ragione ed una giusti-ficazione, constatando che comunque a me era datala grande ventura di poter operare, nella ristrettaarea delle mie possibilita, per il bene. Di qui anchel’impulso a fare sempre piu nel senso migliore,affinche qualcosa di onesto e di serio rimanesse inpiedi, nella profonda convinzione che la causa diuna piu civile convivenza si salva non con soluzionimiracolistiche ed esterne, ma nella misura in cui, atutti i livelli, c’e gente disposta a non mollare e atirare innanzi come se tutto procedesse nel miglioredei modi. Ed incontrai colleghi che mi parveropervasi da questi sentimenti, veramente convinti diadempiere ad una missione che non ha eguali;colleghi che, al di la delle formali dichiarazioni chespesso sfociano nella vuota retorica e dietro le qualiv’e solo, sovente, una pura mistificazione, con tuttoil loro comportamento, velato dal pudore che natu-ralmente copre le spinte piu profonde nell’animodel giusto in un mondo nel quale sempre piu siapprezza la furberia e la capacita di arrivare, testi-moniavano eloquentemente nei fatti di tutti i giornidi una temperie morale e di un assoluto, tetragonoconvincimento. Ma, in verita, furono assai rariquesti incontri che sempre mi furono di estremoconforto, giacche giova moltissimo la consapevo-lezza di non essere soli nella buona battaglia, cosıcome, specialmente per i giovani, ha virtu trascina-trice, in luogo dei facili discorsi d’occasione, l’esem-pio operoso; come al contrario la suggestione in-tensa derivante da una severa predicazione crolla inun secondo se nel predicatore si accerta un mo-mento di debolezza, talora una parola o un gesto.

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Formalmente, almeno a giudicare dalle appa-renze, il tono medio e, al contrario, altro e bendiverso; per tutta una serie di circostanze, di fatti, didichiarazioni, di comportamenti costituenti un tuttoeloquente, mi convinsi ben presto, e spero che si siatrattato e si tratti di una impressione erronea, chenell’ambiente decisamente prevale la spinta mera-mente impiegatizia, in ragione della quale vengonomessi nel conto solo i vantaggi aridamente materialidella professione, onde e assai facile e corrente ilconfronto con altre attivita, ricavandone un senso diinsoddisfazione, e si e spiritualmente pronti a navi-gare verso altri lidi, quando balenino i vantaggi dipiu corpose fortune. Una serie di elementi convinceben presto il giovane magistrato di questa amaraverita sulla stoffa media del suo collega, giacchesolo raramente, come ho detto, avverte l’operosapresenza di una spinta anche morale. Ed allora sispiega come la media dei magistrati consideri buro-craticamente il proprio lavoro come l’inevitabiletributo da pagare alla societa per ottenere in cambioi mezzi necessari per vivere e quindi come una faticadella quale si sente solo il peso e il disagio; percheanche qui spesso si assuma come metro esclusivo divalutazione il denaro; perche la categoria trovi inprevalenza motivo per agitarsi e per sentirsi viva epugnace, quasi di norma, nelle sole questioni distipendio e di carriera in funzione dello stipendio;perche siano frequenti il confronto, talora erratoanche sul piano grettamente materiale, e l’invidiarispetto alle fortune, piu o meno esagerate, di altri,specialmente rispetto agli avvocati (dove, con unacerta presunzione, il confronto viene istituito solo

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mentalmente riferendosi ai professionisti piu affer-mati che sono, specialmente in provincia, pochis-simi; in ogni caso non considerando l’alea insitanella libera professione; mai ricordando, realisti-camente, quali prospettive in concreto aveva in-nanzi il giovane laureato nello sperduto borgo dellaprovincia meridionale. Ma e tipica del burocratein generale l’ingiusta invidia verso chi rischia nelleprofessioni, nelle industrie, nel commercio, maimettendosi in calcolo la contropartita di una rela-tiva sicurezza rispetto al grigiore dell’impiego pub-blico). Ben presto si e quasi indotti a pensare che,nella massa, i veri giudici sono pochissimi, perche lagrande maggioranza ha scelto e rimane avendomesso in calcolo solo i vantaggi materiali dellaparticolare carriera, con una intima disponibilitaverso possibili soluzioni alternative; nella biografiadi molti cio e del resto formalmente testimoniatodalla circostanza che si sostenne il concorso per lamagistratura, tentando nel frattempo altri concorsie lasciando cosı alla sorte la scelta piu convenienteal livello delle personali possibilita. Nella media,pertanto, i magistrati italiani appaiono e si compor-tano come burocrati, come se non fossero maisfiorati dalla consapevolezza di quello che spiritual-mente puo essere la loro professione; rispetto amolti di essi sfiora la sensazione che costoro entrino,passino, escano senza essere stati mai, in un giornoqualsiasi di questa loro vicenda, giudici veri nelsenso piu augusto. Dal mio punto di vista di ingua-ribile ingenuo, sono stato sempre sorpreso nell’ap-prendere di un collega che ci aveva lasciato (appro-fittando della possibilita offerta da quel pessimo

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amministratore che e lo Stato, di ottenere la pen-sione a diciannove anni, sei mesi ed un giorno diservizio, fornendo cosı un incentivo all’abbandonoda parte di uomini che sono ancora nel pieno delleloro possibilita, a spese di Pantalone) per il nota-riato, cosı anteponendo i vantaggi materiali di unaonesta, ma arida professione, alla missione delgiudice.

Nel meditare su questo porsi del giudice mediocome burocrate, mi sono spesso chiesto, auguran-domi di poter giungere ad una diversa conclusione,se per caso non si trattava di mere apparenzeesteriori, se oltre questo atteggiamento identifica-bile in un primo contatto, vi fosse nell’intimo unadisposizione ben diversa mascherata dal pudore edal desiderio di non mettere l’accento sulle spintepiu vere, in un mondo che e sempre piu dominatodai valori di Mammona, che giudica e manda inrelazione alla quantita delle fortune accumulate, alsuccesso mondano, al potere ottenuto. Mi son pro-spettato sempre questo dubbio, perche, quale sia laspinta iniziale, mi e difficile se non impossibilecredere che il magistrato, calato nel pieno del suolavoro, non possa mai essere toccato da quello statodi grazia che ho detto; la funzione e cosı prepoten-temente alta ed impegnativa che non puo, ad uncerto momento, non prendere e trascinare anche ilpiu arido degli uomini. Ed infatti, che lo stato digrazia conforti almeno agli inizi e per un breveperiodo, e fatto obbiettivamente accertabile. E bennoto come da diversi indizi possa dedursi che i piugiovani dei nostri magistrati sono, di norma, i piuattivi ed i piu entusiasti, nonche i piu sensibili alle

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questioni di principio e a quel complesso di valoriche e accolto, ad esempio, nella Costituzione, cioricavandosi dal fatto che in netta prevalenza proprioi pretori hanno investito la Corte Costituzionaledella questione di legittimita o no delle numerosenorme della legislazione ordinaria che, essendod’ispirazione fascistica, prestano il fianco alla criticae al dubbio se considerate alla stregua della super-legge. A questo punto, accertati il normale punto dipartenza ed il normale punto di arrivo, puo apparireplausibile una spiegazione complessiva nella qualesiano armonicamente risolvibili i vari elementi, diper se contraddittori, che emergono dalla situa-zione. E vero che agli inizi, quale che sia stata laspinta occasionale — di norma quella meramenteimpiegatizia — la funzione prende l’uomo; il gio-vane magistrato, assunte le funzioni, si appresta, dinorma, ad esercitarle con una punta di entusiasmogiovanile, ci crede e vuol crederci con tutta lagenerosa baldanza di cui e capace l’animo giovanile.Gli anni tristi della ricerca, talora angustiante, di unpezzo di pane sono ormai alle spalle; un minimo eassicurato: la ragione ed il cuore sono disponibiliper offrire quanto di meglio sempre sonnecchia nelfondo, sotto la spessa coltre di quello scetticismoamaro che la vita ci riserva man mano che proce-diamo di situazione in situazione, di delusione indelusione. Di qui la spinta del neofita, l’illusione e laconvinzione di poter contribuire a cambiare ilmondo. Si e detto (11) che proprio i piu giovani

(11) Vd. F. UNGARO, La macchina della Giustizia, in « Realtanuova », novembre 1962, p. 1140.

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magistrati sono, in genere, i piu autoritari; ma ilrilievo, nel quale c’e certo un pizzico di vero, eingeneroso ed ingiusto. Il giovane magistrato « cre-de » e credendo e certamente piu fermo, piu rigido,meno disposto ad accettare soluzioni transattive ea meta tipicamente dettate dal c.d. buon senso;spesso indubbiamente, in questa spinta messianica,esagera e sbaglia, vede fantasmi o brandelli di unmondo respinto nei fatti piu innocenti, perde, per lavolonta di perseguire sempre il rigore dei principi,le dimensioni dell’equita e giunge talora a soluzionivisibilmente sproporzionate. Qualche volta ho rac-colto nelle confidenze degli avvocati lamentele diquesto tipo verso i piu giovani colleghi e, purconcedendo talora nel riconoscimento della sostan-ziale iniquita o della eccessiva rigorosita della sin-gola decisione, ho sempre difeso queste giovaniliesorbitanze, fatte purtroppo a spese dei cittadini,invitando ad una umana comprensione di esse e adattendere con pazienza che il tempo e soprattuttol’esperienza levigassero queste punte, consentisseroal giovane divenuto piu maturo di saper proporzio-nare il rigore dei principi alla effettiva consistenzadei casi umani. Ma soprattutto dicevo che quelmedesimo giovane, oggi cosı rigidamente conse-quenziario, di lı a qualche anno si sarebbe pur-troppo trasformato secondo una evoluzione insenso del tutto inverso ed egualmente negativa: permille circostanze il neofita di oggi sarebbe divenuto,con tutta probabilita, un miscredente, se non uncinico, non avrebbe piu creduto alla possibilita direalizzare i valori della giustizia, avrebbe conside-rato l’amministrazione giudiziaria ed i principi in

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essa formalmente conclamati come una mistifica-zione che l’ipocrisia sociale impone come supremoinganno e dileggio.

Ed in verita le cose procedono, a grandi linee, inquesti termini e comportano che in un giro assaibreve di anni il medio magistrato subisca unametamorfosi piu o meno completa; ben presto egliquasi si convince che, ad esempio, ammesso che lagiustizia possa essere di questo mondo, essa non ecertamente di questa nostra terra nella quale pareche le grandi canaglie, i piu temibili delinquenti, ifatti piu gravi di corruzione e di malcostume sfug-gano alla rete nella quale semmai incappa il solitomalcapitato sprovveduto; si convince, per milleepisodi, che il sistema non funziona e non serve. Egiorno per giorno la c.d. sapienza dei piu anzianicolleghi e lı ad ammonirlo di queste amare verita,cosı come ovunque l’amara consapevolezza, mate-riata di sofferenze e di delusioni, ha gettato in tuttii tempi molta acqua sul fuoco degli imberbi giova-netti, secondo il naturale sviluppo di quel processoattraverso il quale la vita e destinata forse sempre asmentire le generose illusioni dei venti anni e a farciriscoprire, purtroppo veri ed attuali, gli adagi che untempo ci parvero unicamente dettati da insipienza oda angustia morale. Il giorno in cui il magistrato siaccorge di tutto questo, quando si rende conto chetutto e tutti operano contro il suo entusiasmo di untempo, c’e solo una cosa che puo salvarlo, unaintima convinzione morale che gli prospetti come inogni caso preferibile la soluzione di salvare, in tantadelusione, l’anima sua, magari solo per un orgoglioinnato; se questa riserva intima manca, se e assente

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la forza di saper essere disperatamente soli nell’in-timo della nostra coscienza, il crollo e inevitabile esi passa a far numero nella maggioranza disillusa deimortali. Allora il magistrato e maturo nel senso piudeteriore, e ormai un uomo posato e di buon sensocome la convenzione sociale richiede; e, rispetto aitraffici, ai mercanteggiamenti, alle truffe e agliimbrogli della onesta societa, un uomo d’ordine nelsenso piu farisaico, un uomo che si limita a mante-nersi personalmente pulito, ma non crede piu allasua funzione nel mondo e non ha quindi piu laspinta per aggredirlo nei suoi lati negativi; si difendee non offende, quando l’offesa costituirebbe pursempre un inderogabile imperativo.

Rimanere o no nell’ordine diviene, a questopunto, una mera questione d’interesse, un affarecerto fra i piu onorevoli per sbarcare il lunario,giacche non si comprende perche in un mondo difurbi solo questo povero cristo debba far la partedell’idealista idiota; la vita con le sue ferree leggi hariassorbito l’ingenuo di un tempo. E cosı, salvatal’anima nel senso piu angusto della media che sicontenta di mantenere le mani pulite senza perocoltivare illusioni missionarie, le questioni di stipen-dio e di carriere ridiventano, com’e logico, l’alfa el’omega dei problemi nella piu prosaica esistenza,cosı come puo apparire allettante la prospettiva diandarsene. E in questa ultima soluzione c’e, forse,ancora un pizzico di contorta reazione morale; mene vado per essere coerente fino in fondo alla tavoladei valori (rectius, di disvalori) che questa societapervertita, dominata dalla passione, dall’aridita edal vizio, ha voluto malgrado tutto instillarmi nel-

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l’animo; me ne vado perche se cosı e e se cosı deveessere senza speranza di salvezza, provo con ungusto pervertito a sbattere sul tavolo della vostraipocrisia questo piu consistente sacchetto di denaro;me ne vado perche preferisco non ammantarmi piudi una toga dietro la quale non c’e alcuna spintatrasformatrice, perche me ne vergogno, perche dob-biamo vergognarci della nostra capitolazione e dellanostra inettitudine, perche non abbiamo alcun titoloper arrogarci il diritto di giudicare; me ne vado perconfondermi nella folla che cerca, senza nascon-derlo, anzi apertamente dichiarandolo, di arran-giarsi nel migliore dei modi e di massima limitan-dosi a correre, con qualche accorgimento, sul filodel rasoio del rispetto della sola legalita formale,comunque ritenendo, per un radicato convinci-mento rispetto al quale la legge niente vale e nientesignifica spesso anche presso chi e chiamato adesserne agente, che l’onesta non e certo infirmata,ad esempio, dalla menzogna alla quale tutti ricor-rono nella dichiarazione annuale dei redditi. Non socerto in quale misura questo ipotizzato statod’animo muova i singoli nel loro esodo; ma e chiaroche, obiettivamente, ogni esodo rappresenta, dinorma, una sconfitta morale per l’ordine che losubisce ed esso andrebbe annunciato nel bollettinoufficiale nella stessa guisa in cui, nelle grandi occa-sioni, i giornali compaiono listati a lutto. Ma con-clusivamente, con questo approssimativo statod’animo, si spiega perche domini quella grigia at-mosfera impiegatizia che si constata subito dopo ilprimo contatto.

Ma resta da dire, piu specificatamente, come mi

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sia apparsa la media dei miei ex colleghi. Devepremettersi che la qualita media dei magistrati puoessere giudicata dai piu diversi punti di vista; cosı cisi puo proporre di appurare quale sia, grosso modo,la concezione etico-sociale che di massima prevalein questa determinata categoria, secondo quel tipod’indagine che e stato prospettato con molte feliciintuizioni da Dino Greco (12), rilevandosi, anche aragione della predominante estrazione meridionalee piccolo-borghese, come la tavola dei valori nor-malmente tipica del magistrato italiano sia quellacorrispondente alla ideologia di una societa ancoraarretrata.

Ma non e da questo punto di vista che intendocollocarmi, che qui il discorso diventa di necessitaassai delicato e soprattutto problematico ed incerto,in quanto ognuno costruisce la sua tavola di valorisecondo le proprie scaturigini e inclinazioni. Il di-scorso diventa poi particolarmente opinabile nel qua-dro di una comunita nazionale che come quella at-tuale italiana appare in profonda e contortaevoluzione da un certo modello verso un altro. Cer-tamente puo essere importante, sul piano delle con-statazioni sociologiche e psicologiche, appurarequale sia il contesto etico-culturale dal quale muo-vono le valutazioni di fondo della magistratura ita-liana, perche questo e un modo in definitiva non tra-scurabile per la comprensione della giurisprudenza;ma si resta appunto sul piano delle constatazioni,mentre io non so quale succo possa cavarsene quando

(12) Vd. D. GRECO, La formazione culturale del giudice, inMagistrati o funzionari?, cit., 562.

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si tenti, su questa base, di formulare un giudizio divalore. A prescindere dal rilievo che le qualificazionigenerali (ad esempio, in senso « conservatore » o« progressivo ») sono di per se in larga misura relativeed approssimative, in quanto non e raro che si pos-sano riscontrare notevoli disparita di schieramento inrelazione a singoli problemi o gruppi di problemicollegati, e in definitiva assai opinabile ogni valuta-zione in termini di c.d. « progressivita » o di c.d.« conservatorismo ».

Un giudizio di valore non puo essere mai for-mulato in assoluto secondo termini di ideologiaspicciola. Non c’e nessuno che individualmentepossa sentirsi legittimato ad esprimerlo rappor-tando la propria tavola di valori agli orientamenti diun ordine quale e quello giudiziario. In ipotesi lavalutazione dovrebbe essere fatta, con una certarelativa obiettivita, in termini di relazione tra lasocieta committente ed i giudici che in suo nomeoperano. Voglio dire che, su questo piano, non c’eda rapportare gli orientamenti dei giudici a unmetro ideale astrattamente formulabile in pienaliberta di opinamenti personali; e semmai lecitoistituire un confronto tra questi orientamenti giuri-sprudenziali e quelli che, quale ne possa apparire ilvalore in assoluto, sono storicamente prevalenti inun dato momento in una data societa, posto che, perdefinizione, il giudice deve operare e qualificare(specialmente quando si tratta di dare svolgimentoin concreto ai c.d. concetti-valvola dell’ordinamentogiuridico) in conformita di quanto, nella societa aservizio della quale egli opera, si pensa in media deipiu disparati rapporti, situazioni, relazioni. Proprio

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perche il giudice opera come organo della societagiuridicamente istituzionalizzata, il giudizio di va-lore non va condotto in astratto, ma in terministoricamente adeguati, tenendo comunque contodelle scelte compiute dal potere sovrano in terminidi politica legislativa e normativamente espressi. Insenso piu rigoroso, quindi, non puo esservi inmateria un giudizio di valore sulla giurisprudenza,ma un giudizio di conformita tra questa e le convin-zioni mediamente accolte nel corpo sociale; percuo-tere la moglie nell’esercizio del discusso jus corri-gendi puo essere ritenuto inconcepibile in assoluto,alla stregua di una moralita superiore, ma e dubbioche cento anni or sono si potesse ritenere errata lasentenza affermante codesta potesta, oggi contro-versa, anche nelle sue estreme implicazioni, sullabase dell’opinione media sociale.

In ogni caso una indagine su questo piano puoessere suscettiva di qualche risultato appagante,allorche si abbia a che fare con una societa social-mente e quindi culturalmente omogenea o con unasocieta che sia al livello della consapevolezza costi-tuzionale sufficientemente unitaria. Ma, di per se, lastessa formulazione di una siffatta ipotesi e dubbiao quanto meno la stabilita etico-sociale va intesa insenso eminentemente relativo e condizionato,giacche sempre, in ogni epoca e in ogni paese, inlimiti piu o meno ristretti o con un ritmo piu o menointenso, la vicenda storica e in movimento sul pianodelle trasformazioni tecniche ed economiche, delleconseguenti evoluzioni di classe e della lotta delleidee; probabilmente — e questa, del resto, unaipotesi puramente storiografica — non c’e mai stata

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una totale omogeneita, nel senso che, almeno ri-spetto a certi problemi, anche parziali e limitati(cioe anche secondari ove si proceda ad una siste-mazione della vicenda per grandi linee riassuntivema sempre corposamente essenziali in quel deter-minato contendere degli uomini) vi e sempre statauna piu o meno accentuata discrepanza di valuta-zioni tra i consociati e quindi un corrispondenteconflittare di orientamenti nella giurisprudenza.Sennonche, ammessa la relativa stabilita registra-bile in epoche anteriori ed in particolare in quellache ci sta immediatamente alle spalle, assumendoanche qui come punto convenzionale ed approssi-mativo di riferimento il fatale agosto del 1914, lanostra epoca e per definizione, per relativa e cospi-cua accentuazione, di movimento; la nostra societae, in particolare, non omogenea, vi coesistono di-verse situazioni economico-sociali e quindi diversimodi di pensare sui piu disparati problemi, onde lascissione di base si riflette, e in molteplici direzioni,nella stessa esperienza giuridica complessivamenteconsiderata. Verso quale concezione del mondo,verso quale modulo etico-sociale deve essere fedeleil magistrato? Basta formulare questa domanda, percomprenderne, oggi, l’estrema inconsistenza, giac-che io non vedo come, ad esempio, possa aversititolo per pretendersi un orientamento o c.d. con-servatore o c.d. progressivo sul punto della posi-zione della donna nella famiglia. In realta, su questopiano, in corrispondenza alla scissione di base do-vrebbe coerentemente registrarsi un coesistere diorientamenti nella giurisprudenza come riflesso deldividersi dei giudici stessi ed e certo che almeno

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sotto certi profili una pluralita di orientamenti erinvenibile nella nostra giurisprudenza attuale (adesempio sul punto della concezione dei rapporti trail cittadino e lo Stato, secondo una concezioneliberale o viceversa secondo il modello di lontanaorigine napoleonica che ebbe poi il suo trionfo nelregime immediatamente precedente).

Se non c’e, in ipotesi, piena corrispondenza trala struttura e la sovrastruttura, e se la giuri-sprudenza presenta, al contrario della societa, unamaggiore omogeneita, la situazione va spiegataaltrimenti e qui tornano di attualita le puntualinotazioni del Greco. Il trattamento praticato aimagistrati, infatti, e tale che, di necessita, sul pianodel mercato del lavoro rispetto alla specifica profes-sione, importa la prevalenza di uomini estratti dauna determinata area economico-sociale ed altresıregionale con tutte le inevitabili implicazioni. Ma equesta una notazione che puo farsi per tutta lapubblica amministrazione nel suo complesso, e sevogliamo ragionare, alquanto superficialmente, intermini di « conservazione » e di « progresso », diposizioni « avanzate » o al contrario « retrograde »,si potrebbe solo osservare che la parte c.d. piuavanzata del paese amministra cosı miopemente lesue cose da commettere l’amministrazione dei suoiinteressi sul piano della strutturazione del poterealla parte peggiore. Dopo di che, se e vero, come midicono, che nella vicina Francia si e costretti a farregolare il traffico stradale dei « civilissimi » pariginida poliziotti « di colore », ognuno puo cavarne,secondo il personale orientamento, le conclusioniche vuole; certamente quella, obiettiva, che in ter-

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mini economici il mercato del lavoro pubblico eregolato in condizioni tali che, in ogni paese, lapubblica amministrazione viene inflazionata, in mi-sura non rappresentativa rispetto alla media delpaese o ad alcune sue punte, da soggetti provenientidalle regioni economicamente depresse, i meridio-nali e gli insulari in Italia, cosı come i corsi inFrancia ed i montenegrini in Jugoslavia, tanto permantenerci nella nostra area mediterranea.

Si deve infine considerare che la magistraturanon consente, mantenendo il discorso nei terminiqui considerati, qualificazioni monocolori; ad esem-pio sul piano delle controversie di lavoro e forseprevalente un orientamento di marca « progressi-va », cioe, almeno per taluni aspetti, piu favorevoleal contraente piu debole del rapporto di lavoro, maquesta circostanza puo non essere decisiva ove sivoglia accertare la prevalenza o no di una tendenza« liberale » (cioe operosamente ispirata dal presup-posto che non deve esserci nel sistema una pregiu-diziale gerarchia di interessi, tutto risolvendosi dimassima nella contrapposizione antagonistica), po-sto che e vecchia verita che un pizzico di paternali-smo sociale non guasta nemmeno nei minestroni dipiu pura marca borbonica.

Resta in ogni caso sempre decisiva la considera-zione che siamo sul piano dell’intimo convincimentodel giudice, del suo generale orientamento, nei limitiin cui esso puo operare negli schemi formali e nellesoluzioni specifiche dell’ordinamento. Ma quando unuomo risolutamente e globalmente dissente dai cri-teri di valore comunemente accolti in una societa, eglinon ha moralmente alcun titolo per pretendere di

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operare come giudice a servizio della medesima; au-tomaticamente una siffatta situazione comporta checon piena spontaneita ci si astenga dal servire in que-sto contesto, perche il radicale dissenso induce —anche nei fatti — o all’astensione o, se se ne ha la forzae la volonta morale, alla opposizione radicale di prin-cipio. Il problema, almeno per le ipotesi piu macro-scopiche, non dovrebbe quindi nemmeno porsi; perandare al caso limite, non si e mai visto un adeptodell’utopismo anarchico aspirare a porsi alle dipen-denze dello Stato, cosı come e difficile pensare che uncristiano autentico possa servire nei tribunali dellaGermania nazista o in quelli razzistici della repub-blica sudafricana. Dall’altra, proprio perche quandosi e deciso di servire come giudici non c’e mai radicaledissenso, ma c’e, quanto meno, un minimo che spi-ritualmente consente codesto servizio, tutto puo ri-solversi in un problema di divergenza su particolariquestioni; e qui, fermo il rispetto della legalita, sientra nel campo delle libere valutazioni rispetto allequali non c’e, in definitiva, rimedio di sorta proprionell’ambito della legalita, se non si vuole rimuovereil giudice ritenuto estemporaneo, cosı operando inviolazione della posizione costituzionalmente garan-tita al medesimo (13). Il giudice « parziale » e quindi

(13) Il problema del giudice « parziale » venne sollevato da A.POGGI, L’indipendenza della magistratura oggi in Italia, in Magistratio funzionari?, cit., p. 42, sulla base della situazione emersa indeterminati processi a sfondo politico, auspicando l’A. che fossepossibile promuovere l’azione disciplinare nei confronti del giudicevisibilmente partigiano. A questa proposta ha efficacemente risposto,a mio avviso, S. BASILE, Il giudice parziale, ne « Il Mondo » del 4settembre 1962 (l’articolo e riportato in appendice al volume Magi-strati o funzionari?, cit., p. 767, insieme ad una lettera del Poggi

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un episodio di cronaca destinato ad essere assorbitonella storia.

Scendendo dall’empireo, i magistrati possonoessere valutati, prescindendo dal merito dei loroorientamenti, per il modo in cui assolvono allefunzioni loro commesse. E qui, com’e naturale cheavvenga, e ovvio che si incontrino tipi assai diversi,potendosi d’altro canto condurre il discorso allastregua dei piu vari criteri, prendendo in considera-zione le doti di intelligenza, di onesta, di laboriosita,di preparazione tecnico-giuridica, etc. Una grandevarieta, adunque, con le piu diverse combinazioninel singolo soggetto in relazione ai vari, possibilimetri di giudizio. C’e, al limite dell’optimum, ilgiudice intelligente e preparato e onesto e laboriosoe c’e chi manca, in tutto o in parte, di taluno diquesti requisiti.

Cosı m’e accaduto, talora, di imbattermi inqualche collega del tutto strampalato, visibilmentedeficiente rispetto alla media degli uomini, che forsesarebbe stato opportuno ospitare in qualche casa dicura; magistrati — fortunatamente rarissimi — aiquali come cittadino non mi sentirei di affidare lapiu facile delle cause e che invece sono chiamati agiudicare — c’e da tremare! — malgrado il loro benvisibile stato che qualche volta li fa oggetto della

successivamente pubblicata nel settimanale citato): « Ma in unasocieta di faziosi chi giudichera il fazioso? ». Ed infatti, poiche non epossibile attentare alla posizione di indipendenza del giudice aragione della sua ipotetica faziosita, c’e solo da sperare nei controlligiurisdizionali interni nonche sul controllo dell’opinione pubblica edelle sue forme di espressione in una democrazia.

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commiserazione degli avvocati e del malinconico,disumano dileggio dei colleghi. L’interessante erilevare che anche costoro hanno superato, talorabenino, il concorso iniziale nonche il successivoesame per aggiunto giudiziario. E merita ricordarequesta situazione per mettere in rilievo che sottoquesto profilo l’attuale sistema di selezione puotalora funzionare del tutto a sproposito e allarovescia e che nemmeno sussistono validi controllisuccessivi che possano comportare l’espulsione dal-l’ordine di chi e del tutto incapace; per una malin-tesa pieta che si ritorce in un danno gravissimo peril servizio, chi e preposto all’ufficio si astiene dalsegnalare questa dolorosa situazione o comunquedal predisporre quanto possa giustificare il deside-rabile provvedimento espulsivo.

A prescindere da queste eccezionali situazionipatologiche, e certo che una valutazione globale, neilimiti in cui puo giustificarsi, va effettuata rispettoalla massa che dispone di normale intelligenza (contutte le consuete sfumature) e normale prepara-zione tecnica. Rispetto a questo tipo medio dimagistrato, avendo riguardo all’intelligenza e allacultura specificamente richiesta, e evidente che lavalutazione decisiva deve far perno sulle doti disostanziale onesta e di normale laboriosita. Anchequi si riscontrano le piu varie situazioni.

Ho conosciuto magistrati per i quali, effettiva-mente, l’amministrare giustizia e un compito estre-mamente serio ed impegnativo, forse sovrumano,ragione quotidiana di scrupolo e di tormento, taloradi rimorso angustiante, severi con il prossimo e conse medesimi, ma di squisita sensibilita umana; uo-

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mini che di per se, in tutte le loro manifestazioni,costituiscono una testimonianza vivente di un idealeche avvince e commuove e che sono stati per meuna stimolante lezione. Non di rado c’era in questicolleghi veramente maggiori, in genere indotti per illoro sentire ad un grande pudore, ad una innataritrosia che impediva loro di mescolarsi nelle begheinterne di ogni tipo, una ben precisa ispirazionereligiosa particolarmente inquietante per chi, comeme, non e illuminato dalla grazia divina. Accanto aquesti asceti, altri ho conosciuto non meno seri, nonmeno impegnati, ma non sofferenti, almeno giudi-cando dalle apparenze, a sconvolgenti tormentiinteriori, bensı con una nota costante di mondanitae di scettica signorilita, con una certa bonomia neltrattare gli infiniti e svariati casi della vita. In-somma, sempre ad un alto livello, ho visto tutte legradazioni con cui l’animo umano si pone i pro-blemi di fondo della coscienza morale, dal pessimi-smo all’ottimismo, dal rigorismo tormentoso allaserieta temperata da una punta di giocondita.

Ho conosciuto altresı qualche autentica cana-glia, qualche briccone corrotto e corruttore, taloradisposto ad operare in aperta violazione dei suoidoveri, anche commettendo precisi reati, oppure,assai piu di frequente, a muoversi illecitamente e afin di male con qualche abile accorgimento, nelfarisaico rispetto della legge; credo che ogni magi-strato, se volesse o potesse dare sinceramente lastura ai suoi ricordi, abbia da raccontare qualchepur raro episodio rilevante su questo piano, l’incon-tro che talora si verifica col maggiore collega ma-fioso, legato a certi interessi, a certe cricche, pronto

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a rendere segnalati favori, e che, nel contemposuadente e, se ne ha le possibilita, sostanzialmenteminaccioso, cerca di ottenere e di pervertire, deter-minando una situazione nel corso della quale e statodifficile mantenere i nervi a posto, trattenersi dalgridargli in faccia tutto il nostro sdegno ed il nostroschifo (ed infatti la professione di magistrato e tantoalta e nobile che quando cosı male si incarna neisingoli, il fatto non puo non determinare, per natu-rale contrappasso, la piu decisa reazione). E c’eanche il primo della classe, colui che si sforzavisibilmente di essere bravo, dotto e laborioso solperche lo sospinge la brama di arrivare e di primeg-giare; e, in mancanza di meglio, pur questo puorappresentare una garanzia.

Nel complesso, tuttavia, il tipo medio del magi-strato italiano si colloca piu o meno, e non puo noncollocarsi, in una aurea mediocrita sotto tutti iprofili. Sul piano tecnico e di media, sufficientepreparazione, cerca comunque, di volta in volta, dicavarsela con dignita anche se, spesso, le sue fonti dierudizione si risolvono in una frettolosa consulta-zione dei repertori giurisprudenziali, ivi ricercandoqualche massima risolutiva della Cassazione; insostanza e al livello del medio avvocato. Per quantoattiene alla laboriosita, non predomina il tipo dellostacanovista; si cerca di tenere mediocremente ilpasso, di fare l’indispensabile magari perche pre-muti da un termine da troppo tempo, in misurastraordinaria, scaduto. Del resto il sistema in gene-rale, per un complesso di ragioni obiettive e subiet-tive addebitabili in parte anche agli avvocati, comea suo tempo giustamente rilevo il procuratore ge-

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nerale della Cassazione in un famoso discorso (14),consente molte giustificazioni per il dolce far niente;piuttosto, a ragione del superiore controllo e spe-cialmente nelle preture, domina talora la preoccu-pazione meramente... statistica di far risultare mi-nori pendenze nei riepiloghi semestrali, conespedienti anche ameni e deludenti:in certi periodisi omette perfino di registrare, rinviando l’opera-zione, le pratiche in arrivo al fine di far quadrare ilbilancio di chiusura, con un impegno degno dimiglior causa.

Se e doveroso lavorare, se e ottima cosa non fardormire i processi e non accumulare l’arretrato, laquestione deve porsi su un piano sostanziale e nonsu quello meramente formale. Sul piano dell’onestaprofessionale che e quello decisivo, in genere ilmagistrato si comporta correttamente e pulita-mente; la grandissima maggioranza non e mai di-mentica del suo elementare dovere d’imparzialita el’ambiente e certo quello di gran lunga piu respira-bile nel gran calderone della pubblica amministra-zione, secondo una impressione non a torto diffusatra i cittadini. Semmai quello che domina e un climadi onesto, generico ed inappagante galantomismo,senza forte temperie spirituale come specialmente siavverte nell’esercizio della giurisdizione penale sucui tornero in prosieguo; i giudici italiani sono,piuttosto, troppo brave persone nel senso logoro deltermine, personalmente di una moralita certo supe-riore alla media, ma incapaci, per il diffuso scettici-

(14) Vd. la mia nota di commento Giustizia in Italia: e l’ora deifatti, ne « Il Ponte », gennaio 1963, p. 6.

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smo, di slanci, restii a porsi veramente con unavolonta autonoma di esercizio effettivo del potere,troppo portati ad una non convincente bonomia ead una comprensione eccessiva dei guai e dei vizidell’uomo, disposti a perdonare e ad assolvere assaifacilmente, troppo, in definitiva, pavidi in una so-cieta che, essendo profondamente miscredente edimbevuta di egoismo anticivico, richiederebbe alcontrario, in reazione, ben altro impegno. In con-clusione i nostri giudici sono in genere galantuominialquanto scettici e disincantati sulle cose del mondoe sulla possibilita della loro funzione, onesti buro-crati di una Temi che nel paese non e vento chepercuote come dovrebbe.

Quello che si riscontra nell’ambiente e, soprat-tutto, un vivissimo spirito di corpo; appare diffusal’intima convinzione, esplodente in mille episodi ecomportamenti spesso di dubbio buon gusto, diappartenere ad una sorta di aristocrazia delle ari-stocrazie: l’ordine e quindi veramente unito, nel suocomplesso, nella volonta di non volersi confonderecon la massa dei burocrati e dei cittadini; a mioavviso, al di la della contrapposizione attuale travecchi e giovani, tra carrieristi e anticarrieristi, unapunta deteriore in questo senso c’e anche nelleposizioni apparentemente e talora sostanzialmentepiu spinte, piu « democratiche ». Ed e certo chetalora si e caduti nel ridicolo, come quando si eespresso il piu vivo compiacimento per il fatto cheda qualche tempo e invalso l’uso di pubblicare unannuario separato per i magistrati rispetto all’unico

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che un tempo raggruppava anche i cancellieri (15).Cosı, si bada spesso alla forma, alle ridicole que-stioni di precedenza (o quanta deteriore mondanitain questa societa cristiana!), senza rendersi contoche e ravvisabile un ben piu sostanzioso processo diradicale declassamento della funzione della magi-stratura (16). Ora e certo che un po’ di spirito dicorpo puo risultare per qualche verso benefico, seper esso passa l’auspicabile sublimazione del meglioche un ordine, relativamente chiuso, di ottimati puodare al paese; e accettabile se dietro di esso c’el’implicito intento di sottolineare la ferma volontadi essere migliori. Ma la questione si prospetta intermini diversi, risulta deteriore sul piano del co-stume, quando dietro la facciata c’e spesso il vuoto,quando dietro le altisonanti declamazioni e i fre-quenti autoincensamenti di rancida retorica c’e lacarenza del potere, la crisi del sistema, la sostanzialeabdicazione alla funzione commessa. Donde l’im-pressione che troppo spesso i magistrati italiani,come gli onesti impiegati di giustizia immortalati neiracconti cechoviani, si contentino della lustra e nonesigano la sostanza, si beino del fumo senza rendersiconto che l’arrosto e sparito.

Cosı, forse per un fenomeno naturale che siaccresce a mano che dal basso si progredisce versol’alto, c’e un tono, un modo di esprimersi veramentefuori posto, una magniloquenza pomposa, una alba-gia quasi esagitata e frenetica dietro la quale m’e

(15) Vd. la nota in « Rassegna dei magistrati », 1964, 291.(16) Vd. in proposito il lucido articolo di A. PIZZORUSSO,

Osservazioni sul « declassamento » della Magistratura, in « Monteci-torio », gennaio-febbraio 1963.

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parso talora di intravedere quasi una verbale ricercadi giustificazione. Chi avesse voglia e tempo didilettarsi potrebbe cosı, sfogliando le orazioni soli-tamente pronunciate dai piu alti magistrati nelle piuvarie occasioni, mettere insieme una gustosa anto-logia di discorsi di dubbio gusto. Mi limito a ripor-tare un esempio. In una occasione, invero commo-vente (si trattava di un incontro tra gli anzianimagistrati entrati in carriera nel lontano 1921),nell’indirizzo di pur comprensibile omaggio alprimo presidente della Cassazione, ci si rivolseall’alto magistrato « Sommo Sacerdote, PonteficeMassimo dell’Ordine Giudiziario » in veste di « mi-nistri di una nobilissima missione, investiti di unpotere che ci fa uguali a Dio, e, percio, suoisacerdoti »! (17). In altra occasione si e scritto (18)che i magistrati di Cassazione « hanno costituito inogni tempo e costituiscono anche oggi la piu altaespressione di dottrina, di conoscenza, di cautela, disensibilita e di disinteresse personale ». Come hoscritto altra volta (19), questi altisonanti autorico-noscimenti lasciano in definitiva, sul piano dellastoria generale del nostro paese e della funzione chein essa ha esplicato la magistratura, del tutto scet-tici, onesta e disinteresse dei singoli magistrati aparte.

Qui infatti si pretende e si sottointende un

(17) Vd. il discorso di LONARDO riportato in « Rassegna deimagistrati » 1963, p. 212.

(18) Vd. una lettera di L. AMMANTUNA, riportata in « Rassegnadei magistrati », 1962, p. 211.

(19) In Cronache della Magistratura, ne « Il Mulino », n. 97,ottobre 1960, pp. 245 e ss.

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giudizio storico che e assai azzardato voler formu-lare nei termini prospettati, ponendosi dal proprioangolo particolare; sul piano della storia generalenon conta certamente la sapienza che puo trasudareda elaborate sentenze in senso meramente tecnico-giuridico, rilevando questo solo ed esclusivamente,in ipotesi, nella vicenda interna, tecnica appunto,della giurisprudenza. Per quanto attiene alla « gran-de » storia il discorso e ben diverso e i menoautorizzati a parlare sono appunto i magistrati checon la loro concreta attivita sono proprio oggetto diun giudizio che non conosce, per definizione, la cosagiudicata. Sotto questo profilo non interessa nem-meno quello che la magistratura ha fatto o non hafatto o come ha fatto nel ventennio della dittaturafascista perche, a mio avviso, non e in quel contestoche il discorso diventa piu pertinente. Chi allora inipotesi resistette e in qualche forma si oppose,saboto encomiabilmente il regime che richiedevaformalmente la sicura fede « nazionale » ed haavuto ragione, in effetti, per il modo in cui si efelicemente conclusa la partita. Chi servı, d’altrocanto, non fece che compiere il proprio dovereverso chi lo pagava, mentre, oltre tutto, pare as-surdo che si possa parlare di una magistratura liberaed indipendente in un regime che da una parte siponeva agli antipodi rispetto a questi valori e chedall’altra, come tutti i regimi, non poteva nonrichiedere e pretendere la fedelta dei suoi agenti. Eimportante, viceversa, accertare quello che la magi-stratura ha fatto o non ha fatto nei periodi in cui,nell’ambito di un reggimento relativamente libero econ concrete garanzie di indipendenza per il terzo

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potere, erano in effetti possibili, nella legalita, scelteautonome ed era consentito per il magistrato com-piere con una certa facilita il proprio dovere. Cosı eessenziale valutare il comportamento complessivodella magistratura negli anni tragici della crisi delprimo dopoguerra, ricordando, come ben si e detto,« quante bastonature, quante inumane costrizioni abere l’olio di ricino, sono state commesse ed aper-tamente vantate senza che l’autorita giudiziariaintervenisse » (20); facciamo pure il processo, maprima erudiamoci sui fatti, constatiamo se ad ognidelitto dell’epoca fece seguito o no, o in qualemisura, la doverosa reazione giudiziaria. E perquesto ventennio di democrazia postfascista quelloche conta e la pagina dolorosa scritta dalla magi-stratura nel suo complesso nei processi celebraticontro i collaborazionisti ove, talora, si e escluso checerte orribili torture potessero qualificarsi comeefferate sevizie; conta l’orientamento di norma te-nuto nei confronti del movimento partigiano, re-pressione dei crimini commessi in nome della li-berta a parte; conta la gravissima responsabilitaassuntasi dalla magistratura negli anni successivi al1948 coll’avallare il pratico svuotamento dellenorme costituzionali con la famosa distinzione traefficacia precettiva e programmatica, atteggiamentoche l’alta magistratura ha mantenuto anche dopo, aCorte Costituzionale finalmente costituita, col ne-gare quasi sistematicamente la sola configurabilitadel dubbio circa la legittimita di numerose norme;

(20) Cosı A. POGGI, Sulla indipendenza della magistratura, in« Democrazia e diritto », ottobre-dicembre 1961, p. 14 dell’estratto.

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conta quello che i giudici hanno definitivamenteconcluso nel processo al vescovo di Prato « dove anessuno spirito non prevenuto — per dirla con A. C.Jemolo (21) — puo non sembrare assurdo e soprat-tutto senza base di sorta e nel Concordato e nellalegge italiana, che lo Stato abbia rinunciato a difen-dere l’onore e la fama dei suoi cittadini se questivengono lesi da autorita della Chiesa nell’eserciziodelle loro funzioni: la dove tutti sono d’accordo chequeste autorita non possono attentare ne alla libertapersonale dei cittadini, ne ai loro beni, ne al lorosegreto epistolare, ne possono strappare di mano lepubblicazioni che ritengono nocive; solo la fama el’onore non sarebbero difendibili. Dio solo sa per-che ». Contano cioe i fatti che il compianto AchilleBattaglia organicamente espose in un libro alta-mente apprezzabile. Onde conclusivamente, ri-spetto alla proposta spesso formulata di provvedereper una storia della magistratura (22), puo osser-varsi che forse non conviene accingersi a questafatica, giacche probabilmente ne verrebbero fuorimolte pagine non certo commendevoli.

Nessuno ovviamente rimprovera i magistratiitaliani per quello che come cittadini liberamentepensano, ma bensı per avere quasi sistematicamenteassunto atteggiamenti di un certo tipo proprio nel-l’esercizio delle loro funzioni, talora in contrastocon chiari principi normativamente posti. Nel 1947

(21) Vd. I giudici e la politica, ne « Il Mondo » del 27 febbraio1962.

(22) Vd. A. TORRENTE, Il giudice, questo sconosciuto, ne « LaMagistratura » del novembre 1960, riprendendo l’A. l’idea gia for-mulata da L. Granata.

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il numero due della magistratura preferı ignorare ilmutamento istituzionale dello Stato di recente ve-rificatosi, invece di sentire l’elementare dovere diandarsene da quall’altissimo seggio se la sua co-scienza glielo impediva; come tanti altri rimasero,conservando gradi e quattrini, in funzione in defi-nitiva eversiva rispetto alla volonta politica espressadal paese del quale i giudici sono, come tutti ipubblici impiegati, al servizio. Per questo complessodi ragioni ci sono ben poche tradizioni venerabili enon si giustifica la ricorrente albagia. Quanto menochi ha fatto cosı chiare scelte politiche, dovrebbe,senza inutili ed infondate proteste, accettare lalogica nella quale si e volontariamente posto e nonrecriminare se dall’opposta sponda si risponde, ma-gari agitando la minaccia del vilipendio; su questopiano, rispetto a queste inevitabili regole del giuoco,che si sia agito nell’onesta convinzione di perseguireil pubblico interesse e del tutto indifferente. Inconclusione, in una libera democrazia, anche l’ope-rato dei giudici non e, vivaddio, un tabu, mentretutto, senza esclusioni, e sempre sub judice nellacoscienza degli uomini.

Ora, in questo contesto, e naturale che molti trai giovani magistrati, quelli che non hanno psicolo-gicamente un passato da difendere, quelli che sononell’intimo assai critici rispetto alle vicende storicheche ci stanno alle spalle, quelli che sono piu attrattidal messaggio innovatore della Costituzione gene-ricamente inteso, siano per coerenza all’opposi-zione rispetto al mondo dei vecchi, siano insoffe-renti di tanta retorica e aspirino ad adempiere leloro funzioni secondo linee sensibilmente diverse.

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Sono quei giovani che hanno in parte riscattatonella parte liberale dell’opinione pubblica, anchecon le loro intemperanze, la causa della magistra-tura, ad esempio dimostrando una viva inclinazione,talora anche soverchia, a raccogliere qualsiasi dub-bio sulla legittimita costituzionale di diverse leggi enorme, rendendo in pratica largamente possibile ilsindacato della Corte Costituzionale. Dietro questoatteggiamento c’e del resto, in questa epoca di crisiprofonda, un piu radicato sentimento ed un piusevero porsi innanzi alla realta etico-sociale con-temporanea. Anche chi non ama le novita soloperche tali, avverte che il passato piu recente,dilaniato da orrori, da delitti e da tirannidi in questoangolo di terra europea che pur parve aprirsi unsecolo fa ad una grande prospettiva civile, non hamolto da insegnare, mentre gli uomini delle tra-scorse generazioni non paiono degni di molto ri-spetto proprio perche essi hanno variamente consu-mato, nella tragica eta apertasi nell’agosto del 1914,il trionfo dell’irrazionale, dell’odio e della folliafratricida. Non ci sono molte eredita attive dasalvare, sul piano generale; ed e comprensibile cheanche la piu giovane magistratura partecipi a suomodo, nelle forme che le sono consentite, all’anelitodelle nuove generazioni di edificare un mondomigliore. Lo stato d’animo di questi giovani non eprecisamente quello di inserirsi in una onorevoletradizione che e dubbio identificare, ma quello chederiva dalla volonta di ricominciare oggi ex novo.Questo e, grosso modo, lo stato d’animo contrap-posto tra vecchi e giovani; ed e questo stato d’animoche va considerato, prima della puntualizzazione

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delle reciproche posizioni su questo o quel pro-blema particolare (qui tutto e per sua natura opina-bile), per spiegare e capire l’attuale situazione in-terna, di profonda divisione, della magistraturaitaliana.

Si e detto talora che il contrasto e frutto di unaincresciosa incomprensione, di equivoci, che esso,pertanto, con un pizzico di buona volonta reciprocapotrebbe essere superato. In un certo senso c’e inquesto assunto qualcosa di vero; sennonche e bendifficile che il fossato possa colmarsi lavorando inquesta direzione superficialmente, senza andare alfondo delle cose, con abbracciamenti esteriori.Quando i vecchi celebrano ispirati le loro orazioniesse hanno inevitabilmente per i piu giovani, percoloro che portano nel cuore l’amara consapevo-lezza di un retaggio che di massima va rifiutato, ilsapore delle declamazioni patriottarde alle qualiuna bolsa retorica ci ha abituato per decenni; laprima reazione e di insofferenza se non di dileggio.E con questo il discorso e subito aperto e chiuso, lafrattura e irrimediabilmente consumata. Innanzialle aspettative dei giovani solo un diverso compor-tamento dei piu anziani potrebbe spiritualmenteristabilire il dialogo; insieme all’abbandono di uncerto linguaggio che — lo si voglia o no riconoscere— fa da spia di una realta piu profonda che i primirifiutano, occorrerebbe che vi fosse nei fatti latestimonianza di una volonta di comprensione delnuovo che e nelle attese dei piu e che soprattutto simostrasse il chiaro intento di operare come un terzopotere consapevolmente ispirato nella vicenda de-mocratica del paese.

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Sono profondamente convinto che l’unita spiri-tuale della magistratura potrebbe rifarsi solo ritro-vando una comune e ferma giustificazione alla lucedi quanto la legge fondamentale dello Stato imponeed il paese esige nel suo profondo. Nel passato imagistrati sono stati, in prevalenza, uomini d’ordinenel senso piu deteriore, uomini di estrema respon-sabilita secondo il significato che al termine paredoversi attribuire nel linguaggio dei vecchi, uominiin sostanza estremamente timorosi della dialetticadella liberta e quindi assai disposti a far propria lavalutazione politica della situazione dettata, al di ladelle leggi se necessario, dalla classe dirigente digoverno. Cosı nel 1919-20 essi furono coi governimiopemente liberali e con tutte le autorita costituitenel partecipare del timore antisocialista della bor-ghesia che tenne a battesimo l’illegalismo dei fascie, convinti di agire in buona fede per il superioreinteresse del paese, chiusero spesso gli occhi innanziai quotidiani delitti. Nel 1945 e negli anni successivipredomino, certo con maggior fondamento, lostesso folle timore; di qui l’indulgenza verso i fasci-sti, la caccia al partigiano, lo svuotamento deiprincipi costituzionali. Ma nella misura in cui igiudici si fanno compartecipi di queste preoccupa-zioni anche giustificate della direzione politica, an-nullano nei fatti la possibilita di autonoma esistenzadel terzo potere, lo identificano col potere politico esono quindi irrimediabilmente condannati a se-guirne le sorti, i consensi del momento e i certisuperamenti del futuro, perche per chi sa pazientarel’ora della resa dei conti, tragica o pacifica, sempresopravviene.

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Viceversa si chiede ai magistrati non di salvarela patria all’occorrenza accantonando la legge, madi svolgere sempre ed in ogni circostanza il lorolavoro di onesti interpreti e di leali attuatori deldiritto, giudicando di volta in volta puntualmenterispetto ad ogni singolo caso ed inibendosi ogniriassuntiva sintesi generale. Si tratta cioe di daronesto svolgimento a quanto e normativamenteposto fino alle estreme conseguenze, libero il poterelegislativo di mutare, nelle forme legali, la regola-mentazione che si ritenga in ipotesi inadeguata. Equesta la corretta linea divisoria, onde si richiede almagistrato, se necessario, come uno sdoppiamentodella sua personalita, eventualmente tra le suegenerali convinzioni politiche ed il giudizio che deverigorosamente poter dare del singolo episodio. Laforza morale della magistratura sta nella fedelta aldato obiettivo della legge; discostandosi si cadenell’arbitrario e quindi si perde innanzi all’opinionepubblica di prestigio e di stima, anche rispetto aquella parte che se ne e avvantaggiata, cosı comemoralmente si disprezza la spia che pur ci serve.

Se pertanto i magistrati saranno capaci, nel lorocomplesso, di sradicare l’abito mentale alquantodiffuso di timorosi uomini d’ordine nel senso che lavandea attribuisce da sempre a codesto termine (unordine che all’occorrenza si alimenta del disordinedella violenza illegale o dell’aperto misconosci-mento di certi principi messi da parte perche rite-nuti, almeno per il momento, pericolosi), per essererigidamente custodi di un ordine nuovo fondatosulla piu rigorosa legalita e in leale svolgimento deiprincipi posti, essi potranno presentare veramente il

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terzo potere come il baluardo basato sui valoripermanenti del regime politico oggi felicementedemocratico, al di la delle transeunti maggioranze,lo edificheranno come l’effettivo sovrano sopraor-dinato e in questo spirito e in questa comunione diintenti potra ristabilirsi l’unita all’interno; tutti sen-tiranno allora di parlare lo stesso linguaggio e cadrala ragione della frattura che e in primo luogopsicologica, come un contrasto irriducibile nel sen-timento di diverse generazioni. Si potrebbe avereallora un processo di avvicinamento sui problemidel definitivo assetto della magistratura (ad esem-pio, in tema di carriera), rendendosi conto che ognisoluzione presenta un notevole margine di opinabi-lita; e l’esuberanza dei giovani potrebbe esserecontenuta venendo a contatto con la naturale sag-gezza dei piu anziani. Del resto quando una situa-zione entra in crisi, tutto concedendo alla smaniairragionevole di innovare che talora prende i gio-vani, cio testimonia in maniera eloquente dellaresponsabilita, della inettitudine o della capitola-zione delle forze gia investite del potere di co-mando, giacche le rivoluzioni, come insegno ilgrande Tocqueville, solo apparentemente sono fattedai rivoluzionari, poiche la loro ora e in primissegnata dalla bancarotta stolida delle vecchie classidirigenti. Quando, sul piano della comunita nazio-nale nella sua interezza o in singoli settori, glioperatori hanno capitolato di fatto, per miopia oper essere affogati nel mare degli egoismi partico-lari, alla loro funzione o hanno tradito il compitoloro commesso, e giunta l’ora del nuovo. E perfet-tamente inutile gridare mettendo in guardia contro

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i mestatori e gli agitatori di professione, che pur visono, perche il problema e appunto quello di accer-tare come e perche a costoro la situazione consentası largo successo; la risposta, ancora una volta tipicadella miopia conservatrice, non risolve, ma rinviasemplicemente il problema.

In realta, almeno in un paese di cosı superficialetradizione liberale, la magistratura deve conqui-starsi soprattutto da se, con la sua forza e il suocoraggio, il posto che le compete. Allo stato e certoche gli « amici » della sua indipendenza sono tuttiinsinceri ed infidi; in particolare non vi sono partitipolitici sui quali si possa effettivamente contare,come e del resto clamorosamente dimostrato dalcapovolgimento delle parti verificatosi, sui problemidi assetto del terzo potere, dopo il 1948 tra il settoremoderato e le sinistre. Finora l’autonomia dellamagistratura e stata una rivendicazione strumentaleda una parte e dall’altra, in relazione ai rapporti diforza e alle prospettive della situazione politicacomplessiva. Ne la magistratura puo certo speraresalvezza con l’avvento di coloro che qui si agitanoper l’attuazione costituzionale ponendo comeideale reggimento secondo i loro obiettivi regimiche nei fatti e nella teoria hanno rinnegato ilprincipio della divisione dei poteri. Ma cio dimostrache per ora la magistratura e disperatamente solanella sua battaglia e che essa potra vincerla ponen-dosi al di sopra e contro il giuoco delle parti; edando torto, se le spetta, alla maggioranza di oggiche si puo aver titolo per dar torto alla maggioranzadi domani. E soprattutto e da considerare che unadiversa disposizione degli spiriti sul piano dell’omo-

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geneita costituzionale caratteristica delle piu conso-lidate democrazie che trovano qui il loro fonda-mento, potra lentamente verificarsi anche in Italiaproprio nella misura in cui la magistratura opererain questo senso; e con l’azione dei giudici che potraemergere nei fatti la concreta dimensione costitu-zionale, superpartitica, della nostra esperienza, con-vincendo della necessita di comunque difenderla edi dover sempre separare i principi nel loro dialet-tico svolgimento dai contingenti interessi di parte.Alla base e agli inizi, solo la sussistenza di unamagistratura indipendente puo rappresentare la cel-lula di una democrazia liberale.

Ma non c’e da illudersi molto circa le possibilitadi ripresa di un leale dialogo all’interno della magi-stratura, giacche raramente la ragione illumina gliuomini, anche quelli meglio dotati, come in gene-rale comprovano, malgrado i ricordi tragicamenteimpressi nella maggioranza degli uomini di oggi, levicende di tutti i giorni ed il perdurare ovunque diquei focolai nei quali pare che si temprino gli animiper una ulteriore ondata di bestialita universale. Nelgrande come nel piccolo par che si tratti di unalegge costante, ognuno, magari per falso orgoglio,resta fermo sulle sue posizioni, il tempo anzichelenire accentua, il baratro si allarga. Cosı e all’in-terno della magistratura, ove l’ambiente e semprepiu dilaniato determinando irriducibili antagonismitra le opposte fazioni. Come era facile prevedere, lasituazione ha seguito puntualmente la legge natu-rale degli sviluppi dei processi dissociativi; nel corsodegli anni successivi al 1960 nelle due associazionihanno avuto progressivamente la meglio i gruppi

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reciprocamente piu estremistici, l’unione dei magi-strati italiani e divenuta sempre piu aridamenteconservatrice, l’associazione nazionale dei magi-strati e sempre piu dominata dalle punte estreme,con alcune gravi esorbitanze sul piano politico. Euna situazione di grave disagio nella quale pare cheambedue le parti abbiano perso completamente latesta; ed e veramente triste dover leggere sui foglidelle due correnti un linguaggio talora di estremadurezza. Si e giunti al punto che in una occasionerecente e stato diffuso un opuscolo anonimo attri-buito ad una delle parti; dico attribuito perche mirifiuto di credere che dei magistrati non abbianosentito il ritegno di scendere a questo livello.

E in questo clima che maturo, a fine 1962, ladecisione di una larga parte dei magistrati di farricorso, all’occorrenza, allo sciopero nella contro-versia insorta col governo; decisione inammissibilegiacche lo sciopero dei giudici e del tutto inconce-pibile per intuitive ragioni sulle quali mi paresuperfluo insistere per non far torto all’intelligenzae alla buona fede dei lettori (23). Vi sono taluni

(23) Vd. in particolare A. C. JEMOLO, Lo sciopero dei magi-strati, in « Rassegna dei magistrati », 1963, p. 97, ove giustamente siosserva che i giudici debbono essere « non pecore docili, ma chehanno presente che quando una struttura statale appare ripugnantealla propria coscienza, si puo divenire rivoluzionari, cercare didistruggerla: accettando tutti i rischi ed i pericoli connessi allainsurrezione aperta. Fino a che pero non si addiviene a quel punto dirottura, non si puo combattere per la vittoria delle proprie aspirazionise non con i mezzi che la legge pone a disposizione; e dove c’e libertadi stampa, molteplicita di partiti, lotte elettorali, questi mezzi nonmancano ». Vd. anche le giuste osservazioni di E. ONDEI, Le ragionidei giudici, ne « Il Mondo », dell’11 dicembre 1962, osservandosi checon la proclamazione dello sciopero i magistrati si sono preclusa

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servizi essenzialissimi che costituiscono la sostanzastessa dello Stato e nei quali la paralisi, per qualsi-voglia ragione, va esclusa, pena il disfacimentostesso dello Stato (ed infatti quando si sciopera incerti settori, in genere si e alla vigilia di un muta-mento di regime). Se i magistrati italiani, che sonouna ristretta e relativamente eletta categoria, riten-gono di non poter piu decentemente servire questoStato, essi hanno una sola possibilita: andarsene,eventualmente rassegnando le dimissioni in massa.E, a mio avviso, una pregiudiziale che non tollera neobiezioni ne sofismi di sorta, quale che possa essereindubbiamente il significato dello sciopero dei ma-gistrati ove voglia considerarsi la responsabilitadella classe dirigente politica. Quando si oso parlaredi sciopero, fu in verita un giorno tristissimo perquanti credono a certi principi; ne la situazionemuto per il fatto che si desistette dalla progettataazione, perche quel semplice proposito fu comun-que sufficiente, sia seguita o no l’azione, a farperdere ancora dignita e prestigio alla categoria. Ein definitiva, con questo episodio e con tutta lasituazione interna determinatasi con queste lotteintestine, questo scadimento e nei fatti e nella

moralmente la possibilita di condannare i militari e gli addetti ad unservizio di pubblica necessita per abbandono del servizio. Comunque,sulla singolare motivazione di quello sciopero, vd. il « taccuino » de« Il Mondo » del 13 novembre 1962 nonche l’articolo di P. E.PRINCIPE, Le ragioni dei giudici, nello stesso settimanale del 27novembre 1962 e quello di L. BASSO, Lo sciopero dei magistrati,nell’« Avanti! » del 28 novembre 1962, osservando il deputato socia-lista che, sull’onda del miracolo economico, viene meno quel vastoserbatoio di disoccupazione intellettuale che ha consentito finora direclutare con una certa facilita il personale della giustizia.

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coscienza del paese. Il prestigio dell’ordine giudizia-rio e per una parte legato alla sua tradizionaleposizione di aristocratico isolamento nel paese, al disopra delle vicende sociali e politiche; non perniente resta ancora attorno ai magistrati, anche neipaesi di piu consolidata democrazia, un minimo diformalismo, di solennita, di rito, di abbigliamentomedioevale. Se la magistratura scende in piazza,tutto questo alone alquanto radicato nell’animo delpopolo viene meno, proprio perche essa si confondea torto o a ragione secondo linee di comportamentoche la gente non ha mai collegato all’idea delgiudice. Questa e la realta, oggi: anche se questonon assolve chi di questo sostanziale degradamentoporta la responsabilita.

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3.I processi e la giustizia

I contrasti e le beghe interne dei giudici, di perse, come ottimamente ha messo in rilievo il presi-dente della repubblica in un recente indirizzo alConsiglio Superiore della Magistratura, non interes-sano il cittadino, al quale esclusivamente preme lapuntualita del servizio giudiziario rispetto alle ne-cessita del paese; sul piano generale, com’e ovvio, icontroversi problemi della definitiva sistemazionedel personale della giustizia sono degni di conside-razione solo in quanto dalla risoluzione dei mede-simi sia lecito attendersi una migliore resa delservizio. Ora non c’e nessuno che ormai contesti lagravissima crisi della giustizia in Italia, il fallimentopressoche completo della giurisdizione penale, lacongenita incapacita in sede civile di provvederecon sufficiente tempestivita alle domande dei citta-dini; e innanzi alla quotidiana, giustificata denuncianon e il caso di sprecare ancora molte parole.Merita invece cercare di prendere in considerazionele cause di questo disservizio che sono complesse emolteplici e anch’esse, grosso modo, ben note al piuvasto pubblico per l’attenzione prestata in questiultimi anni alle cose della giustizia dalla stampad’informazione. Qui pertanto mi limito, pur riba-dendo in genere cose gia di pubblico dominio, a

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mettere in rilievo quanto mi pare di un certointeresse sulla base della mia esperienza.

In primo luogo, l’amministrazione giudiziariasoffre di una grave e deplorevole mancanza di mezziche ne inceppa il funzionamento e ne lede ladignita. Sedi ormai inadeguate, non funzionali espesso fatiscenti, mancanza degli strumenti che oggiil progresso tecnico consente, frequente insuffi-cienza del personale ausiliario, di cancellieri e didattilografi, sono deficienze antiche per un servizioche lo Stato dovrebbe viceversa considerare come ilprimo degno di attenzione proprio perche la Giu-stizia ne costituisce, storicamente e logicamente,l’essenza. Ed e veramente triste in uno Stato che siassume civile doversi occupare di queste cose e chese ne debbano occupare, in particolare, i procura-tori generali nei loro discorsi inaugurali dell’annogiudiziario, ad esempio osservando che e del tuttoinutile che il magistrato depositi in termini la mi-nuta delle sentenze se poi, per la scarsezza deidattilografi, si debbono attendere talora mesi per lacopiatura e quindi per la pubblicazione del provve-dimento (24). Insomma siamo giunti al punto che iconti della serva hanno dignita di problemi nontrascurabili nelle piu solenni occasioni. Cosı, per ilperiodo in cui fui addetto ad un tribunale, non fupossibile assegnarmi un cancelliere o meglio avreidovuto spartirlo con altri due colleghi piu anziani;onde, posto che quel funzionario non aveva il dono

(24) Vd. F. PERFETTI, procuratore gen. della rep., Relazionesull’amministrazione della giustizia in Toscana nel 1961 (assembleagenerale dell’11 gennaio 1962), Firenze, 1962, p. 9.

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della ubiquita, fungevano da verbalizzanti i procu-ratori delle parti, in piena violazione della legge. Edil fenomeno piu ameno e che talora lo Stato prov-vede inviando agli uffici, in serie, cose inutili e nonrichieste; quando ero pretore, ad esempio, taloraarrivavano degli armadi metallici ultramoderni de-stinati a creare un orribile contrasto con i decrepitimobili gia in dotazione; e un bel giorno arrivo ancheun ciclostile veramente superfluo, visto che nell’am-bito del mio ufficio non c’erano circolari da fare ovolantini da distribuire (25)! Ne si accenni, percarita di patria, alla pressoche assoluta mancanza dimezzi di trasporto o alla necessita, per il giudice,eventualmente sprovvisto di proprio automezzo (si-tuazione normale fino a pochi anni or sono), diaccettare l’ospitalita dei difensori.

Nello svolgimento concreto dell’attivita giudi-ziaria, come in tutta l’attivita della pubblica ammi-nistrazione, all’interno e nei rapporti coi cittadini, siavverte assai di frequente il limite odioso, antifun-zionale e antieconomico nonche mortificante delnostro burocraticismo che e retto da un principiodominante anche se inespresso; che cioe non puoaversi alcuna fiducia nella onesta dell’operatore epertanto, per garantirsi da frodi e distorsioni, eposta attorno ad esso tutta una fitta rete di regola-mentazioni, di necessarie autorizzazioni, di controllidefatiganti ed assurdi che implicano appunto, so-vente, la non funzionalita del servizio o talunegravissime distorsioni rispetto alle sue finalita. Tutta

(25) Vd. nello stesso senso la lettera del pretore di Prizzi in« Rassegna dei magistrati », 1964, p. 217.

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una costruzione, quindi, che urta contro il piuelementare buon senso e contro la quale il giovanedeve inevitabilmente battere la testa. Qualche volta,agli inizi della mia attivita di pretore, ritenni, inrelazione a procedimenti penali particolarmentedelicati e nei quali si prospettava a mio avviso lanecessita di riferire con estrema sollecitudine alprocuratore della repubblica o al giudice istruttorerogante, prospettando l’opportunita di adottarecerti provvedimenti, di dover riferire subito allaprocura, distante circa quaranta chilometri, in-viando il plico a mano a mezzo di un carabiniere;una operazione quindi da risolversi in due ore, tral’andata e il ritorno.

Nelle prime occasioni ottenni senz’altro dallocale comando dei carabinieri quanto desideravo;ma poi mi venne spiegato che, a stretto rigore, perpoter disporre questo spostamento di un militareera necessaria l’autorizzazione di un superiore co-mando, se ben ricordo di un colonnello aventeufficio in altra citta assai piu distante: finora ilcomando locale aveva ben volentieri aderito allemie richieste, in quello spirito di collaborazione chee caratteristico, di norma, nei rapporti tra magistratie carabinieri, ma a suo rischio e pericolo, giacche seper tragica disavventura al carabiniere motociclistafosse capitato per strada un incidente, ne sarebberovenute delle grane (forse non tanto per le eventualilesioni alla persona, ma per il danno al veicolo,posto che lo Stato e assai piu geloso dei mezzimeccanici che dell’incolumita del suo personale...).Cosı decisi di non farne piu niente se dovevoprovocare tante complicazioni e preoccupazioni,

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adattandomi per quieto vivere ai normali mezzi dicomunicazione postale, in barba al mio entusiasmodi inquisitore.

Ne le scoperte dovevano finire qui, giacchequasi ogni giorno era, agli inizi, fonte di rivelazione.Appresi che per un giudice e estremamente compli-cato rivolgersi direttamente, per lettera, ad uncittadino per chiedere una qualsiasi cosa; infatti gliuffici giudiziari godono sı della franchigia postale,ma solo nei confronti di determinati corrispondentiche qualche testo minutamente specifica: altrimentibisogna affrancare la lettera e per la registrazionedella relativa spesa si creano certe inevitabili diffi-colta di cancelleria o, per evitarle, il funzionariodeve provvedere in proprio. E cosı, per aggirare ivari ostacoli, la mancanza di franchigia, le difficoltacancellieresche, ci sono altri espedienti senza spesa:o si convoca il cittadino come teste previa notifica-zione a mezzo di ufficiale giudiziario e magari perdirgli che deve tornare con quel certo documento osi scrive al competente comando dei carabinieri,rispetto al quale c’e franchigia, con preghiera diinvitare il cittadino X a consegnare quel certodocumento! E tutto questo giro complicato, fatto aspese del malcapitato cittadino, perche non c’epossibilita di affrancare col minimo dispendio alpari di quanto farebbe nel caso il comune mortale.

C’e poi una norma, recentemente introdotta nelcodice di procedura penale (art. 177-bis), in virtudella quale, dovendosi procedere contro un citta-dino straniero, l’autorita procedente deve dare no-tizia a costui, con lettera raccomandata, della pen-denza del processo con invito a costituirsi se lo

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ritiene opportuno; ebbene non ricordo esattamenteperche, ma il mio cancelliere preferiva addossarsi inproprio la spesa perche il giuoco di farla figurare trale spese di ufficio non valeva la candela; e talvolta,per assicurare una equa ripartizione, provvedevo io.

Lo Stato poi, quando il giudice deve fare unaispezione fuori sede, ad esempio per una ricogni-zione di cadavere, gli riconosce una particolareindennita, per ottenere la quale tanto il giudice cheil cancelliere debbono riempire un modulo nelquale si deve dichiarare, come condizione impre-scindibile, che si e stati fuori dell’ufficio per piu diotto ore, servendosi dei mezzi ordinari di linea.Cosı, per recarmi ad effettuare un accertamento nelvicino paese di X distante circa dieci chilometri, peravere diritto alla indennita di circa lire 1350 noiavremmo dovuto prendere la corriera per portarcidalla cittadina sede di mandamento alla stazioneposta in pianura a circa tre chilometri, salire intreno, scendere dopo tre minuti alla vicina stazioneferroviaria, qui prendere la corriera per salire a Xsulla collina, rifare tutta questa trafila al ritorno eimpiegare almeno otto ore (ma la trafila, mai fortu-natamente subita, avrebbe certo richiesto tre-quattro ore)! Ma nell’epoca supersonica, il giudicenon puo essere costretto ad operare come ai tempidella diligenza; non appena gli giunge la telefonatadei carabinieri, chiama un medico e accompagnatoda questi e dal cancelliere si reca, con la suaautomobile o con quella del medico, dove deveeffettuarsi l’accertamento ed e di nuovo in ufficiodopo due, al massimo tre ore; ma se a questo puntoegli chiede la miserrima somma indicata (recandomi

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nella localita piu remota del mandamento potevoottenere, se ben ricordo, lire 1780), sottoscrivendo ilmodulo nel quale sono inserite tutte le necessarieindicazioni che ho detto, egli commette un falso, purse nella sua coscienza egli si sente del tutto a posto,anche perche in ogni caso la benzina consumata e asuo carico o a carico di altri. E cosı per qualchetempo, io, come tutti i giudici d’Italia, come tutti ipubblici dipendenti, commisi i miei bravi reati difalso; poi, col pieno accordo del cancelliere, decisi dinon piu delinquere, perche mi venne la preoccupa-zione di poter cadere in qualche trappola. Gia,perche c’e anche questo pericolo, che taluno pourcause vada a scoprire queste consuetudinarie maga-gne, questi gravissimi reati per colpire chi da troppofastidio ed e bene togliere di mezzo; e poiche talorale cronache narrano di funzionari che hanno pagatoseveramente la loro sostanziale onesta e la lorocorrettezza per reati di questo tipo, per reati facili-tati o ai quali si e indotti da questa macchinasgangheratissima, io mi risolsi a non mettermi, nellamisura del possibile, nei guai per non dovermiimbattere un giorno in qualche briccone per l’occa-sione nei panni di censore. (Un mio predecessoreebbe delle grane perche un pignolissimo funziona-rio postale scoprı che la corrispondenza della com-missione elettorale mandamentale, presieduta dalpretore, era inviata in franchigia, non prendendo inconsiderazione il relativo regolamento questo orga-no). Ma, malgrado le buone intenzioni, chissaquanti delitti ho io sulla coscienza! Il giudice, peritusperitorum, ha spesso necessita di illuminarsi e diricorrere all’opera dei consulenti tecnici nel proce-

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dimento civile o dei periti nel procedimento penalee lo Stato si guarda bene dal negare che a questiausiliari del magistrato debba essere corrisposto uncompenso; ma lo Stato, come al solito, non si fida ela legge dispone che un perito va compensato inragione di un certo numero di « vacazioni » (pervacazione si intende un periodo di lavoro, una o dueore), ognuna delle quali importa il compenso (milleo duemila lire, ad esempio, in relazione alla quali-fica del perito, laureato o no), ma le vacazioni nonpossono ovviamente superare un certo numeronella giornata. Ne deriva che certi accertamenti,anche essenziali (ad esempio, una sezione cadave-rica con connessi esami), potrebbero compiersi nelgiro di qualche giorno o anche di qualche ora; ma setutto si svolge cosı secondo le effettive necessita, vaa finire che al perito, eventualmente un luminareuniversitario, dovrebbe esse corrisposta una mode-stissima somma, forse meno di quanto il comunecittadino spende per una ordinaria visita speciali-stica. Ed allora, per far sı che il perito abbia un equocompenso in relazione all’effettiva importanza dellasua opera, con una menzogna comunemente prati-cata si fa figurare fittiziamente che e necessarioprolungare le indagini di quel tanto (un mese, duemesi) che puo consentire la corresponsione dellaindennita in misura ragionevole, nel formale ri-spetto della legge; ad esempio, anche quando tuttoe chiaro al termine dell’autopsia, il perito prelevacerte parti del cadavere affermando di doverlesottoporre ad ulteriore esame di laboratorio al finedi poter esaurientemente rispondere ai quesiti postidal giudice, cosı motivandosi la richiesta di una

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concessione di un termine per il deposito dellaperizia (26); sarebbe invero iniquo chiudere a que-sto punto liquidando al perito una somma (ottomilalire, poniamo) che, a parte la qualita dell’intervento,non compenserebbe certo per la mattinata perduta.

(26) Vd. N. REALE e G. TARTAGLIONE, Aspetti e soluzioni dellacrisi della giustizia nel processo penale, relazione all’XI Congressonaz. dei magistrati italiani, Sardegna, settembre 1963, p. 23: « Enotorio che, proprio per questo motivo, in moltissimi casi si accordaun termine assai piu lungo del necessario per perizie che potrebberoessere completate in poche ore o in pochi giorni di intenso lavoro eche alcune volte si dispongono indagini di gabinetto le quali gia inpartenza appaiono inutili e, purtroppo, anche sezioni cadaverichemanifestamente superflue ». Per quanto concerne i periti, poiche esempre piu frequente che il magistrato debba far ricorso alla loroopera, la soluzione ideale sarebbe certamente quella di assumere alledirette dipendenze dello Stato un certo numero di specialisti nellevarie materie (tanti medici legali, tanti ingegneri, etc.) in relazionealle necessita dell’amministrazione giudiziaria, dislocandoli opportu-namente presso i piu importanti uffici partendo dai quali essipotrebbero agevolmente portarsi nelle varie localita della giuri-sdizione secondo le richieste; avremmo in sostanza una sorta di« magistrati tecnici » a disposizione dei giudici con una soluzioneorganica corrispondente ad un bisogno costante ed indefettibile, conmaggiori garanzie di quelle attuali. Ma la soluzione esige perdefinizione che sia reclutato, per ogni disciplina, quanto di megliooffre l’ambiente, considerando che questi magistrati tecnici avreb-bero a che fare con agguerriti consulenti di parte, talora luminariuniversitari; e per il buon reclutamento sarebbe necessario offrire aipossibili candidati un alto trattamento economico competitivo ri-spetto al mercato, un trattamento spesso superiore a quello godutodal magistrato-giurista, posto che, almeno per alcune specializzazioni,il mercato di lavoro « giuridico » e assai piu ampio. E con questo si edetto che la soluzione e nel nostro paese del tutto avveniristica, postoche presumibilmente lo Stato la svolgerebbe in termini tali daassumere solo i falliti delle varie discipline. Ed allora e meglio nonfarne niente, lasciando aperta l’attuale possibilita di richiederel’opera di buoni professionisti, talora onorevolmente attratti dalprestigio che conferisce l’attivita esplicata a fini di giustizia.

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Cosı si perde tempo prezioso e si contribuisce allaesasperante lentezza dei procedimenti, salvo che ilgiudice, anziche richiedere l’opera degli esperti piuqualificati e quindi piu costosi, non ripieghi sullemezze cartucce, cosı perdendosi in attendibilitadelle indagini, direttamente proporzionale all’auto-rita del perito, quello che in ipotesi potrebbe gua-dagnarsi in celerita!

Naturalmente tutte queste situazioni che hoscelto fior da fiore non dipendono, all’origine, da unmero capriccio, ma, come ho accennato, da unaprecisa consapevolezza, che cioe il grado medio dimoralita del nostro cittadino investito di una pub-blica attivita o no, e tale che lo Stato ha le sue buoneragioni per non fidarsi, essendo cosı indotto acautelarsi e quindi a vincolare in limiti ristrettissimile possibili scelte dell’operatore. Allo stato dellecose questo atteggiamento pare pienamente fon-dato. Giunto nel mezzo del cammino della vita,sono pienamente convinto, con tanti, dell’amaraverita che in questo meraviglioso paese, che lanatura ha baciato e che la storia ha caricato di tantipreziosi tesori, il singolo, che pure e in genere tantoindustrioso e solerte nelle sue cose, quasi semprecon una nota di gentile bellezza, e tuttavia in genereun pessimo cittadino; anche la persona di mediamoralita che non concepisce nemmeno l’idea dicomportarsi dolosamente o scorrettamente nellacerchia della sua vita privata e che tiene al suo buonnome nei rapporti sociali, non prova alcun ritegnoall’idea di rubare o di mentire nei rapporti con lapubblica amministrazione, proprio perche, forse peruna tradizione inveterata, non si ha il senso dello

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Stato, non si sente lo Stato come un quid posto indefinitiva a servizio della generalita e colpendo ilquale si colpisce appunto la generalita e, alla lunga,il ben inteso interesse di ciascuno. Ora la menzognaed il ladrocinio sostanziale sono moneta correnteanche per chi e investito di pubbliche funzioni,giacche quando si opera non avendo esclusivo ri-guardo a quanto e indispensabile per il funziona-mento della macchina pubblica, quando si protraeingiustificatamente e fittiziamente il funzionamentodi questa macchina solo per soddisfare il personaleinteresse, nella sostanza si ruba il pubblico denaro.

Rubano, ad esempio, quei numerosissimi galan-tuomini che sono soliti dar per terminate le opera-zioni elettorali del seggio loro affidato dopo loscoccare della mezzanotte del lunedı sol perchequesta protrazione artificiosa consente loro di fruiredella indennita anche per il martedı; rubano queivalentuomini che ad esempio tengono le riunionidella commissione elettorale mandamentale, senzaalcuna giustificazione, nel numero massimo consen-tito dalla legge per arrotondare il pur magro com-penso (e i compensi dello Stato sono talora vera-mente insultanti; quando venni mio malgradonominato presidente della commissione tributariamandamentale, il che mi costrinse ad una certaspesa per fornirmi dei libri indispensabili per rinver-dire le scarse nozioni di diritto tributario nonche adun non scarso lavoro nella preparazione delle se-dute proprio per la mia ignoranza di partenza,scoprii che per ogni ricorso la commissione nel suocomplesso, composta di sette-otto membri, venivacompensata in ragione di circa duecento lire, fermo

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il principio che al presidente doveva essere liqui-dato il doppio di quanto liquidato al semplicecomponente); ruba chiunque attesta il falso a questifini. Lo Stato si muove appunto in questo ambientedi incancrenita immoralita sul piano civico e cercadi reagirvi come puo, moltiplicando gli inutili con-trolli e le formalita necessarie. Ma siamo in uncircolo vizioso, di reciproca sfiducia del cittadino edello Stato, di reciproche ragioni e giustificazioni, iltutto risolvendosi poi nella generale non funziona-lita dell’Amministrazione e nel disagio comune,posto che le regolamentazioni esistenti sono defati-ganti ed inutili ed impediscono il puntuale funzio-namento della macchina, tanto che in certe contin-genze si e sentita la necessita di creare struttureorganizzative ad hoc, agili e snelle perche noninceppate da quei vincoli che pesano sui settoritradizionali, onde in questo ultimo quindicennio evenuta fuori l’amena coesistenza di due pubblicheamministrazioni.

Sennonche, proprio a ragione della antifunzio-nalita del vincolismo burocratico nonche del fattoche esso si e rivelato nella sostanza inutile adassicurare il corretto funzionamento dell’Ammini-strazione specialmente perche resta aperta la possi-bilita, assai larga, che si operi nell’interesse privato,rispettata la lettera della legge, quando si ignorino iprincipi non scritti dell’onesto operare nell’inte-resse pubblico, io propendo a ritenere che sianecessario uscire da questo terribile circolo viziosoper porre coraggiosamente il problema in altritermini. E auspicabile che lo Stato conceda, mal-grado tutto, fiducia ai suoi operatori, che li liberi,

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nell’interesse del servizio, da eccessive pastoie, checonsenta loro di bene operare senza la possibilita diallegare a giustificazione della loro inerzia o inetti-tudine ostacoli di sorta. Solo che si dovrebbe essereesemplarmente severi verso chi venga per avven-tura pescato con le mani nel sacco e non esitareinnanzi alle piu gravi forme di repressione, anche acarattere terroristico (anche il terrore ha talora lasua storica funzione) al fine di stroncare la malapianta (27). Nel contempo c’e da sperare che tuttoconcorra a modificare il costume, pur se bisogneraattendere decenni per apprezzare i primi positivirisultati, con l’incessante appello alla coscienza mo-rale che sara tanto piu efficace, senza apparire vuotaretorica, se sara suffragato dal buon esempio di chispecialmente sta piu in alto, nonche se si consoli-dera la certezza che verso i delinquenti sara dura einesorabile la spada della giustizia.

In sostanza si tratta di saper compiere un saltorivoluzionario nella mentalita di governo, qui comealtrove, ad esempio in materia tributaria, ove attual-mente possiamo registrare lo stesso circolo vizioso

(27) Nel suo testamento (traggo da M. NOVIELLI, La morale diMassarenti, ne « Il Mondo » del 17 agosto 1965), G. MASSARENTI

scrisse: « Nelle scelte del personale, impiegati ecc. per le cooperativee le organizzazioni operaie, bisogna seguire la presente massima cheha servito finora di base a tutte quante le cooperative di consumo edi lavoro di tutto il mondo operaio. Si debbono scegliere le personeo gli uomini come se tutto si dovesse attendere dalle loro qualita eabilita personali; e si deve negli impianti contabili e amministrativicurare il controllo come se gli eletti o prescelti fossero palesementedei ladri ». Ma questa direttiva, se e ottima e praticabile per leiniziative limitate, non puo operare al livello della colossale macchinapubblica, come i fatti dimostrano, specialmente quanto e emerso, peril bene e per il male, in alcuni recenti e clamorosi processi.

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di sfiducia tra lo Stato e il contribuente, circolo chepotra rompersi solo dando credito, in linea dimassima, al secondo, con equa riduzione delleattuali sproporzionate aliquote (che si ritorcono indanno soprattutto dei pubblici dipendenti per iquali e difficile l’evasione), e nel contempo rinun-ciando all’idea assurda ed irrealizzabile di un con-trollo svolto a casaccio in maniera generalizzata,mentre invece sarebbe ben piu proficuo, come pareche avvenga in certi paesi, estrarre a sorte ognianno, per ogni circoscrizione tributaria, un esiguonumero di contribuenti da setacciare fino al cente-simo, punendo chi per avventura risulti in froderispetto a quanto dichiarato, con anni di sacrosantagalera e con la confisca del patrimonio. Nella spe-ranza, appunto, che col tempo il costume vadamigliorando e che scompaia l’attuale radicata con-vinzione che solo i mentecatti compiono il lorodovere e che con un poco di furbizia e possibileeludere le leggi; al pari dell’altra diffusa convin-zione che c’e quasi sempre un prezzo col quale epossibile corrompere il pubblico funzionario, spe-cialmente i componenti di certi corpi appositamenteistituiti, per suprema ironia, per garantire le pubbli-che finanze.

Per quanto mi riguarda, vi sono troppi episodi dipubblico dominio, troppe confidenze amareggiate esicuramente attendibili raccolte nei miei anni dimagistratura, perche non sia indotto a ritenere inuna certa misura vera questa convinzione, tanto chequando ho a che fare con certe persone m’e difficileallontanare l’istintivo sospetto; quando la gentechiacchiera, pur tutto concedendo alla facile esage-

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razione, qualcosa di vero c’e sempre. E anche quibisognera decisamente, con risolutezza e nel con-tempo fidando nell’operabilita a lunga scadenza deirimedi, innovare per ristabilire la fiducia; assicu-rando ai pubblici dipendenti un trattamento ade-guato (ma assumendoli nel numero che le effettivenecessita richiedono e non, come spesso avviene, atitolo assistenziale), tale che possa in ogni caso farritenere colpevole ogni cedimento e nel contemporeagendo con severita contro i corrotti.

Ne sarebbe male adottare qualche risolutivamisura, ad esempio disponendo che il privato citta-dino comunque non risponde, a titolo di concorsocon l’impiegato pubblico, in determinati reati con-tro la pubblica amministrazione, affinche i pubblicidipendenti colpevoli possano essere con una certafacilita messi sul banco degli imputati; che se lasoluzione, empiricamente giustificata per ragioni dipolitica legislativa, puo apparire aberrante sul pianotecnico-giuridico e moralmente ricattatoria, si trattadi un ricatto che giustamente si rovescia sui respon-sabili della situazione; per mio conto ho l’inveterataabitudine di giudicare delle soluzioni legislative nonin base ad astratti principi, ma col metro esclusivodell’utilita sociale ed e socialmente utile cio cheserve al raggiungimento dell’obiettivo meritevole. Enon sarebbe male, ad analogia di quanto e stato direcente disposto nell’Unione Sovietica, istituire unaprocedura per la quale il burocrate o l’ex burocratepossa subire la confisca dei beni, al pari dei suoifamiliari, ove, in relazione al reddito ufficialmentepercepito, vi sia il fondato sospetto che il patrimo-nio derivi da illecita attivita e l’interessato non sia in

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grado di fornire la prova contraria; in sostanza uncontrollo sulle persone forse assai piu efficace del-l’istituto vigente della responsabilita contabile.Nella mia esperienza ricordo, sul piano delle cosequi accennate, una vicenda che mi fu illuminante;avendo avuto la ventura di imbattermi in funzionaridisposti ad andare al fondo delle cose in un certosettore, si faceva, di comune accordo, quanto pa-reva indispensabile, evitandosi intermediari, perfrustrare eventuali fughe di notizie circa la motiva-tamente richiesta e concessa perquisizione; il risul-tato fu che divenne possibile giungere del tuttoinaspettatamente dove si voleva, acciuffando talorala doppia contabilita stringendo senza rimedi ilfrodatore. Cio mi convinse che la vera materiaprima e l’uomo e se l’uomo fa difetto e inutile lalettera della legge cosı come sono inutili i solenniimpegni, mentre l’onesta decisione di avvalersi ditutti gli strumenti concessi dalla legge puo farsuperare le difficolta.

In una occasione, come giudice tutelare, miinteressavo della tutela di un minore rimasto orfanodi genitori di condizioni relativamente agiate,avendo titolo nell’eredita un soggetto che si trovavain obiettivo conflitto di interessi col minore; per unaindiscrezione fattami da una persona dabbene ap-presi che vi era in giro una cospicua somma depo-sitata in banca con speciali buoni al portatore e cheera in corso la manovra di occultamento, forseanche a fin di bene e cioe per ragioni fiscali; eracomunque mio dovere ricercare questa somma peracquisirla ad ogni buon conto al patrimonio di chiera affidato alle mie cure e si trattava appunto di

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accertare in primis se questi buoni erano statiemessi, quale numero avevano, etc. Nel corso delleindagini, nelle quali subii con molta bonomia daparte di un funzionario bancario l’affronto per cuiquesti telefono alla direzione centrale della bancaper esserne autorizzato a deporre ormai sciolto dalsegreto bancario..., giunsi ad un punto morto; finchemi venne come una illuminazione: telefonai al di-rettore della filiale, dicendogli che certamente, se sivoleva, io non sarei giunto a capo di niente, il chepero non mi impediva di andare in quella filiale e disoggiornarvi qualche giorno per la perquisizioneche il codice impone al giudice di effettuare perso-nalmente (art. 340 u.c. cod. proc. pen.), col risultatoche io non avrei trovato niente, ma per il miorovistare sarebbero occorse poi giornate di lavoroper rimettere ordine. Dopo dieci minuti ebbi sulmio tavolo i numeri richiesti e dopo poche ore unsignore trepidante, che aveva evidentemente avutonotizia delle indagini in corso, mi consegnava ibuoni.

Se la mancanza di mezzi adeguati, al pari di altregrosse deficienze della sistemazione legislativa delprocesso delle quali diro, spiegano in parte ladisfunzione giudiziaria, e anche vero che in nonindifferente misura vi concorre anche la colpa,talora inescusabile, degli operatori latamente intesi,in particolare per quanto attiene al procedimentopenale. E infatti troppo comodo cercare di mettersial sicuro allegando le carenze del sistema, quandol’esperienza di tutti i giorni comprova anche ilsistematico vizio degli uomini, onde sarebbe moral-mente colpevole il tacerne. In particolare, per sor-

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volare degli aspetti che il pubblico ben conosce, mipare di poter dire che in parte la crisi della giustiziapenale deriva dal fatto che si sono instaurate delleprassi assolutamente praeter legem, cosı appesan-tendosi il servizio con attivita inutili e defatiganti.Ad esempio tutti hanno appreso dalle istituzioni deldiritto processuale penale, che gli ufficiali di poliziagiudiziaria hanno l’obbligo di riferire alla autoritagiudiziaria su quei fatti che, secondo una primasormmaria impressione, possono integrare gli estre-mi di reato. Nella prassi viceversa e incredibilequale sia la mole dei fatti riferiti a prescindere daogni valutazione sia pure approssimativa sul puntodella seria configurabilita di un reato. Cosı, in casodi incidente stradale, il rapporto e di prammatica,non solo quando si sono verificati eventi (morte olesioni) tipici di determinate fattispecie, ma ancorquando tutto si sia risolto nel danneggiamento,colposo, dei veicoli. Non solo, ma si riferisce anchedi qualsiasi lesione accidentale, della massaia ustio-nata per il rovesciamento di una pentola contenenteliquidi in ebollizione, come del contadino investitoda uno sciame di insetti. Lo stesso avviene quandosi tratta di richiedere l’intervento del magistrato peruna ricognizione di cadavere; in pratica e suffi-ciente, almeno nel distretto nel quale ho prestatoattivita (mi consta, infatti, che altrove, ad esempioin Piemonte, l’intervento del magistrato e consuetosolo in ipotesi di fatti rispetto ai quali sia configu-rabile il delitto doloso, mentre per i delitti colposi,in particolare della circolazione stradale, il magi-strato deve tenersi a disposizione per l’eventualitache la polizia voglia chiedere istruzioni), morire in

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una maniera un pochino eccezionale, ad esempiorotolando per le scale o per chiaro proposito sui-cida, perche il pretore debba accorrere; ricordo chenel 1960 fui richiesto per ben trentaquattro accessidi questo tipo, in nessuno di questi episodi trattan-dosi comunque di delitti dolosi, forse perche, comesosteneva il cancelliere, subivano la iettatura del-l’anno bisestile. E evidente che in questa prassi inparte, laddove in ogni caso mancano gli estremi perla configurabilita del reato, chiaramente si esorbitada quanto impone la legge, inutilmente inflazio-nando il numero degli affari pendenti e rendendonecessari i pur sbrigativi provvedimenti di archivia-zione; in parte si eccede, perche se e lodevole che lapolizia e i carabinieri accorrano ovunque si siaverificato un fatto astrattamente riconducibile aduna ipotesi delittuosa anche colposa, anche al fine diassicurare in ipotesi le prove, e assurdo che si debbariferire in ogni caso all’a.g. di quanto si e fatto. Insostanza si comprende che l’intervento della poliziasia quantitativamente piu ampio di quello del giu-dice, proprio al fine di controllare se nei vari fatti visiano o no estremi di reato, ma l’intervento devefunzionare come un primo, pur grossolano, setacciotra i fatti penalmente irrilevanti anche per l’occhiopiu scrupoloso e i fatti rispetto ai quali c’e unminimo per la configurabilita del reato; in teoriasarebbe desiderabile che il rapporto giudiziariofosse inoltrato solo nei casi in cui si ritenga dielevare fin dagli inizi l’accusa a carico di taluno;quanto meno, anche senza formali indicazioni, do-vrebbe comunque seriamente prospettarsi un dub-bio sulla responsabilita. Mi sono chiesto molte volte

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perche questa distorsione si verifichi e ho pensato,ad esempio, ad un eccesso di scrupolo, ad unarelativa ignoranza degli agenti, etc.; in realta misono convinto che questa prassi soprattutto, e certoinconsciamente, deriva dal desiderio della polizia dimettersi in ogni caso a posto: si opera meccanica-mente, si riferisce su tutto quello che si fa, tanto lamatassa sara sbrigata dal giudice; in ogni caso siamoal riparo della possibile accusa di omissione dirapporto. In sostanza e il classico espediente delrinvio di responsabilita, al quale dovrebbe porsi unargine tornando alla corretta applicazione dellalegge, in particolare per quanto concerne le ricogni-zioni di cadavere. Da una parte gli ufficiali di statocivile dovrebbero ricordare che essi hanno obbligodi rapporto al pretore o al procuratore della repub-blica (art. 143 legge sull’ordinamento dello statocivile) quando nell’accertamento della morte rile-vano « qualche indizio di morte dipendente dareato », onde l’obbligo viene meno... quando mancail pur tenue indizio; dall’altra gli ufficiali di poliziagiudiziaria dovrebbero pure ricordare (art. 144stesso testo) che l’intervento del magistrato o deglistessi ufficiali e imposto « quando risultano segni oindizi di morte violenta o vi e ragione di sospettarlaper altre circostanze »: la legge consente loro,quindi, una valutazione discrezionale caso per casocirca la doverosita di provocare l’intervento delmagistrato, proprio perche pone sullo stesso piano,alternativamente, i due interventi ai fini della com-pilazione degli atti di stato civile, onde nell’ampiocalderone delle morti violente si puo omettere dirichiedere il giudice quando difetti assolutamente il

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sospetto di reato o quando si tratti di un reato oggipurtroppo « normale » come negli incidenti stradali,provocandolo viceversa nell’ipotesi dei piu gravidelitti o quando siano necessarie particolari inda-gini.

Ma lo scarico di responsabilita opera anche, inmisura non indifferente, tra i magistrati. In praticanella maggior parte dei procedimenti che oggi ag-gravano il carico giudiziario, in relazione ai fattidella circolazione stradale, il rinvio a giudizio daparte dei magistrati del pubblico ministero e deipretori e pressoche automatico e l’istruttoria, comeautorevolmente si rilevo (28), e praticamente svuo-tata rispetto alla sua funzione che e quella disceverare nella gran massa dei procedimenti quellinei quali, con un minimo di attendibilita, e configu-rabile la responsabilita di taluno, tanto da renderedoveroso l’ulteriore corso del procedimento. Anchequesta distorsione si verifica in parte perche con-sente di scaricarsi da ogni responsabilita, in parteper pigrizia perche e piu sbrigativo, nella prevalenteistruttoria sommaria, formulare un capo d’imputa-

(28) Vd. D. R. PERETTI GRIVA, L’indipendenza del magistrato,cit., p. 712, sia per l’abuso lamentato nel testo sia per un certo abitomentale del pubblico ministero: « Sarebbe poi ammaestrante unastatistica di ricorsi fatti dal pubblico ministero con risultato negativo.Se ne potrebbe dedurre che troppo spesso il pubblico ministero “sidiverte”, per eleganza, o anche qui, per adeguarsi compiacentementeal ritenuto o presunto orientamento dei superiori o del governo, aricorrere contro sentenze che non dovrebbero venire impugnate, perevitare gli inconvenienti gia accennati. C’e in questo eccessivo spiritoaccusatorio una certa assenza di sensibilita, se non senso addiritturadi sadismo, che riduce l’accusatore a strumento automatico di unainumana persecuzione ».

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zione spesso assai generico e sottoscrivere il moduloa stampa col quale si chiede il rinvio a giudizio,piuttosto che provocare motivatamente il proscio-glimento in istruttoria, tanto piu che in questaultima ipotesi c’e il rischio di dover lavorare duevolte, se gli uffici all’uopo competenti vanno incontrario avviso. Ma, cosı superficialmente ope-rando, non ci si rende conto della grave ingiustiziache si arreca al cittadino imputato senza seriaconsistenza; sballata che sia l’accusa, questa intantoesiste ed e fonte di grave preoccupazione; si legitti-mano le aspettative della parte lesa talora famelicao affetta da nevrosi post-traumatica da indennizzo,giacche se ci « crede » il pubblico ministero non sivede perche il privato interessato debba desistere; sicostringe, di norma, a far ricorso all’opera dell’av-vocato che comunque, facile o no che sia il suocompito, vorra percepire il suo onorario, con undanno economico. Ricordo che una volta, per purapigrizia, rinviai a giudizio un tale per lesioni col-pose, essendo pienamente convinto della sua inno-cenza data la macroscopica colpa del leso; poichel’evento, cioe l’entita delle lesioni, era stato piutto-sto grave, avrei dovuto motivare assai dettagliata-mente le ragioni del mio convincimento e quellasera non ne ebbi semplicemente e colposamentevoglia, giustificandomi con molta incoscienza colpensare che « tanto avrei assolto in giudizio », con-vinto inoltre che tutto sarebbe andato de plano,tanto era chiara l’innocenza dell’imputato... Ma alprocesso il leso si costituı parte civile e quando mene resi conto, sentii che non ero riuscito a tratteneresul mio volto l’impressione di un incredulo stupore;

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mi sentii assai colpevole e se mi astenni per rispettoumano dal chiedere le scuse che forse dovevo, capiiquale dramma e quale danno e nel contempo qualeinfondata attesa nell’altra parte avevo provocato e,con quel rimorso nel cuore, cercai per l’avvenire diessere piu serio, utilizzando se necessario lo stru-mento della archiviazione.

Che dire poi di quel frequente andazzo dirinviare a giudizio o di tenere comunque sospesa laprospettiva in questo senso, quando il magistrato,per un deplorevole senso di umanita e di compren-sione verso il povero leso alla condotta del qualedeve attribuirsi l’incidente, cerca, cosı facendo, dispaventare l’imputato e di indurre costui o la suacompagnia di assicurazione a corrispondere qual-cosa alla vittima, pietatis causa? Perche anche que-sto avviene, per uno spirito umanitario del tuttofuori di luogo, poiche non e giusto aggravare di unintervento assistenziale chi e innocente e percheinoltre il richiamo alla disciplina della circolazionenon deve agire a senso unico e perche infine nelprocesso penale il magistrato deve essere unica-mente mosso dall’interesse pubblico. Sotto questoaspetto, in verita, non mi sento pesi sulla coscienza,giacche fui un giudice che nemmeno uno stuolopiangente di povere vedove e di orfani potevascuotere. La parte civile non mi ha mai commosso oindotto ad espedienti per non pregiudicare comun-que gli interessi di parte, concludendo il processopenale in modo da lasciare aperta la possibilita dipromuovere poi il giudizio civile per il risarcimentodei danni o per queste ragioni condannando anchequando era di gran lunga prevalente la colpa del

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leso e minima quella dell’imputato o ricorrendo allaformula pilatesca della insufficienza di prove (29).Piuttosto, nei casi in cui non v’era comunque que-stione per gli interessi della parte lesa, ma dovevaaversi solo riguardo alla pretesa punitiva delloStato, fui, almeno quando ne ebbi piena possibilitacome giudice monocratico, di un orientamento assaielastico, secondo quella che mi pareva la prudentevalutazione delle circostanze: decisamente severofino ad irrogare la pena detentiva quando risultavauna grave, prevalente, inescusabile colpa dell’impu-tato, specialmente se in violazione di precise normedi legge; lassista nei casi, invero assai piu numerosi,nei quali questa gravita doveva escludersi e tuttodoveva attribuirsi a quell’attimo fatale che anche al

(29) Vd. l’autorevole testimonianza di F. PERFETTI, Relazionesull’amministrazione della giustizia, cit., p. 34: « Si e da talunilamentato che il giudice, applicando delle attenuanti, come quellegeneriche, del risarcimento del danno ecc., scenda di frequente moltoal di sotto del minimo. Cio e vero, ma a giustificare questa apparenteeccessiva benevolenza deve rilevarsi che talvolta l’affermazione diresponsabilita dell’imputato e dai giudici fondata piu che su una suaconclamata colpa, sulla necessita di tener conto degli interessi civilidel leso o dei suoi aventi causa che non possono essere tutelati,almeno in sede penale, che attraverso una condanna. Ci sono, infatti,dei casi, non rari, nei quali la responsabilita del guidatore e cosı lieveche quasi sfugge o nei quali l’evento e conseguenza di un macrosco-pico concorso di colpa, da parte della vittima. In molti di questi casiil giudice sarebbe forse tratto ad una maggiore benevolenza verso ilconducente, col conseguente suo pieno proscioglimento, se il dannofosse stato risarcito. Ma poiche questa ipotesi raramente si verifica, ilmagistrato, valutando con maggior rigore le prove, giunge ad unacondanna mite o ad un proscioglimento per insufficienza di provesulla colpa, il che lascia adito al leso di provvedersi in sede civile. Sidira che cio non e del tutto giusto, ma bisogna riconoscere anche chei giudici sono pur essi degli uomini e che summun jus e spesso summainiquitas ».

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piu prudente guidatore capita, magari per la con-corrente colpa del leso (il vero e proprio pirata dellastrada, quello che opera in colpa « con previsione »e un monstrum assai raro). Verificandosi la secondaipotesi, versandosi in materia di reati colposi, di fattinei quali non e in questione la moralita del citta-dino, non era raro il caso che io deliberatamentechiudessi un occhio e ricorressi alla classica assolu-zione per insufficienza di prove.

Ma l’abuso che io feci, stricto jure, della formulapietistica di ripiego, non toglie che io sia risoluta-mente tra i sostenitori della eliminazione dellamedesima, trattandosi di formula che di per se sipresta a tutti gli abusi, a favore e contro l’imputato,e che e gravissima di implicazioni nei procedimentiper reati infamanti rispetto ai quali il cittadino deveessere o condannato o assolto, ma nella secondaipotesi deve poter andare a testa alta, senza uncrisma ufficiale di sospetto. Del resto non vedo inbase a quali principi si giustifichi siffatta formula,perche processualmente e sostanzialmente l’accusao e vittoriosamente provata o non lo e, tertium nondatur; probabilmente ripercorrendo la storia del-l’istituto si troverebbe, sulla scorta dei lavori prepa-ratori, che qui si e voluto il classico espedientetransattivo e buono a tutti gli usi, anche per metterea posto, in certi casi, la coscienza turbata deigiudicanti (penso ai grossi processi indiziari suiquali si e comprensibilmente concentrata l’atten-zione della opinione pubblica e della letteratura,anche se essi costituiscono una parte quantitativa-mente trascurabile dell’esperienza giudiziaria). Piuin generale, nella mia ingenuita, non ho nemmeno

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mai ben capito perche il nostro codice si diletti ditanta varieta di formule assolutorie (il fatto nonsussiste, non ha commesso il fatto, perche il fattonon costituisce reato e, almeno in istruttoria, percheil fatto non e previsto dalla legge come reato);formule che di massima servono solo ad inutilielucubrazioni e determinano nelle camere di consi-glio lunghe diatribe circa i criteri distintivi teoreti-camente tracciabili tra l’una e l’altra formula e circal’individuazione di quella piu esattamente corri-spondente alla valutazione del caso specifico. A mioavviso sarebbe assai piu convincente un sistema nelquale si prevedessero due sole formule terminali nelmerito, quelle in definitiva reali, la condanna el’assoluzione, mentre si potrebbe provvedere altri-menti sul punto dei rapporti tra processo penale eprocesso civile e della preclusione per cosa giudi-cata penale.

E inutile dire che le riferite distorsioni riscon-trabili nella prassi sono tutte cause di molto esuperfluo sovraccarico giudiziario e si traducono ingrave danno per i cittadini presi negli ingranaggi diquesta macchina, come imputati, parti lese e testi.Giacche, senza rendersi conto del grave disagio cheimporta ad un cittadino di media condizione l’ob-bligo di rendere testimonianza (perdita di tempocon tutte le conseguenze sul piano professionale,specialmente quando siano necessari spostamenti alunga distanza; lunghe ore di attesa nei corridoi;minimo rimborso del danno, per tacere di eventualicomplicazioni che rendano necessario il rinvio delprocesso e quindi lo spettro di nuove convocazioni),la citazione avviene automaticamente per tutti co-

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loro che sono stati comunque sentiti nella istruttoriae nelle prime indagini di polizia, senza alcunadelibazione in merito e all’essenzialita della testi-monianza e al profilo pregiudiziale se il teste abbiaveramente qualcosa da dire in merito al processo.Ricordo, ad esempio, taluni processi per bancarottacon la citazione di diecine di persone gia sentite inistruttoria, ivi avendo dichiarato di essersi limitatead inoltrare al fallito una fornitura su semplicerichiesta scritta, non conoscendo costui e nientesapendo delle cause del fallimento. E se e vero cheil cittadino italiano ha anche in questo scarso civi-smo e cerca normalmente di evitare grane, taloraanche deplorevolmente dileguandosi, e anche veroche niente si fa dall’altra parte per superare questoatteggiamento, convincendo che se si disturba lo sifa a ragion veduta, perche la testimonianza e essen-ziale o quanto meno seriamente opportuna, postoche niente piu mortifica ed irrita della impressionedi essere stati richiesti a vuoto, mentre al contrariola consapevolezza di adempiere nel caso specificoad un dovere, che prima di essere giuridico e etico,sprona e convince. In genere puo dirsi che moltopotrebbe farsi, in tutti i sensi, al fine di ridurre pertutti i protagonisti il costo del processo, con unminimo di buona volonta e soprattutto sforzandosidi considerare le cose anche mettendosi nei pannidel cittadino che ha le sue preoccupazioni quoti-diane che debbono essere tenute in adeguata con-siderazione. Cosı ben poco ci vuole a rinviare unprocesso al pomeriggio se nella mattinata, comespesso avviene, qualche difensore e impegnato apresentarsi ad altro ufficio, anche perche l’espe-

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diente e preferibile per tutti al rinvio ad altraudienza; in ogni caso dovrebbe essere posta lamassima cura nel provocare la controcitazione tem-pestiva dei testi e delle parti, non appena si siadisposto per il rinvio del processo. In conclusione sidovrebbe cercare di adottare sempre quanto valgaper ridurre disagi e contrattempi, anche se e diffi-cile, rispetto al processo, soddisfare gli interessi,spesso contrastanti, di tutti coloro la cui partecipa-zione e indispensabile.

Di qui innanzi si entra nel campo in cui vi espesso grave ed inescusabile violazione dei propridoveri, oppure appare discutibile il modo in cuitalora vi si provvede. Sotto quest’ultimo profilo,diro, ad esempio, che nella giurisdizione nella qualeprestavo servizio come pretore vi e l’uso di inviarealla procura della repubblica, di un procedimentopenale definito in udienza, la sola sentenza e allaprocura si decide in merito alla opportunita o no diinterporre gravame su questa sola insufficientebase, giacche non vedo come ci si possa rendereconto della bonta o no di una decisione se non siprende piena cognizione di tutti gli atti, puntual-mente richiesti altrove. E per la vera e propriaviolazione dei doveri di ufficio, e ben noto comemolti giudici siano assai corrivi a non osservarescrupolosamente l’orario fissato per le udienze e peri vari incombenti, determinando un comprensibilemalumore nonche quell’andazzo per cui tutti, avvo-cati in prima linea, mettono nel conto che normal-mente inizia alle dieci quanto e stato fissato per lenove; tanto che in una citta toscana si e coniataquesta efficacissima definizione del tribunale, che

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riporto in quanto penso possa essere di piu ampiaapplicabilita: « il tribunale e quel luogo in cui ilgiudice che arriva per ultimo saluta per le scale ilgiudice che esce per primo ». Io sono per naturaparticolarmente spinto a trovarmi mezz’ora primanel luogo fissato per un appuntamento e per questotrovai irritante che nella « mia » pretura dovessiattendere almeno tre quarti d’ora dopo quella fis-sata prima che spuntasse il piu puntuale dei difen-sori. Le mie ammonizioni caddero nel vuoto epoiche mi si presentava paurosa la prospettiva didover soffrire col mio carattere per questo inconve-niente per molti anni, decisi, come talora convieneper rompere inveterate abitudini, di prendere il toroper le corna; cosı alla quarta o quinta udienza, dateprecise istruzioni al cancelliere, iniziai l’udienza allequindici in punto nel vuoto dell’aula; l’udienza ebbetermine dieci minuti dopo, avendo disposto tantirinvii ex art. 309 cod. proc. civ. e quindi me ne andai:da allora, quando allo scoccare dell’ora entravo inaula, questa era gremita e l’udienza rapidamente siesauriva con reciproco vantaggio di tutti. Perchequesto appunto e in giuoco: il vantaggio comune.Naturalmente la soluzione fu facile quando eropretore solitario di campagna, unico giudice a te-nere udienza in quella localita e a quella determi-nata ora, in una situazione quindi invidiabile. Lecose sono molto piu complicate in un grosso ufficionel quale, come spesso di necessita avviene, piugiudici tengono udienza alla stessa ora; di qui lacorsa affannosa dei procuratori da un giudice all’al-tro in una contingenza che sa molto di assordantemercato, mentre il singolo magistrato deve rasse-

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gnarsi a tenersi a disposizione per un tempo mag-giore, con intervalli tra un « cliente » e l’altro: maproprio qui la puntualita e ancor piu essenziale,perche se tutti i giudici iniziano l’udienza all’orastabilita e la tengono tutti aperta per il tempoopportuno, e possibile, con qualche accorgimento,che i procuratori possano nel complesso accederecon una certa tranquillita a tutti i magistrati, ridu-cendo il ritmo talora ossessivo della corsa affannosada una stanza all’altra.

Ma la situazione piu clamorosa e alquanto dif-fusa e quella per cui molti magistrati hanno lapessima abitudine di non osservare i termini dilegge per il deposito delle sentenze e dei provvedi-menti istruttori; il ritardo di qualche settimana epressoche normale e talora passano diversi mesiperche possa aversi una ordinanza o una sentenza,quando non si arriva a punte veramente patologi-che: ho conosciuto, ad esempio, un magistrato cheaveva organizzato la sua attivita in modo che egliattendeva alla redazione delle sentenze di tuttol’anno nel periodo feriale, depositando tutte lesentenze al ritorno dalle « ferie » e cioe ai primi diottobre, onde chi aveva avuto la sorte della spedi-zione della causa a sentenza in autunno, dovevarassegnatamente attendere il successivo autunno.La situazione e veramente deplorevole in quanto, indefinitiva, testimonia da una parte della organicaincapacita di distribuire razionalmente il propriolavoro e dall’altra del meccanicismo burocratico alquale di norma il magistrato si abbandona nelprocesso civile. Infatti non si deve ritenere, com’eovvio, che il giudice ritardi solo per pigrizia, perche

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si abbandona al dolce far niente; egli lavora, ma inun sistematico ritardo rispetto alle scadenze perche,com’e logico, avendo mancato di diligenza agli inizisi produce come una catena dalla quale e poidifficile districarsi. Si paga pertanto lo scotto dellainiziale pigrizia; poiche, invece di provvedere tem-pestivamente facendo subito quello che puo farsi, sie cominciato con l’assaporare le gioie dell’ozioall’insegna del proverbio spagnolo (Quien trabajaperde tiempo precioso, un motto che vale per molti),rinviando progressivamente all’indomani, ad uncerto punto la mole si accumula ed e impossibiletenervi dietro o rimontare. Ma, come ho detto, lasituazione comprova di una sorta di meccanicismonella conduzione del processo civile, addebitabileall’inerzia e all’assenza del giudice istruttore. Infattiil giudice, dopo la spedizione della causa a sentenza,non e in grado di riferire subito, come dovrebbe, incamera di consiglio, perche in realta non conosce neha mai studiato a fondo la causa, anche se, ironiadella sorte, formalmente l’ha istruita, assumendoanche le prove, ma avvenendo tutto questo a casac-cio, senza rendersi ben conto della situazione. Qui sitoccano le note piu dolenti del processo civile,rispetto al quale e certo che molto e addebitabile,per la tradizionale lentezza, agli avvocati che purhanno in materia la massima disponibilita possibile.Quando andai in tribunale e quivi mi venneroaffidati circa duecentocinquanta processi, ve neerano moltissimi che pendevano da anni senza chein essi si fosse fatto qualcosa; trovai anche qualchecausa iniziata, in primo grado, dieci anni prima,riscontrandosi nel fascicolo, per anni e anni, pagine

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e pagine di verbali di semplice rinvio. Pertanto ilprimo problema, la prima deficienza sta appunto neidifensori che troppo spesso, instaurata la causa,bellamente se ne dimenticano e lasciano trascorreregli anni chiedendo sistematicamente il rinvio, quividominando, in barba ai clienti, le esigenze degne emeno degne di considerazione dei legali che quasitutti, non si comprende perche, scivolano in questopessimo andazzo e sono quindi avvinti in unanaturale rete, vera e propria massoneria, di solida-rieta reciproca: di norma, in sostanza, il rinvio non sinega mai ad un collega, perche « oggi a te, domania me » e non e infrequente che il rinvio sia appuntorichiesto allegando a giustificazione l’impedimentodell’avversario. Il dramma del cittadino che nelprocedimento penale prevalentemente si consumanei corridoi degli uffici giudiziari, e nel processocivile semplicemente spostato, celebrandosi esso, dinorma, nelle lunghe snervanti attese nelle antica-mere dei legali e nella vana, ripetuta sollecitazione;per questo io mi sono fermamente ficcato in testache, allo stato delle cose, uno dei peggiori guai chepuo capitare al cittadino italiano e quello di doversirivolgere ad un giudice o ad un legale, apparendorealisticamente preferibile che si ricerchi altrove,bonariamente, la composizione delle liti anche conqualche rinuncia, non valendo in effetti il giuoco lacandela. Ed in certi limiti… di valore, la soluzione digran lunga preferibile, in termini di tempo e ditranquillita dello spirito, e quella di rinunciaresemplicemente alla pretesa perche, nella miglioredelle ipotesi, nessuno mai compensera su questopiano.

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Chi ha avuto l’inestimabile fortuna di tenersialla larga in tutta la sua vita dalle aule di giustizia,non puo immaginare quanto e con quale intensitaoperi questa solidarieta avvocatesca, giusta il prin-cipio — primo in realta nell’etica professionaleeffettuale — che in primo luogo non debbononegarsi i reciproci favori tipici del dominante lassi-smo, dovendosi in ogni caso dar la prevalenzaall’interesse del collega avversario malgrado l’ur-genza di provvedere per l’interesse del cliente.Naturalmente ci si rende ben conto di questa situa-zione e talora se ne prova il disagio; ricordo chependevano nel mio ufficio una ventina di cause,molte delle quali remote, nelle quali era impegnatouno dei piu illustri avvocati locali e nell’anno emezzo del mio servizio non fu possibile, in nessunadi quelle cause, fare un passo innanzi; un giornovenne a chiedere l’ennesimo rinvio l’avversariodell’illustre professionista, dicendo col sorriso sullelabbra che il collega non era venuto a chiederlo lui,avendone vergogna!

Solidarieta che opera, purtroppo, non solo nelprocesso civile, ma anche in quello penale e ancheladdove e in giuoco la liberta dei cittadini. Ricordoche una volta doveva celebrarsi un processo assaigrave con tre imputati detenuti, due dei quali eranoassistiti da un valente penalista nonche parlamen-tare; all’udienza pervenne una lettera con la qualel’onorevole, impegnato nella capitale nelle tratta-tive per la formazione del governo, chiedeva unrinvio che, essendosi nella imminenza delle festenatalizie e quindi alla chiusura dell’anno giudiziario,avrebbe potuto disporsi solo per la fine di gennaio,

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a prescindere dal fatto che, retorica a parte, sipregiudicava la piu o meno teorica possibilita che gliimputati avevano, in caso di celebrazione del pro-cesso, di tornare liberi e di passare quindi in senoalla famiglia le prossime feste. Il difensore dell’altroimputato dichiaro che non poteva logicamente op-porsi alla richiesta del collega; la situazione eraimbarazzante ed il presidente del collegio apparivavisibilmente preoccupato ed incerto sul da farsi;contribuii a risolvere la questione, suggerendo di-scretamente al presidente, con una certa malignitainvero, di rimettere ai due imputati, privi quellamattina del difensore di fiducia, la scelta tra lacelebrazione immediata del processo con altro di-fensore magari di ufficio o il rinvio in attesa che lecure di governo permettessero all’onorevole difen-sore di provvedere agli interessi dei clienti: i due,per comprensibili ragioni, optarono per la secondaalternativa, l’udienza fu tolta, ma non so con qualestato d’animo i vari protagonisti dell’episodio siaccinsero a consumare l’insperata vacanza, special-mente quelli in manette.

A mio avviso, e questo andazzo avvocatesco chepone, in larga misura, le condizioni che spiegano efavoriscono la diserzione del giudice dai suoi com-piti nel processo civile. Com’e ben noto, l’idealesecondo il codice di procedura civile, specialmentenella sua originaria formulazione malinconicamenteimperniata sui principi chiovendiani di oralita, con-centrazione, speditezza, e quello che il giudice findalle prime battute si impadronisca fino in fondodella causa, ponendosi in grado di avviarla versouna sollecita definizione; e in verita se questo si

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facesse, sotto il pungolo dei difensori come e nellalogica della costruzione, il giudice sarebbe in grado,ad esempio, di rendersi subito conto se vi e unaqualche questione pregiudiziale, di giurisdizione, dicompetenza rilevabile d’ufficio, di procedibilita, ri-correndo la quale, puo disporsi senz’altro la rimis-sione della causa al collegio; oppure potrebbe conaltrettanta sollecitudine disporre per i necessariincombenti istruttori. Ma il pungolo dei difensori,che l’ideale del codice sottintende, generalmentemanca; anche nei tranquilli tribunali di provincianei quali il giudice, a differenza di quanto avvienenei grossi uffici delle grandi citta, non e quasiletteralmente sommerso dal cumulo delle pratiche,il magistrato sa che e perfettamente inutile studiarea fondo la causa sulla base dei primi atti difensivi,perche di norma la semplice pendenza del processonon significa ancora niente in termini di presenterichiesta di puntuale giustizia, posto che, come ed’uso, si andra forse per molto tempo innanzi consemplici rinvii prima che qualcosa di concreto vengarichiesto. In un certo senso non so dare torto aimagistrati, anche perche dispiace a tutti impegnarsia vuoto e magari piu volte, in quanto, nel periodoche corre tra una concreta richiesta e l’altra, lamemoria di norma non regge e c’e il rischio di doverricominciare poi tutto da capo; col solo limite che, inogni caso, dovrebbe darsi una scorsa agli atti inizialiper vedere se per avventura non emerga una que-stione preliminare rilevabile di ufficio e per la qualesia possibile troncare subito la causa.

A dire il vero, l’iniziale presa di possesso dellacausa potrebbe essere utile sotto altro profilo, per

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indurre il giudice, in tutti i casi nei quali questopossa giuridicamente perseguirsi, a convocare leparti e per sentirle liberamente sui fatti di causacome gia prevede l’art. 117 del codice di rito e peresperire il tentativo di conciliazione secondo ladirettiva che gia impone l’art. 185 dello stessocodice. In verita, in una eventuale riforma delcodice o nel quadro di una ennesima codificazione,pare opportuno che si disponga obbligatoriamenteper questa convocazione ai fini di tentare la pacificacomposizione della lite se possibile giuridicamente,ed in ogni caso per l’interrogatorio libero delleparti; l’esperienza infatti mi insegna che un francoconfronto tra i contendenti puo essere estrema-mente utile per mettere in evidenza l’essenzialedella lite, sfrondandola da ogni inutile contesta-zione e acquisendo elementi decisivi sul piano pro-batorio; mentre, se il magistrato vi si mette conimpegno, non e infrequente che possa ottenersil’accordo, soprattutto quando si insista come, con-siderato lo stato della nostra amministrazione giu-diziaria, non convenga realisticamente a nessunadelle parti battere la lunga e defatigante trafilaprocessuale. Tolti i rari casi nei quali le parti sianodotate, per naturale dote o per esperienza, di unacerta agilita mentale per poter considerare la causain termini realistici, come un affare, certamente ilgiudice puo sperare, di massima, nell’accordo solose ha molta flemma e pazienza, consentendo ailitiganti quello sfogo preliminare che e talora psico-logicamente liberatore e utilizzando con molta ac-cortezza ogni spiraglio; non e facile avere i nervi aposto per resistere alla tempesta che talora dura per

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ore, cosı essendo indotti a preferire la soluzione piufacile del non insistere, posto che tutto sommato emeno snervante redigere una sentenza nel silenziodi una stanza. Nella mia attivita di pretore dicampagna spesso cercavo, talora all’ombra dei ci-pressi in occasione di ispezioni, di adoperarmi inquesto senso, in condizioni umane di particolaridifficolta dato il rigido attaccamento delle popola-zioni rurali alle loro ragioni; in genere mantenevouna calma serafica ispiratami dalla considerazioneche, essendo in giuoco un superiore interesse, nonpotevo permettermi il lusso di reazioni personali;talvolta, invece, per il capriccio o per la stanchezzadel momento, assai rapidamente mi adeguavo allasoluzione personalmente piu facile, desistendo dallabonaria interposizione; non di rado i miei tentativiandavano a monte quando pareva raggiunto l’ac-cordo, giacche a questo punto insorgeva in genere laquestione del compenso ai difensori. Ma soprat-tutto, in quell’ambiente rustico, gli sforzi di pacifi-cazione si arenavano per l’intervento delle donneche in genere constatai di una irriducibile, passio-nale aggressivita in contrasto con una certa ragio-nevolezza e remissivita dei loro uomini; e speriamo,ora che il gentil sesso sta entrando anche nel terzopotere, che la funzione attenui nelle donne-giudiciqueste caratteristiche che non sono certo le piuindicate per una professione che richiede per defi-nizione molto signorile distacco dalle spinte emo-tive.

Se si comprende come l’andazzo avvocatescoinduca il magistrato ad ignorare praticamente ilcontenuto dei fascicoli civili, l’ignoranza diventa del

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tutto ingiustificata allorche i difensori chiedono inconcreto qualcosa, l’ammissione di una prova o larimessione della causa al collegio. Purtroppo e assaidiffusa l’abitudine di provvedere con alquanta su-perficialita su queste richieste, eventualmente nellaconfusione della pubblica udienza e sulla base diuna superficiale scorsa degli atti o della mera illu-strazione dell’istanza da parte del difensore, ondenon di rado avviene, ad esempio, che si ammettanoprove superflue o inammissibili o che la causa vengarimessa al collegio quando in effetti non e ancoranello stato che consente la decisione. Al contrarioqueste istanze dovrebbero costituire l’occasione peruna effettiva conoscenza del processo da parte delgiudice e per consentire a questi, nei limiti chel’andazzo posto in essere dai difensori consente, diesplicare la funzione non passiva che il codice glicommette. Per mio conto, mentre ero assai lassistanel periodo anteriore a eventuali richieste proprioperche disdegno di lavorare a vuoto, approfittavo diqueste occasioni in misura adeguata, seguendo ilprezioso consiglio datomi nel periodo di uditoratodal mio illustre istruttore, il quale appunto mi disseche dovevo evitare nella maniera piu assoluta didecidere a caldo in udienza, per eliminare il rischiodi combinare arrosti, riservandomi invece, come diregola, di decidere fuori udienza. Presi questa abi-tudine di riservarmi sempre, rispettando tuttavia iltermine brevissimo che il codice stabilisce per ildeposito dell’ordinanza; l’unica volta che non miriservai parendomi l’istanza del tutto accoglibilesenza ombra di dubbio, la sorte ammonitrice volleche io combinassi un grave errore. Riservatomi,

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leggevo e studiavo attentamente gli atti di causa;per le cause nelle quali si prospettavano questioni didiritto assai complesse o a me ignote, solevo com-piere una pur sommaria ricerca provvisoria in giuri-sprudenza e in dottrina, prendendo appunti in unquadernetto appositamente istituito; provvedevoquindi, a ragion veduta, sulla istanza. Specifica-mente utilizzavo l’ordinanza istruttoria, che e unostrumento formidabile se sagacemente adoperato,per esercitare ampiamente quel potere correttivo equella potesta di indicazione delle lacune istruttorieche il codice concede al giudice istruttore e in piularga misura al pretore; cosı prospettavo la configu-rabilita di determinate questioni, specificavo i criteridistributivi dell’onere della prova nel caso, mentretalora mi e anche avvenuto di segnalare lo jussuperveniens; cercavo insomma di indirizzare i di-fensori nel senso che mi pareva piu pertinente.Naturalmente non era facile esprimersi in questocolloquio coi difensori, anche per la preoccupazionedi non superare i limiti posti ai poteri del giudice eper non dare l’impressione di correre in soccorso diquesta o quella parte; cercavo quindi di mantenereun tono adeguato e credo di aver qualche volta, perquello che scrivevo e soprattutto per quello checercavo di far capire tra le linee, raddrizzato alcunecause. Poiche poi, trattandosi di un sistema dilavoro, seguivo questi criteri sempre con ovviarigorosa imparzialita, veniva meno la preoccupa-zione di apparire in funzione di salvataggio; almassimo i salvataggi sono stati equamente ripartiti!Poiche poi ero solito riservarmi anche sull’istanza dirimessione della causa a sentenza, ad eccezione dei

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casi nei quali gia conoscevo la causa, e perche perdecidere su questa istanza studiavo il fascicolo, eralogico che al momento della spedizione fossi giapadrone della lite o per deciderla o per riferirnesubito in camera di consiglio. Con questi faciliespedienti, avendo evitato poi la pigrizia iniziale,mai una volta, se la memoria non mi inganna, m’eavvenuto di essere in mora (30).

L’osservanza della legge mi fu facilissima nellapiu invidiabile posizione di giudice monocratico cheha la rara fortuna di dipendere solo da se stesso,senza dover fare i conti, per l’adempimento dei suoidoveri, con le abitudini degli altri; scrivevo diretta-mente le sentenze nella prescritta carta bollata e amacchina, risparmiando la cancelleria, giacchequando si e ben studiata la causa e si ha in testal’ordine delle questioni, e facile scrivere cosı digetto (solo due o tre volte mi e accaduto di doverstracciare il foglio, provvedendo a mie spese allasostituzione) ed io non capisco perche, almeno igiovani, non facciano quel piccolo sforzo che enecessario per impadronirsi di questo moderno ecorrente mezzo di scrittura (e di questo rimbrottosempre i giovani laureandi, quando mi dicono chedebbono affidarsi per la stesura della tesi ad undattilografo). Negli uffici collegiali c’e invece menoliberta... funzionale, ma tutto puo superarsi tenendoduro, anche per il giudice che, avendo buone inten-zioni ed essendo nel contempo il piu giovane del

(30) Sulla responsabilita concorrente degli operatori perquanto attiene la crisi dell’amministrazione giudiziaria ha spessevolte messo l’accento G. A. RAFFAELLI, del quale vd. da ultimoDisservizio giudiziario, in « Rassegna dei magistrati », 1964, p. 108.

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collegio e quindi destinato a riferire per ultimo,talvolta ha in camera di consiglio l’ansia di nonfarcela, se sta avvicinandosi il momento fatale in cuila riunione si interrompera data « l’ora tarda ». Inogni caso, comunque si pervenga alla spedizionedella causa a sentenza, e del tutto inammissibile cheil magistrato non adempia al suo elementare doveredi rispettare i termini di legge. Purtroppo e diffusol’andazzo contrario, il giudice riferisce in camera diconsiglio non immediatamente, ma quando se nesente in grado, a settimane e talora a mesi didistanza, e dopo la decisione collegiale passanoaltre settimane o mesi perche si provveda allaredazione della sentenza e ai conseguenti adempi-menti. E l’andazzo e favorito dal fatto che nessunodegli strumenti di pungolo e di controllo sul giudicefunziona. In primo luogo generalmente non funzio-nano i capi degli uffici che non provvedono, comesarebbe loro dovere, a far sı che si osservi la legge.Nel tribunale presso il quale io ebbi la ventura dicompiere il mio periodo di uditorato e che e ancorauno dei pochi tribunali seri, tutto era ottimamentecongegnato in modo da imporre il rispetto deitermini di legge: all’udienza collegiale che si tenevacon una certa non inutile solennita (col tempo misono convinto che, purtroppo, la forma ed il ritopossono rappresentare garanzie sostanziali; quandovedo, nelle sedute di laurea, quale scempio spesso sifa della serieta di questo « esame », senza alcunrispetto per le forme, tutto sovente riducendosi aduno stentato colloquio tra il relatore ed il candidato,disturbato dalle conversazioni che intanto gli altricommissari piu o meno discretamente conducono

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quando non sono in altre faccende affaccendati,offendendo il prestigio dell’istituto e offendendo ilgiovane che bene o male e al termine di un sudatocurriculum, capisco quale importanza abbiano lesolennita formali ed anche i paludamenti esterioridella amministrazione giudiziaria), per ogni causa ilrelatore doveva pur succintamente riferire; termi-nata l’udienza, subito aveva inizio la camera diconsiglio che continuava nel pomeriggio e se neces-sario l’indomani fino alla decisione di tutte le cause,onde il giudice sapeva in anticipo che doveva esserepronto; inoltre il presidente controllava che il depo-sito delle sentenze, sulla redazione delle quali eser-citava anche un non inutile controllo stilistico, av-venisse nei termini.

Ma se vengono meno gli strumenti interni,altrettanto avviene di quelli « esterni ». In teorianon e vero che non ci sia alcun rimedio, che gliavvocati e le parti siano semplicemente costretti atollerare l’inerzia del giudice; c’e, infatti, nel codicedi procedura civile, una norma (art. 55) che con-sente di mettere in mora il giudice con un attoformale e quindi, quando sia inutilmente decorso iltermine di dieci giorni, di agire in giudizio per fardichiarare la responsabilita civile del magistrato.Non so se qualche volta questa precisa previsionenormativa sia stata utilizzata con la formale messain mora del magistrato negligente; comunque noncredo che almeno in questi ultimi ventitre animi visiano stati processi civili instaurati per far affermarela responsabilita civile del giudice: posso dirlo conqualche cognizione di causa, avendo io curato, peruna ben nota rassegna di giurisprudenza al codice,

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la parte nella quale trovasi appunto l’art. 55, senzareperire traccia, nei repertori e nelle riviste, dialcuna pronuncia.

Gli avvocati mugugnano, si sfogano dicendo nona torto nelle private confidenze peste e corna di quelgiudice innanzi al quale in genere riverenti ed osse-quiosi si presentano, ma non reagiscono, semplice-mente perche, com’e umano, temono conseguenzecomplessivamente negative della loro eventuale rea-zione, temono cioe, cosı certo testimoniando di unascarsa stima dei magistrati, che l’azione si ritorca inuna loro minore possibilita di trovare ascolto pressoi decidenti. Temono cioe che possa capitare loro qual-cosa di analogo a quello che in anni assai lontani sidice (ma l’autenticita dell’episodio e dubbia) che ac-cadde ad un ingenuo studente universitario che avevaottenuto l’annullamento dell’esame sostenuto in-nanzi ad un grandissimo maestro del diritto di famauniversale, adducendo che nel caso non si era pro-ceduto innanzi alla commissione di tre esaminatoriprevista dalla legge, tutto essendosi risolto in un col-loquio solitario col docente (e quanti falsi in queiregistri!); ebbene, rinnovandosi l’esame innanzi aduna commissione regolarmente costituita, il presi-dente vi dette inizio con queste parole: « adunqueElla desidera essere bocciato da tre commissari »!Cosı, per intuitive ragioni, oltre alla massoneria « in-terna » dei legali, l’ambiente giudiziario consta, contutto danno dei cittadini, di una piu vasta e complessamassoneria che accumuna in un sol tutto, secondouna deprecabile solidarieta, gli uni e gli altri, giacchenel reciproco deteriore interesse, in genere avvocatonon morde avvocato, cosı come avvocato non morde

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giudice e viceversa. Ma se e comprensibile che inquesta situazione di fondo i rimedi formalmente pre-visti facciano cilecca, e veramente triste che nondebba funzionare nemmeno il controllo che la leggecommette a chi e fuori di questa rete di solidarieta;credo infatti che non si possa registrare casi in cui ilministro per la giustizia abbia esercitato l’azione di-sciplinare nei confronti di magistrati negligenti.

Questa azione e in genere esercitata solo quan-do il magistrato si macchia di fatti veramente gravio quando assuma pubblicamente posizione sui pro-blemi della magistratura con una certa intempe-ranza, ma mai per garantire il corretto funziona-mento del servizio. Per questo le discussioni,accesissime, che si sono fatte a suo tempo sul puntodella attribuzione al ministro di questa facolta o aproposito del mantenimento dei servizi ispettivinell’ambito ministeriale, appaiono ex post, comemolte delle nostre discussioni, meramente astratte evane: il sistema non soffre per queste previsionidella legge, bensı del fatto che esse siano, di mas-sima, rimaste solo previsioni senza svolgimenticoncreti; non e da lamentare che la Costituzioneattribuisca al ministro la titolarita dell’azione disci-plinare, ma al contrario che di questa facolta sifaccia cosı parco uso.

E in definitiva sarebbe sufficiente, per far mu-tare registro, dimostrare di voler agire; basterebbeun caso, adeguatamente pubblicizzato, di un magi-strato deposto per far intendere alla massa, comesuol dirsi in Toscana, l’antifona.

Finora ho detto del modo in cui i magistratiadempiono ai loro obblighi formali, senza valuta-

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zioni di merito in ordine alla bonta o no, per grandilinee, delle decisioni. Ed invero una indagine sif-fatta, un esame di merito della giurisprudenza,oltreche impossibile, esorbita dai limiti di questatestimonianza. Ma c’e un aspetto dell’esercizio inconcreto della giurisdizione a mio avviso tantograve ed imponente che richiede una specifica con-siderazione. Intendo riferirmi al predominante las-sismo in materia penale. Debbo premettere che, perun inguaribile pessimismo sulle qualita morali del-l’uomo medio, sono risolutamente convinto dellafunzione positiva della pena in una ordinata societa,sostanzialmente secondo la concezione che fu tipicadella scuola classica del diritto penale; cosı sonorisolutamente avverso alle diffuse opinioni che ne-gano o sminuiscono questa essenziale funzione,accampando le piu varie giustificazioni scientifiche epiu spesso pseudoscientifiche. Checche si pensi, intermini filosofici, dell’eterno ed irrisolubile pro-blema della liberta e della necessita nell’umanocomportamento e quindi della congruenza o no, suquel piano, del principio di imputabilita, la societaorganizzata proprio per il suo porsi normativa-mente, in termini di regolamentazione dell’operareumano, postula inderogabilmente dal punto di vistaconcettuale, se si vuole in funzione di una esigenzafisiologica interna dell’organismo e del sistema,l’accettazione di codesto essenziale principio, invirtu del quale si assume la possibilita di esigeredall’uomo medio un comportamento doveroso, di-scostandosi dal quale la societa sia arbitra di punire.Mentre rispetto al deficiente sono utilizzabili altristrumenti di salvaguardia sociale (ad esempio, i

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manicomi), all’uomo capace di intendere e di volereviene rivolto un comando assunto per definizionecome esigibile per libera scelta interiore e alleeventuali inosservanze nel sistema si postula chepossa reagirsi punendo, in tal modo difendendo ilcorpo sociale. Di qui la sostanza della pena, inquesta sua imprescindibile ragion d’essere; e se evero che e possibile ed anche auspicabile che lapena adempia o venga utilizzata anche ad altri fini,per ottenere l’emenda del reo e la sua reimmissionenel corpo sociale, e altrettanto vero che questepossono essere solo utilizzazioni secondarie e colla-terali, mentre la misura penale ha la sua giustifica-zione autosufficiente nella esigenza logica dellarepressione intimidatrice e solo in funzione di que-sta sua intrinseca funzione puo essere definita. Lapena cosı risponde, in primis, ad una esigenzaorganica della societa, non vi sarebbe se mancassecodesta esigenza; d’altro canto le eventuali utilizza-zioni secondarie di essa non possono essere spinte alpunto di alterarne la funzione essenziale. Di qui larelativita storica del sistema sanzionatorio e nelsenso che il potere costituito liberamente valutaquali fatti siano in quella determinata epoca tal-mente gravi da dover essere piu o meno severa-mente puniti e nel senso ulteriore che la qualita e laentita della pena sono pure demandate ad unavalutazione discrezionale della necessita storica.

Nell’esperienza concreta poi si dimostra elo-quentemente la funzione della pena, giacche a partele elucubrazioni se per questa via sia possibileottenere l’emenda del reo (rispetto alla funzioneintrinseca della pena la diatriba e inconsistente), e

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comunque dimostrabile che il sistema repressivoserve soprattutto ad avere un minor numero didelinquenti rispetto a quello che naturaliter siavrebbe, posto che la media degli uomini nel deci-dere circa la propria condotta mette nel contoquesta possibile evenienza repressiva e cerca, comee nella realta di tutti i giorni, di evitare il possibilemale.

Basta pensare a quello che accade nei periodi enelle istituzioni nelle quali per le piu varie ragioni, ilsistema repressivo non funziona

La maggioranza degli uomini si comporta incondizioni di normalita sociale, piu o meno corret-tamente ed evita quanto meno di delinquere e seviceversa il sistema repressivo e inceppato, si veri-fica semplicemente l’aumento della delinquenza.Quel cittadino irreprensibile che evita normalmentedi incappare nel codice penale, una volta vestito diuna divisa militare e mandato in territorio nemico,non esita, in condizioni date, a commettere fattigravissimi, ruba, minaccia, violenta, stupra, uccide;quel medesimo cittadino in periodi di caos sociale,di guerra civile, ad esempio come e avvenuto nelnostro paese negli anni tragici che vanno dal 1943 al1946, non esita ad abbandonarsi a vendette private,a uccidere l’odiato nemico personale o colui dalquale subı a torto o a ragione un affronto, adimpadronirsi delle cose di chi proprio per le condi-zioni di emergenza e stato costretto a fuggire e anascondersi; quel giovane di buona famiglia che etanto educato e rispettoso in condizioni normali,non ha ritegno, nei suoi anni universitari, ad abban-donarsi ad atti di violenza e a comportamenti de-

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littuosi nei confronti delle malcapitate matricole.Tutto questo non avviene per uno strano, improv-viso ed occasionale cedimento della coscienza, masemplicemente perche in queste condizioni, idealiper la constatazione di come sonnecchi in generenel fondo dell’uomo « civile » la bestia, l’irreprensi-bile cittadino sa di poterla fare franca, sa che dinorma non incontrera reazioni ne pubbliche neprivate, giacche, ad esempio, l’imberbe mascalzoneuniversitario si guarderebbe bene dal costringere lamatricola a denudarsi o dall’estorcere denaro, nonsolo se sapesse dell’eventualita di poter andare nellepatrie galere come almeno in certe ipotesi dovrebbeavvenire se la polizia e i procuratori della repub-blica applicassero la legge, ma anche se gli siprospettasse l’eventualita che l’oggetto della suaattivita criminale, lungi dal comportarsi da agnellosmarrito, possa mettere in pericolo la sua incolu-mita come avrebbe non dico il diritto, ma l’impegnomorale di fare, posto che e doveroso esigere in noiil rispetto della persona umana; basterebbe anche lacertezza di poter subire nelle pareti domestiche unaadeguata reazione, che sarebbe altrettanto dove-rosa, se innanzi al giovane non si trovasse unsoggetto della stessa stoffa morale un poco piuattempato. Tutto questo dimostra come nell’uomodi media moralita sonnecchi il selvaggio e come solocon estrema fatica, nelle condizioni normali distabilita del corpo sociale, sia contenibile la ten-denza innata; tanto che e sufficiente il perturba-mento di quelle condizioni e la sussistenza diun’area di pratica immunita per ritornare allo stadioprimitivo e per moltiplicare i delinquenti reali. Qui

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sta precisamente la funzione della pena e del si-stema repressivo nel suo complesso, sia quello inmano pubblica sia quello che in certi limiti edemandato ai privati cittadini.

E invero, ai fini della difesa sociale, non bisognalimitarsi a considerare il sistema di irrogazione dellepene ex post, ma il complesso delle reazioni com-plessivamente esperibili nei confronti della delin-quenza, comprese quindi anche quelle che gli agentipubblici ed anche i privati possono beneficamenteutilizzare quando l’attivita criminosa e in corso. Sidice spesso, e a ragione, che e meglio prevenire chereprimere, ad esempio che e auspicabile, in sedecivile, consentire al cittadino la pronta, immediatasalvaguardia del suo diritto innanzi agli attentati incorso di effettuazione o che si minacciano, con iprovvedimenti d’urgenza, anziche rinviare all’esau-rimento, di necessita defatigante, dei rimedi giuri-sdizionali normali che non potranno, per defini-zione, riparare interamente il torto subito se nelfrattempo la lesione ha avuto modo di concretiz-zarsi. Si pone quindi giustamente l’accento sullapreferibilita dei rimedi immediati che consentano distroncare sul nascere l’attivita illecita. Ma non ca-pisco perche di questo sennato criterio non debbafarsi applicazione in materia di repressione dell’at-tivita criminosa, dove e certo che la prospettiva dipoter incontrare una immediata risposta e, per imale intenzionati, assai piu eloquente ostacolo,talvolta, della sanzione successiva.

E in questo ordine di idee che sono assaiperplesso rispetto all’orientamento che pare vadaaffermandosi negli ultimi tempi per quanto attiene

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alla possibilita di azione della polizia nella flagranzadel reato ed anche in occasione di disordini pub-blici, ove e vano richiamare la invidiabile situazionedi certi paesi civilissimi nei quali, se la polizia edisarmata, e anche vero che la media della popola-zione e ad un livello di civismo assai piu elevato. Amio avviso la polizia, naturalmente nei limiti dellostretto necessario e senza esorbitanze, deve averepossibilita di agire in uno scontro diretto contro lacriminalita in azione e le risposte immediate date suquesto terreno devono essere giudicate con moltaragionevolezza; in particolare, anche se mi rendoconto di andare contro corrente e di presentarmicosı in posizione abominevole innanzi all’attuale« illuminata » opinione, deve procedersi assai cau-tamente per quanto attiene all’uso delle armi inqueste contingenze (ed invece oggi si legge di agentiimmediatamente incolpati ed arrestati, quando inogni caso dovrebbe partirsi dalla presunzione, ov-viamente suscettiva di prova contraria, che essiabbiano agito nei limiti del loro mandato ed in statodi necessita). Del resto non c’e in materia alcunsacro principio vincolante, tutto risolvendosi in ter-mini di valutazioni di opportunita; dicasi questo diuna ipotetica norma che autorizzi le forze di poliziaa far uso delle armi contro i delinquenti in fugaperche sorpresi in piena attivita criminosa: quelloche soprattutto conta e la repressione della crimi-nalita, coi mezzi piu efficaci e tempestivi, cio es-sendo semplicemente doveroso da parte della so-cieta organizzata verso se medesima. Tutto il resto,anche se opportuno e desiderabile, e concettual-mente superfluo rispetto alla funzione essenziale del

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sistema repressivo e comunque si pone in altroordine di idee; cosı la utilizzazione di questo sistemaanche ai fini dell’emenda e del reinserimento delsoggetto, costituisce una specie di servizio socialereso a costui dopo il servizio sociale reso allageneralita nel suo complesso, avendo fatto tutto ilpossibile per garantire la sicurezza dei cittadini. Sein materia c’e un principio di diritto che va assolu-tamente osservato, e solo quello della certezza edella predeterminazione delle possibili reazioni; o,se si vuol dire altrimenti, chi si dispone a delinquereha un solo « diritto », quello di sapere esattamentequello che gli puo capitare e a evento criminosoperfezionato e prima, quando ci si abbandona al-l’attivita criminosa.

Sono fermamente convinto che e in ogni casoestremamente deleterio creare nella mente degliagenti dell’ordine, di coloro che spesso, come icarabinieri, prestano con abnegazione la loro operain cambio di un trattamento talora civilmente ab-norme, la convinzione di non poter agire con unacerta tranquillita e sicurezza; guai se un giornofossero costretti a pensare che e preferibile nonagire, non affrontare la criminalita in campo aperto,per evitare spiacevoli conseguenze a loro carico:allora si constaterebbe come la societa sia nelcomplesso disarmata innanzi all’ondata di delin-quenza che cresce in forme adeguate al miracoloeconomico, come da taluni episodi gia oggi risulta.

D’altro canto e nella logica dell’inceppamentodelle forze di polizia che i cittadini, sentendosiormai indifesi, cerchino di tutelarsi con i proprimezzi, come si e potuto constatare in alcuni episodi

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verificatisi nelle grandi citta del nord, determinan-dosi cosı una situazione assai piu pericolosa. Cosıpure sul piano dell’ordine pubblico si e assistito inquesti ultimi tempi a episodi gravissimi, con lateppaglia invasata intenta in occasione di lottesociali a distruggere i beni pubblici e privati, rove-sciando auto, saccheggiando negozi ecc.; episodi chesi sono verificati avendo anche inciso la consapevo-lezza di una minore forza della polizia investita daun’ombra ingiustificata di sospetto e quindi psicolo-gicamente frustrata.

Egualmente dicasi dell’orientamento che paredelinearsi in tema di legittima difesa (31), anche quiessendosi determinato, a prescindere dalla doverosarepressione delle esorbitanze, uno stato d’animo diestrema perplessita nel cittadino comune, il quale sidomanda se per caso, per poter sparare al malvi-vente penetrato nella privata abitazione, sia indi-spensabile chiedere cortesemente a costui se abbiala disponibilita di un’arma nonche l’intenzione diservirsene. Per mio conto, fermo il rispetto dellanorma di legge, ho sempre istintivamente impostatola questione nel suo ordine logico, avendo in primoluogo riguardo alla determinazione di chi perprimo, per la sua iniziativa criminosa, fu all’originedell’episodio, conseguentemente valutando conestrema benevolenza la reazione dell’offeso, pro-prio perche, in linea di massima, chi si difende nonpuo essere messo, moralmente e giuridicamente,

(31) Sul problema che allarma l’opinione pubblica vd. daultimo M. BERUTTI, Quando un galantuomo sorprende i ladri in casa,ne « La Stampa » del 22 agosto 1965.

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sullo stesso piano di chi offende. Ecco perche, nelcomplesso, sono in radicale disaccordo con tuttequelle anime elette che con le loro teorizzazionihanno messo in circolo un orientamento del tuttoinaccettabile sul punto della concezione del sistemapenale e delle sue finalita, assumendo cosı, cultural-mente, una grave responsabilita.

Ne e il caso, infine, di indulgere ad un vagodeterminismo sociale a buon mercato, allegandoappunto le giustificazioni sociali e ambientali dicerte forme di delinquenza, cosı in definitiva offen-dendo la grande maggioranza degli uomini che tirapiu o meno faticosamente la carretta nei limiti e nelrispetto della morale elementare e della legge; ineffetti il tema della delinquenza e della sua scaturi-gine nell’animo umano e assai piu complesso diquanto un certo positivismo spicciolo ritenne sulfinire dell’eta ingenuamente fiduciosa dell’Otto-cento. Proprio quanto avviene oggi, nei paesi e nellesituazioni in cui le pretese cause economico-socialidel delitto sono venute meno sull’onda del cre-scente benessere di massa, costituisce la irrefutabilesmentita di idee false tuttavia e purtroppo correnti;si pensi, in particolare, alla criminalita giovaniledilagante, in forme inusitate di isterismo collettivo,nei paesi « piu sviluppati ». Situazione che apreprospettive paurose circa la possibilita, giustamenteaccarezzata, di ridurre a ragione e a civilta l’uomo,situazione che chiarisce come la molla occasionaledel delitto possa essere la piu varia e scaturire cosıe dall’estrema indigenza e dalla estrema facilitaegualmente abbrutente di appagare bisogni, istinti epassioni, ovunque insomma, per un verso o per

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l’altro, si affoghi nel disordine e venga meno lafunzione, di necessita limitatrice dell’istinto innato,dell’etica; cosa che deve in particolare dirsi dialcune storture correnti in tema di c.d. educazionesessuale (dove, tutto concedendo all’auspicata libe-razione da ogni inibizione (32), resta da stabilire, adesempio, se una volta invecchiato il partner pre-scelto e goduto, si abbia o no diritto, in nome dellaliberazione dal bisogno… in questo campo, adun’altra scelta, cosı come e possibile ai signorottiorientali. Bene osservo Mauriac, a condanna senzaappello della morale trasudante da un famoso ro-manzo britannico, che restava da vedere qualedestino avessero innanzi a loro la nobildonna e ilguardiacaccia quando avrebbero subito entrambi icolpi fatali dell’eta).

Ponendo l’accento sulla necessita di difenderenel modo piu efficace la societa, confesso di averabbandonato molte prevenzioni che erano in meradicate, come avviene a tutti, nella ingenuita enello schematismo illuministico dell’eta giovanile,ad esempio per quanto attiene alla ammissibilitadella pena di morte rispetto alla quale io non riescoa trovare piu nella mia coscienza, certo del tuttoottenebrata, pregiudiziali d’ordine moralistico. An-che per quanto attiene a questa massima sanzione,la questione si pone in termini di mera opportunitasecondo una discrezionale valutazione politica dellegislatore, soprattutto quando esso ritenga di voler

(32) Su un certo irresponsabile utopismo liberatore in materiavd. ad es. W. REICH, La rivoluzione sessuale, Milano, Ed. Feltrinelli,1963.

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reagire, in maniera drastica ed esemplare, nei con-fronti di certe manifestazioni intollerabili della cri-minalita. Resta piuttosto da vedere quali siano, inassoluto e in relazione alle caratteristiche dei tempi,le forme piu efferate di criminalita che meritastroncare col massimo rigore ed in ipotesi anche conla massima sanzione concepibile. A mio avviso, adesempio, e discutibile che sempre ed in ogni casol’omicidio rappresenti il delitto piu grave, rivelatoredi una assoluta asocialita; la gravita di questo delittoderiva dalla entita del bene ch’esso pregiudica, lavita, onde ben si comprende come esso sia statosempre severamente punito; ma il togliere il benesupremo della vita non e sempre e di necessital’espressione di una natura congenitamente crimi-nale. Spesso, come si rivela eloquentemente nellereazioni abnormi con le quali talora tragicamente siconcludono i diverbi caratteristici della circolazionestradale, l’omicidio costituisce l’espressione tipica diuna natura profondamente malata, minata da unosquilibrio interiore dell’inconscio che si scatena nelcontesto emotivo suscitatosi quando la guida delveicolo e intesa in senso agonistico; qui veramenteci troviamo, se si vuole, nel terreno d’elezione delpositivismo penale e delle scienze alle quali codestoindirizzo si collega. Altre volte l’azione criminosacontro la vita e la conclusione di una vicenda amarache si e andata svolgendo giorno per giorno perlungo tratto di tempo, talora per larga parte dellavita, e nella quale chi impugna l’arma, quasi per unirresistibile moto liberatore, ha recitato la parte, inconcreto, della vittima angariata; oppure il drammasegna egualmente l’epilogo di un rapporto nel qua-

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le, come spesso avviene nell’ambito della famiglia,lui e lei, individualmente nella norma, sono incap-pati senza rendersi conto dell’impossibilita di con-vivere dato il reciproco carattere e che non si eavuto la forza di rompere in tempo, eventualmenteper non danneggiare i figli. Oppure la spinta omi-cida e la manifestazione improvvisa, agente comevero raptus, di una esasperazione a lungo covata edaccumulata o di un attimo di incontenibile collera.Su questo piano, credo che l’omicidio sia nel noverodi quei pochi reati, identificabili nel segno di pre-sentare la comune nota caratteristica di una mani-festazione di odio o di avversione e di esasperazioneverso altro soggetto, che sono potenzialmente com-missibili dalla stragrande maggioranza degli uomini,ad eccezione di quella esigua minoranza che haavuto da madre natura l’inestimabile dono di poterconservare sempre, in ogni occasione, innanzi aqualsiasi provocazione, i nervi a posto; credo chequasi ogni uomo, piu volte almeno nella sua vita, siastato per questo verso sull’orlo dell’abisso e si siasalvato solo per qualche circostanza fortuita e prov-videnziale, per aver saputo fare una estrema vio-lenza contenitrice sulla forza prorompente dall’in-timo o perche l’altro non ha spinto fino in fondo laprovocazione o perche un terzo e intervenuto... Sefosse quindi veramente possibile adoperare, nellavalutazione dei comportamenti umani, un metroesclusivamente subiettivo avendo riguardo al signi-ficato criminale dell’atto rispetto alla personalita delsuo autore, prescindendo del tutto dal bene inquestione e dall’entita dell’evento, sarebbe spessopossibile una considerazione benevola dell’omici-

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dio, da considerarsi talora come lo spiacevole infor-tunio occorso ad un soggetto di media moralita peraltri aspetti incensurabile. E sia ben chiaro che conquesto non intendo minimamente accogliere la con-figurazione tradizionale del delitto c.d. d’onore cheal contrario, nell’ordine di idee qui prospettato, puoessere diversamente considerato; ci puo essere ildelitto di onore che e effettivamente la conseguenzadi un raptus incontenibile nella constatazione emo-tiva di una situazione che e prepotentemente sentitacome un atroce insulto e c’e invece, molto spesso, ildelitto d’onore in realta commesso a freddo, senzaalcuna seria commozione e senza improvvisa rot-tura dell’equilibrio psichico, ma semplicementeperche la morale corrente ed il rispetto umanocomandano che in quelle contingenze si uccidaspecialmente in quelle nostre regioni nelle quali,mentre si e in genere di una assoluta amoralitacostituzionale, ad esempio sul piano dei rapporticon la cosa pubblica (tanto che qui domina l’impe-rativo di non essere fessi in barba alla legge efidando nella solidarieta degli « amici »), l’onoreessenzialmente consiste non in quello di cui si puoessere chiamati a rispondere legittimamente, ma inquello che un parente fa nella vita intima (quasi cheper siffatto parente valesse la pena di subire un sologiorno di prigione; ma qui forse mi faccio prendereeccessivamente dallo spirito amaro e beffardo dellamia regione dove assai spesso ci si comporta, insimili contingenze, come recito in un famoso film ilgrande Fernandel e cioe pubblicamente dichiaran-dosi « cornuto di prima classe »). Per questo, se ecomprensibile che finora il legislatore abbia fatto

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largo omaggio ad una insopprimibile realta (il legi-slatore, infatti, non puo mai farsi ispirare da principiassoluti di etica razionalmente posti e svolti, madeve tenere in un certo senso il passo con la moralecorrente, pur ponendosi ad un gradino superiore), efinalmente venuta l’ora che si cancelli nel nostrocodice questo residuo barbarico, sia perche per uncomplesso di circostanze e soprattutto per il rime-scolamento delle genti della patria la mentalita vasia pure lentamente mutando sia perche, a questolivello, l’eventualita di dover subire, malgrado il c.d.onore, decenni di galera puo convincere dell’oppor-tunita di abbandonare l’odiosa regola e di portarecon una certa filosofia certi attributi del resto invi-sibili. Comunque resta ferma in generale la conclu-sione, per me, che proprio il delitto che attenta albene supremo della vita non e sempre, subiettiva-mente, il piu grave.

Di per se stessi gravi ed inescusabili anche sulpiano subiettivo sono viceversa quei fatti e queicomportamenti che in ogni caso non sono l’espres-sione di una incontenibile spinta emotiva, ma ilrisultato di una deliberata, fredda volonta criminosamaturata a tavolino, tutti i delitti che esigono undeliberato proposito delinquenziale, come il furto eancor di piu la truffa, le frodi alimentari, i delittipatrimoniali contro la pubblica amministrazione. Enel novero di questi delitti a freddo, commessi dacoloro che sono i veri delinquenti, il legislatore devespecificatamente prescegliere quelli che, secondouna valutazione adeguata ai tempi, appaiono i piugravi perche piu direttamente rivolti contro le basistesse dell’ordine sociale e perche rivelano un ine-

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scusabile istinto delinquenziale. Ma anche qui, men-tre si deve auspicare un sistema severamente re-pressivo di quei comportamenti criminosi che sonogravi per il pericolo sociale che determinano, inastratto o in concreto (ad esempio, per le rapine amano armata che sempre piu di frequente si verifi-cano in pieno giorno e negli uffici piu affollati, comeforma di criminalita tipica di una societa economi-camente piu evoluta), c’e da procedere ad ulteriorigradazioni, tenendo conto dello scarto che puoregistrarsi, in misura non indifferente, tra il pericolosociale insito nel comportamento dato ed il porsi delmedesimo in termini subiettivi. Il ladro ed il banditoaffrontano consapevolmente il rischio di una imme-diata reazione, comparabile al grado di violenza cheessi sono disposti, eventualmente, ad adoperare; c’ein questo loro delinquere un costo ed una incognita.Ma c’e la delinquenza che viceversa, di per se, nonopera in un contesto nel quale si pone a rischiol’incolumita personale, la delinquenza che agisce, adesempio nei laboratori di certe industrie, magari incamice bianco ed avvalendosi malvagiamente deipiu perfetti ritrovati della scienza o negli ufficiprivati e pubblici giostrando registrazioni e voci eapprofittando della posizione di partenza superioread ogni sospetto; la delinquenza in guanti gialli, perintenderci, la piu subdola e con cio stesso la piuributtante moralmente. E rispetto a queste ultimeforme criminose che si impone oggi, a mio avviso, lapiu severa delle reazioni, onde non troverei affattocontraddittorio un sistema che da una parte nonimplicasse automaticamente la piu grave delle peneper l’omicidio e dall’altra parte questa pena indero-

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gabilmente prevedesse per i sofisticatori in dannodella pubblica salute e per i burocrati delinquenti oper coloro che, ad esempio, hanno per avventuraspeculato in danno dei bambini del popolo biso-gnosi di cure: qui non e possibile alcuna compren-sione, ogni attenuante e colpevole.

Piuttosto, come si e giustamente osservato (33),e da lamentare che il sistema penale odierno, con-siderato nel suo complesso, consideri solo comemisure afflittive riparatrici quelle che incidono sullaliberta personale e sul patrimonio, mentre sarebbepossibile far ricorso ad una piu vasta gamma disanzioni, con una ricca e proporzionata articola-zione. Su questo piano, ad esempio, si potrebberispondere, almeno per la prima volta, a certiepisodi di teppismo giovanile con una certa dose dinerbate date sulla pubblica piazza o con appropriatetosature delle ciniche pulzelle, cosı come in certicasi non sarebbe male far ricorso a campi di lavoroforzato; si potrebbero altresı inventare diversi tipi dipena privativa della liberta personale, con diversegradazioni della sottrazione di questa o quella pos-sibilita, ad esempio per quanto attiene alla possibi-lita di colloquiare e al tipo di alimentazione e alladisponibilita di giornali ecc.; su questa linea l’aggra-vamento qualitativo della pena potrebbe ancheconsentire una riduzione della durata della mede-sima. Assurgendo, in ipotesi, la concreta regola-

(33) Vd. N. REALE e G. TARTAGLIONE, Aspetti e soluzioni dellacrisi della giustizia nel processo penale, cit., p. 13, ove si osserva cheil sistema delle misure penali « si gioverebbe dell’adozione di una piuestesa gamma di sanzioni e di una maggiore elasticita sui criteri discelta e di applicazione delle stesse ».

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mentazione della pena privativa della liberta acriterio distintivo di varie specie di pena, ne ver-rebbe come conseguenza che quello che oggi sirinviene nei regolamenti carcerari in fase attuativadella pena genericamente prevista nel codice pe-nale, in gran parte dovrebbe essere trasfuso nelcodice medesimo che oggi, per l’impostazione ac-colta, e in gran parte muto circa il concreto tratta-mento praticato ai reclusi; e d’altro canto attienealla sostanza del sistema repressivo stabilire nonsolo che si e costretti a soggiornare in certi luoghi,ma determinare anche... il trattamento dei pensio-nati coatti. In ogni caso, mi par chiaro che ilprincipio costituzionale secondo il quale « le penenon possono consistere in trattamenti contrari alsenso di umanita e devono tendere alla rieduca-zione del condannato » (art. 27, terzo comma,Cost.), va inteso logicamente cum grano salis, fermocioe l’ovvio criterio che la pena... e la pena e quindideve far male; il che significa che il trattamentofatto ai condannati deve essere comunque assaiinferiore, sotto tutti i profili, a quello che in media lasorte riserba ai ceti piu diseredati della popolazione,altrimenti essendo privo di significato il sistemarepressivo. In questo senso sarebbe ad esempioassurdo voler introdurre in Italia, in relazione allecondizioni medie della popolazione meno fortu-nata, certi sistemi carcerari modello che hannotrovato attuazione in paesi nei quali le condizionimedie del popolo sono ben piu elevate (34).

(34) Tutto e per definizione relativo rispetto alle condizioni dipartenza. Ed e amaro dover leggere che circa venticinque anni or

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L’esperienza pur scarsa che ho compiuto mi haconvinto nei fatti della esattezza di quanto sonovenuto finora dicendo. E inevitabile che ogni giu-dice abbia una sua « politica giudiziaria », stabiliscanella sua coscienza una diversa valutazione, intermini di relativa gravita, dei comportamenti as-sunti nel sistema come delittuosi, sia per qualcheverso comprensivo verso taluni di essi e viceversadisposto a reagire con maggior rigore verso altri.Anche io ebbi, pertanto, come tutti i giudici d’Italia,una mia scala di valori e di disvalori e quindi unamia valutazione libera, nei limiti della legge, dellagravita dei fatti. Cosı consideravo e considero assaigrave l’emissione di assegni bancari a vuoto e trovaiparticolarmente intollerabile che per molte per-sone, in particolare per numerosi piccoli imprendi-tori aventi scarsa serieta e consistenza spesso aragione di un credito bancario concesso con moltasuperficialita, fosse del tutto normale correre quo-tidianamente sul filo dell’insolvenza ed emetteresistematicamente, quasi professionalmente, assegninon coperti, sovente in pieno accordo col prendi-

sono nell’ambiente dei poveri contadini di Sicilia si consideravainvidiabile la condizione del soldato, almeno in tempo di pace; vd. L.PRETI, Giovinezza, giovinezza, Milano, Ed. Mondadori, 1965, pp.191-192: « La caserma e un palazzo da signori. Mio marito miracconta sempre come stava bene in servizio di leva a Torino.Mangiava carne tutti i giorni e gli davano le sigarette gratis... Glihanno perfino insegnato a leggere e scrivere ». E un illustre criticoletterario che mi onora della Sua amicizia mi disse un giorno come econ quanta commozione E. Lussu gli narro di un povero soldatosardo che, al termine della prima guerra mondiale, smobilitandosil’eroica Brigata Sassari, andava implorando di poter fare per tutta lavita il soldato.

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tore e quindi con reciproca consapevolezza di ope-rare contro l’interesse piu vasto alla serieta dellecontrattazioni. Per questo, in caso di recidiva — eho trattato casi nei quali il modulo normale delcertificato penale non era sufficiente a contenere lalunga filza di condanne alla multa inflitta per questoreato con decreto penale, onde vi era, come per lecambiali, un prolungamento — mi astenevo dal-l’emettere decreto penale, convincendomi la situa-zione che spesso si trovava in definitiva economica-mente conveniente persistere nell’abitudine crimi-nosa se tutto si risolveva nell’eventualita di doverpagare una piccola somma, e portavo a giudiziocontestando la gravita del reato e quindi irrogandola pena detentiva; quando poi gli assegni emessierano assai numerosi in un giro ristretto di tempo,incaricavo i carabinieri di svolgere accurate indaginiin ordine alle circostanze nelle quali si era verificatal’attivita delittuosa e se queste indagini conferma-vano, come di regola avveniva, la sussistenza di unostato d’insolvenza, inviavo gli atti al pubblico mini-stero o al tribunale ai fini della eventuale dichiara-zione di fallimento. Questa mia « politica » ebbecome conseguenza un notevolissimo crollo dei pro-cedimenti per il reato in questione; piu esattamenteda una parte vi fu effettivamente una reale diminu-zione di questi reati e dall’altra, secondo quanto miparve di capire, si rimedio con un facile espediente,facendo figurare sull’assegno un luogo di emissionenon posto nella mia giurisdizione, in modo daradicare artificiosamente la competenza territorialealtrove e per capitare possibilmente in una di quellegrosse preture nelle quali il magistrato, anche per la

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mole di lavoro, non e solito esaminare autonoma-mente ogni singolo caso, avendo disposto che perquesto reato come per tutti quelli nei quali la cosa epossibile si proceda automaticamente per decretopenale. Pertanto di norma capitavano nell’ambitodella mia competenza solo quelle persone che,estranee all’ambiente, erano anche del tutto ignaredella politica giudiziaria del giudice locale! Comun-que ne risultava dimostrato che se tutti i pretoriavessero voluto e potuto seguire un criterio rigori-sta, prospettando ai contravventori l’eventualita diessere condannati alla pena detentiva magari dascontare effettivamente per la mancata concessionedel beneficio della sospensione condizionale dellapena, si sarebbe potuto stroncare in gran parte lacomoda abitudine di certa gente, proprio perche lapena serve soprattutto a far convinta la gran massadella non convenienza del reato.

Per chi come me si muove sulla base di uninguaribile pessimismo per quanto attiene alla iden-tificazione della spinta naturale dell’uomo e per-tanto resta fedele alla concezione classica del dirittopenale, l’aspetto piu conturbante e deplorevoledella nostra giurisprudenza e dato, appunto, dalpredominante lassismo. Ed e veramente ora, perdoveroso civismo, di mettere in guardia l’opinionepubblica che pur giustamente si commuove quandoun ladruncolo di pochi frutti che ha commesso ilfatto sotto la spinta irresistibile del bisogno e con-dannato, sulla base della piu stretta applicazione delcodice, ad una pena visibilmente sproporzionata oquando si mettono in rilievo le singolari implica-zioni di un famoso caso di errore giudiziario per

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quanto attiene alla possibilita di porvi rimedio con ilprocedimento di revisione. In realta il giudice ita-liano si attiene quasi costantemente, nella irroga-zione delle pene, al minimo della previsione edit-tale, senza alcuna preoccupazione di adeguare lapena alla effettiva gravita del reato, spaziando tra ilminimo ed il massimo che il codice prevede; in certitribunali, ad esempio, era quasi di rito, prima dellarecente riforma, che l’affermazione di responsabi-lita per omicidio colposo fosse punita, previa ritualeconcessione delle circostanze attenuanti generiche,con quattro mesi di reclusione a prescindere dallaentita della colpa, fosse essa gravissima, inescusa-bile, derivante in ipotesi dalla violazione di di unaprecisa norma di comportamento oppure lieve etrascurabile, per quel fatale attimo di disattenzioneche puo verificarsi per il guidatore normalmentescrupoloso o perche nel caso concorre una colpamacroscopica della vittima. Con questa sorta dimeccanicismo pietistico si viola sostanzialmentenon solo la legge che formalmente impone (art. 133cod. pen.) di adeguare la pena alla effettiva gravitadel reato, ma il piu elementare sentimento di giu-stizia che esige appunto che chi piu gravemente hacontravvenuto sia piu gravemente punito. E non c’equindi da meravigliarsi se per il giudice italiano nonsolo l’attenersi al minimo e di norma di rigore, ma ealtrettanto corrente la meccanica concessione a tuttidei benefici sol che formalmente sussistano gliestremi di legge, come avviene per la continuazionedel reato, per la concessione delle circostanze atte-nuanti generiche, per i benefici della sospensionecondizionale della pena e della non menzione della

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condanna nel certificato del casellario giudiziario. Epoiche oggi sono di moda le indagini statistiche,credo che sarebbe estremamente interessante con-durre in proposito una indagine accurata, confer-mando con i numeri la verita di quanto affermo; cisi renderebbe conto che nel nostro paese vige unaregolamentazione effettuale dei fatti criminosi assaidiversa da quella che la lettera del codice pareprospettare; c’e un codice reale che e agli antipodirispetto a quelle valutazioni che in concreto la leggeimpone al giudice.

E del resto significativo che di recente si siaaspramente criticata la sentenza pronunciata daltribunale romano nei confronti di Felice Ippolitoper il fatto che quei giudici ritennero discrezional-mente di dover negare all’imputato le attenuantigeneriche, muovendo appunto la critica dalla con-siderazione che un siffatto beneficio, come il mezzosigaro toscano e la croce di cavaliere, non si negaormai a nessuno. Da qui deriva appunto che c’e unoscarto abissale tra le previsioni del codice e leapplicazioni che di norma se ne fanno; quello chenel codice non e fatto automatico, ma e condizio-nato ad una serie di precisi accertamenti demandatialla valutazione discrezionale e non arbitraria delgiudice, e divenuto nella prassi come una singolarespecie di ritualismo pietistico. Ne consegue unasistematica obliterazione dei principi posti dallalegge per ogni istituto, tanto che, ad una rigorosaindagine, ben poche sentenze penali potrebberorestare indenni da censura, poiche anche la motiva-zione sul punto della concessione dei benefici e, ingenere, meramente formale, con formule quasi ste-

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reotipate. Quando mai i giudici, ad esempio, allor-che ritengono che sussista il vincolo della continua-zione tra i vari episodi, si premurano di motivare inordine alla ricorrenza nel caso di quel « medesimodisegno criminoso » che il capoverso dell’art. 81 delcodice richiede? Ma la stessa frettolosita delle mo-tivazioni e la prova eloquente di come il pietismo siaun principio implicito e dominante nella nostragiurisprudenza. Ne i pubblici ministeri si premuranodi reagire a questo meccanicismo, insistendo attiva-mente affinche i benefici di legge siano concessi soloquando in realta ne ricorrono i presupposti o gliimputati ne appaiono veramente meritevoli o af-finche si operi una effettiva gradazione delle pene inrelazione alla diversa gravita dei reati; essi, comeper una strana deformazione professionale che benpoco si addice a chi opera nell’interesse della legge,ritengono doveroso chiedere di norma la condanna,cosı non si premurano a sufficienza dei criteri invalsiper la irrogazione delle pene, accontentandosi co-munque della affermazione della responsabilitaquale ne siano state in concreto le conseguenzetratte dai giudici, quasi sempre interponendo gra-vame solo contro le sentenze di assoluzione e noncontro le sentenze di condanna a ragione dellaesiguita della pena.

Tutta questa situazione non solo viola di per sela legge e l’equita, cioe la giustizia distributiva, ma ein ultima analisi assai scarsamente giustificabile sulpiano della funzionalita, della auspicabile resa dellamacchina repressiva. L’esperienza dimostra che visono assai di frequente situazioni personali irrime-diabilmente non recuperabili, malgrado tutti i ten-

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tativi e gli espedienti; accanto ai cittadini recupera-bili e talora recuperati, a coloro che beneficamentefanno tesoro della lezione appresa nella primaoccasione di contatto con la giustizia, vi sono idelinquenti incalliti, quelli che niente puo disto-gliere dall’idea di persistere nell’attivita criminosa,soggiogati come sono da un demone dal quale nonriescono a liberarsi. Insomma il regno degli uomini,al pari di quello di Dio, presenta accanto a coloroche possono essere ammessi dopo un certo periododi anticamera, i dannati alla perdizione eterna. Lalogica vorrebbe che quando il giudice si imbatte inuna di queste situazioni testimoniate dalla plurimarecidiva, non esitasse a punire non solo in relazionealla obiettiva consistenza del singolo episodio subjudice, ma anche tenendo conto di questa irrecupe-rabilita e quindi della opportunita di mettere ildelinquente, per il periodo massimo che la leggeconsente, in condizioni di non poter piu nuocerealla societa; e la stessa legge che del resto si informaa questo criterio prevedendo l’aggravamento dellapena in caso di recidiva nonche le figure del delin-quente abituale e di quello professionale, pur essedi rarissima applicazione in concreto.

Oltre tutto, anche dal punto di vista egoistico, ilgioco comunemente praticato qui non vale assolu-tamente la candela: se si ha la convinzione chequell’individuo, scontata la pena, tornera a delin-quere, e piu razionale colpire a fondo, allontanandonella misura massima possibile questa eventualita.E invece anche qui si persiste nel falso pietismo;cosı si spiega come spesso il curriculum di certidelinquenti consti di venti, trenta, quaranta con-

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danne, quando il sistema dovrebbe funzionare inmodo che obiettivamente non dovrebbe esservi lapossibilita di giungere a questo punto, semplice-mente perche e ridotta al minimo la possibilita digirare liberamente per il mondo nel quale non si edegni di stare. Ne, acquisita la consapevolezza dellairrecuperabilita, e serio favorire la delinquenza met-tendo in essere le premesse di un piu grave dannocollettivo.

Ho avuto in proposito una esperienza interes-sante. Negli ultimi mesi dell’anno in cui mi furonoaffidiate le funzioni di uditore vicepretore, mi venneaffidato un processo contro un imputato di truffacontinuata in stato di detenzione. Si trattava di ungiovane gia piu volte condannato per truffa, mentretutte le circostanze mi convinsero di avere a che farecon un vero delinquente per tendenza. Risultoinfatti che questo giovane era stato condannato inprecedenza in relazione alla sua attivita di agenteassicurativo; che, malgrado i pessimi precedenti, erastato riassunto dalla stessa compagnia di assicura-zione con un compenso minimo mensile di lireduecentomila (circa dieci anni or sono) poiche ilsoggetto era di una straordinaria capacita negliaffari; che dopo pochi giorni di lavoro, costui prati-camente lo abbandono dandosi di nuovo all’attivitacriminosa per la quale visibilmente provava unaparticolare attrazione: precisamente, impossessatosinella sala di un ente previdenziale di moduli ivi adisposizione del pubblico, truffo una diecina dipoveri artigiani di somme oscillanti tra le cinquantae le centomila lire, qualificandosi a costoro come unfunzionario dell’ente e prospettando la possibilita di

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ricostruire col versamento della somma richiestadeterminate posizioni assicurative al fine di conse-guire poi la pensione. Per questo negai in primoluogo all’imputato la liberta provvisoria che egli michiese facendo leva su un facile sentimentalismo (siera vicini ad una grande festa cristiana, pezzo fortedi certa deteriore retorica avvocatesca) ed esplici-tamente dicendosi spinto alla richiesta perche con-vinto della mia « bonta » testimoniata dal sorriso colquale avevo condotto gli interrogatori, mentre nelsuo precedente soggiorno in quel carcere ne erastato trattenuto dal volto arcigno del collega.Quindi trassi l’imputato a giudizio e ivi gli inflissi, seben ricordo, oltre quattro anni di reclusione. Lasentenza fece scalpore tra i miei cari colleghi dipretura, quasi inorriditi della mia severita; uno dicostoro mi disse che ero cosı severo sol perche nonmi ero reso conto della « terribile » condizione deicarcerati e che mi sarebbe stato salutare un sog-giorno in quei luoghi (35). Cercai di difendermiaffermando che speravo bene che il carcere nonfosse un comodo soggiorno e invitando i mieicolleghi, cosı pietosamente solleciti a mettersi neipanni del povero imputato, a mettersi anche neipanni delle parti lese, giacche quello che mi ha

(35) E purtroppo un siffatto sofisma e assai diffuso: vd. adesempio la strabiliante argomentazione di G. C. PAJETTA in rispostaalla presa di posizione di C. Smuraglia contro l’amnistia, in « Rina-scita » del 27 febbraio 1965: in sostanza per questo uomo politicol’amnistia va comunque bene perche attenua la sofferenza umana...giacche « comunque a stare in carcere sono pur degli uomini e delledonne; se qualcuno uscira qualche mese o qualche anno prima, nonsaro io a dolermene ». E se e cosı, aboliamo senz’altro il codicepenale e torniamo alla legge della giungla!

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sempre colpito e la normale insensibilita dei giudicisu questo piano, quasi che essi non siano chiamatiad operare nell’interesse della massa degli uominiche si mantengono almeno nei limiti della legge eche dalla legge si attendono protezione e tutela (masi narra di un giudice, intelligente, colto e danaroso,il cui inguaribile pietismo subı un crollo allorche gliavvenne di subire nella sua villa un furto). Cinqueanni dopo, una mattina ero di turno all’udienzapenale del tribunale; si doveva in particolare cele-brare un processo assai voluminoso, per diecine difurti di automobili e per altri reati a carico di dueimputati detenuti. Dallo scanno ebbi l’impressionedi aver gia visto uno degli imputati e poco doporavvisai in costui colui che avevo condannato nellecircostanze riferite: mi convinsi cosı che se la miasentenza, certamente riformata in appello, fossestata mantenuta ferma (d’altra parte avevo irrogatoall’incirca meta dei nove anni di reclusione che lalegge prevedeva come massimo per il reato), l’im-putato non avrebbe potuto commettere negli ultimitre anni tanti reati e quella mattina non avremmodovuto sbrigare un processo cosı voluminoso; econfesso di avere un convincimento duro almenoquanto quello dei delinquenti professionali.

Naturalmente la cosa piu importante e quella dicomprendere le ragioni di questo lassismo che e diper se rivelatore di una profonda crisi morale nellasocieta, giacche una giustizia cosı amministrata at-testa, in definitiva, che per un motivo o per l’altronon si crede piu alla sostanziale giustizia delletavole costituite, alla bonta del sistema o non si haquanto meno la forza morale di essere coerenti nel

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darvi svolgimento, tanto che si e negligenti nelgarantire l’efficace tutela del sistema stesso (non acaso tutte le societa puritane, tutte le societa nellequali e in media tenuta ben ferma una tavola divalori, si caratterizzano per il fatto che in esse non siesita a punire talora con la pena capitale; il lassismoe, al contrario, la spia di una societa nella quale lafede e scossa e nella quale circola ovunque e in tuttiun oscuro senso di colpa collettiva). Si e detto (36)che la pieta indiscriminata dei giudici costituirebbeinconsciamente come una specie di rivalsa rispettoai casi nei quali la legge impone di punire fatti deltutto trascurabili con pene esorbitanti e ripugnantiin concreto alla piu elementare equita; ma confessodi non aver ben compreso il succo di questa concet-tosa spiegazione psicologica, anche perche il disagioche il magistrato avverte nell’irrogare pene nonadeguate alla effettiva proporzione del caso nongiustifica affatto la pieta indiscriminata, anzi do-vrebbe indurre ad un maggiore rigore verso i re-sponsabili di fatti piu gravi; quindi l’inevitabilerigore per i piccoli furti in una col lassismo praticatoper i piu gravi fatti quando la legge formalmente loconsenta, rende ancor piu palese la complessivainiquita della esperienza alla quale ci si abbandona.Piuttosto e da ravvisare anche qui una specie dicircolo vizioso tra questo lassismo e le conseguenzeche forse inconsapevolmente il legislatore ne trae,reagendo al primo fenomeno con previsioni edittaliesorbitanti nei minimi, come spesso e avvenuto

(36) Vd. M. RAMAT, Il sabato e l’uomo, ne « Il Mondo » del 23ottobre 1962.

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nella piu recente legislazione speciale. Si pensi, adesempio, alla drastica severita di alcune leggi intema di disciplina del commercio al pubblico e digenuinita dei prodotti messi in commercio; ognipretore ha conosciuto i casi in cui, per una minimadivergenza riscontrata tra la gradazione dichiaratadel vino e quella effettivamente accertata, e statocostretto talora a condannare i titolari di modestis-simi esercizi sperduti nella campagna, pur con laconcessione delle circostanze attenuanti generiche,a pene nell’ordine di duecentocinquanta-trecento-mila lire, aggiungendosi poi la pena accessoria edonerosa della pubblicazione dell’estratto della sen-tenza in due giornali (37), non potendosi talora

(37) La pubblicazione ha evidentemente un senso in quantoafflittiva; di qui la necessita di seguire l’ovvio criterio di farlaeffettuare nei giornali piu diffusi nell’ambiente in cui opera ed econosciuto il condannato. Per questo come pretore io feci rilevare daicarabinieri i dati approssimativi di diffusione dei vari giornali e sullabase di questi dati disponevo per una equa diffusione tra i giornali piudiffusi, tanto che fui in grado di rispondere e soprattutto di convin-cere quel direttore di un giornale di categoria che mi scrisselamentando che da un po’ di tempo aveva registrato un certo calonegli introiti provenienti dalla pretura da me retta. Inoltre, poiche trale quinte appresi del facile giochetto elusivo di far pubblicarel’estratto nella pagina della cronaca locale di una cittadina posta adesempio a duecento chilometri dal luogo delle malefatte, instaurail’uso di specificare in sentenza che la pubblicazione doveva avvenirenel giornale X, « cronaca di Y » o « fuori cronaca ». Ebbene spesso eevidente che taluni magistrati distribuiscono le pubblicazioni a certigiornali « del cuore » che nessuno legge o che nella zona non sonodiffusi invece di orientarsi sulla ben piu diffusa stampa « indipenden-te » e di informazione; ho personalmente registrato anche qualchecaso in cui era visibile l’intento di giovare al condannato, facendo adesempio pubblicare in un quotidiano torinese l’estratto di unasentenza emessa in Calabria a carico di un imputato calabrese. Sitratta di evidenti abusi o piccole porcheriole da segnalare in primo

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concedere nemmeno il beneficio della sospensionecondizionale della pena (38). Ho quindi l’impres-sione che, almeno nella legislazione dell’ultimodecennio, specialmente in quella disposta sotto ilpeso di una opinione pubblica vivamente impressio-nata per certi fatti, il legislatore si sia indotto aporre minimi di pena edittali esorbitanti per argi-nare il lassismo giudiziario, con un risultato cosıveramente sconcertante rispetto a chi per primoporta la responsabilita del prevalente indirizzo;proprio perche in genere il giudice applica il mi-nimo, si e indotti a stabilire questo minimo ad unlivello assai consistente. Se ne deve concludere chela situazione migliore e quella di un sistema nelquale la legge stabilisca le pene in una misura

luogo ai procuratori della repubblica (affinche, impugnando la sen-tenza o il provvedimento sul punto specifico e cosı mettendo allagogna il responsabile, stronchino queste pratiche indubbiamenterare) nonche al competente ministro, titolare dell’azione disciplinare.

(38) Ma spesso una responsabilita penale di questi piccoliesercenti, che in genere acquistano ad esempio il vino dal contadino,va esclusa perche, com’e noto, per l’analisi possono essere adoperatidiversi metodi che danno piccole, del tutto trascurabili divergenze;precisamente alcuni metodi di laboratorio scientificamente piu esatti(metodi densimetrico, ebulliometrico, volumetrico), mentre nel co-mune commercio si fa ricorso al metodo cd. ebulliometrico assai piurapido, ma approssimativo per una trascurabile frazione. In unaoccasione, sulla base degli elementi forniti al pubblico dibattimentoda un difensore che porto seco una serie di trattati scientifici, fuicostretto a farmi una discreta cultura in materia; tanto che successi-vamente quando riscontravo queste infinitesime differenze assolvevoe conservo ancora tra le mie carte un « modello di sentenza assolu-toria... per il vino », modello che feci data la particolare astrusitatecnica delle argomentazioni che mi avrebbe reso assai difficileripetermi di volta in volta a memoria. Certo non mi sarei fatto questacultura, benefica, se non mi fossi imbattuto in un difensore cosızelante.

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adeguata tra un minimo di per se equo per le piutrascurabili violazioni ed un massimo proporzionatoalle piu gravi violazioni e che il giudice quindi facciauso di tutta la gradazione possibile innanzi all’entitavaria degli infiniti casi nel piu rigoroso rispetto diquella direttiva che e implicita nel fatto stesso che lanorma prevede un minimo ed un massimo (39).

(39) Ma la discrezionalita adeguatrice del giudice puo espli-carsi solo quando egli puo operare alla luce del sole, sulla base dielementi incontrovertibili emersi e rispetto ai quali, pur se e sempreumanamente discutibile la valutazione operatane, il magistrato puoadeguatamente motivare circa la sua conclusione. In altri terminil’equita, la giustizia del caso per caso, esige che tutto il processointeriore del convincimento del giudice sia obiettivamente motiva-bile; per questo la sede piu idonea e quella processuale. Laddovequesto non e possibile, nei casi nei quali il giudice non puo averecertezza dei fatti semplicemente affermati e non provati, nellesituazioni nelle quali puo sconfinarsi nel « sentito dire », credo che laspinta interiore sia del tutto all’opposto, rifuggendosi dalla valuta-zione equitativa non motivabile per ricercare invece un metrouniforme, perche quando ci si muove nell’indimostrato l’uniformita el’unico espediente che tranquillizza rispetto alla preoccupazione diarbitrarieta o dell’apparenza dell’arbitrarieta. Questa almeno e statala mia posizione, con concrete implicazioni. Ad esempio, proprio perla mancanza di elementi obiettivi di riferimento e per non cadere nelcapriccio del momento col rischio di prestare il fianco all’accusa difavoritismi, decisi, in materia di graduazione degli sfratti, di adottareun metro uniforme; per questo in una delle prime udienze dichiaraipubblicamente che avevo deciso di assegnare a tutti, poveri e menopoveri, un certo periodo e mi attenni sempre alla regola cosı posta.Una soluzione certo criticabile, ma giustificata dall’impossibilita dimisurare con una pur approssimativa tranquillita la miseria e ilbisogno della gente; una soluzione che ebbe comunque il nontrascurabile vantaggio della certezza in materia: l’inquilino sapevaesattamente quando sarebbe giunto, in ipotesi, l’ufficiale giudiziarioper lo sfratto per regolare di conseguenza il suo affare, alla pari dellocatore. Sarebbe interessante una indagine approfondita ed inconcreto di questa contrastante spinta del giudice all’equita e allalegalita e del loro reciproco giuoco in rapporto alle diverse situazioni.

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A mio avviso le spinte psicologiche di questoorientamento sono di vario ordine. Innanzitutto ecerto che in larga misura i giudici sono indotti allaperniciosa pieta perche convinti che il sistema non eaffatto garante di una effettiva, sostanziale giustizia;quanto meno e questa la spiegazione addotta,perche e pressoche la unica di per se facilmenteconclamabile. E molte cose inducono il giudice aquesta amara conclusione. In primo luogo si con-stata che troppo spesso incorrono nelle maglie dellagiustizia i piccoli diavoli, i cittadini socialmente piusprovveduti, mentre i pesci grossi, coloro che lafortuna ha assistito per censo o per relazioni socialipiu difficilmente vi incappano (40); di qui la spintadel giudice ad essere clemente e a trasformarsitalora, nell’inconscio, nel difensore d’ufficio delpovero malcapitato che non ha, per naturale igno-ranza, la possibilita di parlare, ne ha, per le disagiatecondizioni, i mezzi per pagare chi possa parlare insua vece, secondo una esperienza quotidiana. E poiurta lo spettacolo, cui talora si assiste, dell’imputatoal quale la disponibilita dei mezzi consente diutilizzare tutti gli espedienti legali per sfuggire allagiustizia o per esserne colpito in misura sensibil-mente piu lieve, magari con la scientifica dimostra-zione della seminfermita mentale.

Ma vi sono dei casi nei quali il magistrato avverte che e chiamato nona far giustizia, ma ad applicare la legge come affermo un giudicenordamericano in una famosa proposizione; o meglio vi sono dei casinei quali solo applicando rigidamente la legge si fa giustizia, opiuttosto quel tanto o quel poco di giustizia che e in concretopossibile.

(40) Vd. D. GRECO, Il tempo e la giustizia, cit., p. 17.

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In una societa spesso ancora socialmente iniqua,il servizio della giustizia funziona, per forza di cose,in maniera diversa per i poveri e per i ricchi, per idiseredati e per i protetti, onde il giudice spessoreagisce ristabilendo nei fatti un certo equilibrio. Insecondo luogo il giudice ha la sensazione che certeforme di deliquenza sfuggano in larga misura allagiustizia attraverso i meandri e i misteri di certosottogoverno; quando nelle cronache di tutti i giornidilagano gli scandali e gli episodi di corruzione,quando si ha la sensazione che non vi sia riparo aquesto precipitare nel baratro, quando si ritiene chela situazione sia giunta ad un punto tale che ilventennio dittatoriale puo essere almeno sotto que-sto profilo moralmente riabilitato e che oggi iprofitti di regime siano tali che quelli di alloraappaiono come trascurabili bagatelle, se non altroperche con l’ingente aumento delle occasioni dipresenza pubblica nell’economia e enormementecresciuto il numero di posti che sono attribuiti inquesto contesto, si mina senza scampo la fiducia nelsistema e non credendo ci si abbandona al lassismo.

Talora poi la valutazione di iniquita complessivanon si riduce ad una impressione radicata, magenerica e difficilmente dimostrabile con pezze pre-cise di appoggio, ma e una certezza evidente; bastipensare all’abuso che si e fatto in questo ventenniopostfascista dell’immunita parlamentare. Se chi eassistito da questo privilegio, che ha fatto in largamisura il suo tempo (41), puo delinquere senza

(41) Ed infatti se, a prescindere dal principio dell’impersegui-bilita dei parlamentari per le opinioni espresse e i voti dati nell’eser-

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preoccupazioni di sorta, se vi sono notoriamente ingiro dei parlamentari che hanno dei conti in sospesocon la giustizia senza prospettiva di liquidazione,perche infierire contro chi non ha la ventura diquesto privilegio? Basta ricordare il caso clamorosodi un processo iniziato dodici (!) anni or sono inrelazione all’attivita dei funzionari di un ente isti-tuito per la riscossione delle imposte di consumo,rispetto al quale, discutendosi in Parlamento dellaopportunita o no di concedere l’autorizzazione aprocedere, si e in pratica affermato che non com-mette reato chi si appropria di denaro da destinarealle casse di partito; rispetto a questa vicenda, non sicomprende veramente perche mai i magistrati con-tinuino ad istruire la pratica nei confronti degliimputati non parlamentari, giacche nel caso misembra moralmente di rigore una sola e sempliceconclusione: pronunciare sentenza di non doversiprocedere per inesistenza di reato, perche se iparlamentari sono incensurabili, altrettanto deve

cizio delle loro funzioni, e comprensibile che i rappresentanti delpopolo non possano essere privati della liberta personale o subirealtre misure coattive, non convince, a mio avviso, l’istituto dell’auto-rizzazione a procedere, anche indipendentemente dagli abusi che sene stanno facendo. Infatti se e logico che il terzo potere non possadistrarre in concreto il parlamentare dal suo mandato se non colconsenso dell’organo in cui questo deve essere esplicato, non sicomprende come e perche le camere possano essere arbitre dell’ap-plicabilita del diritto, da esse medesime posto, nei confronti dei loromembri; perche questo privilegio? Per questo l’istituto dovrebbeessere radicalmente eliminato, libere poi le camere di decideresovranamente circa l’utilizzabilita o no dell’opera ulteriore di queiloro componenti che siano per avventura incappati nelle maglie dellagiustizia. Ma la logica vorrebbe che chi pone il diritto (e si pone anchemantenendolo in vigore) ne esiga anche l’applicazione erga omnes.

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dirsi, per il principio di eguaglianza e per elemen-tare equita, per i non parlamentari, in quantoquando un potere abusa delle sue prerogative,all’abuso si deve rispondere come, in tranquillacoscienza, si conviene; mentre in un domani piu omeno lontano ciascuno rispondera per la parte dicompetenza innanzi a quel tribunale della storia cheper fortuna si puo adire senza preclusioni.

In terzo luogo il senso di giustizia e nel magi-strato gravemente ferito dai frequenti provvedi-menti di clemenza che si sono susseguiti in questiultimi anni e a ragione dei quali si puo dire chebisogna averla fatta proprio grossa per essere co-stretti a subire un giorno di galera; l’amnistia,questo istituto medioevale che puo avere in viastraordinaria una utile applicazione in momentieccezionali nella vita del paese, ad esempio perchiudere una pagina dolorosa di guerra civile, ripu-gna di per se al piu elementare sentimento deldiritto ed il giudice avverte una profonda ripu-gnanza a condannare chi ha commesso il fatto ilgiorno x se solo per un capriccio sovrano deveandare indenne da responsabilita chi commise lostesso fatto il giorno precedente. E da auspicare,pertanto, che si desista ormai da questa prassi che eragione non ultima, oltretutto, del sovraccaricogiudiziario, posto che la aspettativa della provviden-ziale amnistia o dell’indulto, che puo sempre ragio-nevolmente coltivarsi, induce a interporre gravamidel tutto infondati nella speranza che nel frattemposopraggiunga il provvedimento di clemenza. Piutto-sto, per eliminare le conseguenze eventualmenteeccessive della applicazione dello stretto diritto o

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per mandare esente da pena chi comunque al di ladella stretta applicazione del diritto positivo neappaia meritevole, conviene far ricorso, caso percaso, alla grazia ne sarebbe male demandare lacompetenza in proposito ad una apposita corte,composta da magistrati e in prevalenza da laici, cosıconsentendosi nel sistema la piu ampia e serenavalutazione equitativa dei casi nei quali essa apparegiustificata nella coscienza comune.

Allo stato, pertanto, molti fattori inducono piu omeno consapevolmente il giudice al pietismo. Ed ioho avuto occasione di incontrare magistrati che nonesitano a proclamare apertamente la propria pre-giudiziale inclinazione pietistica alla quale dannoconcreto svolgimento tutte le volte che si puopervenire con un minimo di decenza alla soluzioneassolutoria. Ma non occorre spendere molte paroleper dimostrare che questo atteggiamento, quale chene sia la giustificazione, e da condannare recisa-mente giacche chi e indotto programmaticamente apieta o per una valutazione specifica della concretasituazione italiana o per l’adesione a piu generaliindirizzi pietistici o « umanitari », indipendente-mente dal buon fondamento o no di queste rispet-tabilissime opinioni, ha il dovere di allontanarsispontaneamente da un ufficio che oramai non e piuil suo.

Ma io non credo che la spinta lassista trovi la suabase nelle motivazioni finora riscontrate o solo inqueste; se tutto finisse qui, dovrebbe riconoscersiche l’atteggiamento dei giudici e in definitiva det-tato da un vivo sentimento della giustizia che e statoprofondamente offeso. Purtroppo la qualita media

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dei giudici italiani non consente di poter affermareche in essi opera, almeno in via esclusiva, questadistorta carica morale; alla base del lassismo c’eanche, in varia combinazione, un altro fattore.Quando ci si attiene programmaticamente al mi-nimo, opera in definitiva, nell’animo del giudice,quella sorta di rinvio di responsabilita che ho gia piuvolte messo in rilievo come un dato costante ditante situazioni nel nostro paese; solo che qui, nonessendovi la possibilita di rinviare la responsabilitaad altri, ci si rifugia dietro il paravento della legge.In sostanza il giudice da una parte e troppo onestoper mandare comunque libero da responsabilital’imputato se la valutazione del caso alla streguadella norma rende imprescindibile l’affermazionedella stessa responsabilita senza possibilita di scap-patoie; dall’altra e troppo timido per agire respon-sabilmente in prima persona, per procedere ad unavalutazione veramente autonoma del caso sul puntodella sua maggiore o minore gravita, irrogandoquindi la pena adeguata; preferisce quindi trince-rarsi dietro quel minimo che la legge inderogabil-mente detta. Esemplificando, se la legge stabilisceche il minimo della pena e per quel certo reato treanni di reclusione ed il giudice irrogasse quattroanni di reclusione, egli si sentirebbe personalmenteresponsabile di questo anno in piu rispetto al mi-nimo, avvertirebbe la cosa come un male personal-mente arrecato quando formalmente la legge loesentava da tanto; cosı e indotto a non portarenell’affare un suo autonomo contributo, preferiscestringersi nelle spalle o allargare le braccia come perdire che la « colpa » non e sua, ma di quell’impac-

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ciante testo di legge che non consentiva di farealtrimenti. Ancora una volta non si e psicologica-niente in grado di sentire l’interesse pubblico comeproprio, non si e in grado di operare in quel sensoattivo e partecipe che la legge richiede, si preferisceridurre al minimo la propria responsabilita in con-creto.

Questo principio del rinvio di responsabilitaopera inavvertitamente sovrano in molta parte dellavoro giudiziario, come in tutta l’attivita dellapubblica amministrazione. Per le stesse ragioni psi-cologiche per le quali il pubblico ministero ingenere evita di procedere d’ufficio come la legge glicomanda, ma attende il rapporto o la denuncia dellapolizia, onde il principio posto nel codice di proce-dura penale e in pratica inoperante (42), il giudice,

(42) Vd. A. DESSIv, Osservazioni in tema di esercizio dell’azionepenale, in « Terzo Potere », settembre-ottobre 1961: « Mi si puoinvero citare qualche caso — eccettuati i procedimenti immediati perdelitti commessi in udienza ed anche in tal caso per l’iniziativa,certamente abnorme, del presidente — in cui il pubblico ministeroabbia proceduto veramente d’ufficio? »; anche per A. PERONACI, Lacrisi della giustizia nell’instaurazione del processo penale, in « LaMagistratura », maggio 1963, il principio per il quale il pubblicoministero deve agire d’ufficio e del tutto platonico, onde una « in-confondibile atmosfera di timore aleggia negli uffici del pubblicoministero »; ad esempio quando i giornali riferiscono di un terremotoin borsa, mai avviene che il p.m. agisca d’ufficio per accertare se sitratta in ipotesi di aggiottaggio. Per questo, come ho gia detto supra,sub nota n. 9, trovo complessivamente benefica la svolta registratasinegli ultimi tempi ad iniziativa della magistratura requirente dellacapitale, malgrado gli attacchi anche vivaci che essa ha subito (vd. adesempio P. BARILE, Il codice di Giannantonio, ne « L’Espresso » del24 gennaio 1965). Ma c’e il dubbio che la svolta sia destinata arientrare presto, se e vero che essa e stata determinata solo per lapresenza di un alto magistrato che nel frattempo e stato promosso

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anche quando la pratica e irrimediabilmente nellesue mani, senza possibilita di rinvii di competenza,rifugge dall’assumersi una parte di responsabilita inproprio. E le giustificazioni formali del lassismosono infinite, come le vie del Signore; talora ancheclassiste nel senso piu deteriore: si legge ad esempioin una sentenza, per altro verso « coraggiosa » intanto grigiore, che « la gravita dei fatti, le modalitadi esecuzione, l’intensita del dolo, sono tutti ele-menti che imporrebbero una pena severa e propor-zionata al male che fu cagionato; la sottrazione digrandi somme di denaro, che dovevano essere im-piegate per lenire le sofferenze degli infermi e persollevare le miserande condizioni igieniche e sani-tarie di un Paese pressocche distrutto, costituisce unfatto talmente biasimevole da meritare una san-zione massiccia. Ma non ritiene il Collegio di infie-rire sui condannati, gia sufficientemente puniti,attesa la loro alta posizione, dall’essere stati a lungoesposti, nel corso del dibattimento e prima, all’in-dagine pubblica del loro operato » (43); insommanon si puo essere cosı severi come si dovrebbegiacche questi poveri imputati altolocati hanno gia asufficienza sofferto per la menomazione del loroprestigio, dal dubbio che prima nella pubblica opi-nione e poi negli uffici di giustizia si e prospettatosulla correttezza della loro azione! Ci sarebbe

(vd. la nota Giannantonio se ne va, ne « L’Espresso » dell’8 agosto1965); e mi auguro che il futuro smentisca questa malinconicaprevisione.

(43) Cosı si e affermato nella sentenza pronunciata per ilfamoso scandalo della penicillina: Trib. Roma 22 dicembre 1961, in« Foro it. », 1962, 2, 77, specificatamente c. 102-103.

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quindi un diverso onore per i grossi pescicani e peri poveri diavoli. Ognuno naturalmente e libero dipensarla come vuole; per mio conto ho semprepraticato in tranquilla coscienza un classismo allarovescia rispetto a quello accolto nella sentenza indiscorso, convinto che proprio i grossi pescicani,proprio coloro che hanno fatto scempio dei lorodoveri di ufficio per interessi personali non sonomai sufficientemente puniti.

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4.Le riforme che urgono

Nella crisi attuale della giustizia incide quindi, innon trascurabile misura, la colpa dei magistrati oper la sistematica violazione degli obblighi cheformalmente la legge pone a loro carico o per ilmodo in cui assolvono nel merito alla loro funzione.Ed e in considerazione di questo che, per fedelta aquel canone morale che impone di fare in primoluogo e senza residui il proprio dovere prima di avertitolo per reclamare alcunche, io ho sempre sentitoin un certo senso tiepidamente la causa della totaleindipendenza dei giudici nei termini che sono con-sueti alla frazione piu estremista della magistraturaassociata e mi posi sempre istintivamente in di-sparte rispetto a questa campagna, come cavallo chefacilmente ombreggia. Cioe, pur sostanzialmenteconcordando in un certo programma, ho sentitosempre un certo disagio a pormi in posizione agita-toria nella misura in cui gli agitatori erano estratti inprevalenza nella cerchia dei diretti interessati, tracoloro che portano, come categoria, una non indif-ferente responsabilita nella crisi; cosı ho sempremesso istintivamente l’accento sulla necessita dimettersi in regola coi propri doveri se si volevacommuovere e trascinare la piu vasta opinionepubblica sulla buona strada. Giacche non c’e dubbio

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che i magistrati potrebbero assai piu decisamenteconvincere della bonta della loro causa, se essisapessero dimostrare gia oggi, con gli strumenti adisposizione, la loro concreta volonta di porsi comepotere garante senza residui della liberta e dei dirittidei cittadini nonche dei capisaldi dell’ordinamentogiuridico (44). E in questo mio atteggiamento,alquanto emotivo invero, non ragionato a tavolino,incise anche la constatazione che molte volte pro-

(44) Gia nell’articolo Il consolidamento della Magistratura -Terzo Potere, pubblicato in « Terzo Potere », marzo-aprile 1963,mettevo in rilievo come la causa della totale indipendenza dellamagistratura fosse scarsamente popolare a ragione del diffuso mal-contento per la crisi dell’amministrazione giudiziaria in parte adde-bitabile anche ai magistrati e dicevo che il paese poteva essereconvinto di questa causa se avesse potuto avvertire gia ora l’operosapresenza del terzo potere: « In verita la gente vuol vedere concreta-mente all’opera questo potere, vuol sapere a cosa esso deve servire,esige che il suo esercizio corrisponda ai suoi bisogni. La generalitanon puo essere interessata ad un determinato assetto istituzionale delpotere se non riesce a vedere un concreto legame funzionale traquesto assetto e le cose che da esso legittimamente ci si puoattendere. In fondo a questo atteggiamento mentale c’e una intui-zione profonda: che le guarentigie che si chiedono non hanno valorese non in quanto servono a conseguire certi obiettivi... questa causameglio si serve con una lotta condotta concretamente giorno pergiorno nel nostro lavoro, dimostrandoci fin d’ora meritevoli di quantochiediamo... Ogni volta che ci facciamo prendere dalla pigrizia, ognivolta che arriviamo in ritardo e facciamo attendere, ogni volta chelasciamo invano trascorrere i termini di legge, non solo violiamo ilnostro dovere, ma portiamo un contributo negativo sul piano dellerivendicazioni istituzionali. C’e nel nostro lavoro una massa di tantepiccole cose che hanno tuttavia una grande importanza, che, som-mate insieme, fanno ambiente e sistema o almeno cosı sono appresedalla generalita. Chi viola i doveri del lavoro quotidiano si assumeuna responsabilita che non e solo individuale; e colpevole su un pianopiu vasto perche col suo comportamento diffonde nel pubblico,indotto sempre a generalizzare, una opinione negativa che colpiscetutto l’ordine ».

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prio coloro che piu si sbracano per la causa dellatotale indipendenza sono quelli che meno sollecita-mente adempiono ai loro doveri. Oggi, proprioperche sono ormai fuori dell’ordine, quel senso didisagio e in me scomparso com’era inevitabile e misento assai piu disposto a patrocinare la causa deigiudici, malgrado i giudici...

Sennonche, prima ancora di esaminare quale sial’assetto che meglio convenga al personale dellagiustizia, e pregiudiziale vedere che cosa la Repub-blica dovrebbe fare, in linea di principio, per risol-vere con riforme strutturali la crisi dell’amministra-zione giudiziaria. Proprio perche l’indipendenza deimagistrati si rivela come uno strumento per otte-nere possibilmente una migliore e piu puntualegiustizia, i problemi dell’ordinamento giudiziarioseguono logicamente quelli strutturali, giacche nonsi deve assicurare l’indipendenza in astratto, mal’indipendenza delle persone nell’ambito di unastruttura ben determinata. Per questo si tratta divedere in primo luogo quali siano le preferibilistrutture della giurisdizione e qui mi permetto diesternare alcune mie riflessioni e proposte, esplici-tamente premettendo che nel formularle prescindodeliberatamente dai profili d’ordine costituzionale.L’attuale Costituzione ipotizza invero una determi-nata strutturazione della giurisdizione, quella tradi-zionale, mentre qui si tratta di accertare quale possaessere in assoluto e a prescindere dalla Costituzioneil miglior assetto, con la conseguenza che, ove siconcordi in ipotesi della necessita di certe riforme equeste siano per avventura ostacolate da un certodisposto della superlegge, si dovrebbe procedere

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alla necessaria previa revisione del testo ostativo.Dopo tutto, proprio perche da una parte la Costi-tuzione accoglie la strutturazione tradizionale edall’altra perche la crisi della giustizia deriva ancheda sistemazioni obiettive insite in quella struttura-zione, e da evitare in linea di principio che il meglioin materia debba essere evitato per una preclusioned’ordine formale. Questo in assoluto, perche qui siesamina la questione a prescindere da ogni consi-derazione d’ordine politico contingente in punto dipossibilita concreta di attuare determinate riformeove esse implichino un procedimento di revisionecostituzionale, non essendo io un uomo politico neessendo questo un pamphlet politico, cioe l’enuncia-zione di un programma possibile di azione attuale insenso politico. Io mi limito a recitare la mia parte,facendo tesoro della mia esperienza.

Mi pare intanto ovvio che lo Stato dovrebbeconsiderare la Giustizia come il primo dei suoiservizi, anzi come l’essenza medesima, irriducibile,immancabile del suo stesso essere; e ovvio, ma noninutile partire da questa pregiudiziale premessanella misura in cui essa, come tutti i sacri principi, esempre ritualmente ricordata, salvo poi ad ignorarlao a frustrarla nei concreti svolgimenti, secondo lasorte che la realta effettuale riserba in genere alleverita elementari. Lo Stato invero si pone in secome ordinamento giuridico, pone una regolamen-tazione per i soggetti, assume l’esclusiva di risolverei loro eventuali contrasti ed in questo atteggiarsicome giudice, esso ha la sua prima giustificazione,onde si fa arbitro e responsabile della pace sociale edella possibilita che ogni vicenda trovi in esso e

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nella sua attivita appagamento e risoluzione. Di quila coessenzialita concettuale dello Stato alla Giusti-zia che non puo essere concepita come un serviziopur importante tra i tanti, ma come il servizio pereccellenza, proprio perche la giurisdizione e o do-vrebbe essere svolgimento in concreto dell’ordina-mento giuridico, dello Stato medesimo normativa-mente considerato, nel passaggio necessario dallaregolamentazione in astratto alla risoluzione inconcreto dei possibili conflitti. Nella misura, quindi,in cui la giurisdizione e ben strutturata e funzio-nante e diventa attuale nella concretezza della vitala presenza dello Stato quale ordinamento giuri-dico, la sua regola si approssima ad identificarsinella misura del possibile con la societa. Al contra-rio ogni deficienza della giurisdizione si traduce inuna piu o meno grave estraneita dello Stato rispettoalla societa, in una illogica imperfezione del suonaturale sviluppo, in una piu o meno incoscienteautomutilazione. Di qui deriva che e di per seinconcepibile una regolamentazione della giuri-sdizione che ne rappresenti un ostacolo sul pianodella massima espansivita possibile dell’ordina-mento; in realta ogni ostacolo che si frapponga allaesperibilita della tutela giurisdizionale e un limiteche lo Stato assurdamente pone a se medesimo.

Purtroppo lo Stato non e raramente alienodall’ostacolare consapevolmente la possibilita diquesta piena espansione tutte le volte che si inducea intorbidare l’essenza della giurisdizione per ilperseguimento di altri suoi concreti interessi equindi la adopera come l’occasione per l’appaga-mento di queste sue diverse finalita... Cio avviene,

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ad esempio, quando lo Stato, come spesso avviene,condiziona la esperibilita della tutela giurisdizionaleal pagamento di certi tributi o balzelli, quando, perprocurarsi un’entrata, rende costoso il processo edimpone l’uso della onerosa carta bollata. A prescin-dere dalla questione di legittimita costituzionale ditalune delle norme in discorso, e evidente che loStato, frapponendo questi ostacoli, non solo operacontro l’esigenza piu elementare dei cittadini che equella di ottenere giustizia, ma opera contro semedesimo, miopemente evirandosi nella sua fun-zione essenziale. Ed invero qui il bene inteso inte-resse dei cittadini e la linea di sviluppo dell’ordina-mento giuridico verso una sempre piu puntualeconcretezza di svolgimenti, costituiscono come ledue facce della medaglia ed e da auspicare che sicessi dal considerare il processo, secondo quantoammonı Calamandrei (45), come una trappola fi-scale, facendone invece uno esclusivo strumento dicivilta.

Nello stesso ordine di idee, proprio per realiz-zare nel processo quei valori civili che sono legatiindissolubilmente all’idea stessa di giudizio, c’e da

(45) Vd. Il processo civile sotto l’incubo fiscale, in « Riv. dir.proc. civ. », 1931, I, 50, e in Studi sul processo civile, vol. III, Padova,1934, p. 75, in particolare pp. 104-105: « E pare strano e pericolosoche lo Stato si rifiuti di giudicare e di adempiere a quello che e il suoufficio piu antico e piu esclusivo, solo perche una delle parti oentrambe siano responsabili di una trasgressione alle disposizionitributarie. E come se nelle operazioni chirurgiche fosse vietato aglioperatori di servirsi di strumenti che non fossero preventivamentebollati dalla finanza; di fronte a un cosı assurdo divieto, il comunebuon senso obietterebbe che le operazioni chirurgiche si fanno persalvare il malato, non per accrescer gli introiti dell’erario ».

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auspicare che lo Stato vi operi nel rispetto assolutodel sentimento elementare del diritto il quale esige-rebbe, ad esempio, che quando un organo pubblicopromuove un procedimento nei confronti del citta-dino, dopo averne eventualmente disposto la carce-razione preventiva, costringendo costui a provve-dere per la sua difesa ed infliggendogli di necessitaaltri gravi danni, all’assoluzione consegua la con-danna dello Stato alla rifusione delle spese proces-suali ed eventualmente al risarcimento dei danni.Sono fermamente convinto che, ben oltre gli angustilimiti entro i quali e oggi ammessa la riparazione aseguito di errori giudiziari veri e propri, la logica el’equita esigono questa conseguenza; la logica pro-cessuale, in primis, perche se lo Stato e parte, dellaparte deve subire gli oneri e le responsabilita;l’equita, giacche non si vede perche, in uno Statocivile, un cittadino dichiarato innocente non possavantare la pretesa di andare indenne, nella misuraumanamente possibile, dalle conseguenze negativedel processo e quanto meno pretendere la rifusionedelle spese processuali. Con una siffatta riforma,purtroppo assai avveniristica, si porrebbe un frenoalla facilita estrema con la quale oggi, quasi mecca-nicamente, si rinvia a giudizio e si risolverebbe nelcontempo, indirettamente, il problema di assicuraread ogni cittadino una adeguata tutela, superandol’attuale lustra della difesa di ufficio. Si stabilirebbela normalita nel processo penale, inducendosi l’or-gano pubblico a promuovere l’azione nei soli casi incui essa pare ragionevolmente fondata; e, scontatoquesto ridimensionamento, non andrebbe certa-

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mente in rovina il bilancio statale per i pochi milioninecessari per provvedere alle spese di giustizia.

Ma e soprattutto essenziale strutturare la giuri-sdizione in termini tali che obiettivamente consen-tano di superare l’attuale crisi, rendendola piuaccessibile, piu pronta, piu sollecita. Di giorno ingiorno diventa sempre piu evidente che al livellodello sviluppo economico e sociale contemporaneo,nell’eta della progressiva industrializzazione e deldinamismo crescente in tutti gli aspetti della vita, lasocieta non puo tollerare il costo di un processo cosılungo e defatigante come quello attuale. La giustiziae oggi in crisi, perche essa giunge, nella miglioredelle ipotesi, con notevole ritardo rispetto allenecessita; di qui lo scadimento gravissimo dellagiurisdizione penale, giacche la definizione del pro-cedimento e l’irrogazione della pena talora a di-stanza di molti anni dai fatti svirilizza il sistemarepressivo in partenza, potendosi la stessa cosaaffermare per la giurisdizione civile, tanto che e deltutto logico il progressivo ricorso dei cittadini aforme extrastatuali di risoluzione delle liti. Si esige,quindi, un sistema estremamente puntuale, senzainutili e defatiganti complicazioni, posto che, nel-l’economia dei rapporti sociali, la rapida definizionedelle liti ha, nel complesso, pari importanza allaperseguita bonta delle decisioni ed e dubbio che unasentenza, supposta esatta e giusta, serva quandosopravviene dopo larghissimo lasso di tempo.

Piu in generale deve dirsi che un sistema giuri-dico e tanto piu preferibile quanto piu esso riducegli ostacoli che si frappongono alla necessaria con-cretizzazione specificante del diritto sostanziale;

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nella misura in cui si moltiplicano le regole dicompetenza e di rito si opera contro l’esigenzaindicata, onde tutto consiglia a ridurre al minimoveramente indispensabile il congegno che consentedi passare dalle regole astratte alla risoluzione deicasi concreti. In conclusione un sistema giuridico etanto piu perfetto quanto piu elimina l’eventualemolteplicita dei giudici e le regole di procedura; allimite costituisce un modello ideale quel sistema cherealizza veramente l’unita della giurisdizione, larisolve in pochissimi gradi e riduce al minimo leformalita. Le procedure latamente intese, quando siesorbita nel porle e congegnarle, sono un male, undiaframma tra il diritto e la vita, qualcosa che vacontenuto, quindi, nei limiti dello strettamente ne-cessario, giacche ogni volta che una lite trova la suasoluzione non gia nel merito, ma per un vizio dicompetenza o di procedura, la causa puo esseredefinita, ma la giustizia e elusa. In questo ordine diidee sarebbe opportuno un generale ripensamentodel nostro sistema per accertare, ad esempio, severamente sia indispensabile mantenere l’attualedistinzione tra la giurisdizione ordinaria e quellaamministrativa, proprio perche solo l’indispensabi-lita giustifica. Ed ovviamente mi astengo dal colti-vare questo filone, giacche esso richiederebbe benaltre conoscenze ed esperienze.

Per limitarmi al settore rispetto al quale possopresumere di avere qualche titolo per azzardarealcune considerazioni, quello cioe della giuri-sdizione ordinaria, il primo problema che a mioavviso si impone e di vedere se convenga mantenerel’attuale assetto a tre gradi culminante nel giudizio

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di cassazione, al quale puo far seguito il giudizio dirinvio; e la questione si traduce praticamente inquella della convenienza o no di conservare l’isti-tuto della cassazione secondo i suoi ultimi sviluppi,posto che la possibilita del riesame della lite, inconcreto del giudizio di appello, non puo porsiovviamente in questione. A tal fine mi pare sovrab-bondante rifare la storia, tormentata e complessa,della suprema istanza di vertice del nostro attualesistema e quindi prendere posizione, astrattamenteo in assoluto, sul problema medesimo; e invece assaipiu realistico partire dalla constatazione che in largamisura l’istituto non ha consentito in pratica larealizzazione degli obiettivi che con la istituzionedel medesimo ci si era proposti, in particolarequello di assicurare l’uniformita della interpreta-zione del diritto nell’ordinamento. Anche perche sisono eccessivamente allargati, con una ben notanorma costituzionale e con la riforma del 1950 delcodice di procedura civile, i casi di possibile ricorsoal supremo collegio, in pratica oggi la Corte, comepuo facilmente constatarsi, non e in grado di adem-piere alla sua funzione istituzionale; in concretoessa opera divisa per sezioni tra le quali non e raroil contrasto interpretativo, ne sempre soccorre ilrimedio di demandare la risoluzione del puntocontroverso alle sezioni unite; aggiungasi che con lanovella del 1950, prevedendosi il possibile controllodella Cassazione sulla congruita e sulla completezzadella motivazione del giudice di merito, si e al-quanto snaturato il carattere originario di questogiudizio, con cio ulteriormente mettendosi in peri-colo la uniformita della giurisprudenza di ver-

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tice (46). In sostanza la questione si pone non inteoria, ma nei fatti che vedono frustata la finalitastessa dell’istituto e con cio stesso pongono il que-sito della sua utilita.

D’altro canto a mio parere e seriamente discu-tibile la stessa distinzione tra giudizio di fatto egiudizio di diritto o di legittimita, giacche essa, nelmomento stesso in cui per definizione suppone lapossibilita di scindere la valutazione del caso speci-fico, si rivela alquanto astratta. Se nella esperienzagiuridica e naturale il passaggio dall’astratto alconcreto pare azzardata la possibilita di una consi-derazione delle liti solo in una visuale limitata, quasiche, al livello elementare della giurisdizione, questacellula prima dell’esperienza nella quale il fatto e ildiritto inestricabilmente e beneficamente si confon-dono in un tutto possa tollerare siffatta distinzione,che in ogni caso fa del mero giudizio di legittimitaun giudizio limitato, meno pieno e con cio menoappagante; solo il c.d. giudizio di merito e giudiziopieno e quindi vero giudizio. In conclusione, fallitol’istituto della cassazione di cosı dubbia giustifica-zione e teorica e culturale, si pone seriamente ilproblema della sua soppressione, in modo che ognilite possa essere definitivamente risolta, con note-vole semplificazione, nei due gradi di merito. E se siappalesa possibile un tale salto rivoluzionario, unacorte suprema puo utilmente conservarsi solo come

(46) Sul problema vd. da ultimo G. FLORE, Considerazioni sullefunzioni della Corte di Cassazione, in « Rassegna dei magistrati »,1961, p. 45, in particolare osservando l’A. che spesso, per la mole dellavoro, una sezione della Corte ignora la giurisprudenza delle altresezioni.

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giudice della giurisdizione e della competenzanonche per i conflitti di attribuzione e di giuri-sdizione, se ed in quanto non si ritenga di doveranche introdurre, come sopra si e prospettato, unsistema di integrale ed effettiva unita della giuri-sdizione; ma a questo fine sara sufficiente un ri-stretto collegio.

Piuttosto e da ipotizzare seriamente l’istituzionedi una speciale corte che possa, per altra via e sualtri presupposti, assicurare la certezza e l’unifor-mita nella interpretazione del diritto, cioe la realiz-zazione di quei fini rispetto ai quali l’attuale espe-rienza della Cassazione si e rivelata negativa; unacorte alla quale non sia affatto demandato di deci-dere in ultima istanza sulle liti, ma che abbia ilcompito, quando si accerti in concreto una diffor-mita d’interpretazione tra i giudici di merito suspecifici punti di diritto, di dettare una interpreta-zione vincolante su ricorso proposto, nell’interessedella legge, da corti di merito o da altri organi.Codesta corte, per la sua stessa funzione di assicu-rare l’interpretazione vincolante della legge, do-vrebbe essere composta con giudici di varia estra-zione, da magistrati, da giudici eletti dal parlamentononche da altri eletti dal plenum dei professori didiritto ed infine da un certo numero di giudicidesignati dal consiglio nazionale forense, per realiz-zare in materia il concorso di tutte le competenze.Se tanto fosse possibile avremmo un organo ad hocper assicurare un costante complemento delle pre-visioni astratte e incomplete della legge, con unamaggiore certezza del diritto; qualcosa cosı assai piuconsistente rispetto all’attuale giudizio di cassa-

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zione; in particolare questa corte speciale potrebberisolvere quei problemi complicatissimi che oggisempre piu di frequente si prospettano per loscadimento tecnico-giuridico della legislazione,sempre piu frutto di assemblee impreparate e do-minate da un pauroso pressapochismo, raddriz-zando le gambe ai frutti infelici di tanta prolifica-zione.

In tal modo tutto il processo potrebbe risolversinei due normali gradi di merito, primo grado eappello. E per quanto riguarda il primo grado iosono fermo sostenitore della necessita di deman-dare tutte le controversie civili ed anche tutti iprocedimenti penali, fatte alcune eccezioni, al giu-dice unico, cioe in concreto al pretore. Anche qui eperfettamente inutile discutere in astratto sui van-taggi o no della collegialita nel processo, mentre eassai piu ragionevole e convincente puntualizzare ilproblema in concreto, partendo dalla constatazioneche gia oggi la collegialita si riduce di norma ad unavera lustra, tanto che praticamente il processo e dinorma nelle mani di quel solo giudice che lo cono-sce e ne riferisce (47). La collegialita che in astratto

(47) La realistica considerazione e di F. UNGARO, La macchinadella Giustizia, cit. A favore del giudice unico si sono pronunciati daultimo A. TORRENTE e P. PASCALINO, Aspetti e soluzioni della crisi dellagiustizia nel processo civile, relazione all’XI Congresso dei Magistrati,Sardegna, settembre 1963, con minute, pertinenti considerazioni.Nello stesso senso anche A. C. JEMOLO, La Giustizia, ne « LaStampa » del 19 gennaio 1965, che parla di un vero feticismo dellacollegialita, praticamente operante solo quando si presentano casiappassionanti, altrimenti risolvendosi in una perdita di tempo postoche « i giudici... non hanno neppure in mano le scritture occorrentiper valutare appieno le controversie ».

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costituisce una piu seria garanzia di giustizia, cosıcome in teoria le camere di consiglio potrebberocostituire una grande scuola, nei fatti presuppor-rebbe che ogni componente del collegio abbia lapossibilita di conoscere a fondo, direttamente, lacausa; cosı sarebbe necessario che prima di ognicamera di consiglio ogni giudice avesse, con con-gruo anticipo, la copia degli atti e in effetti listudiasse come se ne dovesse personalmente rife-rire. Al contrario le camere di consiglio civili sisvolgono sulla base di una relazione del giudiceistruttore, il quale naturalmente si sforza di riferirenel modo piu obiettivo possibile sui fatti e sullequestioni di diritto emerse in causa, ma nientegarantisce della congruita e della completezza dellaesposizione per quel naturale processo che incon-sciamente porta ciascuno a vedere le cose in uncerto modo, a ritenere essenziale questa o quellacircostanza, a delimitare in un senso o nell’altro, inperfetta buona fede, i punti che sono meritevoli diesame per la risoluzione della lite; nessuna rela-zione, per quanto esauriente, puo sostituire la co-noscenza diretta. Ma ammesso che la relazione siaal massimo obiettivamente completa, questo nonsignifica ancora niente, giacche, se in camera diconsiglio deve svolgersi una discussione, questorichiederebbe che tutti i componenti fossero sullostesso piano per quanto attiene alle conoscenze didiritto all’uopo indispensabili; quale contributo puoseriamente apportare il giudice che, non avendoistruito la causa, non ne ha mai affrontato le que-stioni di diritto che puo, in ipotesi, ignorare total-mente o parzialmente, non avendo compiuto in

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proposito ricerche giurisprudenziali e di dottrina?Mentre il giudice relatore giunge o dovrebbe giun-gere alla camera di consiglio preparatissimo, essen-dosi erudito sotto tutti i profili, per gli altri compo-nenti del collegio che niente sanno del contenutodella causa che per essi rappresenta una novita, lasituazione e del tutto diversa, potendo essi acciden-talmente essere in grado di portare un contributoper la loro preparazione generale o essendo co-stretti, come talora avviene, a tacere o a menare ilcan per l’aia facendo perdere semplicemente tempose il livello della loro ignoranza specifica e tale chele loro osservazioni mancano del tutto di puntualitarispetto alla questione. Insomma la camera di con-siglio ha un senso se tutti i giudici vi giungonoconvenientemente attrezzati; in mancanza di questopresupposto il contributo collegiale si riduce a benpoco o e equivoco perche basato sulla relativaignoranza dei giudici diversi dal relatore. Di normaora la collegialita serve al singolo giudice, nellamisura in cui questi sia scrupoloso, per cercare ditrovare nei colleghi il conforto della sua imposta-zione o un aiuto per risolvere quei punti rispetto aiquali egli e incerto; la camera di consiglio funzionaquindi di massima come una occasione per farsiconsigliare da altri, per qualcosa, quindi, che ilmagistrato coscienzioso puo risolvere anche fuori diquesta occasione, attingendo oltre che ai libri e alleriviste e alla giurisprudenza al consiglio spessorichiesto al collega che si sa piu preparato in unacerta materia; quante volte mi e avvenuto di ricer-care, anche deliberatamente, il parere di un collegada me supposto piu esperto o di maggiore intuito,

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anche quando come giudice unico portavo intera laresponsabilita! Naturalmente non e escluso che ungiudice, preparatissimo e aggiornatissimo su ogniquestione, possa portare un decisivo contributo, mal’ipotesi e veramente rara se non impossibile, postoche quasi nessuno e umanamente in grado di padro-neggiare tutto il diritto; il buon giudice, accanto allapreparazione generale, ha una conoscenza piu omeno approfondita di alcune materie in virtu dellaesperienza accumulata e nel contempo una infinitadi lacune che egli, se e coscienzioso, cerca dicolmare di volta in volta in relazione alle causepersonalmente curate.

La stessa situazione si verifica nel processopenale, dove i giudici a latere ignorano del tutto iprocedimenti che solo il presidente del collegio hastudiato prima dell’udienza, con l’ulteriore conside-razione che questi giudici non hanno pratica possi-bilita di influire sullo svolgimento dell’istruttoriadibattimentale demandata alla guida del solo presi-dente; ad esempio non possono porre quella do-manda che a loro avviso potrebbe spostare o diver-samente illuminare i termini del processo: dal puntodi vista della conduzione del processo essi sonoquindi giudici a meta, giudici di quello che fa ilpresidente.

Per tutto questo conviene risolutamente sempli-ficare, passando al sistema del giudice unico chepresenta, com’e noto, ulteriori vantaggi. In primoluogo il giudice monocratico e ben altrimenti re-sponsabile, si sente investito senza rimedi dellarisoluzione della controversia senza poter fidare

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nell’equivoco della collegialita (48). Inoltre il giu-dice unico ha nel processo penale ben altri vantaggi,massimamente quello di poter condurre l’udienza inun leale confronto con le parti. Ho detto come nelprocedimento penale innanzi al giudice collegiale igiudici a latere siano per forza di cose dei giudici ameta per quanto attiene alla conduzione dell’istrut-toria dibattimentale; puo aggiungersi che anche ilpresidente del collegio si trova in una singolaresituazione; se egli e scrupoloso, rispettoso dellaregola della collegialita, deve mettere costante-mente nel conto la valutazione pel momento impre-vedibile dei colleghi che se ne stanno intanto muti alsuo fianco; pertanto egli deve condurre innanzi ilprocesso come conservando una specie di « segretopubblico », non pregiudicando per alcun verso lavalutazione collegiale ne azzardando apprezza-menti personali: tutto puo essere importante sulpiano di quella valutazione da venire, niente puo

(48) Vd. ottimamente M. RAMAT, Il giudice unico, ne « IlMondo » del 31 dicembre 1963: « La consuetudine a dividere in tre laresponsabilita della decisione puo portare anche inconsapevolmentealla tendenza ad adagiarsi psicologicamente sulle decisioni altrui »,mentre il giudice unico e posto obiettivamente al di la del conformi-smo. In ogni caso e da auspicare che sia concesso al giudicedissenziente di poter esprimere pubblicamente questo suo dissenso,come e ammesso in altri ordinamenti e come di recente si e propostoda noi a proposito della Corte Costituzionale. E circa il funziona-mento in concreto del sistema collegiale, ricordo un episodio gustosoed invero abnorme; incaricato di stendere una sentenza penale comegiudice a latere, mi accorsi che ci si era dimenticati di pronunciarci suuno dei reati rubricati e del quale il presidente, certo assai negligentenel preparare i processi, non ci aveva affatto parlato in camera diconsiglio; trattandosi di un reato minore nella lunga filza delleimputazioni tutti ne avevano ignorato l’esistenza nel pubblico dibat-timento.

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essere pregiudicato, donde una inevitabile maggiorlentezza del procedimento. Il giudice unico nondeve avere invece di queste preoccupazioni; proprioperche solo lui deve decidere, egli puo procedere inudienza con la massima liberta, non ha da evitareanticipazioni pericolose; al contrario, poiche non hasenso il riserbo... verso se medesimo, il pretore puocondurre speditamente avanti la causa, sgombrandoformalmente il campo, ad esempio, da questioni cheegli ritenga superflue e pacifiche nel senso piufavorevole per la difesa, onde non conviene insi-stervi e invitando al contrario a soffermarsi sui puntiche a suo avviso sono meritevoli di chiarimento edai quali dipende la sorte dell’imputato. In unprocedimento penale per lesioni colpose e del tuttoinutile, ad esempio, che il giudice lasci discutere avuoto sulla pretesa eccessiva velocita tenuta dall’im-putato al momento dell’incidente se egli e convintoche la velocita non superava la norma e che comun-que non e su questo elemento che puo basarsi lacolpa; meglio conviene che si dia subito atto diquesta convinzione e che si inviti la difesa a pren-dere in esame altri elementi che il magistrato ritienein ipotesi ben piu rilevanti; cosı veramente il proce-dimento penale innanzi al giudice unico si risolve inun franco dialogo che e preferibile anche per ladifesa e che si risolve in una maggiore speditezza,senza inutili e defatiganti concioni. Quindi tuttoconvince della opportunita di generalizzare al mas-simo il sistema dei giudice unico che nel nostropaese ha fatto del resto ottima prova; non credoinfatti che la giustizia dei pretori sia deteriorerispetto a quella dei tribunali, anzi ritengo che la

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c.d. giustizia minore funzioni in modo di gran lungapiu soddisfacente. Merita, invece, conservare lacollegialita, a tre persone, per l’appello; in pratical’attuale tribunale potrebbe funzionare come giu-dice di secondo grado per tutto il civile e per lamassima parte del penale, nonche come giudicepenale di primo grado per i reati piu gravi, dimassima quelli ora demandati alle odierne corti diassise, eliminandosi questa ibrida esperienza delloscabinato (49). Infine vi sarebbe posto per la cortedi appello, sempre funzionante a tre magistrati,come giudice di secondo grado per i reati piu gravidemandati in prima istanza al tribunale.

La strutturazione estremamente semplificatache ho ipotizzato dovrebbe consentire obiettiva-mente un miglior funzionamento della giuri-sdizione, rendendola in particolare assai piu rapidae incisiva. Il sistema potrebbe essere completatoconservando alla base il giudice conciliatore, esten-dendone la competenza che potrebbe comprenderele minori cause civili (poniamo le liti non superanti

(49) Come la stragrande maggioranza dei magistrati, sonorisolutamente avverso all’istituto della corte d’assise, trovando incon-cepibile, ed in cio divergendo da certa facile demagogia populistica,che proprio i reati piu gravi siano affidati in prevalenza a giudici deltutto improvvisati; espresse benissimo questo stato d’animo, in undiscorso all’Assemblea Costituente, G. Porzio che di queste cose sene intendeva: « La realta e che sono stato sempre avversario dell’isti-tuzione dei giurati. Mi sgorga dal fondo. Sono istintivamente, orga-nicamente, contro ogni arbitrio, contro ogni decisione immotivata,contro quel monosillabo incontrollabile, irrevocabile la cui genesi eoscura e qualche volta torbida »; ed a un congresso forense il grandeavvocato aggiunse in proposito: « Quante vittorie, signori, che nelfondo dell’anima furono un’amarezza » (cito da un articolo di F.ARGENTA, ne « La Stampa » del 23 settembre 1962).

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il valore di lire centomila) da risolvere equitativa-mente, nonche estendersi alla materia penale eprecisamente a tutti i reati contravvenzionali puni-bili esclusivamente con la pena pecuniaria dell’am-menda, il tutto forse senza possibilita di gravamegiacche, come ha comunque giustamente sostenutoA. C. Jemolo (50), e semplicemente assurdo edentieconomico il sistema attuale che consente diarrivare anche per le minori infrazioni e per le litipiu trascurabili alla Cassazione. Naturalmente, que-sto completamento della riforma in basso esige chegli uffici di conciliazione siano convenientementeattrezzati sotto tutti gli aspetti; i giudici onoraridovrebbero essere scelti tra persone aventi un mi-nimo di competenza tecnica, eventualmente in unarosa di nomi formulata dai consigli comunali (51).

(50) Vd. A. C. JEMOLO, La crisi della Giustizia, ne « LaStampa » del 30 maggio 1963: « Affidando ad un giudice di equita chedecida senza appello le minuscole controversie. Non posso rasse-gnarmi a vedere intere udienze della Corte di Cassazione assorbite dacontroversie il cui oggetto e lo sporto del balcone di dieci centimetrioltre la misura legale, il muro che ha invaso ancora di dieci centimetrila proprieta altrui ». Contra vd. F. TALASSANO, I problemi dellagiustizia, ne « La Magistratura », novembre-dicembre 1963. E bennoto che da molte parti si propone di degradare molti illeciticontravvenzionali a meri torti amministrativi, demandati alle compe-tenti autorita, al fine di alleggerire il sovraccarico giudiziario; inquesto senso giace innanzi alla Camera dei Deputati un disegno dilegge. Ma si tratta di una proposta che suscita molte perplessita; vd.ad esempio le osservazioni di A. GUARINO, La riforma delle contrav-venzioni rischia di aumentare gli incidenti, nel « Corriere della Sera »del 20 agosto 1965: l’A. in particolare osserva che « dilaghera di paripasso la mala pianta, a tutti nota, dei tentativi di evitare per vietraverse che alla loro effettiva irrogazione si giunga ».

(51) Vd. in tal senso M. RAMAT, Il giudice elettivo, ne « IlMondo » del 6 aprile 1965. E invece da respingere nettamente,

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Una notevole facilitazione al fine di ricercare buonielementi si otterra non facendo coincidere necessa-riamente la giurisdizione del conciliatore col co-mune, come oggi avviene col risultato che le fun-zioni giurisdizionali sono talora commesse, nei piupiccoli comuni (e sono moltissimi), a cittadini deltutto sprovveduti, al macellaio o al ciabattino pro-prio perche vi e un limite alla ricerca del meglio inuna area ristretta. Mentre nei grandi e grandissimicomuni potrebbero essere istituiti eventualmentepiu uffici di conciliazione (ma dove puo presentarsil’esigenza con i mezzi di trasporto oggi a disposizio-ne?), i minori comuni, in particolare quelli montani,dovrebbero essere raggruppati in modo da consen-tire cosı, su un’area piu vasta, una migliore sceltadei giudici che dovrebbero essere investiti dell’uffi-cio per un quinquennio e ricevere una adeguataindennita. Sono d’altro canto convinto che una piuseria utilizzazione di questa magistratura onoraria,oggi praticamente abbandonata, solleciterebbe lanon disprezzabile ambizione dei cittadini piu probiin una direzione cospirante con l’interesse generale:se oggi e tanto ambita la deprezzata croce dicavaliere, a maggior ragione dovrebbe essere con-siderato come un grande riconoscimento morale eragione altresı di prestigio il conferimento di queste

malgrado una indicazione costituzionale (art. 106 cap.), la proposta diuna elezione diretta popolare dei magistrati onorari patrocinata daM. FRANCESCHELLI, in M. BERUTTI e M. FRANCESCHELLI, Aspetti esoluzioni della crisi della giustizia nell’ordinamento giudiziario, rela-zione per l’XI Congresso dei magistrati, Sardegna, settembre 1963:nell’attuale situazione la proposta comporterebbe una diretta eperniciosa interferenza partitica nell’amministrazione giudiziaria.

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funzioni, posto che, come l’esperienza di altri civi-lissimi paesi dimostra, anche l’amministrazione giu-diziaria puo contare su un diffuso sentimento civico.

Come ho premesso, i problemi del personaledella giustizia vanno risolti in relazione ad unadeterminata strutturazione del servizio, in concretoe non in astratto. In questo ordine di idee ritengoche la strutturazione da me ipotizzata consenta unapiu adeguata e funzionale sistemazione del perso-nale. Il primo quesito attiene all’opportunita o no dirichiedere una precisa specializzazione dei giudici,secondo una idea che e stata di recente ripresa esuffragata con la considerazione che il lavoro giudi-ziario oggi si accentra in larga misura in taluni tipi dicontroversie di prevalente contenuto tecnico o cherichiedono la conoscenza specifica di certi fatti ecomportamenti tipici, per i quali e opportuno che ilmagistrato abbia la padronanza anche di altre disci-pline non giuridiche, ad esempio in materia dicircolazione stradale (52). Io ritengo che la proget-

(52) La c.d. tecnicizzazione dell’attivita giudiziaria costituisce,come e noto, il leit-motiv di alcuni studiosi; vd. ad es. N. BERNARDINI

e A. MARCUCCI, Alcuni problemi costituzionali e funzionali dell’ordi-namento giudiziario, in Magistrati o funzionari?, cit., pp. 443 e ss. DelBernardini vd. anche Ordinamento, giudizio e progresso tecnologico,in Studi sul progresso tecnologico e la societa italiana, Milano, 1960,vol. VI, Aspetti giuridici, p. 100. Secondo questo orientamento il fattotecnico va assumendo un’importanza via via prevalente nell’econo-mia del giudizio, il processo esige sempre di piu d’essere risolto allastregua di « norme tecniche », le liti si addensano attorno a gruppitipici tecnicamente identificabili. Ma, come dissi altra volta (inCronache della magistratura, cit., p. 255), questo indirizzo e di dubbiaattendibilita, tolto il contributo positivo che apporta mettendo in luceun fenomeno in parte reale e auspicando una conseguente attrezza-

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tata specializzazione sia di difficile concretizzazione;penso altresı che essa debba essere respinta perprecise ragioni di principio. E estremamente diffi-cile che possa procedersi ad una ripartizione degliaffari giudiziari per materia, giacche nella massimaparte dei casi la controversia si risolve in una seriedi quesiti che hanno almeno qualche attinenza conle piu varie ripartizioni di comodo del diritto ocomunque, proprio ai fini della piu esatta risolu-zione, si richiedono di necessita nel giudice cono-scenze non limitate, bensı generalizzate all’interaesperienza giuridica (53); proprio per questo conti-nuo intrecciarsi dei vari profili, al giudice civile none sufficiente una esclusiva preparazione civilisticacosı come al giudice penale non basta una esclusivapreparazione penalistica, onde la stessa distribu-zione rigida del personale in questi due campiappare assai problematica. Direi invece che devefavorirsi al massimo, nella misura del possibile,l’attitudine del magistrato a risolvere, senza ecces-sivo dispendio, ogni tipo di controversia, destinan-

tura soggettiva. Infatti, incidenza o no di un contesto tecnico, ilgiudizio si contraddistingue, al pari di tutta l’esperienza giuridica, sulpiano della valutazione comparativa degli interessi contrapposti nellaloro dimensione sociale; e qui non c’e attrezzatura tecnica che tenga,la tecnica aiutando, ma mai risolvendo. E culturalmente a me pareche in queste proposizioni vi sia la traccia di un certo neo-positivismoche ora va risorgendo dalle ceneri, nella perseguita utopia di unascientificita « obiettiva » risolutrice di ogni dramma e di ogni passionee che e destinato fortunatamente a soccombere, come il vecchiopositivismo, nella infinita libera e liberante, « inventivita » dellarealta umana, mai domabile e mai domata.

(53) Cosı esattamente, fra i tanti, F. PERFETTI, Relazione sul-l’amministrazione della giustizia, cit., p. 11; M. RAMAT, Il giudicespecialista, ne « Il Mondo » del 18 giugno 1963.

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dolo a rotazione alle varie incombenze, anche sequesto comporta nel complesso uno sforzo nonindifferente. Ma appunto la specializzazione, nelmentre favorisce la pigrizia dei singoli inducendoli ariguardare esclusivamente il loro orticello e a diven-tare cosı progressivamente ignoranti su tutto ilresto, peggiora e non migliora la preparazionemedia e le attitudini dei magistrati, mentre, anchedal punto di vista di una comprensiva cultura, edesiderabile che avvenga esattamente il contrario,che le funzioni di volta in volta commesse inducanoil singolo ad arricchirsi e a migliorarsi. Ed il buongiurista si fa progressivamente per questa via certopiu impegnativa.

Piuttosto per altra via potra ottenersi di fatto unfecondo scambio di esperienze tra gli stessi magi-strati opportunamente raggruppati in grandi uffici.La strutturazione da me proposta potrebbe risol-versi agevolmente nella istituzione della pretura inogni capoluogo di provincia; in una ventina ditribunali e in cinque-sei corti di appello in tutto ilPaese, risolvendosi cosı, con questa concentrazione,una serie di problemi. In primo luogo si sopprime-rebbero gli uffici che oggi in misura non trascurabilesono inutili o si risolvono in veri canonicati, mante-nuti in vita solo per quelle deteriori ragioni dicampanilismo e di prestigio locale rispetto alle qualil’interesse pubblico pare impotente, all’insegna diquella parola d’ordine, veramente ridicola nel-l’epoca delle facili e comode comunicazioni, che lagiustizia deve andare al popolo (54); si avrebbe cosı

(54) Vd. ad es. l’articolo La Giustizia, cit.

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una adeguata distribuzione del personale con uncarico di lavoro proporzionato per i singoli, evitan-dosi di inflazionare l’organico in modo deleterio,posto che vi e un limite obiettivo, oggi spessosuperato, per il reperimento di buoni giudici. Sa-rebbe inoltre possibile attrezzare i pochi uffici giu-diziari dei mezzi che oggi la tecnica consente per lapiena funzionalita del servizio. In particolare pressoogni ufficio potrebbe essere istituita a spese delloStato una biblioteca giuridica convenientementeattrezzata a disposizione dei magistrati e degli av-vocati i quali ultimi potrebbero concorrere allaspesa con un canone di abbonamento; piu precisa-mente un ufficio centrale istituito presso il ministerodovrebbe curare la simultanea distribuzione in tuttele biblioteche delle pubblicazioni di vario tipo edelle riviste. Non credo che questo servizio impor-terebbe una grossa spesa in un bilancio statale cosıinflazionato come l’attuale, mentre si risolverebbeun problema che oggi, al livello dell’economia indi-viduale, non e facilmente risolvibile. Si pubblicanooggi in Italia oltre cento riviste giuridiche, nazionalie locali, generali e specializzate, senza contare lemonografie, le raccolte annuali di giurisprudenza,etc.; di volta in volta il giudice puo avere necessita diconsultare questa o quella pubblicazione, mentreegli non ha personalmente ne il denaro ne lo spazioper farsi una adeguata biblioteca onde deve fartalora ricorso o all’espediente del prestito amiche-vole o alla consultazione (pericolosa!) delle solemassime nei repertori, aggravandosi la situazioneper chi e costretto ad amministrare la giustizia inluoghi remoti. L’importanza del problema risulta

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dal fatto che il Consiglio Superiore della Magistra-tura ha proposto di alleviare le difficolta dei singolicon la concessione di buoni-libro (55). La concen-trazione degli uffici permetterebbe cosı la costitu-zione di biblioteche aggiornate da concepirsi comeun vero servizio pubblico. Infine la stessa concen-trazione eliminerebbe alcune difficolta che oggisussistono sul piano del reclutamento; la prospettivaattuale di dover esercitare le funzioni, anche permolti anni, in un paese remoto trattiene spesso igiovani dall’entrare in magistratura perche non tuttisono disposti a vivere nella quiete delle campagne eanche quando lo sono debbono spesso fare i conticon la tirannide piu o meno giustificata delle esi-genze domestiche, da quelle della consorte che nonse la sente semplicemente di intristire in provincia oha le sue esigenze di lavoro in questa epoca dicrescente immissione della donna nelle attivita pro-duttive a quelle derivanti dalle esigenze scolastichedei figli. Se fosse possibile accogliere l’idea quisostenuta, il temuto spettro verrebbe meno ed ilgiudice potrebbe contare di risiedere almeno in uncapoluogo di provincia (56). Avremmo cosı, com-

(55) Con l’ordine del giorno approvato il 5 luglio 1961 su pro-posta di P. Glinni; vd. « La Magistratura », settembre-ottobre 1962.

(56) Vd. A. C. JEMOLO, La crisi della giustizia, cit. D’altro cantonon sono affatto d’accordo con chi ritiene anacronistico l’obbligoattuale di residenza (cosı M. BOCCASSINI, Attuazione delle garanziecostituzionali in tema di ordinamento giudiziario, in Magistrati fun-zionari?, cit., p. 496); se e vero che con gli attuali mezzi di comuni-cazione il problema non si presenta nei termini del passato, ealtrettanto vero che una limitazione in materia e indispensabile perinfrenare gli abusi oggi frequenti di magistrati che abitualmenterisiedono in citta assai distanti dalla sede. Si dice ad es. che gran parte

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plessivamente, la migliore strutturazione degli ufficie la soddisfazione piu piena del personale in condi-zioni di normalita e con tutti i possibili strumenti adisposizione.

dei magistrati di una certa zona dell’Italia centrale abitano nellacapitale. In realta la questione e assai piu sostanziale rispetto a quelloche la formula letteralmente esprime; non si tratta tanto di risiedere,quanto di far sı che il servizio commesso non soffra della circostanzadell’abitare fuori sede. In questo senso e assai diversa la posizione deivari magistrati secondo l’ufficio ad essi commesso; chi ad es. eaddetto come talora avviene al solo lavoro civile nei tribunali, inpratica deve trovarsi in ufficio solo due-tre volte la settimana, mentree assai diversa la situazione del pretore « di campagna » che, dovendoprovvedere per le richieste urgenti, praticamente puo essere semprericercato e pertanto si trova nell’alternativa o di vivere in una speciedi confino o di vivere di espedienti con la sensazione spiacevole diessere costantemente « braccato ». Per coloro che versano nellaseconda situazione e quindi inevitabile la necessita di risiedere inluogo relativamente vicino, cioe in un luogo che consenta in ogni casodi raggiungere la sede, per le chiamate urgenti, nel giro di una, almassimo due ore; il che esige che si sia convenientemente attrezzati,con la disponibilita di un veicolo. Anche a prescindere dalle chiamateurgenti, l’attrezzatura personale conta perche chi si serve, ad es., deimezzi pubblici puo essere indotto a tirar via all’udienza per nonperdere quella certa corriera; viceversa la disponibilita del mezzoconsente di attendere con tranquillita al lavoro, protraendo senecessario l’udienza ad ora tarda. E un problema quindi di autore-sponsabilita del singolo, obbligo di residenza o no; essendo inconce-pibile il comportamento di quel magistrato che ad un certo punto,trovandosi in camera di consiglio, cominciava ad essere impazienteprospettandosi la probabilita di perdere la prossima, comoda par-tenza del mezzo pubblico. La concentrazione degli uffici, con laconseguente assegnazione di piu magistrati, risolvera il problema,consentendo di far ricorso al turno di urgenza; non vi sara quindi piulo spettro, veramente inumano, del semiconfino in campagna, quandol’allontanarsi anche per mezza giornata per recarsi alla vicina cittacostituisce un incubo ed ogni trillo di telefono fa balzare. E unproblema che va quindi risolto coordinando le esigenze dell’ufficiocon le giuste esigenze dei singoli. E interessante ricordare infine cheun giudice, L. SCIACCHITANO, in « Rassegna dei magistrati », 1962, p.

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L’ingresso in magistratura non puo non avve-nire sulla base tradizionale del concorso aperto aigiovani laureati. In un paese come il nostro, ancoracostituzionalmente instabile e dominato ferrea-mente dal settarismo di partito, nel quale a torto oa ragione l’ostracismo del « sovversivo » inteso ta-lora alquanto latamente e ancora di frequente pra-ticato al pari dell’abuso partitico, anche quando perl’unica giustificazione della divisione delle spoglie siaffidano delicate funzioni pubbliche o a emeriticretini o a persone di dubbia moralita senza che maisfiori l’idea di nominare la persona competente edonesta militante nel partito avverso, il sistema delconcorso e, malgrado i suoi innegabili difetti, ilmigliore ed e, del resto, collaudato dalla tradizione.Come e riconosciuto anche da chi comprensibil-mente critica l’assetto della nostra magistratura emette in rilievo i pregi di altri sistemi (57), non epossibile in Italia altro sistema; non la scelta deigiudici da parte del potere esecutivo perche consiffatto sistema si esigerebbe in concreto la fedeltaal partito se non alle conventicole dominanti; non ilsistema elettivo che, alquanto discusso altrove (58),implicherebbe certamente piu perniciose conse-

341 ha proposto che si ponga il divieto di residenza per allontanare ilmagistrato dall’ambiente dei giudicabili, cosı prospettando una giustaesigenza della quale ho detto nel testo; e la concentrazione, allar-gando l’ambiente, risolve anche questo.

(57) Vd. G. MARANINI, in « Rassegna dei magistrati », 1962, p.257; S. BASILE, Considerazioni sull’indipendenza del potere giudizia-rio, in Magistrati o funzionari?, cit., p. 293.

(58) Vd. R. ZARISKI, I giudici statali e locali negli Stati Unitid’America e il problema dell’indipendenza della magistratura, inMagistrati o funzionari?, cit., p. 170.

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guenze nel nostro paese; non l’affidamento dellefunzioni giurisdizionali agli avvocati con una solu-zione certo ideale per certi profili e felicementeaffermata altrove, perche da noi avremmo proba-bilmente la sistemazione in magistratura dei falliti.Non conviene quindi discostarsi dalla tradizione cheha fatto del resto, almeno relativamente, buonaprova, consentendo l’ingresso in magistratura, inogni tempo, fra la massa dei mediocri e dei timidi,anche di soggetti effettivamente indipendenti aiquali si deve se ancor oggi il terzo ordine rappre-senta, malgrado tutto, uno dei pochi pilastri relati-vamente sani nel paese.

Il mantenimento del concorso iniziale non devepregiudicare tuttavia la severita della selezionesotto tutti i profili. In primo luogo la selezionetecnico-giuridica, conservando ed anzi incremen-tando la severita delle prove, giacche ho l’impres-sione che in questi ultimi anni, come traspare daqualche relazione (59), le commissioni giudicatrici,

(59) Vd. in « Foro it. », 1962, 4, 37 la relazione della commis-sione esaminatrice del concorso per uditore giudiziario bandito cond.m. 20.2.1959 a firma del presidente U. Pioletti nonche ivi, c. 38 larelazione del presidente della prima commissione referente delConsiglio Superiore della Magistratura, prof. G. M. De Francesco. Inambedue le pregevoli relazioni e messo in rilievo che la preparazionedei candidati e in genere modesta tanto che non fu possibile copriretutti i posti messi a concorso (come e avvenuto in molti altriconcorsi); si constata altresı la quasi totale assenza di candidatiprovenienti dalle regioni centrali e soprattutto settentrionali; siafferma che per una serie di ragioni i migliori laureati vannodisertando il concorso trovando immediata collocazione, a condizionieconomicamente migliori, nelle imprese private che effettuano cosı laprima scelta; si ricorda il fenomeno diffuso della presentazionecontemporanea a piu concorsi: « I giovani presentano piu domande

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pressate dall’esigenza di completare l’organico, ab-biano alquanto allentato la morsa; e auspicabile,viceversa, un estremo rigore perche e preferibile ilvuoto dell’organico all’assunzione di soggetti deltutto scadenti. Piuttosto un elevamento del tratta-mento economico della magistratura potra attrarreassai piu di quanto oggi avvenga i giovani piupreparati. Ma anche la selezione umana e in certilimiti indispensabile, giacche su questo piano non ecerto sufficiente che il candidato presenti il certifi-cato penale bianco o il generico certificato di buonacondotta, proprio per evitare che, a prescindere daquesto minimo, entri in magistratura la personaincensurata, ma visibilmente squilibrata per qualcheverso, come in alcuni casi oggi si verifica. L’esigenzae naturale, perche al diritto del cittadino di accedere

di concorso e assumono l’impiego nel Ministero presso il qualepossono conseguirlo piu sollecitamente »; si rileva che solo unaristretta percentuale intraprende la carriera « per ponderata elezio-ne ». E nella relazione De Francesco si osserva che il reclutamentosara ancor piu arduo nella misura in cui il benessere economicoinvestira anche le regioni meridionali ed insulari. Alle difficolta delreclutamento ed in particolare a quella derivante dal fatto che spessoi giovani non sono in grado di attendere i due anni al minimonecessari dopo la laurea per entrare in carriera, si potrebbe ovviarein parte istituendo una speciale accademia per la preparazione alconcorso cosı come venne proposto in un discorso del Ministro on.Bosco del 15 ottobre 1963 (v. in « Rassegna, dei magistrati », 1963, p.413); in pratica si tratterebbe di offrire subito ai laureati che hannoriportato buone votazioni negli esami universitari la possibilita difrequentare questa accademia con una borsa di studio sufficiente, purescludendo che solo gli accademisti possano sostenere il concorso. Insostanza lo Stato, senza impegni reciproci, farebbe come una preno-tazione sulle migliori leve mentre sarebbe certo che questo espe-diente temporaneo consentirebbe a molti di preferire la scelta inquestione.

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ai pubblici uffici, del resto secondo i requisiti richie-sti dalla legge (e la non originalita in senso deterioredeve intendersi, comunque si formuli il concetto,come un requisito), sovrasta il dovere dello Stato digarantire l’assunzione di funzionari idonei sottoogni profilo. Dovrebbe quindi istituirsi un qualchecontrollo in materia, culminante nella valutazionediscrezionale del Consiglio Superiore della Magi-stratura, poiche e visibilmente assurdo che lo Statosia del tutto sprovveduto in materia o alla mercedelle informative provenienti da soggetti all’uoponon qualificati, quando le imprese private ricorronoalle piu varie procedure per cautelarsi in materia. Ese si puo nutrire qualche legittima preoccupazionein proposito, e inevitabile che se ne paghi il costo aragione del criterio di fare tutto il possibile nell’in-teresse pubblico e, mettendo sul piatto della bilan-cia quanto si vuole e quanto si deve evitare, e daconcedere un minimo di fiducia ad un consessoindipendente da pressioni politiche o di altro generecome il Consiglio Superiore. Ed e inevitabile, anchese in ipotesi umanamente doloroso, richiedere che ilgiudice provenga da un ambiente familiare moral-mente ineccepibile, non convincendo, ad esempio,che non debba farsi conto della condotta dei suoiparenti (60), quando e inevitabile che da partedell’opinione pubblica si richiedano magistrati non

(60) E mi spiace cosı di dover essere in disaccordo con M.Ramat che sollevo il problema in un articolo pubblicato ne « IlMondo » del 1º gennaio 1963 al quale fece seguito una nota polemica,In nome della Costituzione!..., in « Rassegna dei magistrati », 1963, p.82 con argomentazioni analoghe a quelle svolte nel testo; ma v. ancheuna successiva lettera del RAMAT, ivi, 1963, p. 230.

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discutibili anche sotto questo profilo, se non altroper allontanare il sospetto, umiliante, che costoro,chiamati ad esercitare una funzione che implical’assoluto rispetto di quel minimo etico che siincorpora nella normativa giuridica, siano costrettiin una situazione di disagio nelle pareti domestiche,situazione che puo riflettersi nell’ufficio. Non eammissibile, per fare il caso limite, che possa dive-nire giudice il figlio di una prostituta che domanipuo salire la scala del palazzo di giustizia percontestare al figlio, magari beceramente vociando,la misura degli alimenti; cosı come, e a maggiorragione, e inammissibile che il magistrato si leghi aqualche allegra donnina dando scandalo. In conclu-sione, se e deprecabile che in prosieguo un giudicematuro debba subire il disagio di un figlio canaglia(e taluni ne soffrirono tanto da uccidersi), e logicoche di consimili situazioni si possa tener conto agliinizi, quando niente e in definitiva pregiudi-cato (61). Tutto, al limite, deve essere pulito nel

(61) Si tratta di una esigenza obiettiva, tanto che si comprendecome, ai sensi dell’art. 98, comma secondo e quinto, della leggefondamentale della repubblica federale tedesca si preveda la remo-zione o il trasferimento del magistrato « quando fatti estranei nellasua attivita giudiziaria nuocciano gravemente e stabilmente alla suaconsiderazione o all’attivita giudiziaria da lui svolta, sı da renderenecessaria una misura di questo genere nell’interesse della giustizia »:vd. K. DOEHRING, Particolarita della posizione giuridica dei giudicinella repubblica federale germanica, in Magistrati o funzionari?, cit.,p. 233 ; previsione che comprova, malgrado il pericolo di abuso e diarbitrarieta che comporta, quanto la societa si attende dal giudiceanche per quanto attiene alla sua vita privata. Non a caso circolanoaneddoti di un certo tipo, il caso classico dell’imputato che pubbli-camente ricorda al giudice che anch’egli si e macchiato dello stessoreato per il quale si sta procedendo a suo carico (e poiche ho

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giudice innanzi all’opinione pubblica, anche l’am-biente che lo circonda, tanto che in una soluzioneideale non sarebbe illogico richiedere al magistratoquelle stesse limitazioni che si chiedono al sacer-dote; ma se tanto e umanamente impossibile e sepuo consentirsi che il giudice prenda moglie proprioin quell’ordine di idee che la sapienza canonisticacollega sulle orme dell’insegnamento paolino almatrimonio, deve almeno richiedersi ch’egli siaindipendente dalla propria moglie in una accezionefunzionale alla missione, onde egli procurera dispartire i giorni lieti e meno lieti della sua vita conuna compagna che non possa essere oggetto dicensura e che condividendo la sua ispirazione albene potra essergli di aiuto e di conforto nell’espli-cazione delle funzioni; chi per avventura scegliemale ne porta la responsabilita proprio anche comemagistrato, per quel doveroso comportamento chesi esige dall’uomo-giudice, dimostrandosi inadattoal suo compito (62).

riscontrato che episodi del genere sarebbero avvenuti, secondo lavoce corrente nei vari ambienti, nei luoghi piu disparati, sonopropenso a ritenere che molti siano almeno in termini testuali partodella fantasia); ed infatti chi giudica deve avere le carte in regolasecondo un modello ideale, purtroppo anche quando e in giuoco ilfatto di altri.

(62) Circa l’indipendenza dalla propria moglie (ma non daquello che si e imparato all’universita e non dai principi morali accoltinella societa), vd. l’arguto intervento di T. ECKHOFF, in Magistrati ofunzionari?, cit., pp. 340-341. Certo, a prescindere dalla deontologiaprofessionale, si comprende come il frequente contrasto tra leesigenze della funzione e le umane miserie del giudice-uomo possacostituire, al pari di quanto si affermo in un famoso saggio bergso-niano a proposito delle cause del riso, un ottimo spunto letterario,umanistico-patetito. Ed infatti c’e tutto un filone in questo senso, al

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Una delle esigenze essenziali e quella che ilgiovane magistrato sia posto in grado, dopo ilconcorso, di compiere un serio tirocinio che lorenda pienamente disponibile per l’ufficio. Oggi suquesto piano la situazione e assai lamentevole,anche se in questi ultimi anni si sono fatti diversiesperimenti di dubbia consistenza. In pratica chi hasuperato il concorso viene immesso come uditorenegli uffici per il periodo di un anno nel quale ilgiovane dovrebbe venire in contatto col serviziosotto la guida di giudici anziani e quindi ascoltandoe vedendo senza effettivo esercizio delle funzioni.In pratica spesso si verifica che l’uditore sia utiliz-zato concretamente laddove vi e piu carenza, adesempio nella raccolta delle testimonianze e nella

quale hanno concorso autori grandissimi e autori ormai dimenticati,cosı come c’e tutta una letteratura a sfondo giudiziario, a carattereminore, memorialistico-aneddotica; una letteratura di pressoche im-mancabile successo, pur occasionale, proprio perche il giudice-uomoe quasi sempre piu o meno lontano dal modello del giudice-superuomo che la societa, anche nella sua ipocrisia, esige. Mentreresta da chiarire come e perche un corrispondente sviluppo di siffatto« genere letterario » manchi, pur essendovi alcune notevoli tracce,per il sacerdote; forse per la ragione del tutto empirica che i sacerdotiparlano meno e che la loro posizione e tanto piu profondamenteintrisa di sacerta, a differenza della mondanita caratteristica delgiudice, dal distrarre gli altri da un cimento ad intenti di poetica chepotrebbe sfociare nel sacrilego. Resta tuttavia da stabilire in qualilimiti possa il giudice liberamente parlare delle sue miserie; limiticerto inevitabili perche la funzione comanda possibilmente di esserenei fatti cosı come si richiede e comunque di cercare di dominare e dinascondere le miserie e i drammi intimi, portandoli per quanto epossibile nel chiuso della propria coscienza. E comprendo quindicome taluno, avendo superato questo limite, ne sia stato chiamato apagare lo scotto; al giudice e infatti richiesto di cimentarsi in una lottaquotidiana contro se medesimo, risolvendo nel doveroso silenzio isuoi problemi.

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vera e propria preparazione delle sentenze; il pe-riodo di uditorato e quindi svuotato rispetto alle suefinalita. Per quanto mi riguarda, ebbi la ventura diessere destinato ad un tribunale assai serio nelquale, malgrado la mole del lavoro, non si distor-ceva la funzione dell’uditorato e debbo ringraziarechi mi consiglio a ragion veduta di chiedere questadestinazione; per sei mesi fui affidato ad un magi-strato destinato al civile e ai fallimenti, assistendoalle camere di consiglio nelle quali imparai moltodata l’ottima composizione qualitativa della sezionee facendo i primi esperimenti nella compilazionedelle sentenze, nel senso che preparavo una minutache veniva rivista dal mio istruttore ed eventual-mente riscritta, totalmente o parzialmente, unaseconda o anche una terza volta sulla base delleosservazioni fatte; studiavo i fascicoli e ne riferivosempre all’istruttore sui punti di fatto e di dirittodella causa: in sostanza, lungi dall’alleviare, costi-tuivo una ulteriore incombenza per il maestro.Successivamente per tre mesi fui affidato ad ungiudice di una sezione penale ed in questo periodoebbi modo di assistere anche ad alcuni grossi pro-cedimenti della corte d’assise; per gli ultimi tre mesispartii infine il mio tempo tra l’ufficio di istruzionepenale e quello del giudice addetto all’esecuzioneforzata; non si manco di farmi impartire qualchelezione dai cancellieri affinche mi rendessi contoanche di questi servizi; nel complesso si cerco diutilizzare nel migliore dei modi quell’anno. Ma ilproblema in generale della destinazione degli udi-tori si e costantemente riproposto; dopo il mioingresso in magistratura si esperimento per alcuni

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anni una accademia in Roma: in pratica per alcunimesi i neomagistrati dovevano ascoltare una serie diconferenze tenute da alti magistrati e da professoriuniversitari, con scarso costrutto, a quanto si dice,proprio ai fini dell’inserimento pratico nel servizio.Ora gli uditori vengono concentrati nelle sedi dicorte di appello e ivi distribuiti tra i vari uffici, conun affidamento collettivo ad un magistrato. Fino apoco tempo fa al giovane, compiuto l’anno diuditorato, venivano assegnate le funzioni come pre-tore o giudice di tribunale o sostituto procuratoredella repubblica (c’e l’obbligo di un biennio dipretura entro i primi cinque anni come condizionedella promozione a magistrato di tribunale); dopopochi mesi dall’assegnazione delle funzioni si devesostenere un esame teorico-pratico che e nellasostanza la ripetizione del concorso iniziale, conl’unica differenza che i temi vanno redatti in formadi sentenza o di requisitoria; superato l’esame sicontinua in una delle tre funzioni indicate con laqualifica di aggiunto giudiziario e dopo un trienniosopravviene la promozione a magistrato di tribunalesenza particolari prove, ma su semplice parere (mainegato) del consiglio giudiziario. Di recente, conlegge 30 maggio 1965 n. 579, si e disposto che lefunzioni possono essere assegnate dopo appena seimesi di uditorato, giustificandosi il provvedimentoper la grave carenza del personale, posto che, con lerecenti innovazioni sul punto della progressione incarriera, la magistratura si va avviando a divenireun esercito di generali senza soldati. Basta questasemplice descrizione per chiarire come il sistema siaoggi pessimo, giacche in esso non si garantisce affat-

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to un autentico tirocinio, mentre l’esame di aggiun-to e di per se discutibile, in particolare a ragione delfatto che si svolge in un periodo troppo ravvicinatorispetto al concorso iniziale per rendere seria unaselezione definitiva (infatti questo esame segna ildefinitivo ingresso nell’ordine). Aggiungasi che ilsistema tocca la punta massima dell’irrazionalita,consentendo l’assegnazione delle funzioni di pre-tore, eventualmente destinato a reggere da solo unapretura di campagna, al giovane che non si e fattoancora le ossa; come si e ripetutamente osser-vato (63), proprio le funzioni piu impegnative,tecnicamente ed umanamente, del giudice unicochiamato talora a decidere quasi nell’immediatezzanei campi piu disparati, sono commesse ai piugiovani gettati cosı allo sbaraglio, malgrado la de-cantata funzione istruttiva che la collegialita assicu-rerebbe: una scuola che di norma si ha modo difrequentare dopo anni e anni di analfabetismoindividuale nelle preture! Nella migliore e certo piufrequente delle ipotesi, il giovane si fa veramente eduramente le ossa in pretura, ma se le fa, come si egiustamente osservato (64), a spese dei cittadini chea lui si rivolgono o che debbono soggiacere al suomagistero; per una logica naturale il giovane pre-tore si affina pro-gressivamente, si impadronisce delmestiere, ma tutto questo avviene nel vivo dellaesperienza di cui altri puo essere vittima; ed infatti,

(63) Vd. ad es. A. PERONACI, La crisi della giustizia, cit.(64) Vd. D. GRECO, Il tempo e la giustizia, cit., p. 27: « In

definitiva il neo-magistrato e costretto a colmare le lacune della suapreparazione professionale con l’esperienza, ed a spese, quindi, deisuoi amministrati e della giustizia ».

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dietro questo apprendimento, c’e spesso la notadolente se non il rimorso di qualche errore anchegrave commesso nella buona fede dell’inesperienza,se non di qualche grave e conturbante cantonata. Eindispensabile, pertanto, che si rovesci il sistema ese questo deve poggiare alla base, come e preferi-bile, sul giudice unico, il momento in cui sonocommesse al magistrato queste funzioni deve se-gnare la sua definitiva e irrevocabile immissionenell’ordine dopo un serio tirocinio (65). In concretoil vincitore del concorso dovrebbe essere destinatosubito come giudice aggiunto nei tribunali, ferma laregola che ogni collegio non possa contenere piu diun tirocinante e ivi rimanere con queste funzioniper un lungo periodo, almeno per cinque anni (66)nei quali egli, mai da solo, ma sempre avendo alfianco due colleghi anziani sarebbe posto innanzialla infinita varieta dei casi e delle situazioni giuri-diche che il tribunale, come giudice di appello ocome giudice penale di prima istanza, deve affron-tare. Al termine di questo tirocinio, destinato agettare il magistrato nel vivo dell’esperienza e con

(65) Giustamente si e detto, in difesa del giudice unico: « Sı —e vero — il Collegio e una scuola, ma perche i magistrati non vengonoaddestrati con un severo tirocinio prima di essere ammessi adesercitare le funzioni? »: A. TORRENTE, Aspetti e soluzioni dellagiustizia nel processo civile, cit.

(66) Riprendo quindi l’idea espressa da P. PASCALINO, Aspetti esoluzioni della giustizia nel processo civile, cit., p. 25: « E evidentepertanto che l’attuale sistema di tirocinio dovrebbe essere sostituitoda un lungo periodo di addestramento presso il giudice d’appello (inmodo da far partecipare il giovane magistrato alle discussioni incamera di consiglio); da una adeguata rotazione presso i vari ufficidell’amministrazione giudiziaria, e da veri e propri corsi di perfezio-namento professionale ».

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cio a smaltire e a ridimensionare in senso appro-priato anche i bollori della gioventu, l’aggiuntodovrebbe sostenere un severo esame definitivo,scritto e orale; in particolare le prove scritte dovreb-bero consistere nella risoluzione in forma di sen-tenza di casi pratici, mettendo a disposizione delcandidato tutti gli strumenti dei quali normalmenteil giudice si avvale e cioe i libri e le riviste, peraccertare appunto quale sia l’attitudine del singolo,in condizioni normali, al decidere (67). Superatol’esame il magistrato verrebbe definitivamente as-sunto ed investito come pretore delle funzioni digiudice unico.

A questo punto si pone il problema dei modi dipassaggio del giudice dalla prima alle ulterioriistanze, dalla pretura al tribunale e quindi alla cortedi appello secondo la strutturazione qui prospettatao anche rispetto a quella attualmente esistente. Sipone il problema se convenga o no che vi sia unacarriera, cioe una progressione per gradi, dei magi-strati, sul quale si sono accese in questi ultimi annitante dilanianti polemiche nelle quali la questione estata vista e rivista sotto tutti i profili, in unatormentosa storia nella quale si sono fatti da partedel legislatore tutti gli esperimenti possibili senzacontentare mai del tutto gli schieramenti contrap-posti nell’ambito della magistratura associata e

(67) Vd. in questo senso, ottimamente, A. APPONI, L’indipen-denza della magistratura nella Costituzione della Repubblica italiana enelle norme di attuazione finora emanate, in Magistrati o funzionari?,cit., p. 3, in particolare a pp. 28-29 tuttavia in riferimento all’esamecome mezzo eventuale di selezione per la promozione.

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fuori. Non mi diffondero nell’illustrare i terminidella questione, limitandomi a riepilogarli e a riba-dire nelle linee essenziali quanto ebbi gia modo diosservare in proposito in precedenti scritti (68),anche perche l’opinione pubblica conosce ormaiquanto e essenziale in una polemica per molti versigia stantia. Anche qui prescindo dalle indicazionicostituzionali, anche perche esse sono del tuttocontraddittorie e ambivalenti e testimoniano di unagrossa mancanza di chiarezza in materia tanto deli-cata da parte dei padri costituenti; se l’art. 105 Cost.parla di promozioni demandando la competenza inproposito al Consiglio Superiore della Magistratura,il capoverso dell’art. 101 afferma che « i giudici sonosoggetti soltanto alla legge »; la proposizione puoavere un senso solo ritenendo che con essa si sianovoluti ripudiare i concetti di carriera e di superioritagerarchica, essendo vacuamente ovvio che il giu-

(68) Vd. I problemi della Magistratura italiana, ne « Il Muli-no », febbraio 1959, p. 43, in particolare pp. 82 e ss.; Cronache dellaMagistratura, cit.; Problemi della magistratura, in « Critica Sociale »del 5 e 20 aprile, 5 e 20 maggio 1961 (con lo pseudonimo A. Andrei).In particolare, contro il sistema nozionistico dell’esame, vd. A.APPONI, L’indipendenza della magistratura, cit., ove si osserva che lavera sapienza del giudice sfugge ad ogni esame perche deriva dallacapacita di applicare le nozioni ai fatti concreti: « Cio che nessunlibro e nessun massimario della cassazione puo dare ad un magi-strato, e la capacita di saper scegliere, di sapersi orientare, di sapercongiungere le controversie nella loro infinita varieta alla norma chele dirime. L’opera precipua del giudice e quella di valutare e discegliere (anche se valuta o sceglie la tesi proposta da un collega o daun avvocato) e il valore di questa opera si sottrae ad ogni esameteoretico ». E sempre contro l’esame v. la significativa presa diposizione dell’Unione dei Magistrati delle Corti (ora Unione Magi-strati Italiani) nell’opuscolo Studi e proposte sul sistema delle promo-zioni in Magistratura, Roma, 1961, pp. 12-13.

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dice, proprio perche tale, deve operare nell’eserci-zio delle sue funzioni solo avendo riguardo all’ob-bligo di dare attuazione, secondo il suo liberoconvincimento, al precetto di legge (69). In realtabasta scorrere i lavori preparatori per rendersiconto che i costituenti videro il problema in terminiassai angusti, avendo solo riguardo alla indipen-denza o no della magistratura dal potere esecutivo edal ministro per la giustizia, mirando la sinistramarxista, allora piu o meno convinta della suaimminente ascesa al potere, a conservare le prero-gative dell’Esecutivo e perseguendosi viceversa daparte della destra e del settore clerico-moderato,per la preoccupazione inversa in termini di prospet-tive politiche a breve scadenza, una piu ampiaautonomia del terzo ordine; essendosi cosı impo-stata la questione, il contrasto sfocio, su quel piano,nella consueta soluzione di compromesso, garanten-dosi nella sostanza l’indipendenza esterna dell’or-dine con l’istituzione del Consiglio Superiore emantenendosi pero il ministero per la giustizia,attribuendo al titolare la possibilita di esercitarel’azione disciplinare. Proprio a ragione di questa

(69) Sul problema discendente dalle contraddittorie proposi-zioni costituzionali, vd. in particolare L. CANEPA, L’indipendenzaistituzionale dei magistrati in relazione all’ordinamento processuale, inMagistrati o funzionari?, cit., p. 67, in particolare pp. 74 e ss. Suiproblemi dell’assetto costituzionale della Magistratura vd. in parti-colare G. MARANINI, Giustizia in catene, Milano, Ed. Comunita, 1964,ove in appendice trovasi la ben nota sentenza della Corte Costitu-zionale sulla legittimita della legge istitutiva del Consiglio Superiore;e su questa sentenza vd. in particolare la nota di E. CAPACCIOLI,Forma e sostanza dei provvedimenti relativi ai magistrati ordinari, in« Riv. it. dir. proc. pen. », 1964, p. 265.

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angusta impostazione, il problema venne implicita-mente esaminato avendo riguardo alla struttura-zione attuale del terzo potere e al tradizionaleordinamento del personale secondo una carriera,tutto risolvendosi sul punto della competenza, mi-nisteriale o no, in materia ed operandosi in defini-tiva solo un trasferimento di questa competenza alnuovo Consiglio Superiore. Non si mise quindi inquestione l’assetto tradizionale, ignorandosi in con-creto i problemi della indipendenza c.d. interna deisingoli magistrati; manco quindi quella assai piucomplessa impostazione che e venuta emergendosolo nel dibattito successivo e ancora in corso.

Ponendo la questione in termini sostanziali, sipossono distinguere grosso modo tre posizioni. Visono coloro che ritengono essenziale il manteni-mento della carriera, essendo logico che alle fun-zioni « superiori » accedano solo i migliori e i piupreparati. All’opposto vi sono quanti, sulla scorta diun indirizzo che annovera da sempre nomi illustris-simi, deprecano la sussistenza della carriera impli-cando essa tutte le distorsioni del deteriore carrie-rismo nei singoli e nell’ambiente, auspicando unsistema nel quale effettivamente il giudice nonabbia alcuna preoccupazione in proposito e quindinon sia indotto a ingraziarsi nessuno o a tenere uncerto atteggiamento al fine di non pregiudicare difatto la sperata promozione; di qui la proposta chesi acceda alle ulteriori istanze sulla base del criteriodella semplice anzianita. In mezzo vi sono quanti inastratto aderiscono alla tesi anticarrieristica, maritengono che in un sistema come il nostro, dinecessita basato sulla scelta iniziale di tipo burocra-

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tico col concorso tra i giovani laureati ancora com-plessivamente immaturi, debba di necessita conser-varsi qualche metro selettivo; in sostanza, secondoquesto orientamento mediano, si comprende comein Inghilterra non vi sia carriera per i giudici perchein quel sistema la selezione avviene pregiudizial-mente con la nomina, prescegliendosi gli avvocatigia affermati e preparati, mentre nel nostro paese ilpresupposto di base e assolutamente diverso equindi si impone in prosieguo quella piu accurataselezione che non puo per definizione aversi agliinizi (70).

A mio avviso e necessario partire da una consi-derazione che mi pare ovvia; la carriera non puoessere considerata come un mezzo indispensabileper il conferimento di funzioni superiori, semplice-mente perche e da contestare che le funzioni ulte-riori rispetto alla prima istanza siano di per sesuperiori o piu elevate o piu impegnative. Questaintrinseca superiorita non sussiste, tutto si risolveinvece nell’osservanza del principio che, al fine diperseguire la giustizia delle decisioni, e opportunoche di norma la controversia sia suscettiva di rie-same da parte di altri giudici, non costituendoaffatto, di per se, questo riesame un compito piu

(70) Vd. con estrema chiarezza in questo senso mediano V.CHIEPPA, Il sistema della progressione secondo l’Associazione nazio-nale magistrati, in Magistrati o funzionari?, cit., p. 625: « Tuttavia laeliminazione della carriera e delle promozioni richiede che l’assun-zione in magistratura — come avviene in America, in Inghilterra enel Canada — sia il punto di arrivo per professionisti (avvocati,docenti universitari, in genere esperti del diritto), che abbianoraggiunto per altre vie pienezza di responsabilita e di capacita ».

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impegnativo rispetto alla prima decisione. Anzi, sesi vuole, l’attuale giudizio di cassazione, quale giu-dizio di mera legittimita, e sensibilmente piu facile emeno oneroso di quello demandato ai giudici dimerito che debbono non solo esaminare il caso nellasua globalita, ma anche istruirlo; ed infatti a questacorte di vertice potrebbero benissimo essere avviatiin esclusiva giovani di buona preparazione e dinaturale attitudine meramente logica (cioe conse-guenziaria), cioe quei primi della classe che nonhanno sviluppato nell’esperienza concreta la loropersonalita e che non possono essere per defini-zione buoni giudici, proprio perche la sola erudi-zione pandettistica non significa di per se niente. Aprescindere quindi dalla constatazione che gia oggila promozione non importa affatto di necessital’affidamento di funzioni « superiori », perche si dail caso che il magistrato di tribunale promossomagistrato di appello sia destinato ad un ufficio i cuiprovvedimenti sono soggetti al sindacato di uncollegio nel quale sono in maggioranza i colleghinon promossi del promosso..., non c’e mai effettivasuperiorita di funzioni; il giudizio di primo grado eimportante quanto i giudizi ulteriori, anzi in uncerto senso e piu impegnativo proprio perche e inprima istanza che avviene, talora decisivamente,l’impostazione della controversia e si possono com-mettere errori e storture talora irrimediabili mal-grado gli ulteriori gravami; in questo senso sarebbeteoricamente piu giustificato affidare proprio il giu-dizio di prima istanza ai migliori per dare menolavoro alle istanze ulteriori, se non fosse assorbentela considerazione che la spinta verso le ulteriori fasi

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proviene, almeno nel processo civile, non dalladisinteressata volonta di ottenere la decisione piuesatta, ma dal contrasto degli interessi. Proprioperche non vi sono funzioni superiori e inferiori, lalogica dell’orientamento carrieristico esigerebbe in-vece un sistema volto non tanto a selezionare per lepiu impegnative funzioni, quanto ad espellere gliinetti e gli incolti ovunque essi si trovino ed inparticolare nelle prime istanze: l’osservazione di-venta ancor piu calzante in un sistema che eventual-mente elimini, come qui si e sostenuto, il giudizio dimera legittimita.

In realta la carriera potrebbe piu ragionevol-mente giustificarsi in un ben diverso ordine di idee,non di per se, non al fine del conferimento dellefunzioni c.d. superiori, ma come un incentivo af-finche i magistrati si premurino sempre, proprio aragione della esistenza di un sistema di promozioniassicurante vantaggi economici e di prestigio, diaffinare e completare la loro preparazione; vogliodire che in un sistema nel quale si passi da un ufficioall’altro per semplice anzianita, si puo essere indottialla pigrizia e puo verificarsi un generale abbassa-mento della preparazione dei magistrati, mentre sequel passaggio e congegnato in termini di promo-zione e di carriera, il sistema postula che tutti igiudici in virtu di questa desiderata eventualitacerchino di migliorarsi costantemente. In linea diprincipio, il problema si pone quindi in termini diuna precisa scelta politica tra un sistema nel quale,mancando la carriera, il giudice non abbia vera-mente niente da sperare o da temere per la suaposizione, cosı come avviene per i giudici inglesi, ma

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che comporti la mancanza di incentivo per il miglio-ramento, e un sistema che questo incentivo qualita-tivo comporti ma che con cio implichi una misurainferiore di effettiva indipendenza del giudice chesarebbe quanto meno non indipendente, non se-reno, non disinteressato rispetto alle prospettivepersonali di ulteriore avanzamento.

Per mio conto, pur non essendo insensibile,proprio per la concezione pessimistica dell’uomoche mi domina, al motivo della carriera-incentivo,mi sono fermamente convinto della opportunita,per piu ordini di ragioni, della soppressione inte-grale del sistema carrieristico, parendomi che inconcreto i vantaggi di questo sistema tradizional-mente comportino pero tali svantaggi che la bilancianon puo non pendere per l’altro sistema, che had’altro canto una giustificazione di fondo non tra-scurabile rispetto alle attese che la societa riponenel giudice. In linea di principio l’esigenza che ilmagistrato sia indipendente senza residui, ancherispetto alle sue passioni e ambizioni nonche allegittimo interesse di miglioramento materiale, epregiudiziale sul piano dell’interesse pubblico e ditale rilevanza che rispetto a questa fondamentalegaranzia non vale addurre inconvenienti di altrogenere che pur si possono lecitamente prospettare;per questo si impone che la posizione del giudice siaregolata in termini tali che egli, non avendo nienteda chiedere a nessuno per tutta la durata del suoufficio, da nessuno possa essere, direttamente oindirettamente, spinto a corrompersi nell’attesa diqualche vantaggio. L’essenziale e quindi che ilgiudice non abbia alcun serio motivo per autopro-

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stituirsi; ed in questo sta certamente la forza dellamagistratura di altri paesi, in particolare di quellabritannica. Ne mi pare logicamente corretto volertrarre dal ben diverso sistema di selezione dei nostrigiudici rispetto a quello inglese, la conseguenza didiminuire le garanzie di indipendenza; se e dalamentare che allo stato noi siamo costretti a tolle-rare, per le ragioni indicate, un sistema imperfettodi selezione iniziale, questa non e una buona ra-gione per cercare di risolvere il problema dellaselezione in prosieguo di carriera in condizioni talida minare l’indipendenza. Meglio conviene averegiudici del tutto liberi, anche se per qualche versobalordamente selezionati all’inizio, perche altri-menti avremmo giudici solo imperfettamente indi-pendenti e nel contempo un dubbio sistema diselezione ulteriore.

Infatti mi sono convinto che, una volta posticisul terreno tradizionale, e pressoche impossibileinventare un sistema che dia sufficienti garanzie diselezione dei migliori, in primis perche e problema-tico lo stesso concetto di migliore e su questo primopunto non e agevole intendersi. Non e ad esempiomigliore il magistrato che, essendo un pozzo dierudizione, giudica a vuoto, non e in grado, mal-grado la sua preparazione, di cavare un ragno dalbuco, non ha la capacita, decisiva, di passare dal-l’astratto al concreto, di operare quella sintesi didottrina e di inquadramento del fatto che e l’essen-ziale per la risoluzione dei vari casi, cadendo inpieno in quelle deficienze che Jhering mise allaberlina in Scherz und Ernst in der Jurisprudenz; none migliore chi non e in grado di sbrigarsi nel vivo del

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lavoro, di condurre innanzi un processo penale,facendosi ad esempio irretire nel giuoco delle abilidistorsioni e divagazioni difensive; non e migliorechi non e in grado di avvertire dove sta il centro diuna questione in termini risolutivi e concreti, pertacere in ogni caso delle valutazioni propriamentemorali. Altre sono le doti che si richiedono algiudice, a prescindere dalla condizione prima del-l’onesta: in primis molto buon senso, la capacita divedere il caso nella sua reale proporzione, di nonirretirlo in inutili divagazioni concettuali; se il giu-dice onesto ha questa dote, questo fiuto, ed e inoltredi media laboriosita, egli trova sempre la possibilitadi procedere ad un convincente inquadramentogiuridico del caso, puo prepararsi all’occorrenza perdistricarsi nella risoluzione di questa o quella que-stione. Per questo sono stato sempre risolutamenteavverso, d’istinto, con tutta la mia convinzione dimagistrato, alla promozione per esame, trovandoassurdo e ripugnante alle esigenze della professioneche si vada deliberatamente alla ricerca dei primidella classe e rifiutando a priori quella valutazioneglobale del soggetto per tutte le doti che gli sonocomplessivamente richieste: la preparazione, ilbuon senso, l’urbanita, lo spirito d’indipendenzaetc. Egualmente assurdo e il sistema che a lungoimpero e che ormai e stato felicemente abbando-nato, del concorso per titoli; sistema nel quale sipretendeva di selezionare sulla base delle sentenzee delle requisitorie, ma senza premurarsi quantomeno di controllare la bonta delle conclusioni edelle motivazioni sulla base degli atti del pro-

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cesso (71), tutto limitandosi alla considerazione dititoli formali che ogni magistrato di media intelli-genza e preparazione, se non e del tutto sprovve-duto, puo mettere insieme se non altro largamenteattingendo alle riviste e alla giurisprudenza, nellastessa guisa in cui lo studente universitario medioriesce a mettere insieme quel centone ormai supe-rato che e la tesi di laurea; sistema che facevadegenerare l’ambiente nella corsa al formalismo,inducendo il magistrato a ricercare talora dispera-tamente il caso elegante discettando sul quale fossepossibile far sfoggio sulla carta bollata pagata dalleparti di pura dottrina a vuoto, trascurando magarigli altri doveri di ufficio (72); sistema che poneva ingravi difficolta le commissioni esaminatrici per sce-gliere, tolta la pattuglia dei pessimi e dei « valoro-si », nella massa di tutti coloro che in sostanza,considerati per quei titoli, si trovavano allo stessolivello; sistema che comportava di per se una vera epropria gerarchia interna tra civilisti e penalisti, iprimi svolgenti un lavoro che comporta una mag-gior frequenza di questioni dottrinali, i secondirelegati nel limbo dei c.d. « fattisti ». Ora un sistemache comporta la distorsione da ultimo rilevata econdannabile di per se senza appello, poiche einconcepibile che siano automaticamente conside-rati magistrati di seconda categoria quelli che deci-dono della liberta e dell’onore dei cittadini; ed io ho

(71) Vd. G. PENNELLO, L’indipendenza dei magistrati in rela-zione alla loro carriera ed al sistema di promozione, in Magistrati ofunzionari?, cit., p. 66.

(72) In genere, sulla carriera come fonte di formalismo, vd. M.RAMAT, Mitologia giudiziaria, ne « Il Mondo » del 5 marzo 1963.

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ancora vivissima l’impressione che provai il giornoin cui in mia presenza un giudice di prim’ordine,maturato nella dura esperienza della corte d’assiseche con tratto impareggiabile presiedeva, prego ungiudice civilista di controllare se talune sentenzecivili che egli aveva avuto la ventura di preparare,ed in particolare una nella quale si trattava delblocco delle locazioni, avevano tutti i requisiti peressere decentemente presentate per il concorso,commentando alquanto coloritamente la necessitain cui si trovava. Di recente la situazione e alquantomutata, essendosi tornati al sistema gia esperimen-tato dello scrutinio, ma anche qui, pur esigendosi inteoria la considerazione globale della personalitadel candidato, l’accento cade, come e naturale, suititoli giudiziari (73), anche perche per tutto il resto

(73) Ed infatti vd. la puntuale testimonianza di L. AMMATUNA,Lo scrutinio speciale, in « Rassegna dei magistrati », 1964, p. 101 circail modo di procedere delle commissioni esaminatrici: « I lavorigiudiziari costituiscono l’elemento preminente per la formazione delgiudizio di promovibilita del candidato ed e, quindi, naturale che essidiano luogo ad una attenta e particolareggiata considerazione critica.A questo scopo il relatore, avvalendosi di propri appunti (checiascuno di noi conserva presso di se) espone per ogni lavorogiudiziario il proprio apprezzamento circa l’ordine, il modo e laforma della sua redazione con particolare riferimento alla proprietadel linguaggio, alla eventuale prolissita o alla chiarezza della partemotiva nonche alla coerenza logica e legislativa della soluzioneadottata per ogni singola questione — in una parola: il proprioapprezzamento in ordine al contenuto ed alla tecnica del documento,secondo quelle linee di proporzione e di compostezza che sonoproprie di ogni lavoro giudiziario. Sull’apprezzamento espresso dalrelatore si apre, per ogni singolo lavoro, la discussione fra i compo-nenti; e le obiezioni vengono chiarite, i rilievi vengono documentatianche mediante lettura di brani del titolo in esame e le soluzioniancora controllate non solo e non tanto alla stregua degli orienta-

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nessun serio elemento puo ricavarsi in genere dairapporti informativi dei capi d’ufficio, generosi contutti. Quindi anche l’impossibilita di trovare unsistema sufficientemente obiettivo rispetto a tuttiquelli finora esperimentati, convince della opportu-

menti giurisprudenziali, quanto e soprattutto sotto l’aspetto di ragio-nevolezza della motivazione e di congruita della sua soluzione inrapporto ai fatti di causa quali risultano enunciati dal titolo... » (ivi, p.102) ed oltre, p. 103, si afferma che rispetto ai titoli le ulterioricondizioni di carriera sono eventualmente integrative « ma in nessuncaso sostitutive ». Quindi considerazione in astratto dei titoli, senzaalcun preciso riferimento alla concretezza della lite, come se il giudicedi appello potesse giudicare del gravame senza conoscere gli atti dicausa, il che e a mio avviso un enorme, stupefacente sproposito. Masi tratta di una idea ben radicata; v. ad es. quanto disse il ministro on.Gonella (in Piano organico di rinnovamento della Giustizia, in« Rass. studi penitenziari », novembre-dicembre 1960, p. 24): « An-che in materia di concorsi per le promozioni bisogna tener presenteche l’attivita del magistrato si concreta nella sentenza o nellarequisitoria, ed e quindi opportuno che le sue qualita siano valutatein rapporto alla specifica capacita di tradurre sul terreno giuri-sprudenziale i principi e le norme di diritto ». Certo la sentenza eessenziale per giudicare della personalita del magistrato, ma inquanto sentenza, cioe quale atto conclusivo e riassuntivo dellavalutazione del caso, onde non puo essere adeguatamente valutata senon in rapporto a quel caso; nessuno ha mai acquistato una casaponendo esclusiva attenzione alla solidita e alla bellezza delle tegoledel tetto! Ma l’impostazione qui criticata si collega in realta ad unorientamento piu profondo, intrinseco alla nostra tradizione giuridicanella quale e sopravvalutato il momento della dissertazione formali-stica; l’orientamento che costituisce non a torto la testa di turco dellacritica di G. GORLA del quale vd. da ultimo Offerta « ad incertampersonam » (Saggi per un nuovo tipo di nota a sentenza), in « Foroit. », 1964, I, 433. Resta da vedere tuttavia in quali limiti possa esseresuperata questa tradizione che se c’e, c’e per complesse ragioniambientali e culturali che formano la sostanza medesima di unmondo; e quindi c’e sempre un limite obiettivo al superamentogiacche con trapianti dall’esterno talora si rischia di cadere dallapadella nella brace.

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nita di eliminare radicalmente il sistema delle pro-mozioni.

I laudatores temporis acti avrebbero forse ra-gione se essi potessero accampare la bonta deirisultati finora conseguiti; ma, al di la della facileretorica, e constatazione quotidiana che i migliorinon si trovano oggi, di necessita, nei gradi superiori:anche in appello, anche in cassazione, cosı come neitribunali e nelle preture, accanto a magistrati egregi,ve ne sono molti mediocri e taluni veramentescadenti e con tutti i sistemi finora escogitati, tuttoconcedendo alle lamentele ingiustificate di quantinon sanno acquietarsi nella loro relativa inferioritae protestano a torto per la mancata promozione,sono stati sempre registrati casi patenti di obiettivaingiustizia, il meno dotato che e passato innanzi alcollega veramente piu degno della promozione.Proprio perche l’accento cade di necessita sui titoligiudiziari facilmente acquisibili, facendo difetto glialtri elementi che dovrebbero consentire una valu-tazione seria e globale, non e da meravigliarsi se laselezione funziona alla rovescia in molte situazioni.Io ho constatato un caso nel quale un bravuomo diinfinita, crassa ignoranza, le cui espressioni di sa-pienza giuridica correvano come amene barzellettesulla bocca di tutti (come questa: « avvocato, ilsequestro glielo concedo, ma l’esecuzione imme-diata no ») venne promosso sulla base di titoli che sidicevano nell’ambiente in realta redatti da altri. Delresto, per smontare definitivamente la tesi carrieri-stica, sarebbe desiderabile che qualcuno, avendonetempo e modo, procedesse all’esame sistematicodelle sentenze della Cassazione per un solo anno, al

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fine di rendere evidente che vi si rinvengono difrequente autentiche perle, in uno stile che altret-tanto spesso non e certo molto decoroso per laposizione dell’alto collegio.

Ne e da tacere del clima che con un sistema dipromozioni, a torto o a ragione, si instaura nell’am-biente, come un certo servilismo verso i capi per lapreoccupazione di non inimicarseli, posto che adessi e affidato il compito di redigere il rapportoinformativo per la promozione (ma per fortuna irapporti sono tutti altamente elogianti per nonscontentare nessuno, come le qualifiche di fine annodegli impiegati pubblici, tutti ottimi, tutti esimi,senza alcuna menda; e un arguto presidente midiceva un giorno d’essere disperato avendo esauritol’arsenale degli aggettivi); la ricerca di protezione ebenevolenza presso i grandi baroni della magistra-tura romana e spesso, purtroppo, presso i politici,eventualmente rivolgendosi al deputato avvocatodella giurisdizione; una certa attenzione a non as-sumere atteggiamenti troppo indipendenti o chepossano essere riguardati sfavorevolmente; cosı ungiorno un magistrato impegnato in un delicatissimoprocesso che fece epoca, mi confido di aver pronun-ciato la requisitoria premurandosi di farla registrareal fine di non avere brutte sorprese o di poter parareeventuali attacchi in vista del prossimo concorso...Ora il sistema delle promozioni si condanna di perse se esso comporta, al di la del fondamento obiet-tivo delle preoccupazioni, un siffatto clima, se con-vince i singoli della opportunita di mantenere uncerto comportamento e di ingraziarsi questo oquello, perche e questo che turba l’ambiente e mina

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lo spirito d’indipendenza, cosı come sul piano poli-tico generale e al livello delle c.d. liberta di fattoquello che decide non e tanto o non e solo il regime,ma il clima del regime che tutto ammorba e distorcenella societa presa nel suo complesso, quel clima inragione del quale anche in una situazione di procla-mata dittatura ci si e indotti ad un servilismosovrabbondante. Basta cosı la mera possibilita diqueste distorsioni perche si debba condannare unsistema che contrasta con quanto la societa chiedesoprattutto al giudice: l’allontanamento dal suoanimo di ogni preoccupazione diversa da quella —suprema — di adempiere alle funzioni con spirito diindipendenza, nel rispetto della legge e secondo ilconvincimento che detta la coscienza.

Per tutto questo io sono risolutamente contrarioalla carriera; aggiungo che la sua soppressione sirivela oggi opportuna anche su un altro piano. Horicordato in precedenza come oggi il terzo ordineabbia perduto molto del suo prestigio avendo por-tato le sue diatribe interne in piazza, mentre eauspicabile che esso si trovi in una posizione taleche lo ponga al di sopra di ogni sospetto e di ogniintorbidamento, con quel certo aristocratico di-stacco rispetto alle vicende politiche e sociali che glie indispensabile. Per questo e opportuno rimuovereobiettivamente ogni ragione di lamentela, regolarela posizione del giudice in modo che esso non abbiapiu niente da chiedere. La carita di patria consigliaquindi che si faccia questo passo decisivo in modoche per il futuro la magistratura non abbia dacriticare se non se stessa, per il modo in cui, in pienaautonomia, si amministra e concorre a governare il

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paese; e su questo presupposto essa potra esseregiudicata dall’opinione pubblica, senza alcuna pos-sibilita di addurre giustificazioni.

A mio avviso, e auspicabile, come da molte altreparti si e sostenuto (74), che il magistrato non abbiapiu l’assillo di « progredire » per ragioni di carattereeconomico; il suo trattamento, fissato in ogni caso inmisura adeguata per favorire anche per questa vial’accesso in magistratura dei giovani piu prepa-rati (75), dovrebbe automaticamente migliorare in

(74) Vd. in particolare T. CARNACINI, Come intendere lo sgan-ciamento dei magistrati, in « Riv. trim. dir. proc. civ. », 1962, 1479 edel medesimo A. la recensione al volume Magistrati o funzionari?,cit., ivi, 1963, 1121.

(75) Per quanto attiene al trattamento economico dei magi-strati si debbono toccare anche qui note assai dolenti. E evidente chequesto trattamento deve essere fissato in modo che siano attratti allaprofessione i piu preparati tra i laureati in diritto; e poiche la mediadelle persone mette nel calcolo delle scelte queste considerazioni, sesi vuol procedere realisticamente e opportuno che il trattamento delgiudice non sia inferiore ai vantaggi materiali ai quali puo aspirare,nello specifico mercato di lavoro, chi sia meglio dotato; il termine diconfronto e quindi rappresentato dai cespiti medi dei miglioriavvocati. E questa una verita che e facile intendere, ma alla quale, permancanza di decisa volonta politica, e difficile essere coerenti neglisvolgimenti sotto la pressione del gran calderone del pubblicoimpiego. Se e vero che e doveroso assicurare a tutti un trattamentodignitoso, se e vero che in linea di massima e auspicabile che la P. A.si serva dei migliori in tutti i campi, e anche vero che nellavalutazione comparativa la considerazione dello specifico mercato dilavoro non puo mancare. Nei fatti il militare non ha termini diconfronto nel mercato privato cosı come e assai scarsa la zonacompetitiva per chi aspiri all’insegnamento nelle scuole medie di ognitipo; il magistrato cioe il laureato in diritto si trova, volenti o nolenti,in diversa situazione obiettiva. E quindi inevitabile che il giudice siapagato di piu rispetto a certe categorie; cosı come sarebbe del tuttologico che fossero pagati piu del giudice quei magistrati tecnici deiquali ho in precedenza discorso nonche, ad es., i funzionari tecnici gia

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ragione della anzianita di servizio, quali che siano lefunzioni ricoperte. Il passaggio dalle preture ai

assunti dalla P. A. come gli ingegneri del genio civile se non si vuoleanche qui reclutare gli scarti della libera professione o dell’impiegoprivato, mentre nello specifico mercato di lavoro il giurista mediovale assai meno del tecnico medio proprio per il maggiore gettito. Difatto lo Stato si trova nella pratica incapacita di attenersi a questocriterio e si registrano le sperequazioni piu smaccate nel campo delpubblico impiego in senso vasto, includendo nella considerazione,come deve farsi, il settore degli enti parastatali e delle aziendeautonome. Il primo presidente della corte di cassazione non ha oggineppure lontanamente il trattamento che, a quanto si dice, e riservatoad un modesto burocrate di certi enti e aziende e perfino di certeminori banche locali, mentre gran parte della opinione pubblica econvinta della favolosita degli stipendi dei giudici perche ignora chei giudici percepiscono solo lo stipendio sia pure relativamente elevatoe in piu la sola modestissima aggiunta di famiglia. E cosı spesse voltemi e stato detto che i magistrati percepiscono una certa « indennita ditoga » che io, nei miei anni di servizio, non ho mai visto! (su questiaspetti del problema vd. S. BORGHESE, Il trattamento economico deimagistrati, in « Riv. trim. dir. proc. civ. », 1960, 1578; ID., Declassa-mento dei magistrati, ivi, 1962, 1476). E la cosa piu grave e che non sisa niente di preciso in proposito; nei miei anni di servizio, quandoraramente partecipavo alle assemblee di categoria, sentivo spessodotte dissertazioni volte a dimostrare che i militari ad es. guadagna-vano assai di piu, mentre fuori di quelle assemblee mi sentivo direspesso l’esatto contrario. E manca, a quanto so, una obiettivaindagine in materia, una indagine alla quale dovrebbe attendere unqualche istituto universitario obiettivo e sulla base della quale fossepossibile fare confronti risolutivi; forse questa deficienza e da colle-gare alla circostanza che di certe cose non conviene a nessunoparlare, tolti i casi in cui scoppia lo scandalo insultante.

Tuttavia, fermi i criteri di sostanza sopra ribaditi, io non ho maiben capito la trasposizione in termini economici della questione dellatotale indipendenza dei giudici, essendo ben noto come la famosalegge Piccioni del 1951 sullo sganciamento economico della magistra-tura dal settore generale del pubblico impiego sia stata consideratacome il primo passo verso l’attuazione dei principi costituzionali. Esempre per i principi costituzionali venne a suo tempo giustificato edisposto il c.d. « scorrimento » della carriera, cioe la eliminazione deiquattro scatti di stipendio in precedenza stabiliti per i magistrati di

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tribunali e quindi alle corti di appello dovrebbeessere deciso sulla base di una valutazione globale

tribunale, allineando tutti all’ultimo scatto; tutto, lo concedo, puo farbrodo in una battaglia sostanzialmente esatta, ma la relazione traprincipi costituzionali e scatti quadriennali di stipendio mi e sempreparsa quella classica del cavolo con la merenda, quasi che qualcheprincipio della Carta impedisse al legislatore di stabilire infiniti scattidi stipendio in relazione alla anzianita nella qualifica. A parte quindila constatazione assai diffusa che con questo giuoco all’autonomia...economica i magistrati sono in definitiva risultati in perdita nellavalutazione comparativa rispetto alle altre carriere, io sono dell’ideache, a prescindere dalle particolarita funzionali di stato giuridico,tutti coloro che prendono un centesimo dallo Stato dovrebberoessere tutti inquadrati in una precisa, unitaria filza, dal presidentedella Repubblica fino al piu modesto netturbino o inserviente,naturalmente collocando ciascuno al posto giusto, di guisa che,aumentando di un millesimo lo stipendio a chi si trova nel gradino piubasso, automaticamente dovrebbe aumentare di tanto lo stipendio ditutti. Certo e difficile procedere a questa unificazione tabellare,perche assisteremmo al piu feroce contrasto circa il rispettivo valoredelle funzioni in rapporto al grado assegnando; ma fin quando non sisara capaci di tanto le cose andranno caoticamente tra chi tira da unaparte e chi dall’altra, complicando la situazione e producendo quellostato di generale ignoranza che ho lamentato. Per questo, se sonofavorevole alla giusta retribuzione di ognuno, sono risolutamentecontrario alle autonomie di ogni tipo in materia e ai trattamentiparticolari. Ma purtroppo circolano le idee piu confuse e piu perico-lose, come quando si prospetta l’autonomia economica del terzopotere (v. P. GLINNI, Tre punti, in « Terzo Potere », marzo-aprile 1962:« Colgo l’occasione per sottolineare il disagio dei magistrati, i qualicostituiscono un potere dello Stato nel dover ad ogni occasionebussare alle porte della finanza statale, laddove sarebbe piu dignitosoche la materia fosse regolata dall’organo di governo della Magistra-tura che e il Consiglio Superiore »), quando poi la pretesa idearisolutiva si risolve in ben poco, nel classico topolino partorito dallamontagna, se e vero che non si ha il coraggio, come sarebbe logico,di attribuire al terzo potere la potesta impositiva al fine di ricavare leentrate necessarie per garantire a tutti i magistrati il « giusto »trattamento, ripiegandosi su una ben piu modesta ed insignificanteautonomia contabile giusta la quale i fondi erogati in base alla leggedovrebbero essere amministrati e ripartiti dal Consiglio Superiore

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del soggetto e a mio parere, ribadendo un’idea piuvolte espressa, c’e un solo sistema che consentesiffatta valutazione nella cerchia delle persone cheessendo impegnate nell’ambiente possono agevol-mente compierla: un sistema cioe di elezione-cooptazione. Quando si deve provvedere, ad esem-pio, per la nomina di un giudice di tribunale, lascelta dovrebbe avvenire con il voto di un collegiocomposto dai pretori della giurisdizione e dai giu-dici del tribunale interessato, concedendo a questiultimi due voti; per mio conto non sarei nemmenoalieno dal chiamare alla votazione anche una certarappresentanza degli avvocati che sono nel con-tempo estranei alle diatribe interne ed i migliorigiudici dei giudici. Mutatis mutandis si dovrebbeanalogamente provvedere per la copertura dell’or-ganico delle corti di appello. Sarebbe anche oppor-tuno porre la regola che il prescelto deve essere inservizio come pretore nella giurisdizione interessatada un certo tempo, almeno da cinque anni, cosıcome sarebbe opportuno porre anche nell’attualesistema la regola che si deve reggere l’ufficio, senzapoter ottenere tramutamenti, per almeno un quin-

(vd. D. PONE, L’autogoverno economico della Magistratura, a curadell’Associazione Naz. Magistrati, Roma, 1964); dopo di che, vistoche con la progettata riforma i fondi non crescerebbero essendoprincipio elementare che la legge dispone in materia, avremmol’ulteriore complicazione di poco edificanti diatribe in una famiglianella quale non c’e certo sovrabbondanza di reciproco affetto ecomprensione! E quindi, abbandonando le inutili utopie, si perseguainvece un assetto organico ed ordinato in tutto il settore del pubblicoimpiego, avendo il coraggio di attribuire a ciascuno il suo da partedell’organo rappresentativo della sovranita popolare o, piu prosaica-mente, del contribuente.

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quennio, bloccando comunque la situazione al ses-santacinquesimo anno di eta; e questo per impedirein particolare quei frequenti tramutamenti che sonodisposti unicamente per soddisfare le legittimeaspettative dei singoli, ma senza alcun riguardo alleesigenze di ufficio (si e avuto un primo presidente diCassazione per un giorno!), perche e ovvio che chiresta in determinate funzioni solo per un tempolimitato puo appena orientarsi senza lasciare trac-cia. Ed e singolare che a queste folleggianti pre-senze si acconcino coloro che almeno ufficialmentesono tanto preoccupati della strutturazione tradizio-nale e della conservazione, in particolare, delleattuali gerarchie, ritenute indispensabili al buonfunzionamento degli uffici; chi pensa in siffattitermini dovrebbe essere coerentemente pervaso dauna volonta di presenza e di controllo che e invecefrustrata in radice da questo consueto girovagare dipersone che, oltre tutto, dovrebbero trovare neinaturali acciacchi dell’eta che indebolisce il corpo eintorbida la mente la spinta per far tesoro delleresidue energie senza disperderle quali farfalle chevanno trascorrendo di fiore in fiore. Ma in realtatutto si risolve in una schermaglia formale, dalleopposte sponde, ben pochi essendo disposti a farseguire alle teorizzazioni i fatti, ma piuttosto es-sendo inclini a teorizzare sulla base delle proprieindividuali esigenze (76).

(76) E cosı chi avversa la strutturazione del terzo poteredelineata nella Costituzione ed e contrario al c.d. appiattimentoegualitario in nome della ben nota gerarchia dei valori, riproponetalora il metro egualitario dell’anzianita e si dimentica della selezionedei migliori quando sia in giuoco il ristretto interesse di coloro che si

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Non credo che il sistema di progressione da mecaldeggiato tolga al magistrato l’incentivo per desi-derarla e quindi per fare tutto il possibile permigliorare e per primeggiare al fine di essere possi-bilmente prescelto. L’uomo non vive di solo pane,ma, purtroppo, anche di ambizioni piu o menogiustificate nonche del desiderio di evitare mortifi-cazioni. Ora la sistematica esclusione dalla progres-sione per il voto non favorevole dell’apposito col-legio, trovandosi comunque, almeno nell’opinionecomune, il giudice di appello in posizione di piuelevato prestigio rispetto al giudice di tribunale e alpretore, costituisce certo una mortificazione, men-tre la vittoria nel cimento elettorale soddisferal’amor proprio, dara lustra e prestigio.

La lustra ed il prestigio, pur non collegate adalcun vantaggio materiale, sono spinte sufficientiper lo scatenamento delle umane passioni, comel’esperienza ampiamente comprova, anche laddovenon ci dovrebbe essere serio motivo di contesa. Lavita sociale e largamente costituita di effettive o

trovano in alto; vd. ad es. l’articolo di G. NIGRO, Il ConsiglioSuperiore della Magistratura, in « Rassegna dei magistrati », 1962, p.79, nel quale si attacca la nuova istituzione, lamentando pero che lalegge istitutiva del Consiglio Superiore consenta, per quanto attieneal conferimento degli uffici direttivi, di poter prescindere dall’anzia-nita: « Sicche Magistrati che abbiano diritto ad essere valutati perconferimento di posti direttivi (diritto che sorge dalla situazione diruolo) si trovano bloccati e troncati nella loro legittima aspettativa,sol perche a Ministro e Commissione non e parso di proporli ». E seanche e vero che l’A. parla semplicemente di un « diritto » ad essereproposto e valutato, libero il C. S. di prescegliere tra i piu anziani nelruolo il migliore, c’e nella sua argomentazione, in definitiva, quellastessa logica che informa le tendenze egualitarie della « bassa »magistratura, la logica cioe della mera anzianita.

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presunte gerarchie di fatto che si stabiliscono negliambienti e nelle situazioni piu impensabili. Ricordoin proposito un gustoso episodio; in un luogo divilleggiatura si accese un giorno una vivace discus-sione tra due magistrati di tribunale, uno con fun-zioni di pretore e l’altro di sostituto procuratoredella Repubblica, provocata da una certa naturalealbagia del secondo che voleva dimostrare comeegli fosse in effetti in posizione preminente rispettoai pretori e allo stesso tribunale, potendo egliimpugnare le sentenze dei primi e del secondo; ladiscussione venne troncata da un terzo magistratoche agghiaccio il sostituto facendo rilevare a costuiche egli aveva quindi lo stesso rango dell’avvocatoX (e indico il piu sprovveduto e strampalato avvo-caticchio locale) che aveva le stesse possibilita digravame! Tutto sommato, col sistema di elezione-cooptazione, superato il problema del trattamentoeconomico, avremmo sempre, per quello che puovalere ai fini dell’interesse generale per il progres-sivo miglioramento dei giudici, un incentivo e pre-cisamente quello in pratica meno pericoloso e menosuscettivo di contestazioni e di lamentele, giacche lasituazione psicologica del candidato sconfitto alleelezioni e assai diversa da quella di colui che non hasuperato un esame o un concorso, proprio per ladiversita del contesto. Il sistema non attenterebbecomunque alla indipendenza del giudice, posto chee praticamente impossibile farsi influenzare nelleproprie scelte dalla preoccupazione di ingraziarsi lamaggioranza di un collegio composto di alcunediecine di persone. Infine il corpo dei magistratirealizzerebbe in un certo senso un integrale auto-

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governo, portando l’intera ed esclusiva responsabi-lita delle scelte; l’espediente oggi assai comododelle lamentele contro il potere politico, contro ilministro, contro gli alti gradi della magistratura,contro questo o quel clan sarebbe spezzato inpartenza, tutto dovendosi risolvere nella cerchiadell’eletta famiglia.

A questo punto si pone il problema dei capi, seconvenga o no mantenere il sistema attuale in virtudel quale alla testa degli uffici giudiziari sono postimagistrati di grado piu elevato rispetto a quelli chevi sono inseriti con funzioni corrispondenti allaqualifica, sostenendosi da molte parti che questosistema burocratico va rimosso, introducendosi laregola che i dirigenti debbono essere scelti daigiudici addetti all’ufficio, con metodo elettivo. Que-sta richiesta e formulata per eliminare i residui dellastrutturazione burocratica del terzo ordine, perrealizzare completamente la c.d. indipendenza in-terna ed in nome di un comprensibile principiodemocratico; e si porta a suffragio l’esempio dellefacolta universitarie nelle quali i professori eleg-gono nel loro seno il preside con mandato tempo-raneo, cosı come il plenum dei professori di tuttol’ateneo elegge il rettore. Confesso, ancora unavolta ripetendomi, che, a prescindere dalle imposta-zioni astratte di principio, la tesi non mi convincemolto e soprattutto non mi persuade l’esemplifica-zione, essendo ben noto come funzionino in generele facolta universitarie nelle quali il preside e spessoassai meno di un primus inter pares, manca delminimo di autorita, non e in grado di esercitarealcun serio controllo sui colleghi che fanno quindi il

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loro dovere o lo tralasciano secondo quanto dettaloro la coscienza. In sostanza le autonomie fanno ingenere, nel nostro paese, cattiva prova, di normaconsentono la piu ampia anarchia individualistica emolti abusi. Ma questa mia perplessita non puoessere tradotta, purtroppo, in una radicale opposi-zione alla proposta, anche se essa non puo entusia-smarmi. Dico purtroppo perche, sul piano dellafunzionalita del servizio, il sistema attuale non servea niente, i capi degli uffici, lungi dall’adempiere alloro dovere di controllo e di stimolo, di normabellamente se ne disinteressano, fatte salve alcuneveramente rare eccezioni; e eccezionale che un capoimponga ai giudici l’osservanza dei termini e deidoveri formalmente posti cosı come e ancor piueccezionale che esso provochi l’azione disciplinarenei casi, non scarsi, nei quali essa sarebbe giustifi-cata. Il tipo medio del capo e quello del classicobuon uomo che non vuole far del male a nessuno,che tutto tollera e sopporta, che per tutti trova, neirapporti informativi, la possibilita di tessere elogisperticati e senza alcun fondamento obiettivo. Ilcapo quindi, ad eccezione di quei casi invero rari incui opera deteriormente facendosi strumento diillecite pressioni (77), e veramente una brava per-

(77) Sul conformismo delle camere di consiglio vd. la testimo-nianza di A. PERONACI, La crisi della giustizia, cit. E circa leresponsabilita dei capi sull’attuale disservizio, vd. G. A. RAFFAELLI,Ordine e disciplina nell’ordine giudiziario, in « Rassegna dei magi-strati », 1964, p. 296. E circa la validita del riferimento universitariovd. A. C. JEMOLO, Pochi i colpevoli molti gli apatici, ne « La Stampa »del 10 agosto 1965: « E quale mai facolta universitaria insorge controil collega pelandrone (rara avis, ma non specie ignota)? E questa

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sona nell’accezione corrente del termine; e la miaesperienza mi insegna che per capo buono si in-tende il capo lassista, quello che vive e lascia vivere,mentre per capo cattivo si intende colui che intendeesercitare nei fatti il sacrosanto suo potere di con-trollo. La causa dei capi che non servono a nientenon puo quindi commuovermi; ne sarei convinto,proprio perche sono portato a porre sempre l’ac-cento sulla funzionalita degli uffici e a disdegnare lesoluzioni piu favorevoli ai comodi individuali, seavvertissi dietro questa campagna difensiva dei c.d.conservatori la ferma volonta di reggere gli ufficicon pugno prussiano, senza lasciarsi frastornare daconsiderazioni astratte di pura democrazia. Ed al-lora, se i capi non servono, se essi sono di massimacorresponsabili dell’attuale disservizio, tanto valeeliminarli e poiche non e pensabile nemmeno unqualche altro espediente funzionale pur teorica-mente ammissibile (ad esempio, quello di affidare ladirezione burocratica degli uffici ad un funzionarionon magistrato nominato dal ministro per la giusti-zia e verso il ministro responsabile), tanto valeaccogliere la proposta innovativa e rimuovere cosıanche questa ragione di malcontento, giustificato ono. La mia adesione e quindi dettata unicamentedalla convinzione che, rebus sic stantibus, le cosedella giustizia non peggiorerebbero molto rispettoalla situazione attuale, onde, disservizio per disser-vizio, e preferibile dar libero sfogo alle istanze piu

realta attuale che spinge me, poco propizio a pensare per universa-lia, ad essere contrario a tutte le forme di autogoverno nell’Italiad’oggi ».

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« aperte » e piu « democratiche » licenziando chinon serve e risparmiando qualche milione. Ma siadotti un correttivo, per vedere se almeno perquesta via possa ottenersi qualcosa; elezione deicapi, ma non con mandato temporaneo, bensı sinedie e quindi, se non sopravviene la progressione adaltro ufficio, anche a vita. E questo nella speranzache il capo elettivo, non dovendo accattivarsi ilfavore dei colleghi per la rielezione e avendo co-munque ottenuto da costoro, una volta per tutte,tutto quanto poteva sperare rimanendo in quell’uf-ficio, sia preso dalla funzione e possa quindi assicu-rare il buon funzionamento dell’ufficio senza essereindotto a colpevoli compiacenze, senza guardare infaccia nessuno.

Se fosse possibile strutturare il terzo potere neitermini che ho prospettato, se inoltre si eliminasse ilproblema della carriera e si accogliesse, sia pure perdisperazione, l’elettivita dei capi, in pratica si svuo-terebbe in larga misura il problema oggi assaidibattuto del Consiglio Superiore, proprio perchel’edificio verrebbe ricostruito alla base su principiassai diversi da quelli attuali. Oggi il problema delConsiglio Superiore appare esasperato e polemicoperche, con scarsa preveggenza, si e iniziato aricostruire dal vertice, dal tetto, sovrapponendo ilnuovo organo di autogoverno alla struttura tradi-zionale; se si provasse a percorrere ab imis e piucorrettamente la strada inversa, ci si renderebbeconto che si puo semplificare, e notevolmente, alvertice. In pratica, in un sistema snellito, senzacarriere e senza capi burocraticamente sovrapposti,i compiti del Consiglio Superiore si ridurrebbero

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alla necessita di provvedere per il concorso inizialenonche per il concorso di definitiva immissione inmagistratura; il Consiglio dovrebbe poi controllarela regolarita delle operazioni svolte per la progres-sione nelle funzioni nonche la regolarita delle ele-zioni dei capi risolvendo eventuali contestazioni;dovrebbe curare la nomina dei giudici onorari efunzionare infine da corte disciplinare. Per tuttoquesto non e necessario un organo pletorico comel’attuale, ne e necessario scomodare il presidentedella repubblica per una presidenza piu o menosimbolica; sette, nove, al massimo undici personesarebbero sufficienti per amministrare una ristrettacategoria che non supera oggi, se non vado errato,le seimila unita; il Consiglio, sempre funzionandounitariamente, potrebbe anche funzionare diretta-mente come commissione giudicatrice per i dueconcorsi iniziali. Naturalmente tutto questo richie-derebbe un impegno assorbente, adeguatamentecompensato, a prescindere dalla questione del trat-tamento economico, dalla elevatezza della funzione,trattandosi di garantire al paese una buona magi-stratura; funzione che puo quindi essere consideratada ogni cittadino come una delle piu degne edonorevoli. Si potrebbe anche introdurre la regoladella elezione a vita all’alto incarico, anche perridurre al minimo le competizioni elettorali che, sesono talora indispensabili, turbano un ambiente cosıdelicato come quello della magistratura; e perquanto attiene alla composizione non sarei alienodall’introdurre una prevalenza di laici nel consesso,perche i laici, essendo estranei all’ambiente, megliopossono giudicarne per un mandato commesso dagli

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organi attraverso i quali si esprime la sovranitapopolare a servizio della quale si trovano i giudici;infine, i componenti togati dovrebbero essere elettida tutto il plenum dei magistrati, svuotandosi, per ilnuovo complessivo assetto della magistratura, iproblemi oggi dibattuti della rappresentanza dellevarie categorie, a stati generali.

Ma ogni riforma, anche la meno imperfetta, saravana se non mutera il costume e se in particolaretutti coloro che sono investiti di un pubblico ufficionon cercheranno di compiere senza residui il pro-prio dovere, anche quando questo comanda dinuocere alla pecora nera. Oggi, ovunque, gli impie-gati pubblici in genere, ivi compresi i magistrati,sono come ispirati da un criterio guida inespresso;ch’essi sono, per dure necessita della vita, legati aduna barca che non ha pilota e sulla quale essidebbono cavarsela, arrecandosi reciprocamente ilminimo disturbo possibile; di qui la falsa pieta, lareciproca indulgenza, la quasi congenita impossibi-lita di pensare all’interesse obiettivo della cosapubblica che deve sovrastare i singoli (78), la man-

(78) Mi ha sempre colpito la carica di umanita e di fraternitache negli ambienti burocratici quasi sempre si dimostra verso ilcollega colpito da qualche disavventura, ad esempio caduto in gravemalattia che lo tiene in concreto lontano dall’ufficio per lunghiperiodi, in tale situazione facendolo figurare fittiziamente presente; etalora sono rimasti in servizio magistrati ormai distrutti dall’eta edalla malattia, incapaci di attendere all’ufficio con media diligenza.Comprendo questa spinta umana, che tuttavia avrebbe un precisovalore morale se essa non si realizzasse in danno di un terzo; la caritae meritoria quando si pone mano al proprio portafoglio, non a quellodegli altri. Sta qui la costituzionale inferiorita dell’impresa pubblica,almeno nel nostro paese, rispetto a quella privata, proprio per

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canza, in conclusione, di quel senso dello Stato chealtro non e che il ben inteso interesse del tutto e ditutti. Ecco perche in queste riflessioni non sonomancate le note amare che non potevano onesta-mente mancare, dettate come sono da un altissimoconcetto della funzione del giudice nella societa edall’augurio che la magistratura possa rappresen-tare sempre di piu un pilastro essenziale nella vitadel paese. Ed infatti nella vicenda della nazione, seper le vicissitudini del potere politico passa il fiumedella storia che di momento in momento diversa-mente varia senza che nessuno di questi successivicolori possa sperare di definitivamente fissarsi, lamagistratura rappresenta al contrario quello che c’edi immodificabile e di eterno nella convivenza ci-vile, specialmente quando essa si sostanzi in unreggimento democratico; la magistratura sintetizzaistituzionalmente la prevalenza del momento costi-tuzionale per quanto concerne in particolare l’os-servanza delle regole del giuoco tra le varie aspira-zioni ideali e i contrastanti interessi.

Per questo ogni cittadino pensoso del pubblicobene invoca una magistratura che lungi dall’esseretimida e pavida, umiliata e dilaniata da meschiniproblemi di assetto e da lotte interne, sia viceversa

l’impossibilita che qualcuno dia corpo ed anima a quell’entita imma-ginaria che e lo Stato; tanto che un illustre magistrato, confidandomiun giorno come procedevano le cose nella corte nella quale espletavale funzioni di presidente, mi disse argutamente che se egli, uomo dirara laboriosita, avesse potuto prendere in appalto l’ufficio, le cosesarebbero andate benissimo, sbrigandosi il lavoro con la meta delpersonale al quale si sarebbe potuto riconoscere un trattamentoeconomico raddoppiato!

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costituzionalmente assisa su basi ben ferme, conuna strutturazione funzionale, con un assetto in-terno che faccia di ogni suo componente un uomorispettoso dei principi e delle leggi e in questadirezione libero e deciso, severo verso gli altriavendone la giustificazione morale per la severita elo scrupolo col quale adempie ai suoi doveri, mo-dello di civiche virtu in tutte le manifestazioni dellasua vita, pubblica e privata; se tali saranno le cellule,tale sara in corrispondenza il tutto. E non c’edubbio che molte cose potranno cambiare in Italia,potra ottenersi un miglior assetto civile col progres-sivo miglioramento del costume, se la magistraturaesercitera del tutto, come le e possibile, i suoiimmensi poteri. Ho gia detto che tutto sommato ilgiudice medio italiano e un buon giudice, nondisposto a barare con la coscienza; si vorrebbe chequel pizzico di negativo che c’e in questo giudiziovenisse meno, che vi fossero giudici ottimi fino infondo, non in un certo senso disposti a scusare perscusarsi, ma severi ed implacabilmente decisi. Ilgiorno in cui tutti reciteranno senza pieta malintesala parte che la legge loro commette, il miracolo piuvero di una Italia avviata non solo alla prosperitasociale ma anche ad un piu civile assetto sara sulpunto di verificarsi. Queste pagine sono state det-tate in questa precisa disposizione dell’animo (79).

(79) Questo saggio e stato scritto nell’estate del 1965, cosıappassionatamente impiegando i periodi, ahime frequenti, di forzatacostrizione casalinga imposti, tra le montagne dolomitiche, dall’incle-menza del tempo. In questo periodo di oltre un anno tra la stesura ela pubblicazione, il contesto rispetto al quale ho ragionato e meditatonon e, ovviamente, mutato. Pertanto mi limito qui a ricordare i fatti

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piu salienti meritevoli di menzione tra la fine del 1965 e questo iniziodel 1967.

Gran scalpore suscito, a fine 1965, il dodicesimo congressonazionale dei magistrati promosso in Gardone Riviera, nei giorni25-28 settembre, dall’associazione nazionale magistrati, sul tema« Funzione giurisdizionale ed indirizzo politico nella Costituzione »,sulla base di una relazione generale di G. Maranini e di altrenumerose relazioni particolari (vd. l’opuscolo dallo stesso titolo editonell’occasione dall’A.N.M.). Una larga parte dell’opinione pubblicasi allarmo, vedendo i magistrati discettare in termini di indirizzopolitico. In realta, le conclusioni pratiche furono assai modeste,contenute nei limiti della funzione istituzionale del terzo potere, inesse ribadendosi soprattutto l’esigenza di dar puntuale corso, nell’at-tivita interpretativa, ai precetti costituzionali. Si tratto quindi, inconsiderazione di questo concreto svolgimento del congresso, di unfalso allarme, tuttavia ampiamente giustificato dai promotori met-tendo in giro, con la prospettazione del tema in quei termini, unapreoccupazione non infondata e gravemente equivoca. Cercai didimostrare altrove, in un articolo il cui titolo, redazionalmente scelto,non fu certo molto felice (vd. Giudici senza carriera, in « Leader », n.22 del 1965), come quella impostazione fosse del tutto discutibile ecome, nella prospettazione del Maranini, si confondessero problemisostanziali assai diversi (e vd. infatti, nell’opuscolo citato, p. 29, la bendiversa relazione di P. Barile e di L. Bianchi d’Espinosa, sul Giudiziodi legittimita).

Nel frattempo la situazione associativa dei magistrati italiani hasubito ulteriori complicazioni. Mentre l’U.M.I. ha tenuto, nel maggiodel 1966, il suo primo congresso a Terracina (vd. il resoconto in« Rassegna dei magistrati », giugno 1966), l’A.N.M. si e andatadividendo in tre correnti tra le quali il contrasto e assai forte, come eemerso quando si e trattato di procedere, nei mesi scorsi, allasistemazione degli organi direttivi dell’associazione e alla nomina delpresidente. Praticamente si contrappongono una sinistra, una destraed un centro, per un processo distintivo reso, a mio avviso, inevitabileper le punte estreme assunte da taluni gruppi. Ma e un giudizio cheesprimo con cautela perche, estraneo ormai all’ordine, forse misfuggono diversi aspetti e situazioni indispensabili per un motivatogiudizio, anche se, grosso modo, le mie simpatie vanno per l’ala piumoderata del complesso schieramento. Mi e parso, inoltre, di poterregistrare in alcune recenti manifestazioni i primi sintomi di un climameno surriscaldato.

Per quanto attiene ai problemi della carriera, e stata di recenteemanata una legge (25 luglio 1966, n. 570, detta comunemente legge

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Breganze dal nome del parlamentare proponente) sulla nomina amagistrato di corte di appello. Praticamente con questa legge ilpassaggio diventa pressoche automatico, essendosi anche introdottoil principio della progressione indipendentemente dalla vacanza deiposti assegnabili, di norma, ai magistrati di appello (art. 6). E, infatti,da prevedere che quasi mai sara espresso dai consigli giudiziari ungiudizio negativo sul magistrato ai fini della progressione, per quelleconsiderazioni che ho fatto ripetutamente nel testo. Comunque, equesto, di fatto, un passo avanti, incerto e contorto, rispetto all’obiet-tivo finale della abolizione della carriera. Per una critica assai severadella nuova legge, vd. S. VISTA, Gradi e funzioni della legge Breganze,in « Rassegna dei magistrati », luglio-agosto 1966, p. 367.

Malinconicamente, l’episodio piu grosso nel corso del 1966, sulpiano dei problemi qui considerati, e stato quello milanese delfamoso processo della « Zanzara », sul quale indubbiamente visarebbero tante cose da dire, nel merito e fuori del merito, sul pianostrettamente giuridico e in termini etico-civili. Mi limito a dire che, daambedue le parti (e mi riferisco, purtroppo, alle parti « interne » alterzo ordine), vi e stata molta deficienza sul piano dello « stile »,soprattutto perche pare che si sia deliberatamente operato per dareall’episodio giudiziario soverchia risonanza. Proprio rispetto ai fattiche piu emotivamente muovono l’opinione pubblica, sarebbe inveceauspicabile un maggior riserbo ed una maggiore compostezza. Il tuttosi e tradotto, a mio avviso, in una ulteriore perdita di prestigio per ilterzo potere.

Infine, parafrasando le prime battute di un famoso romanzodannunziano, l’anno e finito assai amaramente, con l’omaggio che ilsignor primo presidente della Cassazione ha ritenuto di doverrendere al giurista del ventennio fascista. E un episodio, gravissimo,che offende la coscienza migliore del paese e che testimonia, forse,dello stato d’animo di determinati gruppi certo agli antipodi rispettoai valori accolti nel nuovo ordinamento costituzionale. Nella spe-ranza che si tratti di un gesto isolato, non veramente rappresentativo,e tuttavia da augurarsi che se ne traggano le conseguenze sul pianopolitico-legislativo, facendo soprattutto in modo che la composizionedel Consiglio Superiore della Magistratura sia tale da garantirecontro le esorbitanze di tutti, dei giudici « inferiori », ma anche deigiudici « superiori ». Con l’augurio infine che si ponga mano allarisoluzione dei problemi della Giustizia nell’ordine di idee che ilpresidente Saragat ha delineato, in piena corrispondenza con leattese del paese, nel suo secondo, pubblico e forte messaggio alConsiglio Superiore (e sul quale vd. il mio articolo, La crisi dellagiustizia, in « Critica Sociale » del 20 settembre 1966).

LE RIFORME CHE URGONO 241

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