Tubu. Una etnìa nomade del Sahara centro-orientale

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ISIAO Vanni Beltrami Tubu Una etnìa nomade del Sahara centro-orientale

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Vanni Beltrami Tubu. Una etnìa nomade del Sahara centro-orientale Roma, 2007 Collana: Il nuovo Ramusio, 4 Descrizione fisica: 301 p. : ill. ; 21 cm. Lingua: italiano ISBN: 9788885320390 I Tubu costituiscono una etnìa abbastanza omogenea, con abitudini nomadiche o meglio semi-nomadiche e soltanto in parte residenziali: etnìa che riconosce il proprio territorio nel Sahara centro-orientale, in particolare nelle sottoprefetture ciadiane di Tibesti, Borku ed Ennedi, nel Niger nord-orientale, nonché nelle regioni libiche del Fezzan e di Cufra. I Tubu sono inoltre presenti in una vasta area di espansione, che appartiene oggi politicamente ad altre prefetture del Ciad al margine del Sahel – quali il Kanem, il Biltine e lo Ouadai – ed all’area nigerina del Termit e dell’Ayer, nel Tenerè meridionale.

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Vanni Beltrami

TubuUna etnìa nomade

del Sahara centro-orientale

Il Nuovo Ramusio

1. Tucci, Italia e Oriente.2. Bloch, Daniélou, Eliade, Griaule, Hentze, Lévi-

Strauss, Puech, Tucci, Widengren, Il simbolismocosmico dei monumenti religiosi.

3. Allam, Borrmans, Budelli, Mastrobuoni, Piga,Scattolin, Ventura, Zarmandili, Il fondamenta-lismo islamico.

4. Beltrami, Tubu. Una etnìa nomade del Saharacentro-orientale.

5. Lorenzetti, Il tempio induista. Struttura e simboli.

I Tubu costituiscono una etnìa abbastanzaomogenea, con abitudini nomadiche o megliosemi-nomadiche e soltanto in parte residenziali:etnìa che riconosce il proprio territorio nelSahara centro-orientale, in particolare nelle sot-toprefetture ciadiane di Tibesti, Borku ed Enne-di, nel Niger nord-orientale, nonché nelle regio-ni libiche del Fezzan e di Cufra. I Tubu sonoinoltre presenti in una vasta area di espansione,che appartiene oggi politicamente ad altre pre-fetture del Ciad al margine del Sahel – quali ilKanem, il Biltine e lo Ouadai – ed all’area nige-rina del Termit e dell’Ayer, nel Tenerè meridio-nale. Il Sahara dei Tubu ha quindi di fatto unarilevanza geografico-politica ed antropologicaassimilabile a quelle degli altri deserti sahariani:dove le etnìe prevalenti sono quelle dei Tuareg,dei Chaamba e dei Mauri.

Questo libro si occupa in extenso dei Tubu ingenere – sia Teda che Daza – e di tutte le areein cui essi vivono.

Professore emerito di Clinica chirurgica gene-rale presso l’Università di Roma «La Sapienza» e membro del Consiglio di amministrazione dell’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente, Vanni Beltrami ha soggiornato nel corso deglianni in vari paesi dell’Africa – sia «bianca» sia «nera» – svolgendo compiti sanitari e effet-tuando ricerche antropologiche e archeologichein ambito preistorico.

Oltre a numerosi articoli e monografie diinteresse medico, a lui si devono importanti saggidi argomento africanistico, fra i quali si ricordanovari Repertori sull’arte rupestre sahariana (1981,1986, 1987, 1990), Una corona per Agadès (1982),Breviario per nomadi (1991), La croce di Agadès ed igioielli del Kel Air (1994), Non soltanto sabbia (1997),Poesie d’amore tuareg (1997), Deserto vivo (2003). In collaborazione con Harry Proto, Beltrami hainoltre pubblicato Alle radici dei Teda (1999) e Tuareg e altre genti del Sahara nigerino (2001).

€ 28,00

Il Nuovo Ramusio

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PREFAZIONE

I Tubu – variamente denominati Tibbu, Tebu, Tebou o Toubou –costituiscono una etnìa abbastanza omogenea, con abitudini nomadicheo meglio semi-nomadiche e soltanto in parte residenziali: etnìa che ricono-sce il proprio territorio nel Sahara centro-orientale, in particolare nellesottoprefetture ciadiane di Tibesti, Borku ed Ennedi, nel Niger nord-orientale, nonché nelle regioni libiche del Fezzan e di Cufra. I Tubu sonoinoltre presenti in una vasta area di espansione, che appartiene oggipoliticamente ad altre prefetture del Ciad al margine del Sahel – quali ilKanem, il Biltine e lo Ouadai – ed all’area nigerina del Termit e del-l’Ayer, nel Tenerè meridionale. Il Sahara dei Tubu ha quindi di fattouna rilevanza geografico-politica ed antropologica assimilabile a quelledegli altri deserti sahariani: dove le etnìe prevalenti sono quelle deiTuareg, dei Chaamba e dei Mauri.

Questo libro si occupa in extenso dei Tubu in genere – sia Teda cheDaza – e di tutte le aree dove essi hanno il loro habitat ed è una riedizio-ne ampliata di un mio lavoro precedente, dedicato essenzialmente aiTeda, particolarmente correlati alle montagne del Tibesti. Quel primotesto, pubblicato dall’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente nel 1997,era giustificato almeno in parte dal fatto che la bibliografia italiana inargomento – particolarmente interessante durante il periodo coloniale –si era notevolmente rarefatta nel secondo dopoguerra, specialmente separagonata a quella di lingua francese. I contributi degli anni ’30, lega-ti ai nomi di Biasutti, Cipriani, Corti, Desio, Monterin, Ricci, Sabatini,Scortecci ed altri – continuavano ad essere di importante riferimento, spe-cialmente per la geologia, la biogeografia e la preistoria del «corno» nord-orientale del massiccio, del complesso delle oasi di Cufra e di una partedel Fezzan, tutte aree che all’epoca erano sotto il controllo italiano. Inanni recenti tuttavia i contributi scientifici di nostri connazionali eranodiventati meno frequenti, poiché l’interesse dei ricercatori italiani sirivolgeva per lo più ad argomenti preistorico-archeologici ed all’arte rupe-stre, oltre che del Sahara libico, dei deserti algerino, nigerino, maliense edegiziano.

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Avendo dedicato molta parte dei miei anni di studio ai territori fre-quentati dai tuareg Kel Air e pertanto essendo entrato a suo tempo inrapporti culturali obbligati con i Tubu, stimati nemici di sempre dei KelAir stessi, alcuni contatti diretti con i Teda di Djado e con quelli noma-dizzanti nel Tenerè meridionale mi avevano indotto ad un primoapprofondimento. E poiché gli approfondimenti in ogni campo si attua-no, oltre che sul terreno, anche nelle sedi scientifiche e congressuali e nellebiblioteche, dopo essermi recato in Tibesti avevo azzardato varie comuni-cazioni preliminari ed infine un esteso riassunto su carta e nella nostralingua di quanto al momento – parlo degli anni ’90 – era conosciuto inparticolare sui Teda e sulla loro vastissima area di espansione nomadica.

In anni ancor più recenti mi si è offerta l’occasione di ulteriori rico-gnizioni nel territorio del Ciad settentrionale, in particolare nelle regionidell’estremo nord-est, nel Borku e nelle montagne dell’Ennedi: ed ho potu-to in qualche punto aggiungere qualcosa agli essenziali testi di Tilho,Desio, Le Coeur e Chapelle, forse un poco datati, come vari altri di gran-de importanza storica. Mi sono anche particolarmente giovato delle ricer-che pubblicate da Huard e collaboratori, d’Arbaumont, Tubiana e dagliappartenenti al Réseau Mega-Tchad, in particolare da Catherine Baroin,gli studi ammirevoli della quale si sono sviluppati dagli anni ’70 fino altempo presente. Per la parte preistorica, ho potuto integrare infine il note-vole numero di lavori in lingua francese con molti articoli anche recentidi viaggiatori ed appassionati italiani. In tal modo ho incrementato lemie nozioni sul mondo dei Teda e dei Daza, traendone incoraggiamentoper una più estesa edizione del mio primo tentativo.

Concludo ricordando che anche questo nuovo testo deve essere consi-derato più opera notarile di registrazione che risultato di personali intui-zioni: viene offerto anch’esso agli eventuali interessati – senza alcunapresunzione – quale ulteriore frutto di una continua sincera passione perl’Africa, che ci regala semper aliquid novi. Ed aggiungo che, come èavvenuto in precedenti occasioni, mi sono giovato molto della generosacollaborazione di Francesca Proto per la riproduzione dei disegni e dellecartografie, mentre le fotografie – elementi molto importanti del risultatofinale – sono per la stragrande parte opera di Harry Proto, che ha delresto firmato con me altri testi di argomento sahariano. Agli amici del-l’IsIAO, in particolare a Beniamino Melasecchi e a Paola Bacchetti, ilmio grazie per l’ottimo lavoro editoriale.

VANNI BELTRAMI

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TABELLA 1

COMPONENTI DELL’ETNÌA TUBU CON AREA DI APPARTENENZA, PREVA-LENTE TIPO DI VITA, GRUPPO LINGUISTICO E CONSISTENZA NUMERICA

(DALL’ULTIMO CENSIMENTO DI EPOCA COLONIALE)

Tibesti

Teda-Tu sedentari autoctoni – Sono i cosiddetti «Bardoa» (700 al censi-mento del 1957) concentrati nella Vallata di Bardai, Zoui e Guezenti (ilBardaguè) – appartengono ai clan Cerdegua, Zouia e Kosseda; sonoinclusi fra loro gli Ederguia (forse derivati dai Bideyat dell’Ennedi,immigrati in epoca remota), mentre sono da aggiungere i circa 200 Dir-sina montanari. Tutti parlano tedaga.Teda-Tu nomadi e seminomadi – Appartengono ad oltre una trentina diclan diversi. Complessivamente valutati dai 6.500 (Le Rouvreur) agli8.500, hanno origini molto varie legate a immigrazioni multiple (daCufra, da nuclei Daza e Donza del Borku, dal Kanem, da Bideyat del-l’Ennedi, finanche da Tuareg dell’Air). Parlano tedaga.

Borku

Sedentari – I Kamadja (circa 3.600), ex schiavi dei Teda-Tu. Parlano dazaga.Seminomadi – Gli Annakaza (circa 6.500), i Donza (circa 4.000, conside-rati autoctoni dell’area) ed i Kokorda (1.750). Parlano tutti dazaga.Nomadi – Gli Arna del Borku (1.500) spesso parlano tedaga, mentre iNoarma (1.500) parlano dazaga.

Ennedi (inclusa la regione del nord-est estremo)

Seminomadi – Gli Ounia (2.000) ed i Bilia (6.000, di ceppo bideyat). Par-lano dazaga.Nomadi – I cosiddetti «Gouroa» (1.500) ed i Mourdia (2.000) spesso par-lano ancora tedaga. Gli Erdiha (1.000), i Gaeda (4.500), i Tebia (forse500) ed i Borogat (4.000 di ceppo bideyat). Parlano tutti dazaga.

Ciad saheliano

Seminomadi e sedentari del Kanem del nord – Numerosi clan Daza, oltre30.000 individui.Seminomadi e sedentari del Bahr al-Ghazal – Circa 60.000 Kreda apparte-nenti a numerosi clan; ed oltre 8.000 Kecherda. Tutti di lingua dazaga.Seminomadi, semisedentari e sedentari del Biltine e dello Ouadai – SonoTubu veri e propri i 5.000-7.000 Noarma originari del Borku, dettiGorane; ed i circa 500 Charfada. Oltre 30.000 sono gli Zaghawa dei clanKobe, Kapka, Dourong, Touar e Kiguè.

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CAPITOLO I

IL PASSATODALLA PREISTORIA AL XIX SECOLO

LA PREISTORIA

Fattori climatici, lo strumentario litico, la ceramica

Quali che siano state le modalità ed i tempi di inizio delpopolamento vero e proprio – che saranno ampiamente discussiin altra parte di questo testo – è indubbio che delle presenzeumane abbiano lasciato nel Ciad settentrionale – specialmentenelle aree montuose e in qualche modo protettive – tracce assairilevanti già a partire da centinaia di millenni b.p. Peraltro, data-zioni ed identificazioni precise sono possibili soltanto per quantoriguarda i tempi successivi al cosiddetto grande arido post-ateria-no che segna nell’Africa del nord la fine del Pleistocene (20000-17/16000 b.p.). In effetti, precedentemente a tale periodo – cheavrebbe comportato una discesa delle dune sahariane per circa500 km oltre il loro attuale limite meridionale (Grove 1993) –varie culture classificabili in base ai loro manufatti si susseguiro-no, ma ne rimangono del tutto ipotetiche sia una collocazionetemporale sia le modalità di comparsa e scomparsa.

I reperti litici più antichi che si siano osservati in Tibesti sem-brano appartenere (Alimen 1955) ad una industria definita asuo tempo da Dalloni (1934-35 e 1948) «pre-chelleana», rilevatafra l’altro da lui stesso presso Sherda. Reperti analoghi sono statisegnalati (Monod 1968; Beck e Huard 1969) sui versanti setten-trionale ed orientale del massiccio nonché a sud-est di esso, adesempio presso il pozzo di Yayo nel Borku (Coppens 1968). Unasimile presenza sembra mancare invece nelle aree dell’internomontuoso, fatto salvo forse un dubbio reperto di Tiéboro(Huard), mentre assai frequenti sono i manufatti chelleani-

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estrema aridità e seguito da un ritorno graduale ad un clima piùumido. Tale ripresa è stata verificata nei massicci centrali(Rognon 1967), nel Sahara atlantico e maliense, nel bacino delCiad e nel Niger orientale (Roset 1983-87) ed anche nel Tibesti(Jaekel 1977), qui comportando fra l’altro intorno al 14000 b.p.il formarsi di un lago all’interno del Trou au Natron (Maley1977-81), coincidente con la presenza di un altro lago nel JebelMarra in Sudan (Williams et al. 1980). A seguito di questa varia-zione del clima sarebbe iniziata nel Tibesti la formazione dellacosiddetta middle terrace alluvionale degli Autori tedeschi (Hage-dorn e Jaekel 1969) datata infatti dal 15/14000 all’8/7000 b.p. –mentre al 12000 b.p. viene fatta risalire la prima fase dei periodicosiddetti nigero-ciadiani (Servant 1973). La presenza nei sedi-menti lacustri del Tibesti di pollini sembra dimostrare (Maley1981) come la vegetazione all’interno del massiccio fosse proba-bilmente all’epoca analoga a quella attuale.

Il comportamento del clima non fu ovviamente mai comple-tamente uniforme nelle varie regioni sahariane. Trasgressioni-regressioni di diversa entità e durata sono segnalate nei millennisuccessivi, a seconda dei luoghi di osservazione: quasi uniforme-mente sembra essersi verificato comunque, a partire da una fasesituata fra 7000 e 6000 b.p., un miglioramento del clima. Perquanto riguarda il Ciad del nord, un intervallo arido rilevanteanche se breve viene ipotizzato fra l’8000 ed il 6800 b.p. (Grove1993), mentre una successiva ricomparsa di alti livelli lacustricoincide con il precisarsi della nuova ed ultima fase umida (dettada taluni Neolitica), destinata a sua volta ad esaurirsi – a partireall’incirca dal 4500 b.p. – in un nuovo periodo arido progressivoed ancora oggi evidente.

Precise tracce di una nuova o rinnovata presenza umana sitrovano dunque in varie località sahariane – dopo la grande tran-sizione arida all’Olocene – lungo tutto il grande arco di tempodel quale si è fin qui parlato: a partire dai reperti di Abu Dallaspresso Dakhla che sono datati 10100 b.p. (Gabriel 1986). Perquanto riguarda il Ciad settentrionale, le tracce di una umanitàche definiremo genericamente neolitica sono state reperitesoprattutto sulle rive di antiche zone di inondazione degli enneriai margini del Tibesti mentre risultano rare nel cuore del massic-cio stesso, come del resto già osservato da Huard et al. (1969).Assemblaggi di resti ossei di fauna selvatica (gazzella, bufalo,giraffa, antilope) sono stati osservati al margine meridionale dei

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Fig. 9 - 1. Schema di sepolcreto appoggiato a parete di roccia, con lastreperiferiche e fossa centrale, a fondo piatto. Necropoli degli enneri Nodie Togosè, presso Zouar, Tibesti. (Da Roset 1974). 2-7. Reperti dellanecropoli con cinque raggruppamenti di tombe in vicinanza di Nama-namassou, 73 km a SO di Bardai, Tibesti. (Da Treinen-Claustre 1981).

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CAPITOLO II

LE REGIONI, LA POPOLAZIONE, I PERCORSI

LA REGIONE DI CUFRA

L’«arcipelago»

La denominazione «Cufra» deriva con qualche probabilitàdall’arabo el cafra ovvero «la miscredente» (Rohlfs), anche se peraltri (Bogusch) lo stesso vocabolo – indicativo anche di «piccolaoasi pagana» – sarebbe di origine copta: è comunque da notareche una buona parte della toponomastica dei luoghi inclusi nel-l’insieme del cosiddetto «arcipelago» sia di origine tubu: e comesia impiegata dai Teda-Tu – i Tubu del Tibesti – la denominazio-ne «Taizer» di Cufra stessa. Si preciserà inoltre che la definizionedi «arcipelago» si riferisce all’insieme di oasi ed abitati che siincontrano su un area risalente al terziario, situata oltre il grandemare di sabbia del Kalansciò e ad oriente del grande erg detto«di Rebiana» e che le varie località che costituiscono il comples-so appartengono alla Cirenaica anche se soltanto per motivi poli-tici: in effetti, la distanza dalla costa è superiore ai 900 km e dalpunto di vista geo-morfologico l’area è una sorta di «dipenden-za» del Tibesti, dalla propaggine nord-orientale del quale – ilDohone – la separano poco più di 600 chilometri. Scriveva Gau-tier nel 1928 che «da Cufra, qualsiasi direzione si scelga, bisognaattraversare dai quattrocento ai seicento chilometri di nulla pergiungere in un luogo abitato».

Sono del tutto da dimostrare gli eventuali rapporti degli abi-tanti del complesso Cufra-Tibesti con gli antichi Egizi e con leoasi dell’area desertica posta ad oriente, anche se essi sembre-rebbero plausibili. Inoltre per quanto riguarda l’evo antico, ovesi escludano le ipotesi originate dalle famose citazioni di Erodotosui rapporti fra Garamanti ed Etiopi Trogloditi e sul viaggio dei

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Fig. 17 - Ciad, estremo NE. Laghi di Ounianga. (Foto di H. Proto).

Fig. 16 - Ciad, estremo NE. Regione degli Erdi. (Foto di H. Proto).

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Fig. 18 - Ciad, estremo NE. Laghi di Ounianga. (Foto di H. Proto).

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Fig. 19 - Ennedi. Formazioni di tipo tassiliano. (Foto di H. Proto).

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all’Ennedi anche un percorso non ben visibile che è di fatto unaderivazione verso sud-est della pista che scende dalla Libia aipozzi di Tekro ed ai laghi di Ounianga. Lungo il versante orien-tale dell’Ennedi infine, prospiciente il confine sudanese, nonesistono piste chiaramente indicate.

Dal punto di vista geologico, l’Ennedi è costituito da grescontinentali primari posti sullo zoccolo pre-cambriano. La stra-tificazione orizzontale evidente permette di osservare – nel sud-ovest del massiccio – un materiale abbastanza compatto deldevoniano inferiore sovrapposto ad un gres altrettanto compat-to dell’ordoviciano; vi sono frequenti grotte e ripari sotto roc-

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Fig. 24 - Rappresentazione schematica dell’Ennedi con alcune dellelocalità del rilievo e di maggiore interesse, con un accenno delle piste

praticabili.

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cia, con abbondanza di immagini preistoriche rupestri sia inci-se che dipinte. Nel nord invece il gres del devoniano superioreè più fragile e riduce le superfici lisce e le formazioni escavate.Il complesso dell’area è particolarmente articolato in rilievi– originati probabilmente da un unico plateau – di oltre 50.000km, che si estendono fra 15°5 e 18°5 N e fra 19°e 21°5 E, conforma complessiva grossolanamente triangolare, vertice meri-dionale e base a settentrione, corrispondente alla depressionedel Mourdi.

L’estremo nord-orientale dell’Ennedi coincide di fatto conla zona dove il Mourdi stesso raggiunge il confine sudanese. Ilmargine orientale dell’area montuosa scendendo verso sud siallontana gradualmente dal confine – che è virtuale, consistendoin una linea retta da nord a sud – aprendosi su un’area pianeg-giante e completamente desertica che si continua con quellaanaloga del limitrofo territorio sudanese. L’estremo nord-occi-dentale dell’Ennedi si affaccia invece sulla piana detta di Kora– già citata – ed i rilievi del margine occidentale si continuano conaspetto sostanzialmente tassiliano in direzione sud-est, sfumandonella piana detta del Mortcha, alla quale scendono come vedre-mo numerosi oued. Il vertice sud del massiccio, molto arrotonda-to, si colloca nella regione saheliana del Biltine, dalla quale lasottoprefettura di Fada è amministrativamente separata; la deli-mitazione fra i due distretti coincide con i letti di alcuni oued(Haouach, Ame ed Howa), l’ultimo dei quali segna anche perun breve tratto il confine di stato con il Sudan: il confine stessoa questo livello modifica il suo orientamento da nord-sud inest-ovest.

L’Ennedi è in buona sostanza formato da due plateau affian-cati – il Basso situato ad est e l’Erdebè ad ovest – formati da stratidi arenarie friabili disposti su uno zoccolo cristallino; privi di cor-rugazioni, i due plateau – quale risultato di millenarie azioni ero-sive del vento e della pioggia – appaiono formati da rilievi didiversissima forma, dimensione ed altezza solcati da fratture roc-ciose, corridoi e gole, preceduti ad ovest da una larga ed estesaserie di formazioni di tipo tassiliano, con aspetti di guglie, archie creste di altezza sempre maggiore, man mano che ci si allonta-na dalle limitrofe ed estese aree pianeggianti. Si ricorderanno ilgrande arco di Aloba (16°44,457/22°14,857 E), alto oltre 90 m ela Roccia dell’elefante (16°45,610 N/21°50,368) che ricorda latesta e la proboscide di un pachiderma. Paradossalmente, le cita-

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Infatti sembra che il clan avesse sede originalmente – ed alme-no fino al XVII secolo – nel Bahr al-Ghazal: attualmente, gliErdiha sono completamente assimilati dalla comunità daza.Fra le caratteristiche che permettono di identificare questaloro definitiva appartenenza – insieme alle abitudini, allacaratterialità e finanche all’aspetto fisico – si segnala la scelta,quale arbi o gawai (si ricordi che è il «blasone» di clan e mar-chio per gli animali), del «meri», la denominazione del qualederiva chiaramente dal mezri, il «coltello da getto» tipicamentetubu.

I Bideyat dell’Ennedi: Bilia e Borogat

Altri due nuclei di popolazione sono presenti alle falde del-l’Ennedi, ambedue non propriamente di etnìa tubu pur avendo-ne adottato i costumi e in parte anche il linguaggio. Sono iBorogat nomadi ed i Bilia semisedentari e fanno parte deiBideyat, termine che definisce delle popolazioni di ceppozaghawa che vivono però da tempo al di fuori del territoriosaheliano di origine (Le Rouvreur); la loro collocazione di anti-ca data – rispettivamente sui versanti occidentale ed orientale-meridionale dell’Ennedi – fa sì che mantengano frequenti con-tatti con gli altri Zaghawa, dislocati in ambiente saheliano.Mentre nei Bilia i caratteri zaghawa sono ancora dominanti,secondo Chapelle i Borogat dimostrano forti affinità con iTubu, che sono d’altra parte spesso loro prossimi vicini se noncoabitanti: ne hanno infatti gli aspetti fisico, caratteriale, diorganizzazione famigliare e di completa anarchia sociale. Si puòaggiungere che tutti i Bideyat sono stati islamizzati piuttosto tar-di, nella fattispecie all’epoca di Yussuf, sultano dello Ouadai dal1874 al 1897 e questo nonostante il tentativo di costui di affer-mare la propria autorità sull’Ennedi e di impedire l’intrusionedei Senussiti di Cufra: la penetrazione religiosa dal nord ebbeeffetto mentre l’assoggettamento degli abitanti dell’Ennedi alSultanato fu respinto.

I Borogat, che ammontavano a 4.000 nel 1957, sono comedetto i più prossimi al mondo tubu, sia per motivi geografici cheper graduali commistioni di sangue. È rilevante che siano di fat-to bilingui, in quanto parlano sia il dazaga che un dialettozaghawa, con prevalenza ormai del primo; inoltre, nel tempo dimeno di due generazioni hanno quasi del tutto tralasciato l’alle-

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Fig. 27 - Mappa con indicazione dei percorsi di accesso e attraversamentodel territorio dei Tubu.

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ITINERARI

Percorso dalla Cirenaica alla regione di Cufra

A Cufra si perviene da Ajdabiya (Agedabia) nel golfo della Sirteseguendo gli 875 km circa di una strada asfaltata, buona fino al km 650circa. È consigliabile avere riserve di carburante ed acqua per tutto ilpercorso, dato che le stazioni di servizio, non sempre fornite, si trovanosoltanto ad Aujila (km 226), a Djalo (km 254), al km 460 ed al km 651.Dal punto di vista pratico, è bene ricordare che la zona di Cufra vieneconsiderata zona militare dal governo libico, che è naturalmente obbli-gatorio presentarsi appena arrivati al posto di polizia, aperto soltantodal sabato al giovedì, nonché all’Ufficio Immigrazione dove si devonocomprare i bolli del permesso di soggiorno: sono necessarie, oltre alpassaporto, delle foto personali! In tutto il territorio sono proibite leriprese cinematografiche, televisive e di ogni tipo, mentre sono pratica-mente sempre disponibili carburante, acqua, pane e vari commestibiliin scatola. Un albergo di recente costruzione, vari altri alloggi discutibiliper organizzazione, vari gommisti e meccanici sono disponibili.

Itinerari a partenza dalle oasi di Cufra: generalità

Dalla zona di Cufra prendono origine da tempo immemorabile –oltre ai tracciati che collegano le varie oasi dell’«arcipelago» fra loro edal Fezzan – varie piste carovaniere, alcune delle quali trasformate radi-calmente per ragioni militari. Una di esse è orientata a SE, verso i jebelal-Uwainat ed Arkenu, al margine del deserto egiziano, regioni attual-mente interdette ai civili; un’altra è quella che andando verso OSO por-ta in direzione del Dohone (già Tibesti italiano) ed oltre, i percorsisono descritti qui di seguito, anche se al Dohone ed alle piste connesseè come si dirà attualmente impossibile accedere. Aperto è invece – emolto frequentato dai mezzi commerciali libici – il grande percorso dipianura parallelo al Tibesti ed orientato verso SSO, che per Adjer Bekra(detto dagli italiani Bisciarra) e Maaten es Sahra porta al confine ciadia-no e, oltre ad esso, ai pozzi di Tekro e ai laghi di Ounianga, donde sipuò raggiungere Faya nel Borku.

Avvicinamento al Dohone ed al confine del Ciad di nord-est (e a Gouro)per la pedemontana

Sarebbe abbastanza agevole avvicinare il Tibesti libico e quello set-tentrionale-orientale ciadiano partendo dalle oasi del complesso diCufra ed utilizzando la citata unica pista che procede verso SO daRebiana e si biforca dopo aver superato il pozzo di Assenou ovveroHosenofu. Andando a destra si raggiungerebbe il passo di Klingue,

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CAPITOLO III

L’INDIVIDUO E LA VITA MATERIALE

L’ASPETTO FISICO E CARATTERE

I Tubu sono di statura decisamente elevata e spesso gli uominisuperano il metro e settanta, mentre le donne appaiono proporzio-nalmente di poco più piccole: i dati relativi sono superiori a quellimedi delle popolazioni sahariane, eccezion fatta per i Tuareg del-l’Ahaggar e dell’Ajjer, che quando sono di razza pura risultano ingenere più alti. La corporatura dei Tubu è slanciata ed elegante,essendo l’ossatura leggera, il torace oblungo con prevalente diame-tro trasversale, il bacino stretto, le spalle larghe, le articolazioni deli-cate e gli arti sottili: mentre la muscolatura è essenziale e vi è man-canza di ogni traccia di grasso superfluo a qualsiasi età. Ciò si spiegacon la vita all’aria aperta, con il continuo esercizio fisico e con l’es-senzialità dell’alimentazione abituale, oltre che probabilmente confattori inerenti il clima e l’ambiente; è da sottolineare comunqueche l’agilità quasi animale, la forza fisica e la resistenza sono inambedue i sessi eccezionali ed assolutamente insospettabili, data lasottigliezza degli arti e la delicatezza dell’aspetto nel suo insieme.

Il colorito della cute è per lo più nettamente assimilabile allacioccolata o, meno di frequente, alle tonalità ramate proprie deiPeul: esistono soggetti nei quali l’intensità del colore è menoaccentuata – e si tratterebbe di differenze legate alla casta odaddirittura a specifiche eredità in alcuni clan – ma si tratta di sfu-mature e non si può negare che i Tubu siano sostanzialmenteneri. Questa tinta della cute non ha comunque a che vedere conl’accentuata melanodermia tipica delle aree più meridonali epropriamente africane: fra l’altro, la cute stessa ha la particola-rità di essere povera di ghiandole sudoripare e di conseguenzaessa è sempre asciutta e fresca, caratteristica mancante nei mela-nodermi delle zone subtropicali e tropicali.

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pianura – e nelle vallate di montagna quando si trovano arbustisufficienti – la «tenda» è circondata da un recinto di rami intrec-ciati che crea una sorta di ulteriore piccola difesa della proprietàprivata.

La porta è costituita da un graticcio di foglie di palma legateinsieme con cordicelle anch’esse di fibra; l’interno è bipartito,in quanto un divisorio prossimo al lato dell’entrata crea un pri-mo piccolo ambiente con funzione di atrio: qui si depositanoprincipalmente le selle, le redini e gli altri finimenti del cam-mello e degli otri su appositi picchetti. Oltre il divisorio, l’am-biente principale è rettangolare ed assai vasto ed offre una sen-sazione di ordine e pulizia: esso ospita – vicino al divisorio che siè detto – il focolare ed i bagagli dell’uomo, che sono disposti inmodo da lasciare libera la parte centrale della tenda, con il pavi-mento ricoperto di sabbia fine. Verso il fondo è situato quelloche appare come un altro divisorio parziale, di altezza e larghez-za ridotta, che è elemento importante della dote di ogni ragaz-za: si tratta di un ampio pannello di cuoio, denominato dela odera, ai piedi del quale si dispone il letto; presso i Daza, più ric-chi in quanto pastori di buoi, il dela è decorato personalmentedalla madre della sposa e dalle sue parenti con applicazioni diconchiglie del genere cauri, con trecce di cuoio e con disegnidiversi e variamente colorati: presso i Teda esso è molto piùsemplice e spesso costituito da pelli di pecora con il pelo conser-vato cucite insieme.

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Fig. 32 - Tenda di stuoie. (Foto di H. Proto).

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La musica

Si è già riferito in precedenza riguardo alla preparazioneautoctona degli strumenti musicali, studiati dalla Brandily, allaquale si deve anche la possibilità di ascoltare varie esecuzioni ori-ginali, registrate a suo tempo. È bene precisare che gli strumentistessi, in base alla frequenza del loro uso, alla struttura ed aimateriali che li compongono, si dividono in «completamenteintegrati nella vita sociale» ed in «occasionali o marginali». Dellaprima categoria fanno parte gli strumenti «a corda» o cordofonie gran parte di quelli «a membrana» ovvero i tamburi; dellaseconda, gli strumenti aerofoni – rappresentati da una sorta diclarinetti – ed idiofoni, cioè dai quali si ottengono suoni partico-lari. Il solo tipo di tamburo detto kidi, proprio dei fabbri, fa partedella seconda invece che della prima categoria.

Si ricorderanno qui fra i cordofoni il liuto keleli – uno stru-mento con due tendini di gazzella o capra, un manico di legnoed una cassa di risonanza ottenuta da una mezza zucca con unapelle, anch’essa di gazzella o di capra; e la viola kiiki dotata diuna corda sola di crini di cavallo, di una cassa di risonanza similea quella del liuto e di un archetto di legno tenero guarnito daaltri crini di cavallo. Strumento aerofono – unico del genere – èil clarinetto bilil, il numero di buchi laterali del quale è variabileda tre a sette. Campanacci e campanelle e strumenti di uso quo-tidiano come contenitori metallici, etc., intesi a produrre rumo-re, sono gli strumenti detti idiofoni, mentre i tamburi apparten-gono alla categoria degli strumenti «a membrana» autoctoni edintegrati nella società tubu, con l’eccezione come premesso delsolo kidi proprio dei fabbri. Il tamburo di maggiori dimensioni,detto nang’ara, rappresenta anche un simbolo dell’autorità delderdè, ed in tal caso viene percosso con una sola bacchetta; qualestrumento musicale di accompagnamento di danze e canti,invece, sia esso che il più piccolo kwelli viene corredato di duebacchette diritte (nang’ara-di).

La musica appartiene sempre al genere monodico e le melo-die si sviluppano in un modo assai semplice, riservato ed austeroche si iscrive assai bene nella cultura generale di tipo sahariano.L’esecuzione è di solito appannaggio del proprietario dello stru-mento, che ne è anche il creatore: andando per ordine, il liutokeleli viene suonato percuotendo con le dita le corde; nel kiiki èl’archetto che trae un suono stridulo dal crine di cavallo, mentre

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Fig. 41 - Strumenti musicali teda. (Da Brandily 1974, modif.).

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tamburo KWELLI liuto KELELI

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clarino BILIL

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CAPITOLO VII

DAL XIX SECOLO ALLA STORIA RECENTE

RAPPORTI CON I POPOLI VICINI

Una testimonianza precisa relativa alla concezione tubu delmondo è quella riportata da Chapelle, cui era stata riferita da unufficiale francese – il luogotenente Requin – che l’aveva a suavolta raccolta in Tibesti. «All’est si trova Masar (l’Egitto), a nordZeila (il Fezzan), ad ovest stanno gli Yeborde (i Tuareg), a sud iKanuri: e noi siamo al centro». L’affermazione è interessante fral’altro perché sottolinea il riconoscimento di una unità etnicatubu, la sede primaria ed indiscussa della quale si identifica nelTibesti, anche se ad essa si può associare la piccola serie di popo-lazioni del tutto o parzialmente affini – quali ad esempio i Kredae rispettivamente gli Zaghawa – accettati comunque questi ultimisoltanto con riserva almeno dai Teda: e non è inutile sottolinea-re la costante autocertificazione dei Teda che si ritengono, inquanto Teda-Tu, gli unici «veri» Tubu, relegando i Daza e glialtri nuclei dell’etnìa in posizioni evidentemente anche se solomoralmente secondarie.

Ciò che maggiormente importa in questa sede è comunqueuna definizione dei rapporti con le genti estranee che sono stateo sono ancora – per loro stessa ammissione – in un qualche rap-porto con i Tubu e non soltanto per vicinanza geografica maanche per contatti che hanno comportato qualche valenza stori-ca. Si farà quindi riferimento ai Tuareg, agli abitanti del Fezzan,ai Peul, ai «neri» delle zone del sud, ai Kanuri del Kaouar, non-ché agli Arabi della Cirenaica ed a quelli del Ciad ed infine aiSenussiti di Cufra. Il fatto che non si prenderanno in considera-zione – almeno fino a comparsa di prove contrarie – le popola-zioni dell’Egitto e del Sudan è giustificato dall’evidenza dellagrande estensione e severità del deserto dell’est, che ha sempre

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Fig. 45 - Copertina di un testo italiano sulle prime ricognizioni aeree nella zona delle oasi e del Tibesti nord-orientale.

DANTE MARIA TUNINETTI

IL MISTERD DI CUFRA..

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..NICOLA CALCAGNI - EDITORE

BENe"" l'nl _ IX

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Aasi pellameAbeso paniere, canestroAbor (v. hamdal)Abra pagnotte di farina, datteri e

cavallette frantumati in usoper le carovane

Adebi la donna (plur. adeba)Adofa palanchino per cammelloAdrar importante rilievo montuosoAguelmann termine di uso tuareg

per definire una ghelta (v.)Amenokhal capo elettivo di una

confederazione tuaregAnou sorgente, pozzo artesianoArbi blasone-marchio del clan:

indica la proprietà di animaliod oggetti

Ayagano pianta medicinale usatain infuso per la blenorragia

Azalay carovana del sale plurien-nale tuareg da Agadès a Bilmanel Kaouar

Azza vedi magone

Balises segnali che indicano a trattiregolari un percorso in unazona desertica

Barkane piccola duna a mezzalunache si sposta con il vento

Bérébérédo canto laudativo eseguitoda un fabbro con il suo tam-buro

Bilil clarinetto tubuBini pozzo temporaneoBoder gli schiavi dei Teda, ovvero

«i non liberi»: categoria orascomparsa

Bou-rekba erbacea selvatica i granidella quale sostituiscono ilmiglio

Bugudi responsabile eletto tempo-raneamente per una transu-manza o un rezzou

Bui vedi bugudi

Chèche indumento di tela lungo da5 a 10 m, avvolto come tur-bante

Chorba zuppa, minestraCofono fecondazione delle piante

da datteroConofor patrimonio in animali del-

la giovane coppia di sposi

Darra cinque pietre infisse nel suo-lo nei siti detti koe-sadaga (v.)

Deby turbante verde che riceve –con il tamburo nan’gara – ilderdè neo-eletto

GLOSSARIO DEI TERMINI TUBU

* I termini vernacolari, ove non specificati, sono comuni ad ambedue i dia-letti tubu: tedaga e dazaga.