Tu MENSILE PER INSEGNANTI GENITORI E STUDENTI...

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EXPO, OCCASIONE DA NON PERDERE Poste Italiane Spa - Sped. Abb. Post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Roma T UTTOSCUOL A T UTTOSCUOL A MENSILE PER INSEGNANTI GENITORI E STUDENTI FONDATO DA ALFREDO VINCIGUERRA MAGGIO 2015 - NUMERO 552 - ANNO XLI - EURO 3,50

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Tutti in gita…Tutti in gita…L’Italia dei parchi e delle vacanze verdi

Percorsi culturali in Italia e all’estero

Alcune proposte

Alla scoperta delle città d’arte di Ravenna eFirenze. In visita nei musei di Torino e Trento.

E per chi ama la natura e il divertimento lapossibilità di scegliere tra il verde dei parchi naturalio l’avventura in quelli tematici.

In più alcune mete europee per chi desidera recarsiall’estero.

Tante idee per imparare viaggiando.

Le mete

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NovitàEdizioNE 2015

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l’Editoriale

3TuTToSCuoLA n. 552

DLA MALEDIZIoNE DELLE RIFoRME

Diciamolo subito: il disegno di legge sulla cosid-detta “Buona scuola” ha effettivamente bisogno di essere rivisto in alcuni nodi importanti, ma contie-ne anche elementi di forte e necessaria novità per la vita della scuola. Piccole rivoluzioni che potreb-bero dare un passo più svelto e moderno a istitu-zioni che sono – ogni giorno di più – agonizzanti in un mare di ostacoli e incrostazioni che rendono sempre più diff icile il raggiungimento del loro obiettivo fondamentale: l’educazione degli studenti. Tutti infatti sappiamo che la scuola ha bisogno di interventi radicali e di azioni decise che la rendano davvero strumento di trasmissione della cultura e della tradizione del nostro popolo, azioni che ren-dano più facile il potenziamento delle competenze dei ragazzi e più chiaro che la scuola è innanzitutto un luogo di istruzione ed educazione e non la pale-stra per regolare scontri e lotte di potere che nulla hanno a che vedere con il suo ruolo.

L’impressione è che dietro molti slogan e tante prese di posizione di queste settimane non ci sia al-tro che la volontà di difendere interessi corporativi, di conservare lo status quo, di alimentare il risenti-mento e la stanchezza; per alcuni anche il tentativo di usare lo sciopero per una contestazione politica. Una storia già vista, insomma. L’irresponsabile ripetersi di un rituale che era stato già applicato negli ultimi anni contro quei ministri che – nel bene o nel male – avevano cercato di intervenire in quel mare stagnante che è il nostro sistema di istruzione. Allora l’aspetto della battaglia politica, della contestazione ideologica, sembrava avere più peso: l’obiettivo era mandare a casa il governo, prima ancora che fermare le riforme. Ora la sen-sazione è che sia abbia il timore di affrontare un cambiamento di impostazione, e di rinunciare ad alcune rendite di posizione e a certezze consolidate (come quella che il personale della scuola non deb-ba essere valutato). Troppe le posizioni che si sono caratterizzate per i toni allarmistici e i contenuti spesso pretestuosi e generici. Troppo evidente l’in-congruenza di chiedere più assunzioni di precari, quando è chiaro che a settembre ne entreranno in

ruolo centomila. Persino il ritorno in piazza di tutti i sindacati, insieme, dopo tanti anni, ha richiamato più a una sorta di arroccamento sul passato che a una nuova stagione dei rapporti tra i rappresentanti dei lavoratori della scuola. Uno sciopero che pareva muovere non dalla volontà di migliorare il disegno di legge e di offrire contributi migliorativi o propo-sitivi, ma da quella di opporsi a prescindere a ogni tipo di cambiamento.

E allora. Lasciamo stare le parole del ministro Boschi, che ha detto chiaro e tondo parole di fronte alle quali bisognerebbe pur interrogarsi senza in-fingimenti. La riforma della scuola – ha attaccato - «non è un prendere o lasciare», ma «quello che non è accettabile è lasciare le cose come sono. La scuola solo in mano ai sindacati funziona? Io credo di no». Frasi durissime che nessun uomo di governo aveva mai pronunciato, nemmeno la tanto odiata Gelmini. Lasciamole stare, queste parole, che pure fanno capire quante cose siano cambiate nel Paese, tranne che nel mondo dell’istruzione. Lasciamole stare, perché crediamo fino in fondo nella possi-bilità di un dialogo costruttivo e reale tra i prota-gonisti del mondo della scuola, tra tutti coloro che continuano a desiderare una scuola più capace di valorizzare la libertà e l’iniziativa di tutti i soggetti interessati. Ma cerchiamo di guardare avanti come dovremmo, e di non rimanere barricati ognuno nel proprio fortino, per difendere qualcosa che è ormai indifendibile. L’istituzione scolastica - per esempio - ha bisogno di aprirsi, anche strutturalmente e finanziariamente, ai soggetti del territorio con cui non può fare a meno di collaborare. E questo nel ddl c’è. La scuola ha bisogno di più autonomia, di un sistema di reclutamento e di carriera degli insegnanti che guardi alle capacità reali, verificate sul campo. Gli studenti hanno bisogno di percorsi formativi più agili e aperti alla realtà. Tutto questo nel ddl c’è, anche se va migliorato. Si parta da qui e si migliori il testo, ove necessario. Stavolta chi si arrocca rischia davvero di fare la fine del muro di Berlino: una sera qualcuno cominciò ad abbattere qualche mattone. Il giorno dopo non c’era più.

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4 TuTToSCuoLA n. 552

Direttore Responsabile Giovanni VinciguerraComitato Scientifico

Giorgio Allulli - Dario Antiseri Antonio Augenti - Sebastiano Bagnara Giuseppe Costa - Gaetano Domenici

Paola Gallegati - Silvano TagliagambeCoordinatore Comitato Scientifico

Alfonso Rubinacci Segretario del Comitato

Paola GallegatiRedazione

Maurizio Amoroso Sergio Govi

Orazio NiceforoSped. Abb. Post. D.L. 353/2003

(conv. in L. 27/02/2004 N. 46) art. 1, comma 1 DCB Roma

Registrazione del Tribunale di Roma n. 15857 del 7-4-1975

Direzione, redazione, amministrazione TUTTOSCUOLA

Via della Scrofa, 39 - 00186 Roma tel. 06.68307851 - fax 06.68802728

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Progetto grafico Massimo Cerasi

Impaginazione Emilmarc srl

Stampa Graphicscalve Spa

Località Ponte Formello, 1/3/4 24020 - Vilminore di Scalve (BG)

Tel. (+39) 0346 580127 www.graphicscalve.it

Gli articoli possono essere parzialmente riprodotti

purché venga citata la fonte

Una copia arretrata 6 euro

I manoscritti e le fotografie anche non pubblicati non verranno restituiti

Questo numero è stato chiuso in tipografia il 26-04-2015

PeR Le InSeRzIOnI PUbbLICITARIe

COnTATTARe DIReTTAmenTeI nOSTRI UffICI

PeR AbbOnARSICOnTATTARe

I nOSTRI UffICI

Carta & PennaANNO XLI - N. 552 - MAggIO 2015 MENSILE - EURO 3,50

è dal 2002, in occasione del decennale, che la Fondazione “Giovanni e Francesca Falcone”, in collaborazione con il Ministero dell’Istruzio-ne, dell’Università e della Ricerca - Direzione Generale per lo Studen-te, l’Integrazione e la Partecipazione, ha concentrato la sua attenzione sulle scuole, con le quali ha iniziato a realizzare percorsi di educazione alla legalità a livello nazionale. Questi progetti hanno il loro momento conclusivo il 23 maggio, anniversario della strage di Capaci, giornata che col tempo è diventata un appuntamento molto atteso dai docenti e dagli studenti del nostro Paese. In questi anni infatti la partecipazione è stata altissima, resa possibile dalla stretta collaborazione con le Forze dell’Ordine, con Enti ed Associazioni che si sono rese disponibili a la-vorare insieme. Il 23 maggio è ormai la data simbolo dell’impegno del-le scuole nella diffusione della cultura della legalità e del contrasto ad ogni atteggiamento mafioso. Ogni anno in questa giornata a Palermo sono migliaia gli studenti che partecipano al momento conclusivo del percorso di educazione alla legalità organizzato e promosso dal Mini-stero dell’Istruzione e dalla Fondazione “Giovanni e Francesca Falco-ne” che prevede una cerimonia dall’alto valore educativo e simbolico.

Per il 2015 il concorso nazionale dal titolo “Riprendiamoci i nostri sogni” ha mirato a dare agli studenti uno stimolo per ragionare in posi-tivo sul proprio futuro, un futuro che dev’essere liberato dalla presenza mafiosa in tutte le sue forme, a partire dall’assunzione di responsabilità da parte di ciascuno. Quest’anno la manifestazione si arricchisce di una presenza capillare in tante piazze d’Italia. Per poter soddisfare la richiesta di partecipazione che arriva ogni anno da centinaia di scuole, il Ministero dell’Istruzione e la Fondazione Falcone hanno pensato di realizzare un collegamento tra la piazza di Palermo e altre piazze della Penisola, per unire l’impegno degli studenti nel ricordo del giudice Falcone, del giudice Morvillo, del giudice Borsellino e dei loro agenti di scorta Rocco Di Cillo, Vito Schifani, Antonio Montinaro, Walter Ed-die Cosina, Claudio Traina, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Agostino Catalano.

Il 23 maggio 2015 da sei piazze italiane saranno collegate, grazie alla collaborazione della Rai, alcune delle scuole che hanno partecipato al Concorso e che hanno svolto percorsi di educazione alla legalità durante quest’anno scolastico. L’idea è far radicare “alberi Falcone”, ogni anno in città diverse, scelte di volta in volta prendendo spunto dalle emergenze che sorgono, per accendere una luce sui luoghi dove la penetrazione degli interessi mafiosi si insinua e mette radici anche lontano da Palermo. L’obiettivo è far crescere una nuova coscienza nazionale sul fenomeno della “linea della palma” che sale a nord nella penisola, efficace metafora usata da Leonardo Sciascia per indicare l‘espansione delle mafie.

La mattina gli studenti coinvolti avranno la possibilità di essere pro-tagonisti di alcuni momenti di commemorazione: presso l’Aula Bunker del carcere Ucciardone di Palermo, luogo simbolo del maxiprocesso a Cosa Nostra, dove sarà presente il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e presso alcune piazze della città, dove le scuole avranno la possibilità di incontrarsi e scambiarsi idee e buone prassi. Nel po-meriggio partiranno due cortei: uno dall’Aula Bunker e l’altro da Via d’Amelio, luogo della strage del 19 luglio 1992. Entrambi i cortei si riuniranno sotto l’Albero Falcone in via Notarbartolo, dove abitava il giudice, per celebrare insieme il momento solenne del Silenzio suonato dalla Polizia di Stato all’ora della strage (ore 17.58). Nel corso delle Celebrazioni è prevista la presenza di circa 20 mila studenti.

Se sale la linea della palma, sale il livello di impegno delle scuole contro le mafie

23 maggio: in memoria delle vittime delle stragi del 1992

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Il tablet come sIstema IntegratoFacilità d’uso, risultati migliorati e alunni motivati

Nel 2010 alcuni ricercatori olandesi hanno avviato una ricerca sull’istruzione digitale. Il risultato: ai servizi già esistenti mancavano interattività, feedback immediato e integrazione degli strumenti digitali. Sull’onda di questo pensiero la Fondazione Snappet è nata, integrando nel suo progetto un servizio integrato esclusivo con una mission molto semplice: migliorare la qualità e la velocità dell’apprendimento.

Dopo il lancio iniziale in Olanda (dove Snappet è ora presente con il 20% delle scuole), il servizio è oggi disponibile anche in Italia dove circa 200 scuole sono attivate. Snappet seleziona scuole che mostrano un forte interesse istituzionale e docenti motivati.

Con Snappet, ogni alunno possiede il proprio tablet per eseguire esercizi, ricerca, disegni e attività didattiche. Il feedback è immediato, e se la risposta data non era corretta l’alunno può rifare l’esercizio. Il bambino può anche fare esercizi individualizzati. È anche possibile mettere libri digitali (eBook e PDF) sui tablet.

Parallelamente il docente ha accesso alla Dashboard dove può seguire in tempo reale il lavoro svolto degli alunni. Il docente può monitorare inoltre tutte le funzioni e gli accessi effettuati con il tablet dai propri alunni. Il database contiene già più di 120.000 esercizi di quasi tutte le materie delle scuole primarie e medie. Il docente può anche accedere a contenuti di terzi (tramite un browser) o creare i propri contenuti con il Creatore di Esercizi.

I vantaggi di Snappet sono tanti.•Gli alunni imparano di più, grazie al feedback immediato, lezioni individualizzate e funzione

per bambini con bisogni speciali come sintesi vocale•Più valore aggiunto dell’insegnante, che può seguire le risposte e l’andamento della classe in

tempo reale. E un risparmio importante di tempo di correzione e preparazione delle lezioni• Inizio e uso facile: Snappet fornisce WiFi, la formazione di docenti e alunni richiede un’ora•Abbattimento dei costi. Il servizio costa pochi euro a mese, in realtà a costo zero se pensiamo

al risparmio di eserciziari, carta, fotocopie, quaderni e PC.

Il segreto di Snappet si può riassumere in 3 parole chiave: semplicità, immediatezza, motivazione. L’istruzione digitale con Snappet è veramente alla portata di tutti, ed è pronta per la grande sfida: i giovani alunni italiani sapranno raccoglierla?

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6 TuTToSCuoLA n. 552

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ionumero 552

Maggio 2015

SPECIALE EXPo MILANo

11 LE SCuoLE A EXPo’ MILANo 2015

12 GIANNINI: 700.000 GLI STuDENTI PRENoTATI

13 CoINVoLGIMENTo SCuoLE REGIoNE LoMBARDIA

LA BuoNA SCuoLA

16 LA RESPoNSABILITA’ PER oGGI E PER DoMANIdi Alfonso Rubinacci

16 NoI E GLI ALTRIdi Giovanni Orecchioni

17 oPPoRTuNITA’ E DEBoLEZZE DELLA PRoPoSTA DEL GoVERNodi Andrea Gavosto

22 NuoVE REGoLE PER uNA NuoVA DIMENSIoNE CuLTuRALE ASSICuRATIVAdi Riccardo Lancellotti

24 LA LAuREA SERVEdi Fabio Matarazzo

27 INTERNEToPoLI, uN AMBIENTE DI APPRENDIMENTo A MISuRA DI NATIVo DIGITALEdi Giorgia Bassi , Beatrice Lami, Anna Vaccarelli

28 L’uNIVERSITA’, L’AuToNoMIA E I FINANZIAMENTIDi Enzo Martinelli

29 PRoPoSTE PER uN LABoRAToRIo DIFFuSodi Mariella Di Lallo

30 CAPoVoLGERE, (oGNI TANTo) SI Può...Di Alessandra Tesei

32 EDuCAZIoNE E VALoRIdi Benedetto Vertecchi

34 CHI BEN CoMINCIA…RADICA NEL TEMPodi Filomena Zamboli

38 STAYING MoTIVATED AND AVoIDING BuRNouT AS A TEACHER di Rachael Roberts

39 FuoRI DALL’AuLA!di Paolo Tenconi

42 ESERCIZI DI LEGALITA’. LA SCuoLA PALESTRA DI CITTADINANZAdi Irene Baldriga

45 A SEREGNo LA SCuoLA E’ DIGITALEdi Orazio Niceforo

DoSSIER TECNoLoGIEA cura di Nicoletta Ferroni

50 FoRMAZIoNE DoCENTE E CoMPLESSITA’ DI uNA REALTA’ IN MuTAZIoNE

52 STuDIARE SuL TABLET “PIù ABILITà E CoMPETENZE”

54 LA DoTAZIoNE TECNoLoGICA

57 DIDATTICA PER CoMPETENZE

59 LE TECNoLoGIE PER CAMBIARE

62 TRA SCuoLA E LAVoRoDi Giuseppe Tacconi

64 GENIToRI E AuToVALuTAZIoNEDi Rita Di Goro

66 uN’IDEALE CoMuNITA’ DI SCAMBIodi Antonio Augenti

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Le tecnologie della rete nelle scuole sono un fattore abilitante ed a tempo stesso un argo-mento di approfondimento. Sono evidentemente un fattore abilitante in quanto di supporto per tutti gli insegnamenti: come requisito funzionale della maggior parte degli ausili didattici (LIM, etc.) ed in quanto metodologia prevalente di accesso a fonti diverse dal libro di testo. Al tempo stesso, stanno diventando materia di insegnamento (e non solo nei corsi “tecnologici”), a partire dall’e-mail (compresa nell’insegnamento dell’Italiano): le scuole, infatti, sempre più le includono (anche in ossequio alle direttive del MIUR) nei loro programmi e piani dell’offerta formativa.

Per il corretto e proficuo impiego delle tecnologie della rete nelle scuole, numerose sono le problematiche da affrontare, in un contesto peraltro complesso e mutevole. Esse vanno dalla messa a punto delle reti interne (su cavo e Wi-Fi) alla corretta provvista e distribuzione del-la banda larga per una adeguata navigazione Internet; quest’ultimo punto presenta criticità specifiche nelle scuole, per la formidabile concentrazione di utenti che non ha pari in altre comunità.

La piattaforma MajorMOBILE consente di aumentare la velocità Internet della scuola, integran-do l’accesso in banda larga (normalmente ADSL) con il servizio delle reti mobili LTE di ultima generazione, note come 4G. La gestione è integrata ed al tempo stesso trasparente, cioè non determina necessità di modifiche alle reti interne, né richiede particolari accorgimenti agli utenti.

MajorMOBILE va ad arricchire la gamma di soluzioni MajorNet studiate per rispondere alle specifiche esigenze della Scuola (http://edu.majornet.it), tra le quali: la necessità di tenere se-parate le reti degli uffici (Presidenza, Segreteria, etc.) dalle reti per la didattica; la gestione degli access point Wi-Fi (spesso eterogenei perché acquisiti in tempi diversi); la protezione dei mino-ri; il decisivo supporto al Dirigente Scolastico rispetto agli obblighi di controllo sull’utilizzo di Internet che la legge gli attribuisce.

E’ ingente il contributo di MajorMOBILE nell’ottimizzazione dell’uso della banda larga, da trat-tare sempre più come una risorsa scarsa (al pari dell’energia o dell’acqua potabile).MajorMOBILE consente l’adozione di metodi e sistemi per la gestione e l’ottimizzazione della banda disponibile, come pure per la gestione coordinata ed efficiente degli access point Wi-Fi.

MajorMOBILE: la soluzione professionaleche migliora Internet nelle Scuole

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Le regole d’oro per decongestionare l’accesso ad Internetresponsabilizzare all’uso corretto di Internet e della bandaNell’esperienza comune, accendere un computer o uno smartphone (ed essere collegati alla rete locale per acce-dere ad es. ai server interni) coincide con l’essere collegati ad Internet. Ciò non è necessario e per di più produce fe-nomeni fuori controllo, fra i quali traffico Internet inutile; invece è opportuno confinare nella rete locale la naviga-zione degli utenti fino a al momento in cui essi, ‘’con atto esplicito e volontario’’, vogliano davvero accedere ad Inter-net. L’accesso ad Internet va governato individualmente per ciascun utente, tramite l’utilizzo di credenziali personali. Limitando l’accesso ad Internet ai soli utenti che abbiano inserito le proprie credenziali ed evitando l’uso di utenti generici o di credenziali condivise tra gli alunni, si ottimiz-za l’uso della banda disponibile, ma soprattutto si produce consapevolezza e senso di responsabilità negli utenti, ed anzitutto degli alunni. Questa funzionalità base delle piat-taforme MajorNet diventa ancor più utile laddove, con Ma-jorMOBILE, si fa accesso ad Internet sulla base di contratti di rete mobile che prevedono un tetto mensile di traffico.

Pianificare le politiche di accesso ad InternetCapita frequentemente nelle scuole, come altrove, che alcuni utenti facciano un uso non appropriato, e talvolta perfino inconsapevole, dell’accesso ad Internet, penaliz-zando la velocità di navigazione dei restanti utilizzatori. Per eliminare questi fenomeni è decisivo pianificare ido-nee politiche di accesso attraverso funzioni come quelle disponibili sulle piattaforme MajorNet. Per ciascun utente, o gruppo di utenti (alunni, professori, ecc.) è opportuno configurare: il tempo massimo di navigazione consentito, il traffico massimo di navigazione consentito e le fasce ora-rie di navigazione.

evitare accessi ripetuti ed inutili E’ sempre più comune l’utilizzo dei servizi di cloud stora-ge (Dropbox, Google Drive, ecc.) nelle attività didattiche: il docente mette on-line – talvolta da casa – il materiale didattico e gli studenti – a scuola – lo utilizzano. Nonostan-te la grande comodità di questi servizi, si comprende facil-mente che ogni consultazione – da scuola – del materiale on-line transita sulla linea Internet: una classe che accede simultaneamente al materiale on-line (…ciascuno studen-

te al medesimo materiale) determina immediatamente la congestione della linea; questo avviene per ogni classe, spesso contemporaneamente. In misura ridotta – ma con-tinuamente – lo stesso effetto è provocato dall’accesso che gli uffici fanno alla posta elettronica. La congestione della linea disturba subito ogni altra attività Internet: se ne va-lutiamo complessivamente l’effetto sulle attività dell’intera scuola, appare necessaria una soluzione tecnica adeguata.Le piattaforme MajorNet consentono di portare all’interno della scuola tanto le mailbox con i messaggi di posta elet-tronica quanto i servizi di cloud storage: l’effetto di deconge-stione della linea Internet è decisivo; ma vi è un secondo ef-fetto altrettanto benefico: l’accesso alla posta elettronica ed ai contenuti è velocissimo giacché avviene alla velocità della rete locale (centinaia di volte più alta di quella Internet).Attraverso la Rete passano ormai in modo intenso e conti-nuo le attività didattiche e quelle degli uffici; il suo corretto funzionamento è un fattore decisivo per la vita scolastica, che va costruito su solide fondazioni come quelle offerte dalle piattaforme professionali MajorNet.

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Il bando internazionale “TIE2015”, associato al proget-to digitale TOGETHER IN EXPO 2015 www.togetheri-nexpo2015.it - promosso dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e curato dalla Direzione Generale per lo Studente, l’Integrazione e la Partecipazione del Dipartimento per il Sistema Educativo di Istruzione e di Formazione - ha invitato gli studenti della COMMUNITY a elaborare in maniera condivisa un contributo multimedia-le sui temi dell’alimentazione sostenibile, solidale ed equa, mettendo in palio un viaggio ad EXPO Milano 2015.

Il concorso si è chiuso lo scorso 30 Marzo e ha visto la partecipazione di quasi 600 team provenienti da 64 Paesi diversi. Tra i quasi 300 contributi multimediali ammessi al concorso, sono stati individuati 9 progetti vincitori, divisi secondo 3 fasce d’età (6-10 anni, 11-13 anni, 14-19 anni) e 3 menzioni speciali: Best peer education, Best school garden, Best kids. I gemellaggi attivati per l’occasione sono

una diretta testimonianza di come le nuove tecnologie e i nuovi metodi “blended”, possano avvicinare le Scuole di tutto il mondo.

Gli esempi sono tanti: per TIE2015 hanno lavorato insie-me una Scuola di Novara con una di Addis Abeba, una di San Paolo in Brasile con una di Marsala (TP), una di Mila-no con una di Pechino. Gli studenti di Varsavia hanno atti-vato un gemellaggio con quelli di Thuringen in Germania, quelli di Torano (TE) in Abruzzo si sono uniti ai coetanei di Bucarest in Romania, quelli di Rivoli (TO) a quelli di Asmara. E poi ancora gli studenti di Pescara hanno lavorato con coetanei in Turchia, quelli di Scalea (CS) con Malta, quelli di Bari con il Belgio.

L’elenco delle 9 Scuole vincitrici e dei tre premiati spe-ciali è disponibile online sul sito www.togetherinexpo2015.it/winners.php, e allo stesso indirizzo è possibile visionare tutti gli elaborati.

La forte impronta social di TOGETHER IN EXPO 2015, il progetto internazionale promosso dal Ministero dell’I-struzione, dell’Università e della Ricerca e curato dalla Direzione Generale per lo Studente, l’Integrazione e la Partecipazione del Dipartimento per il Sistema Educativo di Istruzione e di Formazione, si manifesta all’interno della COMMUNITY, cuore e centro nevralgico della piatta-forma web. Qui si giocano le MISSIONI, attività ludico didattiche cui partecipano quotidianamente le oltre 2.760 squadre composte da ragazzi di età variabile dai 4 ai 19 anni, provenienti da 64 Paesi. Una sfida che permette il confronto e che entusiasma, attorno al tema di EXPO Mi-lano 2015: “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”.

La forza del progetto sta nell’aver permesso alle Scuole di poter diffondere e valorizzare il patrimonio e le conoscen-ze che i docenti e gli studenti di tutto il mondo elaborano sull’alimentazione e la sostenibilità ambientale, attraver-so concetti chiave per la didattica contemporanea come

edutainment e gamification.Nei prossimi mesi e fino a fine Ottobre 2015, il lavoro e

la “Expo-experience” delle Scuole continueranno sul por-tale, andando a costruire una testimonianza reale e attiva che potrà contribuire alla stesura definitiva della Carta di Milano. TOGETHER IN EXPO 2015 dimostra come EXPO Milano 2015 possa essere uno straordinario momento di confronto, scambio e dialogo, non solo una vetrina per le innovazioni tecnologiche e la progettualità. Un’occasione di partecipazione collettiva e condivisa che pone le Scuole al centro del dibattito, perché ai giovani è affidato il com-pito di scrivere e tracciare il proprio futuro.

Il portale www.togetherinexpo2015.it è infine anche una importante risorsa di informazioni pratiche: pubblica noti-zie, guide e consigli utili per visitare EXPO Milano 2015 e per scoprire tutte le iniziative dedicate alle Scuole presenti all’interno del Sito Espositivo, a cura di EXPO Milano 2015 e dei suoi numerosi partner.

TOGETHER IN EXPO 2015: La community digitale delle Scuole di tutto il mondo

TOGETHER IN EXPO 2015: Scopri i vincitori del concorso internazionale promosso dal MIUR

Segui TOgeTHeR iN eXPO 2015 Sui SOcialFacebook: www.facebook.com/TIE2015Instagram: www.instagram.com/togetherinexpo2015Tumblr: www.expo4schools.tumblr.comPer informazioni, richieste, segnalazioni: [email protected] Numero Verde: 800.11.77.60Skype: togetherinexpo2015www.togetherinexpo2015.itHashtag ufficiali: #TIE2015 #EXPO4SCHOOLS

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EXPO Milano 2015 sarà il più grande evento mondiale sull’alimentazione: con caratteristiche assolutamente inedite e innovative coinvolgerà non solo la città di Milano, ma tutto il Paese. Intento principale dell’Evento è

l’adesione e la partecipazione di Governi e Cittadini di oltre 140 Paesi al tema “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”.

In qualità di rappresentanza privilegiata di tutti i giovani del Paese, la Scuo-la italiana è chiamata a un ruolo di leader. Ad esempio, attraverso le proprie eccellenze, il mondo della Scuola sta già attivamente partecipando alla stesura della “Carta di Milano”, nonché realizzando - anche in collaborazione inter-ministeriale - aggiornate “Linee Guida per l’Educazione Alimentare” che verranno diffuse in tutte le Scuole.

Il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca promuove la più ampia partecipazione degli studenti di tutte le Scuole, di ogni ordine e grado, all’Evento: l’eredità che essi ne trarranno sarà quella di un’esperienza straor-dinaria. In particolare, la visita a EXPO Milano 2015 costituirà il punto di arrivo di esperienze didattiche che i giovani studenti italiani stanno vivendo nelle proprie Scuole.

Il MIUR e, per specifica competenza, la Direzione Generale per lo Studente, l’Integrazione e la Partecipazione del Dipartimento per il Sistema Educativo di Istruzione e Formazione intendono perseguire obiettivi specifici, attraverso un vasto e articolato piano di azioni: favorendo la partecipazione attiva del mondo della Scuola all’Evento; promuovendo gemellaggi e scambi internazionali fra le Scuole sulle tematiche dell’Esposizione Universale; vivendo EXPO Milano 2015 come un’olimpiade universale del confronto e della consapevolezza sui temi dell’Educazione Alimentare; sensibilizzando i giovani a una alimen-tazione corretta e sostenibile; coinvolgendo, nell’Esposizione Universale, il maggior numero possibile di ragazzi dall’Italia e dall’Estero.

Numerosi gli strumenti specifici e le azioni poste in essere. Alcuni esempi.È del 15.10.13 il Protocollo d’Intesa tra MIUR - EXPO2015 Spa - Padiglione

Italia “La Filiera della Conoscenza a EXPO Milano 2015: Scuola, Università e Ricerca”. Anche grazie all’accordo sottoscritto, l’Esposizione Universale per tutti gli studenti italiani è accessibile a un prezzo calmierato di 10 Euro e, attraverso altre convenzioni attivate dal MIUR, ulteriori agevolazioni sono disponibili per le Scuole. In data 27.11.14 il MIUR sigla con CONFINDU-STRIA il Protocollo d’Intesa “Adotta una Scuola per l’Expo 2015”. Il Proto-collo intende mobilitare l’intero sistema associativo di CONFINDUSTRIA e le imprese, sostenendo le Scuole nell’organizzazione della visita a EXPO Milano 2015. Nell’anno scolastico 2014-2015, il MIUR ha poi sviluppato due bandi specifici. Attraverso il concorso nazionale “La Scuola per EXPO 2015” circa 1500 Istituti scolastici sono stati chiamati a sviluppare strumenti conoscitivi e comunicativi - basati sull’utilizzo delle tecnologie digitali - sulle specifiche tematiche dell’Esposizione Universale. Con ampia libertà metodologica ed espressiva le Scuole hanno proposto idee e realizzato percorsi di formazione.

Il bando internazionale “Together in EXPO 2015”(TIE2015) ha visto la partecipazionedi quasi3000 Scuole. Coinvolgendo team provenienti da oltre 60 diversi Paesi, ha stimolato l’interazione e i gemellaggi (più di 300 quelli internazionali) tra gli studenti, attraverso una specifica piattaforma interattiva

Le Scuole a EXPo Milano 2015

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in italiano, inglese e francese www.togetherinexpo2015.it.Numerosi gli itinerari didattici progettati, tutti incentrati sull’approfondimento delle tematiche di EXPO. Oltre alle “missioni” proposte nel sito, vere e proprie attività ludico-educative per coinvolgere gli studenti in attività in stile edutainment, sono stati elaborati numerosi strumenti a supporto degli insegnanti. Grazie a un accordo siglato tra MIUR e Padiglione Italia, rappresentanze delle classi coinvolte nelle iniziative descritte avranno l’opportunità di presentare i propri progetti nei prestigiosi spazi del Padiglione: ben 736 progetti rappresentativi delle Scuole italiane di ogni ordine e grado e delle Scuole straniere.

L’elevato numero di Istituzioni scolastiche partecipanti alle varie iniziative testimonia quanto le Scuole siano coinvolte e partecipi nel dibattito stimolato dalle tematiche oggetto di EXPO Milano 2015.

Ulteriori informazioni e aggiornamenti sono disponibili sul por-tale www.lascuolaversoexpo.it, realizzato dal Ministero dell’Istru-zione, dell’Università e delle Ricerca per le Scuole, i docenti, gli studenti e le famiglie. In particolare, per comunicare il portale agli studenti, il MIUR ha anche attivato - attraverso i canali convenzio-nale e i social network - la campagna di comunicazione dal titolo “IO VOGLIO ANDARCI E TU?”.

“L’Expo è una grande occasione per il nostro Paese: porterà il mon-do in Italia e gli italiani nel mondo, in un viaggio attraverso il cibo e il tema della nutrizione. Per la scuola sarà un’ottima opportunità educa-tiva. Per questo da mesi siamo al lavoro per sostenere gli istituti che vogliono partecipare e recarsi a Mi-lano. Grazie all’azione di sostegno e di diffusione delle informazioni atti-vate dal Miur, ad oggi abbiamo già 700.000 studenti prenotati. Men-tre oltre 2 milioni di ragazzi hanno partecipato ai bandi di concorso tematici del nostro Ministero”. Così il Ministro dell’Istruzione, dell’U-niversità e della Ricerca Stefania Giannini in occasione dell’apertura dell’Expo 2015. “Nei prossimi giorni invieremo alle scuole anche le nuo-ve Linee guida per l’alimentazione”.

La scuola ad Expo, dal primo giorno

Con l’inaugurazione dell’Expo il Ministro Stefania Giannini ha aperto anche il Vivaio Scuole dove, fino ad ottobre, 736 istituti mostreran-no le loro eccellenze. A inaugurare questo spazio, per primi, sono sta-ti l’Istituto Majorana di Bari (con il progetto dal titolo “Beer with you”, realizzato in gemellaggio con una scuola belga) e l’Istituto Carlo Por-ta di Milano (con i lavori realizzati nell’ambito di un gemellaggio con il Brasile). Per la prima volta nella storia delle Esposizioni Universali,

Giannini: “700.000 gli studenti prenotati.In oltre 2 mln hanno partecipato ai concorsi del Miur”

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L’iniziativa è volta a massimizzare il numero di studenti in visita all’Expo durante il mese di Maggio 2015 provenienti da qualsiasi scuola (incluse le scuole di formazione professionale) inclusa nel territorio della Regione Lombardia. La logica è quella di creare le condizioni per una eventuale seconda visita alla ripresa del nuovo anno scolastico e quella di promuovere l’esperienza di visita all’interno delle famiglie di appar-tenenza. La visita deve essere particolarmente attrattiva ancorché nel rispetto dei seguenti principi:- Il prezzo del biglietto deve rimanere immutato, per equità di tratta-

mento di tutti gli studenti- Le iniziative descritte nel presente documento si applicano sia alle

scuole di nuova partecipazione sia per quelle che, dalla regione Lom-bardia, hanno già prenotato una visita.

TrasportiGrazie all’accordo specifico con Trenord, i Gruppi Scolastici potranno

raggiungere direttamente EXPO 2015 in treno e a condizioni agevolate. I Gruppi Scolastici (formati da almeno 10 persone) che sceglieranno il treno per raggiungere l’EXPO beneficeranno di tariffe agevolate con sconti del 20% per gli adulti (oltre i 14 anni) e del 50% per i ragazzi (andata/ritorno Milano-Rho Fiera a partire da soli € 2,20). Un team dedicato sarà a completa disposizione per l’organizzazione del viaggio.

Per prenotare occorre inviare il Modulo Richiesta Comitive (scarica-bile dalla pagina web dedicata) a [email protected] almeno 5 giorni lavorativi prima della data della partenza.

Per maggiori informazioni è possibile consultare la pagina web www.trenord.it/comitive, chiamare il Contact Center Trenord al numero 02 72 49 49 49 (attivo dal lunedì al venerdì dalle 7 alle 21; sabato, domenica e festivi dalle 8 alle 19,30) o scrivere una e-mail a [email protected]

McDonalds: per il solo mese di Maggio offrirà una soluzione ristora-tiva scontata. Per i più piccini che tipicamente mangiano l’Happy Meal, sarà offerto gratuitamente il gelato (o equivalente). Per i più grandi, il menu sarà scontato del 50%.

EsperienzaPadiglione 0: iniziativa ‘I compiti delle vacanze’. I contenuti del padi-

glione 0 sono ricchi, adatti a tutte le classi (possono essere segmentati)

Coinvolgimento scuole Regione Lombardia

la scuola sarà davvero protagonista.Intanto sono oltre 2 milioni gli

studenti italiani e stranieri che han-no partecipato a “La Scuola per Expo 2015” e a “Together in Ex-po 2015 (#TIE2015)”, i due bandi di concorso indetti dal Miur. Circa 1.500 scuole hanno sviluppato pro-getti di narrazione e comunicazione nel segno del digitale grazie al con-corso “La Scuola per Expo 2015”.

I l p r oge t t o i n t e r na z i ona l e #TIE2015, associato al progetto digitale www.togetherinexpo2015.it, attivo dal 6 ottobre 2014 e fino al termine dell’Expo Milano 2015, ha invece visto fino ad oggi la par-tecipazione di quasi 1.700 classi di tutto il mondo al bando di concorso. Mentre la piattaforma web (fruibile in italiano, inglese e francese) ha permesso a studenti e insegnanti di attivare gemellaggi internazionali e di iniziare a lavorare e a collaborare insieme. Sono quasi 3.000 i docenti iscritti al portale Together in Expo e quasi 2.000 i team/classi pro-venienti da 65 paesi diversi che si sfidano quotidianamente all’interno della Community del sito, parteci-pando alle attività ludico-educative di edutainment e scambiandosi messaggi. Il Miur ha attivato un si-to ad hoc http://www.lascuolaver-soexpo.it/ per fornire alle istituzioni scolastiche tutte le informazioni ne-cessarie per partecipare all’Expo, le agevolazioni attive (il biglietto per gli studenti, anche universitari, co-sta 10 euro), gli accordi siglati con associazioni e altri partner, come Confindustria o Coni, per portare i ragazzi all’Esposizione universale all’interno di percorsi didattici mirati fra sport, educazione alla salute e alternanza scuola-lavoro.

Accademie e Conservatori per Expo

Il Padiglione Italia ospiterà i Con-servatori italiani per tre momenti musicali al giorno. Anche le Acca-demie di Belle Arti, l’Accademia Na-zionale di Danza e l’Accademia di arte drammatica “Silvio D’Amico”, metteranno in mostra le proprie eccellenze.

#VivaioRicerca e Università E’ il programma di eventi scienti-

fici a cura del Centro nazionale delle Ricerche (Cnr) che si terrà al Padi-glione Italia. Ventiquattro gli eventi in calendario. Dieci gli atenei italiani che stanno già realizzando progetti.

Expo è ormai iniziato e Regione Lombardia si augura che i giovani possano fruire al meglio di questo eccezionale evento e delle infinite opportunità che offre per scoprire, conoscere, incontrarsi, insomma per stupirsi!

Con l’intento di agevolare e rendere particolarmente attraenti le visite per le studentesse e gli studenti lombardi è stata prevista, durante il mese di maggio, una serie di iniziative che si rivolgono alle istituzioni scolastiche e formative della Regione. Si tratta di agevolazioni per i trasporti, per i momenti di ristoro ed anche della possibilità di partecipare al Bando ”I compiti delle vacanze”, molto speciale e molto divertente. Sono certa che queste opportunità potranno essere apprezzate e potranno contribuire a rendere numerosa la presenza in Expo dei giovani e delle loro famiglie. Vi invito pertanto a leggere l’allegato delle agevolazioni rivolto a tutti i nostri studenti.

Valentina Aprea

SpECIALE Expo pER LE SCUoLE dI REGIonE LoMbARdIA

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ed abbracciano diverse tematiche legate alla nutrizione ed alla alimenta-zione. I ragazzi che partecipano alla visita saranno chiamati a produrre un esercizio di classe del tipo compiti delle vacanze e che sottomette-ranno durante il mese di Settembre ad apposita Giuria formata da Expo e rappresentanti di Regione Lombardia.

DinamicaLe scuole dovranno compilare un form sul sito web del pro-

getto scuola e su quello della Regione Lombardia, rilasciando i dati della classe, indirizzo mail e numero di telefono del docente. Gli elaborati (che dovranno essere video della durata massima di 60” o foto in formato digitale) dovranno essere inviati entro il 25 settembre 2015 all’indirizzo mail [email protected]. Le prime quattro classi vincitrici (una per ogni grado di insegnamento) saranno premiate all’interno del Padiglione 0 nel mese di Ottobre. Le 4 classi potranno entrare gratuitamente in Expo ed usufruire di una visita guidata “spe-ciale” all’interno del sito espositivo. Avranno un momento di incontro dedicato con Foody, la mascotte di Expo Milano 2015. I progetti mi-gliori inoltre, saranno pubblicati sui social media di Expo.

operatività1. Durata Bando “I compiti delle vacanze”: il bando sarà pubblicato

entro il 15 Maggio tramite i canali istituzionali della Regione Lom-bardia e pubblicato sul sito web del Progetto Scuola. Le scuole, dopo aver compilato il form, dovranno inviare entro il 25 Settembre gli elaborati digitali all’indirizzo mail [email protected]. Un’apposita Giuria formata da esperti del Team Progetto Scuola e della Regione Lombardia visionerà gli elaborati assegnando a cia-scuno un punteggio che determinerà la lista delle 4 classi vincitrici (una per ogni grado di insegnamento). Entro il 30 Settembre ver-ranno comunicati i vincitori ed Expo contatterà telefonicamente i docenti.

2. Biglietti omaggio e produzione di un coupon: Le classi vincitrici riceveranno entro il 5 Ottobre i biglietti omaggio a data aperta che consentiranno loro di entrare in Expo Milano 2015 ed usufruire gra-tuitamente della visita guidata. Expo produrrà un coupon valido per una visita guidata.

3. Distribuzione da parte di Regione Lombardia: Regione Lombardia invierà i coupon alle classi vincitrici. Nel giorno di visita scelto, le classi dovranno recarsi all’interno dello spazio espositivo della Regione Lombardia, in cui saranno consegnati a ciascuna classe vincitrice la mappa del Sito Espositivo, le indicazioni operative per usufruire del servizio di visita guidata e uno zainetto Expo. Sarà inoltre previsto per i vincitori un fotografo per la foto “ricordo”.

4. Predisposizione del sito espositivo. All’interno dello spazio della Regione Lombardia sarà possibile anche incontrare Foody, scattare una foto e condividerla sui canali social, previa liberatoria firmata preventivamente dai genitori.

5. Premiazione. Le prime quattro classi vincitrici saranno premiate all’interno del Padiglione 0 nel mese di Ottobre.

6. Comunicazione sui canali digitali. I progetti, le foto dei vincitori e della premiazione saranno pubblicati nella sezione “news” e nella sezione “la tua Idea per Expo” del sito web del Progetto Scuola e sui social media di Expo e della Regione Lombardia.

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ACCENSIONE E SPEGNIMENTO RAPIDOI proiettori CASIO non richiedono una fase di riscaldamento e raffreddamento. Questo si traduce in un avvio estremamente rapido della proiezione, che può raggiungere la massima luminosità in pochi secondi; allo stesso modo, il proiettore può essere spento anche improvvisamente senza il rischio di danneggiare la lampada. Ciò si rileva particolarmente utile in classe per accendere e spegnere il proiettore più volte, anche all’interno della stessa lezione.

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I VIDEOPROIETTORI NELLA DIDATTICA E IL PROBLEMA DELLE LAMPADESempre più aule, di qualsiasi ordine di scuola, sono dotate di videoproiettore: non solo in combinazione con la LIM, ma anche per la semplice proiezione di fi le, presentazioni o fi lmati.Un aspetto che il personale scolastico deve considerare è la manutenzione di questi apparecchi: essi, infatti, sono solitamente dotati di una lampada al mercurio che deve essere sostituita periodicamente. Questa operazione richiede non solo costi aggiuntivi e ripetuti nel tempo, ma anche un’attenzione particolare per evitare improvvise interruzioni del funzionamento del proiettore.

Per ovviare a questo problema, CASIO ha introdotto i videoproiettori LAMPFREE (senza lampada) a sorgente luminosa ibrida Laser-LED, garantendo una serie di benefi ci particolarmente utili in ambito scolastico.

20.000 ORE DI FUNZIONAMENTO SENZA CAMBI LAMPADALa sorgente luminosa ibrida Laser-LED offre una durata di 20.000 ore senza interventi di sostituzione. Considerando che una lampada tradizionale ha una durata media di 4.000 ore, i benefi ci di un proiettore così longevo risiedono non solo nel risparmio dei costi di acquisto e installazione delle nuove lampade, ma anche nella tranquillità di un apparecchio che non richiede operazioni periodiche come la sostituzione dei fi ltri.

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Politica scolastica

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Riscoprire se stessi, il valore del tempo

Di questi tempi, da più parti, si sottolinea che nel nostro Paese si vive una perdita progressiva del senso del passato con una diffi-coltà crescente ad immaginare il futuro, mentre rispetto al presente esso si impone tale e quale è. Ci siamo illusi di poter vivere attra-versando indenni contraddizioni e problemi insoluti, senza scossoni, ma la “sbornia” è finita il “palaz-zo premoderno” in cui siamo cre-sciuti è “crollato sopra e dentro le nostre teste”. Ora ci troviamo a vi-vere un disorientamento crescente e a tentare di collocarci in “ … una traiettoria storica, a inquadrare il nostro presente sulla base del per-corso che ci ha condotto fin qui” (Giuliano da Empoli, Idee e Life-style del Sole 24ore, aprile 2015).

Ci siamo svegliati per ritrovarci prigionieri di un eterno presente, percepito quale infinitamente più importante del passato e di un fu-turo azzerato, privi di memoria e di prospettiva. In questa fase storica diamo per scontata la pre-senza pervasiva della tecnologia che lavora per noi senza neppure avere la consapevolezza di quanto ciò abbia cambiato la nostra vita quotidiana.

Il mondo in cui viviamo, i cui i confini consolidati sono caduti o stanno cadendo, ci impone un cambio di mentalità idoneo a ge-nerare qualcosa di paradigmatico. Da un lato ciò pone dei problemi, ma dall’altro costituisce una ric-chezza a cui non possiamo rinun-ciare. Questo scenario ha infatti importanti ripercussioni sulla pro-gettazione di beni e servizi. Allora

di Alfonso Rubinacci

La responsabilità per oggi e per domani

NoI E GLI ALTRI

Riflessioni comparative tra la scuola spagnola e quella italiana

di Giovanni orecchioni*

Mentre in Italia si discute l’impianto del documento La buona scuola, che introduce molti elementi di novità e genera talune preoccupazioni e/o perplessità legate, a seconda dei punti di

vista, alla tempistica attuativa, all’efficacia dei funzionamenti oppure a questioni più generali di ordine politico e sindacale, stupisce che nel vasto programma riformatore renziano, così come da parte dell’opposi-zione politica, non vi sia alcun riferimento ai diversi modelli di scuola presenti in Europa. Eppure questi, al di là delle caratterizzazioni più marcatamente legate alla cultura e alla storia politica dei singoli paesi, possono dare spunti interessanti all’attuale dibattito e ribaltare alcuni punti di vista tradizionalmente “nostrani”, che stranamente restano fuori da ogni discussione anche nei nostri tempi di crisi economica e finanziaria che imporrebbero una riflessione seria di revisione di alcuni paradigmi organizzativi e gestionali del mondo scolastico. Questo non per sminuire il significato storico della riforma, su cui d’altra parte

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Politica scolastica

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Se si ricostruisce il lungo e acci-dentato percorso che la Buona Scuola ha fatto in questi mesi,

dal documento che il Governo pre-sentò lo scorso settembre, al testo dell’annunciato - e poi abbandona-to - decreto di fine febbraio, fino alla versione del disegno di legge 2994 al momento in discussione in Parlamento, è facile osservare che per quanto riguarda le singole misure previste la discontinuità è stata forte. Si vedrà, ad esempio, che le proposte per premiare il “me-rito dei docenti” e depotenziare il ruolo degli scatti di anzianità sono cambiate a ogni riscrittura, senza mai, a nostro parere, raggiungere un assetto davvero convincente, a causa dell’incomprensibile timidez-za nell’affrontare la necessità di co-struire per gli insegnanti un vero percorso di carriera, come avviene – tanto nel privato quanto nel pubbli-co – in tutte le professioni. Oppure, si vedrà che la riflessione sul tema della governance scolastica e, in particolare, del rafforzamento delle responsabilità del dirigente scola-stico nella scuola dell’autonomia, mentre veniva affrontato in modo soltanto retorico nel documento di settembre, ha subito nelle ultime settimane un’improvvisa accele-razione, traducendosi nel disegno di legge in alcune proposte decisa-mente innovative e sulla carta talora anche condivisibili (la possibilità del DS di scegliere i docenti che ri-tiene più adatti all’offerta formativa della propria scuola), che rischiano tuttavia di restare velleitarie, senza un’ampia discussione, o – peggio, se approvate così come sono – di

di Andrea Gavosto*

opportunità e debolezze della proposta del governo

ci si è già pronunciati su questa rivista mettendone in luce gli aspetti positivi, ma per contribuire a spostare l’attenzione su tematiche rimaste “esterne” rispetto a La buona scuola che pur tuttavia, a parere di chi scrive, meriterebbero la giusta attenzione. Alcune di esse possono es-sere desunte dal modello scolastico spagnolo. Qui non intendo parlare del curricolo scolastico a forte caratterizzazione regionale, né delle modalità di valutazione degli studenti o di gestione delle problematiche legate allo svantaggio e alla formazione degli alunni diversamente abili o ancora della didattica organizzata per dipartimenti con spazi relativi di lavoro a disposizione dei docenti (tutte cose che in realtà meritereb-bero un focus specifico di attenzione e discussione), preferendo soffer-marmi su alcune questioni più spicciole, apparentemente minimaliste, che tuttavia sono in grado di spostare ingenti risorse finanziarie senza intaccare la qualità del servizio scolastico. Il primo dato da segnalare in questo contesto è la mancanza dei collaboratori scolastici, espressione ingentilita di quelli che fino a pochi anni fa si chiamavano i bidelli, un’espressione che resta intraducibile in Spagna così come in Inghilter-ra, in Germania e nel resto d’Europa. Una differenza non da poco ri-spetto al nostro Paese dove, nel corrente anno scolastico, i collaboratori scolastici sono circa 132.000, ben oltre la metà dell’intero comparto del personale ATA che si attesta a poco più di 205.000 unità. Senza entrare nel merito del calcolo dei costi, anche al fine di evitare un approccio tecnicistico al problema, cosa che in questo contesto sarebbe fuori

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Politica scolastica

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profondi cambiamenti. È dal 1977 che si registra in Italia un tasso di disoccupazione giovanile altissi-mo, insostenibile, non solo perché gli spazi occupazionali si sono ri-stretti ma, anche, per la scomparsa di molte tipologie di lavoro. È fi-nita l’era del posto fisso. Le nuove generazioni a partire dalla scuola debbono imparare ad essere crea-tori dei mestieri del futuro che an-cora non esistono. Ma qui occorre che la politica abbia una visione per il futuro, metta in campo po-litiche che siano organiche ed ef-ficaci non soltanto sui contratti ma come politica industriale, promo-zione e facilitazione all’imprendi-toria, non alle lobby, Ma il sistema a chiunque voglia “imprendere”,

non va, che non funziona. Seppure diciamo che vogliamo puntare su l’arricchimento della dimensione dei saperi, sul rafforzamento degli assetti dell’istruzione, della forma-zione e della ricerca, sulla coesio-ne sociale ed istituzionale, perché finalmente abbiamo il coraggio della discontinuità … siamo an-cora ad invocare “tempi lunghi” per i fattori generatori di sviluppo … su nuove linee direttrici, per ri-dare impulso al reddito e all’occu-pazione. Ma non abbiamo, forse, ancora ben capito che il tempo, i tempi … non siamo noi a dettarli. L’incertezza economica per tutti, la disoccupazione per moltissi-mi e il difficile accesso al lavoro per i giovani hanno determinato

cosa fare? Prenderne atto e correg-gerne il tiro è esercizio difficile, ma senza alternativa.

Va ritrovata la capacità di “far accadere le cose”, di “far muovere gli ingranaggi”. Ciò è possibile in-dividuando responsabilità chiare, obiettivi concreti, con tempi di re-alizzazione ben definiti e scaden-zati, nuove e solide competenze su cui poggiare l’autonomia necessa-ria per raggiungerli. La miscela di bassa crescita e crisi demografica costituisce un caso paradigmatico. Non possiamo pensare di potere far rivivere i tassi di crescita del 1960, che erano strettamente collegati alle economie in fase di sviluppo. In un contesto di bassa crescita, il nostro Paese può continuare a gio-care un ruolo e produrre innova-zione funzionale alla crescita, con la consapevolezza che il profilo della società italiana, o per meglio dire occidentale, può essere im-maginato anche al di fuori delle “fabbriche” che, tuttavia, conser-vano un ruolo importante, decisi-vo per una nuova fase di sviluppo che sia duratura e strutturale. Per riprendere il cammino dello svi-luppo occorre impegnarsi a creare condizioni, le più appropriate, per ritrovare un’efficace politica che valga a rafforzare le potenzialità del sistema produttivo con l’in-gresso in nuovi settori di attività.

Se non vogliamo limitarci a una navigazione dai confini limitati occorre acquisire un robusto pa-trimonio di saperi, conoscenze e competenze in campo tecnologico per migliorare la qualità del capi-tale umano. I nostri giovani spesso posseggono quel patrimonio di sa-peri, se lo sono conquistato, hanno tutte le necessarie competenze ma devono andare a l’estero per veder-si riconosciuti e impiegati. Non siamo un paese per giovani! Come mai? Eppure è tanto che si parla di merito e di bisogno di nuove competenze per arricchire la com-petitività del Paese. Quindi, se non è cambiato nulla, c’è qualcosa che

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luogo, si può facilmente intuire come molte risorse aggiuntive potreb-bero essere messe in gioco ogni anno senza aggravi di spesa. E chi pu-lisce? Chi fa la vigilanza? E’ presto detto. Le ditte di pulizia entrano a scuola al termine delle lezioni, così come del resto già si fa nelle scuole private italiane, mentre in Italia i collaboratori scolastici dovrebbero tenere puliti e in ordine i loro rispettivi reparti avendo a disposizione pochissimi minuti, ossia il tempo residuo tra l’uscita degli alunni dalle classi e quello del loro orario di servizio che, nella maggior parte dei casi, va dalle ore 8 alle 14. La vigilanza, invece, è affidata ai docenti che, oltre all’orario di insegnamento di 20 ore (erano 18 prima della crisi), hanno altre quattro ore a disposizione per compiti di sostituzio-ne dei colleghi (due) e per la vigilanza (altre due). Anche qui si può apprezzare la funzionalità del sistema per la gestione delle assenze di pochi giorni rispetto a quanto avviene in Italia, dove, da quando tutte le cattedre sono state portate a 18 ore, non esistono più le ore a disposizione dei docenti per provvedere alla sostituzione dei colleghi né vi sono le risorse sufficienti per pagare le ore eccedenti ai docenti disponibili a fare ore aggiuntive. Ne viene fuori un marasma incon-trollato e spesso ingestibile, fatto di classi scoperte, classi con orario ridotto, classi accorpate ad altre classi al solo scopo di assicurare la vigilanza e con buona pace dell’efficacia dell’azione didattica. Sono cose che conosce solo chi nella scuola ci vive, ma che mortificano profondamente chi vi opera e discreditano inevitabilmente l’immagine della scuola, abbassando significativamente la qualità complessiva del servizio, senza che si abbiano strumenti alternativi per ovviare alle urgenze e difficoltà del quotidiano scolastico. Perché la qualità della scuola passa soprattutto dalle piccole cose, dai suoi funzionamenti ordinari ancor prima che dalle grandi questioni di cui la politica sco-lastica si occupa. Il sistema spagnolo, per gli elementi considerati, risulta assai più funzionale di quello italiano. Si dirà che questo lo si fa alle spalle degli insegnanti, ma non è così. Infatti, a fronte di un onere di lavoro maggiore, essi percepiscono stipendi maggiori, anche a prescindere dalla somma accantonata in Italia per il pagamento del trattamento di fine rapporto. Inoltre, cosa da non trascurare nel qua-dro comparativo, hanno mantenuto il diritto di andare in pensione a 60 anni. Con benefici non solo personali, ma che consentono un più

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lA BuoNA scuolAnon più basata su un approccio “addestrativo”, impensabile ed im-produttivo per la velocità dell’ob-solescenza degli strumenti, ma che inquadri il problema dell’innova-zione come essenzialmente cul-turale. A tutti è richiesto di saper guardare ai problemi con occhi nuovi, quindi di essere i primi ad “aggiornare” la nostra cultura per essere in grado di comprendere il mondo e proiettarci nel futuro. Sapendo che di quel futuro non dovremo essere noi i protagonisti ma i bambini e i giovani di oggi.

Il cambiamento per costruire la scuola del futuro deve poggiare su una visione d’insieme, un quadro organico, una strategia di siste-ma che abbia modalità ed approc-ci diversi rispetto al passato e al presente.

Abbiamo bisogno di un nuovo modello educativo per motiva-re i giovani a non abbandonarla e per servire all’economia italia-na. Lo sviluppo innovativo del sistema d’istruzione e formazio-ne oltre a produrre migliori esi-ti formativi per i giovani, genera occupazione per i laureati, con-tribuisce all’innalzamento della cultura degli stessi stakeholder con i quali intrattiene i rapporti: famiglie, imprese ed enti locali. Con l’approvazione da parte del Parlamento del disegno di legge di riforma della scuola si potrà aprire a tutti gli effetti la fase di riorga-nizzazione del sistema scolastico. Passaggio di notevole importanza perché si colloca all’interno di una finestra temporale molto stretta mentre i sistemi scolastici sono strutture complesse che mutano lentamente.

Aumentare il livello d’istruzio-ne e formazione genera maggiore efficienza produttiva, rendimenti più elevati, ma non è sufficiente se non si accompagna a cospicui investimenti in ricerca.

La ricerca assume un valore an-cora più decisivo nei momenti di recessione economica.

alle loro aspettative. L’emigrazio-ne non investe solo i giovani, ma anche la fascia d’età 35/44 ani, dove siamo oltre il 32%. Poi si af-fievolisce l’esodo verso la Germa-nia e cresce quello verso gli Stati Uniti, il Brasile, il Regno Unito dove oltre un quarto degli emigra-ti possiede la laurea. Un tessuto occupazionale che invecchia frena anche l’innovazione tecnologica e si rif lette negativamente sulla posizione competitiva delle im-prese e di tutto il paese nel suo complesso.

Chi ha tempo non aspetti tempoDavanti a noi c’è la sfida costitu-

ita dalla capacità di individuare la nuova frontiera della formazione

senza imporre vessatorie e onerose procedure, deve essere equo nella tassazione ma inf lessibile verso chi non onora i tributi e compie il-leciti … a tutela di tutti. Quindi è crescente il numero di giovani che decidono di emigrare all’estero ed è dimezzata l’immigrazione lega-le che aiutava a ‘tenere’ la demo-grafia italiana. Si parte di nuovo, meno dal Mezzogiorno e più dal Nord-est, mentre dal Nord-ovest il volume si raddoppia (Rapporto sulla popolazione, edito dal Muli-no). Nelle aree più dinamiche del Paese l’emigrazione è più forte ed investe più laureati di prima: dal 15% del 2005 al 22% del 2012.

Sono tante le persone qualifi-cate in cerca di sbocchi adeguati

rapido ricambio del corpo docente a vantaggio dei giovani e l’abbas-samento dell’età media degli insegnanti. Da noi, complice la riforma Fornero, si va viceversa verso una classe docente vecchissima, senza paragoni con nessun altro paese d’Europa, che avrà sempre meno energie e motivazioni per gestire in modo efficace la didattica nelle classi. Si tratta di un disastro annunciato, dalle conseguenze rovinose e figlio di politiche riguardanti il pubblico impiego che, applicate in automatico al mondo della scuola, appaiono quanto mai scellerate. Passando ad altro, spicca il modello gestionale della scuola spagnola, anche questo assai differente dall’Italia e, nel complesso, abbastanza anomalo a livello internazionale. E’ tuttavia interessante qui notare, a prescindere dalla considerazione che la carica del preside è elettiva, il fatto che si forma, intorno ad essa, uno staff gestionale costituito da sei persone, tutti docenti, che continuano a insegnare per 6 ore settimanali e restano a disposizione per altre 18 ore settimanali per la gestione della scuola. Cosa ben diversa dall’Italia, dove il dirigente scolastico ha oggi due collaboratori che, nella maggior parte dei casi, sono esonerati dall’insegnamento per un totale di 9 ore settimanali contro le 18 ore spagnole. Senza dire che nel frattempo le 9 ore sono state eliminate e appare ancora molto nebuloso, al di là di quanto si promette e si dichiara, quel che accadrà dal prossimo mese di set-tembre. Si dice che i dirigenti scolastici avranno a disposizione tre collaboratori, ma da quando?, i collaboratori potranno disporre in concreto di ore settimanali per poter dare il loro contributo in maniera effettiva ed efficace o dovranno fare i salti mortali per trovare rima-sugli di tempo residuo per assolvere ai numerosi e impellenti impegni di gestione? Sono domande che rimandano al dopo e che fanno guar-dare all’immediato futuro con le incertezze e le preoccupazioni del momento. Si è eliminato un sistema di gestione, già reso difficoltoso dall’ampliamento delle scuole a seguito dei piani di razionalizzazione, e non se ne è costruito ancora un altro. Qualcosa di concreto in ri-sposta alle problematiche qui esposte può venire guardando all’estero e prendendo spunto dal modello spagnolo che, almeno per quel che riguarda l’efficacia dei funzionamenti, può rappresentare una opzione utile e vantaggiosa anche per la scuola italiana.

*Dirigente Scolastico dell’I.I.S. “Da Vinci-De Giorgio” di Lanciano (CH)

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olA E’ questo il senso più profondo

del’autonomia scolastica, moti-vante, creativo e soddisfacente. In questo scenario di riferimen-to il nuovo ruolo riconosciuto ai dirigenti scolastici relativo al-la chiamata diretta dei docen-ti dagli albi regionali, potrebbe configurarsi come mezzo utile al miglioramento del sistema edu-cativo nel suo complesso, sgom-brando il campo dal pericolo di determinare l’accentuazione del-le differenze tra scuola e tra aree geografiche dei livelli di appren-dimento. Una prospettiva diffi-cile, piena di insidie, ma vale la pena di tentare a condizione che la comunità educante si atti-vi nel cooperare molto di più di quanto non faccia ora per inno-varsi, per mettersi in gioco, per essere creativa ed accettare di abbandonare strade vecchie ma sicure. Nuove istanze e nuovi sforzi non possono prescindere da partecipazione e cooperazio-ne che possono fiorire solo per-ché se ne comprende e riconosce valore ed importanza … non per comando!

valutativo, specialmente per gli aspetti che investono la defini-zione e le azioni di migliora-mento nell’ottica di una crescita continua del livello di qualità di funzionamento dell’istituzione scolastica. Attualmente in ogni scuola sono pochi i docenti ca-paci di operare innovazione: perché? Perché manca la coope-razione, il clima collaborativo, la tensione dello sforzo comune verso un r isultato che r iguar-da tutti ed è di tutti: dividi di più, aumenta la discrezionalità di un’autorità che magari non è autorevole. Tra l’altro con il ri-schio di produrre più burnout che avrà effetti negativi anche sui discenti.

Questo scenario offre le con-dizioni per avviare un processo di ricerca e sviluppo originale e caratteristico di ogni singola istituzione scolastica che deve configurarsi luogo di ideazione e realizzazione di cambiamen-ti inediti, ordinari, e non come eventi straordinari, rispondenti ai bisogni formativi di tutti e di ciascuno.

La scuola quale hub di ricerca e innovazione

Come si fa a migliorare gli ap-prendimenti quando non sono ben definiti e non se ne ha un quadro at tendibile? È un pro-blema antico alla cui soluzione può contribuire solo la crescita di una cultura della valutazione riconosciuta, in maniera diffusa e convinta, come potente stru-mento di sviluppo professionale e organizzativo della scuola. C’è molto bisogno di “fare” valuta-zione e di intensificare la ricerca sul campo con il contributo at-tivo e responsabile delle scuole che sono protagoniste del Siste-ma nazionale di Valutazione.

La valutazione non è una clas-sifica, non deve servire per pro-durre graduatorie di vincitori e perdenti ma serve a capire i pun-ti di forza e di criticità, creando le condizioni perché la scuola assolva, migliorandosi, alla pro-pria mission educativa.

Occorrono, però, consisten-ti misure per accompagnare le scuole nelle azioni di concre-t izzazione del procedimento

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lA BuoNA scuolAdi tutti i docenti delle GAE po-trebbe egualmente avere una sua efficacia non soltanto per i diret-ti interessati, ma per la scuola in generale, se sapessimo che questi insegnanti – o quanto meno una cospicua maggioranza di essi – ha il profilo “giusto” per rispondere alla domanda formativa che in que-sti anni è venuta dagli istituti italia-ni. Sappiamo, però, che non è così, anche se purtroppo il Governo ha tardato ad accorgersene. Le ragioni dell’inadeguatezza delle GAE a ri-spondere alle attuali e – si presume – future esigenze delle scuole sono molteplici e, fra queste, vi è anche la preoccupante incertezza sulla lo-ro qualità professionale, della qua-le sappiamo davvero poco, se non che di sicuro è assai eterogenea. Ma quella principale resta il grave mismatch disciplinare e territoriale fra offerta delle GAE e domanda delle scuole. Il mismatch discipli-nare è determinato sia dall’insuf-ficiente numero di docenti GAE in alcune classi di concorso (come matematica nella secondaria di I grado), con supplenze annuali ne-gli ultimi anni sempre più spesso assegnate a docenti non inclusi nel-le GAE (e continueranno a esserlo, nonostante il piano di assunzioni), sia dalla sovrabbondanza di docen-ti GAE in altre aree disciplinari. Si pensi, per non fare che un esempio, alla classe di concorso A019 (disci-pline giuridiche ed economiche): come si evince dai dati forniti dallo stesso MIUR ai parlamentari, su oltre 7600 docenti GAE di questa classe concorso da assumere con il piano straordinario, soltanto 315 andrebbero a insegnare la loro ma-teria. Tutti gli altri finirebbero a insegnare – in deroga - materie “af-fini” per quali non hanno l’abilita-zione, oppure verrebbero assegnati al sostegno o, infine, potrebbero occupare i nuovi posti di “poten-ziamento dell’offerta formativa” dell’organico dell’autonomia, con il rischio di limitarsi a coprire le supplenze brevi del proprio istituto

aspettati che il buon senso sugge-risse di partire da una ricognizione accurata, prospettica e – per quanto possibile – condivisa di quelle che sono oggi le esigenze reali (didatti-che, organizzative, ordinamentali) del nostro sistema d’istruzione e come queste evolveranno nel pros-simo futuro. Soltanto muovendo da tale premessa - che cosa ci serve? – si doveva poi fare discendere le diverse conseguenze e, in partico-lare, le decisioni relative alle risor-se umane necessarie all’ambizioso progetto: quali e quanti insegnanti ci servono? Come li formiamo? Quali prospettive di carriera, quale retribuzione e quali motivazioni diamo loro, per restituire alla pro-fessione docente una reputazione sociale oggi avvertita in declino?

La Buona Scuola, invece, ha fat-to il processo inverso: è partita, infatti, dall’urgenza di risolvere, attraverso un piano straordinario di assunzioni, un problema certamen-te grave e socialmente delicato, ma specifico: quello dell’eccesso di insegnanti precari. Peraltro, fin dall’inizio l’orientamento del Go-verno è stato quello di preoccu-parsi solo degli insegnanti precari delle graduatorie ad esaurimento (GAE), che – come sappiamo – non rappresentano tutto il precariato della scuola. L’individuazione delle GAE come uno dei nodi da scio-gliere – e non c’è dubbio che lo sia davvero – ha preso, però, il soprav-vento su ogni altra considerazione, diventando la bussola e la conditio sine qua non dell’intero processo. Ora, e soprattutto se i propositi sono sinceramente riformatori e vogliono andare al di là delle tan-te “sanatorie” a cui abbiamo assi-stito nei decenni scorsi, a nostro giudizio non si possono anteporre le pur legittime aspettative di una particolare categoria di insegnanti al generale interesse della scuola italiana.

Naturalmente, sebbene frutto di una logica capovolta e sbagliata, la prevista assunzione al 1 settembre

dare luogo a situazioni di arbitrio e di conflitto, in assenza della defi-nizione degli adeguati contrappesi ai nuovi poteri del DS. O, ancora, si vedrà che l’attenzione a defini-re politiche sempre più inclusive, a favore degli allievi con disabilità o con bisogni educativi speciali, era praticamente nulla a settembre, era diventata invece significativa nel te-sto intermedio di febbraio, con mol-te promettenti intenzioni, ma ha poi registrato un nuovo arretramento del disegno di legge. Gli esempi di questa erratica discontinuità e di re-pentini mutamenti di indirizzo (dif-ficile dire se dovuti più alle critiche piovute dall’esterno o piuttosto alle troppe mani diverse che sono inter-venute nella scrittura) potrebbero continuare, investendo quasi tutte le specifiche proposte della Buona Scuola, con la sola positiva eccezio-ne di quelle relative all’alternanza scuola-lavoro.

Su un aspetto, tuttavia, la Buona Scuola è rimasta sempre e tenace-mente fedele a se stessa: la logica generale che informa il progetto ri-formatore e sottende alle sue tante parti. In questo caso, mai un’incer-tezza, mai un ripensamento. Pecca-to, però, che si tratti di una logica “capovolta” e, perciò, fortemente opinabile, come dall’inizio la Fon-dazione Agnelli e molti altri hanno fatto notare.

Il Governo non ha mai nasco-sto la propria intenzione di mette-re mano ai cambiamenti di cui la scuola italiana ha bisogno in modo ambizioso e lungimirante, non a caso riuscendo – di questo occorre dargli atto – a trovare dopo molti anni risorse aggiuntive per un in-vestimento giustamente definito strategico. Queste ambizioni si ri-trovano tutte nell’amplissima de-lega chiesta per sé nell’art. 21 del disegno di legge. Ma se si vuole davvero riformare la scuola e defi-nirne un assetto efficace e stabile per i prossimi 10-15 anni, perché da essa – come si dice – “dipende il futuro del Paese”, ci saremmo

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uno sguardo all’evoluzione dei rapporti tra gli utenti del servizio scolastico e l’amministrazione che ta-le servizio eroga mostra un sensibile aumento delle

richieste risarcitorie a seguito di danni (veri o presunti) subìti dagli alunni.La ricerca delle cause remote di questo fenomeno ci condu-ce a una matrice di tipo psicosociologico. Il pieno riconosci-mento dei diritti delle persone, che ha trovato attuazione nelle norme positive che hanno dato via via sempre più completa attuazione ai principi sanciti dalla carta costitu-zionale, e il rapporto paritetico tra cittadini e pubblica am-ministrazione instauratosi a partire dall’attuazione della legge n. 241/90, che ha fatto venir meno – giustamente – la “sudditanza” che il cittadino percepiva nei confronti delle amministrazioni pubbliche, retaggio del cosiddetto Stato prefettizio, sono certamente implicati nel fenomeno di cui stiamo parlando. Ma è indubbio che questa evoluzione nor-mativa abbia trovato terreno fertile nelle attuali famiglie, che – altrettanto giustamente – hanno dimostrato un cre-scente investimento (anche affettivo) sui figli (non di rado figli unici), non accettando che il benessere di questi ultimi potesse essere leso o anche semplicemente minacciato, con la conseguente richiesta di risarcimento dei danni subìti o subendi (o presunti tali). Potremmo affermare che questa è una delle conseguenze di quella che psicologi e sociologi chiamano “famiglia affettiva”.Ma il discorso può essere allargato, per motivi per certi versi analoghi, anche ai rapporti tra i lavoratori e il datore di lavoro, che mostrano come i primi non abbiano più – an-che in questo caso giustamente – quel timore reverenziale (degno della Cittadella di Cronin) che li induceva a trala-sciare di intraprendere azioni di rivalsa per danni subìti durante o a causa dello svolgimento delle attività di ser-vizio, e oggi sono pronti a intraprendere azioni legali sia per danni materiali che per danni morali o psicologici (si pensi al mobbing).Questa lunga premessa si è resa necessaria per introdurre il tema di questo articolo, che è dedicato alla tutela assicu-rativa delle istituzioni scolastiche. I nuovi dirigenti scola-stici, mentre ancora freschi di studio si interrogano sulla quota di leadership e la quota di managerialità che devono infondere nella loro azione di governo dell’istituzione sco-lastica alla quale sono preposti, si trovano (all’improvviso) a dover gestire l’infortunio di un alunno o di un dipendente, o un’altra pretesa risarcitoria, e si rendono conto di quan-to questo aspetto della loro professione, che probabilmente non li appassiona, possa rivelarsi insidioso e … oneroso, anche a livello personale.Poche organizzazioni hanno un numero di dipendenti cospi-cuo come quello di un istituto scolastico, che in aggiunta a questo risponde ogni giorno dell’incolumità di un nu-mero infinitamente più grande di soggetti minorenni (gli alunni). Come sottolinea Sergio Auriemma(1), sulla scor-ta di alcune sentenze della Suprema Corte di Cassazione, quando un alunno si iscrive a una scuola si instaura un vincolo negoziale che include la vigilanza “sulla sicurezza e sull’incolumità dell’alunno nel tempo in cui fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni”. Quello che si genera è, quindi, un “contratto di protezione”, non dissimile da quello che si instaura nel rapporto tra il da-tore di lavoro e i lavoratori. Ancora secondo Auriemma, in-fatti, il datore di lavoro (che nella scuola si identifica con il

dirigente scolastico) è tenuto a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore.Le fonti normative, peraltro, non mancano, e vanno dall’art. 28 della Costituzione (“I funzionari e i dipendenti dello Sta-to e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabili-tà civile si estende allo Stato e agli enti pubblici”), all’art. 2043 del Codice civile (“Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto risarcire il danno”). oltre a questo articolo del Codice civile, che delinea la cosiddetta “respon-sabilità aquiliana”, si deve tenere presente l’art. 2048, che delinea la responsabilità dei precettori e degli insegnanti in caso di danno cagionato da fatto illecito dei loro allievi o apprendisti nel tempo in cui sono soggetti alla loro vigilan-za. Non è questa la sede per approfondire la differenza tra i due tipi di responsabilità, extracontrattuale (art. 2043) e contrattuale (art. 2048), i quali hanno conseguenze diverse in sede giurisdizionale. Riteniamo comunque di aver intro-dotto elementi sufficienti a far comprendere l’importanza, per gli istituti scolastici, di dotarsi di idonee coperture as-sicurative. E’ da dire, innanzitutto, che gli istituti scolasti-ci dispongono di alcune coperture assicurative, anche se parziali. una di queste è fornita dall’INAIL, ma è limitata, per quanto riguarda gli alunni, agli infortuni che acca-dono nel corso delle esperienze tecnico-scientifiche, delle esercitazioni pratiche (anche con l’uso di videoterminali) e di educazione fisica, e anche per il personale ci sono alcu-ne limitazioni. Anche le Regioni forniscono una copertura assicurativa alle istituzioni scolastiche, limitata ai soli in-fortuni. Le limitazioni sopra richiamate (in modo somma-rio – invitiamo a prendere visione delle circolari dell’INAIL e delle polizze specifiche per una informazione più precisa ed esaustiva) inducono gli istituti scolastici a stipulare propri contratti di assicurazione, a seguito di specifiche indagini di mercato e attraverso una gara d’appalto, an-che perché le polizze sopra richiamate non comprendono la responsabilità civile verso terzi, che costituisce un requi-sito indispensabile, tra l’altro, per la partecipazione alle visite guidate e ai viaggi di istruzione. Tale assicurazione, cosiddetta “integrativa”, è a spese degli alunni e del perso-nale che vi aderisce.La gara d’appalto che le istituzioni scolastiche devono ef-fettuare, e per di più annualmente, essendo vietato alla pubblica amministrazione l’istituto del rinnovo tacito dei contratti per la fornitura di beni e servizi, sono particolar-mente complesse, a causa dell’intrinseca complessità delle procedure di comparazione delle offerte in un campo così specialistico come quello assicurativo, anche per il divie-to di ricorrere a broker assicurativi. Questa complessità apre le porte a possibili e non rari contenziosi, che possono paralizzare le procedure di gara con le conseguenze che facilmente si possono immaginare.E’ pertanto auspicabile che si metta un po’ d’ordine nella materia, cominciando per esempio con la stipula di conven-zioni a livello nazionale tramite il Mercato Elettronico della Pubblica Amministrazione, in modo da fornire alle singole istituzioni scolastiche soluzioni condivise ed efficaci.

*Dirigente Tecnico USR Lazio* Auriemma S., voci “Infortuni degli alunni”, “Viaggi e visite guidate”, “Salute e sicurezza nei luoghi di lavoro”, Repertorio Dizionario normativo della scuola 2014, Notizie della Scuola, Tecnodid editrice, Napoli

Nuove regole per una nuova dimensione culturale assicurativadi Riccardo Lancellotti*

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un organico dell’autonomia in gra-do di rafforzare davvero l’offerta formativa e permettere un’apertu-ra prolungata delle nostre scuole (magari, in vista di un inizio non travagliato del prossimo anno sco-lastico, affidando a un decreto le assunzioni necessarie a coprire il turnover). La portata delle scelte che abbiamo di fronte richiede una riflessione ampia e condivisa sui principi che governeranno la nostra scuola nei prossimi decenni. Non è paradossale ritenere che l’urgenza del cambiamento non debba con-durre a un dibattito frettoloso…

*direttore della Fondazione Giovanni Agnelli

nuovamente estenderne il numero) non possa risolvere alcun problema della scuola italiana, se non quello occupazionale degli interessati.

Difficile dire, nel momento in cui scriviamo, quale sarà l’iter del disegno di legge. Pur non es-sendo particolarmente ottimisti, la speranza è che la discussione parlamentare si prenda il tempo necessario – e non possono essere poche settimane - a raddrizzare la logica capovolta della Buona Scuo-la. In primo luogo, ripensando e rimodulando il piano di assunzioni in base alle effettive esigenze del nostro sistema d’istruzione per i prossimi anni, nella prospettiva di

e poco altro. A complicare le cose vi è il secondo mismatch, quello territoriale: mentre la demografia studentesca sta progressivamente dilatando il numero di cattedre al Centro-Nord e comprimendo quel-le al Sud, gli iscritti alle GAE sono in maggioranza residenti nelle re-gioni meridionali.

Alla luce di questi squilibri, che il disegno di legge continua a sot-tovalutare, a noi pare che l’imme-diata assunzione di tutti i docenti GAE (per inciso, quanti sono? Non lo sappiamo ancora con esattezza e la recentissima sentenza del Con-siglio di Stato favorevole ai vec-chi diplomati magistrali potrebbe

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Vorrei soffermarmi su questi due aspetti, tra loro, peral-tro, intimamente connessi,

per affrontare alcune novità di ri-lievo che interessano l’università e che rischiano di passare inosser-vate per l’impatto mediatico com-prensibilmente prevalente sulla “buona scuola”. La laurea ‘serve’ non solo per le positive ricadute so-ciali, culturali ed economiche del più alto livello formativo, come si ripete da tutti ad ogni piè sospin-to, e per la competitività del Paese nel mercato globale, ma anche dal punto di vista del vantaggio indi-viduale di chi la consegue. Lo cer-tifica “Almalaurea”, il consorzio interuniversitario che comprende 72 università e che annualmente pubblica una sua dettagliata inda-gine sul profilo dei laureati e sulla loro condizione occupazionale. Il XVII Rapporto 2015, presentato a Milano il 16 aprile, ha coinvolto quasi 490 mila laureati di 65 uni-versità italiane delle 72 aderenti, ad oggi, al Consorzio, per un totale di 240 mila laureati di primo livello, oltre 180 mila laureati magistrali e oltre 57 mila magistrali a ciclo

unico degli anni 2013, 2011 e 2009, intervistati, rispettivamente a uno, tre e cinque anni dalla laurea.

La documentazione relativa al-la disoccupazione per età e titolo di studio conferma che, sebbene nella fase di ingresso al mercato del lavoro tutti i giovani italiani, laureati inclusi, incontrino diffi-coltà maggiori che in altri paesi, resta vero che la laurea continua a rappresentare un forte investimento contro la disoccupazione. I laureati godono di vantaggi occupazionali rispetto ai diplomati sia nell’arco della vita lavorativa sia, e ancor più, nelle fasi congiunturali negative come quella che stiamo vivendo. Se prescindiamo dai lavoratori con la scuola dell’obbligo, i più colpiti dal-la crisi, il tasso di disoccupazione a cavallo della recessione, ovvero tra il 2007 e il 2014, è cresciuto di 8,2 punti per i neolaureati (ovvero di età compresa tra i 25-34 anni), passando dal 9,5 al 17,7%, e di ben 16,9 punti per i neodiplomati (di età compresa tra 18 e i 29 anni),

aumentando dal 13,1 al 30%. Ne deriva che, nel medesimo perio-do, il differenziale tra il tasso di disoccupazione dei neolaureati e dei neodiplomati è passato da 3,6 a 12,3 punti percentuali, a conferma delle migliori opportunità lavorati-ve dei primi rispetto ai secondi. Le performance lavorative dei laureati restano migliori di quelle dei di-plomati anche nell’intero arco della vita lavorativa, sia in termini di op-portunità occupazionali (il tasso di occupazione è pari al 75,7% per i primi, contro il 62,6% dei secondi) che retributive (fatto 100 il guada-gno dei diplomati, i laureati guada-gnano circa il 50% in più).

Possono sottoscriversi dunque le considerazioni di Andrea Cammel-li, fondatore e direttore del Consor-zio: “Lo scenario presente e futuro, nonostante i miglioramenti regi-strati, resta tuttavia estremamente incerto. Ancora oggi, e nonostante le difficoltà del nostro Paese, la laurea tutela il giovane sul merca-to del lavoro più di quanto non lo faccia il solo diploma. In un conte-sto del genere, oltre ad un’efficace politica di orientamento, occorre

LA LAuREA SERVE di Fabio Matarazzo*

“L’università si specchia per dare il meglio di se’”

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Studiare i fenomeni reali, sperimentare, apprendere come utilizzare al meglio le nuove risorse tecnologiche. È questa la sfi da della scuola nell’era digitale: non solo imparare ad utilizzare strumenti di ultima generazione, ma apprendere come servirsene nella pratica quotidiana. Una sfi da che tal-volta può scoraggiare anche il corpo docente e gli studenti più motivati, a causa di una carenza di risorse didattiche ed economiche o di diffi coltà logistiche non sempre facili da su-perare. Ecco allora che il laboratorio CASIO ha ideato una soluzione semplice e geniale al tempo stesso, e ciò che più conta alla portata di tutti! La soluzione di laboratorio CASIO nasce infatti per favorire l’insegnamento e l’apprendimento della matematica e delle scienze in un ambiente dinamico e sperimentale, capace di stimolare l’interesse e la curiosità degli studenti. Il laborato-rio interdisciplinare, così ideato, favorisce il lavoro di gruppo, in cui pratica e rifl essione si integrano per dar luogo un’espe-rienza di formazione coinvolgente e facile da applicare nella pratica quotidiana. Il tutto con vantaggi non comuni:

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Obiettivo docente

pertanto che il sistema Paese torni a investire in un settore così stra-tegico come quello dell’istruzione e delle politiche per il Diritto allo Studio. La carenza di risorse desti-nate al sistema universitario, infat-ti, costituisce un pesante ostacolo allo sviluppo del capitale umano su cui dovrà sempre più poggiarsi l’economia nazionale”.

Per questo obiettivo, è però ne-cessario fugare la sensazione dell’università quale ‘secchio bu-cato’ nel quale è sprecato riversare risorse. Giudizio spesso scaturito da un’offensiva mediatica ripetuta e enfatizzata in misura del tutto spropositata rispetto a situazioni e dati reali. Sarebbero soldi spreca-ti, secondo i numerosi e autorevoli assertori di questa convinzione, a causa di inefficienze, corporativi-smi e nepotismi che caratterizze-rebbero da tempo i nostri atenei. Un’opinione che i dati, letti con attenzione, i confronti e i risultati in sede nazionale e internazionale, sarebbero in grado di fugare age-volmente, se solo avessero la stessa capacità di persuasione dell’opi-nione pubblica dei quotidiani più autorevoli, circoscrivendo le pur miserabili vicende, esaltate spes-so dalla cronaca, a casi episodici né diffusi né generalizzati. Questa percezione è stata in grado tuttavia di convincere e condizionare la de-cisione politica ed ha comportato, negli ultimi anni, la notevole dimi-nuzione delle risorse destinate al sistema universitario che ora tutti denunciano e lamentano. Ma è il momento di “cambiare verso” e tutti sembrano consapevoli di que-sta urgente necessità se non si vuole dissipare un patrimonio essenziale per il presente e il futuro del no-stro Paese. Ne è convinto il sistema universitario che sta partecipando con attenzione e collaborazione al processo, progressivamente sempre più incisivo, di assicurazione della qualità derivato dal c.d. processo di Bologna e che ha trovato nel 2005, nella riunione dei Ministri a

Bergen, la sua consacrazione nelle linee guida europee. Un principio che la legge 240/2010 ha reso co-gente e attuale con l’accreditamento e la valutazione dei corsi univer-sitari, di tutti, ora anche di quelli di dottorato di ricerca, affidando tale compito dal 2010 all’ANVUR, l’agenzia nazionale di valutazione dell’università e della ricerca, ap-positamente istituita e ai nuclei di valutazione previsti in ciascun ate-neo. L’idea, è stata accolta di buon grado, come si è detto, e con atteg-giamento di condivisione da pare del mondo accademico, così spesso vilipeso, nonostante non poche esa-sperazioni burocratiche, presenti in alcuni documenti o richieste dell’A-genzia, risultate ridondanti ed eccessivamente incisive dell’auto-nomia degli atenei. L’augurio è che possano essere riviste e mitigate in occasione dall’imminente rinnovo della prevalente composizione del consiglio direttivo dell’Agenzia. Il processo avviato e ormai radicato, almeno nei suoi tratti essenziali, si caratterizza per l’autovalutazione di tutte le attività delle università effettuata nell’ambito di un siste-ma idoneo ad assicurare la qualità dell’impegno accademico e delle sue realizzazioni. L’intero svilup-po di questa complessa analisi e dell’idoneità dell’apparato dedicato a garantire la qualità dell’ateneo, è poi giudicato dall’Agenzia naziona-le in coerenza con quanto previsto nelle linee guida adottate a Bergen. I nuclei di valutazione interni, a loro volta, esaminano le politiche di assicurazione della qualità dell’a-teneo e verificano l’attivazione for-male e sostanziale delle procedure previste. All’esito dell’analisi i nu-clei formulano delle raccomanda-zioni finalizzate al miglioramento dell’insieme dell’attività didattica e di ricerca. I percorsi di studio, peraltro sono già preventivamente valutati e accreditati se conformi a criteri e parametri individuati dall’Agenzia e recepiti in appositi decreti ministeriali. La persistenza

dei requisiti presenti all’atto dell’ac-creditamento negli anni successi-vi va anch’essa periodicamente verificata.

Ci sono dunque le condizioni e le premesse perché lo specchio con il quale debbono ritrarsi le universi-tà, metta in luce le eventuali asim-metrie, imperfezioni o brutture da correggere e le stimoli a recuperare un’immagine priva di difetti. Ma questa immagine, ancorché non identica per tutte le università, deve avere una sua fisionomia delineata, almeno nei suoi tratti essenziali, dalla scelta politica e dalla prospet-tiva verso la quale si vuole indiriz-zare il Paese.

Giunge allora quanto mai a proposito la notizia, diffusa dalla stampa nazionale1, del 2015 come anno costituente dell’università. La pietra costituente del futuro dise-gno di legge, già denominato “Buo-na università” è attesa in autunno. Ne circola già una bozza tra gli addetti ai lavori ma è immagina-bile che il percorso sarà lungo e le occasioni di dibattito e di confronto numerose e interessanti. Per questo non ci sembra il caso qui, ora, di anticipare contenuti e dettagli che potrebbero presto risultare apocrifi o superati, suscitando discussioni inutili e fuorvianti.

Seguiremo naturalmente con continuità ed interesse il progresso dei lavori e della definizione di un impianto che si annuncia davve-ro innovativo e che ci si augura di veder formalizzato al più presto in documenti di governo e parlamen-tari. Quello che è importante sotto-lineare è il ritorno dell’attenzione politica, dopo una fase di generaliz-zata e preoccupante demotivazione di tanti attori con voce in capitolo, su un tema vitale per il nostro futu-ro di cui sembra, e lo auspichiamo vivamente, sia ben compresa l’im-portanza e l’urgenza.

*Ex Direttore Generale del Miur

1 Corrado Zunino su La Repubblica di venerdì 17 aprile

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27TuTToSCuoLA n. 552

Obiettivo docente

La costruzione di una competenza digitale inizia dalle-scuole primarie, nel caso della Ludoteca del Registro.it (www.ludotecaregistro.it) spiegando la Rete a partire dai suoi meccanismi di funzionamento, per trattare poi i temi della sicurezza e delle opportunità. Ad oggi sono più di 150 le classi che hanno creduto in questo progetto comprendendo l’importanza di parlare di Internet, non solo come strumento didattico ma anche come oggetto di studio. Raccontare come viaggiano i dati online, i motivi per cui è nata la Rete, la sua “governance” non è affatto scontato e implica una riflessione sul “come” comunicare questi contenuti. L’esperienza nelle classi ci ha portato sempre a riflettere sui metodi, mettendo a punto due ti-pologie di laboratori. La prima, che abbiamo chiamato fase 1.0, prevede l’utilizzo distrumenti tradizionali, come ad esempio cartelloni, giochi di gruppo, esercizi alla la-vagna, con l’intento di rompere la rigidità spaziale della lezione frontale, facendo alzare i bambini dai banchi e coinvolgendoli in forme di apprendimento creativo. La seconda, la fase 2.0, vede l’introduzione di tablet connes-si alla Rete, attività che implica una rottura ancora più spinta della classica lezione offline, priva di tecnologia. In questo caso il problema è riuscire a mettere in campo, in modo efficace, forme di insegnamento a misura di na-tivo digitale con le quali coinvolgere in modo non trauma-tico anche gli insegnanti. Per rispondere a questa esigenza è nata Internetopoli (www.internetopoli.it), un’applicazione multimediale dedicata, come dice il nome,alla città di Internet. L’app-propone un percorso di studio sulle tematiche della Rete attraverso un gioco, strutturato in livelli, che presenta contenuti di vario tipo: testi, rappresentazioni grafiche, quiz interattivi, video tutorial, cartoni animati, inserti di film. Se utilizzato in tutte le sue potenzialità, l’appli-cazione diventa uno strumento per costruire un vero e proprio ambiente di apprendimento dedicato a Internet, intendendo con questa espressione un percorso didat-tico strutturato nel quale il discente ha la possibilità di utilizzare in autonomia una varietà di strumenti, in modo individuale ma anche cooperativo. un modello di apprendimento aperto, polisemico e multitasking, per-fettamente in linea con le abitudini dei nativi digitali. una fruizione così avanzata (cioè in totale autonomia) vale però solo per i ragazzi delle scuole secondarie, perle primarie diventa fondamentale il ruolo del docente, una guida nella costruzione di percorsi significativi adatti ai

bisogni conoscitivi del singolo e della classe. Non sempre però gli insegnanti delle nostre scuole primarie hanno gli strumenti culturali per affrontare questi temi e svol-gere appieno il percorso. Per questo motivo, nei prossimi mesi, la Ludoteca del Registro.it avvierà in tutta Italia un programma di seminari rivolti ad aspiranti “tutor” siano essi docenti o volontari, con l’obiettivo di mostrare tutte le potenzialità dell’app e delineare possibili modu-li da proporre in classe. A supporto del percorso, sarà resa disponibile sul sito di Internotopoliuna guida per gli insegnanti, con la versione testuale di tutti i conte-nutimultimediali (sviluppo in piano della app), schede di approfondimento e proposte di percorsi didattici. Tra gli obiettivi comuniaqueste azioni c’è anchela volontà di in-trodurre nella scuola nuove modalità didattiche, come ad esempio pratiche di lavoro collaborativo.L’utilizzo di Internetopoli può aprire infatti scenari di didattica inclusiva, sul modello della cosiddetta “flip-ped classroom”, in cui gli studenti non assistono passivi alla lezione, ma studiano insieme o sono seguiti indivi-dualmente, dopo aver preparato la lezione a casa. Il do-cente deve però dare un ulteriore contributo, forse il più importante, stimolando in classe il dibattito critico e il confronto sui temi per arrivare a elaborare un documen-to di sintesi condiviso da tutti, nella forma che la classe preferisce. Internet è e dovrebbe essere anche questo: cooperazione e condivisione. Ecco che i ragazzi hanno la possibilità di capire davvero tutte le potenzialità del-la sconfinata città di Internet, diventando così cittadini digitali responsabili e desiderosi di contribuire a miglio-rarla, rendendola magari più efficiente e accessibile a tutti. *Esperti CNR di Pisa Ludoteca.it è un progetto del Registro.it, l’anagrafe dei domini a targa italiana, gestito dall’Istituto di Informatica e Telematica del Cnr di Pisa. L’applicazione Internetopoli è scaricabile gratui-tamente all’indirizzowww.internetopoli.it

Internetopoli: un ambiente di apprendimento a misura di nativo digitale

di Giorgia Bassi, Beatrice Lami, Anna Vaccarelli*

Regione Numero classiLazio 10Toscana 102Liguria 16Calabria 8Emilia Romagna 9Veneto 9Marche 12Friuli Venezia Giulia 1Basilicata 2

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28 TuTToSCuoLA n. 552

Obiettivo docente

In un intervento sull’edizione fiorentina del Corriere della Sera, Bini Smaghi, ex membro dell’esecutivo della Banca Centrale Europea, ha auspicato un comune sforzo per

qualificare il sistema universitario italiano e, nella fatti-specie, l’ateneo del capoluogo toscano, che nelle classifiche internazionali non gode, in atto, di grande prestigio, come la maggior parte delle nostre università. Tutti gli addetti ai lavori che sono intervenuti nel successivo dibattito hanno risposto solo bussando a cassa. All’università mancano soprattutto i soldi; ”lo Stato italiano, rispetto agli Stati eu-ropei dà poche risorse agli atenei; anzi da alcuni anni ne dà meno di prima. “Siccome lo Stato annualmente ha da pagare 80 miliardi di interessi sul debito, cioè quasi il 10% della spesa pubblica, (circostanza mai evidenziata dall’ac-cademia, quando si fanno i paragoni con i contributi eroga-ti agli atenei dagli altri Stati, che non hanno nel groppone un debito come quello italiano) la possibilità di aumenta-re, in modo significativo, in futuro, i flussi finanziari alle università italiane è remota. Si potrebbe allora conclude-re che, per i protagonisti di un’eventuale qualificazione e miglioramento reputazionale delle nostre accademie, gli auspici di Bini Smaghi rischiano di restare pie illusioni.Fermo restando che è comune desiderio che il Governo possa garantire, per l’avvenire, maggiori risorse per la ricerca, la didattica e per favorire il diritto allo studio uni-versitario, sembra una rappresentazione strabica quella di ridurre le problematiche strutturali degli atenei nostra-ni solo sul piano economico finanziario. Prima dei soldi le università hanno reclamato “l’autono-mia”. Dal 1996, insieme ai fondi di finanziamento, l’hanno ottenuta. Come l’hanno esercitata? Come hanno utilizzato le risorse assegnate? Le statistiche ministeriali riferisco-no che nel 2010 in Italia risultavano attivati 5.800 corsi di laurea, 500 dei quali con meno di 15 studenti. Questi corsi servivano per gli studenti o per gli insegnanti? Risultava-no sviluppati 170 mila insegnamenti impartiti in 242 Co-muni. L’autonomia ed i finanziamenti sono stati utilizzati per la moltiplicazione delle cattedre, per favorire ambi-zioni clientelari di campanile o per qualificare l’insegna-mento ed accrescere la ricerca? oggi su alcune di queste anomalie si è fatta marcia indietro, ma i guasti e gli spre-chi passati non possono essere recuperati. Rimane il nu-mero eccessivo degli atenei, ma nessuno ne parla, perché il rischio di perdere voti è alto. Del resto le università non sono un’eccezione in un contesto in cui il municipalismo confligge con le politiche di ammodernamento del Paese; in Germania 80 milioni di abitanti sono serviti bene da 25

aeroporti, noi che siamo 60 milioni di aeroporti ne abbiamo 45 che funzionano male. Anche la rigorosa Toscana ha concorso alla finanza alle-gra. L’ateneo senese, per esempio, al 31 gennaio 2010 ave-va circa 4.500 studenti in meno rispetto ai 21.386 dell’anno accademico 2003/2004, pur avendo un numero di posti letto molto superiori a quelli che possono offrire Firenze e Pi-sa ai propri studenti fuori sede; eppure aveva espanso le proprie sedi a Grosseto, Follonica, Colle Val d’Elsa e San Giovanni Valdarno oltre alla storica sede di Arezzo, Nell’a-teneo funzionavano 49 dipartimenti (centri di spesa), 120 corsi di laurea ed il personale tecnico ed amministrativo superava di oltre 200 unità quello insegnante (1.070 docen-ti). Considerando contrattisti, assegnisti, specializzandi ecc. l’università pagava uno stipendio ogni 4 studenti. Per carità di patria conviene fermarsi qui. Però a fronte di sif-fatte cifre non ci si può lamentare se poi i soldi per la ricer-ca sono pochi e quelli per qualificare l’offerta formativa ancora meno. Né rispondendo alle sollecitazioni a miglio-rare il prestigio accademico, si può intonare solo il lamen-to ed il pianto! Qualche autocritica sarebbe opportuna. In questi ultimi mesi le 3 università toscane hanno di nuo-vo rivendicato l’autonomia nei confronti del piano sanita-rio presentato dal presidente della Regione. Giustissimo tutelare la libertà della didattica e ricerca; negativo far guerra per gli spazi ed i letti nei policlinici o per duplicare cattedre e primariati non più sostenibili dalle finanze pub-bliche. Insomma margini per recuperare risorse e miglio-rare la situazione esistono. Negli ultimi 20 anni con una serie di leggi, sempre concordate con gli addetti ai lavori (super sindacalizzati), si è tentato di riformare un sistema universitario che, in tutta Italia, ha solo 15 professori or-dinari sotto i 40 anni! Veronesi dice che la guerra si vince con i giovani! Sembra che noi siamo destinati a perdere. Se all’estero la reputazione del nostro sistema è scarsa qualche responsabilità oltre alle leggi, alla burocrazia ed alla carenza di finanziamenti forse ce l’hanno anche “i magnifici”, “gli amplissimi,” “i chiarissimi”, ai quali Bini Smaghi ha chiesto uno sforzo supplementare per miglio-rare il prestigio degli atenei. una richiesta che può essere soddisfatta nella terra dove don Milani, senza mezzi, fece esemplare ed apprezzatissima ricerca educativa, natural-mente a livelli inferiori di quelli accademici. Moro diceva che oltre alla stagione dei diritti, occorre che in Italia rina-sca anche quella dei doveri. E’ dunque utile sollecitare un nuovo impegno per tutti, anche negli atenei, dove accanto ad eccellenti e stimatissimi docenti convivono operatori che privilegiano il lavoro esterno a quello interno all’universi-tà. Forse alla ricerca di finanziamenti!

L’uNIVERSITà, L’AuToNoMIA E I FINANZIAMENTIdi Enzo Martinelli

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Obiettivo docente

Questo contributo chiude un percorso di riflessione che si è articolato su queste pagine

nel corso degli ultimi mesi (M. Di Lallo in Tuttoscuola n° 546, 547, 548, 551) e che ha avuto un ulteriore e autorevole quadro di riferimento nel Dossier “La città della Scienza” (Tuttoscuola n° 549). E’ bene espli-citare in sintesi quali sono i punti su cui il consenso sembra essere certo, perché è il modo più efficiente per definire le carenze, le contraddizio-ni, le priorità su cui lavorare:- Si è tutti d’accordo sulla

non sostenibilità di due caratteristiche rimaste tradizionali nei dibattiti sulla cultura e sull’inse-gnamento scolastico, con particolare riguardo alle scuole superiori: la sepa-razione-polarizzazione tra le “due culture” e la strut-tura disciplinaristica degli insegnamenti. L’accordo è altrettanto forte nel rico-noscere che un giudizio di non-sostenibilità coincide con pratiche diffuse e con la coscienza che il loro su-peramento non può essere il prodotto di raccomanda-zioni o riforme, ma debba passare attraverso appositi interventi di formazione e pratiche diffuse di spe-rimentazione, monitorate con strategie che si collocano all’interno di un piano di condivi-sione politica e di una forte inte-grazione di competenze diverse.

- Le esperienze sul campo sottoli-neano chiaramente l’importanza, per docenti e allievi, di un coin-volgimento attivo che faccia della scientific literacy un perno cen-trale della formazione ad una cul-tura critica, capace di affrontare

con autonomia la complessità e la forte evolutività delle realtà nelle quali ci si deve proiettare come soggetti attivi e creativi.

- La situazione italiana è partico-larmente “critica”, anche se la letteratura internazionale mostra l’esistenza di un reale problema di trasferibilità delle riforme curri-culari “centrali” nei processi reali

di insegnamento-apprendimento ( Di Lallo et al. Science and citi-zenship (S↔C): an interaction of educational challenges looking for adoption. The results of a glo-bal survey of the ERIC Database, Int. J. of Sci. Ed., submitted).

- I contenuti e le metodologie delle scienze costituiscono un presup-posto ineludibile per lo sviluppo di una critical scientific citizenship ,

ossia di una cittadinanza critica, scientificamente e tecnologica-mente alfabetizzata. Infatti un numero crescente di descrizioni che toccano i diritti fondamentali di cittadinanza dipendono da una comprensione adeguata di dati e logiche scientifiche. Il quadro di riferimento esposto

fornisce una piattaforma molto di-retta per proporre uno sviluppo di attività rispetto a quelle indicate e previste nel ricco dossier che ha co-

me nucleo di riferimento la Città della Scienza di Napoli. Essa prevede:- Un Laboratorio diffuso Il primo passo, imprescin-dibile, che dovrà durare nel tempo, diversificandosi a misura della sua traduzio-ne operativa in esperienze di campo è quello di espli-citare, e sottolineare, che è tutta la scuola che deve essere considerata un “la-borator io diffuso”, con particolare accentuazione, nelle prospettive di chi scri-ve, per la scuola secondaria, in modo da abbracciare an-che le realtà più decentrate. La logica scientifica deve coinvolgere un po’ tutti, perché deve essere “nor-male” che i suoi metodi e processi abbiano la capacità di raccordare e contamina-

re le diverse discipline, al di là di un mero contributo di tipo tecnico-produttivo.

- Mappe di visibilità e di dialogo Ad un’operazione di alfabetizza-zione diffusa deve corrisponde-re una visibilità delle esperienze più stimolanti. Le modalità possono essere molteplici, co-me ad esempio la creazione di piattaforme, por tali, oppure

Proposte per un laboratorio diffuso di Mariella Di Lallo

Scientific Literacy e Critical Citizenship

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Obiettivo docente

l’utilizzo di musei quali luogo di incontro privilegiato tra l’e-ducazione scientifica formale e informale. La letteratura, il mercato, le start-up che pro-pongono strumenti e soluzioni non mancano.

“Eccellenze che cooperano?”In questa operazione di ren-

dere visibilmente cooperativo, progressivo, interattivo il lavoro sopra ricordato, diventa anche au-spicabile una reale collaborazione tra i vari “centri di eccellenza”, laddove la frammentarietà del sistema accademico non ha cer-to generato una fiducia ad occhi chiusi in ciò che proviene dai co-siddetti “esperti”. Per un dialogo scienza↔cittadinanza

Un richiamo alla assoluta pri-orità di un lavoro collaborativo è necessario per sviluppare l’area della critical scientific citizenship. Non è un problema di multi-disci-plinarietà. Si tratta di incrociare linguaggi in continua evoluzione, per sperimentarne la comprensio-ne e gli effetti nella vita pratica.

Strategie sostenibiliCome è vero per tutte le iniziati-

ve che mirano a cambiare tradizio-ni e pratiche con radici profonde, una strategia efficace deve inclu-dere tre elementi: darsi del tempo con un minino ragionevole di bi-lancio garantito, anche trovando agganci di finanziamento in pro-getti di ricerca italiani e/o europei; muoversi integrando l’esistente, secondo modalità reciprocamente riconoscibili come complementa-ri e interdipendenti; prevedere un monitoraggio fortemente interat-tivo, per garantire trasparenza, e ancor più per adottare e sviluppare criteri di valutazione che privilegi-no indicatori di contenuto e di esiti culturali ancor più dell’acquisizio-ne di semplici abilità tecniche.

*PhD in Studi Umanistici e Docente di Chimica presso l’ITET “E. Fermi” di Lan-ciano (CH)

Il dibattito sulla Digital Competence in ambito scolastico risulta ad oggi in Italia molto controverso. Non occorre conoscere la letteratura scientifica per vedere in atto uno scontro tra due posizioni, basta entrare in una sala docenti e rac-

cogliere osservazioni, battute, scambi di opinioni. Qualora poi vengano introdotte classi dotate di tablet o aule TEAL e dunque si paventi l’inevitabile introduzione di una prassi didattica non più centrata sulla lezione frontale, gli schieramenti si fanno subito più agguerriti. Da una parte i sostenitori della tradizione uma-nistica che temono una deriva efficientista della scuola, dall’altra i fautori di un’innovazione tout court. Diverse sono le ragioni che principalmente motivano il diffuso scetticismo, tra queste la mancanza di valide teorie pedagogiche relative all’introduzione delle nuove tecnologie e quindi di efficaci strumenti di valuta-zione degli effetti sui processi di apprendimento: “Vi è per il momento un abisso tra la maturità raggiunta dai mezzi tecnologici e l’immaturità dell’elaborazione concettuale sul come, e a quale scopo, possono essere utilizzati i mezzi informatici nel contesto della pratica educativa “. (Langdon Winner, in Bambini e computer (a cura di Mantovani e Ferri), Fondazione IBM Italia- ETAS,2006). Inoltre prevale l’uso delle TIC solo come supporto alla tradizionale prassi didattica, senza significativi effetti né sui processi di apprendimento né sui metodi di inse-gnamento, riducendole a scelte opzionali che possono variare il menù offerto dal docente ma non cambiarlo. Infine, se la lezione frontale ha attraversato i secoli e ha resistito in ogni contesto storico-culturale, si è comunque dimostrata straordina-riamente efficiente. Tuttavia non si può ignorare l’affermazione delle generazioni di nativi digitali dovuta all’accelerazione tecnologica che ha condizionato prepoten-temente gli stili cognitivi. una scuola che decidesse di restare immune da quello che sta avvenendo in ogni campo della vita sociale e professionale andrebbe incontro ad un fallimento rispetto al suo scopo, cioè il successo formativo degli studenti.E’ sotto gli occhi di ogni insegnante la crescente demotivazione degli adolescen-ti. Altrettanto evidenti sono le connotazioni di linguaggi, grammatiche, sintassi, stili di apprendimento profondamente diversi da quelli proposti dalla scuola, così come è altrettanto evidente una perdita, per molti studenti, del valore dello studio. Altrettanto incontestabile è la considerazione che l’abilità nell’uso degli strumenti informatici non coincide con la digital literacy, che è capacità di ricerca, selezione, valutazione dell’informazione. Neppure la disciplina informatica può soccorrere al bisogno educativo di sviluppare quella capacità autonoma di giudizio necessaria per sottrarsi alla cultura dominante, consumistica ed edonistica, che invade le reti e i cervelli dei giovani navigatori. Mettere in guardia sui rischi di pratiche di uso dell’informatica di tipo irriflesso non è atteggiamento di resistenza ma realistica esigenza di professionisti dell’apprendimento, competenti ma soprattutto padroni di un’ipotesi che guidi l’esplorazione. Non basta l’esperto, occorre il maestro, nel senso umanista del termine. Per favorire un reale processo di innovazione tecno-logica e didattica due sono le condizioni. Da un lato un’ampia disponibilità di ri-sorse tecnologiche e condizioni spazio-temporali adeguate per accedere ad esse; dall’altro un’altrettanto ampia possibilità di formazione, anche universitaria, da cui escano figure di professionisti competenti e motivati. Ma l’introduzione nella didattica delle nuove tecnologie trova altri ostacoli. Arduo si prospetta il rinnova-mento, spesso rovesciamento, della didattica, incentrata sulla lezione frontale e sul libro di testo. La maggioranza degli insegnanti ha acquisito competenze digitali

CAPoVoLGERE (oGNI TANTo) SI Puo’...di Alessandra Tesei*

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Obiettivo docenteessenziali come con gli elementi di una seconda lingua neces-sari per cavarsela in semplici situazioni comunicative. una didattica basata sui processi collaborativi (flipped classroom, peer teaching, brain storming, aule TEAL…), presuppone invece una sicura padronanza della lingua digitale per svolgere il nuovo ruolo che in questo orizzonte didattico è affidato all’in-segnante, inteso come regista e facilitatore dell’apprendimen-to. Tale nuovo contesto mette in crisi l’ autorevolezza fondata sul possesso di un sapere necessario che gli allievi ancora non hanno, stravolge alla base la rappresentazione di sé e l’identi-tà professionale, determina la necessità di ridefinire il ruolo.La rigidità della struttura organizzativa, immobile nel tempo è un altro serio ostacolo.” I tempi, gli spazi, le sequenze, la li-nearità di processi cognitivi dal semplice al complesso, la ri-petitività dei contenuti, la separazione tra astratto e concreto, la marginalità dell’apprendimento in contesti laboratoriali e operativi, e così via fino agli orari a scacchiera e alla disposi-zione di cattedre e banchi. Nella scuola italiana, soprattutto la secondaria superiore, è difficile far decollare (…) ogni pratica didattica che guardi prima di tutto alle persone, alle loro vo-cazioni e talenti effettivi, alle curiosità e intelligenze di ciascu-no. (…). Prima ancora di una didattica che usi le TIC, la rigidità dell’organizzazione scolastica rende di difficile fattibilità lo studio-lavoro, i percorsi di recupero, i progetti interdisciplina-ri, la multimedialità, l’orientamento. (…) scoraggia anche gli insegnanti più creativi.” (F. Farinelli). In una situazione così complessa, non è però impossibile avviare percorsi di inno-vazione che partano dalla disponibilità di un docente che non abbia perso, come gli studenti che rimproveriamo, motivazione e curiosità, a mettersi in gioco. In quest’ottica è facile scoprire che spesso già si sono intraprese pratiche didattiche diverse, spinti dalla necessità. Altre volte si parte dalla collaborazio-ne con un collega per introdurre prassi didattiche innovative. L’esperienza dimostra che capovolgere, ogni tanto si può, tutti possono trovare occasioni per sperimentare nuove strategie che favoriscano l’interesse e l’apprendimento. Non si tratta di abbandonare definitivamente la lezione frontale. E’ possibile invece una felice convivenza tra metodi tradizionali e contesti innovativi, a seconda delle necessità imposte dalla realtà de-gli alunni che si hanno difronte. Si potrebbe obiettare che non tutte le discipline si prestano. Certamente ci sono materie che offrono di più spunti o, come le lingue straniere, impongono di per sé una metodologia di cooperative learning. In realtà tutto dipende sempre dalla disponibilità del docente a guardare in modo capovolto il proprio lavoro, perché cambiando punto di vista si possono cogliere scorci differenti che altrimenti non si potrebbero vedere. Alcuni piccoli esempi.Come rimotivare la lettura de’ “I Promessi sposi” in una clas-se del nostro Liceo Economico Sociale con studenti non troppo interessati e con problemi di comprensione del testo? Ho pen-sato di interrompere la lezione di lettura, analisi e commento per proporre un lavoro in modalità flipped classroom che pre-vedeva anche una fase di cooperative learning, con un dibattito argomentativo intorno al personaggio della monaca di Monza. I ragazzi, divisi in gruppi, hanno ricevuto il materiale per svi-luppare le loro argomentazioni e le regole a cui attenersi per il

dibattito. Stimolati dall’obiettivo di proporre l’interpretazione più convincente, si sono messi in gioco mostrando risorse ina-spettate. Soprattutto hanno letto davvero i capitoli del romanzo e compresa la complessità del testo dal punto di vista ermeneu-tico e dal punto di vista narratologico. Per quanto riguarda la valutazione, ho filmato con l’ipad le fasi del lavoro in classe e del dibattito. Ho potuto così osservare ogni alunno e valuta-re aspetti che non emergono in una interrogazione: non solo conoscenze e capacità espositiva, anche capacità di ascolto, pertinenza delle argomentazioni, capacità di collaborazione, rispetto delle regole, grado di partecipazione e capacità di prendere iniziativa. Rivedendo insieme il video, ogni studente è stato in grado di auto valutarsi e di valutare il lavoro del pro-prio gruppo. Sempre in questa classe, dove nello scorso anno è cominciata una sperimentazione basata sull’uso delle nuove tecnologie, gli alunni sono diventati particolarmente abili nella creazione di video. Ricorrendo a questa competenza ho propo-sto di realizzare videolezioni di storia sugli imperatori romani, invertendo così i ruoli e assegnando a loro quello dell’inse-gnante, col compito di essere esaurienti, chiari e accattivan-ti, con libera scelta di impostazione del lavoro tra una lezione tradizionale, impostata sul linguaggio orale e scritto, o una lezione con l’inserimento di più media. Sono state poi chiarite le tecniche per facilitare l’attenzione e l’apprendimento, come la presentazione dei concetti chiave ed altre strategie essenziali per una buona riuscita del prodotto multimediale. I ragazzi si sono resi conto di quanto sia complessa e impegnativa la pre-parazione del materiale da proporre e sono stati costretti ad un lavoro di rilettura. Si sono però cimentati con entusiasmo e questa attività ha dato loro la possibilità di esprimersi in un modo più congeniale e più proficuo. Nelle videolezioni hanno saputo mescolare, con naturalezza e continuità, diverse fonti di informazione: slide, filmati, immagini, grafici, testi scritti, mappe concettuali, con una sintesi ed una chiarezza impen-sabili in una verifica tradizionale. A questa poi non ho dovuto rinunciare: ogni ragazzo ha formulato anche domande su punti che riteneva fondamentali rispetto al personaggio trattato e dalle loro domande è scaturita una verifica scritta, che mi ha consentito di ottenere numerosi elementi di valutazione.Qualunque sia la tecnica scelta, il punto è quello di coinvolgere gli studenti in modo attivo, di risvegliare la motivazione, di ren-derli protagonisti e non ricettori passivi di nozioni. Questo può avvenire innanzitutto attraverso la passione di un “maestro” che abbia chiaro l’orizzonte formativo della materia. Entro tale orizzonte rientra anche la capacità di mettersi in rapporto con i propri allievi, cogliendone le esigenze sempre nuove e diverse, utilizzando ogni risorsa che possa facilitare l’apprendimento, ponendosi in modo duttile nel contesto didattico-educativo, senza paura di perdere una posizione di forza. Quello che fa la forza dell’in-segnante è il conoscere la strada, l’in-dicare passi, sostenere il cammino. “Ogni studente suona il suo strumento, non c’è niente da fare. La cosa difficile è conoscere bene i nostri musicisti e trovare l’armonia. Una buona classe non è un reggi-mento che marcia al passo, è un’orchestra che prova la stessa sinfonia”. (Daniel Pennac)*docente del Liceo Monti di Cesena

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VISTO DALL’ESPERTOdi Benedetto Vertecchi

Educazione e valoriHanno destato un giustificato

allarme alcuni recenti episo-di di violenza dei quali sono

stati protagonisti allievi delle scuole secondarie. Conviene, tuttavia, non limitarsi a manifestare sgomento per singole espressioni di un com-portamento deviato, ma chiedersi come tali espressioni si colleghino al mutare delle rappresentazioni so-ciali sulla scuola e, più ampiamente, agli intenti dell’attività educativa sui quali al momento sembra con-vergere un più diffuso consenso. Occorre anche sottrarsi alla ten-tazione, incoraggiata dai mezzi di comunicazione, di compiere indu-zioni improprie. Ciò comporta che si sia consapevoli da un lato che certi comportamenti, per quanto frequenti, sono ben lontani dall’es-sere modali, dall’altro che il senso comune che si riflette nel confronto educativo non rappresenta un mo-do di sentire generalizzato, ma l’o-rientamento, e spesso gli interessi, di gruppi che si aspettano di trarre vantaggio dalla sua affermazione. Individuare le tendenze dei sistemi educativi e porle in relazione al rap-porto che essi stabiliscono con altri settori della vita sociale è dunque più importante delle singole mani-festazioni di comportamento de-viato degli allievi o di aspetti del senso comune sui quali si realizza un consenso sapientemente costru-ito e che nel complesso costituisce una pedagogia contingente, povera di prospettive perché priva d’intenti che si collochino in un tempo lungo. Reprimere i comportamenti deviati è necessario, ma comprendere quale

sia il contesto che ne favorisce la comparsa lo è ancora di più.

Una prima tendenza è rappresen-tata dalla riduzione dei tempi sui quali si sviluppa l’argomentazione che si riferisce alle scelte sull’edu-cazione. In Europa la grande tra-sformazione culturale fondata sulla diffusione generalizzata dell’alfabe-tismo è stata resa possibile dal per-seguimento d’intenti educativi dal cui raggiungimento derivasse un profilo di popolazione sostanzial-mente diverso da quello che caratte-rizzava la condizione preesistente. Si è trattato d’intenti che hanno tro-vato sistemazione sia nell’ambito di esigenze religiose (per definizione non contingenti, perché legate al conseguimento della salvezza eter-na), sia di disegni di ribaltamento delle condizioni di vita che, per es-sere stati collocati fuori del tempo (o, per meglio dire, di un tempo de-terminato, quello nel quale ciascun disegno è stato elaborato) sono stati definiti utopie.

Sia nel caso della prospettiva sote-rica, sia in quello del perseguimento di traguardi utopistici, all’educa-zione si riconosce un valore. L’e-ducazione è desiderabile perché è la condizione che dà senso ai tanti modi attraverso i quali strati più o meno consistenti di popolazione, ma anche singole persone, realizza-no il loro adattamento alla vita.

Nella seconda metà del passato millennio si è assistito al progressi-vo prevalere dell’intento utopistico su quello religioso o, quanto me-no, al loro combinarsi in vista del raggiungimento di traguardi non

troppo dissimili. L’intento utopisti-co, nel momento in cui dava origine a scelte che avevano incidenza sulla vita politica e sociale, è venuto sem-pre più nettamente assumendo una connotazione politica. Il punto di svolta a partire dal quale l’educazio-ne europea si è qualificata soprat-tutto in termini simbolici (almeno quella rivolta ad ampi strati della popolazione) è stato la dichiarazio-ne sul diritto di tutti all’istruzione approvata in Francia dall’Assemblea rivoluzionaria nel 1792. Nel corso dei due secoli successivi le politiche degli stati nazionali hanno interpre-tato in modi più o meno illuminati tale diritto, ma alla fine del millen-nio si poteva ritenere che l’istru-zione fosse un valore generalmente accettato, e che la sua rilevanza po-tesse apprezzarsi più per quanto ne derivava in termini di qualità del profilo culturale delle popolazioni e degli individui che per i benefici che se ne potevano trarre su altri piani.

Si collega al perseguimento d’in-tenti non contingenti sia, in generale, la desiderabilità sociale dell’educa-zione, sia il credito riconosciuto alle scuole e agli insegnanti. Il passaggio delle popolazioni da una condizione di prevalente analfabetismo a una di quasi totale alfabetizzazione ha rappresentato una fase eroica nella trasformazione delle diverse socie-tà nazionali. Lo stesso linguaggio utilizzato aveva accenti militareschi che accentuavano il valore dei suc-cessi conseguiti, ma non nasconde-vano le difficoltà incontrate lungo il percorso: quella all’analfabetismo era una lotta, occorreva conquistare

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VISTO DALL’ESPERTO

all’istruzione gli strati di popolazio-ne che in precedenza non ne ave-vano fruito, gli insegnanti erano i campioni del progresso sociale. Che l’educazione e la cultura fossero ge-neralmente percepiti come valori è implicito nel fatto che il credito ri-conosciuto alla professione degli in-segnanti non era correlato ai redditi di cui fruivano. Al sistema scolasti-co si collegava l’idea di progresso, di miglioramento delle condizioni di vita di tutti e di ciascuno. Ciò non significa che non vi fossero condot-te trasgressive da parte di alcuni, ma che tali condotte erano soggette a una censura sociale che si esprime-va già a livello famigliare. I valori collegati al sistema educativo erano, prima di tutto, collettivi. Attraverso le scuole si compiva la profezia di Daniele, ripresa da Francesco Ba-cone nel frontespizio della Instau-ratio magna: Multi pertransibunt et augebitur scientia. Il passo citato da Bacone compare in un cartiglio sottostante l’immagine di una nave che supera le Colonne d’Ercole e si dirige verso il mare aperto: è una metafora trasparente dell’intento dell’educazione.

I segnali di malessere rappre-sentati dagli episodi di violenza ai quali prima ho fatto riferimento corrispondono al venir meno del carattere utopistico (o, se si prefe-risce, di elaborazione di un proget-to sociale la cui validità si estenda fra le generazioni) dell’educazio-ne scolastica. Oggi categorie che si era soliti associare alla crescita della scolarizzazione, come quelle di giustizia e uguaglianza, appa-iono svuotate di significato reale perché non sono più riferite a po-polazioni, ma ambiguamente asso-ciate alle particolari condizioni che caratterizzano lo sviluppo di parte dei bambini, dei ragazzi, dei giova-ni. In altre parole, siamo di fronte alla frantumazione della proposta

educativa, non più rivolta a tutti, ma differenziata secondo criteri in apparenza funzionali e in pratica discriminanti. Alla frantumazione della proposta educativa corrispon-de una sua specializzazione sociale: l’educazione non persegue l’ugua-glianza, ma la coerenza dei profili di una parte della popolazione con gli interessi di parte della società.

Nei varchi che in questo modo si sono aperti è tornata a inserirsi la discriminazione degli allievi secon-do la classe sociale di appartenenza, la prevalenza della domanda del si-stema produttivo nelle decisioni or-ganizzative e nelle scelte didattiche, nell’accettazione di una cultura glo-balizzata, ridotta a semplici strut-ture vuote, in sostituzione di quella centrata su un canone nel quale con-fluivano le lingue, le arti, le scienze, le tecniche elaborate in un lungo percorso storico. L’attrattività della scuola è diminuita insieme al fram-mentarsi degli intenti perseguiti. Si è smesso di pensare che attraverso l’educazione scolastica si potessero migliorare le condizioni di vita, che si potessero conseguire traguardi di democrazia, di giustizia e di ugua-glianza. Perché gli allievi dovreb-bero avere nei confronti della scuola atteggiamenti più positivi di quelli che emergono nella società?

Se si attenua il credito sociale del-la scuola, i primi a risentirne sono gli insegnanti. Da interpreti degli intenti dell’educazione entro una concezione evolutiva della socie-tà sono gradualmente confinati in una funzione subalterna, quella che consiste nel trasferire frammenti di cultura che altri ritengono debbano potersi integrare fra loro. I passag-gi richiesti per l’accesso all’inse-gnamento sono coerenti con una concezione del compito didattico minimalista da un punto di vista culturale e priva di riferimenti pro-fessionali che siano il risultato di

progetti originali di ricerca.Lo sviluppo della scuola è stato

costellato di difficoltà, a volte deri-vanti dalle scelte politiche, altre dal-la limitatezza delle risorse. Il nostro sistema educativo ha risposto posi-tivamente perché ha cercato al suo interno le ragioni che spingevano nella direzione del progresso. Oggi queste ragioni non si cercano più dentro la scuola, ma sono espres-sione di una cultura esterna, quella della gestione delle imprese, estesa al sistema educativo per l’utilità che si ritiene di poterne trarre, senza neanche considerare se la logica del-la cultura delle aziende, orientata ai tempi brevi, sia compatibile con quella dell’educazione, orientata ai tempi lunghi. Un apparato ideologi-co imponente, nel quale si ritrovano organizzazioni produttive, forze po-litiche e mezzi di comunicazione, spinge a interpretare l’educazione come una qualunque forma di servi-zio, senza considerare come la fun-zione da essa esercitata nei processi di adattamento alla vita la ponga in una dimensione sostanzialmente diversa. Il venir meno della capacità di generare valore tramite il per-seguimento autonomo dei propri intenti lascia il sistema educativo in balia del mercato. A una cultura di progetto si sostituisce l’incoraggia-mento dei consumi. Gli allievi sono destinatari di messaggi che ante-pongono l’avere all’essere. Quel che conta è l’apparire, quel che importa è la rapidità con la quale si riesce a conseguire un appagamento. Del re-sto, non avviene lo stesso anche fra gli adulti? Ai bambini e ai ragazzi si rivolgono esortazioni edificanti, ma è fin troppo chiaro che si afferma qualcosa di sostanzialmente estra-neo ai comportamenti reali. Nella bulimia del consumo si distruggo-no i valori della conoscenza, della giustizia, dell’uguaglianza, in breve dell’educazione.

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Obiettivo docente

I l Disegno di Legge, che il Governo ha inviato alle Ca-mere, al primo comma del

primo articolo recita “Il dise-gno di legge intende disciplina-re l’autonomia delle istituzioni scolastiche dotando le scuole delle necessarie risorse umane, materiali e f inanziarie e degli strumenti necessari a realizza-re le proprie scelte formative ed organizzative”

Musica per le orecchie non so-lo degli operatori della scuola, ma anche di tutti coloro che, a qualunque titolo, siano penso-si di istruzione e formazione. Il

testo appena riportato esprime per ben due volte in due sole righe l’aggettivo “necessario”, dichiarando, in tal modo, l’asso-luta, imprescindibile ed urgente “necessità” che alla scuola bi-sogna, finalmente, destinare le risorse perché possa svolgere il suo compito e soddisfare la sua missione.

L’a r t icola to appena c i t a to cont inua, poi, affermando la capacità della scuola ad organiz-zarsi in termini di f lessibilità,

finalizzando la sua opera al rag-giungimento di obiettivi vestiti da efficienza ed efficacia, deter-minandosi a porsi al centro del territorio in cui opera, e, quindi, realizzando rapporti con le realtà economiche, sociali, politiche, ecc.

Tanto premesso, e restringen-do il nostro campo di attenzione, in questa circostanza, all’offerta formativa cosiddetta aggiuntiva, bisogna citare l’ultimo capover-so del primo comma del secondo articolo, che recita “La realiz-zazione di un sistema orienta-to al fabbisogno necessita di un

CHI BEN CoMINCIA...RADICA NEL TEMPo

Le vere opportunità di una progettazione ampliata del curricolo

di Filomena Zamboli*

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Obiettivo docente

organico potenziato e f lessibile che risponda alle esigenze for-mative ed organizzative delle istituzioni scolastiche”

Risulta, quindi, opportuno, a questo punto, fare un distinguo fra offerta formativa destinata a soddisfare gli obiettivi nazionali e l’offerta finalizzata a realizza-re la progettualità formativa di ciascuna scuola, che sia signifi-cativa del territorio in cui ope-ra, che tenga in debito conto le peculiarità della sua utenza, che risponda alle esigenze derivanti dagli accordi con gli enti locali e tutte quelle “agenzie” che, in ter-mini di formazione possano dare un contributo alla costruzione della persona dell’alunno.

Il D.P.R. 275/99, in particolare l’art 4 (Indicazioni nazionali per il curricolo relative alla scuola di base) e i DD.PP.RR. 87 - 88 - 89 del 2010, che riformano la scuola s e c o n d a r i a d i I I

grado, rappresentano il percorso comune di r ifer imento per la scuola italiana, relativamente al-la definizione da parte di ciascu-n a i s t i t u z i o n e s c o l a s t i c a autonoma, di un percorso forma-tivo che definiamo “curricolo”. In base ad esso, gli obiettivi di apprendimento, declinati secon-do scansioni temporali definite, e le competenze, quale orizzonte di senso, consentono al Collegio dei docenti di ciascuna istituzio-ne scolastica di garantire, ad ogni studente, sia le irrinunciabi-li conoscenze/abilità/competen-ze relative a ciascun percorso di studi, sia il suo ampliamento, al-trettanto necessario. A ciò con-corrono: a) le risorse umane che la scuola ha in carico e che oggi richiede, nella responsabilità del Dirigente scolastico, tramite la formulazione della proposta di organico, sia in occasione della def in iz ione del l’organ ico d i

diritto che di quello di fatto, tra l’altro sottoposta all’autorizza-zione del competente ufficio sco-last ico regionale. I l punto di partenza di tale complicata ope-razione è rappresentato dal nu-mero di alunni, che dichiarano di iscriversi e frequenteranno le classi che, con ogni razionale p r e v i s io n e , f u n z io n e r a n n o nell’anno scolastico successivo. I contributi orari delle discipline che si insegnano per ciascuna classe dell’indirizzo, rapportate a cattedre, costituiscono concre-tamente il numero dei docenti in carico a ciascuna istituzione sco-lastica. Si tratta di una fase deli-cata di gestione organizzativa di una scuola, che ha spesso il sa-pore di una mera organizzazione amministrativa e che impatta po-co sulla qualità del percorso for-mat ivo d i c ia scu na scuola , almeno in linea teorica. Infatti l’assegnazione dei docenti alle classi, nell’ambito e nei limiti dell’insieme di docenti destinati alla scuola, è il solo momento nel quale, componendo i Consigli di classe, si consente al Dirigente scolastico di esercitare quelle doti di leadership e di responsa-bilità, che determineranno la co-stituzione di “nuclei operativi” di professionalità docente che, compost i tecnicamente quali Consigli di classe, collaboreran-no alla definizione concreta di percorsi formativi per gli alunni “in carne ed ossa” delle classi loro affidate. Va da sè che il Di-rigente scolastico “sceglie” le professionalità per ciascun Con-siglio di classe tra le risorse de-stinate alla scuola sulla base di meccanismi di reclutamento che non appartengono alla singola istituzione scolastica in quanto tale. Dice un noto proverbio ap-partenente alla tradizione parte-nopea, che qui traduco per ovvie ragioni, fondato sull’antichissi-ma professione contadina che ne-cessitava di zoccoli di legno

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Obiettivo docente

primaria o secondaria vuol dire, oggi, utilizzare spazi e risorse materiali che la didattica labora-toriale, su cui queste discipline sono fondativamente basate, ren-de assolutamente ineludibile; senza, c’è solo la teorizzazione più assoluta dei percorsi, con conseguenze evidenti in tutte le rilevazioni degli apprendimenti;

e questo solo per fare qualche esempio; c) Infine, approdiamo al-le necessarie risorse finanziarie che a tut-to quanto appena elen-c a t o s o n o propedeutiche. Ma fin qui nulla di nuovo sot-to il cielo. Con le ri-s o r s e , s o p r a t t u t t o finanziarie e strumen-tali, negli ultimi anni assolutamente risicate (colpa della crisi ?), le scuole si adoperano a creare quella offer ta formativa aggiuntiva d i ampl iamento del cu r r icolo ord ina r io che rappresenta, ap-punto, l’offerta forma-tiva extracurriculare. Essa nasce da un at-tento confronto fra le esigenze formative de-gli alunni e le oppor-t u n i t à o f f e r t e d a l contesto, allo scopo di c rea re quegl i spaz i “altri” di conoscenza e visione del mondo, che “allarghino” gli oriz-zonti di apprendimen-to e/o approfondiscano

(spesso recuperino) quelle com-petenze che la didattica ordina-ria fonda ed esige. Le pecche del sistema per mezzo del quale tut-to ciò si sostanzia, sono più che evidenti e non attengono soltan-to all’esiguità delle risorse f i-nanziarie e strumentali ad esse necessarie ma, soprattutto, alla l imitazione temporale cui è

formativo possibile per i propri alunni; b) Al reperimento delle risorse umane fanno da contral-tare le risorse strutturali di una scuola. Aule adeguate, materiali didattici coerenti, laboratori at-trezzati e funzionanti, spazi al-ternativi, banchi e sedie: tutti suppor ti essenziali e senza i quali non si può “fare scuola”.

Avere una palestra adeguata allo scopo e cioè un laboratorio di educazione fisica, rende la prati-ca di tale disciplina un momento di realtà e non di teoria di un percorso di apprendimento che non si può fare solo con carta e penna. Studiare la fisica al bien-nio della scuola secondaria di II grado o le scienze nella scuola

adatti al lavoro nei campi, “que-sto è il legname e con esso devo-no essere prodotte le scarpe”. Esistono alcune eccezioni che costituiscono una “buona pratica amministrativa”, relativa al re-clutamento di risorse professio-na l i docent i d i i nd i r i zz i d i giovane istituzione, il Liceo co-reutico per esempio, per il quale l’insegnamento di tec-niche della danza clas-sica e contemporanea nonché quello per pia-nista accompagnatore, non sono previste, an-cora, classi di concor-s o c o d i f i c a t e i n ordinamento e per le quali le scuole hanno dovuto reclutare diret-tamente il personale docente. Per tali moti-vi è stato necessario for mula re band i ad hoc per i quali, oltre a variabili amministrati-ve relative ai titoli di studio e di servizio, si è adeguatamente r i-chiesto ad essi certifi-c a t e e s p e r i e n z e professionali specif i-che che, valutate in uno ai requisiti di ac-cesso, hanno consenti-to alle scuole con tali indirizzi, di reclutare direttamente, attraver-so il supporto di esper-ti del set tore, quelle risorse umane che co-niugano nella propria persona sia requisit i tecnici che di espe-rienza e che siano tali da poter garantire la migliore opportunità per gli allievi. Ciò apre, esempli-ficativamente, la strada alla ne-cessità che non siano più aridi meccanismi centralistici a deter-minare ciò che serve realmente ad una scuola autonoma, in ter-mini di risorse umane, per co-s t r u i re i l migl iore percorso

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Obiettivo docente

scelta delle attività prevede, in-fat ti, che queste non siano li-mitate dalla presenza “coatta” delle professionalità presenti. Vale a dire che non è possibile fare “una scelta” che sia vera-mente “libera”, se essa appare condizionata dalle tipologie di risorse che oggi occorre assu-mere per raggiungere l’obietti-vo prioritario dello svuotamento delle GAE. Se le at tività pro-gettuali aggiuntive devono “po-tenziare” l’offerta formativa che la scuola sceglie in relazione ai propri fabbisogni (che derivano, in primis, dalle specificità dei propri alunni ) è di tutta eviden-za che le attività non possono essere agganciate e, quindi, ob-bligate, nel rispetto delle sole professionalità presenti, e cioè la scuola deve poter contare sul-le professionalità che sono ne-cessarie alla progettualità che viene proposta e non può esse-re costruita in base alle risorse umane disponibili o solo in base ad esse.

Per quanto si possa compren-dere che il sistema scuola, per cambiare, ha bisogno di liberarsi dei pesi del passato (le graduato-rie ad esaurimento), altrettanto va compreso che la scuola non può essere “costretta” a proget-tare le at tività nella consape-volezza “obbligata” che ciò che “sceglie” di fare deve essere ciò che può essere realizzato con le risorse umane a disposizione. In-dubbiamente siamo il Paese che possiede notevoli ricchezze in termini di cultura storica, musi-cale e artistica e indubbiamente abbiamo obiettivi di salute e di socializzazione che una corretta, potenziata offerta formativa in attività motorie può garantire ai nostri alunni. Che ben venga an-che questo. Ma non solo. Ancora una citazione di tradizionale me-moria: chi ben comincia.....

*Dirigente scolastica Istituto “Pa-scal” Pompei

gli autori di testi, dal classico libro fino alla sceneggiatura di un testo o alla sua realizzazione video o audio. Ma anche espe-rienze di approfondimento “clas-siche” di permanenza olt re il codif icato tempo scuola delle ore di lezione, fino ad immagi-nare la costituzione di gruppi di lavoro per il recupero e il poten-ziamento delle competenze di base, che la sola diversificazio-ne, anche in classi aper te per esempio, f in ora tentata nella scuola, non garantisce. La co-struzione di un curricolo am-pliato sulla base delle esigenze correttamente rilevate dei propri studenti esige tempi e modi fon-

dati, lo ribadiamo, sulla certez-za. Per esempio la realizzazione di esperienze in alternanza con il mondo del lavoro, che tanto vogliono caratterizzare, a ragion veduta, la scuola che stiamo co-struendo, necessitano di profes-sionalità capaci e consapevoli che anche tecnicamente abbiano il “tempo materiale” di costruire percorsi ma, sopratutto, sinergie con il territorio e le sue poten-zialità/opportunità secondo una scansione temporale che ineludi-bi lmente necessit a d i tempi lunghi.

In questo ambito seri dubbi vanno espressi in ordine alla effettiva scelta, da parte delle scuole, delle attività progettua-li specifiche e relative alle pe-culiarità di ciascuna istituzione scolastica: una vera libertà di

sottoposta, naturalmente, la pro-gettazione, e l’attuazione della offerta formativa extracurricula-re. Un anno scolastico, tra l’altro gestito a scavalco di due esercizi finanziari, rappresenta veramen-te una variabile faticosa da ge-st i re in funzione formativa a fronte della “certezza”delle ri-sorse finanziarie e professionali con cui “fare i conti” ogni anno scolastico. E’ per questo che un vero punto di forza della riforma che il disegno di legge prefigura è proprio ...”la realizzazione di un sistema orientato al fabbiso-gno che necessita di un organico potenziato e f lessibile che ri-sponda alle esigenze formative ed organizzative delle istituzioni scolastiche”. Se le risorse uma-ne sono, come sono, una variabi-le significativa della costruzione di un percorso formativo orien-tato alla crescita della persona dell’alunno e non solo di questo, e con essa, alla crescita della so-cietà, non si può non “salutare” con plauso, la prevista imple-mentazione di un sistema di “certezza”, almeno in ordine a quali e quante figure professio-nali servono ad ogni singola scuola perché questa possa “ve-ramente” progettare e realizzare un percorso formativo, che cre-sce nel tempo e radica opportu-nità e competenze a vantaggio dei propri alunni. Un albero (una pianta) ha bisogno di tempo per affondare le radici in una terra buona e concimata e perché pos-sa, in tal modo, produrre i suoi frutti (i suoi fiori). E quindi im-maginiamo possa essere possibi-l e p r e v e d e r e p e r c o r s i d i approfondimento nelle compe-tenze di base dei propri alunni per le discipline fondative della logica e della comprensione e della decodifica di testi come la lingua madre e la matematica, anche con esperienze pratiche e artistiche, e che spazino dal tea-tro alla musica, all’incontro con

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Obiettivo docente

Teaching is hard work. Not just physically (standing up, walking around and lugging books and equipment is demanding), but mentally and emotionally. When a lesson goes well, you feel on top of the world, and, when it goes badly…well, let’s just say many of us struggle not to take it personally. People who want to teach tend to be quite caring, sensitive, perfectionist types, and those are just the kind of people who can find themselves burning out. (I know, I’ve been there.) So, how can you stay motivated and avoid burnout?1. Switch off. There’s a terrible tendency for teachers to

be always ‘on’. Can’t watch a TV programme or read a newspaper without thinking, ‘that would make a good lesson’? You are not alone, but, for goodness sake, take some time not to be a teacher. You’ll enjoy it more when you come back to it.

2. Take care of your health. Eat well (not a bar of chocola-te from the vending machine because you didn’t have time for lunch) and go for a short walk at lunchtime. Get some sleep.

3. Practice mindfulness. This simply means becoming more aware of how you are feeling both in and out of class. The more you do it, the more you will notice stress, irritation, frustration building (so you can do something about them), and equally, the more you’ll notice the joy that seeing that light-bulb come on over someone’s head can bring.

4. Learn something new. (like mindfulness!) Actually, updating your skills and knowledge in any way can give you a fresh lease of life on enthusiasm to teach. or maybe just go back and try something you haven’t done for a while, like teaching complete Beginners, or an Advanced class, to challenge yourself, and get some (good) adrenalin flowing.

5. Notice how far you’ve come. Reflect on your past tea-ching experiences (either to yourself or over a coffee

with a colleague) or try teaching an old lesson plan, and see how much better you can do it now.

6. Get someone in to observe you. This might mean doing a further qualification (nearly always a good motiva-tor) but equally you could just ask a colleague to come in and observe you and give you some helpful feedback. You could also return the favour and see what you can learn from observing a different way of doing things.

7. Help other teachers. This is related to the previous point. using your experience to help others can be in-credibly motivating, and seeing their enthusiasm can kick start yours. Pushing yourself a bit is good too, so try giving teacher development workshops, writing articles or blog posts (on the British Council site?) and so on.

8. Get to know your students. After a few years, groups of students can all start to blur into one. Make an effort to find out more about your students. This doesn’t ne-cessarily mean socialising with them (after all, don’t forget you’re also switching off from teaching mode from time to time), but just listening more carefully and asking more questions.

9. Do some action research. Take the opportunity to find out more about the teaching and learning process. Set yourself some research questions and enjoy being a researcher as well as a teacher. Share your findings, either in the staffroom, or write them up.

10. Don’t let perfect be the enemy of good. Last but not le-ast. No-one can consistently produce perfect lessons and if you aim for that, you’re setting yourself up for becoming demotivated and disillusioned as you realise how impossible it is. It also isn’t entirely your responsi-bility. of course, you’re paying a large part in the suc-cess or otherwise of a class, but everyone in there has responsibility as well.

Source - www.teachingenglish.org.uk Un abstract in italiano dell’articolo è disponibile al link: http://www.tuttoscuola.com/?35840

Staying motivated and avoiding burnout as a teacherdi Rachael Roberts

Tuttoscuola propone da alcuni mesi articoli in lingua inglese su tematiche afferenti al sistema scolastico oltre a tenere una rubrica costantemente aggiornata sulla diffusione delle lingue in Italia e sui diversi piani di formazione a supporto dell’apprendimento linguistico quali il CLIL e la lingua inglese nella scuola primaria.L’offerta in inglese di servizi e materiali si pone nella logica di favorire l’esposizione del personale docente a materiale di studio e consultazione in lingua con la consapevolezza di facilitare la tenuta delle competenze linguistiche e motivare all’uso della micro lingua come valore aggiunto nella professionalità del personale scolastico. Utilizzare in questa chiave materiali scritti nella lingua di lavoro più utilizzata negli ambienti scientifici permette altresì di allargare le conoscenze e motiva alla ricerca-confronto di metodologie e strategie di insegnamento-apprendimento.

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Obiettivo docente

Vorrei raccontarvi l’esperienza progettuale che da alcuni anni stiamo conducendo nei Licei

classico e scientifico dell’Istituto Leone XIII, percorso nel quale emergeranno i vantaggi del lavora-re per progetti, insieme alle criticità che si manifestano ancora in ma-niera evidente. I progetti sono per natura lavori di interclasse e porta-no gli studenti a lavorare fuori dalle mura tradizionali: questo spiega il titolo del mio ragionamento, che non vuole suonare come un re-quiem per le nostre aule, ma una provocazione per provare ad aprire p e r c o r s i n u o v i . L’aula, la mia seconda casa. Chi non ricorda la propria aula scolasti-ca? Alle elementari, alle medie o al liceo è stata quasi la nostra seconda casa. Lì abbiamo vissuto i nostri primi successi, le nostre sconfitte, abbiamo imparato tra le sue mura la differenza tra amici e nemici, tra vero e falso, tra buono e cattivo. Molti di noi vi hanno incontrato il primo amore o hanno apprezzato per la prima volta il gusto della cul-tura. Oggi, tuttavia, questo luogo privilegiato di formazione ed espe-rienze rischia di trasformarsi in un carcere; le regole che lo caratteriz-zano, invece che far crescere i no-stri giovani, li inibiscono. Il mondo, il nuovo mondo del XXI secolo,

parla di apertura, ma l’aula si chiu-de sulle aspettative delle giovani generazioni, la palestra diventa tomba, la cultura espressa dalle no-stre cattedre schiaccia e avvilisce le nuove richieste di chi a noi si affida per la propria formazione. Fuori dall’aula. La nostra domanda al Le-one XIII da diversi anni è: come far respirare i nostri studenti? Il pro-blema della crescita non è certo nuovo di questi giorni, da sempre le scuole dei Gesuiti hanno saputo far dialogare con successo tradizione e innovazione e hanno fatto respirare a pieni polmoni questo straordina-rio connubio a generazioni di gio-vani, grazie soprattutto all’aiuto di una rete internazionale di quasi duecento scuole e al sostegno del Paradigma Pedagogico Ignaziano, il riferimento teorico di tutta la no-stra azione educativa. Questo è sta-to il nostro respiro e i nostri giovani lo hanno sempre trovato in aula. E tuttora lo trovano, ma, ahimè, an-che questo sovrano sforzo oggi non basta: da anni ci siamo resi conto che occorre andare oltre, è necessa-rio uscire dall’aula. Ma uscire per fare cosa e con quali prospettive? L’orizzonte è quello dell’internazio-nalità, parola d’ordine che porta

con sé la nuova dimensione dell’e-ducazione globale, dell’incontro con gli altri, dell’apertura alla di-versità, dell’uscita insomma dal gu-scio del proprio provincialismo, degli egoismi e degli individuali-smi di tutti i giorni, come ha già mirabilmente tratteggiato la colle-ga Ida Romano nell’articolo appar-so sul numero 548 di Tuttoscuola. Fondamentali a questo proposito sono le indicazioni emerse dal con-vegno svoltosi a Boston alla fine di luglio 2012, dove per la prima volta si sono incontrati dirigenti di tutte le scuole secondarie della Compa-gnia di Gesù, per rafforzare l’ap-partenenza alla nostra rete globale, condividendo idee e risorse, e per valutare le proprie forze e le sfide future alla luce della missione e dell’identità gesuita, così come è stata espressa nei documenti della trentacinquesima Congregazione Generale della Compagnia. Alla fine di questo importante conve-gno, i cui materiali di lavoro posso-no essere scaricati dal sito www.icjse.org, i delegati presenti si sono convinti che i nuovi segni dei tempi devono portare un ulteriore cam-biamento al nostro attuale modo di procedere. Le novità riguardano la continua comunicazione e la colla-borazione fattiva nello sviluppare contatti tra le scuole della rete

FuoRI DALL’AuLA!di Paolo Tenconi*

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Obiettivo docente

cominciare, favorisce, come dice-vamo in apertura, un approccio in-terclasse, che significa una rottura del gruppo di riferimento iniziale e un conseguente inserimento di for-ze nuove e fresche e di un approc-cio differente al ponimento e alla soluzione dei problemi. E questo vale non solo per gli studenti, ma forse soprattutto per i docenti, che vengono per così dire costretti a lavorare insieme agli altri colleghi, fuori dagli schemi consueti e con-sumati della propria professionali-tà. Il problema maggiore rimane quello di inserire i temi e le meto-dologie del lavoro per progetti nel normale svolgimento del program-ma curricolare. Se un progetto ri-mane una ciliegina sulla torta di un curricolare scadente, sarà sempre e

dell’Est al momento del loro ingres-so nell’Unione Europea, simulando un’attività legislativa parlamentare. Uscire dall’aula significa però an-che guardarsi intorno sul territorio milanese e nazionale, alla ricerca di altri progetti di eccellenza che, pur non provenendo dalle scuole o dalle capacità di iniziativa della Compa-gnia, possano comunque contribui-re alla formazione globale e al nuovo respiro progettuale di cui stiamo discutendo. Vale la pena ci-tare a questo proposito tre punti di forza di questo settore: la collabo-razione con Assolombarda per pro-getti riguardanti la riqualificazione internazionale della città di Milano, in vista soprattutto dell’EXPO 2015, l’adesione ai Model United Nations, cioè alle prestigiose simu-lazioni dei lavori degli ambasciato-ri dell’ONU organizzate ogni anno a New York e a Dubai dall’Associa-zione Diplomatici di Catania e la partecipazione alle selezioni del Parlamento Europeo dei Giovani, a cui il nostro J.E.E.P. si è ampiamen-te ispirato. Per non dimenticare i progetti di formazione economica e finanziaria, condotti grazie al co-stante contatto con il Boston Con-s u l t i n g G r o u p , a u t o r e e organizzatore delle prestigiose competizioni internazionali deno-minate Business@school. La forza dell’azione educativa dei Gesuiti è sempre stata quella di non conside-rare le proprie risorse come un feu-do chiuso e di sapere quindi aderire a progetti che magari nascono mol-to distanti dai valori di riferimento cristiani, ma che ad essi possono essere in un secondo tempo ricon-dotti. Lavorare per progetti. Si trat-ta di capire come mai lo spazio dell’aula non sia più sufficiente per perseguire questi obiettivi. Io cre-do, infatti, che lavorando per pro-getti si riesca a raggiungere con maggiore completezza l’obiettivo della formazione globale, anche se il percorso a prima vista può sem-brare complicato e dispersivo. Una dimensione progettuale, tanto per

internazionale, per meglio servire la fede, la giustizia, l’attenzione all’ambiente e per costruire ponti tra i giovani di tutto il mondo, co-struendo comunità educative sem-pre più forti, che possano servire il mondo sfruttando tutte le potenzia-lità della nuova educazione globale. All’interno del Vision Statement, che riassume i lavori del Convegno, leggiamo che lo scopo unico di questo lavoro di relazione interna-zionale è quello di educare cittadini globali a prendere parte attiva ad una globalizzazione di solidarietà, cooperazione e riconciliazione che rispetti a pieno la vita e la dignità umane e tutta la creazione di Dio. La visione della Compagnia non menziona quindi le competenze di lingua inglese, che sono date quasi per scontate e che comunque non rappresentano l’unico focus dell’a-zione educativa progettuale inter-nazionale. Ileone XIII si muove in questa direzione già dal 1993, da quando cioè, sfruttando un’intui-zione dell’allora Rettore padre Francesco Guerello, invitammo nella nostra scuola rappresentanze europee di studenti per un evento sportivo che celebrasse il nostro centenario. Da allora i contatti si sono costantemente moltiplicati e rafforzati e coinvolgono gruppi se-lezionati di studenti o classi intere, a seconda dei casi e della disponibi-lità. Oggi la rete di scambi com-pre nde le nos t r e s cuole d i Barcellona, Marsiglia, Gent, Bonn, Amburgo, Dresda, Vilnius, Kau-nas, Gdynia, Myscolc, Scutari per citare le principali mete europee; e poi Sydney, Adelaide, New York e San Francisco al di là degli oceani. L’attività di scambi internazionali prevede da tempo anche progetti di rete tra diverse scuole. Oltre ad aderire all’antica tradizione de I Gesuiti e la storia, ideata più di trent’ anni fa dai padri delle scuole siciliane, il Leone XIII ha dato av-vio nel 2004 al J.E.E.P. (Jesuit Eu-ropean Educational Project) per accogliere le scuole dell’Europa

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Obiettivo docente

umanesimo, improntato su valori che si stanno disperdendo sotto i colpi delle recenti crisi e degli at-tacchi del relativismo e del pragma-tismo contemporanei. Si tratta di costruire, in una parola, una nuova metafisica della persona, utilizzan-do le fonti di ispirazioni cristiane, ancora e sempre più attuali, da de-clinare insieme alle esigenze che il nuovo mondo globale pone in cima alle nostre scelte quotidiane. Le scuole possono essere i primi attori di questo sviluppo: il Leone ha già compiuto importanti passi in que-sta direzione e per il futuro si pre-annunciano ulteriori sviluppi e nuove sfide da vincere.Non si tratta, quindi, di mettere da parte la nostra tradizione educati-va, si tratta anzi di salvare la nostra cultura prima che il resto del mon-do la spazzi via. La nostra lingua è già minoranza, molti dei valori ispirati dalla tradizione cattolica sono in minoranza, non lasciamo che scompaiano i fondamenti della nostra cultura. Un arroccamento integralista non salverà le nostre ra-dici, solo il dialogo con altre culture ci darà occasione per porre la nostra in cima, nel posto che merita. In un mondo che non basta l’aula globale è l’unica soluzione. La tecnologia ci può aiutare, il nuovo linguaggio mediatico che meglio dell’inglese ci fa dialogare con le nuove gene-razioni. La sfida è rivolta a noi do-centi, prima che ai nostri studenti. Se S.Ignazio riscrivesse oggi la sua Ratio Studiorum userebbe una LIM per spiegarla ai suoi studenti e affi-derebbe a Twitter le sue riflessioni. In un mondo che non basta dob-biamo ricostruire un nuovo uma-nesimo, una nuova metafisica di contenuti tradotti in lingua inglese. Questa progettualità internaziona-le, affidata alla velocità della comu-nicazione informatica, preparerà i nostri giovani alle sfide del nuovo mondo globale. *Docente di storia e fi-losofia Liceo scientifico Leone XIII Milano Coordinatore dei progetti internazionali Leone XIII Milano

che siano capaci di instaurare rap-porti di dialogo costruttivi, di aper-tura e di vera accoglienza nei confronti delle diversità, cioè veri e propri cittadini del mondo, in gra-do di utilizzare con competenza critica e responsabilità i nuovi stru-menti tecnologici, dobbiamo aprir-ci all’idea di inserire nel nostro lavoro aree progettuali sempre più abbondanti e variegate; solo fuori dall’aula, in spazi di respiro più ampio e di reale condivisione con realtà diverse, i nostri studenti im-pareranno ad agire in contesti vitali con spirito di disponibilità al cam-biamento e alla collaborazione, so-l o a c o n t a t t o c o n r e a l t à imprenditoriali attuali e di succes-so capiranno in che modo creativi-tà e imprenditorialità possono esse re d i rez ionat i ve r so u n autentico spirito di solidarietà, per perseguire il bene comune. Il lavoro per progetti favorisce in modo mirabile il riconoscimento delle regole e la capacità di r iconoscerle come propr ie e rispettarle, per imparare ad assu-mersi le giuste responsabilità e a diventare parte della nuova società con spirito attivo, nel rispetto dei diritti dell’uomo. Il mondo, l’aula globale. Si tratta adesso di inserire meglio le esperienze sopra descrit-te all’interno dei curricolari scola-stici, coinvolgendo un numero crescente di colleghi di varie disci-pline. Dato il livello di mediazione interculturale che lo spirito di Bo-ston suggerisce, il compito di favo-rire gli scambi internazionali non può essere lasciato solo ai docenti di lingua inglese: bisogna coinvol-gere i colleghi di storia, filosofia, scienze, fisica, storia dell’arte, let-teratura, educazione fisica per ga-rantire quel percorso di formazione integrale di personalità armoniche, cui i documenti programmatici del-le scuole della Compagnia amano spesso fare riferimento. C’è in gio-co, infatti, non solo la formazione linguistica di un individuo, ma la c o s t r u z i o n e d i u n n u o v o

inevitabilmente un fallimento; allo stesso modo il programma currico-lare deve potersi avvalere dell’ener-gia progettuale, per non rimanere indietro coi tempi e risultare vec-chio e inefficace nella sua azione educativa. Il lavoro per progetti si adatta straordinariamente bene alla metodologia proposta dal Paradig-ma Pedagogico Ignaziano e predi-spone con efficacia il cammino per indirizzare la formazione dei nostri giovani verso l’obiettivo finale, co-stituito dal profilo in uscita degli studenti delle scuole della Compa-gnia di Gesù. Se vogliamo, infatti, che i nostri studenti siano impegna-ti nel discernimento politico e nella promozione della giustizia, dotati di senso critico e capaci di elabora-zione progettuale, se desideriamo

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Obiettivo docente

Nel l’od ie r no d ibat t i to su l la Scuola, un tema ricorrente ma non sufficientemente approfon-dito è quello della cittadinanza e della legalità: sulla scorta del-le raccomandazioni europee per la diffusione delle competenze trasversali e di lifelonglearning, grande è l’attenzione degli Stati membri e dell’Italia per la defi-nizione di strategie e di obiettivi che riguardino la maturazione di valori condivisi.Il caso italiano meriterebbe forse un dibattito sincero e polifonico: se di Cittadinanza e Costituzione si fa un gran parlare, specialmen-te dopo che con questa etichetta si è ritenuto di classificare una specifica porzione dei contenu-ti curricolari da trasmettere ai giovani, pochissimo si discute circa la salute di cui godono i principi di etica pubblica e di partecipazione attiva nel nostro Paese. Una prima misura della questione si offre attraverso la condizione di scambio tra scuo-la e famiglia, condizione che ha raggiunto l’apice – dalla sua pri-ma apparizione strutturale con i Decreti Delegati del 1974 - in termini di apertura e trasparen-za, con non poche slabbrature, retrocessioni e sbandamenti da entrambe le parti.Il nesso tra rapporto scuola/ter-ritorio/famiglie ed educazione alla cittadinanza è di cruciale importanza per comprendere il fenomeno di cui stiamo parlan-do: la Scuola è, senza ombra di dubbio, il settore della Pubblica Amministrazione maggiormente

a por tata di mano, con piena accessibilità e assetto stanzia-le dell’utenza, e tale sua condi-zione la colloca come area dello Stato particolarmente esposta al-la drammatica collisione che da anni scuote il servizio pubblico per effetto dell’insoddisfazione, degli interessi “altri”, come pure delle ingerenze indebite.Può la Scuola, come pubblica amministrazione sovraesposta e contestata, esercitare ancora con eff icacia il ruolo di agen-zia formativa utile allo svilup-po dei valori di cit tadinanza? La prima risposta che emerge è che la Scuola “deve” soddisfare questa esigenza: è proprio al-la Scuola pubblica, infatti, che spetta la formazione dei citta-dini. Meno facile è replicare rispetto alla questione dell’ef-f icacia, stante la situazione di criticità dei ruoli che la nostra società registra e considerata la difficoltà di ristabilire confini

indispensabili all’esercizio stes-so delle regole, dei diritti e dei doveri che alimentano la status della cittadinanza.Anche i recenti dibattiti sulle oc-cupazioni illegali delle scuole, tirate da una parte e dall’altra in nome della libertà di pensiero e del bisogno di “partecipare” reclamato dai giovani, hanno contribuito a confondere la ma-teria di cui andiamo discorren-do, mettendo in discussione cioè il fatto che la Scuola pubblica è di per sé una espressione dello Stato democratico e repubblica-no e che nella cornice della sua azione vi si debbono applicare i principi fondanti della Costitu-zione. Non serve forse chiamare in causa la crisi della famiglia o la moda fuorviante della “deci-sioni partecipate” per rilevare il disagio di un sistema educativo al quale si chiede sempre di più (in termini di complessità edu-cativa, ma anche di r isorse di

Esercizi di legalità. La Scuola palestra di cittadinanza

di Irene Baldriga*

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Obiettivo docente

tempo, di dotazioni tecniche, di interventi eff icaci), senza raf-forzarne il ruolo di istituzione pubblica, autonoma e indipen-dente, titolare di un servizio che ha specificità e competenze non negoziabili.Per una scuola che oggi davvero intenda porsi il problema della formazione dei cittadini e che intenda farlo in modo autentico e programmatico, ponendo questo obiettivo al centro della propria progettualità, diviene quindi es-senziale evidenziare prospettive di lavoro precise, immaginando contesti e “discorsi” che parta-no da una seria definizione di cittadino e di cittadinanza. Ai nost r i student i chiediamo di sviluppare:- Consapevolezza;- Altruismo/rispetto/solidarietà/

interesse per l’altro/saper stare insieme;

- I n t r a p r e n d e n z a / a u t o n o -m i a /c a p a c i t à d i ge s t io n e dell’imprevisto;

- Pensiero cr it ico/capacità di valutazione;

- Par tecipazione, intesa come voler essere parte di qualcosa;

- Capacità di condividere un progetto/un bene/un interesse comune;

- Maturazione di valori di iden-tità, di memoria, di collettività.

Il conseguimento di ciascuno di questi obiettivi, che nell’insieme arrivano a comporre un “saper essere”, equivale a un percorso ben preciso che la scuola deve sapere predisporre, ar ticolan-dolo in tappe, costellandolo di premi gratif icanti, investendo risorse professionali ed econo-miche. Se, nell’insieme, verso questa complessa morfologia del cittadino attivo e consapevole, dovrebbe convergere l’articola-zione didattico-educativa delle discipline concepite attraverso la lente delle competenze e delle conoscenze, non possiamo non rilevare che – a fronte del disagio

gravissimo di cui soffre la socie-tà attuale in termini di equilibri e di relazioni – è necessario im-maginare dimensioni parallele di trasmissione e di dialogo.In una geograf ia del viaggio educativo, le dimensioni da per-correre potrebbero essere quelle deI Gruppi – I Luoghi – I Ruoli – I Valori/L’identità– Io/Noi – Le Regole - I SogniLa spinta verso individualismi esasperati, tendenza diffusa del-la contemporaneità, è la prima seduzione da lasciar evaporare: i giovani chiedono con forza for-me di aggregazione senza di fat-to saperle autogestire e la scuola deve oggi, con fantasia e con ca-pacità di lettura dei bisogni e degli interessi, sapere proporre palestre di condivisione, ovve-ro luoghi di costruzione della collettività. Si chiamano labo-ratori teatrali/scientifici/artisti-ci, si chiamano orchestre, cori, giornalini scolastici, simulazioni d’impresa: sono spazi di appren-dimento che hanno un fine paral-lelo, latente, ma sostanzialmente primario, e cioè quello di favori-re lo stare insieme, il progettare comune, il raggiungimento di risultati con ricaduta multipla e gratif icazione comune. La pri-ma motivazione al bene collet-tivo è quella affettiva e ideale: da questo deriva il bisogno di tracciare percorsi che preveda-no l’aggregazione virtuosa get-tando le basi del valore di etica pubblica. I gruppi si riuniscono in un “dove”, in uno spazio che ha un suo preciso significato: lo spazio della scuola è lo spazio di tutti, è la casa comune dove ogni risorsa è espressione di un volere più ampio che l’ha scel-ta e l’ha messa a disposizione del gruppo, ma è anche medium di un sentire gli altri. Lasciare in buono stato l’oggetto comu-ne, usarlo con rispetto, esprime at tenzione e considerazione,

suggerisce l’esistenza di un noi che prevale sull’io, di un nostro che precede il mio. L’esperienza materiale è forse la più difficile oggi da condurre verso principi di solidarietà e di eguaglianza: è incommensurabile la fatica con cui, in una scuola, si chiede il rispetto delle pareti degli edifici, la tutela delle dotazioni tecniche, la gestione delle risorse energe-tiche, il riciclaggio consapevole dei rifiuti, l’uso responsabile di ciò che è utile alla comunità cui si appartiene. Il giovane abusa della cosa pubblica perché non è formato a distinguere tra il col-lettivo e il particolare; manipola la cosa comune per personaliz-zarla e farla propria, per mani-festare il suo proprio esistere, il suo agire, ma nel frattempo non considera che il suo atto so-vrasta la presenza degli altri e li esclude. Il discorso sui luoghi si rafforza nel momento in cui quei luoghi divengono spazio di costruzione condivisa, ivi com-preso il loro recupero in termini di decoro e la rif lessione pratica sulla riqualificazione simbolica del “dove” noi lavoriamo, studia-mo, viviamo insieme e progettia-mo il nostro futuro.Alla scuola si chiede sempre più spesso di ampliare gli spazi di accoglienza, oltre l’orario cur-ricolare, oltre i confini dell’edu-cazione. Sappiamo che questo in gran parte avviene, in una sem-pre più tesa relazione con fami-glie che vorrebbero assegnare alla scuola la gestione della gran parte del tempo dei giovani e con Enti Locali che stentano a com-prendere le difficoltà di un ente di formazione: carenze di spazi, obblighi di vigilanza e proble-mi di sicurezza, pulizia, attrez-zature, gestione del personale. I Licei di alcune grandi cit tà italiane ben conoscono le tragi-che vicissitudini delle cosiddet-te “aule autogestite”: lodevole proposta lanciata con lo Statuto

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Obiettivo docente

impegnarsi anche nell’esercizio della speranza e del cambiamen-to: ai giovani ammalati di ras-segnazione e di sfiducia, spesso privati della facoltà di sognare, è necessario restituire il pensiero di poter cambiare il mondo. A questo serve progettare, realiz-zare, produrre, in una scuola che favorisca l’aggregazione guidata da facilitatori esperti, da docenti impegnati essi stessi in processi di sviluppo delle competenze tra-sversali, aperti alla società, al la-voro, ma solidamente ancorati ai principi di libertà e di democra-zia maturati in secoli di storia, di lotta, di conquiste e di pensiero. Il cittadino attivo possiede occhi per guardarsiall’indietro come ri-esce a volgere lo sguardo dentro di sé e a puntare un cannocchia-le verso il domani: è anche per questo che la scuola, con il suo patrimonio di “saperi forti” su cui rif lettere (in un equilibrato incontro tra cultura umanistica e scienza) va sostenuta e incorag-giata nell’impegno accorato ad alimentare il bisogno di valori che le compete soddisfare.*Dirigente Scolastico Liceo Classico Virgilio di Roma

preziosa). Questione finale ma niente affatto secondaria è quella dell’identità: si è cittadini attivi e partecipi in un contesto che è fatto di storia e di valori e che compone un patrimonio (un bene che ci appartiene, dunque). Assai giustamente si sta evidenziando da anni il vantaggio formativo dell’avvicinamento dei giovani alla storia dell’arte, alla tutela dei beni culturali e del paesag-gio come vera sostanza, tangi-bile e diffusa in ogni angolo del territorio italiano ed europeo, di un sentire comune. Educare alla cittadinanza attraverso il con-tatto con i monumenti del nostro passato equivale ad assimilazio-ne dei principi di collettività, di memoria e di trasmissione di un bene alle generazioni future, di responsabilità e consapevolez-za dello spazio, del noi e dell’io, delle regole da comprendere e da applicare. Il cittadino che ha memoria, che conosce sé stesso e riconosce l’altro, che pospone il particolare a un interesse più grande, possiede anche la facoltà del sogno. La scuola impegna-ta nella rif lessione sui valori di cittadinanza e di legalità dovrà

degli Studenti e delle Studentes-se, non accompagnata da norme attuative e da fondi, che ha de-terminato difficoltà indicibili e conf litti annosi nei confronti di famiglie,stakeholders, intere co-munità scolastiche.Gestire lo spazio pubblico impo-ne l’applicazione di regole, paro-la quasi estinta nella percezione di molti e sempre più ardua da trasmettere in uno spazio di ap-prendimento. La regola, che non è imposizione e non è costrizione ma risorsa della convivenza, va evidenziata nel quotidiano, at-traverso modalità partecipative che passino attraverso il sistema dell’integrazione e non dell’al-terità. La scuola oggi, complice una intera cultura politica, fa-tica nel ribadire il profilo isti-tuzionale che la connota. Dal consolidamento del ruolo deriva l’efficacia dell’azione: l’educa-zione della legalità passa anche per un discorso sui ruoli, nel quale giova il supporto di enti esterni (Associazione Nazionale Magistrati e Osservatorio Nazio-nale sulla Legalità, come pure le Forze dell’Ordine, offrono in questo senso una collaborazione

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Obiettivo docente

Le ragioni del progetto

“I l rapido e sorprendente progresso delle nuove tecno-logie nell’ultimo decennio, ac-compagnato dalla loro grande diffusione, ha prodotto radicali e signif icative evoluzioni nella società contemporanea in am-bit i come la comunicazione, l’organizzazione del lavoro, la formazione. La tecnologia sta cambiando radicalmente le persone, le famiglie e la socie-tà in cui si vive e si interagisce ed in generale sta cambiando il mondo”.

Così esordisce la Premessa del

documento progettuale del Co-mune di Seregno, che considera perciò “necessario avviare un progetto di diffusione della cultu-ra digitale presso la popolazione per incrementare e potenziare l’uso delle Tecnologie dell’infor-mazione e della comunicazione (TIC)” sia in generale sia e so-prattutto nelle aule scolastiche, essendo dimostrato che esse “in-fluenzano positivamente il modo di fare scuola, a livello di clima, motivazione, interattività, perso-nalizzazione, nonché risultanze

degli apprendimenti”. A chi spetta l’iniziativa? La

risposta è netta: spetta alla po-litica, che “deve assumere scelte nette e decisive a favore di una diffusione completa e significati-va delle tecnologie e della consa-pevolezza del loro impiego nella didattica ordinaria: sulla base di queste considerazioni, occorre intervenire con forza investendo sia nelle dotazioni multimedia-li che nella connettività ad alta velocità, per mettere a sistema scuola e tecnologia”.

L’Amministrazione Comunale, in particolare, considera priori-taria la soluzione del problema

A SEREGNOLA SCuoL@ è DIGITALE

di orazio Niceforo

Obiettivo docente

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del digital divide tra alcune classi ‘digitali’, dotate di adeguate ap-parecchiature tecnologiche, e le classi ‘analogiche-tradizionali’, che convivono all’interno della stessa scuola e tra gli Istituti sco-lastici della Città. “Colmare le criticità riguardanti la connetti-vità e la banda larga nonché le disparità di dotazioni tecnolo-giche, permette l’accelerazione del processo di innovazione si-stemica della scuola, nella dire-zione dell’applicazione concreta dei principi di equità, libertà e pluralismo del sistema scolastico cittadino”.

Verso il traguardo in dieci tappe

Nei giorni scorsi l’Assessore alle politiche educative e scola-stiche del Comune di Seregno, Ilaria Anna Cerqua, ar tef ice e anima politica del progetto, ha convocato la prima riunio-ne della «cabina di regia» con coinvolgimento di tutte le scuole di Seregno pubbliche e paritarie primarie e secondarie, al fine di verificare l’interesse delle real-tà scolastiche a creare sinergie importanti per quanto riguar-da la connettività a banda larga, sia in termini di miglioramento della qualità che di risparmi, e

per realizzare una piattaforma comune, favorendo momenti di formazione condivisa.

«Un importante intervento che coinvolge tutte le scuole della Città statali rendendole compe-titive secondo i migliori stan-dard internazionali e che si sta aprendo alle scuole paritarie» spiega l’Assessore Cerqua. «E’ in atto uno studio di fattibilità per portare a 1 Giga la Banda IP, un obiettivo strategico ed impor-tante, assolutamente realizzabile anche in tempi brevi, per l’inizio dell’anno scolastico 2015-2016».

Dal punto di vista operativo il progetto si articola nelle seguenti dieci azioni:

«Azione 1: tutte le classi con la Lim!»: oggi sono 73 le lavagne interattive multimediali (LIM). Con l’acquisto di 51 LIM si avrà una copertura del 100 per cento delle classi;

«Azione 2: cablaggio in tutti i plessi scolastici»: l’intervento riguarda il plesso della prima-r ia «Stoppani», dell’infanzia «Andersen» e «Nobili», le sezioni speciali della primaria «Rodari» e alcuni laboratori della scuola «Manzoni»;

«Azione 3: wi-fi nelle scuole»: la connessione «senza fili» sarà portata in tutte le scuole;

«Azione 4: cl@sse 2.0, un ta-blet per alunno»: gli studenti di

alcune classi secondarie di primo grado saranno dotati di un tablet;

«Azione 5: sicurezza nell’uso di internet»: filtri alla navigazio-ne Internet attraverso firewall e prevenzione da attacchi informa-tici alle reti;

«Azione 6: Metropolitan area network: comune e scuole»: un’unica rete in fibra ottica di 1 GigaBite collegherà l’Ammini-strazione comunale e le scuole;

«Azione 7: banda unica ip ve-loce internet»: banda IP veloce di 50MB con estensione a 100MB; «Azione 8: scuola dell’infanzia digitale!»: cablaggio delle scuole dell’Infanzia «Andersen» e «No-bili» e progetti sperimentali spe-cifici per la scuola dell’infanzia;

«Azione 9: Docenti digitali»: formazione costante per l’utiliz-zo delle nuove tecnologie e mo-delli didattici di e-learning;

«Azione 10: sportello d’ascol-to e cyberbullismo»: sportello d’ascolto it inerante t ra i t re Istituti comprensivi per prevenire i rischi della rete.

Dal mese di aprile 2015 tutte le scuole statali del primo ciclo sono connesse con fibra ottica e navigano a banda larga. Sono state completate le azioni nume-ro 5 - Sicurezza nell’uso di in-ternet, numero 6 - Metropolitan area network (MAN) Comune e Scuole, numero 7 - Banda ip

Si chiama «Seregno: la scuol@ è di-gitale» il progetto varato per impulso dell’assessore all’istruzione del Comu-ne di Seregno Ilaria Anna Cerqua, un progetto che si presenta per molti a-spetti come un caso esemplare di buona pratica nei rapporti tra il Comune, le scuole e i genitori. Esso è il frutto di una azione sinergi-ca costruita a partire dalle solide basi concettuali e metodologiche poste nel documento che giu-stifica la realizzazione e delinea le condizioni di fattibilità del progetto.

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che punta all’eccellenza, restano fondamentali le qualità umane quali passione, impegno, deter-minazione, merito».

Qualità certamente dimostrate dai genitori che hanno promosso l’iniziativa alla quale fa riferi-mento l’Assessore Cerqua, come vediamo in dettaglio nella scheda di presentazione riportata qui di seguito. La parola ai genitori.

Apposta@genitori: un gruppo di genitori nato apposta per…

Il gruppo ‘Appost@genitori’ nasce dal tentativo di strutturare quello che avviene nella pratica quotidiana tra genitori all’interno delle realtà scolastiche: sostener-si nella ricerca di soluzioni, con-frontarsi sui temi che riguardano i figli e le relazioni genitori/figli. Internet e cellulari rappresenta-no oggi un aspetto esistenziale importante nella vita dei giovani d’oggi, che sono non a caso defi-niti “nativi digitali”.

I nuovi Media e i Social Net-work fanno par te della quo-t id ian ità , sono st r umento d i comunicazione che por ta, da un lato, ampie opportunità di scambio e apprendimento ma, dall’altro, contenuti e compor-tamenti potenzialmente danno-si per lo sviluppo dei ragazzi

attraverso iniziative di crowdfun-ding, determinante per il suo suc-cesso è stata la forte adesione dei genitori, che si è tradotta anche in azioni di contrasto ai pericoli del web. Nei mesi scorsi, riferi-sce l’Assessore Cerqua, “è nata una straordinaria iniziativa di un gruppo di genitori dei tre Istituti di primo ciclo con il no-me ‘appost@genitori’, f inan-ziata all’interno della azione n. 10 del progetto, che ha previsto l’apertura di sportelli di auto-mutuo aiuto nelle scuole ed una serie di attività per affrontare i pericoli del web, tra cui il conse-guimento di un patentino”.

E’ prevista poi una ulter io-re novità, aggiunge l’Assessore. “Nei prossimi giorni si apriran-no le iscrizioni on-line del ser-vizio di refezione scolastica, ed abbiamo previsto nel formulario da compilare quattro domande con risposte facoltative, in me-rito a informazioni di carattere informatico-digitale riguardanti le famiglie. La finalità è di creare opportunità di miglioramento de-gli interventi e sviluppare nuove azioni all’ interno del progetto dirette soprattutto per affrontare il problema del digital divide, e rendere accessibili le nuove tec-nologie al maggior numero di cittadini, con la piena consape-volezza che, per avere una scuola

veloce internet unica in tutti i plessi scolastici. Il cablaggio fi-sico degli istituti, azione 2, era già stato completato tra dicembre e gennaio. In collaborazione con l’Amministrazione, la fibra otti-ca è arrivata anche nelle scuole secondarie statali. In ordine alle altre azioni previste nel progetto, l’Amministrazione Comunale ha trasferito dei fondi vincolati alle Scuole, affinché nel rispetto del-la propria autonomia scolastica, potessero assumere le decisioni più efficaci per il raggiungimen-to degli obiettivi. I tre Istituti del primo ciclo stanno procedendo agli acquisti delle LIM al fine di coprire tutte le classi ed dei tablet per attivare le Cl@assi 2.0: alcuni Istituti hanno già delibera-to di coprire tutte le classi terze medie con i tablet che saranno consegnati in comodato a tutti gli alunni e le alunne, scegliendo la tecnologia Apple.

Vantaggi e rischi del web: il ruolo decisivo dei genitori

Se nella realizzazione del pro-getto si sono rivelate importanti le sinergie tra iniziativa politica, apertura istituzionale (e cultura-le) delle scuole all’innovazione, e disponibilità del contesto socio-economico a collaborare anche

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dei genitor i che si dovessero confrontare con problematiche legate all’uso improprio della re-te da parte di ragazzi

- stimolare le istituzioni sco-lastiche, amministrative e so-cio-sanitarie a farsi carico della problematica emergente tra i ra-gazzi relativa all’uso improprio degli strumenti informatici

- promozione di progetti speci-fici di formazione

- progettazione di un percorso e strumento denominato “il Pa-tentino per il telefonino”

- organizzazione di incontri a tema, per genitori e ragazzi, tra i quali:

1. Gioco in rete: Aspetti ludici e patologici.

2. Aspetti legali e normativi dei social network. Adescamen-to/pedofilia, furto/cambio iden-tità: cosa fare, a chi rivolgersi

3. La comunicazione che cam-bia: come è cambiato il modo di comunicare con i social.

orientamento e indicazioni ad al-tri genitori che avessero bisogno di confrontarsi sul tema dell’uso di telefoni cellulari, smartphone e più in generale di strumenti informatici da par te dei f igli, sia per comportamenti agiti che subiti.

Iniziative avviate

- iniziative educative e cultura-li all’interno delle scuole dell’ob-bligo sull’utilizzo consapevole e corretto di telefoni cellulari e smartphone e più in generale d i s t r u ment i i n for mat ic i ed elettronici da parte dei ragazzi

- az ion i per in for mare gl i adulti – genitori, insegnanti ed educatori - rispetto alle norma-tive vigenti e sui r ischi di un utilizzo improprio di strumenti informatici

- accompagnamento presso i servizi ed agenzie competenti

più piccoli o meno consapevoli. Siamo genitori di ragazzi fre-quentanti le tre scuole secondarie pubbliche di Seregno e abbiamo iniziato ad incontrarci per af-frontare questi temi in modo at-tivo, portando ognuno la propria professionalità, competenza e sensibilità per costituire nel ter-ritorio una rete di informazione e collaborazione - fra interlocu-tori istituzionali e non - che sia di supporto per le famiglie che si trovano ad affrontare problemati-che legate all’utilizzo improprio di Social Network da parte dei propri figli.

Vorremmo lavorare congiunta-mente agli insegnanti/educatori per integrare l’offerta formativa con contenuti relativi all’educa-zione alla “cittadinanza digitale” e alla legalità, certi che il patto di corresponsabilità tra scuola e famiglia si sviluppi con mag-giore efficacia anche su questi temi. Affinché questo avvenga, al nostro gruppo partecipa anche un genitore insegnante che fun-ge da tramite tra noi e i docenti. Inoltre l’Amministrazione Co-munale di Seregno sostiene l’i-niziativa, in quanto si collega al punto 10 del progetto ‘la scuol@ è digitale’.

Iniziative realizzate

- autoformazione su social net-work, legislazione nazionale e internazionale;

- formazione sui temi dell’a-scolto e dell’accoglienza suppor-tati da Stefania Crema (avvocato, criminologa, formatrice e coordi-natrice dei servizi di tutela mino-ri dell’Ambito di Seregno);

- informazione riguardo a ini-ziative culturali e formative sui temi sopra indicati;

- sportello accoglienza genito-ri itinerante presso i tre istituti: un’ora alla settimana a rotazione, gestito da genitori, per offrire

Le scuole a SeregnoSono presenti tre Istituti comprensivi statali; Istituto A. Moro: infanzia Andersen, primaria Moro, secondaria di primo grado Manzoni; Istitu-to G. Rodari: infanzia Nobili, infanzia Rodari, primaria Rodari, con sezioni di alunni con diverse abilità (DVA), secondaria di primo grado Mercalli; Istituto A. Stoppani: primaria Cadorna, primaria Stoppani, secondaria di primo grado Don Milani. L’apparecchiatura informatica principalmente presente è la lavagna interattiva multimediale (LIM), con una copertura delle classi corrispondente al 58,87%Sono inoltre presenti a Seregno tre scuole statali di secondo grado do-tate di un numero di apparecchiature informatiche e multimediali più che proporzionato, rispetto alla media nazionale. Le scuole sono: IIS Martino Bassi con 34 classi e 3 laboratori con copertura tramite LIM di oltre il 90% e 405 tablet distribuiti in 15 classi; ITCG e PACLE Primo Levi con 14 classi di cui il 40% dotate di LIM e con notebook/tablet per 299 studenti e 80 tablet per docenti; Liceo Parini con 30 classi e 2 laboratori, con LIM per una copertura del 100% e tablet per 73 studenti e 39 docenti.Gli Istituti scolastici, avendo a disposizione un numero elevato di di-spostivi informatici per gli studenti, hanno l’obiettivo di aumentare la connettività per arrivare ad accedere ad una connessione ad alta velocità, al fine di rendere più efficace l’utilizzo della strumentazione attualmente presente e migliorarne le prestazioni.

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TECNoLoGIEDOSSIER

Formazione docente e complessità di una realtà in mutazione

Le tecnologie pongono nuove sfide all’organiz-zazione didattica della scuola. Siamo di fronte ad un’innovazione che apre altri orizzonti, suscitando anche molta incertezza. Il filo rosso di questo spe-ciale non è uno scontro tra due modelli, ma pone i quesiti che emergono dal diffondersi dell’innovazio-ne tecnologica, un fatto reale che sta cambiando la vita quotidiana di docenti, studenti.

Di fronte all’esigenza di promuovere l’adozione

delle tecnologie nel processo insegnamento/appren-dimento si tratta di valutare se velocizzare i tem-pi verso l’orizzonte dell’innovazione digitale della scuola, la quale, comunque, presto o tardi ci arri-verà, e di capire come creare le condizioni perché ciò produca effetti positivi. Questo scenario chiama ad una responsabile rif lessione anche di fronte a tante voci autorevoli che manifestano preoccupa-zione per i rischi insiti in una eccessiva ed acritica, spesso sull’onda di una ‘moda’, digitalizzazione della scuola.

a cura di Nicoletta Ferroni

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buone pratiche.Formare e aggiornare le com-

petenze dei docenti, nel quadro di una formazione continua e per-manente, serve per poter davvero incidere e riorganizzare il sistema d’istruzione e formazione nazio-nale, ridurre il gap di informatiz-zazione e digitalizzazione delle istituzioni scolastiche.

La dott.ssa Melina, Diretto-re Generale dell’USR Marche, si occupa di innovazione digitale da anni, presso la Presidenza del Con-siglio prima e il MIUR poi, dove ha seguito e operato per il Piano Scuola Digitale. È un’appassio-nata sostenitrice dell’innovazione dove “i percorsi di informazione/formazione che l’Ufficio Scolasti-co Regionale ha programmato e sta attuando, vogliono essere un invito rivolto docenti ad avviare una fase di sperimentazione di proposte formative che richiedano l’elaborazione di un nuovo arma-mentario culturale, perché ci tro-viamo di fronte a compiti inediti. (…)Per la scuola la possibilità e la capacità di utilizzare le opportuni-tà offerte dalle ICT non rappresen-ta certamente un obiettivo quanto un’opportunità.”

“ Il ruolo del docente, e quindi la sua formazione – dice la prof.ssa Dianora Bardi, Vice Presidente di Impara Digitale, associazione ac-creditata di promozione di didatti-che per la scuola digitale, – è ancora più importante oggi nel guidare un processo sano ed efficace, basato su trasversalità, laboratorialità, collaborazione, co-creazione e condivisione nel cloud (…) Il mo-dello messo in campo da Impara

Per far fronte alla rivoluzione digitale e al connesso rischio di produrre diseguaglianze, non c’è altro modo che porre al centro di continue, qualificate e valutate opportunità formative, i docenti per aiutarli ad orientarsi nel vo-ler rispondere all’esigenza di ag-giornarsi e sviluppare la propria professionalità.

Il quadro politico attuale si muo-ve in uno scenario caratterizzato da una contrazione generale di ri-sorse che impone di promuovere azioni che abbiano la caratteristica della coerenza e della puntualità. Servono azioni sinergiche da parte dell’Amministrazione, dell’Uni-versità, del mondo della ricerca, dell’associazionismo, dell’impre-sa in una visione d’insieme, in un quadro organico dove la strategia di sistema abbia modalità di ap-proccio diverse rispetto al passato e al presente.

Tutto questo richiede di essere accompagnato da attività specifi-che di formazione in servizio per i docenti, articolate su più livelli di partecipazione crescente: di sup-porto ai docenti al primo approccio con la scuola digitale; di accompa-gnamento dei docenti che hanno già familiarizzato con l’innova-zione tecnologica per promuovere una didattica sempre più orientata alla condivisione e collaborazione in una scuola aperta in cui gli stu-denti siano protagonisti, il più pos-sibile autonomi e responsabili del proprio percorso di apprendimen-to. Occorre, inoltre, creare moda-lità funzionali di comunicazione del lavoro delle singole scuole per la condivisione e il confronto sulle

Tuttoscuola prova a mettere insieme divulgazione e verifica delle esperienze di innovazione digitale nel tentativo di assicura-re un racconto disincantato, veri-tiero. I dossier sono ormai parte integrante di un lavoro che si pro-pone di raccontare le esperienze scolastiche per quello che sono, mettendo insieme il rigore delle analisi e l’aggiornamento delle no-tizie per favorirne una fruibilità immediata.

L’ambizione è offrire uno stru-mento informativo utile allo svol-gimento del servizio scolastico. La scelta editoriale, di alcuni anni fa, è stata quella di prestare molta attenzione all’innovazione digitale della scuola che trova oggi un ri-scontro nell’attenzione, superiore ad ogni più ottimistica previsione, di tutti coloro che a diverso titolo e ruolo operano ed agiscono nella scuola e per la scuola.

L’innovazione tecnologica della scuola comprende due elementi: l’utilizzo della tecnologia e il pro-filo professionale del docente in grado di superare con coraggio la paura di cambiare, di saper ge-stire il cambiamento, di “viaggia-re” con il potenziale in più offerto dalla tecnologia.

Ogni innovazione produce risul-tati positivi o negativi in relazione alla volontà e capacità di gestire lo strumento tecnologico. La qualità professionale è un fattore decisi-vo per la creazione di un contesto scolastico propizio all’innovazio-ne. La consapevolezza che senza formazione “si rischia il pressa-pochismo e l’approssimazione” accompagna nella responsabilità.

Formazione docente e complessità di una realtà in mutazione

L’innovazione tecnologica e la messa in discussione della tradizionale trasmissione del sapere dal “maestro” all’allievo.

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ma il laboratorio in classe: una strategia tante azioni è lo slogan del Ministero e anche della mia Direzione.”

“Il docente” conferma, infatti, il prof Gualtiero Beolchi, dirigente scolastico dell’istituto “Lussana” di Bergamo, “ha il compito di or-ganizzare il contesto che faciliti la costruzione di competenze, tenen-do conto che il centro della sua attività didattica non è la discipli-na, ma lo studente … Il docente non “trasmette” sapere … accom-pagna lo studente nel processo di costruzione di competenze … organizza setting di apprendimen-to mirati alla costruzione di un prodotto sempre frutto di elabo-razione personale … Questo pre-suppone una continua formazione dei docenti basata su un lavoro comune relativo alle competenze. Su una continua autoformazione focalizzata sulle necessità sorte dalla sperimentazione del Curri-culum mapping”, una piattaforma, realizzata da Impara Digitale con il sostegno di Telecom Italia che, secondo la prof.ssa Bardi, “vuole … permettere la condivisione delle unità di apprendimento, la map-patura dei curricula, nonché la valutazione delle competenze e la creazione dell’e-portfolio”.

“Entrare nel curriculum map-ping” puntualizza la profssa Bar-di “ vuol dire immergersi in un ambiente creato per costruire, governare, valutare i processi nel cloud”. Il curriculum mapping è un ambiente aperto e trasparente. I genitori e gli studenti possono con-sultare la programmazione in tutte le sue fasi ed attività per acquisire consapevolezza del processo di co-struzione delle competenze, così come il anche il dirigente può su-pervisionarne ogni parte. La pro-gettazione di ogni singola unità di apprendimento, in base alla sua specificità, può essere condivisa tra i docenti del consiglio di clas-se, tra più classi, o anche tra più scuole.

diventa organizzatore di attività, esperto a disposizione degli alun-ni, guida competente, maestro”.

Le molte esperienze di forma-zione, messe in campo da Impara Digitale, puntualmente monitora-te dal prof Ferdinando Pennaro-la, dell’Università “Bocconi” di Milano, documentano che il mi-glioramento qualitativo del livello di apprendimento degli studenti è strettamente collegato al livello di coinvolgimento dei docenti, il cui compito rimane fondamentale nel “guidare” l’apprendimento dei ragazzi.

Dice la dott.ssa Melina, DG dell’USR Marche:“L’innovazione digitale rappresenta un’opportu-nità di superamento del concetto tradizionale di classe, di attiva-zione di uno spazio di apprendi-mento aperto sul mondo, nel quale costruire il senso di cittadinanza e realizzare quella ‘crescita in-telligente, sostenibile e inclusiva’ che è priorità di Europa 2020. (…) Non più la classe in laboratorio

Digitale (…) non è standardizzato, ma si evolve a seconda delle espe-rienze che le scuole, i docenti, gli studenti ci raccontano”. Sono oltre cinquemila i docenti che hanno scelto l’abito formativo di Impa-ra Digitale e oltre 1500 quelli in-formati. L’effetto immediatamente rilevabile per la prof.ssa Bardi sono “le continue richieste di ag-giornamento da parte dei docenti che ci seguono costantemente e l’entusiasmo con cui questi ultimi coinvolgono gli altri docenti del-la propria scuola”. Sottolineatura confermata dalla prof.ssa Elisa-betta Monticelli, dirigente scola-stica dell’IC “Bruno da Osimo” di Osimo, che “… avendo conosciuto Impara Digitale sin dalle prime iniziative, ne abbiamo colto la pe-culiarità per cui per rinnovare le modalità d’insegnamento/appren-dimento … occorre … ripensare a modalità alternative alla lezione frontale, all’organizzazione degli spazi e dei tempi … L’insegnante da depositario di tutto il sapere

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Intervista alla Prof.ssa Bardi, vice presidente dell’associazione di formazione Impara digitale

Studiare sul tablet “più abilità e competenze”

Prof.ssa Bardi come nasce, si svi luppa e cresce Impara Digitale?

“Era il 2010 quando proposi all’USR Lombardia una sperimen-tazione che vedeva l’introduzione di tablet nella didattica giornalie-ra; accettato il progetto, essa subi-to prese l’avvio nella mia classe 4L del Liceo Lussana di Bergamo. Da questa esperienza, documentata nel testo OLTRE LA CARTA pub-blicato gratuitamente sul sito di ImparaDigitale, nacque la neces-sità di ampliare ulteriormente la sperimentazione e aprirsi ad altre realtà e ad altre scuole. Dall’incon-tro, direi casuale, di un gruppo di persone tutte grandi esperti non solo di didattica e di scuola, ma di tutto il mondo che gravita intorno al digitale, nel marzo 2012 nac-que l’associazione Centro Studi Impara Digitale. Da allora molte sono state le scuole, le aziende e le persone che si sono associate e che con noi hanno strutturato pro-tocolli di collaborazione; esse ci seguono ancor oggi e collaborano condividendo idee, innovazioni, progetti.”

Perché l’innovazione digitale a scuola? A cosa serve?

“Gli studenti sviluppano abilità e competenze in diversi contesti, e spesso l’apprendimento avvie-ne tra pari; il più delle volte è il web il “luogo” familiare in cui i ragazzi“abitano” e comunicano le proprie esperienze e in cui vivono la maggioranza delle situazioni di apprendimento. La scuola non può prescindere da questa realtà e

sottovalutare l’innovazione digita-le, pena la perdita di contatto con le future generazioni; essa dovrà imparare a promuovere una cultu-ra dell’apprendimento basata su un uso consapevole e critico dei nuo-vi strumenti della comunicazione. Solo in questo modo verranno va-lorizzate risorse umane utilissime per la crescita del nostro Paese.”

Davvero studiare sul tablet è meglio che studiare sui libri?

“Non è che sia meglio di per sé. Il digitale è un potente strumento da utilizzare non in chiave sosti-tutiva, ma per rendere i ragazzi protagonisti del processo di crea-zione del loro sapere. La tecnolo-gia permette non solo di abbattere le pareti dell’aula aprendo la scuo-la al terzo spazio e al mondo che ci circonda, ma consente a professo-ri e ragazzi di collaborare per far emergere il sapere attraverso un metodo paritario e partecipativo. Un apprendimento non solo come insieme di nozioni, ma di acqui-sizione di competenze personali e di un pensiero critico costruiti attraverso il confronto e la colla-borazione. Proprio per questo il ruolo del docente, e quindi la sua formazione, è ancora più impor-tante nel guidare un processo sano ed efficace basato su trasversali-tà, laboratorialità, collaborazione, co-creazione e condivisione nel cloud.”

Quale t ipo di formazione dei docenti propone a fronte

dell’innovazione tecnologica? Avete progettato i moduli for-mativi in base a un rilievo delle esigenze delle scuole del terri-torio oppure avete un modello che fa riferimento agli esiti di un’attività di ricerca?

“Il modello messo a punto da ImparaDigitale si basa sulle nor-mative europee e la legislazione italiana (la didattica per compe-tenze), tiene ben in considerazione le nuove richieste del mondo del lavoro, cioè quello di avere giova-ni non solamente preparati sulle conoscenze, ma capaci di intera-gire, di essere creativi, di collabo-rare, di lavorare in team, di essere autonomi e flessibili, di saper ri-solvere problemi. Il nostro metodo non è standardizzato, ma si evolve a seconda delle esperienze che le scuole, i docenti, gli studenti ci raccontano. Proprio per permette-re ai giovani e ai docenti di espri-mere le proprie idee, necessità e critiche, per dare la possibilità di confronti e dunque di rif lessio-ni, ImparaDigitale sta realizzando in tutta Italia gli appuntamenti di Tablet School, meeting nazionali degli studenti, in cui accanto a di-battiti aperti, chiunque lo richieda, può simulare lezioni con il digita-le, così che vengano alla luce le esperienze anche territoriali.”

Quante scuole e quanti do-centi sono stati coinvolti nella formazione?

“Abbiamo formato oltre 5000 docenti e informati oltre 15000.”

Quali le modalità e forme di

di Alfonso Rubinacci

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DossierTECNOLOGIE

La navigazione in internet come l’adesione e l’utilizzo dei social network richiedono notevoli dosi di consapevolezza e di capacità critiche che riguardano sia l’educazione civica che quel senso dell’etica così poco presente nella nostra società odierna. Serve, sempre più precocemente, formare i giovanissimi ad un approccio più cosciente e informato di ieri e che ci richiama tutti a maggiori responsabilità: la società ed in particolare la generazione adulta, a partire dagli insegnanti e dai genitori, hanno doveri che non possono prescindere da una ben formata e informata cultura digitale. Questo richiama una formazione dei docenti che sia specificatamente indirizzata a scelte metodologiche nelle quali l’impiego della tecnologia non segue una moda ma orientamenti collegati all’epistemologia di ogni disciplina, alla pedagogia e alle neuro scienze.

Dianora Bardi, docente di Lettere nei Licei, è l’ideatrice e l’organizzatrice di diversi progetti a carattere didattico e Divulgativo delle tecnologie multimediali nel mondo educational. Ha promosso e diretto varie manifestazioni sulla multimedialità a carattere nazionale e internazionale. Formatrice a livello nazionale del metodo didattico ImparaDigitale: la didattica per competenze con i mobile device. Attualmente Vice Presidente dell’associazione di formazione ImparaDigitale, collabora con l’ONU e la FAO, partecipa al Comitato Nazionale dell’UNESCO. Nel 2009 è stata nominata dal’ONU Friend of the United Nations Presidente delle Olimpiadi internazionali di multimedialità (Mediashow di Melfi). Dal 2013 è referente scientifica del progetto dell’USR Lombardia SCUOLA LOMBARDIA DIGITALE. Dall’Aprile 2014 è Ambassador E-skills for jobs 2014 Commissione Europea, dal Settembre 2014 fa parte del tavolo permanente per l’innovazione e dell’Agenzia Digitale Italiana della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

verifica degli esiti della forma-zione? Quale rilevazione avete compiuto degli esiti? Quali i ri-sultati raggiunti, nell’immedia-to e ad oggi?

“Le scuole che hanno partecipato alla formazione di ImparaDigitale si sono sottoposte al monitoraggio effettuato dal team dell’Università Bocconi guidato dal professor Fer-dinando Pennarola. Quello che è emerso chiaramente dal rapporto è un miglioramento dei risultati gra-zie all’applicazione del metodo di ImparaDigitale, tanto più quando i docenti sono coinvolti nel pro-cesso di trasformazione in modo convinto ed entusiasta. Il che con-ferma che la tecnologia non ha un ruolo sostitutivo, ma che rimane sempre fondamentale il compito del docente nel guidare l’appren-dimento dei ragazzi. L’esperienza

ci dice anche che il digitale uti-lizzato in una didattica innovati-va si trasforma in uno strumento efficace in chiave di inclusività e di supporto nei casi di disagio e di disturbi nell’apprendimento.”

Come è rilevabile l’effetto del-la formazione svolta sulla didat-tica praticata nelle scuole i cui docenti hanno partecipato alla formazione?

“L’effetto immediatamente ri-levabile è la richiesta continua, anche oltre il singolo corso,di con-tinue richieste di aggiornamento da parte dei docenti che ci seguo-no costantemente e l’entusiasmo con cui questi ultimi coinvolgono gli altri docenti all’interno della propria scuola.

Per supportare sempre più i nostri corsisti (e un domani tutti

coloro che ne sentiranno la neces-sità e vorranno affrontare il cam-biamento) nella progettazione per competenze abbiamo messo a punto il “Curriculum mapping”, una piattaforma realizzata grazie al sostegno di Fondazione Tele-com Italia, attualmente in fase di sperimentazione, che vuole anche permettere la condivisione delle Unità di Apprendimento, la map-patura dei curricula, nonché la valutazione delle competenze e la creazione dell’e-portfolio dello studente.”

Quale le evoluzioni del meto-do ImparaDigitale dall’inizio della fondazione dell’Associazio-ne fino alla formulazione della “Classe Scomposta”?

“Il metodo della classe scompo-sta è un’evoluzione della metodo-logia effettuata nei primi due anni di sperimentazione: all’inizio sono stati aboliti i libri di testo, creando i primi ebook scritti dagli studenti e facendo ricerca in gruppi stan-dardizzati (cooperative learning), si è lavorato nel cloud interagen-do nell’immaterilità, si sono con-divise esperienze grazie ad un processo monitorato dal docente. Gradatamente, dall’esperienza di tantissime scuole, siamo approdati a un processo trasversale e multi-disciplinare trasformando il ruolo del docente e di tutto il consiglio di classe, che arriva a trasformare il setting dell’aula, al cui inter-no vengono costituiti ambienti diversi, ognuno con una propria funzionalità, in cui gli studenti si aggregano liberamente, senza costrizioni o obblighi da parte del docente, scegliendo le modalità con cui svolgere il proprio per-corso di apprendimento. La classe frontale si scompone così in un ambiente destrutturato e coordina-to allo stesso tempo, con spazi per il lavoro collettivo e il confronto, affiancati ad altri per le singole funzionalità e per il lavoro/studio individuale. Attualmente stiamo

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sperimentando la Scuola scomposta, una modali-tà di aggregazione verticale non per gruppi classe, con laboratori per far raggiungere agli studenti le competenze.”

Qual è l’attuale diffusione del la “Classe Scomposta”?

“Non è possibile avere dei numeri specifici a que-sto riguardo, anche perché abbiamo pubblicato un e-book scaricabile gratuitamente dal nostro portale, che permette a chiunque di iniziare a sperimentare questo metodo didattico senza neppure coinvolgerci, bisogna dunque fare riferimento ai docenti formati che con noi interagiscono continuamente.”

Quali sono i risultati attesi, e quali quelli già raggiunti?

“Il primo obiettivo è quello di disseminare quanto più possibile l’idea della necessità dell’innovazione e del cambiamento, di far prendere coscienza che i nostri ragazzi saranno immessi in un mondo del lavoro completamente modificato e che la scuola deve necessariamente adeguarsi. Noi facciamo delle proposte metodologiche, ma ogni docente è libero di scegliere come modificare la propria didattica, l’im-portante e che si scenda dalla cattedra, e con umiltà ci si metta in gioco. È uno sforzo enorme! Abbiamo avviato il processo, aperto il dibattito coinvolgendo tutti i protagonisti del mondo scuola e strutturato un sistema ormai consolidato di formazione dei docenti. Insomma, possiamo permetterci di continuare a cre-dere in una scuola inclusiva e partecipativa grazie al digitale. Come ImparaDigitale, dunque, non possia-mo che essere pienamente soddisfatti di quanto siamo riusciti a realizzare in tre anni, con grande spirito di sacrificio ma anche con grandissimo entusiasmo.”

Quali le condizioni per arrivare a una diffusione capillare della scuola digitale in chiave di trasfor-mazione della didattica? C’è un modello unico di scuola digitale oppure ci sono diversi format sulla base delle esigenze?

“Per poter diffondere l’idea di una scuola inno-vativa che usa intelligentemente il digitale, ci deve essere la piena consapevolezza, dei docenti e, so-prattutto, dei Dirigenti Scolastici, della necessità del cambiamento, il coinvolgimento di tutti gli attori del mondo scuola, e anche, e soprattutto, delle famiglie: tutti devono aver ben chiare le potenzialità a dispo-sizione, così come dei limiti che un’introduzione non adeguata del digitale comporta. Proprio per questo siamo ben consci che non esiste un modello unico a cui uniformarsi, ma che ogni esperienza deve essere calata nella realtà della propria classe e della propria scuola.”

INTERVISTEdi Paola Torre

Prof.ssa Elisabetta Monticelli Cuggiò, dirigente scolastica IC “Bruno da Osimo” di Osimo

La dotazionetecnologica

La Profssa Elisabetta Monticelli Cuggiò, laureata in Matematica presso l’Università degli Studi di Bologna, ha insegnato Matematica e Fisica nella scuola secondaria e per alcuni anni presso l’Istituto d’Arte “Mannucci” di Ancona. Dopo alcune esperienze in istituti comprensivi dall’anno scolastico 2009/10 dirige l’IC “Bruno da Osimo” di Osimo. Ritenendo che la formazione sia un’opportunità fondamentale per la crescita professionale, favorisce e realizza occasioni per l’aggiornamento dei docenti, specialmente in tema di innovazione didattica attraverso le nuove tecnologie.

Quali sono le ragioni alla base della vostra deci-sione di adottare una didattica su base digitale e perché avete scelto il metodo di ImparaDigitale?

“La scelta di una didattica digitale nasce dall’e-sigenza di rimettere in comunicazione la scuola con le altre agenzie educative e soprattutto con gli alunni che, a poco a poco, avevano perso interes-se verso quanto avviene nel chiuso delle aule. Ci sembrava necessario aprire le porte all’innovazio-ne che passa anche attraverso l’adozione di nuove tecnologie, quelle stesse che i ragazzi conoscono e usano quotidianamente e che la scuola dovrebbe insegnare ad usare in maniera consapevole e critica. Avendo conosciuto ImparaDigitale sin dalle sue prime iniziative, ne abbiamo colto la peculiarità per cui per rinnovare le modalità di insegnamento/apprendimento non è sufficiente introdurre i device in classe ma occorre anche ripensare a modalità alternative alla lezione frontale,all’organizzazione

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degli spazi e dei tempi e ad un uso sempre più interattivo della rete; abbiamo ritenuto il metodo adeguato alle nostre esigenze e ai nostri intenti, intravvedendola possibilità di realizzare i nostri obiettivi e nel contempo di ren-dere gli alunni soggetti attivi nel percorso di costruzione dei pro-pri apprendimenti e nel raggiun-gimento di quelle competenze, culturali e di cittadinanza, che l’Europa impone.”

Da chi è partita l’iniziativa: docenti, genitori, studenti?

“L’idea di seguire ImparaDigi-tale è partita dallo staff del Di-rigente che sentiva l’esigenza di svecchiare l’attività didattica e ritrovare un linguaggio comune a quello dei ragazzi. Attraverso incontri seminariali e corsi di formazione alcuni docenti hanno acquisito principi e strumenti del metodo che in maniera progressi-va è entrato in alcune delle nostre classi di secondaria e primaria, con i diversi adattamenti resi ne-cessari dall’età degli alunni: col tempo, il riscontro di un approc-cio più entusiasta da parte degli studenti verso le lezioni, il con-seguente miglioramento del clima in classe, le facilitazioni che la tecnologia offre anche agli stu-denti con bisogni diversi hanno portato ad una più estesa diffu-sione del metodo che ha coinvolto sempre più docenti, per curiosità e imitazione, tanto che dal prossi-mo anno scolastico il metodo sarà adottato nella secondaria da nove classi su tredici e nella primaria da dieci classi su trentatre.”

I docenti che comprendono bene, perché sono “formati” e conoscono tutti i mezzi tecno-logici, il loro uso e le loro po-tenzialità, possono organizzare le attività in modo da evitare questo sbilanciamento e guidare i giovani ad un sano e corretto utilizzo delle tecnologie digitali.Cosa ha comportato la vostra

scelta formativa a livello di tra-sformazione della didattica del-la scuola?

“Il primo elemento di trasfor-mazione è stato il passaggio da una didattica trasmissiva ad una attiva: la lezione frontale ex ca-thedra ha lasciato spazio a mo-dalità di lavoro laboratoriali che coinvolgono gli alunni e li ren-dono pienamente attivi nel lavoro in classe e a casa.L’insegnante da depositario di tutto il sapere, di-venta organizzatore di materiali e attività, esperto a disposizione degli alunni, guida competente, “maestro”.

L’altro elemento è stata l’intro-duzione di dispositivi tecnologi-ci dotati di connessione internet: cosa che ha consentito l’abbatti-mento delle barriere fisiche della classe, la possibilità di accedere a centinaia di risorse, l’opportu-nità di costruire le conoscenze in modalità collaborativa. Lo spa-zio-classe diventato meno fisica-mente delimitato, è organizzato per isole e per angoli attrezzati con strumenti opportuni.”

Come avete risolto il nodo del-la dotazione tecnologica?

“La dotazione tecnologica ef-fettivamente ha rappresentato una questione nodale, sia per l’aspetto economico sia per la scelta dei dispositivi sia per la necessità di garantire la sicurezza dei minori contro i rischi della rete.

Abbiamo preferito non chiedere contributi alle famiglie; grazie ai finanziamenti di fondazioni, ban-di, sponsor privati, risparmi sono stati acquistati dispositivi vari, un server, che controlla e gestisce i device e gli indirizzi di posta elettronica istituzionali attribuiti ad alunni e docenti; alla stessa maniera è stata ampliata la ban-da per ottimizzare le connessioni nei singoli plessi. Gli iPad sono proprietà della scuola e non ven-gono portati a casa dagli alunni che però possono accedere ai ma-teriali proposti dall’insegnante,

conservati nel server. Dal prossi-mo anno scolastico, con l’aumen-to delle classi digitali, pensiamo di sperimentare il BYOD per cui gli alunni potranno por tare a scuola i propri dispositivi ed uti-lizzarli per le attività didattiche avendo anche accesso alla rete, rispettando però per il loro uso una serie di regole stabilite dalla scuola. Anche la manutenzione e l’assistenza sono a carico del-la scuola: un tecnico esterno in-terviene negli aspetti puramente tecnici, anche a supporto della FS della multimedialità.”

Come avete risolto il proble-ma della formazione tecnologica dei docenti? È stata sufficiente? È stata necessaria anche una formazione didattica sul digita-le applicato a scuola?

“Se la dotazione tecnologica costituisce un aspetto problema-tico per l’innovazione, il vero no-do cruciale è però la formazione dei docenti per poter abbattere la “paura” di cambiare e di saper ge-stire il cambiamento; di più, senza formazione si rischia il pressapo-chismo e l’approssimazione.

L’aspetto più delicato e fonda-mentale della formazione è non perdere mai di vista che gli stru-menti tecnologici sono utili alla didattica solo se usati corretta-mente e se sono usati insieme agli strumenti tradizionali, altrimen-ti diventano controproducenti e negativi.

Nel nostro Istituto la forma-zione è avvenuta prima su base volontaria da parte di un gruppo di docenti particolarmente inte-ressate all’innovazione; succes-sivamente il Collegio Docenti ha individuato, tra le iniziative obbligatorie per la formazione, quelle legate all’uso delle ICT nella didattica. Di seguito, attra-verso le attività rivolte ai docenti e grazie alle risorse interne già formate , si è realizzata una rica-duta graduale e per piccoli step. A ciò si sono aggiunti Webinar

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pluridisciplinari organizzati da ImparaDigitale, gruppi di discus-sione, corsi, esplorazione delle nuove app e tool utili alla didat-tica che consentono una forma-zione costante e a distanza dei docenti. Da quest’anno scolastico abbiamo individuato anche una Funzione strumentale specifica per la formazione.”

Attività formative sono state pensate anche per le famiglie, per consentire loro di seguire i propri f igli nei percorsi di apprendimento.

Quale la reazione dei docenti?“All’inizio, quando abbiamo

iniziato a percorrere la strada dell’innovazione, il sentimento maggiormente diffuso era la dif-fidenza: la via del cambiamen-to è sempre lastricata di mille ostacoli e difficoltà. Col tempo, però, i risultati dei ragazzi, il lo-ro maggiore coinvolgimento e il consenso delle famiglie ha fat-to ricredere i detrattori, sempre meno numerosi, tanto che attual-mente alla secondaria quasi tutti i docenti hanno l’ipad, molti lo hanno acquistato di tasca propria, la maggior parte sta provando in qualche modo a esplorare territori diversi dalla lezione trasmissiva e fondata sul solo libro di testo.”

Come si è evoluto il progetto dall’inizio a oggi: c’è un model-lo unico di scuola digitale oppu-re ci sono diversi format a cui fare riferimento?

“A parte il dato numerico - sia-mo partiti con una sola classe, og-gi parliamo di un intero plesso di scuola secondaria di primo grado e varie classi di primaria e per il prossimo anno partiremo con un altro plesso di secondaria e con l’infanzia - anche dal punto di vista metodologico/didattico il progetto ha subito numerose trasformazioni e adattamenti co-me vuole la natura stessa di ogni progetto che non può essere sta-tico, cristallizzato e compiuto né

all’inizio né mai.La didattica non adotta in ma-

niera esclusiva dei modelli, ma li sperimenta, li aggiusta e li ade-gua per raggiungere le finalità che si prefigge; le finalità della Scuola sono racchiuse nelle In-dicazioni Nazionali e per rag-giungerle non c’è un’unica strada né un unico format da applicare pedissequamente a tutte le si-tuazioni. Per questi motivi fra i docenti, in formazione continua, si sono diffuse diverse pratiche didattiche che vengono di volta in volta impiegate e sperimentate. Non essendoci stato un modello e delle proposte a livello centrale, l’innovazione parte dalle start-up, attraverso una serie di iniziative che difficilmente possono identi-ficarsi in un format esaustivo per tutti e per tutto.

Coerentemente con l’essenza e il senso del nostro cambiamento gli esempi che seguiamo nel no-stro Istituto sono molteplici: dalla classe virtuale, che si sviluppa sulla piattaforma Edmodo, alla f lipped classroom, dalla classe scomposta, ispirata al metodo Bardi-Imparadigitale, alla costru-zione di contenuti digitali.”

In che modo e sotto qual i aspetti la tecnologia può faci-litare l’esperienza scolastica e l’apprendimento. Quali i punti di forza e i benefici di quest’e-sperienza dopo diversi anni di applicazione?

“L’apprendimento è facilitato dal medium tecnologico sia in si-tuazioni di cosiddetta normalità che in quelle di difficoltà per vari motivi.

Certamente perché coinvolgen-do l’alunno, ne suscita l’interesse e la motivazione che sono le leve fondamentali per l’apprendimen-to: la classica lezione frontale in cui il docente apre il libro e spiega i contenuti del testo per un’ora intera è diventata controprodu-cente, soprattutto perché il ruo-lo passivo degli alunni li spinge

ad estraniarsi e a non trattenere i concetti e nei momenti in cui cam-bia il modo di fare scuola, si per-cepiscono fin da subito i benefici, dallo sguardo dei bambini che si accende, alla partecipazione at-tiva, dal dibattito-dialogo con i compagni, alla voglia di mettersi in gioco; in secondo luogo perché la tecnologia accoglie e gratifica i diversi stili di apprendimento senza favorire l’uno o l’altro; infi-ne perché rimuove efficacemente gli ostacoli di natura puramente strumentale rendendo facilmente realizzabile ciò che altrimenti non lo sarebbe: pensiamo ad esempio al bambino dislessico che utilizza la sintesi vocale del device o il di-sgrafico che attraverso la tastiera non si sente più discriminato a causa di una cattiva grafia, ecc.

Poi ci sono tanti aspetti relativi alla funzione docente che attra-verso la tecnologie può riappro-priarsi del ruolo che gli è proprio in quanto può costruire contenuti didattici dando spazio alla sua creatività, alla sua competenza e alla sua professionalità. Il docente non è più un depositario di cono-scenza ma è colui che attraverso attività di progettazione realizza percorsi adeguati ai propri alun-ni, personalizzando l’apprendi-mento e creando ambienti che lo favoriscono.”

Quali invece le difficoltà in-contrate su questo percorso?

“Le difficoltà sono principal-mente quelle legate alla diffiden-za verso la novità e alla necessità di rimettersi in gioco da parte dei docenti; a queste si aggiungono quelle di natura economica. Per rinnovare la didattica, la scuola e l’insegnamento occorrono sol-di, l’acquisto dei device e la loro gestione come pure la formazione dei docenti sono per ora a carico delle istituzioni scolastiche e dei singoli docenti che devono perso-nalmente provvedere alle attività formative residenziali realizzate nel territorio nazionale e anche

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all’estero. Un’altra criticità è il tempo scuola: per rinnovare ser-vono tempi lunghi in tanti sen-si, anche nel senso di un tempo scuola ampliato, che contempli l’apertura anche pomeridiana del-le scuola perché i laboratori non si possono fare in tempi contingen-tati e scanditi dal succedersi dei docenti ora dopo ora.

Un altro obiettivo è quello di coinvolgere le famiglie diretta-mente nelle iniziative a cui parte-cipa l’Istituto, come ad esempio i Tablet School che ImparaDigitale organizza a livello nazionale e gli open day, in cui gli alunni non solo mostrano le attività svolte ma fanno da tutor ai genitori che sperimentano con piccole attività laboratoriali.”

Che consigli darebbe a chi si avvicina al metodo ImparaDigi-tale oggi: perché dovrebbe farlo e come farlo?

“L’importanza di ImparaDigi-tale è legata a vari fattori. Uno è quello di avere un’associazio-ne che sta lavorando a un meto-do da anni e che fornisce a chi vuole iniziare gli strumenti per farlo con la certezza di essere supportati da docenti già esper-ti attraverso molteplici input sia per la fase organizzativa e di programmazione in seno ai team docenti, sia per la fase attuativa in classe e/o per classi aperte:in particolarela possibilità di realiz-zare una “classe scomposta” che superi le mura fisiche e mentali, finalizzata allo sviluppo dell’au-tonomia e di una didattica coope-rativa che favorisca i diversi stili di apprendimento.

Un altro fattore di positività è quello che entrare a far parte di un’associazione che consente di creare una rete di docenti e di esperienze che mettono in circo-lo problemi e soluzioni dei pro-blemi, materiali, spunti di lavoro e indicazioni organizzative che consentono di avere una base già sperimentata da cui partire.”

Prof Beolchi, dirigente scolastico istituto “ Lussana” di Bergamo

“Didattica per competenze”

Cosa vuol dire didattica per competenze e perché è necessario introdurre questa metodologia didattica?

“Quante volte, nel nostro percorso scolastico, ci è capitato di me-morizzare delle conoscenze, per poi dimenticarle il giorno dopo? E quante volte abbiamo acquisito abilità (di calcolo, linguistiche), sen-za capire il loro significato? Non bastano conoscenze ed abilità per modificare la nostra struttura cognitiva: senza la consapevolezza di ciò che si conosce e si sa fare e dei contesti in cui applicare non si ha competenza. Ovvero, costruire una competenza vuol dire modificare profondamente la struttura cognitiva, relazionale/affettiva, operazio-nale, abituando alla riflessione su ciò che si fa in una dimensione me-tacognitiva, altrimenti si creano solo sovrastrutture che non incidono nella modificazione del comportamento.

Una didattica per competenze implica quindi il protagonismo dello studente che deve essere messo in grado di rif lettere su ciò che sta facendo e su come lo sta facendo, in un contesto di problem solving finalizzato alla costruzione di un prodotto. Lo studente deve poter vedere la crescita delle proprie conoscenze, abilità, competenze, iden-tificando i nodi problematici (l’errore visto come motore della propria costruzione), commisurandosi, confrontandosi, condividendo ostacoli e compiti con gli altri compagni.”

Cosa significa per i docenti scegliere questo tipo di didattica? Quale differenza nell’approccio che ne deriva?

“Il docente ha il compito di organizzare il contesto che faciliti la costruzione di competenze, tenendo ben conto che il centro della sua attività didattica non è la disciplina, ma lo studente; non ha senso più l’immagine del docente “depositario di conoscenze”: basta poter acce-dere ad uno smartphone, entrare in rete e si ha accesso alle conoscen-ze. Quindi il docente non “trasmette” sapere, ma ha nuovi compiti: accompagna lo studente nel processo di costruzione di competenze, facilitando l’autovalutazione e la rif lessione, organizza setting di apprendimento mirati alla costruzione di un prodotto sempre frutto di

Il prof Gualtiero Beolchi, laureato in filosofia, docente di materie letterarie dall’anno scolastico2008/2009, immesso nel ruolo della dirigenza scolastica dall’a.s. 2008/2009, attualmente dirige l’istituto “Lussana” di Bergamo. Già responsabile provinciale per la formazione e l’aggiornamento dei docenti ha collaborato ad attività di progettazione, ricerca e sperimentazione nell’ambito di progetti promossi da università, centri di ricerca e formazione.

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un’elaborazione personale, non di mera applicazione o di facile riproduzione.

Inoltre, una competenza ha per sua stessa natura un riferi-mento pluridisciplinare: di qui la necessità di coordinamento e condivisione della progettazione tra docenti.”

Alla luce della vostra espe-rienza, quali sono i risulta-ti e le conseguenze di questo approccio?

“Questo approccio implica una profonda t rasformazione del ruolo del docente, senz’al-tro non possibile in breve tempo, contemplando un cambiamento di “cultura” ormai consolidata negli anni: alcune classi hanno condiviso la progettazione e spe-rimentato unità di apprendimen-to rompendo la classe e facendo lavorare gli studenti in base alle loro competenze iniziali, altre lavorano su unità disciplinari, è un inizio e non siamo ancora arrivati a “mettere a sistema”: procediamo per gradi, è presto ancora per dare una valutazione scientifica.”

Che bagaglio di competen-ze devono avere i docenti per spostarsi su una “didattica per competenze”? Come avete sciol-to il nodo della formazione?

“Devono essere in grado di proporre “compiti” e fare costru-ire elaborati il cui processo di esecuzione implichi porre do-mande e procedere per problemi; è necessario avere chiara visione dei nodi strutturali e concettuali della disciplina, anche sviluppati in visione diacronica, organizza-ti in una mappa concettuale di riferimento.

Nell’interazione con gli studen-ti è indispensabile l’ascolto e la trasposizione in mappe cognitive del pensiero collettivo espresso dagli studenti, base dalla quale partire. Tutto questo implica una organizzazione didattica chiara

e trasparente basata sull’unità di apprendimento.

Pur non essendo più obbligato-ria da anni la formazione dei do-centi, questa si è dimostrata una necessità per tutti i consigli di classe che hanno avviato la spe-rimentazione didattica. Perciò la proposta di formazione si è basa-ta su un lavoro comune relativo alle competenze e su una conti-nua autoformazione più centrata sulle necessità sorte dalle propo-ste didattiche innovative che ma-no a mano venivano affrontate.”

Qual i s t r ument i concre -ti avete utilizzato nell’eserci-zio dell’autonomia scolastica, organizzativa e di ricerca e sviluppo?

“Si è fat to r icorso alla pos-sibil ità di rendere f lessibi le l’orario e di destrutturare l’or-ganizzazione rigida della classe per favorire l’organizzazione in gruppi di interclasse che potes-sero lavorare all’apprendimen-to ed alla soluzione di problemi didattici r iferiti a specif iche competenze.”

Avete avviato la sperimen-t a z ione de l la p iat t a for ma Curriculum mapping di Impa-raDigitale? Che cosa è e in che modo sostiene i docenti nell’at-tuazione della didattica per competenze?

“E’ un ambiente di progetta-zione didattica per competenze, da utilizzare anche in modalità condivisa tra più docenti; facili-ta molto la progettazione, rende consapevoli delle procedure di organizzazione didattica, crea archivi e quindi memoria, per-mettendo di migliorare l’offerta formativa e valutare i processi.”

È un progetto complesso? “L’interfaccia è ancora speri-

mentale, la stanno monitorando per migliorarla, confido che sem-plifichino alcuni passaggi; è un progetto complesso ma che rende

più gestibile la complessità.”

Qual i sono i pr imi r isul -tati e quali le considerazioni concrete?

“I docenti hanno iniziato la sperimentazione 3 mesi fa: le 7 classi interessate hanno prodotto una decina di unità di apprendi-mento di varie tipologie, molte in condivisione; semplifica mol-to e facilita la programmazione e la valutazione, avendo già le rubriche di competenze e di va-lutazione di competenze. Così il docente può concentrarsi mag-giormente sulla costruzione del percorso didattico; importante essere poi condotti alla valuta-zione di competenze e non solo di conoscenze.”

Uno strumento di questo ge-nere è esaustivo nel sostegno ai docenti? Di cosa ci sarebbe bisogno, quali mancanze avete riscontrato e quali indicazioni potreste dare per superarle?

“Per la progettazione lo si può pensare esaustivo, sarebbe poi importante collegarlo al registro elettronico per i dati burocrati-ci, e ad una piattaforma di classe nella quale lasciare spazio per le interazioni tra studenti e studen-ti/docenti nella costruzione dei prodotti o nella integrazione delle risorse.”

Il disegno di legge di riforma della scuola prevede la chiama-ta diretta del docente da parte del dirigente scolastico per la copertura dei posti. Qual è il profilo del docente ideale per il metodo “Impara Digitale?

“Il docente che abbia sviluppato un curriculum basato su esperien-ze di lavoro interdisciplinare, di aggiornamento e formazione continua e che sia in grado di capire i continui cambiamenti e stimoli che provengono dal so-ciale, sapendoli riportare all’in-terno della propria proposta didattica ed educativa.”

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Le esperienze di formazione attive f ino ad oggi spingono a chiedersi le ragioni per le quali l’innovazione digitale (classi 2.0, scuole 2.0) difficilmente coinvol-ge tutta l’istituzione scolastica e ancor meno le scuole vicine del territorio. Spesso presso le scuo-le coinvolte nelle sperimentazio-ni sono costituiti i poli formativi territoriali per rafforzare la pro-fessionalità docente in base all’as-sunto che la qualità dell’istruzione è strettamente correlata al grado di competenza professionale dei docenti. I dati che sono stati rac-colti attraverso il monitoraggio dei

processi possono offrire elementi significativi, indicativi dei conte-nuti del piano di aggiornamento, dei risultati attesi, degli esiti, etc. Conoscenze queste che possono rappresentare un utile punto di ri-ferimento per l’avvio del sistema di aggiornamento e formazione in servizio dei dirigenti e dei docen-ti, continua e obbligatoria, messa al centro dell’azione di rinnova-mento promossa dal Governo.

Direttore Letizia Melina, come esercita il suo non facile compito di gestire dall’alto il comples-so scenario dell’innovazione

scolastica ed in particolare l’in-novazione digitale?

“Sono convinta dell’importanza che viene attribuita alla tecnolo-gia come fattore di cambiamento e del mutuo processo di adegua-mento tra tecnologia e scuola: le istituzioni si adeguano agli ef-fetti della diffusione delle nuo-ve tecnologie, la natura e il ritmo delle innovazioni tecnologiche, utilizzate all’interno delle scuole, si modellano sui bisogni effettivi delle stesse

Siamo in presenza nella scuo-la di una rottura di continuità del paradigma educativo che abbiamo sperimentato finora. E’ in questo senso, i percorsi di informazione/formazione che l’Ufficio Scolasti-co Regionale ha programmato e sta attuando, vogliono essere un invito rivolto docenti ad avvia-re una fase di sperimentazione di proposte formative che richiedano l’elaborazione di un nuovo arma-mentario culturale, perché ci tro-viamo di fronte a compiti inediti, di fronte a tecnologie informatiche e della comunicazione che stanno creando una nuova rivoluzione del modo di pensare e valutare, ol-tre che del modo di vivere e di produrre.

Gli ambienti in cui la scuola ed i nostri studenti sono immer-si sono ricchi di stimoli culturali molteplici ma anche contraddit-tori. Occorre un’organizzazione didattica che aiuti a superare la frammentazione della conoscenza e ad integrare le discipline in nuo-vi quadri d’insieme. Per questo occorre trasformare gli ambienti di apprendimento, i linguaggi del-la scuola, gli strumenti di lavoro ed i contenuti.”

Quale impatto ha l’innovazio-ne tecnologica sulla qualità della scuola, dell’insegnamento e sui risultati dell’apprendimento de-gli studenti?

“L’innovazione digitale rappre-senta un’opportunità di supera-mento del concetto tradizionale di

D.ssa Letizia Melina, direttore generale USR delle Marche

“Le tecnologie per cambiare”di Alfonso Rubinacci

Maria Letizia Melina, laureata in giurisprudenza, abilitata all’insegnamento di materie giuridiche ed economiche alle superiori e all’esercizio della pratica forense, Maria Letizia Melina inizia la sua carriera al Ministero dell’Istruzione nel 1987. Divenuta dirigente nel 1998, ricopre l’incarico di responsabile dell’Ufficio per l’innovazione tecnologica nella scuola e poi di coordinatrice del servizio “Studi e progetti per l’innovazione digitale per la scuola e l’università” presso la Presidenza del Consiglio dei ministri. Dal 2011 al 2013 è stata direttore generale dell’Ufficio scolastico regionale per l’Umbria e, successivamente direttore generale per gli studi, la statistica e i sistemi informativ del MIUR che ha ricoperto fino all’attuale incarico di direttore generale dell’Ufficio scolastico regionale per le Marche. “Il mio impegno prioritario – si legge nel suo saluto il giorno dell’insediamento - sarà quello di perseguire livelli di “qualità” sempre più alti nell’erogazione del servizio scolastico della regione, rivolgendo un’attenzione particolare alla digitalizzazione della scuola, un tema a me caro e fondamentale, se pensiamo che il mondo è già cambiato e che i nostri ragazzi si sono accorti di ciò prima di noi adulti e chiedono a gran voce una nuova scuola che gli permetta di agire con più certezze e in modo consapevole”.

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classe, di attivazione di uno spa-zio di apprendimento aperto sul mondo nel quale costruire il senso di cittadinanza e realizzare “una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva”, le tre priorità di Europa 2020.

Non più la classe in laboratorio ma il laboratorio in classe: una strategia tante azioni è lo slogan del Ministero e anche della mia Direzione.

Per la scuola la possibilità e la capacità di utilizzare le opportuni-tà offerte dalle ICT non rappresen-ta certamente un obiettivo quanto una opportunità. Una gigantesca opportunità per trasformare i pa-radigmi fondamentali del fare scuola. Dal ruolo degli insegnanti all’organizzazione della didatti-ca, dalla lezione al tempo scuola fino ad arrivare alle architetture interne delle scuole ed agli arredi che si trasformano in rapporto alle nuove esigenze della didattica.”

In tema di innovazione digita-le quali sono le richieste di ag-giornamento in servizio che le sono rivolte dai dirigenti, dai docenti, dagli studenti, dalle fa-miglie, dal mondo del lavoro?

“Una corretta riflessione in te-ma di innovazione digitale, non può non valutare il divario ge-nerazionale che vede gli studen-ti, in generale, sempre connessi e protagonisti del web 2.0 e gli insegnanti che, nonostante usino sempre di più le tecnologie dell’in-formazione e della comunicazione (TIC), non sono sempre in grado di integrarle in modo efficace nel-la didattica. Gli sviluppi tecno-logici e la rete internet rendono possibile accedere a una grande mole di informazioni e conoscen-za, stringere e mantenere contatti oltre i vincoli di spazio e di tem-po. Indubbiamente saper utilizza-re queste risorse è cruciale in una prospettiva di life long learning, e questo vale anche per chi opera nel mondo della scuola.

In risposta alle richiesta dei vari

stakeholders presenti all’interno della comunità scuola, ho ritenuto importante portare a condivisio-ne i vari interessi, convinta che solo mettendo a sistema le diver-se esperienze (banda larga per la didattica nelle scuole; cloud per la didattica; trasformazione degli ambienti di apprendimento; con-tenuti digitali e libri di testo /ado-zioni; formazione degli insegnanti in ambiente di blended e-learning; LIM – e-book; e-participation...) si possa rappresentare un model-lo di scuola che il territorio rico-nosca come tale, soprattutto che attribuisca valore all’importante funzione che essa è chiamata a svolgere.”

L’esperienza dell’istituto com-prensivo “Bruno da Osimo” di Osimo, sembra suggerire che aggiornamento e formazione dei docenti si generino dentro le pratiche (nei contesti di lavoro, “dal basso”) Ci sono le condizio-ni perché questo venga messo a sistema?

“L’avvento della scuola della conoscenza e la pervasività del-le tecnologie dell’informazione e della comunicazione richiedono individui con nuove competenze, con un nuovo tipo di alfabetizza-zione e con capacità di imparare lungo tutto l’arco di tutta la vita, in una pluralità di luoghi diversi, questo vale anche per i docenti.

La classificazione degli inse-gnanti riflette il sistema di forma-zione iniziale, orientato in base agli ordini di studio cui sono de-stinati, in un’ottica sistemica di formazione continua si dovrebbe diversificare la formazione prin-cipalmente in base al livello di competenze possedute dagli inse-gnanti piuttosto che all’ordine di scuola di appartenenza.

Oggi, pur trattandosi di due aree strettamente connesse, la formazione iniziale e quella in servizio si differenziano oltre che per aspetti strutturali, anche per le finalità e i contenuti ad esse

sottesi. È volontà del singolo do-cente far si che l’aggiornamento si ponga come naturale prosegui-mento della formazione iniziale, nella prospettiva di un percorso di crescita lungo tutto l’arco della vita professionale.

Esperienze come quella dell’i-stituto comprensivo “Bruno da Osimo” di Osimo, e di altre scuo-le della realtà marchigiana, mi portano a credere che la maggior parte dei docenti, come quelli che ho personalmente incontrato, ab-biano avviato una riflessione sulla propria pratica didattica cercan-do di adeguarla al contesto che cambia, provando a comprende-re come il proprio operato debba modificarsi per essere adeguato alle sfide e ai problemi posti dalla società della conoscenza, in cui le ICT giocano un ruolo così impor-tante su tutti gli aspetti che riguar-dano la vita cognitiva ed affettiva degli individui.

Questo vuol dire che il do-cente, interagendo in primo luo-go con se stesso, si ricostruisce una visione nuova del sistema in cui opera, della scuola, di come debba cambiare il proprio ruolo e la propria pratica, di come le ICT possano aiutarlo. In questo

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DossierTECNOLOGIE

processo acquista consapevolezza delle resistenze e dei vincoli che si oppongono a questo cambiamen-to. Cerca di comprendere come superarli e come ricondurre la di-cotomia tra l’operare quotidiano e la propria visione dell’educazione e del sistema ad esso deputato.

Si, dal confronto continuo che ho avviato sin dai primi mesi del mio insediamento, posso dire di aver conosciuto una figura di do-cente che è orientato ad adeguare il proprio “insegnamento” ad una nuova visione della scuola, dei processi di apprendimento e dei rapporti con i ragazzi.

Ho conosciuto un insegnan-te che si impegna per diventare progettista e gestore di ambienti didattici motivanti, dove l’appren-dere è il risultato di attività indivi-duali e cooperative e le ICT sono strumenti “normali” e trasparenti, così come nella scuola del passato “normali” e trasparenti erano i li-bri di testo e i quaderni, e, prima ancora, la voce del lettore, la carta e la penna.”

Quali le forme e modalità di monitoraggio e valutazione del-le esperienze e delle pratiche di formazione in servizio dei

docenti realizzate da “Impara Digitale”? Quali sono stati gli esiti? Quali i risultati posti come obiettivo? Sono arrivati i risul-tati attesi, se no, perché?

“Premesso che le esperienze che stanno portando le scuole associa-te di questa Regione ( IC Bruno da Osimo di Osimo; IC Da Vinci – Ungaretti di Fermo e l’ITI Mar-coni di Jesi), fanno riferimento ad un arco temporale ancora residuo che non mi mette in condizione di esprimere valutazioni tout court, tuttavia esprimo un apprezzamen-to sul percorso di validazione del metodo didattico di cui l’associa-zione è portatrice.

Impara Digitale ha realizzato una valutazione sugli effetti pro-dotti dal suo metodo attraverso un monitoraggio condotto dall’U-niversità Bocconi: le Scuole ade-renti alla rete hanno trasmesso le valutazioni in tutte le disci-pline di un intero anno scolasti-co, sia delle classi che attuano la sperimentazione sia di quelle parallele tradizionali. Data l’ete-rogeneità e l’esiguità del campio-ne marchigiano, la comparazione è avvenuta per le discipline co-muni a tutti i gradi e indirizzi, cioè la Matematica e l’Ambito

umanistico-antropologico.Il risultato emerso, sicuramente

ancora poco significativo in ter-mini statistici considerati il nu-mero degli Istituti monitorati e la durata dell’osservazione limitata a due anni, sembra confermare un netto miglioramento delle presta-zioni degli studenti “più deboli”, cioè con una media inferiore al 7, mentre appare meno significativo per gli studenti migliori, cioè con una media superiore all’8. Tale dato sembra quindi confermare le attese nel senso che l’innova-zione didattica, sostenuta dalle nuove tecnologie, e le strategie che questa rende possibili inci-dono favorevolmente sugli stu-denti meno motivati, per i quali la possibilità di partecipare attiva-mente alla costruzione dei propri apprendimenti diviene uno sti-molo all’impegno e all’interesse. Altro aspetto emerso è quello le-gato alla specificità delle disci-pline monitorate: sicuramente i maggiori giovamenti sono stati riscontrati per gli ambiti umani-stico-antropologici, mentre i ri-sultati sono meno rilevanti per la matematica , probabilmente per lo spiccato formalismo insito nella disciplina.”

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Obiettivo docente

Il dibattito aperto, in Parlamen-to e nella società, sul DDL della “Buona Scuola” sembra

assegnare finalmente rilevanza al tema dell’avvicinamento tra scuo-la e lavoro. Si parla molto di alter-nanza, spesso mettendo in campo il modello formativo duale tede-sco. La maggior parte delle espe-rienze attivate a questo riguardo in Italia – ma anche quelle che so-no previste nel progetto presenta-to dal Governo – riguardano, più propriamente, l’introduzione o il potenziamento della presenza di esperienze lavorative nei currico-li degli ultimi anni dei percorsi di istruzione superiore, in forma di stage o tirocini. Il contesto vero e proprio dell’alternanza sarebbe infatti l’apprendistato e, su questo fronte, le esperienze nel nostro Paese sono ancora modeste e po-co o per nulla trasferibili. Al di là dell’alternanza, è utile ragio-nare sulle esperienze di contatto con il mondo del lavoro inserite nei curricoli scolastici e riflettere su come esse possano diventare autenticamente formative. Non basta infatti prevedere stage e ti-rocini nei curricoli, bisogna far diventare l’incontro con il mondo del lavoro un’esperienza capace di contribuire anche alla forma-zione intellettuale e civile delle giovani generazioni.

Tutto questo comporta, per le scuole e le altre istituzioni forma-tive, innanzitutto un cambio di consapevolezza rispetto al valo-re educativo del lavoro. Il lavoro continua infatti ad essere visto come qualcosa di sostanzialmen-te contrario alla missione propria della scuola. Rimane fortemente

radicato il pregiudizio che il la-voro in genere e quello manuale in particolare avrebbero poco a che fare con la formazione uma-na, perché la buona educazione si dovrebbe fare «… con la lette-ratura, la storia, la matematica, e non nella bottega di un artigiano, in uno studio tecnico, in una fab-brica, tantomeno in una fattoria agricola […]. Non ci siamo ancora liberati, nonostante san Benedet-to e l’umanesimo civile, dell’idea volgare che il lavoro manuale sia impuro, adatto a servi e schiavi, non a persone libere e intelligen-ti» (Bruni, 2014, p. 58).

Da qui deriva anche la diffi-coltà “culturale” che i percorsi di Istruzione e Formazione “Pro-fessionale” (IeFP), in capo alle Regioni, hanno sempre incontra-to nel percepirsi – e nell’essere socialmente percepiti – come percorsi di formazione anche “umana” e “personale”, percorsi che, pur caratterizzandosi per un approccio decisamente centrato sul fare, si orientano verso obiet-tivi formativi equivalenti a quelli che sono fatti propri dai percorsi di formazione più generale.

Il problema di fondo sembra dunque essere il superamento di quella visione riduttiva che im-pedisce di concepire l’esperien-za del lavoro come un passaggio fondamentale, per quanto non esclusivo, per formare le menti, oltre che le mani, e aprire l’in-telligenza e, più in generale, per la formazione di cittadini demo-cratici, critici e consapevoli dei

diritti propri e altrui, capaci di affrontare autonomamente i pro-blemi che la vita pone.

L’introduzione di esperienze lavorative nei curricoli rappre-senta per le istituzioni scolastiche e formative una sfida organizza-tiva, che stimola ad una maggiore f lessibilità curricolare e ad una più decisa apertura verso la realtà esterna, ma soprattutto una sfida pedagogica e didattica, che con-sente di valorizzare l’esperienza del lavoro come risorsa per l’e-ducazione. Da questo punto di vista, mi sembra che il proble-ma centrale sia quello di come valorizzare queste esperienze anche nella progettazione delle cosiddette “aree culturali” del curricolo.

Una certa contrapposizione tra cultura e lavoro non è infatti rin-venibile solo nei percorsi dell’i-struzione liceale ma si riproduce anche nei percorsi professionaliz-zanti dell’istruzione superiore e in quelli di IeFP. Ne è indicatore, ad esempio, il fatto che, perfino nei Centri di Formazione Profes-sionale (CFP), di stage si occupi-no prevalentemente i docenti di area tecnico-professionale, come se il lavoro non dovesse interes-sare anche gli altri ambiti disci-plinari. Scelte di questo genere

La dimensione pedagogico-didattica del lavoro nella scuola e nella FP

TRA SCuoLA E LAVoRodi Giuseppe Tacconi*

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Obiettivo docente

rafforzano l’idea che l’esperienza lavorativa inserita nel curricolo scolastico o formativo serva solo a maturare competenze immedia-tamente spendibili nel mondo del lavoro. Paradossalmente si tratta della stessa visione riduttiva, ri-guardo alle potenzialità educa-tive del lavoro, che i detrattori della Formazione Professionale, come percorso valido anche ai fi-ni dell’assolvimento dell’obbligo di istruzione, utilizzano nelle lo-ro argomentazioni. In realtà, per imparare un mestiere serviranno ben altre esperienze di quelle in-seribili in un percorso scolastico e formativo. Queste, a mio pa-rere, andrebbero viste innanzi-tutto come dispositivi e risorse per educare al pensiero critico. Non possiamo infatti educare al pensiero critico senza un contatto autentico con la realtà ed è strano che proprio il lavoro, che offre diverse occasioni per stabilire concrete connessioni con il reale, venga spesso visto come ciò che allontana dal pensiero critico.

Si tratta allora di rif lettere su come la scuola o la proposta for-mativa nel suo complesso pos-sano cambiare a contatto con le esperienze lavorative degli allie-vi, su come cioè tali esperienze possano incidere maggiormente sul che cosa e sul come si insegna e si apprende. Perché gli eventi e le situazioni che si vivono, anche sul lavoro, possano trasformarsi in apprendimento (e dunque di-ventare pienamente “esperienza” del soggetto), è indispensabile trovare il modo per regalare loro pensiero. La rif lessione guidata

sul lavoro, sulle dinamiche che lo attraversano, sulle trasforma-zioni che lo connotano e sulle sue ambivalenze, può allora costitu-ire una risorsa per illuminare la cultura che è presente in ogni la-voro, per cogliere il lavoro stesso come espressione di cultura e per interrogare il lavoro e i contesti sociali ed economici in cui esso si dà, svelarne luci e ombre, poten-zialità e limiti. Questi processi di apprendimento sono enormemen-te facilitati se prendono avvio da una ricostruzione accurata dell’e-sperienza di stage o tirocinio, che possa poi essere interrogata con l’apporto delle varie discipline, viste come risorse per la com-prensione dei vari aspetti cultu-rali e scientifici implicati nelle pratiche lavorative.

Il potenziamento del dialogo tra mondo della formazione (scuola, IeFP) e lavoro, dovrebbe compor-tare dei cambiamenti anche sul versante delle imprese. L’acco-glienza dei giovani all’interno di contesti lavorativi, anche se non parliamo di vera e propria alter-nanza in apprendistato, richiede infatti una forte cooperazione tra scuola e contesti lavorativi stessi (imprese, ma anche istituzioni ed Enti non profit), tutor scolastici e tutor aziendali. In particolare i contesti lavorativi ospitanti so-no chiamati a sviluppare un forte senso di responsabilità sociale e la consapevolezza del valore che l’offer ta di un contributo alla formazione dei giovani assume per tutta la società. L’accoglienza di giovani che apprendono non è perciò compatibile con luoghi

di lavoro insensibili all’aspetto umano e orientati solo a “spreme-re” i lavoratori in funzione degli obiettivi aziendali; regalare tem-po e attenzione ai giovani, seguir-ne con pazienza l’evoluzione e l’apprendimento sono azioni che vanno viste come una forma di investimento che può avere un ri-torno sulla società e sull’azienda stessa, in quanto le umanizza e ne fa crescere la cultura formativa. Si tratta insomma di pensare e di realizzare il lavoro come spazio di autentica fioritura dell’umano.

Potremmo insomma dire che un potenziamento del rapporto tra mondo della formazione e mon-do del lavoro orienta a portare più lavoro negli studi e più studio nel lavoro, a costruire una nuova cultura del lavoro nelle scuole e negli Enti di formazione e una nuova cultura della formazione nelle imprese e negli altri am-bienti lavorativi. Ma la politica non può limitarsi ad auspicare tutto ciò. Deve mettere in campo azioni concrete che consentano alle scuole e alle imprese di co-struire feconde alleanze e reci-proche contaminazioni, ma deve soprattutto creare le condizioni perché si dia lavoro “buono”. In conclusione, la “buona scuola” ha bisogno di un “buon lavoro” e viceversa.

*Università degli Studi di Verona** Sul tema cfr. D. Nicoli, Il lavoro

buono. Cultura ed etica del lavoro in Italia e nel mondo. Una proposta educativa per la generazione post-crisi, ed. Tuttoscuola in collaborazione con la Federazione CNOS-FAP, in corso di stampa.

63TuTToSCuoLA n. 552

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Scuola e famiglia

GENIToRI E AuToVALuTAZIoNE

Rita Di GoroPresidente Associazione Genitori - A.Ge. Toscana

Dopo anni di polemiche e contestazioni, alla fine la valutazione è r iuscita a

entrare nelle scuole. Lo ha fatto però in modo garbato e forse pro-prio per questo molto efficace.

La formula dell’autovaluta-zione, non c’è che dire, fa mol-to meno paura della valutazione esterna, soprattutto quando vie-ne precisato che è il dirigente scolastico il diretto responsabile dei dati inseriti. Tuttavia il Mi-nistero (Dipartimento per il si-stema educativo di istruzione e formazione) auspica che “il di-rigente operi, con il supporto dell’unità di autovalutazione, in modo da: - favorire e sostenere il coinvolgimento diretto di tutta la comunità scolastica, anche pro-muovendo momenti di incontro e di condivisione degli obiettivi e delle modalità operative dell’in-tero processo di autovalutazione; - valorizzare le risorse interne, assicurandone, da un lato, una piena legittimazione all’interno di questo processo innovativo e, dall’altro, favorendo un più si-gnificativo collegamento del pro-cesso di valutazione nel sistema scuola”.

E i genitori? ci chiediamo noi. Anzi se lo chiede addirittura l’INVALSI, quando nel Rap-porto sui Questionari VALeS e V&M del 22.12.2014 sostiene:

“Sono stati individuati alcuni importanti fattori che insieme contribuiscono all’adattamen-to e al successo scolastico degli studenti, includendo tra questi la qualità delle relazioni tra pari e con gli insegnanti, le caratteri-stiche individuali degli studenti, il coinvolgimento delle famiglie e degli enti del territorio, la qua-lità dell’insegnamento offerto a scuola. E’ stato dimostrato, ad esempio, come ad una maggiore efficacia percepita dagli studenti sulle attività di studio si associno positive relazioni tra studenti e insegnanti e in generale buoni livelli di rendimento scolastico. Inoltre, in presenza di relazioni positive tra scuola e famiglia, sembrano emergere buone re-lazioni tra studenti e tra stu-denti e insegnanti e alti livelli di rendimento accademico de-gli studenti”.

Ecco, se l’autovalutazione de-ve indurre ogni scuola a rif let-tere sui propri punti di forza e di debolezza, per definire obiettivi di miglioramento e traguardi in-termedi e nello stesso tempo far maturare l’autoconsapevolezza e la professionalità di tutte le com-ponenti scolastiche, come pos-siamo sottovalutare il ruolo dei genitori? E proprio adesso che l’INVALSI mette nero su bian-co la valenza della “comunità

educante” ai fini del successo formativo?

A ben guardare il coinvolgi-mento dei genitori, o almeno quello dei membri del Consiglio d’istituto, dovrebbe avvenire da subito, per la realizzazio-ne di focus group sulla qualità percepita della scuola. Indicato-ri, domande guida e descrittori del Rapporto di autovalutazione (RAV) esigono contenuti con-creti di datazione recente. Mol-te informazioni sono già messe a disposizione dal Ministero su “Scuole in chiaro”, dall’INVAL-SI e da altri soggetti istituzionali come l’Istat e il Ministero del La-voro, ma c’è anche una sezione per le informazioni di competen-za diretta delle scuole. La circo-lare n. 47 del 21 ottobre 2014, che di fatto ha dato il via a tutto il processo di autovalutazione, dice chiaramente che tutti questi dati saranno utili “per far emergere le diverse situazioni nelle quali le scuole operano, garantendo comunque che la peculiarità e specificità di ognuna si coniughi con l’individuazione di elementi e dati comuni anche in un’ottica di comparabilità”.

Il Ministero ha precisato che “in questo primo anno di avvio del Sistema nazionale di valu-tazione non saranno predisposti a livello nazionale questionari

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Scuola e famiglia

unici per studenti, docenti e ge-nitori, lasciando alla piena auto-nomia delle scuole di raccogliere informazioni relative agli indica-tori interessati tramite focus, in-terviste o modelli di questionari autonomamente elaborati”. Cer-to molte scuole avrebbero fatto a meno di questa autonomia di doversi costruire da sé i questio-nari, ma nulla toglie che possano far riferimento a quelli già pre-disposti per la sperimentazione.

Certo è che non si può chiedere a genitori e studenti di esprimersi sulla preparazione dei docenti, sarebbe forse anticostituzionale, però è lecito e anzi auspicabile somministrare test di gradimento che mettano in luce le competen-ze comunicative, pedagogiche e organizzative di tutto il personale della scuola, dalle più concrete (la qualità e frequenza delle in-formazioni sui progressi dei figli) a quelle relazionali (accoglienza, ascolto, gestione di lamentele e dei casi di indisciplina, traspa-renza); poi ovviamente quesiti sulla pulizia e idoneità dei locali scolastici, reputazione della scuo-la ecc.

Un altro fronte viene aperto dai

dati inseriti dai dirigenti scola-stici all’interno del Questionario Scuola dell’INVALSI, che era propedeutico all’autovalutazio-ne d’istituto. In tono sommesso, giusto sul finire del questionario, sono state poste alcuni quesiti ingannevolmente innocenti: il numero di genitori aventi diritto e i votanti effettivi alle ultime elezioni del Consiglio d’istituto; la percentuale di genitori che collabora attivamente alla realiz-zazione di attività a scuola/parte-cipa ai colloqui collettivi con gli insegnanti/partecipa a eventi e manifestazioni organizzati dalla scuola; l’ammontare complessivo dei contributi volontari della fa-miglie, se la scuola lo ha richie-sto; per quanti studenti è stato versato il contributo volontario; quante volte la scuola organizza colloqui collettivi genitori-inse-gnanti/comunicazioni per infor-mare sull’attività della scuola/note informative sui progressi degli studenti (oltre alle normali schede di valutazione)/eventi e manifestazioni.

Si r i t iene d i non anda-re molto lontano dalla realtà se affermiamo che la quasi

totalità delle scuole ha dovu-to dichiarare una situazione non propriamente brillante nel rapporto scuola-famiglie, ma-gari in controtendenza rispetto alle eccellenze riportate in altri ambiti. Questa, soprattutto alla luce del Rapporto INVALSI, di-viene un’area di potenziale mi-glioramento, che per di più è a costo zero. Sarebbe auspicabile a questo fine il coinvolgimento delle Associazioni dei genitori, che negli anni hanno maturato esperienza nelle strategie per favorire la partecipazione dei genitori e in merito alle dinami-che che è opportuno avviare per ottenere miglioramenti.

Certo starà alla sensibilità dei dirigenti coinvolgere tutte le componenti scolastiche, compre-si i genitori e gli studenti, per co-gliere appieno le potenzialità del processo di autovalutazione, che costituisce una grande opportu-nità per focalizzare le questioni centrali del proprio essere scuola e intervenire finalmente per di-minuire le gravi differenze fra le scuole e fra i territori relativa-mente al successo scolastico dei propri allievi.

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La Scuola racconta l’Europadi Antonio Augenti

uN ‘IDEALE CoMuNITA’ DI SCAMBIo

Meritano di essere riprese le r if lessioni che Marc Fumaroli, stor ico della

cultura e già docente presso il Collége de France, ha espresso in un suo recente lavoro nei con-fronti di quella che viene chiama-ta “La Republique des Lettres”, una sor ta di civiltà superiore rappresentata a livello europeo da studiosi, letterati, accademi-ci, pensatori che si sono ritrovati amichevolmente e idealmente in-torno ad un tavolo per dialogare ad un livello superiore a quel-lo tracciato dalle polemiche del quotidiano e del contingente.

E’ questo tipo di civiltà supe-riore, in fondo, a rappresentare il punto di richiamo e di riferi-mento per tutti coloro che accre-ditano oggi un’Europa unitaria e comune. Menti e spiriti liberi avrebbero nel passato costituito un’ideale comunità di scambio del proprio modo d’intendere e d’interpretare i problemi e il de-stino dei singoli e delle collet-tività. La contemporaneità non offrirebbe uguali opportunità. Economisti, sociologi, filosofi e scienziati della politica animano, è vero, il dibattito e la ricerca su temi scottanti del mondo d’og-gi, ma la geografia entro la qua-le operano oltrepassa i confini dell’Europa unita dal processo di cooperazione e d’integrazione.

Qualcuno (M. Penarar i) ha accennato qualche tempo fa ad un “pensiero or izzontale per l’età globale”, riferendosi allo scambio d’idee in corso a livello

planetario tra pensatori e filosofi sui problemi e sulle sfide della società contemporanea, ma ap-pare francamente difficile indi-viduare in tale scambio i segnali della ricerca di un umanesimo nel quale sistemare, per l’Occidente europeo, in equilibrio le spinte che provengono dal “cyberpen-siero” e il consolidamento di va-lori riconosciuti o riconoscibili.

In tale prospettiva si corre il rischio, come avvertirebbe C. Hitchens, di far saltare” le iden-tità”; si stenta sempre più ad ap-prezzarle in una dimensione di solidarietà e di contaminazione che da sola può far emergere quei dati culturali che si ergono a simbolo di un mondo che si deve sentire proprio.

Se nel passato è stato possi-bile costruire a questo fine una “Republique des Lettres”, oggi è meno agevole farlo. Alme-no sino a questo momento gli aspetti utilitaristici e dell’eco-nomia hanno prevalso e pre-valgono su quelli riconducibili ad un sistema di valori identi-tar i. Nel mondo della scuola e in quello accademico manca un protagonismo signif icativo al r iguardo e r isultano deboli schemi interpretativi capaci di cogliere nella produzione del-le idee che circolano a livello europeo quell’intimo senso che può caratterizzare una forma e uno stile di vita in cui ricono-scersi come europei.

L a dom a nd a è: i n a s s e n -za di una intensa e penetrante

capacità di lettura di quella che potremmo chiamare una trama comune interpretativa delle sfi-de della modernità e delle r i-sposte che a queste sfide vanno date, quale ruolo il mondo della cultura dovrebbe attribuirsi per far sì che gli educatori possano tenerne conto nella formazione dei giovani?

Si potrebbe essere tratti a ri-spondere: si recuperi, dunque, quella famosa “Republique des Lettres” che nel passato un con-tributo lo ha pur dato nella dire-zione auspicata; forse, non è più sufficiente. Il ruolo della cultu-ra contemporanea sarebbe quel-lo di spiegare che qualcosa è accaduto nel passaggio dall’800 al ‘900. Saranno state le nuove tecnologie, l’industrializzazione accentuata, la globalizzazione, la contaminazione delle culture a provocare alcune significative novità, ma l’avvertimento mag-giore ci viene da W. Benjamin che, distinguendo fra narratore e romanziere, chiarisce che il primo è “qualcosa di già remo-to”, mentre il secondo è il solo a pensare all’individuo nel suo isolamento e, quindi, ad “esa-sperare l’incommensurabilità della vita umana”.

E’ su questo territorio che de-vono esercitarsi oggi la rif les-sione culturale e la ricerca, per riproporre su nuove basi l’assun-zione di elementi e dati di este-sa riconoscibilità e condivisione all’interno del mondo occidenta-le europeo.

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Nei cinque capitoli del libro si definisce la

comunicazione multimediale, collocandola all’interno

dei processi comunicativi interpersonali e di massa;

si tratta della comunicazione dall’ottica di chi riceve

un messaggio multimediale online e offline, ovvero

della fruizione; si delineano le fasi della progettazione

di un testo multimediale, dall’idea alla produzione;

si affronta la fase realizzativa con considerazioni

sull’immagine sonora, sull’immagine visiva e su

quella audiovisiva; si propone al lettore di esercitarsi

praticando l’impostazione di layout, la sintesi

monoconcettuale di brani testuali, la scelta di gamme

cromatiche e la descrizione di metafore, l’ideazione di

icone di navigazione.

Teoria e praticadella comunicazione multimediale

di Caterina Cangià

PrimaDidattica

Caterina Cangià

MULTIDEAEvery single bud’s an idea

Nei cinque capitoli del libro si definisce la comunicazione multimediale, collocandola

all’interno dei processi comunicativi interpersonali e di massa; si tratta della comuni-

cazione dall’ottica di chi riceve un messaggio multimediale online e offline, ovvero del-

la fruizione; si delineano le fasi della progettazione di un testo multimediale, dall’idea

alla produzione; si affronta la fase realizzativa con considerazioni sull’immagine sono-

ra, sull’immagine visiva e su quella audiovisiva; si propone al lettore di esercitarsi pra-

ticando l’impostazione di layout, la sintesi monoconcettuale di brani testuali, la scelta

di gamme cromatiche e la descrizione di metafore, l’ideazione di icone di navigazione. Caterina Cangià

Caterina Cangià, di educazione multilingue e multiculturale, è docente di Didattica

delle lingue moderne all’Università LUMSA di Roma. Pioniera della produzione mul-

timediale in Italia, la sua prima creazione, European Party, ha ottenuto il Gold Award

al Milia di Cannes nel 1995. Ha diretto per 18 edizioni il Festival del Teatro Didattico

in Lingua Straniera. I suoi corsi per l’apprendimento delle lingue – ICI JE VIS, pubbli-

cato dalla Université Saint Esprit di Kaslik (Libano), ENGLISH ON STAGE, pubblicato

dalla Giunti Scuola e CLICK! pubblicato da Multidea – sono la traduzione di anni di

studio, di ricerca e di vissuto condiviso con discenti di lingue e culture diverse. Ha

fondato “La Bottega d’Europa” per promuovere l’insegnamento delle lingue con il te-

atro e con il computer. Ha numerose pubblicazioni al suo attivo e più di 400 articoli

su riviste specializzate che trattano di educazione ai media e di didattica. Per Giunti

ha pubblicato L’altra glottodidattica, per Tuttoscuola Teoria e pratica della comuni-

cazione multimediale e Insegnanti D.O.C., per La Scuola Editrice Lingue Altre. Co-

noscerle e coltivarle e Lingue Altre. Insegnarle e impararle, per Multidea Old & New

media a misura di bambini, Glottotecniche e glottotecnologie e Didattica il LIM itata.

Teoria e praticadella comunicazione multimediale

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