Tu MENSILE PER INSEGNANTI GENITORI E STUDENTI FONDATO...

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T UTTOSCUOL A T UTTOSCUOL A MENSILE PER INSEGNANTI GENITORI E STUDENTI FONDATO DA ALFREDO VINCIGUERRA DICEMBRE 2014 - NUMERO 547 - ANNO XL - EURO 3,50 MENO MALE CHE TORNA NATALE Poste Italiane Spa - Sped. Abb. Post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Roma

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TuTToscuolATuTToscuolAMENSILE PER INSEGN A NT I GEN I T OR I E ST UDENT I FONDAT O DA A LFREDO V INC IGUERR A

DICEMBRE 2014 - NUMERO 547 - A NNO X L - EURO 3 ,50

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Tutti in gita…Tutti in gita…L’Italia dei parchi e delle vacanze verdi

Percorsi culturali in Italia e all’estero

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Alla scoperta delle città d’arte di Ravenna eFirenze. In visita nei musei di Torino e Trento.

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NovitàEdizioNE 2015

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l’Editoriale

3TuTToscuolA n. 547

PPotremmo dire: l’avevamo detto. Che sarebbe stato un autunno caldo, per esempio. E infatti i professori sono tornati in piazza, gli studenti pure e non sono mancati incidenti e scontri con le forze dell’ordine. Come se si fosse tornati indietro di anni e anni. Come se quella sorta di tregua sindacale, mal digerita da molti, fosse stata tra-volta da uno tsunami e – tra le parti – ci fosse ora solo spavento e distruzione.Sì, è vero: l’avevamo detto. Che – ancora - molti nodi ir-risolti sarebbero venuti al pettine. E infatti i temi centrali delle mobilitazioni delle scorse settimane la dicono lunga sul malcontento che regna nel mondo dell’istruzione e dell’educazione. Senza il rinnovo dei contratti non ci può essere buona scuola, buona università e buona ricerca, è stato gridato nei cortei. E poi: basta con i tagli ai comparti della conoscenza, con politiche che spingono verso la pri-vatizzazione dei saperi e la cancellazione del diritto allo studio. Tutto già visto, tutto già ascoltato. Come se gli sfor-zi di tanti anni fossero stati tutti vani. Come se l’ideologia, e non la ragione, fosse tornata a farla da padrona. Potremmo, ancora ,andare avanti. Che il nodo gordiano del precariato sarebbe arrivato a minacciare di stritolare il sistema, tanto per ricordarne un altro problema. Come ha dimostrato la sentenza della Corte Europea, da tempo annunciata e dal contenuto sostanzialmente prevedibile. Come se l’obiettivo di una stabilizzazione del lavoro precario, presente nel nostro sistema scolastico in per-centuali ancora troppo alte e che non trovano plausibili giustificazioni, fosse un obiettivo da raggiungere solo con un tratto di penna. E ancora. L’avevamo detto che sarebbero ricominciate le occupazioni dei licei e dei più importanti istituti scolas-tici. Figuriamoci se gli studenti non avrebbero approfit-tato per farsi sentire, ancora, vivi. “Riappropriandoci dei nostri spazi – hanno scritto - non stiamo solo protestando contro l’ennesima riforma che non tocca le reali esigenze del sistema scolastico, ma proponiamo un modello di scu-ola complementare alla didattica ordinaria, basato sulla partecipazione democratica e attiva, su modelli di soci-alità e di confronto che partano dal basso e che costituis-cano una comunità frenetica, cosciente, orizzontale e ap-erta”. E chissà come si sono sentiti forti nel pronunciare queste parole.

Sì, l’avevamo proprio detto. Non era difficile. Quello che francamente non ci aspettavamo è stato il sostegno che manifestazioni e occupazioni hanno ottenuto. A comin-ciare dai più alti responsabili della stessa vita del mondo scolastico italiano. Chi l’avrebbe detto che, dopo una guerriglia durata anni e anni, sarebbe stato addirittura un sottosegretario del Ministero dell’Istruzione a trovare le parole giuste per sostenere le occupazioni dei liceali. Chi l’avrebbe detto che dalla repressione si sarebbe passati agli ammiccamenti paternalistici, alle giustificazioni, ai buffetti sulle guance. E chi avrebbe potuto mai immag-inare che sarebbe dovuto essere un sindacato, in questo caso la Cisl, a parlare di atteggiamenti sbagliati, a cer-care di fare chiarezza in una situazione che rischiava di diventare drammatica per le istituzioni e grottesca per il mondo della scuola? “Proviamo – ha scritto Francesco Scrima - a intrecciare con i giovani un dialogo che si fondi, più che su un discutibile “diritto” a occupare le scuole, sul loro sacrosanto diritto di essere al centro della scuola ogni giorno: di avere una scuola che li accoglie, che li istruisce, che li forma, che li orienta. Che davve-ro li promuove, conducendoli a scoprire e far fruttare i propri talenti. Una scuola in cui ciascuno sia chiamato a esercitare responsabilmente il suo ruolo, quale che sia (studente, insegnante, dirigente,..), che contempla per tutti precisi diritti e precisi doveri”. Questo è parlare, vi-vaddio. Questo è impegnarsi per la scuola. “Guai – con-cludeva Scrima - se dessimo l’impressione di saper of-frire agli studenti soltanto qualche maglietta da indossare per le nostre manifestazioni: da grandi, giustamente non ce lo perdonerebbero”.Ci vuole coraggio, per affrontare i problema della scu-ola. Basta con i piccoli interessi di bottega, che hanno fatto il loro tempo e che – in tanti anni – hanno distrutto l’educazione e mandato tanti giovani sulle strade sbagli-ate. Per fortuna – lasciatecelo dire – che torna il Natale. Chissà se, di fronte alla Natività, non riesca il miracolo del cambiamento. Chissà se, in ginocchio davanti a quel Bambino così apparentemente fragile e indifeso, non si trovi la forza per tornare sulla strada giusta, a impegnarsi per una scuola che metta al primo posto l’educazione, per ritrovare una speranza. Questo, almeno, è il nostro augu-rio per il Natale che arriva.

PER FoRTuNA RIToRNA Il NATAlE

di Roberto Pauraù

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Carta & Penna

Direttore Responsabile Giovanni VinciguerraComitato Scientifico

Giorgio Allulli - Dario Antiseri Antonio Augenti - Sebastiano Bagnara Giuseppe Costa - Gaetano Domenici

Paola Gallegati - Silvano TagliagambeCoordinatore Comitato Scientifico

Alfonso Rubinacci Segretario del Comitato

Paola GallegatiRedazione

Maurizio Amoroso Sergio Govi

Orazio NiceforoSped. Abb. Post. D.L. 353/2003

(conv. in L. 27/02/2004 N. 46) art. 1, comma 1 DCB Roma

Registrazione del Tribunale di Roma n. 15857 del 7-4-1975

Direzione, redazione, amministrazione TUTTOSCUOLA

Via della Scrofa, 39 - 00186 Roma tel. 06.68307851 - fax 06.68802728

http://www.tuttoscuola.com e-mail: [email protected]

Editrice Srl “EDITORIALE TUTTOSCUOLA” Via della Scrofa 39 - 00186 Roma

Progetto grafico Massimo Cerasi

Impaginazione Emilmarc srl

Stampa Grafiche Mazzucchelli S.p.A. Via Cà Bertoncina, 37/39/41

24068 Seriate (Bg) Tel. +39 035 29 21 300 www.mazzucchelli.it

Gli articoli possono essere parzialmente riprodotti

purché venga citata la fonte

Una copia arretrata 6 euro

I manoscritti e le fotografie anche non pubblicati non verranno restituiti

Questo numero è stato chiuso in tipografia il 27-11-2014

PeR Le InSeRzIOnI PUbbLICITARIe

COnTATTARe DIReTTAmenTeI nOSTRI UffICI

PeR AbbOnARSICOnTATTARe

I nOSTRI UffICI

ANNO XL - N. 547 - DICEMBRE 2014 MENSILE - EURO 3,50

TuTToscuolA n. 547

Tema di primaria importanza affrontato e sostenuto dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) - e in particolare, per specifica competenza, dalla Direzione Generale per lo Studente, l’Integrazione e la Partecipazione (DGSIP) del Dipartimento per il Sistema Educativo di Istruzione e Formazione - è quello dell’E-ducazione alla Salute e dell’Educazione Alimentare. Nel contesto e nelle prospettive derivanti dai contenuti legati a “Cittadinanza e Costituzione” - insegnamento introdotto nelle Scuole di ogni ordine e grado con la Legge n. 169 del 30.10.08 - si sottolinea come un’approfondita preparazione sugli argomenti collegati con il quotidiano esser parte di una comunità, nonché sui diritti e doveri del cittadino, aiuterà i giovani a partecipare in maniera più consapevole e positiva alla costruzione e al miglioramento della società. Anche considerato l’Atto d’Indirizzo dell’On.le Ministro del 03.04.12 che, nella sezione “Istruzione”, avverte come priorità politica il potenziamento delle attività inerenti a “Cittadinanza e Costituzione” e, con particolare riferimento, all’Educazione alla Sa-lute. In materia di Educazione alla Salute e di Educazione Alimentare, il MIUR ha già realizzato il Programma nazionale pluriennale “Scuola e Cibo” - Piani di Educazione Scolastica Alimentare.Il Programma si è prefisso di introdurre, nel Sistema di istruzione italiano, l’Educazione Alimentare quale materia trasversale e interdisciplinare, anche riprendendo e centralizzando precedenti esperienze e iniziative già realizzate da singoli Istituti. Non si è trattato di inserire nei curricula una nuova materia, ma di collocarla di volta in volta all’interno delle altre discipline, ad esempio con richiami e integrazioni relative alla conoscenza del cibo, dei consumi alimentari, della funzione degli alimenti, nonché agli aspetti culturali, sanitari ed economici dell’alimentazione. “Scuola e Cibo” si è rivolto nel complesso ad alunni, famiglie e docenti: sollecitando l’adozione di corretti e salutari stili di vita - anche in collaborazione interministeriale - ha inteso sviluppare i temi dell’Educazione Alimentare e dell’Educazione al Movimento e allo Sport, anche nell’ambito del dialogo interculturale e dell’educazione allo sviluppo sostenibile inteso secondo i criteri di sostenibilità ecologica, sociale ed economica, alla solidarietà, alla pace, alla legalità. Si è trattato nel complesso di un’iniziativa di notevole rilevanza didat-tico - educativa. A tale scopo il MIUR ha costituito apposito Comitato Tecnico Scientifico (CTS) [DM 01.04.09 e DM 20.04.11]. È del 22.09.11 la pubblicazione delle “Linee Guida per l’Educazione Alimentare nella Scuola Italiana”, disponibili nel sito istituzionale del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca - Direzione Generale per lo Stu-dente, l’Integrazione e la Partecipazione. Frutto dei primi due anni di attività del CTS per l’attuazione del Programma MIUR “Scuola e Cibo”, le “Linee Guida” possono ritenersi la sintesi programmatica del lavoro di tutti i Componenti del CTS assieme a quello dei numerosi Direttori generali degli Uffici Scolastici Regionali, dei Referenti regionali per l’Educazione alla Salute e per l’Educazione Alimentare, dei docenti, alunni e famiglie, nonché partner del territorio che, a vario titolo, sono stati coinvolti attivamente nel Pro-gramma. Sempre nell’ambito delle iniziative del MIUR - DGSIP inerenti all’Educazione Alimentare, è stato di recente costituito il Comitato Tecnico Scientifico per l’Educazione Scolastica Alimentare “Cibo e Scuola” [DD 06.10.14], con compiti di consulenza tecnico-scientifica e coordinamento delle iniziative specifiche. Il CTS, in funzione di una maggio-re efficacia operativa per il raggiungimento degli obiettivi prefissati, si avvale anche di professionalità provenienti da molteplici ambiti e che in special modo siano in grado di coniugare competenze tecniche specifiche e opportune sensibilità pedagogiche relative al particolare settore di intervento. Il DL n.104 del 12.09.13 - recante misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca, convertito con modificazioni in Legge n.128 del 08.11.13 (GU 11.11.13, n.264) - sottolinea e promuove tra l’altro, nell’ambito dei temi condivisi e nel rispetto dei propri ruoli istituzionali, un’azione coordinata e sistematica del MIUR, del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali (MIPAAF) e del Ministero della Salute (MS). A tal proposito non è superfluo ricordare come il MIUR, in collaborazione interministeriale, anche al fine di incentivare l’adozione di stili di vita salutari, partecipi ad esempio già da tempo al Programma comunitario “Frutta nelle Scuole” (MIPAAF) e alla Strategia intersettoriale “Guadagnare Salute” (MS).

Il MIuR e la Promozione della salute

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Trinity StarsYoung Performers in English Award School Show Award

In sintesi, imparare facendo. È così che un proverbio cine-

se esprime il pensiero condi-viso anche da Piaget (1970):“I bambini sono discenti e pensatori attivi.

Nelle loro fasi evolutive co-struiscono la conoscenza in-teragendo attivamente con l’ambiente fisico. Imparano attraverso le loro esplorazio-ni e azioni individuali.”

I bambini acquisiscono la lingua 2 ascoltando e facendo esperienza della lingua in un modo molto simile a quello in cui imparano la lingua madre. Non essendo consciamente interessati a imparare nuovi termini o frasi e non comuni-cando sempre verbalmente, i bambini piccoli apprendono attraverso il gioco.

Quando le parole, i dialo-ghi e le strutture gramma-

ticali vengono inseriti all’in-terno di attività musicali ed espressive, acquistano signi-ficato diventando facilmente memorizzabili.

Recitare, ballare, canta-re, muoversi, parlare, ascol-tare, scrivere, dipingere e disegnare sono attività che coinvolgono lingua, cono-scenza, pensiero, emozioni, espressione, immaginazio-ne, intuito, memoria, azione e capacità organizzative, sti-molando i bambini a espri-mersi in modo creativo e aiutandoli a capire la lingua che stanno imparando.

In quale modo le attività espressive favoriscono l’apprendimento della lingua?

“I hear and I forget,I listen and I remember,I do and I understand.”

Trinity College London, Ente certificatore britan-

nico attivo in oltre 60 paesi, ha ideato i Trinity Stars Award

per incoraggiare l’appren-dimento della lingua in-glese da parte di alunni d’età compresa tra i 3 e i 12 anni tramite la mu-sica e il drama.

I bambini impa-rano dialoghi,

canzoni, p o e -sie o

storie in lingua ingle-

se per poi pre-sentarli in gruppo davanti a un esper-to Trinity. Al termine della performance,

i partecipanti ricevono una medaglia dall’esperto, il quale fornisce inoltre ai docenti un feedback che valorizza il loro lavoro offrendo al contem-po spunti utili per la didat-tica e per l’apprendimento.

Si distinguono due tipolo-gie di Trinity Stars Award:School Show Award, che pre-vede la partecipazione massi-ma di 300 studenti;Young Performers in English Award (articolato in tre livelli a seconda delle competenze linguistiche), che prevede la partecipazione di un massimo di 10 gruppi, ognuno dei quali può essere composto da un

minimo di 5 a un massimo di 40 studenti.

L’approccio olistico e il la-voro di preparazione in grup-po, premiato al termine della performance, incoraggiano i bambini e ne aumentano l’au-tostima dando agli studenti un senso di soddisfazione e appagamento: esperienze po-sitive di questo genere stimo-lano e rendono più efficace l’apprendimento linguistico.

Stimolare l’apprendimento e l’insegnamento dell’inglese attraverso musica e drama: Trinity Stars Award

www.trinitycollege.it/trinitystars

Learning through playing, playing through learning!

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4 TuTToscuolA n. 545

som

mar

ionumero 547

Dicembre 2014

lA BuoNA scuolA

8 MERITo, cARRIERE E coMPETIZIoNEdi Giorgio Cavadi

8 l’oRGANo E Il PIANo sTRAoRDINARIo DEllE AssuNZIoNIdi Giuseppe Fiori

9 INNoVAZIoNI E coINVolGIMENTo DocENTIdi Alfonso Rubinacci

14 VAluTARE lE coMPETENZE DEGI sTuDENTI E lA QuAlITA’ DEl sIsTEMA EDucATIVodi Michele Pellerey

16 coNsIDERAZIoNI IN MARGINE Al DIBATTITo sull’EsAME DI sTATodi Gianni Orecchioni

19 sVIluPPo sENZA IsTRuZIoNE E FoRMAZIoNE? PuRA IllusIoNEdi Rosalba Silverio

22 THEuT E lA cRIsI DEllA scRITTuRA. IDEE PER uN’AlTRA scuolAdi Benedetto Vertecchi

24 FoToGRAFIE DAllA BuoNA scuolAdI Rita Manzani Di Goro

26 coMPETENZE cHIAVE E cITTADINANZA ATTIVAdi Italo Fiorin

PolITIcA scolAsTIcA

28 BARBIANA E’ loNTANAdi Enzo Martinelli

30 EVoluZIoNE DEI sAPERI scIENTIFIcI E RIGIDITA’ cuRRIculARI: uNA PRoPosTA ITAlIANA PER collEGARE RIcERcA E DIDATTIcAdi Mariella di Lallo

32 Il MEDIco DIMEZZATodi Fabio Matarazzo

36 Il DIRIGENTE scolAsTIco HA BIsoGNo DI uNA BuoNA sQuADRAdi Filomena Zamboli

39 lA GRANDE GuERRA E lA METoDoloGIA ouTDooR, uNA oPPoRTuNITA’ PER lA scuolAdi Pietro Panzarino

oBIETTIVo DocENTE

40 Il coNsIGlIo NAZIoNAlE DEllE RIcERcHE All’EXPo 2015di Roberto Reali

42 BRITIsH couNcIl: INcoNTRo DI sTuDIo suI BIsoGNI EDucATIVI sPEcIAlI

44 lA scuolA cHE MoTIVA E cosTRuIscE: DI QuAlE APPRENDIMENTo sTIAMo PARlANDo?di Francesca Argenti

45 l’APPRENDIMENTo sIGNIFIcATIVodi Giovanna Martines

DossIERa cura di Alfonso Rubinacci

47 GlI ITsdi Giovanna Martines

50 soNo lA VERA NoVITA’ DEl sIsTEMA FoRMATIVodi Alfonso Rubinacci

54 lA FoNDAZIoNE IsTITuTo TEcNIco suPERIoRE PER lE NuoVE TEcNoloGIE DEllA VITAdi Giorgio Maracchioni

56 E sE NoN FossE solo uN IDEA?di Paola Torre

61 sERVE MAGGIoRE FlEssIBIlITA’ A lIVEllo oRGANIZZATIVodi Paola Torre

62 TRE PuNTI DI FoRZA E AsPETTI DA MIGlIoRAREdi Mario Tonini

64 sMART EDucATIoN & TEcNoloGY DAYs: TRE GIoRNI PER lA scuolA cHE cAMBIAdi Roberto Pauraù

66 RIscRIVERE lA sToRIAdi Antonio Augenti

TuTToscuolA n. 5476

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Politica scolasticalA

Buo

NA s

cuol

A

di Giorgio cavadi

di Giuseppe Fiori

TuTToscuolA n. 547

Merito,carriera ecompetizione

I fattori che negli anni han-no determinato un numero così elevato di precariato

scolastico sono, in gran parte, noti. Da un lato la sporadicità dei concorsi (mediamente uno ogni dieci anni) e la lentezza

delle procedure non hanno cer-to assicurato il turn over nella scuola e, dall’altro, le annuali immissioni in ruolo in misura spesso esigua (con l’eccezione del contingente elevato, 50.000 docenti, dell’a.s. 2007/08) non

l’organicoe il piano straordinario

delle assunzioni

è ancora presto per capire se “La buona scuola” cambierà il tempo della scuola italiana, un

tempo spesso immobile nel quale le permanenze hanno la meglio sui mutamenti, a dispetto di un ricorso assiduo (più che in altri comparti, si pensi alla giustizia) alla pratica della “riforma”. Non sappiamo, perciò, dopo questa consultazione, come e se verrà affrontata la questione del mestiere dell’insegnare in un’ottica, se non di “carriera”, almeno di di-versificazione di ruoli e funzioni, di riconoscimento di esperienze e di specificità professionali.Eppure questo riconoscimento, a se-guire il dibattito in corso attorno alla scuola che verrà, appare imbrigliato da un nucleo di obiezioni, quasi on-tologiche, sulla possibilità stessa di leggere e valutare il lavoro dell’in-segnante, di trovare metodi e criteri veramente “obiettivi” e di trovare all’interno delle scuole stesse, per-sone veramente “neutrali” alle qua-li affidare questo ingrato compito. Serpeggia, nemmeno tanto velato, il timore che merito, carriera e com-petizione, accelerino quella svolta aziendalista sempre paventata ad ogni refolo di vento di cambiamento nella scuola italiana. In quella quin-dicina di pagine che ridisegnano il profilo di una classe docente rinno-vata, si concentrano i temi caldi di questa consultazione, nei dibattiti in presenza come nei social network. Con un alternarsi, a volte contraddit-torio, di posizioni: dal rifiuto totale di qualunque forma di differenziazio-ne in nome di una omogeneità quasi mistica, alla richiesta degli studenti di potere anch’essi avere un ruolo e segue a pag. 12

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Politica scolastica lA BuoNA scuolA

TuTToscuolA n. 547

Innovazioni e coinvolgimento docenti

segue a pag. 10

hanno potuto contenere l’i-nesorabile lievitazione del precariato collocato in gra-duatorie ad esaurimento e di idonei. Un altro fattore è dato, ovviamente, dal quadro orga-nico di ogni singola scuola – che si contrae o si espande a seconda dell’andamento della popolazione scolastica – con i suoi due volti: quello dell’or-ganico di diritto che consiste nella previsione, effettuata prima dell’inizio dell’anno scolastico, delle docenze ne-cessarie in base alle classi e agli insegnamenti e quello dell’organico di fatto che è

di Alfonso Rubinacci

Fare chiarezza sul punto d’arrivo

la capillare consultazione di diri-genti, docenti, genitori, studenti, enti istituzionali, mondo dell’im-

presa sui contenuti del documento “La Buona Scuola”, può concorrere a definire il quadro di una nuova pro-gettualità riformistica dell’organizza-zione e delle performance del sistema educativo. Nel confronto hanno avuto nuova centralità i temi della stabilizza-zione del personale docente precario, del reclutamento per concorso, della carriera in base a qualità e merito, del-la scuola digitale, della professionalità docente, della valutazione, del rilancio dell’autonomia delle istituzioni scola-stiche, della qualità dell’istruzione e della formazione. A fronte di un ge-nerale apprezzamento per le scelte di fondo, è emersa una generale condivi-sione del piano straordinario di recluta-mento, dell’introduzione dell’organico funzionale, della centralità della figura del docente, dell’obbligatorietà della formazione in servizio per i docenti, dello sviluppo dell’innovazione tecno-logica, del consolidamento del ruolo delle reti scolastiche, del potenziamen-to dell’alternanza scuola- lavoro, con la realizzazione di alleanze formati-ve territoriali tra imprese e istituzioni scolastiche. Significativa è la con-sapevolezza della necessità di tradur-re i molti punti di forza del rapporto in un articolato, coerente ed efficace piano di provvedimenti normativi che inciderà fortemente sull’attuale assetto organizzativo e didattico del sistema educativo.Le novità costituiscono un sistema complesso di opportunità che neces-sitano di essere accompagnate da una visione di lungo periodo, supportata da un adeguato impegno organizzati-vo e gestionale dell’amministrazione

scolastica centrale e periferica per assi-curare consenso alle decisioni adottate e per metterle in pratica coerentemente e tempestivamente. I fronti su cui in-tervenire sono tanti e gli interessi sono così vasti che stabilire un ordine di pri-orità diventa difficile. Per trasmettere una visione complessiva vanno pre-se in considerazione non solo singole azioni mirate ma un quadro d’azioni parallele, un sistema organico e coor-dinato di interventi da sviluppare in modo convergente che investa tutti gli aspetti. Disegno organico signifi-ca che, poiché ci sono molti interventi da fare, dobbiamo riuscire a dire con chiarezza qual è il punto d’arrivo e qua-li sono i tempi per ciascuno dei passi necessari a raggiungerli. La “Buona Scuola”, non adeguatamente sostenuta ed indirizzata, recupera qualche colpo nell’immediato, ma perde il proprio futuro.

serve cambiare passo

In questo passaggio di profonda inno-vazione della scuola è richiesta un’in-cisiva trasformazione dei ruoli che i diversi attori ricoprono all’interno del sistema educativo. La qualità dell’inse-gnamento e della leadership scolastica sono i fattori interni al sistema scolasti-co che più incidono sui risultati degli studenti. L’ipotesi che si avanza non è nuova. E’ una sollecitazione rappresentata con insistenza, anche da Tuttoscuola da molto tempo, senza mai concretizzar-si in politiche nell’ultimo decennio. Oggi il tema può contare anche della forza del Premier Matteo Renzi che alla “Leopolda” di Firenze ha detto che “fare il professore non è un ruolo da sfigati ma è fare politica con la “p”

segue a pag. 10

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Politica scolasticalA

Buo

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segue da pag. 9maiuscola “ perché “ sono gli insegnanti che salveranno l’Italia, non i ragionieri”. Occorre, però, costruire una condizione professionale diversa da quella attuale che assicuri al docente “ … capacità di gestione progettuale per accompagnare gli studenti nel disegno e nella realizza-zione del proprio percorso personale di apprendimento e organizzare l’accesso e la fruizione delle risorse formative necessarie, trasformandosi da trasferi-tore di sapere (erogatore di contenuti) a pianificatore della costruzione della co-noscenza” (L’Education per la crescita, le 100 proposte di Confindustria, Roma 7 ottobre 2014). Ogni importante in-novazione educativa, infatti, richiede certamente una spinta esterna, ma la sua attuazione esige l’intelligenza, la preparazione e l’attiva volontà dei do-centi, la maggior parte dei quali sem-bra, però, aver smarrito quelle qualità che sono essenziali per la leadearship educativa. I docenti non possono vivere il presente da stranieri, debbono tenere gli occhi aperti su ciò che li circonda. La complessità del sistema d’istruzione odierno segue la complessità dell’evo-luzione sociale e richiede un’organiz-zazione della pratica d’insegnamento, giorno per giorno, anno per anno. Cosa sappiamo di questa pratica? Come è organizzata oggi? Quali sono le sue motivazioni? Chi sono le persone che insegnano? Che cosa può essere fatto per migliorarla? In primo luogo, perciò, è necessario interrogarsi su qual è il tipo di cambiamento che i docenti vo-gliono: il proprio o quello degli altri. Il primo richiede senso di responsabilità e sacrifici per costruire la scuola che vogliamo, l’altro li relega al ruolo di spettatori e il futuro della scuola a quel-lo di vittima. In secondo luogo occorre promuovere programmi strutturati di opportunità di qualificazione della pro-fessionalità docente, di ridisegno del nuovo profilo di competenze dei do-centi in grado di garantire certezza e identità ad una professione sempre più difficile che costituisce l’ossatura di una nuova scuola, efficiente, garante dell’effettiva fruizione di un’adeguata offerta formativa che il governo vuole assicurare a milioni di famiglie italiane.

La formazione dei docenti, scadenza-ta, ricorrente e valutata nel periodo di impegno professionale assume il carat-tere di una priorità indispensabile per restare al passo con i tempi e le novità, per conservarsi all’altezza dei compi-ti e delle responsabilità da assolvere.

condizioni di successodella formazione

Se decisiva è la formazione, altrettanto importante è sapere compiutamente quale sia la formazione che deve ac-compagnare il personale docente, cosa rende efficace un percorso di aggior-namento. Nell’ambito delle “politiche” la formazione del personale docente in servizio deve generare una vera ri-voluzione culturale perché un buon docente fa la differenza, garantisce un insegnamento innovativo e di qualità. La scuola non può essere migliore dei

suoi insegnanti e ogni singola scuola è in primo luogo il risultato dell’incontro tra i suoi insegnanti e gli studenti. Ri-conquistare i giovani alla scuola è una sfida decisiva per assicurare all’istru-zione il ruolo di spinta per l’avvenire del Paese. Per questi motivi è da pro-muovere una forma di intervento che parta da motivazioni profonde, che ab-bia caratteristiche di flessibilità e capa-cità d’incontro delle esigenze personali, capaci di smuovere timori e resisten-ze su una cultura della formazione e dell’apprendimento nella quale si sono

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la determinazione del reale fabbisogno di docenti riscon-trata all’inizio e nel corso di ogni anno scolastico. Il primo è lo strumento che consente la mobilità del personale e le c.d. nuove immissioni in ruo-lo (rectius i nuovi contratti a tempo indeterminato), mentre il secondo configura la spesa effettiva, inclusa quella assai rilevante per i contratti a tem-po determinato.La leva dell’organico è stata quindi sempre manovrata in funzione della sostenibilità della spesa complessiva per l’istruzione e delle periodi-che revisioni e manutenzioni dell’ordinamento scolastico italiano, sia nei suoi profi-li organizzativi che in quelli didattici, dalla scuola prima-ria alla secondaria superiore. Revisioni e manutenzioni che spesso (non sempre) sono sta-te operate da misure normati-ve di finanza pubblica, data la stretta correlazione esistente nella scuola italiana tra poli-tiche del personale e politiche educative. Ecco come il tema dell’organico delle scuole, che per anni sembrava esclu-sivo degli addetti ai lavori, ha conquistato una sua specifica rilevanza politica: lo stesso ministro Giannini in una sua recente dichiarazione ha ac-cennato all’organico di fatto, che è anche dettagliatamen-te spiegato a pg.13 del piano governativo per “La Buona Scuola”. Come si è detto sin-teticamente il precariato non è, però, solo figlio dell’orga-nico di fatto ma dell’insieme di tutti i fattori in questione ed è necessaria una manovra complessiva ed equilibrata per

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raggiungere progressivamente il traguardo del riassorbimento del precariato e l’atteso reclutamen-to di giovani laureati. La mano-vra, appunto, disegnata nel piano straordinario che dovrebbe porta-re già nel prossimo anno ad una massiccia assunzione di 150.000 docenti tra precari storici e ido-nei e il contemporaneo bando di concorso per 40.000 abilitati. Il personale della scuola è circa un terzo del pubblico impiego in Italia, e come tutti gli altri dipen-denti pubblici soffre di un eter-no confronto con il privato: il confronto impari tra posto garantito e po-sto aleatorio. Ma se è vero che quanto a flessibilità in uscita la garanzia del po-sto pubblico è inos-sidabile, per quella in entrata c’è però il macigno della du-rata media (quindici anni) del precariato scolastico. E’ pro-prio tale macigno che questo piano intende disintegrare. La riuscita dell’o-perazione è legata a due condizioni fon-damentali: la soste-nibilità economica del piano e il pieno utilizzo delle risorse professionali neo-assunte. Di nuovo l’organico delle scuole ridiventa l’anello di congiunzio-ne di queste due condizioni, in-fatti un intervento finanziario di tale entità (nel piano si parla di circa 3miliardi di euro) ha asso-lutamente bisogno di tutte le pos-sibili e immaginabili economie interne. E le uniche economie interne significative sono le spese per le supplenze, che andrebbe-

ro azzerate. Per cogliere il dato essenziale di questa strategia bi-sogna considerare che finora le annuali immissioni in ruolo ve-nivano effettuate esclusivamente per ricoprire, in tutto o in parte, cattedre rimaste senza titolare, quindi in organico di diritto. Tali contingenti di nomine lasciavano inevitabilmente scoperte le altre cattedre in organico di fatto desti-nate per lo più ai docenti precari. L’assunzione dei centocinquanta-mila andrà a saturare l’intero qua-dro organico delle scuole italiane nel suo fabbisogno complessivo

nel breve periodo e fino all’arrivo dei vincitori di concorso, quindi generalizzando i contratti a tem-po indeterminato e sostituendo l’organico di fatto con l’organico funzionale. Quest’ultima è una figura già presente nell’ordina-mento italiano dal 2012 (alla fine degli anni novanta fu introdotta in via sperimentale), ma finora non ha mai superato la prova del fuoco, ovvero quella di realizzare significative economie. Infatti le

risorse professionali dell’or-ganico funzionale o dell’au-tonomia (in gran parte i neo-assunti) saranno impiegate, come prevede il piano, per il potenziamento dell’offerta formativa, per l’estensione del tempo pieno, e per le tante e importanti attività comple-mentari all’attività didattica, ma saranno principalmente a disposizione della singola scuola o di una rete di scuole per supplire i colleghi assenti a vario titolo. La scommessa è spostata quindi sull’ope-

ratività funzionale di questo nuovo (o quasi) organico che vede un’applicazio-ne più agevole nel-la scuola primaria e molto meno agevole nella secondaria su-periore per la mol-teplicità delle classi di concorso relative agli insegnamen-ti dei vari indiriz-zi, tralasciando gli aspetti complessi del funzionamento organizzativo delle reti di scuole nell’u-no e nell’altro caso. E così se le supplen-ze uscite dalla por-

ta rientrassero dalla finestra l’intervento potrebbe rivelar-si sovradimensionato; invece un’accorta articolazione e uti-lizzazione delle risorse, a tutti i livelli decisionali e organiz-zativi del sistema istruzione, potrebbe riassestare gli attuali squilibri.Altrimenti i futuri idonei del-concorso andranno ad affol-lare la platea del precariato prossimo venturo.

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sedimentati concetti ormai obsoleti. Ecco perché qualsiasi strumento capa-ce di migliorare la conoscenza di sé, la capacità di ascoltare e quella di vive-re nel presente, risulta molto prezioso. Più i docenti sono in grado di prendersi cura di se stessi, più efficaci saranno nel prendersi cura degli studenti, dei colleghi, dei genitori, della comunità in cui vivono.La questione centrale, molto importan-te, è la fiducia. Serve fiducia reciproca e questa dipende dai comportamenti di ciascuno. In primo luogo del Governo che a fronte della positiva iniziativa di assunzioni per azzerare il precariato è chiamato ad accompagnare l’immis-

sione in ruolo con piani obbligatori di formazione per il consolidamento delle competenze che sono richieste dal cambiamento di cui la scuola ha bisogno.

la spinta che serve

Necessitano azioni di aggiornamento, occasioni di crescita e sviluppo profes-sionale mirato per far crescere il sistema di competenze di coloro che, operando all’interno, debbono aggiungere know-how al profilo maturato sul campo, ma anche per offrire la possibilità di appren-dere e realizzare nell’esperienza profes-sionale una nuova visione del proprio ruolo nel diverso contesto che si con-figurerà con i provvedimenti attuativi. L’iniziativa rivolta al mondo della

scuola, in primo luogo ai dirigenti sco-lastici e ai docenti, poiché è finaliz-zata, in realtà, ad un coinvolgimento nella riprogettazione del sistema edu-cativo italiano e nella riflessione culturale-organizzativa dell’insegna-mento, dovrebbe come avere come principale area di approfondimento le questioni tecnico-professionale, con tematiche più orientate agli aspetti di comprensione e di realizzazione di un nuovo modello organizzativo e di sviluppo del sistema educativo che dall’a.s. 2015/2016 riguarderà tut-to il sistema di istruzione e di istru-zione e formazione professionale. Il profondo cambiamento di po-

litica scolastica, che implica un cambiamento culturale, richiede la ra-dicale trasformazione degli ambien-ti di apprendimento con il ricorso ad una pluralità di azioni ed interventi. L’era digitale sta cambiando le regole del “fare scuola” e la formazione dovrà mettere in condizione i docenti di inte-grare la tecnologia nella didattica come strumento e non fine.Senza dubbio, avvalersi dei mez-zi che la tecnologia oggi mette a di-sposizione è utile, ma è illusorio pensare che da soli bastino allo scopo. Non esiste, infatti, ad oggi, una cor-relazione univoca tra utilizzo della tecnologia e apprendimento e a fare la differenza non da oggi, come docu-menta la riflessione e la ricerca sulla migliore didattica nella scuola.

una voce nella valutazione dei propri insegnanti. Possiamo pro-vare a circoscrivere la questione su alcune considerazioni e qual-che interrogativo. La tripartizio-ne del sistema dei crediti su cui basare carriera e merito della funzione docente non convince, eppure trova le sue ragioni pro-prio nella funzione e nel profilo professionale dell’insegnante così come lo definiscono ancora i due articoli del contratto (26 e 27). Individuare la figura del docen-te mentore, un professionista di riconosciuta esperienza perché comprovata da attività professio-nali, di docenza extrascolastica o pubblicazioni, non costituisce una deriva aziendalista, quanto il mettere a fuoco e utilizzare al meglio nella comunità professio-nale quegli “innovatori naturali” che nelle scuole esistono già. Non stiamo nel recinto del toyotismo, ma all’interno di quella scuola-comunità morale disegnata da Thomas Sergiovanni, nella quale il docente mentore ha una chiara derivazione omerica. è una figu-ra che accompagna, protegge, dà e riceve fiducia, all’interno di un quadro di scopo e di responsa-bilità collettiva, orientata all’im-pegno verso i propri studenti. Questi docenti esistono già e noi tutti li abbiamo incontrati proprio nei primi anni della carriera. Li abbiamo individuati e riconosciu-ti per la loro reputazione. E allora se la loro reputazione esiste già fra i colleghi come fra i genitori, ma anche fra gli studenti, quale difficoltà a riconoscerla affidan-do loro un ruolo che valorizzi una professionalità acquisita e la metta al servizio della comunità educante, come tutor, mentore o coordinatore di dipartimento di-sciplinare o di area? Molti docen-ti italiani partecipano a concorsi

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di vario tipo, mostrando una aperta disponibilità a mettersi in gioco; so-no responsabili di progetti, coordina-no commissioni, appartengono ad un “middle management” senza il quale la scuola della complessità non po-trebbe funzionare. Fuori dalla scuola collaborano con le università, sono docenti in corsi di formazione inizia-le e in servizio; acquisiscono seconde lauree, dottorati di ricerca, stipulano contratti di collaborazione con uni-versità, enti di formazione qualifica-

ti; pubblicano articoli e saggi o sono autori di manuali scolastici. Niente di tutto questo viene valorizzato: fat-ta eccezione per i soli titoli accade-mici, non si riconosce neanche un singolo punto nelle graduatorie di istituto, sottraendo alla scuola, non al sistema, ma proprio alla scuola dove questi docenti lavorano, quali-tà e talento. Ci sta bene che le cose vadano in questo modo? Oppure si può cominciare ad “individuare per

valorizzare”, per esempio catalogan-do ambiti di competenza in cui far rientrare chi già si trova a svolgere specifiche funzioni (albi di forma-tori; di tutor; di esperti in progetta-zione europea; di esperti in didattica disciplinare; di esperti in produzioni di materiali didattici multimediali; di esperti nella gestione organizzativa; esperti di valutazione)? E se non è merito, almeno possiamo parlare di “reputazione”, come sanno bene i genitori che spingono perché i loro

figli vengano dirottati in una sezione piuttosto che un’altra?Nel 2010 il progetto pilota “Valoriz-za”, tentò di dare corpo a questa repu-tazione ma, dopo la prima annualità, venne impallinato dai sindacati. Per la storia, docenti, genitori e studen-ti (sì proprio studenti) di 33 scuole in tutta Italia, vennero chiamati ad individuare gli insegnanti che “meri-tassero” una gratificazione economi-ca. Il metodo “reputazionale”, come

si è detto, venne condannato a morte prematura, ma dimostrò che non fosse poi così difficile individuare determinate profes-sionalità all’interno della scuola (si può leggere una sintesi delle conclusioni curata dalla Fonda-zione San Paolo in http://www.treellle.org/files/lll/sintesi_rap-porto_fondazioni_valorizza.pdf).Il tentativo aveva diversi limiti, non ultimo quello di generare un ranking che dava accesso ad un premio economico una tantum, ma certamente costituì un buon punto di partenza per disegnare, in prospettiva, un metodo di let-tura del lavoro docente. Allora, due interrogativi: se negli ultimi 5 anni centinaia di scuole e de-cine di migliaia di docenti han-no deliberato volontariamente di aderire a percorsi sperimentali e prototipali di valutazione delle scuole e, come si è visto, anche degli insegnanti (Valorizza, Va-lutazione e Miglioramento, VSQ, Vales), siamo sicuri che il tempo non sia maturo per una differen-ziazione del ruolo docente sulla base di criteri e modelli universa-li e condivisi in grado di fornire alle scuole una serie di evidenze per il miglioramento dell’offerta formativa? E perciò è possibile ribaltare il principio secondo cui quello di docente sia un mestie-re impossibile da decifrare nelle sue differenti storie professiona-li, attitudini e capacità, al fine sia di valorizzare i talenti, che di renderlo attrattivo nei confronti delle intelligenze migliori e dei talenti migliori i quali, con tutta evidenza specie nel campo delle materie scientifiche, continuano a fuggire il lavoro dell’insegnan-te? Ed infine: è possibile una narrazione diversa del mestiere dell’insegnante a partire dalla buona scuola?

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la legge 28 marzo 2003 n. 53 (Leg-ge Moratti) di riordino del sistema educativo italiano, legge tuttora

in vigore salvo le modifiche apporta-te negli anni successivi, afferma: “la valutazione, periodica e annuale, degli apprendimenti e del comportamento degli studenti del sistema educativo di istruzione e formazione, e la cer-tificazione delle competenze da essi acquisite, sono affidate ai docenti delle

istituzioni di istruzione e formazione frequentate; agli stessi docenti viene affidata la valutazione dei periodi di-dattici ai fini del passaggio al periodo successivo” (Art.3, comma 1). Quanto alla valutazione esterna al successi-vo comma 3 viene definito il ruolo dell’Invalsi: “al fine del miglioramento

e dell’armonizzazione del sistema di istruzione e formazione, l’Istituto na-zionale per la valutazione del sistema di istruzione effettua verifiche perio-diche e sistematiche sulle conoscenze e abilità degli studenti e sulla qualità complessiva dell’offerta formativa del-le istituzioni scolastiche e formative”.

Dalla legge sembra chiaro che la valu-tazione del singolo studente è di compe-tenza esclusiva dei suoi docenti, mentre la valutazione del sistema di istruzione e formazione è di competenza dell’In-valsi. Va anche ricordato come nella redazione della legge era sottesa una posizione teorica circa l’impossibilità di

valutazione delle competenze da parte dell’Invalsi. Tale organismo poteva e doveva verificare le conoscenze e le abilità rispetto agli obiettivi specifici di apprendimento, ma non le competen-ze perché queste sono per loro natura individuali e non possono essere stan-dardizzate. Tale concezione delle com-petenze è stata nel tempo approfondita, anche per l’influsso degli orientamen-ti europei, distinguendo ciò che è di

sua natura soggettivo e indivi-d u a l e e c i ò c h e è social-mente de-scrivibile e verifica-bile fino a giungere a poter defi-nire alcuni standard di compe-tenza. T u t t a -via, se si prende in considera-zione ciò che a li-vello euro-peo viene descritto

come competenza nei vari ambiti for-mativi, se ne evidenzia una struttura complessa e articolata. Si tratta della capacità di attivare e integrare le pro-prie risorse interne, di livello differente di profondità, di fronte alle esigenze di un compito, o di una tipologia di com-piti particolare, da portare a termine

Valutare le competenze degli studenti e la qualità del sistema educativo

di Michele Pellerey

Distinguere il giudizio sull’apprendimentoe sulle competenze degli alunni da quello di sistema

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può dare come contributo specifico alla fondatezza e plausibilità dei giu-dizi di competenza. Ciascuna di esse, infatti, da sola non può condurre a una ragionevole conclusione di presenza o assenza di una competenza, né tanto meno indicare con puntualità un suo preciso livello raggiunto. E’ necessario procedere a una raccolta sistematica di elementi documentari provenienti da fonti e secondo metodi diversificati per poter giungere a una conclusione suf-

ficientemente fondata e plausibile. Queste sono le ragioni a mio avviso fondamentali che devono portare a distinguere con grande chiarezza la valutazione dell’apprendimento di conoscenze e competenze di sin-goli studenti, da una valutazione di sistema quale era ipotizzata dalla legge del 2003 (legge Moratti). La prima forma di valutazione esige un processo abbastanza impegna-tivo e distribuito nel tempo, mentre la seconda forma inevitabilmente potrà solo riferirsi a manifestazioni occasionali di tali competenze. Ciò non vuol dire che dal punto di vista informativo ciò non sia importan-te e utile per conoscere il sistema educativo nella sua realtà formativa, a patto che ci si renda conto che i confronti che si possono trarre da tale base documentaria sono limitati ad aspetti superficiali e puntuali ri-spetto alla complessità delle compe-tenze da promuovere. Una questione ulteriore riguarda i rapporti che si possono considerare tra valutazione esterna di sistema e forme di valuta-zione interne alle singole istituzioni.

In generale si distingue la valutazione di tipo formativo da una valutazione diagnostica (iniziale) e da una valu-tazione sommativa (finale), in quanto essa svolge una ruolo essenziale nel contesto del processo formativo al fine di renderlo il più possibile valido ed ef-ficace. Essa si realizza di conseguenza durante l’attività educativa, accompa-gnandola costantemente. Per questo è stata definita «per l’apprendimento». Qualcuno parla anche di valutazione «come apprendimento». In questo tipo di valutazione gioca un ruolo essenziale

si organizza, come elabora un proget-to d’azione, come lo mette in pratica, quali risultati ottiene nell’immediato e nel tempo, come corregge le proprie azioni sulla base dei risultati ottenuti, ecc. Nella pratica valutativa dei docen-ti, poi, è importante conoscere non solo l’opinione dello studente circa la quali-tà delle sue prestazioni, ma soprattutto come si è organizzato mentalmente e praticamente per realizzarle. Si giunge così all’indicazione di procedere secon-

do un piano di lavoro che si richiama al metodo della “triangolazione”, spesso utilizzato nella ricerca educativa. In sintesi, si tratta di raccogliere infor-mazioni pertinenti, valide e affidabili per mezzo di una pluralità di modalità di accertamento, che permettano di sviluppare un lavoro di interpretazione e di elaborazione del giudizio che sia fondato e pertinente. Tutto ciò met-te in luce la complessità del processo di valutazione delle competenze. Per questo occorre tener conto di ciò che ciascuna delle metodologie proposte

positivamente. E le risorse interne non sono costituite solo da conoscenze e abilità, ma anche da disposizioni inter-ne stabili come atteggiamenti e valori. Inoltre, la competenza non è osserva-bile e rilevabile direttamente, bensì at-traverso le sue manifestazioni esterne, pubbliche, un po’ come l’intelligenza e l’onestà. Tali manifestazioni di compe-tenza, o prestazioni, ne costituiscono l’aspetto superficiale e occasionale, quindi implicano processi di inferenza per risalire da esse alla realtà inter-na permanente. Di conseguenza un processo di valutazione delle com-petenze si presenta come abbastanza impegnativo e complesso. Già al tempo della diffusione dei test di in-telligenza, che intendevano misurare il cosiddetto Quoziente Intellettuale (QI), c’era il pericolo di confonde-re ciò che poteva essere rilevato dal comportamento esterno tramite tali test con la realtà profonda e comples-sa dell’intelligenza umana. Nel 1979 Neil Postman scriveva: “Un test QI definisce intelligenza quello che essa misura” e così può essere identificata con un numero. Più esplicitamente Joseph Weizenbaum nel 1976 aveva scritto: “L’idea che l’intelligenza si possa misurare quantitativamente lungo una semplice scala lineare ha causato un danno incalcolabile alla nostra società in generale, e all’istru-zione in particolare”. Si trattò del-la stessa obiezione che oggi alcuni studiosi britannici e italiani hanno avanzato circa la metodologia di messa punto delle prove Ocse-Pisa. Dalla pratica valutativa internazio-nale sappiamo che lo strumento che più di ogni altro ha manifestato buone garanzie di funzionalità e di affidabili-tà è il cosiddetto “portfolio”: una rac-colta organizzata (anche sotto forma digitale) delle manifestazioni di com-petenza offerte nel tempo dal soggetto. Questo perché una singola prestazione, data la sua occasionalità, non permette di inferirne una presenza stabile, né tantomeno il livello. Un’ulteriore fonte informativa deriva dall’osservazione dello studente mentre svolge un compi-to esaminando come lo affronta, come

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considerazioni in margineal dibattito sull’esame di stato

Tra i tanti cambiamenti annun-ciati per la scuola secondaria di secondo grado l’ipotesi della

riforma dell’esame conclusivo del ciclo degli studi superiori, con il ri-torno alle commissioni costituite da commissari interni e da un presiden-te esterno, ha dato vita a una gran-de mobilitazione del mondo della scuola. L’appello di Giorgio Allulli contro questa proposta, sostenuta dal Ministro Giannini, ha raccolto migliaia di firme e suscitato un vi-vace dibattito, in gran parte alimen-tato da questa stessa rivista. L’idea di tornare al modello Moratti non è piaciuta a nessuno tra gli operatori della scuola e neanche tra i più au-torevoli commentatori che sono in-tervenuti sull’argomento. Al di là del risparmio sui costi, niente è emerso a favore di questa soluzione, mentre ben noti sono i problemi che da anni si legano al valore dell’esame di Sta-to e meriterebbero ben altro livello di attenzione: la scarsa affidabilità del valore del punteggio finale, la bassa considerazione che ne hanno le uni-versità e le imprese, la mancanza di coerenza e di tenuta del sistema di valutazione, con grandi diversifica-zioni tra il nord e il sud della peni-sola. Tanto che da tempo si discute sull’eventualità di eliminare il valore legale del titolo di studio o, all’oppo-sto, di ridare all’esame finale una ca-ratterizzazione unitaria e oggettiva, con prove nazionali valide per tutti e sistemi di correzione delle stes-se gestito, almeno in parte, a livello centrale. Scongiurato temporanea-mente il rischio della controriforma

dell’esame di Stato, si è aperto final-mente lo spazio per sviluppare una discussione sull’argomento con con-siderazioni anche di maggiore respi-ro, soprattutto alla luce della riforma della scuola secondaria di secondo grado, che è ormai giunta al quinto anno di funzionamento. Lo schema del quinquennio della scuola rifor-mata si articola, infatti, in due bien-ni e in un quinto anno conclusivo, che dovrebbe avere un carattere di orientamento. In un contesto in cui i margini di autonomia e di flessibilità a disposizione delle scuole, specie se tecniche o professionali, è stato volu-tamente accentuato per meglio farle aderire alle esigenze formative dei territori in cui sono collocate. Questo quadro di riferimento generale non va trascurato e serve per mostrare come il cammino di riforma della scuola continui a procedere un po’ come il mantice della fisarmonica che, subito dopo aver dispiegato gli spazi ariosi dell’autonomia, si richiu-de, non in un’armonia di suoni e vi-brazioni, ma in un percorso a ritroso, privo di un conseguente sviluppo musicale, verso un modello rigida-mente centralizzato. L’incoerenza di pensare al cappello (l’esame di maturità), dimenticando la testa che lo deve sorreggere, è solo mitiga-ta dal fatto che il sistema scolastico italiano è troppo imbrigliato negli spazi di autonomia e flessibilità, che nei fatti trovano difficile attuazione pratica. Ma la questione non cambia.

Uno dei dati emersi dalle consulta-zioni sulla “Buona scuola” riguarda appunto la necessità delle scuole di poter disporre con maggior facilità di tali strumenti e il Miur sembra voler lavorare in tale direzione. Del resto cinque anni fa, nel presentare la riforma, si dava per scontato che sarebbe arrivata quasi inesorabil-mente, negli anni a venire, una tra-sformazione sostanziale dell’esame di Stato, in coerenza con il nuovo sistema formativo che si andava de-lineando. E invece siamo ancora qui, a discutere del vecchio (il sistema attuale) o del vecchissimo (il sistema precedente), come se la riforma non fosse mai nata. La proposta in di-scussione più stimolante è, a parere di chi scrive, quella presentata da Tuttoscuola, che consiste nell’ipotesi di “collegare più strettamente l’esa-me finale della scuola secondaria alle scelte successive attraverso una diversa organizzazione del quinto anno, che potrebbe fungere da anno ponte verso la formazione superiore, universitaria e non”.Un anno orientativo con un esame incentrato su poche materie, a scelta dello studente, coerenti con il per-corso che intende seguire dopo il diploma. Benissimo. Si può pensare quindi a un percorso di studi orien-tato verso l’università, con tanto di riconoscimento di crediti formativi, particolarmente adatto ai licei, op-pure a una formazione volta verso l’istruzione tecnica superiore (ITS) o ancora verso un precoce inseri-mento nel mondo del lavoro, come sarebbe giusto aspettarsi dalle scuole

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di Gianni orecchioni

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a indirizzo tecnico o professionale. Perché l’orientamento finale, se è coerente con i diversi profili deline-ati dal nostro sistema d’istruzione, dovrebbe caratterizzarsi in forme altrettanto differenziate e adatte a promuovere la piena acquisizione delle relative competenze d’uscita. In questo ci rimane forse più facile pensare ai licei e alla varietà degli sbocchi universitari che ai loro stu-denti si aprono; probabilmente resta un po’ più difficile immaginare co-sa potrebbe accadere per le scuole a indirizzo tecnico o professionale. A tal proposito, un bell’esempio da te-nere in considerazione, e che ci può tornare utile nell’ambito di questo discorso, proviene dall’esperienza di TecnicaMente, un progetto realizza-to da Adecco con 16 istituti tecnici e 70 aziende dislocati in diverse parti d’Italia. Viene chiesto agli studenti dell’ultimo anno di presentare nel mese di maggio, poco prima del fatidico esame di maturità, proget-ti legati all’innovazione. La giuria esaminatrice, composta dai rappre-

sentanti delle az iende che partecipano al progetto, ha il compito di individuare il proget to più innovativo di ciascun ist i-tuto tecnico, premiandone l’autore con un corso di forma-zione gratuito post-diploma, che sia ritenuto coerente con le esigenze delle aziende part-ner. Si tratta di un’esperienza

del tutto nuova e straordinariamen-te affascinante. I migliori studenti hanno l’opportunità di mostrare le loro competenze, relazionando con un power point sui loro progetti di ricerca, sulle soluzioni innovative individuate per raggiungere il loro scopo, sulle tecniche e gli strumenti individuati, sui tempi di lavoro e, in certa misura, sui costi di produzione necessari per giungere al prodotto finito.Si tratti di un pezzo di una Vespa degli anni ‘50 non più reperibile in commercio o di un portachiavi di promozione turistica realizzato in forma tridimensionale. Gli studen-ti parlano da uomini maturi, sicuri del fatto proprio, mostrando grande padronanza degli argomenti trattati. Niente a che vedere con le tradizio-nali interrogazioni nozionistiche su tutto il sapere, dove ognuno è chia-mato a ripetere le stesse cose, davan-ti a una commissione esaminatrice che esprime lo stesso mondo scola-stico (qui conta poco se i docenti sia-no interni o esterni alla scuola), in un

rituale dove sembra che il tempo non sia mai intervenuto a disturbarne la sacralità atemporale. Invece le com-petenze scolastiche di tipo tecnico andrebbero certificate dall’esterno, da quel mondo del lavoro in cui la tecnologia e la ricerca si evolvono continuamente e dove l’innovazione costituisce il perno intorno al quale si gioca la capacità di competere e di essere presenti sul mercato. Tra i “commissari d’esame” non c’erano i soliti sorrisetti ironici, né si vede-vano i ragazzi balbettare davanti all’incalzare delle loro domande. Fi-nalmente erano loro i protagonisti della prova finale, potevano raccon-tare ad esperti le loro idee e mostrare le tecniche con le quali quelle idee erano diventate prototipi per una possibile produzione. Non si mette-vano voti. Si invitavano i ragazzi a presentarsi, di lì a qualche giorno, per sostenere un colloquio in azien-da. Anche questo è un modo che ci consente di pensare alla possibilità di realizzare una formula assai diversa dell’esame di maturità, più proficua per la scuola, per gli studenti e per le imprese. Un qualcosa di concreto, di realmente orientativo, capace di esaltare le capacità e la creatività di ragazze e ragazzi dell’istruzione tec-nica e professionale.Sembra una prospettiva molto di-stante dalla realtà, eppure il disegno della nuova scuola del governo Ren-zi, che prevede 600 ore di alternanza scuola-lavoro negli ultimi tre anni dell’istruzione tecnica e professio-nale, deve pur trovare una composi-zione finale coerente con il resto di tutto il percorso formativo intrapreso dagli studenti. In modo che la fisar-monica dell’istruzione possa torna-re a intonare le sue melodie, con le variazioni e le sfumature impresse dalla sensibilità e dalla creatività dei suoi studenti.

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Il cantIere delle dIdattIcalA

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il cosiddetto «feedback», o retro-alimentazione, in due direzioni: dal formatore al formando, ma anche da quest’ultimo al formatore. E’ il cuore di un processo che possiamo definire conversazionale, in cui si sviluppa un reciproco adattamento dell’allievo al docente e dal docente all’allievo. In questa conversazio-ne e relativa presenza di forme di feedback entrano in gioco anche i compagni, o le compagne, che formano le classi o i gruppi di ap-prendimento. Sappiamo benissimo quanto incidano sulla percezione e stima di sé i giudizi valutativi e le possibili forme di interazione con i propri colleghi. Si distingue an-che tra un feed-back interno e uno esterno. Il feedback interno è quello che è presente come risposta alle nostre azioni, ai nostri interventi, al-le nostre prestazioni, ed è all’origine della riflessione critica sui risultati (buoni o meno buoni) delle nostre attività e sulle cause che li hanno determinati.Così quando si parla di auto-valuta-zione, si prendono in considerazione i risultati del nostro agire, cercando di comprenderne le ragioni del suc-cesso o dell’insuccesso. In questo processo auto-valutativo si può di-stinguere tra: a) Feed-Up: dove sto (stiamo) andando? b) Feed-Back: come sto (stiamo) procedendo? c) Feed-Forward: quale la prossima mossa? Promuovere un processo auto-valutativo è essenziale sia a livello di allievo, sia di docente sin-golo, sia di consiglio di classe, sia di istituzione.A questo fine occorre avere a di-sposizione adeguati criteri di va-lutazione. Fonti di tale quadro di riferimento sono le competen-ze previste istituzionalmente, il proprio progetto educativo, la domanda concreta di formazio-ne presente nei nostri allievi. Per

favorire l’autovalutazione di istitu-to sono state sviluppati vari modelli operativi. Tuttavia, occorre ribadire che troppo spesso si ha l’impressione che i risultati di tali attività tendono ad assumere il carattere di documenti burocratico-amministrativi. Qualcosa di analogo a quanto sperimentato nelle prime esperienze di programmazione educativa e didattica. Ma se le cose sono fatte adeguatamente, lo svolgi-mento delle attività di autovalutazione possono costituire la cartina di torna-

sole della presenza e dello sviluppo di una vera comunità formativa, nella quale le varie sue componenti sono coinvolte in forme di feedback interno orientate ad approfondire la propria identità e a migliorare la propria azio-ne. Il secondo tipo di feedback è ester-no alle azioni e può assumere varie forme: a) di tipo informativo; b) di tipo misurativo; c) di commento valutativo; d) di suggerimento di come procede-re; ecc. Tuttavia più che la forma del feed-back spesso è determinante la percezione che si ha del soggetto che lo fornisce. Diverso è il commento, anche critico, da parte di chi sappiamo

che ci vuole bene, rispetto a quello di chi ci valuta in maniera astiosa. Di conseguenza un primo elemento da considerare è il soggetto all’origine del feed-back esterno. A esempio, nel caso dell’Invalsi, in questi anni si sono succedute molte diverse posizioni. Per alcuni esso avrebbe dovuto fornire solo informazioni sulle prestazioni a livello nazionale, al più regionale, informazioni raccolte su base cam-pionaria. Tuttavia, sull’onda delle in-dagini Ocse-Pisa si è scelto il modello

valutativo comparativo tra regioni, province, tipologia di istituzioni, ecc. In più, ci si è orientati verso la forma censuaria, che coinvolge tutte le scuo-le e tutte le classi, fino a costituire elemento di valutazione obbligatorio negli esami di Stato alla fine del pri-mo ciclo. Da parte di alcuni studio-si, in genere economisti, si è anche evocato quanto realizzato in alcuni Paesi: valorizzare i risultati ottenu-ti per intervenire finanziariamente a livello di scuole e anche a livello di docenti. Ne è derivata una immagine certamente non favorevole del ruolo dell’istituzione, quasi un’intrusione

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indebita nella nostra attività for-mativa, e ciò può generare reazioni anche emozionali non indifferenti. Non solo a livello personale, ma anche di gruppo e d’istituzione: siamo molto sensibili ai giudizi altrui, soprattutto quando questi si basano su elementi informativi parziali. D’altra parte le rilevazioni del tipo Ocse-Pisa e Invalsi inevi-tabilmente, anche a causa delle tec-niche redazionali ed elaborative di natura statistica che devono essere utilizzate, forniscono informazioni parziali e legate a specifiche as-sunzioni sia teoriche, sia procedu-rali. Tuttavia, se si è consapevoli dei limiti delle informazioni che tramite esse si possono ottenere, tali conoscenze permettono un non piccolo apporto conoscitivo sulla situazione esistente.Certamente si tratta di elementi informativi che riguardano so-lo aspetti particolari rispetto alla complessa struttura delle compe-tenze personali; elementi raccolti in un momento specifico della vita scolastica e formativa; riferiti a una particolare interpretazione degli obiettivi specifici di apprendimen-to; che non tengono conto del ca-rattere situato degli apprendimenti; ecc. Nonostante ciò, si ottengono informazioni riguardanti manife-stazioni di competenza che sono esplorate nello stesso modo e se-condo le stesse modalità di elabo-razione in ogni ambito degli studi. Esse forniscono elementi infor-mativi insostituibili, che possono orientare nell’attività formativa: un feedback che certo si dovrà valuta-re nella sua attendibilità e validità al fine di impostare meglio il pro-prio lavoro, ma che senza di esso ci verrebbe a mancare ogni termine di confronto. Anche per rendere più affidabile e completa la valuta-zione interna di istituto.

sviluppo senza istruzione

e formazione?Pura illusione

di Rosalba silverio

Distinguere il giudizio sull’apprendimentoe sulle competenze degli studenti

da quello di sistema

I risultati del Programma PIAAC, resi noti già a partire da ottobre del 2013, probabilmente non so-

no giunti inaspettati per chi opera nel mondo dell’istruzione, ma for-se, almeno speriamo, hanno fatto riflettere chi, per troppo tempo, ha chiuso gli occhi dinnanzi alla crisi crescente di questo settore. Si tratta, infatti, di dati a dir poco, “sconfor-tanti”: l’Italia è all’ultimo posto per quanto riguarda la percentuale di individui che ot-tengono il livello 3 o super iore, con uno scarto di 10/20 punti ri-spetto alla media europea.Molteplici, natu-ralmente, le cau-se, quale ad esempio, la mancanza di interesse per le attività di formazione da parte degli adulti. La nostra parte-cipazione ad esperienze di apprendi-mento formale o informale è, infatti, la più bassa tra i Paesi Ocse: il 24% a fronte di una media del 52%. Le ragioni? Quelle addotte dai par-tecipanti sono fondamentalmente i costi e gli impegni lavorativi o fami-liari. Dal canto nostro ipotizziamo che la mancanza di motivazione ad impegnarsi in ulteriori apprendi-menti sia anche dovuta al fatto che...• … il 13% dei lavoratori sono over

– qualificati, ovverosia in possesso di qualifiche superiori a quelle richieste dalla propria attività, • la probabilità di trovare lavoro per i laureati tra 25/39 anni è pari a quella dei diplomati e superiore di soli 13 punti a quella di chi ha la licenza media, • “nel 2010 il rendimento della laurea per i lavoratori dipendenti italiani, ri-spetto a chi ha un solo diploma, è sta-

to poco più del 30%, 15 punti percentuale in meno rispetto agli altri Pa-esi europei” . Diretta conse-guenza di tutto ciò sono quei giovani tra i 15 e i 35 anni

(ben il 40%!) che non riconoscono valore all’istruzione universitaria, di-menticando che “gli adulti che hanno raggiunto punteggi più bassi hanno quasi il doppio di probabilità di fini-re in quel quarto della popolazione che guadagna meno, con il rischio di diventare un peso per la società in termini di costi sociali”. Giovani, dunque, che non sono d’accordo sul fatto che “le persone che hanno rice-vuto anche solo un’istruzione di base aumentano fortemente le opportuni-tà di impiego, le possibilità di parte-cipazione politica, e le competenze

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per interagire proficuamente con gli altri nella società, ad ogni livello, lo-cale, nazionale ed anche globale e che la formazione è importante di per sé ed è fonte di soddisfazione per tutta la vita (…).” A questo pro-posito l’indagine evidenzia una cor-relazione positiva tra titoli di studio elevati e partecipazione ad attività associative e di volontariato, migliore stato di salute e di fiducia negli al-tri. Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto l’Italia risulta essere uno dei paesi più diffidenti. Un dato alquanto preoccupante se è vero che “laddove la fiducia reciproca è più elevata, la società funziona meglio, è più pro-duttiva, più cooperativa, più coesa, meno diffusi sono i comportamenti opportunistici e più ridotto il livello della corruzione”. Alla luce di queste affermazioni non può non destare preoccupazione la riduzione delle spese “culturali” sostenute dalle fa-miglie, ovverosia cinema, concer-ti, teatri, musei, libri, dal momento che il livello d’istruzione dei genitori sembra essere uno dei maggiori de-terminanti di quello dei figli. Coloro i quali hanno conseguito il diploma, ma nessuno dei genitori lo possiede, hanno infatti una più alta probabilità di stare ai più bassi livelli di literacy rispetto a coloro i quali hanno un titolo di studio inferiore al diploma, ma almeno un genitore con titolo di studio pari o superiore. “La forma-zione non ha luogo soltanto a scuola. Gran parte degli aspetti che mi stan-no a cuore devono essere modellati anche in famiglia, dai primi giorni di vita, e per tutto il corso dell’infan-zia. Una politica pubblica sensibile alle problematiche che qui sollevo dovrà prendere in considerazione il sostegno alle famiglie nell’impegna-tivo compito di sviluppare le capa-cità dei bambini”. Dinnanzi a tale affermazione si fa subito riferimento alla crisi economica, ma in realtà la spesa pubblica italiana nelle politiche attive per la formazione e i servizi per l’impiego era già nel 2007, prima della crisi, pari a due decimi di punto percentuale del PIL, la metà di quella

sostenuta in media nell’intera Unione Europea e meno della metà della spe-sa in Francia e Germania. Durante la crisi, la quota del PIL destinata a tali politiche in Italia si è ulteriormente ridotta, mentre è cresciuta in quasi tutti i paesi dell’Unione. La ricerca PIAAC, inoltre, ha coinvolto anche generazioni il cui percorso di studi si è svolto nel periodo di benessere eco-nomico; prova evidente che qualcosa di più profondo, non legato alla crisi, mina da tempo le nostre istituzioni formative che rappresentano sempre più “luoghi per ascoltare piuttosto che luoghi nei quali si agisce per analizzare, vagliare, dibattere, risol-vere problemi”. Luoghi dove ogni giorno vengono insegnate risposte, dimenticando che sono le domande l’occasione di crescita e di costruzio-ne del sapere. Nessuna meraviglia, dunque, se secondo una recente inda-gine Mckinsey & Company, nei neo-assunti mancano, a detta dei datori di lavoro, proprio le capacità analitiche e di problem solving, il pensiero la-terale, la capacità di gestire conflitti, di comunicare e di lavorare in grup-po, insomma tutte quelle competen-ze trasversali che il nostro sistema scolastico e universitario sembrano ignorare. L’obiettivo deve essere in-vece quello di “formare gli studenti ad essere riflessivi, ad essere pensa-tori disciplinati e indipendenti, rigo-rosi e creativi, esperti, con un senso di responsabilità sociale, fornendo conoscenze, competenze e habits of mind che permettano loro di godere di un apprendimento per la vita, ren-dendoli capaci di adattarsi alle mute-voli circostanze, e condurre una vita produttiva”. Ciò non deve significare, naturalmente, un completo abbando-no dei contenuti più “tradizionali”, ma, semplicemente, una maggiore attenzione al “come”, ai processi più che ai contenuti investendo, innanzi-tutto, nella qualità degli insegnanti, nella loro crescita e aggiornamento continuo. Come si può anche solo pensare di trasmettere ai bambini e ai ragazzi la mentalità di una life long learning se non c’è da parte dei

docenti stessi l’esigenza di acquisire continuamente nuove conoscenze, abilità e competenze?Conoscenze e abilità, che non pos-sono però essere acquisite attraver-so i classici corsi di aggiornamento, standardizzati e spesso lontani dall’e-sperienza quotidiana dei docenti.

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Se si vuole stimolare innovazione e creatività è necessario rivedere la formazione in un’ottica di ricerca, rif lessione, condivisione; in una parola “comunità di pratica”. Solo chi si apre alla collaborazione, alla ricerca, adotta, infatti, nuove mo-dalità di insegnamento e stimola

tali competenze anche nei ragazzi. E’ evidente che ciò deve andare di pari passo con un valido sistema di valutazione dei sistemi d’istruzio-ne e del personale stesso. Un tema, quest’ultimo, che da sempre suscita atteggiamenti di rifiuto e chiusura. Si può naturalmente discutere delle modalità, probabilmente inadeguate, fino ad ora proposte, ma è innegabile che un sistema adeguato di valutazio-ne vuol dire riconoscimento, stimolo al miglioramento, competitività, tutti elementi indispensabili se si vuole veramente rivedere l’organizzazione e la gestione dei sistemi d’istruzione e formazione.Come non pensare, del resto, al fatto che più di uno studente su 10 abban-dona gli studi nei primi due anni del-le superiori e nella classe di età 18/24 un giovane su cinque ha al massimo la licenza media? Come non ricor-dare il mondo dei Neet: 2.600.000 giovani under 30, ovverosia il 45% della popolazione giovanile, che non studiano e non lavorano? Non a caso uno degli obiettivi presenti nel programma Europa 2020 è quello di ridurre al 10% la quota di giovani che abbandonano prematuramente gli studi e far sì che almeno il 40% dei ragazzi compresi tra i 30 e i 34 anni completino gli studi superiori. E’ evidente che ciò richiede dei cambiamenti che possiamo definire “strutturali” e dei quali, purtroppo, non conosciamo tempi e modalità. Cosa fare in attesa (e nella speranza) che essi vengano realizzati? Quali le strategie e le risorse che gli isti-tuti scolastici possono mettere in campo? Per rispondere a questa do-manda partiamo innanzitutto dal presupposto che, troppo spesso, l’ab-bandono scolastico e universitario sono il risultato di scelte sbagliate. Ecco dunque l’importanza dell’o-rientamento per offrire ai ragazzi strumenti che consentano loro di riflettere sulle scelte, sviluppando in tal modo una maggiore capaci-tà di controllo sul proprio futuro. Non si tratta più di dire “la scuola o l’università adatta a te è …”, ma

aiutarli a definire obiettivi e interes-si, cercando di bilanciare preferenze e attitudini da un lato e possibilità di sbocchi occupazionali dall’altro. Si tratta di un compito non facile se si pensa che “una generazione fa un insegnante poteva anche im-maginarsi che quello che stava in-segnando ai suoi alunni sarebbe bastato loro per tutta la vita, oggi sappiamo che dobbiamo insegnare a pensare in maniera diversa, a pen-sare lavori che magari nel momento in cui si studia ancora non esisto-no, a risolvere problemi che ancora in questo momento non si pongono e non riusciamo a immaginare” . Altro valido contributo può essere fornito dal mentoring, strategia d’in-tervento sempre più diffusa negli ul-timi anni.Duplice il vantaggio che essa può fornire: da un lato educare i giova-ni alla collaborazione, al lavoro in team, ovverosia ad alcune di quelle competenze soft di cui, come det-to, si avverte la mancanza, dall’al-tro aiutare chi è in difficoltà senza minarne l’autostima e stimolandone la motivazione. In realtà la “vera” motivazione può nascere solo da una reale corrispondenza tra le co-noscenze acquisite e il loro utilizzo, ovverosia dall’integrazione tra scuola e mondo del lavoro anche attraverso tirocini, stage, apprendistato. Si tratta di esperienze fortunatamente sempre più diffuse ma troppo spesso adot-tate solo al fine di poter disporre di manodopera a basso costo piuttosto che come possibilità di crescita, rite-nendo l’aspetto formativo quasi una perdita di tempo. In conclusione la nostra speranza è che i risultati dell’indagine PIAAC non restino negli archivi dell’Isfol, ma possano veramente indurre ad una “ rif lessione profonda sulla necessità di investire sulle compe-tenze dei cittadini come fattori di sviluppo economico e sociale. Pensare che tale sviluppo possa pre-scindere da buoni livelli di forma-zione e istruzione e competenze sui luoghi di lavoro è una pura illusione”.

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Theuth e la crisi della scrittura. Idee per un’altra scuola

Ho l’impressione che il dibattito sulla scuola, per lo meno quello che sembra al centro dell’interesse dei politici (l’ultimo è quello

della Buona Scuola) sia sempre più lontano dai pro-blemi che quotidianamente gli insegnanti, le fami-glie e gli stessi allievi si trovano ad affrontare. Quella sulla quale riferiscono gli organi d’informa-zione è il più delle volte una scuola virtuale, che poco ha a che spartire con la scuola reale. Si è dif-fuso un gergo improbabile, denso di parole che a loro volta, se hanno un significato, l’hanno all’in-terno di altri gerghi (per esempio, molte parole ed espressioni in inglese derivano non dal linguaggio comune, ma da quello dalla cultura aziendale). Si procede annunciando palingenesi che si confida si-ano presto dimenticate, per far posto a nuovi an-nunci che consentano di drenare le scarse risorse ancora disponibili. Intanto le condizioni reali della scuola continuano a peggiorare. L’enfasi posta sui benefici immancabili della diffusione di nuove ri-sorse strumentali rientra rapidamente con l’esaurir-si della validità di mercato delle successive proposte merceologiche, al punto che si potrebbe delineare una storia dell’educazione nel Novecento centrata sugli atteggiamenti ciclotimici associati al messia-nismo modernizzatore. Già prima della Grande Guerra c’era chi sosteneva che la scuola imperniata sull’interazione diretta fra allievi e insegnanti aves-se fatto il suo tempo e che sarebbe presto stata so-stituita da emissioni radiofoniche. Altri annunci si sono susseguiti con la medesima intonazione profe-tica, fino ad arrivare, un secolo dopo, a designare le scuole con la stessa sequenza numerica che si usa per indicare le successive versioni dei programmi per la comunicazione in rete: ora abbiamo le scuole 2.0, che però stanno per cedere il passo a quelle 3.0. Quel che dà la misura dell’astrattezza del confronto sulla scuola è l’assenza nelle diverse proposte di un progetto educativo per il medio e il lungo termine. Anche quando si affrontano temi certamente attua-li, come sono i rapporti di lavoro degli insegnanti, si cercano soluzioni che prescindono dalla defini-zione di un quadro di sviluppo per l’educazione, con la conseguenza di erodere il credito sociale che ad essa si riconosceva, per la semplice ragione che a un’attività che supponeva intelligenza e capacità

di scelta sono lasciati margini sempre più modesti di decisione. Si fa un gran parlare di valutazione, e si pretende, del tutto irragionevolmente perché si avrebbero migliori indicazioni operando su cam-pioni, di rilevare i livelli di competenza raggiunti dalla totalità degli allievi. Ma non ci si cura di ac-certare quanti allievi sono ancora in grado di legge-re dimostrando comprensione o di scrivere senza la mediazione di un mezzo digitale. Invece di cogliere la relazione che collega le difficoltà che gli allievi incontrano nell’apprendimento con i limiti delle condizioni organizzative e didattiche, si preferisce considerarle manifestazioni patologiche. Chi oppo-ne agli scenari da Truman Show la modestia delle osservazioni quotidiane si sente rispondere che og-gi il mondo è cambiato e che altre sono le necessità degli allievi, che occorre apprendere linguaggi al-ternativi e superare stili di apprendimento orientati nel senso della profondità (più parole, una sintassi più complessa, un’argomentazione più solida, una capacità di fare che rafforzi la conoscenza). In que-sti tempi in cui non si può dire che avvenga troppo di frequente di incontrare in un riferimento colto, tanto meno da parte di chi pretende di innovare in campo educativo, non è però raro imbattersi nel ri-chiamo a un passo del Fedro di Platone, piegato a fungere da argomento a sfavore di una cultura e di un’educazione che facciano del testo scritto uno dei loro capisaldi. Per evitare di far menzione di un te-sto citato più per sentito dire che per diretta espe-rienza, conviene incominciare la riflessione che mi accingo a sviluppare proprio da una lettura, o rilet-tura, della fonte. Per non cadere in schematismi interpretativi che potrebbero condizionare la com-prensione, sarà opportuno partire da alcune eviden-ti costatazioni: si tratta di un testo scritto; chi parla (Socrate) non ha lasciato nulla di scritto, ma si face-va leggere (proprio da Fedro) il libro sui cui argo-menti voleva discutere, il Lisia; la contrapposizione tra l’oralità e la scrittura, fin troppo enfatizzata da alcuni interpreti, è funzionale allo sviluppo di una tesi. In conclusione, ciò che Socrate afferma è un punto di partenza, non è quello d’arrivo. Lo è così poco che se oggi abbiamo qualche conoscenza di Socrate e del suo pensiero si deve a ciò che altri (in primo luogo Platone, ma anche Senofonte) ne hanno

di Benedetto Vertecchi

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scritto. Non è il solo caso di un messaggio, origina-riamente orale, che si è conservato perché ne esiste un’esposizione scritta. Penso ai poemi omerici, ma soprattutto alla predicazione e alla vita di Gesù, che conosciamo perché Matteo, Marco, Luca e Giovan-ni ne hanno lasciata una testimonianza scritta. Ecco dunque il passo del Fedro. Parla Socrate: “[274c] Ho sentito raccontare (…) che presso Naucrati, in Egit-to, c’era uno degli antichi dèi del luogo al quale era sacro l’uccello che chiamano ibis; il nome della di-vinità era Theuth. Questi inventò dapprima i nume-ri, il calcolo, la geometria e l’astronomia, poi il gioco della scacchiera e dei dadi, infine anche la scrittura. Re di tutto l’Egitto era allora Thamus e abitava nella grande città della regione superiore che i Greci chiamano Tebe Egizia, mentre chiama-no il suo dio Ammone. Theuth, recatosi dal re, gli mostrò le sue arti e disse che dovevano essere tra-smesse agli altri Egizi; Thamus gli chiese quale fosse l’utilità di ciascuna di esse, e mentre Theuth le passava in rassegna, a seconda che gli sembrasse parlare bene oppure no, [274e] ora disapprovava, ora lodava. Molti, a quan-to si racconta, furono i pareri che Thamus espres-se nell’uno e nell’altro senso a Theuth su ciascu-na arte, e sarebbe troppo lungo ripercorrerli; quando poi fu alla scrittura, Theuth disse: questa conoscenza, o re, renderà gli Egizi più sapienti e più capaci di ricordare, poiché con essa è stato trovato il farmaco della memoria e della sapienza. Allora il re rispose: Ingegnosissimo Theuth, c’è chi sa partorire le arti e chi sa giudicare quale danno o quale vantaggio sono destinate ad arrecare a chi intende servirsene. Ora tu, [275a] padre della scrittura, per benevolenza hai detto il contrario di quello che essa vale. Questa scoperta, infatti, per la mancanza di esercizio della memoria, produrrà nell’anima di coloro che la impareranno la dimenticanza, perché fidandosi della scrittura ri-corderanno dal di fuori mediante caratteri estranei, non dal di dent ro e da se stessi; perciò tu

hai scoperto il farmaco non della memoria, ma del richiamare alla memoria. Della sapienza tu procuri ai tuoi discepoli l’apparenza, non la verità: ascol-tando per tuo tramite molte cose senza insegnamen-to, crederanno di conoscere molte cose, [275b] mentre per lo più le ignorano, e la loro compagnia sarà molesta, perché sono divenuti portatori di opi-nione anziché sapienti”. [trad. di G. Caccia]. Il pun-to centrale dell’argomentazione non è la scrittura in sé, ma la sua utilità e la relazione tra la scrittura e la memoria. Si distingue poi tra una memoria inter-na, che è il frutto di una interiorizzazione profonda, e una esterna, che ha il solo compito di richiamare quanto già acquisito in quella interna. La saggezza fa riferimento alla memoria interna e si consegue attraverso procedimenti dialettici (il dialogo socra-

tico). Ebbene, questo testo è di attualità per le ragioni contrarie a quelle che solitamente si indicano. Quel che conta è una conoscen-za in profondità, non un’informazione svo-lazzante che non pro-duce saggezza . La cultura alfabetica (let-tura e scrittura) è im-portante per conferire a ciò che si apprende lo spessore necessario. Vorrei trarre da queste considerazioni alcune idee che potrebbero ri-

portare la scuola su una linea di sviluppo:• L’approfondimento è più importante dell’estensio-ne; • La conoscenza ha bisogno di essere sostenuta dall’esperienza; • Per conoscere dobbiamo saper usare un linguaggio opportuno; • Leggere e scrivere collegano l’attività della mente a quella dei sensi; • Le scelte devono essere giustificate non per l’imme-diato ma per il tempo lungo: solo nel tempo lungo si può valutare se l’educazione ha fornito a chi ne ha fruito condizioni positive per l’adattamento alla vita.Un programma centrato su questi punti si può enun-ciare in un paio di pagine. Perché nascondersi die-tro un latinorum che, come quello di don Abbondio, risponde all’intento di non essere compreso?

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ScuOla e famIglIadi Rita Manzani Di Goro

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è uno spaccato vivo e vibrante della scuola, anche se talora un po’ scontato, quello che ci re-

stituiscono i post della sezione “Co-struiamo insieme” all’interno della consultazione generale #LaBuona-Scuola. è questo lo spazio riservato ai singoli cittadini, che esternano ri-flessioni belle e brutte, ma soprattutto vere. Nonostante le fosche previsioni della vigilia, sono veramente scarsi gli interventi che giudicano la scuola dall’esterno, in genere invitando gli insegnanti a lavorare più ore e per più mesi.Troviamo invece precari e perdenti posto, che occupano un sacco di spa-zio per aggiornarci su GAE e classi di concorso sacrificate, e anche inse-gnanti che parlano della loro esperien-za scolastica; in misura minore, anche le altre componenti scolastiche dicono la loro: dirigenti, personale ATA, stu-denti e, ovviamente, genitori.Alcuni interventi sono teneri nella lo-ro inesperienza, come quello di “au-mentare la durata del mandato delle cariche elettive dei consigli d’istituto, portandola da 1 a 2 anni” oppure ad-dirittura spiazzanti, come lo studente che dichiara: “Io ho sempre avuto dif-ficoltà a stare attento in classe soprat-tutto perché la scuola inizia presto. Troppo presto. Io quindi consiglio di spostarla 1 ora avanti... Magari far-la cominciare alle 9 al posto delle 8. Questo aiuterebbe molti studenti”. Non mancano le proposte originali: “Riformulare i piani orari secondo la formula 6x6x3x25, ovvero (6 docen-ti) x (6 ore settimanali per classe) x (3 classi parallele) x (ogni classe di al massimo 25 alunni)”. Altri com-menti sono toccanti, come quello della mamma che propone: “insegniamo ai bambini la cura per la loro scuola; a lavorare intensamente e liberamen-te senza ridurre le classi a campi da battaglia; a giocare nel giardino ri-spettandolo; ad utilizzare i bagni con

educazione. I bimbi di oggi saranno i cittadini italiani di domani”. Gli in-terventi di genitori e studenti si spen-dono per lo più sul versante pratico, come chi propone di assicurare i geni-tori e permettere loro di fare i lavoretti di manutenzione a scuola “ciò sarebbe d’esempio per i figli nel trattare me-glio gli ambienti e gli arredi scolasti-ci”. Sempre in ambito di pulizie, non mancano le proposte: “Se nella scuola pubblica i genitori versassero un pic-colo contributo per il mantenimento e la manutenzione, forse sparirebbero tanti atti vandalici da parte degli alun-ni” e anche “Le pulizie non potrebbe-ro essere affidate a turno agli studenti, come avviene altrove?”. La lamentela sulle ditte di pulizie è comunque con-sistente: “Occorre dare la possibilità di tornare ad avere il personale tutto interno eliminando le imprese di pu-lizia; comunque l’appalto nazionale è poco funzionale e sarebbe meglio almeno poter gestire direttamente il budget assegnato alla scuola con appalto locale. Oggi le lamentele si perdono in un rinvio di responsabilità, di accertamenti, di controprove, ecc.” Nella grande varietà di proposte, non mancano interventi a tutela degli stu-denti DSA né suggerimenti per utiliz-zare “piedibus (spostamenti a piedi), bicibus (spostamenti in bici) e car po-oling (spostamenti in auto condivisa)”. Ci sono poi anche considerazioni che sposano il benessere della scuola con quello generale: “Se le scuole chiu-dono i paesi si spopolano: garantire le scuole anche minuscole nei piccoli centri” e anche “Sovente in classe gli studenti si spogliano per restare in maglietta a maniche corte mentre il radiatore è bollente. Il riscaldamento delle scuole è ‘centralizzato’ e rego-lato a livello provinciale. Oltretutto è paradossale fare nelle scuole i più bei percorsi didattici sul risparmio energetico e poi sprecare quantità enormi di energia in questo modo”.

Giustamente, non poteva mancare qualche richiesta di parte: abolizione delle fotocopie a carico delle famiglie; scuole materne ed elementari aper-te anche d’estate; proteste per l’onere di acquistare materiale didattico e di pulizia; richiesta di colloqui in tempi distesi e compatibili con le esigenze lavorative dei genitori e poi “gli inse-gnanti dovrebbero essere valutati sia sulle competenze disciplinari sia su quelle relazionali dal Dirigente scola-stico, dai genitori e dagli allievi delle scuole secondarie”. Anche gli studenti non hanno mancato di avanzare qual-che richiesta loro propria: abolire il divieto per i rappresentanti degli stu-denti minorenni di votare su ordini del giorno di tipo economico; tempi di apprendimento più distesi, con li-mitazione della quantità dei compiti a casa; valutazione periodica degli inse-gnanti da parte degli studenti; regola-rizzazione del numero di verifiche su base settimanale; più lingue straniere; LIM funzionanti; aumentare i poteri del comitato studentesco. Interessante la presa di posizione del Forum del-le Associazioni dei genitori costitu-ita presso l’Usr Lombardia (Forags Lombardia), che lamenta: “i genitori sono stati dimenticati o quantomeno, relegati ad un’appendice poco signi-ficativa tra i protagonisti della Buona scuola” e chiede che la prossima ri-forma “metta al centro la responsabi-lità educativa della famiglia secondo l’art. 30 della Costituzione italiana; consideri l’importanza del ruolo dei genitori e delle associazioni che li rappresentano; sia strutturata come un sistema fondato su tre pilastri: do-centi, studenti, genitori”; d’altro canto c’è chi auspica Consigli d’istituto più preparati. Sui libri di testo si è scate-nata una vera e propria bufera, non si contano gli interventi che chiedono di: riportare a 5/6 anni il minimo di adozione di un libro, soprattutto per medie e superiori; obbligare le case

Fotografie dalla Buona scuola

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ScuOla e famIglIa lA BuoNA scuolA

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editrici a segnalare che cosa è stato modificato rispetto alle edizioni pre-cedenti e per quale numero di pagine; stabilire per legge che i testi digitali non possano costare più del 50-70% di quelli cartacei o misti (ora la dif-ferenza è di pochi euro); mantenere qualche libro in formato cartaceo, per non costringere i ragazzi al solo testo su schermo; favorire mercatini dell’usato a cura di genitori e studenti e soluzioni di comodato d’uso, in cui i testi vengono restituiti a fine ciclo, pagando una penale se risultano dan-neggiati; alle elementari creare una dotazione di classe; strutturare i libri a fascicoli; prevedere un portale unico per gli e-book, non uno diverso per ciascun editore; e soprattutto far ri-spettare i tetti di spesa ed evitare zaini troppo pesanti”.Nel panorama generale, si sono collocate fra le più condivise da un lato le proposte relative alla scuola paritaria e dall’altro quel-le avanzate dall’Associazione ge-nitori A.Ge., che si è organizzata per gruppi di lavoro e ha prodot-to istanze sulle principali tema-tiche d’interesse per i genitori: mantenere il rappresentante di classe come elemento necessario per fondare la comunità educan-te; formazione obbligatoria per gli eletti negli organi collegiali; prevedere una comunità scola-stica e non un dirigente timonie-re alla guida delle scuole; porre un limite massimo di 1000-1200 alunni; cattedre coperte fin dal primo giorno di scuola; detraibi-lità di tutte le spese scolastiche, comprese gite e libri di testo; tu-tele su libri e trasporti; copertura assicurativa per il volontariato a scuola; banda larga, software fornito dal ministero e cablaggio delle reti.Ora, dopo uno sforzo collettivo imponente come quello che si è visto da parte di tante perso-ne che tengono alla scuola, resta solo da vedere se da esso pren-derà vita una riforma realmente condivisa.

l’educazione ed il rispetto

Sono due capisaldi del rapporto fra persone che sta cambiando nel tempo. Negli anni 40 e ‘50 si notava anche nelle lettere che il cittadino scambiava con gli enti. Era rituale l’espressione “...rivolgo rispettosa domanda...” . La parola educazione è spesso ritenuta complementare di insegnamento o istru-zione anche se quest’ultima voce tende ad indicare metodologie più spiccatamente “trasmissive” dei saperi. Tuttavia, il significato di educazione è più ampio e mi-rante ad estrapolare e potenziare anche qualità e competenze inespresse. Il ruolo dell’istruzione è essenziale perché attraverso buoni “maestri” si forma la futura classe dirigente, ma accanto alla consapevolezza delle parole occorre un diverso ruolo di chi è chiamato a dirigere. un comportamento sicuramente più umano nel comprendere che la “gente” non ce la fa più a vivere nell’incertezza del proprio presente e futuro. l’educazione è anche questo.

di Giocondo Talamonti

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di Italo Fiorin

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Il cantIere delle dIdattIca

competenze chiave e cittadinanza attivaIl tema delle competenze ‘chiave’ o ‘di cittadinanza’ è diventato fa-miliare nella nostra scuola, anche grazie alla revisione dei curricoli apportata dalle Indicazioni na-zionali, tanto nel primo quanto nel secondo ciclo di istruzione. Quali siano tali competenze ci è stato segnalato dalla Raccoman-dazione del Parlamento europeo del 2006, recepita alla lettera nelle Indicazioni nazionali per la scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, o interpretati con un certo grado di adattamento, come nel caso del biennio della scuola secondaria di secondo grado. La richiesta di finalizzare il curri-colo allo sviluppo di tali compe-tenze, di tipo trasversale, segnala l’affermarsi di un importante in-dirizzo pedagogico, consisten-te nello spostamento del fuoco dell’attenzione dalle discipline allo studente, dalle nozioni alla loro utilizzazione, dalla realtà ‘ac-cademica’ alla vita reale. Le com-petenze, del resto, si dimostrano quando si è impegnati in situazio-ni complesse, quando siamo posti di fronte ad un problema sfidante, nella quale siamo quasi costretti a far appello a tutte le nostre perso-nali risorse e a quanto sappiamo utilizzare di ciò che ci offre il con-testo nel quale ci troviamo ad agi-re. Essere dentro una situazione sfidante rappresenta la condizione maieutica indispensabile per poter far emergere le competenze. Ecco perché un sapere e un saper fare di tipo meramente accademico risultano scarsamente significa-tivi e diventa necessario uscire dall’aula, situarsi in ambiti quanto più possibile reali. Le competenze chiave sono quelle di cui abbiamo

bisogno nella vita, ecco perché so-no tanto importanti. Fin qui c’è un largo accordo fra quanti si occu-pano di formazione. Non è facile, ma ormai si è capito che bisogna imboccare questa strada.ma, c’è sempre un ma...La ‘Grosse Koalition’ sulle com-petenze, però, finisce qui, e oltre lo zoccolo di condivisione si apro-no le differenziazioni. Ci sono, in-fatti, tre diversi modi per intendere le competenze ‘chiave’’. Il primo, quello senza dubbio più diffuso, le interpreta in maniera decisa-mente strumentale e utilitaristica. In un certo senso le competenze vengono a costituire quello che un tempo era il ‘leggere, scrivere, far di conto’ . è questo un mo-do riduttivo di riferirsi all’alfabe-tizzazione, che se, da un lato, ne allarga gli orizzonti, dall’altro li riduce di senso. La cittadinanza così intesa è legata al padroneg-giamento di una molteplicità di codici, da quelli linguistici a quel-li digitali, da quelli numerici a quelli tecnologici. Il ‘nuovo’ citta-dino sa muoversi disinvoltamente, sa connettersi, sa farsi capire, è efficiente, a suo agio nell’intri-co delle trasformazioni che si susseguono. Liberato dal carico nozionistico e non impacciato da riferimenti valoriali, è aperto a cogliere tutte le opportunità che il futuro riserva a chi è svelto, di-sinvolto e, insomma, sa ‘stare al mondo’. Se questo è il quadro di riferimento, le discipline di studio ricevono valore o lo perdono, in relazione al loro grado di utili-tà. Viene riscritta la gerarchia del curricolo, e se Giovanni Gentile poneva al vertice della piramide della formazione la filosofia, oggi

l’ideologia funzionalista vi pone la tecnocrazia del ‘saper fare’. C’è un secondo modo di intendere le competenze chiave, che si disco-sta molto dal riduttivismo utili-taristico. Le competenze devono contribuire alla formazione della ‘testa ben fatta’, alla quale va fi-nalizzato un curricolo scolastico profondamente rivisitato, non solo nei contenuti, ma nei metodi didat-tici. In questa visione le discipline umanistiche non sono ferrivecchi da rottamare, ma vanno rivitaliz-zate facendole entrare in contatto fecondo con i saperi scientifici e tecnici, in una prospettiva che al-larga l’orizzonte degli alfabeti non nella direzione della loro moltipli-cazione ma della loro ibridazione, valorizzandone l’unitarietà pro-fonda. Più che del ‘saper fare’ ci si preoccupa del ‘saper pensare’, condizione indispensabile per vi-vere nella complessità dell’attuale condizione umana.Per che cosa prenderemo posi-zione? C’è anche un terzo punto di vista, a proposito delle com-petenze di cittadinanza, che la scuola dovrebbe promuovere. La società attuale viene definita in molti modi (‘società della cono-scenza’, ‘società dell’incertezza’ ‘societa della complessità’...). Per poter vivere in questa società ser-ve un’attrezzatura strumentale e culturale molto più robusta del passato. Servono gli alfabeti fun-zionali, senza che però si portino appresso la concezione pragmati-stica ed utilitaristica che spesso li accompagna; servono gli alfabeti culturali propri di una ‘testa ben fatta’, senza però l’illusione che le ‘teste ben fatte’ salveranno il mondo.

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Hannah Arendt diceva che altro è conoscere, altro è pensare. Pensare è più del conoscere e più del saper fare. Ma ancora non è sufficien-te, almeno se l’ideale perseguito è quello della cittadinanza. Pensare deve portare a valutare, valutare a decidere e decidere vuol dire pren-dere posizione. Per che cosa prende-remo posizione? Come purtroppo tristemente sappiamo, l’orrore che è stato possibile nel Novecento è stato il frutto non dell’ignoranza, ma della competenza tecnica e delle ‘teste ben fatte’ che la han-no indirizzata contro altri esseri umani. Gli orrori del nazismo, del fascismo, del comunismo non sono stati causati da persone ignoranti e incapaci. E, anche questo sappia-mo bene, non è che oggi il mondo sia molto cambiato. Sulle mace-rie delle ideologie del Novecento prospera un capitalismo selvaggio, ma non rozzo, guidato da menti raffinate, ma non turbate dai macro fenomeni della povertà, delle dise-guaglianze, delle intolleranze. E i fondamentalismi che producono mostri non sono il frutto del son-no della ragione. Ecco perché la scuola non può ‘accontentarsi’ di sviluppare competenze tecniche e di insegnare a pensare. Se si de-sidera la formazione di cittadini responsabili, che si prendano cura

della loro città e del loro pianeta, è urgente che la formazione indirizzi all’azione, e che l’azione sia espres-sione di solidarietà, di impegno per migliorare il presente. Non si tratta di affiancare al curricolo scolastico qualche progetto di solidarietà, di introdurre un po’ di volontariato a margine del programma di studi, ma di curvare l’apprendimento ver-so il servizio alla comunità. Service LearningUn approccio pedagogico molto dif-fuso oggi nell’America Latina, ma che si sta velocemente diffonden-do a livello globale, chiamato ‘Ap-prendimento Solidale’ o ‘Service Learning’, utilizza uno slogan par-ticolarmente efficace: “Apprendere serve, servire insegna”. Apprendere serve, di questo siamo tutti consape-voli. Ma può ‘servire’ a tanti scopi,

anche ad alimentare un individua-lismo competitivo che vede gli altri come intralci alla nostra af-fermazione. Quello che l’approccio pedagogico del ‘Service Learning’ vuole favorire è una educazione al-la condivisione dell’apprendimento realizzato attraverso lo studio, gra-zie alla sua messa a disposizione dei bisogni presenti nel contesto socia-le in cui si vive. Allora apprendere ‘serve’, perché si fa servizio per gli altri. In un mondo reso arido dall’u-tilitarismo esasperato, la gratuità viaggia controcorrente.La responsabilizzazione degli studenti nei confronti dei bisogni sociali presenta un importante ri-torno, il ‘servizio’ non procede a senso unico, da chi lo offre a chi lo riceve. Ci sono molti ‘vantaggi’ anche per chi agisce ‘gratuitamen-te’. L’apprendimento-servizio con-sente di mettere alla prova quanto si è appreso a scuola in un contesto reale, e quindi offre allo studente l’occasione di utilizzare e accre-scere le proprie competenze. Fare qualcosa di utile, inoltre, è fonte di grande motivazione, che spesso riconcilia i ragazzi con il loro ruo-lo di studenti. Il valore aggiunto dell’apprendimento che si rafforza attraverso il servizio è quello dall’ ‘apprendere ad essere’, cittadino e competente.

olTRE l’AulA

A scuola di service learningPresso l’università luMsA di Roma è stata recentemente istituita la scuola di Alta formazione “Educare all’incontro e alla solidarietà” (EIs).la finalità della scuola di Alta formazione è di promuovere, attraverso la ricerca teorica, la formazione, la documentazione e la produzione edito-riale, la cittadinanza attiva, secondo l’approccio pedagogico del ‘service learning’, avvicinando il sapere accademico alla realtà sociale.la scuola è inserita in una rete internazionale di università e centri di ri-cerca e nel consiglio scientifico sono presenti esperti di tutti i continenti.Direttore della scuola è stato nominato il prof. Italo Fiorin, della luMsA.

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Politica scolastica

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Nella prima repubblica la politica scola-stica era sostenuta da generale e costrut-tivo consenso. Dagli anni ’90 sembra che la scuola abbia perduto “l’anima” e fallito la propria missione. Sono en-trato nell’amministrazione scolastica nel dicembre del 1961, come vincitore del primo concorso pubblico bandito dal Ministero della Pubblica Istruzione per coprire i ruoli di vice-segretario nell’Amministrazione centrale e nei Provveditorati agli Studi. Alla conten-tezza per il posto fisso (tanto ambito da chi proviene da famiglie che vivono con la paga giornaliera ed incerta) si univa l’entusiasmo giovanile che, dopo lo studio, si misurava con il lavoro. Ma la sfida che in quei tempi animava e sol-lecitava la passione civile e l’impegno professionale del personale addetto ai Provveditorati era l’applicazione della legge “sulla scuola media unica”. Il 31 dicembre 1961 infatti era stata appro-vata la legge n°1859, con la quale il Go-verno presieduto da Amintore Fanfani aveva dato gambe al precetto costitu-zionale che garantisce ai cittadini l’ob-bligo scolastico fino al raggiungimento del 14° anno di età, unificando i corsi successivi alla scuola elementare allora distinti fra scuola media e scuola di av-viamento professionale. La legge ebbe un percorso accidentato in Parlamento ed una difficile accoglienza in buona parte della classe docente. Il pomo della discordia era costituito dallo “studio del latino”, obbligatorio nelle tre classi della scuola media ed assente nei cor-si professionali. Ci vollero molti anni prima che la questione risultasse supe-rata nelle classi del nuovo ordinamen-to. Una cosa invece fu subito chiara: la legge n°1859 aveva avviato in Italia la scolarizzazione di massa e creato i presupposti per introdurre nel nostro Paese politiche scolastiche che gli altri Stati europei, in gran parte, avevano percorso già da decenni.In quegli anni ’60 mancavano aule e professori. L’unico dato che cresceva a dismisura erano gli alunni: per la

prima volta molte famiglie iscrivevano i propri figli alla scuola media! Sindaci ed assessori affollavano gli uffici del Provveditorato per istituire la scuola media nei Comuni dove non funziona-va alcuna scuola secondaria (ed erano la maggioranza) o per trasformare in scuola media i corsi di avviamento, che andavano avanti ad esaurimento. I lo-cali erano per lo più di fortuna. Erano stati costruiti negli anni cinquanta molti edifici di scuola rurale per ospitare le pluriclassi della scuola elementare. Ma la programmazione e l’organizzazione non hanno mai trovato fecondo terreno nella terra italica. Quelle sedi scolasti-che rurali arrivarono quando i contadi-ni avevano abbandonato le campagne ed erano andati ad abitare nelle aree urbane per realizzare il cosiddetto “mi-racolo economico”.Dunque dove c’erano gli edifici scola-stici non c’erano gli alunni. Dove c’e-rano gli alunni occorreva arrangiarsi in magazzini o appartamenti, insomma in strutture di fortuna. Il metodo i t a l i a n o dell’arran-g iamento invest iva anche la do-cenza. Già allora ab-bondavano i maestri ma mancavano i professo-ri. Qui “la creatività nazionale” trovò ampio sfogo. Per insegnare lettere era valida ogni lau rea , e

se proprio non si trovava un laureato veniva nominato anche uno studente universitario. La laurea in giurispru-denza fu ritenuta utile per insegnare qualunque lingua straniera (inglese, francese, tedesco, spagnolo, arabo); il “leguleio” veniva abilitato ad insegnare addirittura una lingua straniera che non aveva mai studiato nel corso dei suoi studi. Fra le lauree richieste per insegnare la matematica i decreti mini-steriali inserirono le lauree in farmacia ed in veterinaria. Alle diplomate in economia domestica fu affidato l’in-segnamento delle “applicazioni tecni-che”. Queste anomalie hanno pesato per alcuni decenni sullo sviluppo e sul-la qualità della scuola italiana. Dopo gli anni di assestamento della scuola media, i titoli di studio che abilitavano all’insegnamento delle varie discipline furono corretti e resi coerenti con le materie curriculari. Nel frattempo pe-rò “gli interessi organizzati” di coloro che erano già in servizio nella scuola imposero ai Governi reiterate leggi di sanatoria per l’immissione nei ruoli del personale, cosicché una docenza spesso

Barbiana è lontana di Enzo Martinelli

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Politica scolastica

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una certa età) le stagioni della mia vita professionale, il raggiungimento degli obiettivi delineati ed attesi, i traguardi mancati. Appare chiaro che, in questi ultimi decenni, da parte delle pubbliche istituzioni si sono sprecate molte risorse finanziarie, ma soprattutto si è spreca-ta l’opportunità di valorizzare le tante potenzialità possedute da milioni di ra-gazzi che nelle aule non hanno trovato il giusto riscatto ed il meritato apprez-zamento e rafforzamento. Con grande, giusta ed orgogliosa soddisfazione si registra un aumento della scolarità, dei licenziati, dei diplomati, dei laureati. Spesso però dietro i titoli ci sono poche conoscenze e competenze. La disper-

sione è ancora troppo alta per un Paese che fa parte del G8 e la qualità media degli studi, quella fra eccellenza e me-diocrità, è molto bassa. E’ “la storia in-compiuta di eventi incompiuti”. Risorse umane che avevano ed hanno talenti che sono rimasti e rimangono sotterrati. E’ il vero spreco di ricchezza della qua-le le creature umane sono dotate e che non si è riusciti a mettere a frutto o lo si è fatto solo in parte. Occorre sperare che il futuro riservi orizzonti più sereni, idonei ad illuminare una stagione di riscatto, di emancipazione e di crescita come quella sognata e testimoniata a Barbiana mezzo secolo fa.

raccogliticcia e non proprio qualifica-ta rimase in cattedra per molto tempo fino al raggiungimento della pensio-ne, condizionando l’efficacia didattica ed i risultati degli alunni. Quello che qui preme evidenziare non sono però i limiti dell’applicazione di una legge rivoluzionaria, ma lo spirito positivo e costruttivo che animava l’impegno di tutti coloro che dentro e fuori della scuola avvertivano l’importanza epo-cale di partecipare all’edificazione di una comunità più istruita ed educata e dunque più emancipata, civile e giusta. L’esempio più noto e significativo di questo impegno collettivo è rappresen-tato dall’esperienza del prete di Bar-biana. L’esperienza pastorale vissuta e le riflessioni maturate in quel borgo dell’Appennino toscano da don Loren-zo Milani trovarono ampi consensi ed accaniti oppositori perfino nella stessa curia e nella comunità ecclesiale della quale don Lorenzo faceva parte. Ma il desiderio di “giustizia” reclamato da Barbiana per elevare, con la scuola, la dignità di ogni ragazzo coinvolgeva la coscienza di tutta la comunità na-zionale, che si sentiva impegnata, pur fra contrasti e contraddizioni, in una comune frontiera di progresso sociale.La “Lettera ad una professoressa” apri-va nuovi orizzonti alla scuola italiana riservata fino ad allora a pochi cittadini e che il popolo, più o meno analfabeta, identificava con il “maestro”. Si trattava di alzare l’asticella alla soglia dell’acco-glienza nella scuola e la quantità e la qualità dell’insegnamento per tutti. La ”professoressa” significava un innal-zamento del livello di studio le cui dif-ficoltà esigevano impegno e sacrificio non solo da parte dell’alunno. L’obiet-tivo era la scoperta e la valorizzazione delle potenzialità di ogni ragazzo il cui grado di libertà sarà poi condizionato dalle conoscenze acquisite e dalla for-mazione ricevuta.La convinzione di superare l’organiz-zazione selettiva della scuola ed aprirla a tutti i componenti della comunità sol-lecitava sentimenti condivisi di ugua-glianza e giustizia che trovarono larghe adesioni dentro e fuori delle istituzio-ni scolastiche. Insomma il dibattito

introdotto da don Lorenzo e dai suoi scolari animò una fertile stagione di confronto culturale e politico che si accompagnava a concrete aperture di scuole ed innovazioni didattiche. Non mancavano approssimazioni, stru-mentalizzazioni e contraddizioni, ma certamente quegli anni segnarono una crescita per la scuola italiana. Perché le positive e costruttive tensioni innescate in quel periodo si sono via via affie-volite nei decenni successivi ? Perché dopo aver modificato l’assetto del pri-mo grado dell’istruzione secondaria il Parlamento non è riuscito nei successivi 50 anni a riformare il secondo grado dell’istruzione secondaria ? Perché le leggi, riferite alla scuola, approvate nell’ultimo mezzo secolo riguar-dano prevalentemente le problematiche dei docenti ? Perché ci si è limitati a gestire la sco-larizzazione innescata dalla legge del 1961 senza avviare e favo-rire processi di quali-ficazione, innovazione e valutazione necessari per recuperare i ritardi che il sistema forma-tivo italiano registrava nei confronti degli altri Stati europei ? Ed infine perché nelle compara-zioni internazionali sulla scuola l’Italia recita la parte del gambero per quanto attiene la formazione dei nostri studenti e per le risorse destinate alla ricerca ? Leggo nella crisi della scuola italiana un affievolimento di fiducia “nell’impresa della conoscenza”, priva di un’anima che la vivifichi e di una speranza che la rinnovi. Una crisi che da tempo investe anche la famiglia, da sempre storica e fondamentale agenzia educativa. Né se la passano bene “i gruppi intermedi” (partiti, sindacati as-sociazioni, oratori ecc.) sedi di promo-zione umana e - come diceva La Pira – snodi vitali fra la persona e lo Stato. Nel fare queste considerazioni ricordo con nostalgia (come capita sempre ad

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Politica scolastica

Evoluzione dei saperi scientifici e rigidità curriculari:una proposta italiana per collegare ricerca e didattica

Ingegni minuti. Una storia della scienza in Italia di Lucio Rus-so e L’Italia degli scienziati di A. Guerraggio e P. Nastasi sono due testi che, usciti per celebrare i 150 anni dall’Unità d’Italia, possono aiutare a capire la storia, fatta di luci ed ombre, che ha avuto la ri-cerca scientifica nel nostro Paese. Malgrado le tante difficoltà, e il fatto che sovente le scelte politiche non abbiano supportato adeguata-mente il cammino della ricerca, l’Italia “scientifica” può comun-que vantare nove premi Nobel. Anche se bisogna ammettere che molti di essi hanno raggiunto i loro principali traguardi all’estero, non si può negare che l’Italia, in un secolo e mezzo della sua storia, è stata protagonista del dibattito e della ricerca scientifica, nei più diversi settori, anche emergenti, dalla fisica, alla biologia, alla me-dicina, alla chimica. Eppure oggi assistiamo a uno scenario assai meno edificante. I ragazzi che intraprendono carriere scientifi-che non sono molti e i livelli delle competenze scientifiche dei nostri alunni si collocano in una posizio-ne medio-bassa rispetto agli altri Paesi, come attestano i dati OC-SE PISA. Parlare quindi, in que-sto contesto, di quale contributo potrebbe dare la scuola è com-pito davvero arduo, ma al tem-po stesso urgente e politicamente ineludibile. La riforma della se-condaria di secondo grado, infatti, si è concentrata più sulla riorga-nizzazione degli assetti ordina-mentali, che non su una revisione dei programmi, che sono rimasti sostanzialmente invariati e poco

aggiornati. Assistiamo sempre più inermi e impotenti all’acuirsi di un gap clamoroso tra la dinami-cità crescente con cui si evolvono le conoscenze scientifiche e la relativa staticità dei contenuti e dei metodi di trasmissione con cui vengono in gran parte approccia-ti gli argomenti scientifici nella scuola, dove impera ancora un di-sciplinarismo incapace di leggere e interpretare le nuove linee di ricerca del “mondo” della scienza. Si guarda perciò prevalentemente al passato, al sapere scientifico come qualcosa di dato e sostan-zialmente astorico. Il problema in-veste questioni di fondo, anche di natura epistemologica, perché non si tratta soltanto di fare una capil-lare azione di aggiornamento nel-le scuole, ma di far entrare nella scuola italiana l’idea che le cono-scenze scientifiche sono sempre in via di ri-definizione, che non hanno soluzioni chiuse, univo-che e/o definitive, ma richiedono approcci e punti di vista sempre rinnovati e sempre più multidisci-plinari. Insomma, si potrebbe dire che la nostra scuola è concepita, fin dall’inizio della sua storia, più per trasmettere un tipo di sapere umanistico che scientifico, più le-gato alla tradizione che alla realtà mutevole delle conoscenze dell’u-niverso fisico, chimico, biologico. Il dibattito aperto da Snow nel 1959 sulle due culture, mai vera-mente decollato, dovrebbe forse oggi essere ripreso nel senso di sottolineare il valore delle specifi-cità e asimmetrie epistemologiche

tra il sapere umanistico e quello scientifico più che nell’intento di ricercare punti di incontro teori-co-astratti. La scuola è il terreno in cui i nostri ragazzi e le nostre ragazze sono chiamati a misurarsi con i problemi reali, cercando di decifrarli attraverso codici cultu-rali distinti e di trovare soluzioni aperte, nuove e problematiche. E’ sulle cose che si dovrebbero misu-rare l’efficacia di saperi e compe-tenze, di lì occorrerebbe sempre più spesso partire per decodifica-re la “cognizione situata”, vivente,

di Mariella di lallo

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Politica scolastica

nelle sue relazioni, nella sua com-plessità e nella sua storia. Ciò che va modificato è pertanto l’approc-cio metodologico-didattico gene-rale, anche se questo ormai non basta più, perché è impellente tro-vare allo stesso tempo un “ponte” efficace, strutturale e duraturo tra il mondo della scuola e quello del-la ricerca, la cui complementarità, che dovrebbe essere ovvia, nei fatti è del tutto assente. All’estero si sta lavorando da tempo a una revisione dei programmi currico-lari delle discipline scientifiche: è il caso della Francia, dell’Olanda, dell’Inghilterra, degli Stati Uniti, della Nuova Zelanda, del Canada, solo per fare qualche esempio. Si tratta, in tutti questi casi, di un

dibattito aperto, che coinvolge il mondo accademico scientifico e pedagogico, una cosa che in Ita-lia continua a mancare. Qui non si trova ancora il terreno solido, fatto di humus culturale e di con-sapevolezza politica, su cui poter costruire un programma di rin-novamento sistematico dell’inse-gnamento scientifico nelle scuole. Eppure un progetto di riqualifi-cazione scientifica della scuola potrebbe partire anche in Italia, cercando di aggirare gli ostacoli esistenti con soluzioni del tutto innovative, anche rispetto al pa-norama internazionale. E’ il caso della sperimentazione di un Cen-tro di documentazione scientifica, realizzato qualche anno fa con una

rete di scuole superiori abruzzesi, promossa da un protocollo d’intesa tra l’USR Abruzzo, l’Università degli Studi “D’Annunzio” di Chie-ti-Pescara e la Fondazione Mario Negri Sud. Mettendo insieme com-petenze scientifiche, pedagogiche, linguistiche e bibliotecarie avan-zate, si è provato a sperimentare, e a mettere in funzione, un piccolo gruppo di lavoro, altamente qua-lificato, in grado di trasferire, ai docenti presenti nella rete, una se-lezione guidata e aggiornata delle principali pubblicazioni di argo-mento scientifico presenti nelle più autorevoli riviste internazionali, e i cui contenuti si prestavano ad una trattazione multidisciplinare, ca-pace di incidere sul rinnovamento delle conoscenze e degli approcci didattico-metodologici. La ricerca documentaria si è avvalsa di ERIC e PubMed, due databases molto autorevoli rispettivamente in ambi-to pedagogico e scientifico. L’espe-rimento, di breve durata, ha avuto, tra i risultati più interessanti, pro-prio quello di poter dire che in-novare si può e che, a fronte di un modesto contributo annuale in gra-do di sostenerne il funzionamen-to, è possibile creare i presupposti per costruire un ponte innovativo tra scuola e ricerca, estremamente interessante in termini di qualità, efficienza ed efficacia, estendibi-le facilmente all’intero territorio nazionale. Si può, anche perché le sue fondamenta non poggiano sul terreno solido su cui si cimentano abitualmente ingegneri e architet-ti, ma sulle straordinarie risorse e connessioni che provengono dalle reti immateriali di circolazione delle informazioni e della cono-scenza: leggere come le nuvole, veloci come il vento, e anche più. Un po’ come la ricerca scientifica ai giorni nostri.

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Ha suscitato scalpore la recente vicenda del primo concorso na-zionale, per l’ammissione alle

scuole di specializzazione mediche. Più di dodicimila giovani medici, lau-reati e abilitati alla professione, che da tempo attendevano questa occasione per proseguire la loro formazione, si ritrovano per l’esito di quelle prove in uno stato di incertezza, invischiati in un vortice contenzioso che rischia di travolgere, come già avvenuto per i

corsi di laurea, esiti e graduatorie. E’ posta in dubbio la stessa ragion d’es-sere della prova e la sua precipitosa organizzazione. La responsabilità di tutto questo? Un banale errore uma-no, non prevedibile ma certo possibi-le. Lo scambio di un dischetto con le domande predisposte per una prova, con quelle preordinate per un’altra. Rilevato l’errore, un comunicato ufficiale del Ministero annunciava

l’annullamento e la ripetizione dei test e l’imminente riconvocazione dei candidati. E’ seguito, però, un repen-tino ripensamento. Acquisiti i pareri della commissione incaricata di de-finire le prove e dell’avvocatura dello Stato, si è ritenuto che i quesiti propo-sti per una finalità potessero, a poste-riori, tutto sommato, essere ritenuti validi, con eccezione di due, anche per la prova precedentemente inficia-ta, dando così corso alla formulazio-ne delle graduatorie per l’ammissione alle diverse scuole. Naturalmente i ri-corsi presentati e preannunciati sono una pletora. Tra i candidati circolano moduli e prezzi per una pluralità di ipotesi di ricorsi a seconda dei motivi che si vogliono dedurre in giudizio e degli interessi da tutelare. Tutto ciò rischia di rendere assai precario e re-versibile quanto con fatica e affanno si è messo in piedi e soprattutto gene-ra sconcerto e sconforto in migliaia di ragazzi che si sono apprestati con fiducia, impegno e sacrificio ad un appuntamento tra i più importanti per il loro futuro. Presumibilmente, per l’ennesima volta, una questio-ne delicata, qual è la formazione dei nostri futuri medici, sarà decisa da giudici e non da una ragionata scel-ta politica. Una vicenda clamorosa, dunque, per il futuro di questi ragazzi di cui, ancora una volta, si frustrano e si umiliano le attese e le prospettive, ma anche per il sistema sanitario na-zionale, dal quale ci si attende, anche a causa dell’invecchiamento della po-polazione, una rinvigorita efficienza

e qualificazione professionale. Può essere però l’occasione per una rifles-sione più ampia ed attenta di quella limitata all’episodio concorsuale. Su questo decideranno i giudici ed è inu-tile dilungarsi nelle tante questioni di legittimità sollevate sulle modalità di espletamento delle prove. Di certo pe-rò, anche ad un osservatore digiuno di cultura amministrativa, potrebbe ap-parire paradossale che un’autorevole commissione di concorso, a seguito di una, ci si augura, approfondita analisi della finalità della prova e dopo aver-ne a lungo discusso, decida, ad esem-pio, di proporre un tema su Leopardi, per verificare convenientemente l’ido-neità e l’attitudine a specializzarsi su quell’autore e su quel periodo storico della nostra letteratura, e di fronte al constatato errore della proposizione di un tema su Petrarca si pronunci per ritenerne ugualmente utile lo svolgi-mento perché, tanto …… sempre di letteratura italiana si tratta! Vedremo che cosa riterranno i giudici ammini-strativi della ragionevolezza e lineari-tà di tutto questo.Qui ci interessa affrontare il proble-ma più generale delle specializzazioni mediche sotto due diversi profili: il numero degli specializzandi e le mo-dalità di accesso alle scuole. I candi-dati che si sono presentati al concorso sono, come necessario, tutti laureati in medicina che hanno superato l’esa-me di abilitazione professionale. Sono dunque medici a tutti gli effetti che hanno studiato e si sono applicati con impegno, passione e dispendio di ri-sorse economiche non trascurabili, per esercitare la professione di me-dico, operando per lo più all’interno del sistema sanitario nazionale e delle strutture che lo compongono. Anche per tutta la collettività la formazio-ne da loro conseguita fino a questo momento ha avuto un costo notevole. Centinaia di migliaia di euro è l’onere che in termini di strutture, attrezza-ture, docenti e servizi vari, deve af-frontare il pubblico per ogni studente che giunga alla laurea dopo sei o più anni di corso. Un onere che non cor-risponde soltanto ad una vocazione e

Il medicodimezzato

di Fabio Matarazzo

Le polemiche per l’annullamento del concorso per le scuole di specializzazione

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l’ammissione formale alla scuola. L’e-ventuale insuccesso al momento del concorso, che si svolgeva nella scuola con una commissione giudicatrice che ne era diretta emanazione, non impediva, tuttavia, di seguitare a far-ne parte e di essere partecipi del di-namismo di settori professionali per

loro natura in continua evoluzione ricavandone gli utili effetti dell’espe-rienza sul campo e della presenza attiva in un circuito virtuoso di studio e di ricerca. E così fino al momento in cui disponibilità di posti o meriti acquisiti con studio, impegno e tem-po dedicato, potevano consentire di accedere alla frequenza istituzionale dei corsi e raggiungere il diploma necessario ad un valido inserimen-to professionale. La riforma avrebbe dovuto sconfiggere l’arbitrarietà e l’ arroganza dei giudici ma senza get-tare il bambino con l’acqua sporca. Una prova nazionale unica e identica per le stesse scuole, da verificare con sistemi automatici, come avviene ora, ma svolta nelle sedi universitarie di provenienza e di affiliazione, insieme

sistema di accesso alle scuole con un concorso unico nazionale con il quale i candidati, secondo l’ordine di gra-duatoria, dato quasi esclusivamente dalla soluzione dei test, possono ac-cedere alle scuole di loro interesse anche lontane dalla loro residenza ed estranee ad una precedente frequen-tazione. La novità rispetto al passato, nel quale il concorso si svolgeva pres-so ciascuna scuola nella sede univer-sitaria prescelta, è stata determinata, ancora una volta, dalla scarsa fiducia nell’operato dei “baroni universitari”, sempre più spesso accusati di nepoti-smo ed arbitrio anche per la selezione degli specializzandi nelle scuole da loro gestite. L’oggettività, sempre più ricercata anche in modi esasperati, nei processi decisionali, fa premio sulla soggettività dei giudizi e delle valutazioni che abbiano margini di discrezionalità. L’esercizio, anche il più trasparente, di un qualsiasi po-tere decisionale appare ormai co-stantemente adombrato da ipotesi di malaffare. Di fronte ad episodi senza dubbio meschini e disprezzabili, ma, per fortuna, non così diffusi e radi-cati come appaiono percepiti dall’o-pinione pubblica, spesso influenzata da un’enfasi mediatica eccessiva, ci si rifugia, per reazione, nella ricerca di nuove regole, di criteri sempre più ba-sati su elementi quantitativi per assi-curare processi di selezione che siano ritenuti meritocratici e impeccabili. Nel sistema precedente la selezione per l’accesso alle scuole presentava certo i rischi di nepotismo o di asser-vimento ai “baroni” ma, per rimuo-verlo, non era forse necessario negare l’utilità di un rapporto umano che ha una ruolo determinante in qualsiasi contesto formativo e collaborativo. La selezione e formazione degli spe-cializzandi, prima d’ora, era l’esito di un percorso progressivo che inizia-va, il più delle volte, ben prima della laurea, senz’altro al momento della preparazione della tesi per proseguire successivamente con la partecipazio-ne volontaria alle attività della strut-tura, formative e pratiche, anche in attesa, spesso assi lunga, di ottenere

ad un’esigenza individuale ma che è calibrato, più di ogni altro indirizzo di studio, sui bisogni della colletti-vità e della sua sanità se è vero che l’ammissione degli studenti ai corsi in medicina è selettiva e programmata proprio in ragione delle necessità e delle ponderate proiezioni dei fabbi-sogni previsti, tanto che, per definirli, si richiede il concerto dei Ministe-ri dell’Istruzione e della Salute con le Regioni e le Università. Sarebbe lecito attendersi, dunque, un’atten-zione anche alla redditività di questo investimento pubblico, soprattutto in un contesto, nel quale sempre più va affermandosi, la spiccata considera-zione anche dell’aspetto economico della cultura, della professionalità, del ruolo e finalità della formazione. Quella del medico, poi, è una profes-sionalità ad indirizzo sostanzialmen-te esclusivo; se non si può esercitare la professione compiutamente, la formazione ricevuta risulta in larga misura vanificata con deleteri effet-ti soggettivi e di carattere generale. Ma, la specializzazione del medico, dopo la laurea, è ormai requisito es-senziale per l’esercizio adeguato dei compiti per i quali si è preparato. A chi non sia specialista il sistema of-fre soltanto impegni e impieghi mar-ginali. L’accurata programmazione, l’investimento, le esigenze di studenti e dell’apparato pubblico richiedereb-bero, dunque, che non si costringa nessuno a restare “in mezzo al gua-do” senza consentirgli di proseguire il percorso accademico e professiona-le intrapreso da tempo. Da anni non è così. In quest’ultima sessione, più di dodicimila sono stati i candidati a fronte di 5.500 posti disponibili. Più della metà, dunque, resteranno senza possibilità di proseguire gli studi e accedere ai livelli professionali au-spicati. Delusi nelle loro prospettive e potenzialità e inutilizzabili dal si-stema sanitario che pure lamenta la progressiva e sempre più accentuata esigenza di “turn over”. Qualche mi-lione di euro sarebbe sufficiente per evitare una conseguenza resa ancor più negativa, a mio parere, dal nuovo

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con altri criteri di merito oggettivi e individuati a livello nazionale per tutte le tipologie di specializzazioni, avrebbe potuto consentire lo stesso risultato di trasparenza e di privilegio del merito senza però interrompere il legame con l’ambiente della scuo-la di provenienza e senza annullare, nei fatti, la possibilità di proseguirne la frequenza. Si sarebbe anche ma-nifestato un maggiore rispetto per quell’autonomia universitaria tanto conclamata ma così poco conside-rata all’atto pratico da un Ministero che si rivela sempre più accentratore, occhiuto e preoccupato controllore. Avrebbe avuto il vantaggio, in caso di incidente durante lo svolgimento degli esami in una sede, di non comportare l’annullamento della prova nazionale ma soltanto la ripetizione presso quel-la scuola. Sarà difficile oggi, estirpato il concorso dal suo originario alveo naturale, ipotizzare che chi resti esclu-so dall’accesso possa riprendere il suo impegno presso la scuola frequentata fino a quel momento, affollata ormai di nuovi colleghi, senz’altro preparati e meritevoli, ma estranei alla sintonia con chi li ha preceduti e probabilmen-te recalcitranti a consentire la condi-visione di spazi e compiti con chi non ha diritto ad averli ma potrebbe far leva sulla rete di conoscenze e ami-cizie radicate nel tempo per fare om-bra ai nuovi arrivati. Rompere questo legame è il più preoccupante danno che può ricevere il giovane medico. Interrompere il processo formativo, sia pure informale, corre il rischio di fargli perdere punti di riferimento fondamentali e indurlo a scelte rinun-ciatarie, fino all’idea di abbandonare il nostro Paese, come purtroppo sta avvenendo sempre più di frequen-te, per ricostruire altrove la propria professionalità.Ma, se sulle modalità del concorso, soprattutto dopo questo primo esi-to, si potrà tornare a ragionare con maggiore serenità, una volta superato l’ostacolo di questa tornata con i suoi strascichi contenziosi; sulla neces-sità di impedire che i giovani medi-ci siano dimezzati, è invece urgente

I nuovi progetti dopo un anno di successi con le scuole

La digitalizzazione del mondo della scuola impo-ne di dotare le scuole di “soluzioni tecnologiche” che portino reale valore aggiunto alla scuola e “non semplicemente apparati hardware”. Stefano Ghidini, 46 anni, CEO di C2 Group di Cremo-na - società di produzione dei nuovi arredi per realizzare il nuovo ambiente didattico - da tempo svolge con particolare attenzione il ruolo di Con-sulente ICT Education. Vista la sua esperienza concreta sul campo siamo di fronte ad un reale cambiamento?L’anno che si sta concludendo a mio avviso ha realmente determinato significativi cambiamenti. Molto velocemente è cresciuto nelle scuole l’in-teresse verso nuovi metodi didattici, nella consapevolezza che le tecnologie non possono rappresentare un fine, ma sono uno strumento per agevolare l’apprendimento. Ormai è chiaro che non ha senso inserire tecnologie nelle scuole se non esiste un preciso progetto didattico. Notiamo con piacere che la maggior parte dei successi è stata determinata dalla collaborazione tra di-versi istituti con i loro fornitori. Le tecnologie stanno realmente divenendo un valido strumento, ma devono essere scelte con attenzione dopo aver ben focalizzato l’obiettivo. Stampanti 3d, pannelli LED al posto delle lavagne, tablet e notebook dotati di applicativi specifici per la scuola... Tante novità troppo veloci per poter essere integrate senza un coordinamento e senza consulenze esperte anche sul lato tecnologico.Ha citato l’introduzione di stampanti 3d: non rischia di essere solo una moda?Assolutamente sì. In questi mesi abbiamo constatato un notevole incre-mento delle richieste di queste stampanti, ma spesso venivano richieste per l’esigenza specifica di un insegnante “illuminato” o semplicemente perché questo acquisto poteva dare “lustro” alla scuola. L’impiego di una stampante 3d è tutt’altro ed offre delle importanti possibilità didattiche. Di-versi esperti sostengono che l’utilizzo di una stampante 3d contribuisce allo sviluppo dell’immaginazione. Tuttavia è fondamentale formare le scuole sull’utilizzo ed è necessario scegliere bene il modello e la marca del prodot-to; ad esempio dopo attenta analisi abbiamo dovuto constatare che molti dei produttori più blasonati e noti a livello mondiale non hanno ancora centri di assistenza in Italia. Per introdurre nelle scuole la stampante 3d è più che mai necessario un processo di formazione. Noi ad esempio abbiamo scelto di proporre le stampanti 3d di una startup italiana, che, anche con il nostro apporto, sta formando insegnanti e tecnici nelle scuole e/o vicini ad esse. Altro vantaggio della diffusione delle stampanti 3d è quello di diffondere la conoscenza dalla classe alla scuola e tra scuole. L’identificazione sul terri-torio di “esperti” consente infatti di incentivare la costituzione e soprattutto il consolidamento di relazioni tra scuole, favorendo l’interdisciplinarietà e

Intervista a Stefano Ghidini, CEO di C2 Group

di Paola Torre

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trovare soluzioni. Lo richiede anche la Conferenza dei Rettori che il 12 novembre ha scritto ai ministri dell’I-struzione e della Salute, per sottoline-are l’insostenibilità della situazione venutasi a determinare per l’accogli-mento dei numerosissimi ricorsi per lì ammissione al corso di laurea e per rimarcare che: “le innovate modalità di selezione alle Scuole di Specia-lizzazione post- lauream, hanno de-terminato più di qualche criticità, a tutt’oggi imprevedibile nelle possibili conseguenze.Come premessa per un intervento […….] occorre che siano chiari i fab-bisogni e le risorse e che su questa base siano determinate le relative de-mografie. Questo deve essere svolto di concerto con il Servizio Sanitario Nazionale e con il Ministro della Sa-lute. […….].Urge affrontare la questione nel suo complesso senza attendere altro tem-po”. Tra le modalità che potrebbe-ro consentire il compromesso tra i fabbisogni e le risorse, c’è forse la possibilità di ipotizzare una parteci-pazione alle scuole con la volontaria accettazione esplicita di rinuncia alla borsa di chi non si sia collocato in posizione utile nella graduatoria per l’accesso, alla stregua di quanto av-viene per il dottorato di ricerca. E se la necessità della borsa trova ragion d’essere nell’impegno corrisponden-te a quello di un assistente ospeda-liero, si potrebbe ovviare a questo giusto obbligo definendo per questi casi, d’intesa con gli interessati, uno statuto, unitario per tutti gli aspetti formativi, ma diversamente calibra-to nei modi e nei tempi per quelli di assistenza e cura, così da risultare compatibili con le direttive europee. L’avvio della discussione chiesta dai Rettori e l’esercizio della delega le-gislativa per il “patto sulla salute”, insieme con il previsto riordino della tipologia delle scuole, della loro du-rata e dei loro ordinamenti, sono le occasioni da non perdere per decidere come accompagnare i giovani medi-ci a completare la loro formazione ed essere professionisti ‘non dimezzati’!

l’ideazione di curricola verticali, coinvolgendo tutti i livelli di scuole a par-tire dagli istituti comprensivi.Ultimamente è riaffiorata la polemica sulla funzionalità della LIm. e’ realmente superata?Se parliamo di un pezzo di ferro attaccato alla parete sì. Se, invece, pen-siamo a quanto possa essere utile se utilizzata a fini didattici con quanto abbiamo già disponibile assolutamente no. Quello che manca ad oggi e che ci stiamo impegnando a divulgare è una piattaforma che consenta di utiliz-zare tutte le marche di LIM e Proiettori interattivi installati in una scuola per far si che vengano realmente usati. Solo con una piattaforma molto simile ai software didattici già in uso in gran parte di queste, possiamo ipotizzare un percorso di aggiornamento veloce e concreto. Sappiamo che esistono ad oggi molti prodotti dalle grandi potenzialità, ma spesso non sono nati per esigenze didattiche e risultano complessi da configurare e manutenere. Quanto stiamo per presentare deve essere necessariamente una piattaforma scalabile semplice da utilizzare, che consenta di realizzare e condividere contenuti didattici e che abbia un costo gestibile, già predisposta per la realizzazione di gruppi di studenti, professori, classi o scuole. Grazie alla collaborazione con tutti i maggiori produttori e rivenditori education italiani riteniamo sarà disponibile già da fine gennaio.Parla di collaborazione tra produttori e rivenditori. Cosa significa?Le scuole necessitano di competenze diffuse vicino al loro territorio. Per questo è divenuta fondamentale ed urgente la nascita di un’associazione senza fini di lucro che consenta di identificare e di formare nuovi rivendi-tori. L’associazione sarà aperta a tutti coloro che hanno un reale focus volto alla soddisfazione dei bisogni delle scuole e consentirà di ottenere sensibili risparmi per le scuole stesse, consentendo la diffusione di apparecchiature prodotte e testate per l’ambiente specifico.esistono già molte associazioni di categoria, a suo avviso questa asso-ciazione come dovrebbe operare?Dovrebbe svolgere un ruolo concreto e vicino alle scuole e Uffici preposti. Il com-pito primario a mio avviso dovrebbe essere quello di avvicinare le esigenze delle scuole ai produttori che spesso sono lontani dalle esigenze specifiche concrete. Una delle funzioni principali sarà, anche grazie alla collaborazione con dei Centro di formazione accreditati, quella di fare formazione sull’uso della tecnologia a scuola identificando scuole capofila che si dichiarano concretamente disponibili a diffondere le conoscenze, ricordandoci che ogni scuola ha le sue esigenze.Lei parla di competenze del fornitore, ma le scuole hanno già i loro fornitori.Sono perfettamente consapevole dell’esistenza di molti fornitori affidabili e vicini alle scuole. Dobbiamo semplicemente fornire alle scuole degli elementi oggettivi di valutazione e fornire a questi fornitori la possibilità di offrire un servizio anche di consulenza ai loro clienti, rammentando che le risorse sono li-mitate e che la scuola deve investirle al meglio. Le aziende per poter collaborare con le scuole devono assolutamente conoscere le loro esigenze ed ovviamente questo processo di formazione ha un costo, che può essere assorbito dal produt-tore. E’ fondamentale che la scuola però possa apprezzare queste competenze, valorizzandole anche in fase di trattativa. In un anno abbiamo fornito servizi e apparecchiature ad oltre 3.000 classi in tutta Italia e devo ammettere con tristez-za che troppo spesso errati bandi di gara comportano acquisti di apparecchiatu-re non funzionali alle esigenze delle scuole, agevolando coloro che hanno come unico interesse una logica di business a breve termine.

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Ogni scuola è un micromondo com-plesso. Intorno agli apprendimenti degli studenti ruotano variabili in-finite: bisogna disporre le program-mazioni curriculari, organizzare la didattica quotidiana, le lezioni, gli orari, i supporti (aule, laboratori, pa-lestre, alternanza dei docenti), cioè occorre disegnare le regole perché la “convivenza organizzativa” pos-sa funzionare. Due le operazioni fondamentali e propedeutiche da parte del dirigente scolastico: la de-finizione degli organici (cioè il fab-bisogno reale di docenti rispetto alle

classi che funzioneranno nell’anno scolastico successivo) e, soprattut-to, l’assegnazione dei docenti alle classi. Si tratta di due circostanze che richiedono un profondo senso di responsabilità e una conoscenza del contesto della scuola e delle dinami-che relazionali che si determinano all’interno di ciascun Consiglio di classe. E’ evidente quanto sia ne-cessario che il Consiglio di classe sia conformato tenendo in debito

conto caratteristiche di equilibrio, diversamente saranno gli studenti a subirne le negative conseguenze.Non basta infatti che essi abbiano dei docenti disciplinarmente pre-parati, occorre che tali docenti non siano delle monadi. E’indispensabile che collaborino tra loro per la co-struzione di quell’armonia cui cia-scuna classe, quale micro-comunità al lavoro, ha pieno diritto. Ciò vuol dire che il Dirigente scolastico deve seguire di persona tutti i Consigli di classe. Diversamente non conoscerà mai i docenti. I Consigli di classe

di Filomena Zamboli*

Il Middle management

“Il dirigente scolastico ha bisogno di una buona squadra”

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tutto questo da solo. Intanto che cer-ca spasmodicamente di presiedere i Consigli di classe di cui prima, altrimenti tutto l’ambaradan che vi gira intorno serve proprio a un bel niente. E si immagini che voglia an-che fare un giro per le classi. Per tut-te le classi. Non per raccomandare puntualità e buone regole di un sano vivere civile, ma per dialogare con i ragazzi sul loro percorso forma-tivo individuale e collettivo: se sta funzionando, se bisogna attrezzarsi e correggere il tiro. Tutto come un titanico referente di una macchina fondata sulle relazioni e sulle di-namiche umane e professionali di

un mucchio di professionalità. Ha ragione la Buona scuola: il Ds ha bi-sogno di una squadra intorno a lui.Ha bisogno di un vicario che è quasi la sua altra anima, che condivida preoccupazioni e impegni. Ha bi-sogno di un esperto in statistica e lettura dei dati. Ha bisogno di un docente esperto informatico, ha bi-sogno di un docente esperto in va-lutazione. Ha bisogno di un DSGA che abbia potere di firma sugli at-ti contabili. Cioè ne sia personal-mente responsabile e non un mero istruttore di pratiche. Perché il Ds di una scuola veramente autonoma

assegni provvisoriamente e poi in via definitiva all’agenzia che ha pre-sentato la migliore offerta in termini di rapporto prezzo/qualità. Magari, come spesso succede, ci sono stati ricorsi e si è dovuto provvedere alla loro istruzione. E magari tutto que-sto è replicato per le visite di istru-zione, sia brevi che lunghe. Per il sito web. Per l’acquisto della carta e del materiale di facile consumo. Per i servizi di pulizia esternalizzati. Per il reclutamento del Responsabile per i Servizi di Prevenzione e Protezio-ne. E si immagini che abbia dovuto avviare l’interlocuzione con la Rsu. Che, entro il mese di novembre, sia iniziata la contrattazione per la de-stinazione del Mof: comunicazione delle risorse, definizione dei crite-ri per la elaborazione dei proget-ti extracurriculari, valutazione dei progetti, avvio delle pratiche orga-nizzative. Intanto ad anno scolastico cominciato, occorre quasi quotidia-namente nominare i supplenti per il personale assente a qualunque titolo e provvedere alle sostituzioni per le assenze giornaliere. Si immagi-ni che magari occorra valutare da 100 a 600 domande di inserimento per le graduatorie di terza fascia del Personale Ata. Organizzare le pro-ve di evacuazione, la formazione dei preposti, interloquire con l’Ente locale per la manutenzione ordina-ria dell’edificio. E, magari, si sono verificate urgenze impreviste che costringono alla emergenza orga-nizzativa, perché la responsabilità relativa alla sicurezza lo esige. E si immagini che questo dirigente debba ricevere almeno una volta alla settimana i genitori. O interlocutori esterni a qualsiasi titolo interrela-ti con la scuola e il territorio. Che debba, anche, partecipare a qualche conferenza di servizio. Oppure a una riunione di ambito per il dimen-sionamento o l’ottimizzazione della rete scolastica. O debba organizzare le elezioni per il rinnovo degli Orga-ni collegiali, delle rappresentanze studentesche di istituto. E si imma-gini, ancora una volta,che debba far

devono durare il tempo necessario per consentire all’intero Consiglio di raccontare cosa succede a ogni ragazzo, fino a che punto il suo “rendimento” scolastico risponde al percorso che ciascun docente sta cercando di realizzare e che cosa si può fare quando la valutazione negativa della disciplina indica una situazione problematica. Ma questo vuol dire che il Dirigente scolasti-co ha preso anche parte, preceden-temente, ai lavori dei dipartimenti disciplinari in fase di progettazione educativo/didattica. Che con i do-centi ha anche stabilito le dinamiche valutative, le prove di ingresso, le prove di disciplina, le opzioni tra-sversali, i percorsi laboratoriali, i criteri per la formulazione dell’o-rario. Poi occorre che il Dirigente scolastico abbia anche chiaro, in-sieme ai suoi docenti, quali azioni si possano mettere in campo quan-do, in sede di Consiglio di classe, si confrontano i dati di rendimento dei ragazzi cioè i voti, le dinamiche della classe, quelle comportamentali e temperamentali dei singoli alunni. Occorre anche che il dirigente sco-lastico conosca i dati delle Prove Invalsi nelle discipline fondanti di italiano e matematica, insieme ai da-ti di apprendimento degli studenti di tutta la scuola, che i voti in qualche modo testimoniano, e che rifletta su di essi a partire dalla sua visio-ne (possibilmente chiara) impartita alla scuola con il vestito di “linee di indirizzo” espresse nel Collegio dei docenti e, anche, nel Consiglio di istituto. Si immagini però che debba far tutto questo da solo, vuoi che gli studenti siano 600 con una media di 25/30 classi per scuola vuoi che sia-no 1200 con una media di 55 classi mentre, contemporaneamente, per esempio debba occuparsi della gara per l’assicurazione contro gli infor-tuni e la responsabilità civile. Che prepari il bando, lo emani, intanto che, preventivamente, ha organiz-zato la manifestazione di interes-se. Che costituisca la Commissione per la valutazione delle offerte. Che

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dovrebbe solo dare le linee di in-dirizzo anche in termini di spesa e definire le priorità di investimen-to. Perciò ha bisogno anche di una squadra di amministrativi ben pre-parati, avvezzi a navigare i siti della pubblica amministrazione, avvezzi a leggere disposizioni, circolari, que-siti, casi pratici. Che siano partecipi nell’elaborare un decreto, nell’istru-ire una pratica, nel rispondere a un ricorso, nel ricevere il pubblico, nel dare informazioni pertinenti e non solo scaricare la posta elettronica. Se così avviene, allora la scuola e la sua organizzazione formale navigano seguendo rotte assolutamente paral-lele al lavoro in classe degli studenti e dei loro docenti. Il Ds deve potersi scegliere la propria squadra. Come? La consultazione nazionale su La Buona Scuola ha avuto il merito di aver rimesso al centro dell’attenzio-ne collettiva del Paese il dibattito su ciò che la scuola reale desidera e auspica, per potersi liberare dai gravami di un centralismo forte, un sistema, cioè, di gestione tra perife-rie e centro che scarica sulle scuole pesi difficili da sopportare. La scuo-la reale, si legge nei documenti pub-blicati, in particolar modo in quelli delle Associazioni professionali, ha bisogno di vera autonomia. Per co-struire se stessa, partendo dai biso-gni dei propri allievi, quelli di cui si discute in ciascun Consiglio di classe, la scuola ha bisogno dell’or-ganico funzionale, ancora tutto da normare, cui non fa da controcanto il semplice svuotamento delle GAE e la soppressione forzata degli eso-neri e semiesoneri dei collaborato-ri del Ds che rappresentano figure chiave di un Middle management la cui costruzione non può essere volontaristica e episodica. Costrui-re la comunità professionale dell’i-stituto presuppone che il Dirigente possa contare sulla presenza di “fi-gure forti” per organizzare e realiz-zare i percorsi formativi fondanti e le esperienze di miglioramento e di recupero degli apprendimenti degli studenti. Esse devono essere formate

per valutare/valorizzare, attraverso l’uso dei dati e la relazione profes-sionale, le migliori esperienze, i me-todi, le “occasioni” didattiche che, innestandosi sul core curriculum, consentano alla scuola di diversifi-care il proprio percorso formativo in sinergia con le opportunità, le vocazioni ma anche le “povertà” del territorio. Servono insegnanti capaci e motivati che proprio attra-verso il sistema del “semiesonero” non lasciano il lavoro nelle classi e, contemporaneamente, supporta-no i colleghi, in uno con il Ds, in tutte le attività proprie di Consigli e Dipartimenti e la vita quotidiana della scuola. Insomma occorre pas-sare da una autonomia funzionale

ad una autonomia sussidiar ia delle scuole, questa è la vera sf ida. Un esempio per tutti: il reclutamento diretto dei docenti da parte di reti di scuole, posto un sistema nazionale di lauree abilitanti e tirocinio in servizio.Che ciascuna scuola abbia la possibilità di costruirsi il suo middle management e abbia le risorse informali e formali per incentivare, valutare e ricono-scere, in una parola valorizza-re, il lavoro di quanti, docenti e ata, si sentano professionalmen-te par te at tiva della comunità scolastica. *Dirigente scolastico istituto “Pascal” Pompei

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Obiettivo docente

la Grande Guerra e la metodologia outdoor, una opportunità per la scuola

Era il 2006 quando a Treviso un gruppo di docenti si riuniva spontaneamente per immaginare uno scenario nuovo e coerente di scuola, basato su tre presupposti: gli studenti

superano il tradizionale rapporto asettico con le discipline di studio, l’apprendimento è inscritto in una visione d’insieme in grado di dotarlo di senso, la scuola non si limita ad agire “nel” presente ma agisce “per” il presente. Ben presto, si comprese che la didattica tradizionale, ristretta nel solo orizzonte carta-ceo, non era adeguata per dar corpo a questa visione: serviva una scuola che aprisse le sue porte - out door - e si connettesse con il territorio. Era nato il principio della didattica outdoor, approdata l’anno successivo ad una rete di scuole italiane, con capofila il liceo “Duca degli Abruzzi” di Treviso. A portare a sintesi la metodolo-gia outdoor, comunicandone l’entusiasmo e soprattutto i risultati, è stato dedicato un convegno-aggiornamento tenutosi presso la Provincia di Treviso, che lo ha patrocinato, con la presenza di numerosi relatori, tra cui l’assessore regionale all’istruzione, forma-zione e lavoro della Regione Veneto, Elena Donazzan. L’occasione è venuta dall’inizio delle celebrazioni della Grande Guerra, per le quali la Rete delle scuole outdoor, coordinate dal professor Pierpaolo Traversari, ha strutturato dei progetti di grande e innovativo interesse. Con la didattica outdoor, i ragazzi diven-tano protagonisti e non comparse del proprio apprendimento, mentre la scuola costruisce ambienti ed occasioni didattiche in cui i ragazzi possano comprendere meglio le proprie aspirazioni ed esplorare attivamente il legame tra storia e territorio, in una gestione trasversale delle tradizionali discipline.sui sentieri rocciosi della Pedemontana, intenti a ripristinare le gloriose trincee degli alpini o a compiere rilevamenti geo-logici o a confrontarsi con la cartografia e la toponomastica del passato, ma elaborandone i dati con software sofisticati, oppure impegnati negli archivi dei comuni e nelle biblioteche universitarie, o, ancora trascrivendo le lettere e le narrazioni dei nostri vecchi, o rintracciando le storie celate dietro i nomi iscritti su una lapide, i ragazzi, guidati dai loro insegnanti, incontrano e ricercano in prima persona le vestigia del passato e ricostruiscono un senso di identità e di memoria collettiva per troppo tempo interrotto.una connessione forte tra passato e presente, insomma, che chiede di camminare anche fisicamente, una conoscenza che si trasforma in avventura e in spirito di squadra, come

testimoniato dai resoconti dei ragazzi del liceo “Duca degli Abruzzi”, che hanno presentato “una notte in trincea”, un’espe-rienza nelle trincee del monte Palon e dell’istituto “Palladio”, che hanno presentato “I segni della storia” - campus di lavoro sul monte Tomba. I contributi sono stati molto apprezzati dai docenti provenienti da vari istituti trevigiani oltre che dal dr. Giorgio corà, dirigente dell’ufficio scolastico Territoriale di Treviso e dalle altre autorità presenti. come sottolineato dalla preside del liceo capofila, Antonia Piva, il rilancio della scuola e del territorio vanno di pari passo, nel momento in cui il sapere transita per l’esperienza e si riaprono gli archivi della memoria, oltrepassando l’eterno presente nel quale la società globalizzata sembra voler ghettizzare i giova-ni: “Passato, presente, futuro sono collegati da una esigenza

progettuale. chi vive in un eterno presente, concepisce la propria vita come una polveriz-zazione di istanti, senza alcuna possibilità di interpretazione: non si conosce il proprio passato, non si progetta il proprio futuro, non si crede di poter incidere sulla storia. Ricostruire la memoria serve a costruire una speranza condivisa. senza radici non cresce il progetto di vita. l’imperativo ‘Ricor-da!’ – ha continuato la preside Piva - è legato alla trasmissione e alla eredità delle culture:

la ricostruzione del passato nasce da una profonda esigenza di identità, setacciando la storia alla ricerca di elementi di stabili-tà. la memoria è qualcosa di più di un flashback individuale: ha senso, infatti, solo come ricostruzione condivisa.l’outdoor vuole scoprire la dimensione sociale dell’uomo, profon-damente immerso nel suo territorio.” Ecco dunque che il cente-nario della Grande Guerra diventa per la scuola l’occasione né di trionfalismi né di revisionismi, ma di indagine appassionata: ripercorrere i sentieri degli alpini, dormire al bivacco per com-prendere meglio le loro fatiche e sofferenze, ritornare poi in aula per confrontare emozioni e per organizzare informazioni, creare pezzi teatrali a partire dagli epistolari al fronte… at-traverso tutto questo transita una coscienza più matura della progettazione scolastica e anche la possibilità di dialogare con altri partner, dalle università, agli enti locali, alle associazioni. l’inserimento della scuola a pieno titolo nella ricerca storiogra-fica – o, meglio, delle scuole che scommettono nell’innovazione - è stato ribadito dal prof. Marzio Favero, coordinatore del comitato scientifico per la Grande Guerra, mentre l’Assessore Donazzan ha definito il progetto outdoor per il centenario una vera e propria eccellenza regionale, nella volontà di rendere questa metodologia patrimonio per tutta la scuola veneta.

di Pietro Panzarino

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Obiettivo docente

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Il CNR, come principale ente scientifico italiano, ha parteci-pato all’Esposizione Universale

di Chicago del 1933 dove rappre-sentò la ricerca italiana illustrando-ne i contributi in tutte le discipline. All’Italia fu riconosciuto un ruolo di particolare rilievo nella diffusio-ne della cultura scientifica e tec-nologica. Oggi è ancora il CNR ad avere un ruolo autorevole nella par-tecipazione all’EXPO 2015: è Gian Tommaso Scarascia Mugnozza che ha contribuito alla scelta di Milano come sede di EXPO ed è stato nomi-nato a capo del Comitato Scientifico che ha proposto il tema della mani-festazione. Il tema “nutrire il piane-ta, energia per la vita” ha come base l’alimentazione e la produzione agri-cola ma, nella sua declinazione, apre a moltissimi aspetti della ricerca e in diversi ambiti. Parlare di agricoltura e di alimentazione significa, infatti, rivolgersi a discipline che vanno dal-la medicina alle scienze della vita, dalla fisica all’informatica. L’Italia, con la sua tradizione agricola e ga-stronomica di grande valore storico e culturale, rappresenta la tensione ad un modello di sviluppo che mette

al centro la qualità della vita come equilibrio tra ambiente, risorse e vita quotidiana. L’agricoltura è per tutti un riferimento alla civiltà e al progresso: non vorremmo essere su una strada che ci porta al punto di non ritorno, verso quegli scenari co-sì suggestivamente rappresentati nel film “Interstellar” di Christopher Nolan, basato su un trattato del fisi-co teorico Kip Thorne, e che sta ri-scuotendo grandissimo successo tra le nuove generazioni. Il CNR, con la sua partecipazione oggi all’EX-PO 2015, intende valorizzare tutte le attività scientifiche e tecnologi-che che sono alla base degli studi attuali sull’agricoltura e sulla nutri-zione. Il progetto CNR per EXPO rappresenta lo sforzo dell’Ente di raccordare al suo interno tutte le sue diverse specializzazioni scientifiche per offrire al sistema italiano della ricerca l’opportunità di partecipa-re, in modo trasparente e libero, a tutte le manifestazioni che si svi-lupperanno nel corso del semestre. Un progetto interdipartimentale che raccoglie il frutto della colla-borazione, tra gli altri, del Consiglio delle Ricerche in Agricoltura e dell’ENEA per raccontarci le nuove conoscenze acquisite, il contribu-to italiano all’analisi dei problemi emergenti nel mondo globalizzato rispetto alla sicurezza alimentare e alle conseguenze ambientali e sociali della produzione agricola. Tra i partner vi sono anche molte Uni-versità, enti locali come la Regione Lombardia, e numerosi partner del mondo della produzione come Con-fagricoltura o la Confederazione Ita-liana degli Agricoltori, la Direzione

Generale per la Cooperazione e lo Sviluppo del Ministero degli Affari Esteri e di organismi internazionali come l’Unione Europea o la FAO. L’intento è quello di connettersi con i padiglioni nazionali e sviluppare un dibattito che apra alla possibi-lità di collaborazione scientifica e tecnologica con i paesi partecipanti sui grandi problemi dell’umanità le-gati allo sviluppo della nutrizione: la crescita mondiale della popolazio-ne, i nuovi sviluppi dovuti ai cam-biamenti ambientali, le nuove sfide del commercio alimentare globale. All’interno dell’auditorium di Padi-glione Italia all’EXPO saranno orga-nizzati una serie di seminari, tavole rotonde, workshop nel corso del se-mestre, con cadenza settimanale: il cibo e l’uomo, il cibo e la sua produ-zione, il cibo e la sua trasformazione. Il CNR ha raccolto un insieme di studiosi, ricercatori, giornalisti e uo-mini pubblici che affronteranno gli argomenti più spinosi, legati ai temi e che vanno dalla desertificazione allo sviluppo di nuove tecnologie per la tracciabilità alimentare, dalla nuova idea di studio del territorio e del suo utilizzo sostenibile allo stu-dio del paesaggio come strumento di salvaguardia di identità culturale e sociale. Sui temi legati alla nutrizione saran-no affrontati i problemi legati alle nuove frontiere dei cibi innovativi e alla salvaguardia di un modello sostenibile di Dieta Mediterranea. Il cibo e la sua salubrità in un mer-cato globale, con la promozione di una consultazione internazionale presso i principali centri di ricerca sulla sicurezza, mette al centro la tutela dai rischi alimentari dovuti ad una estensione della produzio-ne di cibo in paesi nuovi ai mercati

Il consiglio Nazionale delle Ricerche all’EXPo 2015

di Roberto Reali

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Obiettivo docente

Tornare a pensare riprendendo a scri-vere a mano. Un convegno, e un espe-rimento, rilanciano una capacità che non deve scomparire. Nella splendi-da cornice del Museo Nazionale Ro-mano, alla presenza di un folto pubblico, lo scorso 28 novem-bre, sono stati pre-sentati gli esiti della sperimen-t a z i o n e Nulla dies sine linea, promossa d a l p rof Benedetto Vertecchi c e n t r a t a sullo svi-luppo del-la capacità di scrittu-ra. Il pro-getto nel complesso ha impegnato 380 alunni di due scuole medie di Ro-ma. Linea Bambini e ragazzi – sotto-linea Benedetto Vertecchi, docente universitario presso l’Università di Roma Tre - mostrano una crescente difficoltà a scrivere a mano. Molti hanno perso la capacità di usare il corsivo e lo sostituiscono con carat-teri stampatelli, affiancati gli uni agli altri. C’è una evidente relazione tra questa caduta della scrittura manuale e la diffusione di mezzi digitali. Ci si deve chiedere però se ci si trovi di fronte solo a un cambiamento tecni-co nella produzione dei segni, oppure se al diverso modo di scrivere corri-spondano cambiamenti nell’attività

mentale che, in particolare nel caso dei bambini e dei ragazzi, posso-no produrre conseguenze negative sulle successive età della vita. Quel che gli studiosi delle neuroscienze

stanno os-servando è che alla diffusione dei mez-zi digitali corrispon-de una di-minuzione della me-moria, del-la capacità di or ien-t a m e n t o spaziale e u n a me -no precisa percezione delle rela-zioni tem-porali. Da un punto d i v i s t a e d u c a t i -

vo la diminuzione della capacità di scrittura manuale appare spesso as-sociata a una più limitata capacità di coordinamento percettivo-motorio: è come dire che si osserva una sorta di rottura del rapporto tra pensiero e azione. L’esperimento Nulla dies sine linea ha voluto verificare se, tra-mite semplici soluzioni didattiche, tale rapporto, almeno al livello della scuola elementare, non possa essere ricostituito. I risultati incoraggiano a proseguire sulla linea intrapresa: ne sono convinti gli insegnanti che hanno partecipato all’esperimento. Sono risultati che richiamano anche a un modo più consapevole di affron-tare i problemi educativi, evitando

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mondiali, come pure la presenza di nuove forme di patogeni che dimi-nuiscono il valore nutrizionale degli alimenti e possono provocare danni, anche gravi, alla salute. Ci sono i temi che rappresentano sfide cru-ciali per tutta la comunità umana a livello globale: il tema dell’acqua che è trasversale a tutte le proble-matiche collegate all’alimentazione e il cui uso razionale è fondamen-tale e dipende da scelte che vanno oltre i sistemi decisionali nazionali. La condizione umana in molti pae-si dipende dalla diminuzione delle proprie risorse a causa sia dei disa-stri ambientali che del cambiamento climatico cui tutti i paesi contribui-scono. Le condizioni nel continente africano richiede uno sforzo colletti-vo che riguarda la sicurezza e il be-nessere della popolazione mondiale e non solo di chi vive in quel ter-ritorio. Infatti sono i nuovi scenari dovuti ai cambiamenti climatici alla base delle nuove tecniche produttive e della scelta di nuove tipologie di coltivazioni. Il nostro mondo vive oggi incertezze e problemi nuovi, per affrontarli ha bisogno del contri-buto di tutti, per capire, conoscere e trovare soluzioni: questo è il compito cui la conoscenza scientifica è chia-mata, la sua missione fondamentale. Le iniziative dedicate al mondo della scuola riguardano non sol-tanto la diffusione e l’educazione alla coscienza di questi problemi. Il CNR ha coinvolto i giovani di Confagricoltura e di Federalimenta-re in una serie di incontri preparatori all’EXPO sulle “Filiere intelligenti” che riguardano tutti i temi scienti-fici della manifestazione da diver-si punti di vista. Con la rete degli Istituti Tecnici per l’Agricoltura e gli Istituti Professionali Alberghieri, partner principali di questo progetto, si vogliono coinvolgere gli studenti a partecipare non soltanto come spet-tatori e destinatari d’informazione ma per raccoglierne i contributi alla riflessione Il programma degli even-ti del CNR, è disponibile sul sito www.expo.cnr.it

la ricostruzione della capacità di scrittura

di G.R.

segue a pag. 43

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Obiettivo docente

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Il British Council (Ente britannico per la promozione delle relazioni culturali), in collaborazione con Tut-toscuola, ha promosso un interessante incontro di studio sui Bisogni Educativi Speciali (SEN – Special Educational Needs) e sull’inclusione scolastica. L’e-vento è stato coordinato da Maria K. Norton (Regional Business Development Manager – British Council) e sono intervenuti in qualità di relatori: Raffaele Ciam-

brone (dirigente del Miur) e Phil Dexter (Teacher De-velopment Adviser – United Kingdom). All’evento, svoltosi il 13 novembre 2014 presso la sede romana del British di via San Sabastianello, 16, hanno parte-cipato: Licia Cianfriglia (Anp), Rosa Mongillo (Cisl Scuola), Giuseppe Desideri (Aimc), Paola Nannetti (Lend), Paola Farina (Fism), Carla D’Antimi e Fran-cesco Bovicelli (USR Lazio), Ornella Papa (Invalsi),

Francesca Caprino (Indire), Alessandra Battisti (Istat), Carlo Rubinacci (Miur). In apertura dei lavori è inter-venuto Paul Sellers (Direttore per l’Italia e Consigliere Culturale presso l’Ambasciata Britannica - British Council) per rivolgere un saluto di benvenuto e per esprimere l’auspicio di una collaborazione proficua tra le istituzioni presenti e il British Council sui temi relativi al mondo della scuola. I contenuti e lo scopo

dell’incontro di studio sono stati poi illustrati da Maria K.Norton, che ha sottolineato l’importanza degli scam-bi culturali nella diffusione delle buone pratiche sui bisogni educativi speciali e sull’inclusione nelle scuole. La prima relazione è stata tenuta da Raffaele Ciambro-ne, dirigente del Miur, che ha descritto lo stato dell’arte dell’inclusione nel nostro Paese, con particolare riferi-mento a quanto segue: l’alto profilo della legislazione

BRITIsH couNcIl: INcoNTRo DI sTuDIo suI BIsoGNI EDucATIVI sPEcIAlI

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scolastica italiana sulle disabilità, sui disturbi specifici di apprendimento, sui bisogni educativi speciali e i li-velli disomogenei di attuazione sul territorio nazionale; la formazione dei docenti e dei dirigenti scolastici in collaborazione con le università; il ruolo dei CTS e delle scuole per realizzare azioni di cooperazione e di partenariato nei territori; le nume-rose azioni implementate dal Miur per favorire la diffusione più ampia possibile di un’efficace inclusione nell’offerta formativa delle scuole. La seconda relazione è stata tenuta da Phil Dexter, che ha illustrato le linee di tendenza del sistema sco-lastico nel Regno Unito nell’ambito dei bisogni educativi speciali, in mo-do particolare per quanto riguarda la possibilità di coniugare efficace-mente equità e qualità dell’istruzione per tutti. Ha sottolineato l’impor-tanza di riconoscere e valorizzare la neurodiversità di ciascun allie-vo (doesexist the ‘average’ child?), poiché la diversità degli stili e dei modi di apprendimento non può e non deve diventare un ostacolo, ma una risorsa per guidare gli alunni verso il successo formativo. Per questa ragione, occorre assumere un approccio centrato sullo studen-te (child centred decision making and approaches) nell’insegnamen-to e nella gestione delle istituzioni scolastiche. La valorizzazione delle diversità e l’inclusione debbono poi diventare una responsabilità condi-visa da tutti i docenti e un “modo ordinario” di fare scuola (every tea-cher is a SEN teacher!). Inoltre, ha evidenziato il ruolo fondamenta-le delle famiglie a supporto delle strategie di inclusione nelle scuole e nei territori. Al termine delle due relazioni introduttive si è aperto il dibattito, cui hanno partecipa-to attivamente tutti i presenti con considerazioni e rif lessioni che hanno contribuito a rendere ricco e significativo l’incontro di studio.

In modo particolare, è emerso quanto segue:- la formazione iniziale e in ser-vizio dei docenti rappresenta una leva strategica insostituibile per garantire un’efficace inclusione nelle scuole: in tal senso, potreb-be essere utile stabilire scambi permanenti di buone pratiche tra l’Italia e il Regno Unito;- la cooperazione efficace tra docenti curricolari e docenti di sostegno “fa la differenza”: la condivisione delle responsabilità e degli impegni a favore dell’in-clusione costituisce un fattore determinante nella diminuzio-ne delle distanze tra equità e qualità;- la presenza di “figure di siste-ma” dedicate all’inclusione nelle scuole (come avviene nel Regno Unito con i SEN Coordinators) favorisce la realizzazione di un curricolo attento ai bisogni educativi speciali di tutti e di ciascuno;- la valutazione andrebbe in-tesa come risorsa strategica per il miglioramento di qualità dell’inclusione e delle prestazio-ni professionali del personale scolastico;- la cooperazione e la trasferibi-lità di buone pratiche tra l’Italia e il Regno Unito sul tema dei biso-gni educativi speciali potrebbero diventare un’opportunità di svi-luppo di qualità dell’inclusione nelle istituzioni scolastiche.A conclusione dell’incontro di studio, Maria K.Norton ha ri-cordato che nel sito del British Council www.britishcouncil.it sono presenti risorse on line dedicate alla formazione dei do-centi anche sul tema dei biso-gni educativi speciali, al fine di promuovere significativi scambi culturali e proficue collabora-zioni tra i sistemi educativi di diversi paesi.

contrapposizioni aprioristiche tra soluzioni diverse e traendo invece da ciascuna ciò che affettivamente può dare. Occorre anche considerare che la scrittura manuale non richiede speciali investimenti e può essere praticata nei modi più vari (dai graf-fiti sulla pietra alla scrittura all’uso di carta e matita), mentre le soluzioni con mediazione tecnologica sono de-stinate a decadere molto prima che i bambini che ora sono all’inizio del percorso dell’educazione formale giungano a completarlo.Nulla dies sine linea (l’espressione è tratta da Plinio il Vecchio, il quale a sua volta l’aveva ripresa da Apelle) è il nome di un esperimento con-dotto a partire dal 13 gennaio 2014 fino a tutto il mese di aprile che ha interessato due scuole romane, che è stato centrato sullo sviluppo della capacità di scrittura manuale degli allievi delle classi III, IV e V, con un impegno quotidiano di 15 minu-ti, dal lunedì al venerdì. Comples-sivamente sono stati coinvolti oltre 380 alunni, ai quali è stato chiesto ogni giorno di produrre brevi testi rispettivamente di 4, 5 e 6 righe. Sono stati raccolti oltre 25.000 do-cumenti manoscritti, sui quali so-no state effettuate analisi secondo una logica di tipo diacronico. Sono state prese in considerazione varia-bili come l’ortografia, la calligra-fia, il lessico, la sintassi, la retorica, ma anche i riferimenti impliciti ed espliciti alle condizioni di contesto nella scuola e fuori della scuola. Dall’analisi dei dati emerge che tut-te le variabili prese in esame hanno avuto una evoluzione positiva. Per di più, come ci hanno puntualmente riferito gli insegnanti delle scuole coinvolte, c’è stato un cambiamento sostanziale nell’atteggiamento affet-tivo degli allievi nei confronti della scrittura manuale. Nell’incontro so-no stati presentati i risultati ottenuti. C’è ancora molto lavoro da svolgere, sia in termini di analisi di aspetti par-ticolari, sia tramite nuovi esperimen-ti che coinvolgano anche altri livelli scolastici.

segue da pag. 41

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Obiettivo docente

cos’è in sostanza l’apprendi-mento? Perché si ha la tenden-za a pensare che nei piccoli

esso debba entusiasmare e coinvol-gere la sfera cognitiva, ma anche quelle fisico-cinestetica, relazio-nale, emotiva in modo giocoso ed esperienziale e man mano che l’alunno cresce l’apprendimento debba essere visto come un pro-cesso puramente cognitivo e di tra-sferimento di un sapere? In realtà l’apprendimento perché sia signi-ficativo deve essere innanzitutto gioioso, deve coinvolgere la dimen-sione affettiva, quella relazionale, e certamente, anche quella cogni-tiva! Apprendere significa essere trasformati da un’esperienza che allarga la propria identità e rende consapevoli delle qualità da spen-dere e dei limiti da superare. Ol-tre a costruire un profilo cognitivo la scuola può realmente offrire la possibilità di vivere un processo di interiorizzazione così profonda da rendere le persone capaci di un modo sempre nuovo di relazionarsi alla vita. Perché un processo di ap-prendimento possa essere avviato, si presuppone una motivazione in-teriore. Questa può scattare quando la proposta ha un’incidenza reale ed effettiva sulla realtà e sul vissu-to di una persona (quanto sto per fare ha a che fare con me, con quel-lo che attrae la mia intelligenza), che quindi vi partecipa con il suo orizzonte cognitivo ed affettivo. Perché possa slanciare, la proposta deve essere costituita da una rete di esperienze significative sulle quali la persona possa sviluppare una ri-flessione di senso. Per questo, oltre che una programmazione accurata

degli esiti, è necessario progettare i processi, le strategie, i traguardi di abilità e competenze che pos-sono orientare lo studente. Nella pedagogia delle scuole dei Gesuiti il processo pedagogico-didattico è costituito da cinque fasi: l’ana-lisi del contesto (chi sono i miei alunni, in che realtà vivono, che mondo desiderano), l’esperienza, nella quale si situa l’apprendimento gioioso e significativo, la riflessio-ne, fase in cui quanto appreso viene interiorizzato e padroneggiato, l’a-zione, momento in cui l’alunno ri-propone quanto appreso in maniera personale e originale e si orienta a scelte di senso, e la valutazio-ne, processo di riflessione comune docente-discente sul percorso fatto. Questo paradigma pedagogico vie-ne vissuto, sperimentato, riscritto, riformulato e rinnovato sin dalla fondazione del primo collegio dei Gesuiti, il Collegio Sant’ignazio di Messina, fondato nel 1548. La prof.ssa Giovanna Martinez, responsa-bile della formazione dei docen-ti del Collegio di Messina, ci ha scritto proprio sull’apprendimen-to significativo, dando anche un esempio di progettazione delle at-tività didattiche. Il testo della prof.ssa Martinez fa riferimento a diver-se fonti che fanno parte della tra-dizione pedagogica ignaziana, ma ancora di più allo scritto fondante dell’esperienza di Ignazio di Lo-yola, da cui scaturisce una visione felice di uomo (e di Dio): gli Eser-cizi Spirituali. Uno degli aspetti più vitali degli Esercizi Spirituali risiede nel fatto che la persona è orientata nelle sue scelte non da un’idea astratta di bene, di buono, di giusto, ma dalla riflessione su un’esperienza alla quale partecipa con la sua fantasia, i suoi sensi, la

sua affettività, la sua intelligenza, il suo cuore, la sua fatica, la rete delle sue relazioni, il rispetto per il suo sentire, la sua sete di un di più che ne esprima la pienezza. In questa partecipazione profonda e completa l’uomo incontra un’espe-rienza di bene, di buono, di giusto che gli appartiene nella sua parte più autentica e che lo orienta. Allo stesso modo il processo di appren-dimento non può essere trasferi-mento di un sapere giudicato buono dall’insegnante e che l’alunno deve assumere acriticamente, ma è frut-to di una scoperta personale, vis-suta a partire dalla realtà concreta dell’alunno, e attraverso la quale avviene una trasformazione che è un allargamento in pienezza della sostanza stessa della persona, che saprà esprimere se stessa e le sue conoscenze in modo più accurato, consapevole, appropriato, compe-tente, ma che soprattutto riuscirà a orientare le sue azioni verso una “sapienza” (una vita piena di sapo-re) da cui è chiamata.

la scuola che motiva e costruisce:di quale apprendimento stiamo parlando?

di Francesca Argenti

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Obiettivo docente

l’apprendimento significativodi Giovanna MartinesPer la pedagogia igna-

ziana apprendere signi-ficativamente vuol dire

“sentire e gustare le cose in-ter iormente” come dice S. Ignazio nella II annotazione degli Esercizi Spirituali. Le implicazioni didat t iche di questa annotazione spirituale sono chiare: gli studenti ap-prendono meglio quando co-struiscono il loro sapere in modo attivo attraverso situazioni di apprendimen-to fondate sull’esperienza, considerata, nel Paradigma Pedagogico Didattico (R. Car-magnani, M.Danieli,V.C.M. Denora, Principato edizioni 2006) come la fase necessa-ria per promuovere l’appren-dimento significativo. Nella pedagogia ignaziana il termine «esperienza» viene perciò uti-lizzato per descrivere «ogni attività in cui, oltre all’ap-proccio intellettuale della ma-teria presa in considerazione, una sensazione di natura

affettiva viene provata dall’alun-no» (Paradigma Pedagogico Igna-ziano n.43). Il docente, dunque, deve creare le condizioni affinché l’alunno sia protagonista del suo processo di apprendimento susci-tando in lui un coinvolgimento che non è solo di natura conoscitiva, ma è, soprattutto di natura affetti-va ed emozionale. Collegare i con-tenuti disciplinari all’esperienza vissuta dell’alunno significa su-scitare in lui la curiosità e un desi-derio di apprendere che dura tutta la vita. Strumento fondamentale dell’apprendimento significativo, per la pedagogia ignaziana, è la “praelectio” che motiva l’alunno e lo facilita nel suo lavoro personale. Ogni docente preparerà accura-tamente la praelectio a seconda degli studenti e dei risultati che vuole ottenere. Vi sono tanti tipi di praelectio: un questionario (utile ad esempio nel caso di una nuova materia per capire quali sono le

conoscenze pregresse o, anche gli eventuali pregiudizi), la vi-sione di un film, il testo di una canzone piuttosto che un brano di un libro, una frase scritta alla lavagna che stimoli la curiosi-tà, un’uscita didattica o un la-voro di gruppo. Sulla base dei risultati ottenuti nella praelectio, il docente costruirà, quindi la sua lezione che risulterà, così, profondamente agganciata ai reali bisogni degli alunni e ai loro vissuti emozionali. La di-dattica per competenze di cui oggi tanto si discute nelle scuo-le per la costruzione del curri-culum d’istituto, trova, quindi,

nella pedagogia e nella didatti-ca ignaziana le sue radici mil-lenarie. Una delle competenze chiave per l’apprendimento permanente “imparare ad im-parare” ad esempio, nella pe-dagogia ignaziana la troviamo nelle Caratteristiche dell’attivi-tà educativa della Compagnia di Gesù (Roma 1986) al punto 45 che recita: “La crescita nella maturità e nell’indipendenza, indispensabili per crescere nel-la libertà, comporta una par-tecipazione attiva più che una accoglienza passiva. Tra i passi importanti in questo ruolo atti-vo degli studenti ricordiamo: lo studio personale, occasioni per la ricerca e la creatività perso-nale e un costante atteggiamen-to di riflessione. Il compito del docente è di aiutare ogni stu-dente a diventare un soggetto che apprende in maniera indi-pendente e che va assumendo la responsabilità della sua edu-cazione.” Da un paio di anni al Collegio S. Ignazio di Messina si tengono corsi di formazione per i nuovi docenti, con sca-denza mensile, sulla pedagogia ignaziana finalizzati all’acqui-sizione di uno “stile condiviso”. A questi si sono aggiunti in-contri di autoformazione sulla didattica per competenze e sul curriculum d’istituto.Di seguito si presenta, come esempio di apprendimento significativo, un’esperienza vissuta al Collegio strutturata in Unità di Apprendimento, strumento fondamentale del-la didattica per competenze, realizzata con gli alunni della I liceo.

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uNITà DI APPRENDIMENTo: “A TAVolA coN Il MEDITERRANEo”

Obiettivo docente

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GlI ITsa cura di Alfonso Rubinacci

Gravità e durata della crisi economi-ca non rendono sufficiente lo sforzo compiuto per migliorare i sistemi educativi, anche quando si ricorre a modalità che intrecciano formazione e lavoro (tirocini formativi, alternan-za, apprendistato). Sempre maggiore

è l’attenzione verso i percorsi di transizione dalla scuola all’occupazione. Il sistema formativo più orientato alle esigenze occupazionali come l’IeFP e le nuove forme di alta specializzazione tecnica sono temi ai quali da tempo Tuttoscuola dedica particolare attenzione. Questo dossier vuole fornire una fotografia del livello di benessere organizzativo e dei risultati dell’attività svolta dalle Fondazioni Istituti Tecnici Superiori (ITS), quale opportunità

di documentazione su tematiche strategiche e ri-levanti, ma, anche, come strumento per favorire la crescita del rapporto della scuola con il mondo dell’impresa, nelle specificità di ciascun contesto territoriale. “Le imprese - spiega il dott. Gildo De Angelis, direttore generale dell’USR Lazio - chie-dono competenze, dato l’evidente gap tra le richieste di competenze e l’incapacità di dare risposte, ma per favorire questo processo di avvicinamento occorre anche una politica industriale in grado di prevedere con largo anticipo le necessità occupazionali”, a conferma dell’idea di quanto sia necessario attivare monitoraggi continui per anticipare la rilevazione dei fabbisogni anche attivando, al riguardo, livelli di ricerca. Il servizio di IeFP costituisce” … un impegno d’avanguardia … coerente anche con gli orientamenti europei (competenze chiave, ter-minalità a 18 anni, etc,…)” e “ una base di riferi-mento per l’attuazione della filiera in verticale della

Gli Istituti tecnici superiori tra ambizioni ed emergenze occupazionali

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formazione professionale in Italia … e la possibilità di realizzare percorsi brevi di specializzazione tecnica su-periore (IFTS)” (lettera di Lauretta Valente, CIOF-FP, al Presidente del Consiglio Matteo Renzi). Don Mario Tonini, presidente della federazione nazionale CNOS-FAP, sollecita un intervento legislativo ”per rendere più fluido il cammino … attraverso la filiera professionalizzante; un gio-vane dovrebbe poter progredire con più facilità dalla qualifica al diploma professionale e poter passare, poi, alla formazione superiore senza il vinco-lo del 5° anno nell’istruzione”. Prima di entrare nel merito delle questioni, si richiamano alcuni elementi sulla natura delle Fondazioni ITS (Istituti Tecnici Superiori), fondazioni di par-tecipazione in attuazione del DPCM 25 gennaio 2008, che costituiscono la formazione terziaria non accade-mica del nostro Paese “ … in fase di consolidamento e di ulteriore defi-nizione in un precario equilibrio tra esigenza di sistema “nazionale” ed articolazioni e specificità territoriali” (Claudia Corradi, Piccoli ITS cresco-no, Rassegna Cnos 3/2013)”. La con-sistenza numerica delle Fondazioni ITS in Italia al termine della fase transitoria, conclusa al 31 dicembre 2012, era di 59 realtà (fonte Indire). Le Fondazioni Istituti Tecnici Supe-riori (I.T.S.), “scuole ad alta specializ-zazione tecnologica”, rappresentano da una parte la prosecuzione della IeFP, realizzano la verticalizzazione, che, tra l’altro, mancava e forniscono alle imprese, specialmente medie e piccole, e al territorio professionalità in grado di supportare i processi di innovazione tecnologica. Possono, così, concorrere a sostenere lo svi-luppo territoriale e la competitività del mondo dell’impresa. E’ bene evi-denziare che le Fondazioni si confi-gurano diversamente dalle istituzioni scolastiche perché, con la forma della Fondazione di partecipazione, si è dato vita a scuole di nuova genera-zione i cui fondatori, per legge, devo-no annoverare tra loro tutti gli attori presenti nel territorio, considerando

che, obbligatoriamente ne devono far parte: Istituzioni scolastiche, Enti di Formazione Professionale, Imprese, Università, Centri di ricerca, Enti lo-cali. Realtà che, grazie al confronto in situ tra i diversi attori dello sviluppo, offrono una formazione specialistica che risponde alle esigenze di occu-pabilità e di sviluppo territoriale, e avviano la realizzazione di un Polo, quale centro di riferimento per la ri-cerca e la soluzione dell’esigenza di competenze innovative per i settori produttivi afferenti. Rispetto alle 59 iniziali, oggi le Fondazioni sono 74, di cui 30 nell’area delle nuove tecno-logie per il made in Italy; 12 nell’area della mobilità sostenibile;11 nell’area dell’efficienza energetica; 9 nell’area delle tecnologie innovative per i beni e le attività culturali; 7 nell’area delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione; 5 nell’area delle nuo-ve tecnologie della vita. Un’offerta in crescita, dunque, diffusa in quasi tut-te le Regioni, eccettuata la Basilicata (oltre alla Valle d’Aosta, Bolzano e Trento che godono però di regimi particolari nell’ambito dell’Istruzio-ne). La maggiore presenza si registra in Lombardia, Emilia Romagna e Lazio. Molise, Sardegna e Umbria, viceversa, sono le Regioni che hanno l’offerta più contenuta. Efficacia ed efficienza si misurano anche nella risposta del mercato del lavoro che, al momento, appare positiva. Le pro-spettive occupazionali dei giovani sono strettamente collegate allo skill bias di una economia, cioè al suo orientamento verso professioni che richiedono alti gradi di specializza-zione. “Gli studenti - precisa il prof Giorgio Maracchioni, Presidente del-la “Fondazione Istituto tecnico supe-riore per le nuove tecnologie della vita” di Pomezia, - “devono acquisire la consapevolezza che le aziende non cercano titoli, ma competenze per ri-solvere i problemi quotidiani che si verificano nella routine aziendale”. Il modello della messa a disposizione di uno spazio tecnologico rispetto al quale l’azienda agisce da coaching aziendale - aggiunge Walter Bertin,

amministratore della Labomar - “ è un aiuto concreto ai giovani che han-no idee innovative, ma anche le im-prese hanno i loro vantaggi in quanto possono aumentare e/o diversificare la produzione. Il modello definito dalla Fondazione ITS per le nuove tecnologie della vita di Pomezia, al quale abbiamo aderito, oltre a sup-portare i giovani imprenditori può aiutare anche le imprese che hanno impianti non sfruttati al 100%”. Si può immaginare anche il recupero di aree dismesse o sottoutilizzate che vengono riattivate dalle giovani start up dopo un periodo di incubazione e accompagnamento per produzio-ne di lotti pilota”. Inoltre - spiega il Dott Maurizio Aluffi, Segretario Regionale Confartigianato del La-zio - “ serve far comprendere ai giovani che esistono diverse forme di inserimento nel mondo del lavo-ro e che … servono competenze, serve saper fare”.

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Elemento decisivo di successo è rap-presentato dalla stabilità del quadro normativo, organizzativo, istituzio-nale ed imprenditoriale. “Una pro-gettualità innovativa – chiosa Aluffi – richiede impegno, investimenti non solo in soldi, ma di tempo. Non si investe in una situazione incerta”. I dati diffusi dal MIUR in merito agli esiti occupazionali dei primi diplo-mati nei percorsi ITS evidenziano una buona, anche se non eccezionale, performance nel loro primo biennio di attivazione. Al 31 ottobre 2013, su 825 studenti che hanno conseguito il diploma, 491, pari al 59,5%, risultano occupati. Si tratta di dati parziali, non disaggregati territorialmente, e che denotano una significativa varia-bilità a seconda dell’area tecnologica ed anche della consistenza nume-rica di ciascuna area. I migliori ri-sultati sembrerebbero essere quelli dei corsi per la mobilità sostenibile (79,7% di occupati su un totale di 222

diplomati) e per la meccanica (65,2% su un totale di 198 diplomati). Le ulti-me informazioni diffuse dal MIUR, e relative ad un campione di 68 corsi conclusi, comprendenti anche quelli monitorati in precedenza, descrivono una migliore performance occupa-zionale, con il 64,7% di diplomati, su un totale di 1.214, che ha trovato lavoro. La qualità della formazione degli ITS, ma soprattutto l’efficacia dell’integrazione tra formazione te-orica e formazione in azienda - so-stiene Claudia Corradi, ricercatrice Censis - “permette ai giovani di in-serirsi proficuamente nel mondo del lavoro, avendo non solo competenze tecniche ma soprattutto dell’organiz-zazione e della cultura aziendale”.Dall’esame delle informazioni acqui-site si coglie, inoltre un aspetto “uti-litaristico”. I giovani che si iscrivono agli ITS sono altamente motivati, quasi un’autoselezione in ingresso, che permette alle aziende di poter

attingere ai “migliori”. Compa-tibilmente con lo sviluppo azien-dale, gli imprenditori manifestano una tendenziale disponibilità ad accogliere stagisti proprio in fun-zione di un loro futuro possibile inserimento nel proprio contesto di lavoro. Tuttavia si debbono os-servare anche numerose criticità, specialmente riguardo a informa-zioni più puntuali. Non sappiamo nulla, ad esempio, sulla qualità dell’occupazione: la coerenza con il percorso svolto, il tipo e la durata del contratto, l’apporto delle im-prese partner e delle altre imprese alla progettazione e realizzazione dell’offerta, ecc. Su queste doman-de abbiamo raccolto una prima ri-sposta attraverso l’interessante e impegnata esperienza formativa raccontata dal prof Giorgio Marac-chioni, presidente della “Fondazio-ne Istituto Tecnico Superiore per le Nuove Tecnologie della Vita” di Pomezia che, costituita nel 2010, opera negli ambiti di Biotecnologie industriali e ambientali (biotecno-logie, bianche, blu, rosse e verdi) e di Produzione di apparecchi, di-spositivi diagnostici e biomedicali.L’ITS è l’infrastruttura in grado di alimentare il rapporto con il mon-do dell’impresa che è chiave dello sviluppo del sistema paese. E’ da questa consapevolezza che le parti in causa devono partire per crea-re le condizioni di trasformazione delle idee in progetti. In una so-cietà colpita da un tasso di disoc-cupazione giovanile superiore al 40% il problema non è soltanto la crisi economica ma il superamen-to di una linea culturale centrata sull’idea che “se studi non lavori e viceversa”.Questa visione culturale va supe-rata mettendo a disposizione de-gli studenti gli strumenti idonei a portare tutti ad un’esperienza pra-tica di alternanza, di tirocinio, di apprendistato, d’istruzione tecnica superiore non universitaria, dove trovare anche spazi attrezzati che i giovani possono utilizzare per

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Direttore De Angelis come so-no la scuola, il mondo dell’e-ducazione, dell’impresa in generale visti dalla sua “pol-trona” di direttore generale? Quali sono le richieste che le sono rivolte dai dirigenti, dai docenti, dagli studenti, dalle famiglie, dal mondo del lavoro?“La scuola, ma direi più in ge-nerale la formazione devono rispondere alle sfide di rilancio del Paese. Le imprese chiedo-no competenze, evidente il gap tra richieste di competenze e incapacità di dare risposte, ma per favorire questo processo di avvicinamento occorre anche una politica industriale che sia in grado di prevedere con largo anticipo le necessità occupazio-nali. Spesso assistiamo impotenti alla scomparsa di posti di lavo-ro, e quelli nuovi che si posso-no “creare” tardano ad essere colti dai giovani, perché non ne conoscono l’esistenza. Un pro-blema è anche la “cultura” del lavoro. Siamo troppo ancorati a schemi verticali, invece sempre più si assiste alla trasversalità di figure professionali. Un giovane pensa a quanto lui conosce, ma a volte i lavori possibili sono al-tri, anch’essi gratificanti, ma non conosciuti. Dirigenti, docenti cercano indicazioni, reti di rela-zioni ed il tempo per trasforma-re la richiesta di competenze in

formazione. E’ necessario stimolare l’incontro tra domanda e offerta di competenze, superare la paura che le imprese vogliano sostituirsi alla scuola, non è così. Gli imprendito-ri vogliono un sistema che prepari i

giovani a fargli vincere le sfide della concorrenza, non dimentichiamo che la globalizzazione significa compe-tizione tra sistemi geopolitici diver-si, capacità di muoversi in contesti diversi, parlare lingue diverse dalla nostra: l’inglese potrebbe non esse-re più sufficiente. Molti lavoratori di aziende italiane, che lavorano sul nostro territorio nazionale, entrati in azienda parlano in inglese, i docu-menti sono scritti in lingua inglese. Le aziende non vogliono sostituir-si ai docenti, vogliono avere perso-ne in grado di rispondere alle loro

esigenze quotidiane, un ritardo può causare una perdita di commessa e non possono permettersi che ci sia una riduzione di quote di mercato, ciò porterebbe ulteriore difficoltà di inserimento di giovani in contesti di lavoro.”Che cosa, di questa platea di sog-getti, la colpisce di più nei vari

comportamenti e richieste?“E’ sorprendente che ogni soggetto chiede e dice all’altro cosa dovrebbe fare, ma non si preoccupa di modi-ficare i suoi comportamenti in un atteggiamento di apertura. Fare siste-ma, realizzare ciò che singolarmente ogni soggetto / ente / Istituto / azien-da non potrebbe realizzare. Lavorare in sinergia non vuol dire “somma di attività”, ma raggiungere un risultato ad alto valore aggiunto per la società, per ogni partner, ma soprattutto per i giovani.” Un punto molto importante delle

Parla Gildo De Angelis, direttore generale dell’ufficio scolastico regionale del Lazio

di Alfonso Rubinacci

“sono la vera novitàdel sistema formativo”

Il Dott. Gildo De Angelis, direttore generale dell’ufficio scolastico regionale del Lazio, è impegnato a far cresce-re, nei dirigenti, nei docenti, tra studenti, famiglie, orga-nizzazioni professionali e sociali e mondo dell’impresa, la partecipazione attiva alla vita della scuola, e a far convergere l’attenzione su un obiettivo politico, quello dello sviluppo degli ITS, che potrebbero diventare real-mente una grande opportunità formativa e occupazio-nale per i giovani.

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politiche formative del Governo è quello dello sviluppo dell’istruzio-ne tecnica superiore? Quali fat-tori, ad oggi, hanno contribuito maggiormente al suo sviluppo? “Le Fondazioni Istituti Tecnici Su-periori costituiscono il segmento di formazione terziaria non universita-ria, svolgono “alta formazione tec-nica” per rispondere alla domanda delle imprese di nuove ed elevate competenze tecniche e tecnologiche.Formano tecnici superiori nelle aree tecnologiche strategiche per lo svi-luppo economico e la competitività del Paese, Industria 2015 ed ora Eu-ropa 2020. La proposizione fu fatta di concerto tra MIUR, MISE, MLPS. Il sistema integrato oltre a rappresen-tare un “avvicinamento” alle altre realtà Europee, costituisce l’occasio-ne per una progettazione condivisa tra soggetti. Scuola, Università, For-mazione, Imprese, Enti locali sono costretti a confrontarsi, dal confronto emergono le innovazioni di metodo, di prodotto, di processo. La richiesta di competenze vive una prossimità che il sistema può soddisfare avendo ridotto i tempi tra rilevazione e sod-disfazione. Gli ITS possono essere

anche il luogo in cui si favorisce e si accompagna la cultura di impre-sa. Nel Lazio abbiamo esperienze in merito che dovranno essere am-pliate e sostenute, penso a Garanzia Giovani per gli aspetti di placement relativo ed alle potenzialità di filiera con i relativi risvolti occupazionali diretti e di indotto. La forza del siste-ma ITS è il confronto, ma dobbiamo superare la debolezza delle attività di orientamento, consentire agli ITS di diventare un sistema alternativo a quello universitario. Per diventarlo le attività di orientamento devono esse-re svolte mentre le università fanno orientamento. Il monitoraggio è un punto di forza, ma non deve essere soltanto di tipo quantitativo, ma an-che e soprattutto qualitativo. E’ au-spicabile che il sistema sia stabile per alcuni anni, rilevare i punti di forza e di debolezza ed introdurre correttivi mutuati dalle buone prassi. Gli ITS, le scuole tecniche e professionali de-vono essere correlati alle politiche industriali, senza questa relazione, che si deve costruire nel tempo, gli sforzi rischiano di non produrre tutti i benefici attesi, non per incapacità delle Fondazioni, ma per problemi

Il direttore generale Gildo De Angelis, dirige, dal 10 settembre 2014, l’Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio. Nel corso della sua carriera ha svolto presso il Miur numerosi incarichi operativi su tematiche con-

nesse agli ambiti di organizzazione e rapporti di lavoro per il personale scolastico, di collaborazione con le Regioni per la programmazione ter-ritoriale del servizio scolastico. Ha contribuito allo studio dei progetti di riforma degli ordinamenti scolastici, dei raccordi con università. sempre attento all’ascolto del mondo della scuola il dott De Angelis è orientato a fornire il massimo supporto ai processi di cambiamento, all’operati-vità degli uffici e delle scuole alla luce di una mobilità e molteplicità di relazioni con la Regione, gli Enti locali e le parti sociali in quanto por-tatori di scelte e responsabilità. Della personalità professionale del di-rettore De Angelis un dato appare certo: innovazione, semplificazione ed efficienza sono al centro delle sue strategie con enorme potenzialità.

cHI è

di ritardo delle risposte che il si-stema istituzionale deve dare. In altre parole dovremmo costituire un tavolo di confronto che agisce sul modello “task force” ameri-cano, un tavolo veloce, snello a cui afferiscono i problemi ed in tempi certi fornisce soluzioni.”Come il mondo dell’impresa dovrebbe aiutare la scuola nel-lo sviluppo del programma di alternanza scuola-lavoro per studenti del quarto e quinto anno della scuola secondaria? Come si dovrebbe organizzare il rapporto con le scuole? Quali secondo lei le priorità?“L’Alternanza Scuola Lavoro è un valido strumento per avvicinare la scuola alle aziende, ma non dob-biamo dimenticare le differenti missioni delle due realtà. L’azien-da non può, e non deve diventare scuola, né lo vorrebbe. Le aziende devono comprendere, e percepire, che l’Alternanza Scuola Lavoro è un investimento non un costo. E’ ovvio che questo dipende anche dalla capacità progettuale della proposta formativa e dall’aderen-za di questa alle esigenze delle/a

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azienda. Un reale decollo di que-sto strumento implica un nuovo assetto organizzativo-funzionale delle istituzioni scolastiche. Le lezioni devono essere “aperte”, gli orari molto flessibili. La scuola, i docenti devono confrontarsi con le aziende, o loro rappresentanze,

all’interno dei Comitati Tecnico Scientifici che non sono ambiti di sostituzione delle competenze de-gli Organi scolastici, ma un luogo di confronto da cui emergono le esigenze del territorio e nel qua-le si individuano le linee guida per la progettazione. La priorità è quella di una scuola che si riorga-nizza intorno alle politiche per il lavoro. L’Alternanza deve essere

anche una occasione per far conosce-re tutte le opportunità e gli strumenti contrattuali, penso all’apprendista-to che le scuole e le Fondazioni ITS possono avviare.”L’avvio della formazione scuola-azienda dal terzo anno della scuola secondaria superiore non le sem-

bra troppo tardi? Ha q u a l c h e s u g g e r i -mento in proposito?“ No, non è t r o p p o tardi. Una r i c h i e s t a delle azien-de per la competitivi-tà è la qua-lità, tutto si basa sulla qualità ero-gata e per-cepita. Non è possibile insegnare l’astrazione dei proces-s i p r i m a che questi siano stati compresi e trasformati in compe-ten ze. Se anticipassi-mo troppo

l’ingresso avremmo l’accesso soltan-to a profili / mansioni molto basse che oggi stanno scomparendo grazie all’automazione.”Gli Istituti Tecnici Superiori, segmento di formazione terzia-ria non universitaria garanti-scono un servizio di formazione adeguato alla domanda delle im-prese di nuove ed elevate com-petenze? Quali le novità per i

giovani e per le imprese? “Le Fondazioni ITS sono la vera no-vità del sistema formativo italiano. Stanno dimostrando di essere uno strumento in grado di rispondere alle esigenze delle imprese, lo di-mostrano i dati di occupabilità. Le Fondazioni devono essere sostenute dal Sistema e accompagnate nei pro-cessi di placement. Molto importante il riconoscimento dalla Regione La-zio di far operare le fondazioni per l’apprendistato in alta formazione e apprendistato in ricerca in virtù dei soggetti che compongono la com-pagine sociale delle Fondazioni. Il sistema deve chiedere alle fondazioni di intervenire in tutti i compiti che gli assegna il DPCM 25 gennaio 2008 nelle misure di trasferimento tecnologico. Il successo formativo ed il rilancio occupazionale si ottie-ne formando competenze in settori in espansione. La competitività del sistema Italia sarà colta soltanto se saremo in grado di far operare le aziende su lavori ad elevato contenu-to tecnico.”Come procede il monitoraggio e la valutazione delle esperien-ze ITS? Concretamente cosa sta accadendo?“Il monitoraggio del sistema si sta realizzando, ma dovremo svolgerlo di sistema, considerare anche cosa le Fondazioni chiedono e cosa suggeri-scono. Sono loro che vivono “front line” i problemi che devono essere aggregati in dati, ma i dati devo-no essere approfonditi con analisi qualitative.Dobbiamo rilevare le esigenze di ot-timizzazione ed avere il coraggio di investire accompagnando le misure di correzione necessarie previa de-terminazione di esportabilità, condi-zioni necessarie perché si raggiunga lo stesso risultato positivo. In altre parole oltre alla rilevazione in ban-ca dati attivare anche un confronto per comprendere le cause che hanno

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impedito di raggiungere le perfor-mance attese.”Quali le ricadute per i giovani e per le imprese?“Elevate. Le aziende hanno le com-petenze che chiedono, i giovani l’oc-cupazione. Una situazione win win. Interessante anche il modello di cre-azione di impresa che si sta speri-mentando nel Lazio con il concreto supporto delle aziende che ospitano le start up di giovani negli impianti di produzione, loro sfruttano di più gli impianti, i giovani beneficiano di impianti allestititi e riducono i costi di investimento ed il tempo di immis-sione in commercio dei loro prodotti.”Le linee guida ribadiscono l’im-portanza del ruolo delle fondazio-ne ITS e rilanciano i Poli Tecnico Professionali. nel Lazio a che pun-

to siamo con la costituzione dei Poli?“I Poli Tecnico Professionali, sono una parte necessaria dei processi di riforma e razionalizzazione della spesa. Purtroppo nel Lazio siamo in ritardo, ancora non sono stati avviati, mentre in altre Regioni il processo è in fase attuativa. Penso alla Regione Calabria, dove Fondazioni ITS del nostro territorio sono state inserite

quali partner in Poli Tecnico Pro-fessionali e sono state avviate le attività.”Le fondazioni e i Poli Tecnico Professionali potrebbero essere luoghi di orientamento attivo, sede di razionalizzazione delle risorse tecniche e strumentali e luoghi di eccellenza per fa-cilitare l’orientamento in una logica di filiera e l’inserimento nei contesti di lavoro?“La costituzione dei Poli Tecnico Professionali al cui interno sono inserite le Fondazioni ITS rap-presentano una filiera di settore / area che consente la razionalizza-zione delle risorse tecniche e pro-fessionali che possono diventare luoghi di eccellenza. Un obiet-tivo, che le scuole e fondazioni

possano depositare brevetti come avviene in altre realtà europee analoghe, ma sicuramente posso-no essere il luogo in cui si offro-no servizi al territorio e dove le aziende trovano le risorse umane secondo le loro esigenze che pos-sono essere inserite nel mondo del lavoro con le diverse tipologie di contratti oggi disponibili.”

sviluppare le loro idee con supporti tecnici. “Ciò non significa – aggiun-ge il dott. De Angelis – eliminare le differenti missioni delle due realtà. L’azienda non può, e non deve, di-ventare scuola, e né lo vorrebbe.Le aziende devono comprendere, e percepire, che l’alternanza scuo-la lavoro è un investimento non un costo”. Siamo in presenza di uno scenario ricco di novità ed azioni di sostegno alle forme di occupazione dei giovani. In questo quadro il po-tenziamento e la qualificazione del rapporto tra sistema educativo ed im-prese, un legame più stretto tra istitu-zioni formative, mondo produttivo e giovani, devono costituire l’asse stra-tegico per migliorare le performance del sistema educativo e per offrire alle aziende risorse umane qualifica-te che risponde alle esigenze anche dell’innovazione tecnologica. “Lavo-

rare in sinergia – conclude De Angelis – non vuol dire “som-ma di attività” ma raggiungere un risultato ad alto valore ag-giunto per la so-cietà, per ogni p a r t ne r , m a s o p r a t t u t t o per i giovani”. Quest i temi, insieme a quelli dell’innovazio-ne digitale, sono all’attenzione di Tut toscuola ,

nella convinzione che la documen-tazione di esperienze rilevanti offra una pluralità di spunti utili alla rifles-sione e ai cambiamenti in corso nel sistema educativo.Tuttoscuola rivolge un sincero rin-graziamento ai nostri interlocutori per averci concesso tempo ed atten-zione, sperando di poterci incontrare presto per commentare e discutere di altre novità operative.

segue da pag. 49

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Una esperienza di polo formativo chimico farmaceutico nel Lazio

la FondazioneIstituto Tecnico

superiore per le nuove tecnologie della vita

la Fondazione Istituto Tecnico Superiore (ITS) per le nuove tecnologie della vita, opera nel

segmento di formazione terziaria non universitaria, svolge “alta formazione tecnica” per rispondere alla doman-da delle imprese di nuove ed elevate competenze tecniche e tecnologiche, negli ambiti delle Biotecnologie in-dustriali e ambientali (biotecnologie, bianche, blu, rosse e verdi) e della Produzione di apparecchi, dispositivi diagnostici e biomedicali. La Fon-dazione si costituisce nel 2010 dopo una positiva esperienza di polo for-mativo chimico farmaceutico attivo nel Lazio – Biotecnoform (Associa-zione Temporanea di Scopo), in cui erano presenti 18 soggetti: scuole, università, enti di ricerca, centri di formazione, imprese, organizzazioni sindacali, associazioni di professio-nisti. Dopo la costituzione iniziano incontri con imprenditori ed esperti di area. Le riunioni di progettazione hanno avuto lo scopo principale di:• analizzare i modelli di alta forma-zione non universitaria di Francia, Svizzera, Germania rapportandoli alle esigenze, alle caratteristiche e alle necessità delle realtà imprendito-riali del nostro Paese,• definire le modalità di azione per distinguere la Fondazione da Univer-sità, Scuola, Formazione,• rendere visibili queste differenze

ai destinatari delle attività (studenti), alle imprese ed in termini più ampi alle realtà socio economiche e quindi individuare l’identità della Fondazio-ne. Le attività della Fondazione sono state finalizzate a ridurre il forte di-sallineamento tra filiere formative e filiere produttive del Paese, incre-mentare la cultura del trasferimento tecnologico quale leva per il rilancio socio-economico, promuovere l’edu-cazione all’imprenditorialità che è in aumento nella maggior parte dei Pa-esi europei, ma non ancora in Italia. L’occupabilità viene favorita por-tando la formazione svolta dalla Fondazione al centro del sistema. L’inserimento lavorativo delle risorse umane si concretizza in due modali-tà: diretto, quali tecnici specializzati che possono essere inseriti nei diver-si reparti delle aziende di settore, fornendo anche le competenze per gestire l’introduzione di innovazioni (sia di processo che di prodotto), e costituzione di nuove imprese (start up innovative, imprenditoria giova-nile e femminile). Al sistema delle imprese abbiamo chiesto di parteci-pare alle diverse fasi di attività:• analisi dei fabbisogni• progettazione• docenza• accoglienza degli allievi per lo sta-ge formativoma soprattutto di fornire:

• progetti di ricerca che al momen-to non erano considerati per loro strategici • interventi di coaching aziendale al fine di supportare le start-up in fase di costituzione I vantaggi per i sistemi aziendali che hanno aderito alla proposta fornendo indicazioni derivano dalla possibilità di visiona-re, prima di altri potenziali soggetti interessati, quanto emerso dagli studi condotti nel corso delle attività didat-tico – laboratoriali e sintetizzato nei business case/plan sviluppati dagli allievi.

di Giorgio Maracchioni*

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Vincoli e scelte strategiche

Al fine di acquisire le informazioni è stato necessario individuare una modalità per garantire all’azienda la proprietà industriale e la confi-denzialità delle informazioni di cui la Fondazione e i giovani entrava-no in possesso sia con documenti, che nella frequentazione dei reparti delle aziende. La soluzione adotta-ta è stata quella di sottoscrivere dei protocolli a cui seguivano specifici accordi che potevano includere con-fidenzialità, impedendo la visione

dei contenuti riportati ad eventuali soggetti concorrenti che comunque potrebbero avere collaborazioni con la Fondazione. Da qui la prima scelta strategica di restringere al minimo la compagine dei soci della Fondazio-ne e di operare nei confronti di altri portatori di interesse con accordi di settore, area e filiera distribuita sia nel territorio nazionale ed anche so-vranazionale. Una scelta necessaria che si è rivelata utile anche per lo sviluppo del modello verso un siste-ma “aperto”, in grado di rispondere alla grande azienda come alla picco-la (realtà molto presente nel sistema chimico farmaceutico, degli alimenti funzionali e nel biotech) spesso terzi-sta delle grandi aziende. Si è costitu-ito così un team di co-progettazione costituito per la maggior parte da imprenditori che hanno fornito in-dicazioni poi rielaborate dallo staff della Fondazione, approvate dal CTS e rese esecutive. Altra innovazione è stata quella di anticipare l’anali-si dei fabbisogni a livello di ricerca e di individuare potenziali mercati con ampi margini di crescita, come quello degli alimenti funzionali, nu-traceutici e cosmeceutici.

organizzazionedelle attività formative

Il piano formativo definito a livello di progettazione iniziale, è stato co-stantemente adeguato alle esigenze delle aziende e del mercato. Sono state fornite competenze per tutte le aree e funzioni aziendali. Le Uni-tà formative Capitalizzabili (UFC) sono state pensate e strutturate in macro aree corrispondenti ai reparti presenti nelle aziende. Le attività di aula laboratorio sono diventate così ambiti di sperimentazione attiva del-le necessità e fasi di vita di un proces-so/ prodotto all’interno dell’azienda.Il piano didattico prevede inse-gnamenti teorico-pratici di livello avanzato di discipline scientifiche e tecniche proprie del settore. Durante lo svolgimento del percorso forma-tivo vengono organizzate lezioni in

aziende impegnate nei diversi settori delle biotecnologie (salute, alimen-tazione, ecc.), seminari e incontri con imprenditori del settore, rappre-sentanti di realtà scientifiche, ope-ratori nel campo della produzione, promozione e finanziamento, esperti nei settori della brevettazione, della Ricerca & Sviluppo, del controllo di qualità. Il corso biennale è suddiviso in 4 semestri, con lo svolgimento di 2000 ore complessive di cui 1.400 teorico / pratiche e 600 di stage for-mativo, nei quali si sviluppano argo-menti che vengono progressivamente approfonditi e integrati, fino a porta-re i giovani allo sviluppo di un Busi-ness Plan originale. Abbiamo cercato di contestualizzare i programmi del-le singole unità formative raccordan-doli alle richieste di un settore, quello biotecnologico, interessato da pro-fonde trasformazioni tecnologiche e professionali, e anche con la finalità di sviluppare azioni di trasferimen-to tecnologico per l’immissione nel settore di nuovi prodotti/servizi. La progettazione del percorso didattico ha avuto come obiettivo quello far acquisire agli studenti competenze di elevato contenuto sia teorico che applicativo. L’attività didattica è stata impostata sulla base delle richieste espresse dal mondo del lavoro e dei ruoli professionali che costituiscono il potenziale sbocco occupazionale per i corsisti. Particolare attenzio-ne è stata posta nella impostazione concettuale e metodologica del per-corso e nell’utilizzo di procedure e tecnologie didattiche innovative. Nello specifico, l’architettura del per-corso è stata strutturata in semestri all’interno dei quali vengono svolte le UFC la cui finalità era quella di far acquisire competenze che venivano progressivamente approfondite, con-testualizzate e attuate in condizioni e simulazione diverse (in altre UFC dei semestri successivi). In partico-lare nel I semestre sono state svolte attività che hanno fatto acquisire le competenze tecnico-scientifiche di base funzionali alla professione e ne-cessarie per affrontare nei semestri

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Arianna, Giorgia, Laura, Gaia e Letizia, sono state studentesse della Fondazio-

ne ITS “Nuove tecnologie della vita”, di Pomezia: 2000 ore di formazione di cui 1400 di teo-ria e pratica, 600 di stage svolto nell’azienda Labomar di Trevi-so. Per 6 mesi hanno affianca-to i professionisti della ricerca e sviluppo, del controllo qualità, dell’amministrazione, del regola-torio e dell’ufficio commerciale. “Il nostro percorso formativo ha avuto un approccio molto prati-co, dove la comunicazione tecni-co scientifica si è accompagnata alle problematiche socio econo-miche, tipiche di una struttura

aziendale” afferma Giorgia. “Du-rante il percorso, ci è stato chiesto di preparare un prototipo e di de-finire il business plan del progetto. Quasi per caso, è nata così la nostra

idea di business. E se non fosse so-lo un’idea, ma una realtà industriale su cui creare la nostra start-up? Con questa domanda e con la consapevo-lezza di poter rendere reale un’idea di successo, Labomar le ha aiutate nel percorso di formazione: “La no-stra idea è nata quasi per caso, e da subito ci siamo messe in gioco per capire se si potesse concretizzare un progetto industriale” continua Gior-gia, che in Labomar si è occupata di gestione documenti, assicurazione qualità, stesura batch record… “all’i-nizio sembra difficile ma quando si è capito il meccanismo tutto risulta più semplice”. Laura ha svolto il suo stage nell’ ufficio commerciale, men-tre Arianna è stata accolta dallo staff dell’Assicurazione Qualità Labomar: “Credevo che il controllo dei lotti e la verifica di conformità prodotto fossero lavori monotoni, mentre in realtà ho scoperto un lavoro interes-sante e per niente banale. Ho impa-rato il linguaggio della qualità e ho capito, nella pratica, che differenza c’è fra conformità e non conformità”. Infine, Letizia e Gaia si sono dedica-te alla ricerca, in Labomar Research dove nascono gli alimenti funzionali e nutraceutici: “Ricerca e sviluppo sono la nostra passione da sempre. Durante il biennio di studio abbiamo partecipato ad altri momenti di for-mazione in azienda, ma in Labomar

Incontro con l’imprenditoreWalter Bertin e alcune studentesse

E se non fossesolo un’idea?

di Paola Torre

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Dossier GlI ITssuccessivi, materie più complesse e specifiche del settore.Nel II semestre abbiamo indotto gli allievi ad applicare le competenze acquisite in attività specifiche che prevedevano sia l’impiego delle competenze di base (I semestre), che l’acquisizione di ulteriori compe-tenze che completavano le esigenze lavorative per gestire le procedure ed operare nei diversi ambiti della ri-cerca, sviluppo, produzione e servizi di aziende attive nel campo delle bio-tecnologie e scienze della vita. Nel III semestre infine le competenze sono state reimpiegate per la definizione di un piano di impresa comprensi-vo delle documentazioni (prove di laboratorio, ecc.) necessarie per otte-nere le autorizzazioni all’immissione sul mercato dei prodotti/servizi. E’

prevista inoltre l’assunzione di una gamma di competenze trasversali (lingua inglese, comunicazione, in-formatica, coaching…) non legate ad uno specifico ambito lavorativo, ma che rendono comunque capaci di relazionarsi, risolvere problemi, ideare soluzioni creative. In tutti i semestri la metodologia didattica è centrata sulle attività di laboratorio (didattica laboratoriale). In partico-lare, gli studenti sono stati impegnati in esperimenti, anche articolati nel corso di diverse giornate, precedu-ti da un’adeguata introduzione sia sulla tematica da affrontare che su strumentazione e reagenti da usare e seguiti dalla discussione dei dati

ottenuti e delle possibili applicazioni e sviluppi delle procedure sperimen-tali apprese. Durante tutto il corso è stato sem-pre fatto riferimento al lavoro svolto quotidianamente in un laboratorio di ricerca o in un settore produttivo e/o di servizio, per ridurre il gap tra for-mazione / lavoro e favorire l’ingresso degli studenti nella vita lavorativa. Il IV semestre è dedicato alle attività formative di stage che completano il percorsi formativo. La scelta e l’abbi-namento allievo/azienda è stato com-plesso e nel nostro modello prevede una fase di valutazione delle compe-tenze, presentazione dei candidati e colloqui, nel corso dei quali vengono evidenziate le attitudini e motivazio-ni dei discenti. La scelta è stata effet-tuata anche in base al business plan

prodotto dagli allievi, singolarmente o in team, e all’interesse delle azien-de. Nell’adottare la decisione sono state considerate anche la volontà e le attese degli allievi, in termini di potenziale inserimento lavorati-vo quali dipendenti e/o in forma di imprenditoria. La rilevazione della disponibilità si è resa obbligatoria in quanto quasi tutti gli allievi hanno svolto stage fuori provincia, 8 di loro addirittura fuori regione.Gli stage hanno rappresentato una fase formativa estremamente im-portante per il consolidamento delle competenze acquisite e per le scel-te future. La permanenza in realtà aziendali ha consentito agli studenti

è stato diverso. Non ci siamo limitate a guardare, abbiamo partecipato attivamente. Inizial-mente molti erano i dubbi e di certo non è semplice confrontarsi con professionisti del settore, ma l’accoglienza e il supporto dello staff Labomar ci ha fatto capire che le cose sono spesso possibili e raggiungibili. Volete sapere co-sa ci ha incuriosito dei ricercatori Labomar? Assaggiano ogni co-sa! Di certo questa sarà un’espe-rienza importante per il nostro futuro, e da qui potrebbe partire il nostro prototipo e, chissà, una futura collaborazione con Labo-mar e Labomar Research. Questa volta, però, non come studentes-se ma come imprenditrici della nostra nuova start-up.” La Fon-dazione ha organizzato diverse iniziative per favorire la visione e valutazione dei business plan predisposti dalle allieve, afferma Walter Bertin, amministratore della Labomar; “noi abbiamo iniziato a collaborare dalle pri-me fasi, oggi abbiamo dato uno spazio alla Fondazione ITS per le nuove tecnologie della vita in cui le giovani possono realizzare la loro idea di impresa con il nostro supporto agendo da coaching aziendale, un progetto del presi-dente Giorgio Maracchioni che abbiamo assorbito nel tempo e completa l’incubatore che hanno realizzato a Roma.Questo modello, continua Bertin, può essere utilizzato per aiutare i giovani e le imprese che han-no poche idee e macchine non sfruttate al 100%, poiché attiva un ciclo virtuoso che deve esse-re sostenuto. Le giovani imprese hanno così uno spazio di produ-zione da subito, se l’idea è valida, e possono ridurre i tempi del time to market con reciproci vantaggi per le giovani e per le imprese.”

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di confrontarsi con realtà produttive, di primaria importanza a livello na-zionale, di confrontare ciò che ave-vano appreso con quanto richiesto e necessario per gestire i cicli pro-duttivi. Le dinamiche aziendali che gli allievi hanno vissuto e le attività svolte, sono state determinanti per mettere in risalto quanto avevano appreso. Gli allievi progressivamente hanno acquisito la consapevolezza che le aziende “non cercano titoli, ma competenze per risolvere i problemi quotidiani che si verificano nella rou-tine aziendale” e che le competenze da loro acquisite sono spendibili nei vari reparti, o meglio che una competenza può essere valorizzata in più aree aziendali, che spesso non sono neanche conosciute se non da chi vive una realtà aziendale. Questa consapevolezza, favorisce un rapido inserimento nel mondo del lavoro, e può consentire la transizione da una azienda all’altra con maggiore facilità. Lo stage è stato anche l’oc-casione per verificare la fattibilità della loro idea di impresa e soprat-tutto la possibilità, anche grazie alla disponibilità degli imprenditori, di maturare definitivamente la voglia di trasformare l’idea in prodotto e por-tarlo sul mercato, in altre parole fare impresa con il supporto di aziende che hanno dato la disponibilità di produrre e partecipare al business degli studenti.

Fondazione: non solo atti-vità formative

La Fondazione organizza convegni e iniziative a supporto dello sviluppo del settore delle biotecnologie per incrementare la competitività delle aziende promuovendo:• contratti di rete interregiona-le coerenti con le aree di interes-se, collaborazioni produttive e di commercializzazione• azioni ed iniziative finalizzate ad attrarre investimenti in capitale di rischio nelle PMI – venture capital e imprenditoria giovanile (previo espletamento di concorsi e selezioni

di idee). La fondazione struttura i percorsi / servizi in coerenza con le politiche di sviluppo industriale e territoriale, per le idee / progetti in-teressanti favorisce e gestisce fasi delicate come quelle pre brevettuali (attraverso la sottoscrizione di ac-cordi di confidenzialità per garanti-re i vantaggi competitivi e formare risorse umane necessarie alla pro-duzione). Nell’attuazione di quanto sopra indicato rientra il concorso del-le Idee Io domani …. , che prevede che “Le aziende, dopo aver visionato i business plan degli allievi, possono decidere, previa manifestazione di interesse, di partecipare e accompa-gnare le giovani imprese nello svi-luppo delle attività imprenditoriali o addirittura entrare nella compagine sociale con assetti da definire in ap-positi contesti che vedono i giovani supportati dalla Fondazione”. Alcu-ne aziende partners della Fondazione hanno definito accordi per consen-tire alle start up di produrre nei loro

siti. Questa decisione consente di eli-minare i tempi ed i costi per l’allesti-mento di siti produttivi, e di ridurre il time to market in quanto le start up hanno siti già autorizzati (terzismo di Ricerca e Sviluppo attuato con Responsabilità Sociale d’Impresa in una visione nuova ed ampliata del concetto originale di R.S.I.).I vantaggi per le imprese sono:• valorizzazione e sviluppo di linee di progetti/prodotti che non erano ritenuti strategici, ma che comunque erano stati oggetto di investimenti (previa definizione di accordi speci-fici e piano di attività), • ampliamento della gamma di pro-dotti e dei canali di vendita trami-te accordi commerciali che vedono coinvolte le start up, • incremento dello sfruttamento degli impianti.• riduzione del rischio e aumento di flessibilità• immagine per intervento sociale e partecipazione ad eventi/documenti

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Dossier GlI ITsdi informazione e orientamentoAlcune delle attività imprenditoriali venute alla luce durante il corso, sono scaturite all’interno di un progetto ad ampio respiro che abbiamo chiamato ‘Solidarietà Solidale’. Questo proget-to ha come obiettivo la riduzione del costo della materia prima necessaria per la preparazione di un farmaco di vitale importanza nei paesi in via di sviluppo. Questa materia prima è di origine vegetale, e l’idea è quella di abbassarne il costo attraverso lo sfruttamento totale delle potenzia-lità della pianta; ad esempio, poiché essa ha un profumo gradevole, ne sono stati estratti gli oli essenziali per poterli utilizzare nella prepara-zione di prodotti cosmetici (saponi, creme anti-aging, profumi... etc.); e inoltre c’è in progetto di valorizzare anche quelle parti che costituiscono ‘gli scarti’ (parti legnose, scarti di lavorazione, etc), al fine trasformare i costi in risorse. Inoltre la coltivazione della pianta è stata realizzata in colla-borazione con alcuni Istituti Tecnici Agrari, partners di Fondazioni ITS ad indirizzo agrario, coinvolgendo così anche studenti che frequentano gli ultimi anni delle scuole superiori, in attività innovative non solo per quanto riguarda la parte produttiva, ma anche e soprattutto per la finalità che il progetto si pone, ossia quella di rendere accessibile il farmaco a una fascia molto ampia di popolazione attraverso l’abbassamento del suo co-sto, acquisire una mentalità di ricerca e sviluppo, confrontarsi con richieste e metodi che richiedono riservatezza.La partecipazione dei giovani a que-sto progetto ha stimolato in loro la riflessione e offerto un’occasione per sentirsi protagonisti di sviluppo, con-tribuendo così ad accrescere la loro creatività e il loro entusiasmo.L’esperienza dell’ITS NTV si è svi-luppata con grande positività, realiz-zando la omogeneizzazione di realtà molto diverse tra loro, condizione che costituisce un arricchimento per tutti gli attori coinvolti, sistema sco-lastico, universitario, formativo e del mondo del lavoro e del quale hanno

ovviamente beneficiato soprattutto gli allievi.

Placement,la nostra attività

La Fondazione è attiva nelle misure di accompagnamento al lavoro, le azioni di placement prevedono un approccio integrato di informazione, orientamento e aree dedicate per le imprese di giovani, il tutto a sup-porto degli studenti che sono così inseriti in un sistema di relazioni. Le misure iniziano a livello di corso, dove grazie alle U.F.C. di comuni-cazione, marketing e coaching, gli allievi imparano anche a promuovere se stessi o la loro idea, in coerenza con le modalità di inserimento nel mondo del lavoro che sceglieranno secondo le proprie attitudini. Vengo-no realizzati incontri e seminari, pro-mossi contatti con le aziende, è stato attivato un incubatore di imprese a Roma, nella sede della Fondazione di Via Taranto, dove le start up vengono accompagnate nel complesso proces-so di inserimento sul mercato. L’in-cubatore conta sul fattivo supporto di aziende che hanno visionato i pia-ni di impresa predisposti durante il percorso formativo ed hanno dato la disponibilità di far svolgere sviluppo e produzione nei loro siti produttivi.

cosa abbiamo fatto

Il primo ciclo di formazione per “Tecnico superiore per la ricerca e lo sviluppo di prodotti e processi a base biotecnologica” si è concluso il 25 luglio 2014. Si sono diplomati 22 allievi di cui 9 hanno già trovato oc-cupazione nel settore di riferimento e 12 hanno fatto richiesta alla Fon-dazione per avviare 3 start up che saranno assistite, nella sede di Ro-ma della Fondazione, in Via Taranto 59/T –V Via Orvieto 45/A, che agirà anche da incubatore di impresa.E’ proprio dalle azioni di scouting che è scaturito il progetto “Soli-darietà Solidale”, che prevede la va-lorizzazione integrale di una pianta

per ridurre i costi di un principio at-tivo base per un farmaco per curare patologie endemiche in Africa. “Il progetto sperimentale”, include la costituzione di società di giovani ed è realizzato in rete tra Fondazioni ITS e imprese distribuite sul territorio na-zionale. Le tre start up innovative che si stanno avviando: S.MA.R.T Lab (Laboratorio di Sviluppo Manifat-turiero; per la Ricerca Tecnologica), CoSmeSia e BioEssenzial sono unite nella realizzazione di questo progetto con forti risvolti umanitari. Inoltre sono stati sottoscritti gli ac-cordi per apprendistato in alta for-mazione ricerca, ma stiamo in attesa delle disposizioni operative.

cosa non abbiamopotuto fare…

Il sistema, inteso come la totalità degli attori che sono protagonisti e quindi anche il MIUR e la Regio-ne Lazio potrebbe fare comunque di più. Citiamo ad esempio l’esclusione da alcuni bandi per l’alta formazio-ne perché ancora non è noto a tutti cosa sono le Fondazioni ITS e cosa fanno … e cosa potrebbero fare con supporti.Per gli studenti lavoratori che hanno superato il test di selezione, ci sono difficoltà per far concedere e rico-noscere l’istituto delle 150 ore per il diritto allo studio, che anche se insuf-ficienti aiutano a soddisfare il vinco-lo dell’80% di frequenza del corso. Ciò determina che i lavoratori che hanno superato le selezioni rischiano di non poter sostenere l’esame fina-le. Ancora non siamo riconosciuti come soggetto che può promuove-re attività di ricerca anche se siamo stati riconosciuti come soggetti per l’apprendistato in alta formazione ri-cerca (accordi firmati con la Regione Lazio).

sostenere gli ITs e criticità

Il nuovo canale di Alta formazio-ne tecnica rappresentato dalle Fon-dazioni ITS sta dimostrando di

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rispondere alle esigenze ed alle at-tese di introduzione, anche in Italia, di un sistema di alta formazione non universitaria, ma soprattutto sta con-sentendo l’inserimento nel mondo del lavoro. Si registrano alcune debo-lezze, come ad esempio l’insufficien-te sistema di orientamento dovuto anche all’incertezza di attivazione dei corsi degli anni successivi. Se si considera il sistema come alternativo a quello universitario, l’orientamento deve svolgersi nello stesso periodo in cui le università accettano le prei-scrizioni e gli studenti provenienti dal V anno delle scuole superiori effettuano le scelte dei loro percorsi formativi futuri.La mancanza di certezza dell’inizio dei corsi, difficilmente fa effettua-re scelte tra la realtà universitaria e gli ITS. I Poli Tecnico Professionali dovrebbero agire come sedi in cui i giovani possono conoscere meglio le realtà future e le opportunità la-vorative rilevando, grazie anche al-la presenza delle Fondazioni e delle aziende, tutti i possibili inserimenti lavorativi (necessità delle aziende) che sono più ampi di quanto loro im-maginano, e possono comprendere il significato e le implicazioni future della loro scelta in termini di percor-so e inserimento lavorativo. A questo proposito un ruolo molto importante lo ricoprono i mezzi di comunicazio-ne di massa ed i social network che dovrebbero presentare cosa si può fare con alcune competenze.Possiamo affermare che esiste una “spendibilità” centrale che si estende anche in altri settori.Scelte consapevoli hanno due risvolti positivi: incremento di successi for-mativi e facilitazione dell’inserimen-to lavorativo. Si avverte l’esigenza di un tavolo di confronto stabile tra Fondazioni ITS e Istituzioni in cui effettuare, tra le altre cose, la rileva-zione di prassi e soluzioni positive adottate, determinare come esportar-le in altri contesti e trovare le condi-zioni necessarie per l’attuazione. Le reti tra ITS ed i Poli Tecnico Profes-sionali sono sicuramente un mezzo

che facilita ciò.

le potenzialità del sistema

Il nuovo segmento di Alta Forma-zione Tecnica, gli ITS, possono sia favorire occupazione diretta sia pro-muovere la cultura della creazione di impresa basata sul trasferimento tecnologico, e quindi garantire com-petitività al sistema socio economico, ma anche essere uno strumento di politica attiva del lavoro in grado di prevenire “fratture generazionali” mediante reimpiego di professionali-tà in esubero, anche con costituzione di nuove società in cui tali risorse possono partecipare. Le Fondazioni possono essere il luogo di sperimen-tazione, anche in virtù delle aperture ai fondi interprofessionali contenute nelle norme di settore, del passag-gio da politiche passive ad attive del lavoro, mediante inclusione di Ri-sorse Umane in esubero (persone che hanno esperienza e di cui pos-sono essere valorizzate le competen-ze possedute) nella costituzione di New Co che vengono costituite con la prevalenza di giovani di diplomi. L’ agire in filiera, in attuazione delle indicazioni delle linee guida inclu-dendo i Poli Tecnico Professionali, costituisce una realtà in grado di fornire “competenze” coerenti con le necessità del trasferimento tecnolo-gico (anticipazione del fabbisogno di formazione in coerenza con lo stato della ricerca …), che può contribuire allo sviluppo della cultura di ricerca e sviluppo e cercare il contenimen-to dei problemi di disoccupazione (sia esuberi che inserimenti al lavo-ro) può essere realizzato mediante la coniugazione di processi di ricon-versione del personale (stiamo assi-stendo all’aumento delle domande di iscrizione di risorse umane che sono state estromesse e sono in stato di mobilità) con l’inserimento al lavoro dei giovani tramite creazione di im-presa (“coniugazione” della formula del management by out, con la cre-azione di impresa giovanile, start up innovative, e spin off..) sostenendo

settori in espansione e che possono rappresentare un risparmio per la spesa sanitaria (alimenti funzionali, nutraceutici). Possono essere recupe-rate siti e aree industriali dismesse, o sotto utilizzati, aggregando cordate di imprenditori che valorizzano le idee di impresa di giovani.

Il monitoraggio

E’ stato introdotto un sistema di monitoraggio di cui è responsabile INDIRE, e sono stati definiti degli indicatori per definire le premiali-tà. Il monitoraggio deve essere di sistema e valutare anche se gli at-tori Istituzionali sono stati causa di inefficienze e ritardi. Si pensi all’o-rientamento tardivo che causa ab-bandoni, scelta di risorse umane che hanno minori competenze e cono-scenze che si traduce in un livello di competenze più basso. Occorre introdurre un sistema che valuta oltre agli aspetti quantitativi quelli qua-litativi, analizzando i processi posti in essere e bisogna inoltre cercare di far adottare le stesse procedure alle fondazioni che incontrano più difficoltà; si devono mettere in atto la rilevazione di buone pratiche e l’ob-bligo di adottare le stesse mutuate da sistemi ottimizzati, con periodi di attuazione, revisione … E infine è necessario stabilire se il sostegno delle amministrazioni centrali e re-gionali è stato offerto tempestiva-mente, nel momento in cui era stato richiesto e in cui era necessario. Oc-corre incrementare le relazioni degli ITS con la politica industriale: senza una seria politica industriale non si può immaginare il rilancio dell’oc-cupazione. Nei criteri di valutazione occorre rivedere alcuni indicatori , a titolo esemplificativo, ma non esau-stivo, i codici ATECO, spesso non rispondenti alla reale attività delle aziende, sia per fusioni acquisti, ripo-sizionamenti sia perché alcune figure tecnico – professionali possono tro-vare impiego anche in altre realtà… *Fondazione Istituto Tecnico Superio-re per le Nuove Tecnologie della Vita

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Dossier GlI ITs

Maurizio Aluffi, il mondo dell’impresa ha bisogno degli ITS? Quali gli ele-

menti caratterizzanti?“Le imprese hanno bisogno di risorse umane in grado di risolvere le diffi-coltà quotidiane che una impresa si trova ad affrontare nei processi pro-duttivi e/o nell’erogazione di servizi. Questa esigenza di competenze gli ITS riescono a soddisfarla. La par-tecipazione all’analisi dei fabbisogni ed alla progettazione dei percorsi di formazione è il punto di forza che consente agli ITS di formare compe-tenze che servono alle aziende. Noi abbiamo bisogno di un sistema che ci aiuta a risolvere i problemi tecnici, di metodo e di processo in tempi brevi, nei tempi che servono ad essere com-petitivi, noi non dobbiamo, né voglia-mo sostituirci ai soggetti deputati alla formazione, ma dire loro cosa serve, semmai aiutare i docenti con nostri esperti, visite in aziende, stage.”Vuole fornirci una visione critica positiva delle opportunità di col-laborazione proficua tra scuola e mondo del lavoro? “Noi collaboriamo con diverse real-tà scolastiche, serve maggiore fles-sibilità a livello organizzativo. Far comprendere ai giovani che esisto-no diverse forme di inserimento nel mondo del lavoro e che un titolo non serve, servono competenze, serve saper fare.”Quale ritiene essere il ruolo fin qui svolto dal mondo che lei rappresenta?

Parla Maurizio Aluffi, segretario regionale Confartigianato Lazio

“serve maggiore flessibilità a livello

organizzativo”di Paola Torre

Maurizio Aluffi, Segretario di Con-fartigianato Imprese lazio, nomi-nato dal consiglio Direttivo della Federazione è da molti anni impe-gnato nell’attività di rappresen-tanza del mondo dell’Artigianato e della piccola e media impresa: Vice-Presidente della camera di commercio di Rieti, nonché compo-nente della segreteria Tecnica Na-zionale di ANAEPA-confartigianato.convinto che il futuro della Re-gione lazio è strettamente legato anche all’Artigianato ed alle Pmi è impegnato con la Federazione Re-gionale per dare un nuovo vigore alle politiche attive del lavoro e per le misure a sostegno delle imprese.

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“Noi da anni collaboriamo con il si-stema della Formazione, le esperien-ze sono state sempre molto positive. Noi abbiamo chiesto cosa ci serviva e prima negli IFTS, poi negli ITS ab-biamo trovato risposte. Occorre in-centivare la conoscenze di strumenti quali l’apprendistato, spesso non tro-viamo risorse umane che vogliono iniziare da un profilo più basso per poi crescere con noi nel sistema.”Quali suggerimenti vorrebbe for-mulare alle fondazioni per aiutar-le a consolidare la rete di relazioni con le imprese, i risultati in termi-ni di occupazione?“Più che alle Fondazioni il suggeri-mento va dato alle Istituzioni, serve stabilità. Una progettualità innova-tiva richiede impegno, investimenti non solo di soldi, ma di tempo. Non si investe in una situazione incerta. Un esempio, noi stiamo collaborando con la Fondazione Istituto Tecnico Superiore per le Nuove Tecnologie della Vita di Pomezia (RM), insieme stavamo/stiamo valutando lo svilup-po di un progetto per le categorie svantaggiate, con servizi e assisten-za, ma non c’era certezza neanche di poterlo presentare. Il sistema deve attivare una modalità di progettazio-ne negoziata, in fondo le Fondazioni sono luoghi in cui tutti sono rappre-sentati, sono i terminali e l’incon-tro tra esigenze che devono essere soddisfatte.”Quali scelte di politica scolastica potrebbero motivare e incentivare i privati ad investire negli ITS?

“Gli ITS dovrebbero essere “centri di ricerca e servizio”, aiutarci ad attuare sistemi innovativi e formare le risor-se umane su quell’innovazione. Nel Lazio abbiamo sostenuto la sottoscri-zione degli accordi di apprendistato in alta formazione e ricerca, ma le Istituzioni non supportano. Le Fon-dazioni ci provano, ma da sole non possono farcela.”Teme la povertà digitale della scuola?“Oggi non si possono avere lacune sul digitale, sempre più si stanno affermando anche nuovi canali di marketing e vendita, non avere com-petenze digitali significa avere una marcia in meno.”

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DossierGl

I ITs

Due indagini della federazione CNOS-FAP

Tra punti di forzae aspetti

da miglioraredi Mario Tonini*

la Federazione CNOS-FAP ha seguito da vicino l’avvio dell’ of-ferta formativa degli ITS, “scuole

ad alta specializzazione tecnologi-ca”, segmento dell’istruzione non universita-ria. è entrata, in qualità di so-cio, in diverse Fondazioni ed avvalendosi del prestigioso ap-porto del CEN-

SIS, ha dato vita ad uno specifico Osservatorio. In un breve arco di tempo l’Osservatorio ha realizzato due indagini. La prima, i cui dati sono stati presentati a Roma il 20 marzo 2014, ha analizzato aspet-ti caratterizzanti gli ITS: la fase di costituzione, i percorsi attivati, le caratteristiche della docenza e dell’utenza, le prospettive di svilup-po, i punti di forza della propria of-ferta formativa, le criticità risolte ed ancora da risolvere. La seconda si è concentrata sugli esiti occupazionali dei primi diplomati.Si è trattato di una indagine essen-zialmente qualitativa, non avendo l’obiettivo di fornire un quadro esau-stivo e statisticamente rappresentati-vo dello stato dell’arte, compito ben svolto dal sistema di monitoraggio MIUR-Indire. I risultati complessivi di questa seconda indagine verranno presentati a Roma, presso la sede del CENSIS, il 5 febbraio 2015. Le con-siderazioni del presente contributo

mirano ad anticipare solo qualche elemento dell’indagine complessiva. L’indagine fa riferimento a 41 Fon-dazioni ITS, di cui il 53,7% dislocate nelle regioni settentrionali, il 22,0% al Centro ed il restante 24,4% nel Mezzogiorno. Le aree tecnologiche scelte, inoltre, sono state quelle del made in Italy - sistema meccanica e sistema agroalimentare (ciascu-na 19,5% del totale), della mobilità sostenibile (17,1%) e dell’efficienza energetica (12,2%). Pur facendo ri-ferimento a corsi avviati nel primo biennio di attività, nel realizzare questa indagine sono emerse ancora molte disomogeneità legate, in parti-colare, ai tempi di attuazione dei per-corsi, ai calendari degli esami finali e ai tempi della rilevazione sull’esito occupazionale rispetto alla conclu-sione dei percorsi. Pur in presenza di queste disomogeneità, è possibile fare un primo bilancio di questa of-ferta formativa.

Tre elementi messiin evidenza dall’indagine

Tre sono gli aspetti sui quali ci con-centriamo: gli esiti occupazionali dei primi corsi conclusi nel primo bien-nio, i pareri dei diplomati, le impres-sioni delle imprese.Il dato dell’inserimento lavorativo. Secondo i risultati dell’indagine pro-mossa dall’Osservatorio è occupato il 76,7% dei diplomati, mentre il 14,6% è disoccupato o in cerca di prima occupazione, il 5,2% ha proseguito

gli studi all’università (3,8%) o in un altro corso non universitario (1,3%)ed infine il 3,6% si è dichiarato inat-tivo. La percentuale degli occupati è più elevata nelle Regioni del Nord (77,2%), ma anche nel Mezzogiorno si registra una percentuale apprezza-bile (76,6%), superiore a quella del Centro (75,2%). Particolarmente in-teressanti sono anche i dati raccolti circa la qualità dell’occupazione. Più della metà dei diplomati lavora con un contratto a tempo determinato; solo il 23,8% è stato assunto a tempo indeterminato; i restanti sono occu-pati con l’istituto dell’apprendistato, il co.co.pro., i tirocini retribuiti. Non sono mancati i suggerimenti avanza-ti dalle Fondazioni intervistate per consolidare i risultati in termini di occupazione: ampliare la rete di re-lazioni con le imprese e rafforzare il servizio di Orientamento.Il parere dei primi diplomati Ad esprimersi sono, prevalentemen-te, i diplomati della scuola seconda-ria superiore e i 25enni che hanno frequentato i percorsi formativi ITS. “Acquisire le competenze per trovare lavoro”: questa è la motivazione che supera, di gran lunga, tutte le altre (interesse personale per gli argomen-ti trattati, disponibilità di tempo, ri-cerca di una alternativa ai percorsi più lunghi dell’Università, …). Anche i suggerimenti proposti dai diplomati intervistati spingono verso questo obiettivo: intensificare il rap-porto con il tessuto produttivo, po-tenziare gli aspetti pratici, migliorare lo stage per facilitare l’occupazione. Le prime impressioni delle imprese. Sono stati ascoltati anche coloro che, personalmente o attraverso l’impresa in cui lavorano o di cui sono titola-ri, hanno instaurato rapporti molto stretti con le Fondazioni sin dalla lo-ro costituzione. Tra i punti di forza dell’offerta formativa viene segnalata la qualità della formazione; partico-larmente efficace si è rivelata, a loro parere, l’integrazione tra formazione teorica e formazione in azienda, una integrazione che ha permesso di otte-nere, a loro dire, figure professionali

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Dossier GlI ITs

in grado di inserirsi proficuamente nel mondo del lavoro, avendo non solo competenze tecniche ma anche e soprattutto conoscenze dell’orga-nizzazione e della cultura aziendali.I giovani che si iscrivono agli ITS, altro aspetto che può essere ritenu-to “utilitaristico” dal punto di vista delle imprese, sono altamente moti-vati; per le aziende questo aspetto è importante in quanto permette loro di poter intercettare da subito i “mi-gliori”. Particolarmente apprezzata è anche la presenza di docenti uni-versitari e di docenti provenienti dal mondo del lavoro, un mix equilibra-to che garantisce l’alta qualità della formazione.

una prima conclusione “provvisoria”

Gli aspetti richiamati sopra sono so-lo alcuni dei numerosi stimoli tratti dalla seconda indagine i cui risul-tati saranno illustrati il 5 febbraio 2015 presso la sede del CENSIS. Pur apparendo ancora prematuro stila-re un bilancio complessivo, quanto registrato, tuttavia, offre sufficienti elementi per avviare un primo ragio-namento su questa particolare offerta con elementi concreti. Con i caratte-ri della “provvisorietà”, vorremmo

richiamare l’attenzione su quattro aspetti. Il primo è legato alla stabiliz-zazione dell’offerta formativa.è noto che tutto ciò che non è strut-turato non è interiorizzato con faci-lità dai giovani e dalle famiglie. Le criticità evidenziate da tempo circa l’offerta specialistica dell’Istruzio-ne e Formazione Tecnica Superiore (I.F.T.S.) rischiano di prolungarsi an-che sull’offerta degli Istituti Tecnici Superiori se questa non è accompa-gnata da una forte azione distabiliz-zazione, di calendarizzazione e di orientamento. Questo appare a molti un aspetto da migliorare.Dal punto di vista dell’ordinamen-to poi, è giudicata problematica a molti la soglia di ingresso all’ITS. Oggi accede a questi percorsi chi è in possesso di un diploma di Scuola

secondaria superiore. Questo requi-sito rende più fragile il sistema di Istruzione e Formazione professiona-le, base per accedere alla formazione superiore non accademica. In altre parole il sistema appare, a detta di molti, ancora sbilanciato sull’istru-zione. E’ da auspicare un intervento correttivo della norma per rendere più fluido il cammino di coloro che vogliono formarsi attraverso la fi-liera professionalizzante; un giovane dovrebbe poter progredire con più facilità dalla qualifica al diploma professionale e poter passare, poi, alla formazione superiore senza il vincolo del 5° anno nell’istruzione. Una riflessione approfondita, ancora, andrebbe fatta sui costi complessivi dell’offerta per verificare se anche il concorso alla spesa dell’allievo possa essere previsto, trattandosi di una offerta che va oltre il diritto-dovere all’Istruzione e alla Formazione. Un risparmio che permetterebbe di met-tere più risorse nella formazione del diritto-dovere, oggi carenti rispet-to alla domanda dei giovani e delle famiglie.Non mancano coloro, infine, che temono una inflazione dell’offerta formativa. Oggi gli ITS sono 74 e non mancano coloro che ritengono “eccedente” questo numero.Se l’ipotesi avrà un fondamento, chi provvederà a razionalizzare e selezio-nare le offerte eccedenti o non efficaci? Sarà adeguato al compito il sistema di monitoraggio e valutazione sancito il 5 agosto 2014 dall’Accordo in sede di Conferenza Stato - Regioni? Una preoccupazione di natura socio po-litica riguarda infatti, non soltanto l’eventuale ‘spreco’ di risorse, ma anche quei risvolti occupazionali che si riflettono sia sul fenomeno della sottoccupazione, sulla cattiva retribuzione e sulla delusione delle aspettative di chi aderisce ai percorsi e che, una volta ancora, perderebbe fiducia nelle istituzioni, nella possibi-lità di costruire il proprio futuro con lo studio e la formazione. *Responsabile scuola e formazione professionale salesiana in Italia

DONATI C. – BELLESI L., Osservatorio sugli ITS e sulla costituzione di Poli tecnico-professionali. Alcuni casi distudio delle aree Meccanica, Mobilità e Lo-gistica, Grafica e Multimedialità, Tipografia Pio XI, 2013. DONATI C. – BELLESI L., Osservatorio sugli ITS e sulla costituzione di Poli tecnico professionali. Approfondimento qualitativo sugli esiti occupazionali, paperin fase di pubblicazione (dicembre 2014).

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Obiettivo docente

smart Education & Technology days:tre giorni per la scuola che cambia

la XII edizione di smart Education & Technology Days - 3 Giorni per la scuola si è conclusa con un pie-

no successo e, al suo interno, il ricco programma di seminari di approfon-dimento scientifico e metodologico, conferenze, incontri, workshop e labo-ratori multidisciplinari di innovazione didattica su temi di grande attualità e di interesse scientifico, ha registrato un grande apprezzamento da parte del pubblico. In particolare, la convention 2014 ha visto la presenza, nei tre giorni, di oltre 15.000 partecipanti, di cui circa 10.000 docenti provenienti da tutta Ita-lia, e inoltre: 200 scuole che hanno par-tecipato alla rassegna “la Parola alle scuole”; 50 scuole che hanno partecipa-to al Picnic della scienza; 200 relatori rappresentanti di enti nazionali e locali, istituzioni, istituti di ricerca, università, scuole, associazioni e aziende; 2000 stu-denti di scuole di ogni ordine e grado; 200 espositori. si tratta di un dato molto importante, che conferma l’attivismo della grande maggioranza del mondo docente, e che fa ben sperare sul futuro della manifestazione. In un articolato programma che ha affiancato sessio-ni plenarie di discussione a workshop tematici e seminari, i docenti italiani si sono raccontati e hanno raccontato al Paese in che direzione e su quali gambe si muove l’istruzione pubblica. Per tre giorni fittissimi la parola è passata alle scuole, per confrontarsi e condividere modelli efficaci, buone pratiche e una cultura della pedagogia innovativa, che utilizza in modo intelligente le nuove tecnologie. l’evento si è intrecciato profi-cuamente anche con comunicare Fisica 2014, il convegno nazionale organizzato ogni due anni dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare per riflettere, discutere

e confrontarsi sulla didattica e comuni-cazione della fisica, con la partecipazio-ne di giornalisti, insegnanti, ricercatori e professionisti del settore. Raggiunto dunque l’obiettivo di intrecciare le eccel-lenze della scuola italiana che funziona, con uno sguardo particolare ai lega-mi con l’innovazione e la tecnologia, e moltiplicarle in tutto il Paese, da Nord a sud. Il merito di questo successo va, in primo luogo, ai docenti, veri protago-nisti della manifestazione. Di seguito alcune testimonianze raccolte duran-te l’evento. “sa, per chi come me viene dalla ricerca e si è appassionata alla didattica delle scienze e della matema-tica, i 3 giorni per la scuola rappresen-tano una risorsa infinita di confronto e di crescita” dice una docente di scien-ze; mentre un docente coinvolto nelle sessioni auspica: “Ho partecipato ben volentieri, come relatore, alla vostra bella manifestazione e spero di essere presente anche il prossimo anno”. Gli or-ganizzatori hanno raccolto anche molti messaggi di ringraziamento: “Felice ed orgoglioso di avere collaborato con Voi. spero in futuro di venirvi ancora a tro-vare e di avere altre occasioni di incon-tro, confronto e crescita culturale” e ancora “sono stata oltremodo onorata di aver partecipato alla manifestazio-ne e di aver potuto usufruire di una grande opportunità di arricchimento personale e professionale. sono stati tre giorni ricchi di attività, interes-santi, fate veramente un lavoro unico e insostituibile per la divulgazione e la formazione”. Grande entusisasmo nelle parole di una docente: “le confi-do che quando sono entrata ho detto alla collega :”Ma qui c’è il mondo!”. siamo ritornate più ricche emotiva-mente ed esperienzialmente. Grande fucina di idee, di scambi, di confronti. Abbiamo riempito i nostri occhi e le no-stre menti. come direbbe Quaglino: “una

formazione per la vita”. si poteva quasi toccare con mano l’interdipendenza po-sitiva tra persone che non si conosceva-no”. Anche quest’anno l’evento è stato promosso dal Ministero dell’Istruzione, dell’università e della Ricerca e dalla Fondazione Idis-città della scienza e or-ganizzato in collaborazione con l’ufficio scolastico Regionale per la campania rientrando nelle attività di sostegno

alla diffusione e valorizzazione della cultura scientifica, definite dal Proto-collo d’Intesa sottoscritto il 26 marzo 2012 dalla Fondazione Idis-città della scienza e dal MIuR. Il Presidente di città della scienza, Prof. Vittorio silvestrini, ha dichiarato al termine dell’evento: “Il successo della manifestazione con-ferma l’attenzione che si è riaperta in Italia sulla scuola e sul ruolo imprescin-dibile che essa svolge nella crescita non solo culturale ma anche economica del Paese, un segnale di cui tenere sempre più conto nella programmazione delle priorità dei soggetti che si occupano di cultura e di divulgazione, e che ci fa dire orgogliosamente di avere creduto da sempre a questo obiettivo”. Gli orga-nizzatori, soddisfatti, stanno già pen-sando a nuovi temi per l’edizione 2015 della manifestazione.l’appuntamento alla prossima edizione di “smart Education&TechnonologyDays–3 Giorni per la scuola” è dal 15 al 17 ottobre 2015, ed ha già ricevuto numerosissime pro-poste di partecipazione.

di Roberto Paura

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Obiettivo docente

TuTToscuolA n. 547

samsung lo scorso 28 novembre ha presentato nella conferenza stam-pa itinerante i risultati del progetto

Smart Future. Informazione utile a ca-pire se la scuola dove il progetto è stato realizzato ha svolto un buon lavoro. Samsung Smart Future è un progetto avviato nel giugno 2013, nato per favo-rire la digitalizzazione dell’istruzione attraverso la fornitura gratuita di tec-nologie all’avanguardia quali E-boards e tablet, accompagnato in parallelo da un percorso di formazione indirizzato in prima battuta agli insegnanti e, di

conseguenza, agli studenti e alle loro famiglie. L’ambizione di Samsung è contribuire allo sviluppo di una scuola che stimoli la produzione, la fruizione e la condivisione di contenuti digitali e che permetta di ripensare le moda-lità di apprendimento allargandone gli orizzonti, con l’obiettivo di rendere i nostri ragazzi più competitivi sul mer-cato del lavoro. Articolato in tre fasi Smart Future ha ad oggi ha interessato 37 Istituti di Scuola Primaria e Secon-daria Inferiore in Italia. Riguardo al futuro, Smart Future proseguirà e si amplierà anche in collaborazione con le massime Istituzioni Italiane, che stanno lavorando con Samsung per pianificare la seconda fase dell’iniziati-va. Il Ministero dell’Istruzione, dell’U-niversità e della Ricerca (MIUR) ha infatti colto il valore di Smart Futu-re quale facilitatore di un necessario processo di digitalizzazione della scuola italiana. Da questa premessa è nato il Protocollo d’Intesa siglato con il

MIUR, che si pone l’obiettivo di indi-viduare – attraverso un Bando online – le scuole dove implementare, a partire dall’anno scolastico 2014/2015 e per il prossimo triennio, il progetto Smart Future, coinvolgendo un totale di 54 classi delle primarie e secondarie di primo grado su tutto il territorio nazio-nale. “L’ambizione - precisa Carlo Bar-locco, Deputy President di Samsung- è contribuire ad avere una scuola che stimoli la produzione e la fruizione di contenuti digitali e che permetta di ripensare le modalità di apprendi-mentoallargandone gli orizzonti. In questa ottica si colloca Smart Future, forte dell’esperienza già maturata nel mondo, per favorire lo sviluppo della digitalizzazione dell’istruzione a par-tire dagli insegnanti e di conseguenza dagli alunni della scuola primaria e di secondaria di 1° grado”.La RicercaL’Osservatorio sui Media Digitali a Scuola attivato presso il CREMIT (Centro di Ricerca sull’Educazione ai Media, all’Informazione e alla Tecno-logia), si è occupato di svolgere un’in-dagine sulla scuola italiana alle prese con la digitalizzazione e di curare il monitoraggio di tutto il processo di do-tazione tecnologica, formazione degli insegnanti e intervento nelle classi. I primi risultati della ricerca-intervento sono positivi. Dalla ricerca condot-ta su 199 genitori, 157 docenti (64% donne e 36% uomini) e 16 dirigen-ti scolastici emerge che la tecnologia non viene percepita come sostitutiva della didattica tradizionale, ma come un /strumento/elemento che genera valore aggiunto. Viene, infatti, ritenu-ta un aspetto vicino e quotidiano dal 35,49% degli insegnanti, che le attri-buiscono il ruolo di aggregante per l’inclusione di studenti stranieri (60%) e diversamente abili (80%). Non solo: sul fronte studenti, gli insegnanti pen-sano che la tecnologia renda i ragazzi maggiormente responsabili (46%) e possa incidere anche sul rendimento (46%) e l’aggregazione (58%). Positivi

i riscontri anche da parte dei genitori: per il 53,68% il tablet può contribuire a fare squadra e il 23,44% è fiducioso che, grazie al suo utilizzo, i figli pos-sano acquisire competenze diverse. Inoltre, per il 23,25% del campione, il tablet è in grado di produrre strumenti e materiali per una didattica innovati-va, per il 4,93% aumenta il livello di motivazione e per l’11,72% migliora l’attenzione in classe. Scuola OspedaleSamsung ha coinvolto nell’iniziativa anche le scuole che hanno un presidio ospedaliero, per dimostrare e docu-mentare le ricadute positive dell’utiliz-zo della tecnologia nella didattica nei contesti che ospitano alunni ospedaliz-zati. La possibilità di rimanere “con-nessi” con i propri compagni, con la propria classe consente di continuare a studiare, sentendosi parte di un gruppo e di un progetto di sviluppo sociale. Significativa è l’esperienza in corso presso il Policlinico Umberto Primo di Roma, collegato all’istituto comprensi-vo Statale V. Tiburtina Antica. Smart familyIl 17 novembre scorso è stato annuncia-to il progetto Smart Family, promosso in collaborazione con il Moige, con l’obiettivo di sensibilizzare famiglie e docenti sull’importanza di una fruizio-ne responsabile delle nuove tecnologie da parte dei minori, trasformandoli in navigatori sicuri e utilizzatori consa-pevoli del mondo digitale. In questo scenario, Smart Family si pone in par-ticolare lo scopo di trasmettere a geni-tori, nonni e docenti l’importanza di una fruizione responsabile delle nuove tecnologie, per fornire loro gli stru-menti necessari ad affiancare i minori – figli, nipoti e alunni - protagonisti nella navigazione e nell’apprendimen-to con le nuove tecnologie. L’iniziativa si rivolge principalmente a genitori ed agli studenti di 291 classi di scuola pri-maria e secondaria di primo grado tra quelle già digitalizzate nell’ambito del progetto Smart Future e coinvolgerà oltre 25.000 partecipanti.

smart Future: uno scenario per cambiare la scuola (e la vita)

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La Scuola racconta l’Europadi Antonio Augenti

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Riscrivere la storia

Vi sono almeno due buoni moti-vi perché gli attuali interpreti dell’antieuropeismo possano

sostenere la loro causa: l’evidenza di un passato, per tutte le nazioni europee, contrassegnato da divisio-ni, particolarismi, conflitti anche durissimi; e la difficoltà, secondo alcuni, di reperire nella storia vis-suta dai popoli europei elementi connotativi veramente unitari e co-muni. Perché rimane-re nell’Unione o nella zona Euro se l’una o l’altra Entità non garan-tiscono gli interessi dei singoli paesi? Chi può costringere ad un sen-tire europeo, legati da vincoli particolari, se, guardandoci indietro e recuperando un passato anche non direttamente vissuto, ci accorgiamo che non soltanto ven-gono messi in dubbio valori cosiddetti non negoziabili nei quali sembrava di ritrovarsi, ma, come scrisse qual-che tempo fa E. Morin, molti elementi valoriali trovano al loro stesso interno motivi di contraddizione, di problematizza-zione? In alcune sue memorabili pa-gine, Morin notava che l’originalità vera della cultura europea, da molti colta nell’eredità giudaico-cristiana e nel pensiero greco chiave di lettu-ra dello sviluppo scientifico e della moderna solidarietà, sta invece in quella che chiamava “la dialogique”, che potremmo definire come incro-cio fecondo di diversità, di antago-nismi, di aspetti o concorrenziali o complementari. Perché, quindi, se questa è la qualità della memoria, ci si dovrebbe sentire legati intima-mente ad un destino inevitabilmente

comune, soprattutto quando si ri-tiene che lo stare insieme penalizza i singoli appartenenti all’Unione e non favorisce la crescita, lo sviluppo economico, e non crea le condizioni di appagamento e di coesione so-ciale? Le diversità e, talora, le con-traddizioni non sono, forse, un buon motivo per prendere le distanze da un’Unione che si avverte artificiale, esito di un’operazione politica ne-

cessitata da equilibri da rinvenire, piuttosto che da un’evoluzione fi-siologica di comunità che scoprono di poter disdegnare l’onnipotenza degli assetti nazionali, perché questi hanno una dimensione che si mani-festa limitata, incapace di affronta-re e risolvere le sfide che il tempo propone? Nei giorni che stiamo vivendo, anche in forza della crisi economica in atto, sembra prevalere più l’interpretazione di un’Unione posticcia che quella di una Entità con i caratteri pensati dai Padri fon-datori. Si è certamente indebolita la consapevolezza che “pensare l’Eu-ropa” significhi mirare a quella che

è stata concepita da molti come una “comunità di destino”. Si può notare che questa comunità di destino non sia entrata nelle nostre coscienze. Perché ciò possa avvenire, occorre essere convinti che il destino, come si verifica per i singoli, anche per le comunità va forgiato. “Tessiamo noi stessi il nostro fato”, scriveva nei “Principi di psicologia” Wil-liam James, ma alcuni notano che i

giochi talora sembrano già decisi da altri. Tra l’uno e l’altro estremi-smo, nota G. Ravasi, è necessario evitare di prendere netta po-sizione. L’intelligenza di una comunità viene messa così alla prova nell’immaginare un fu-turo che può essere re-so possibile. Costruire, tessere un destino che valga per tutti può esse-re esercizio più agevole se fondato sulla parte di memoria sentita co-mune, su ciò che ci ap-partiene. Disegnare un futuro sul tentativo di prevedere ciò che potrà

accadere è operazione più comples-sa. Nel nostro caso si tratta di spo-sare una causa, quella europea, che può avere un tasso di improponibili-tà se non sconta gli errori commes-si: l’Europa appare a volte stanca, pericolosamente non in grado d’im-porre i valori in cui crede, incapa-ce di utilizzare le proprie energie. I giovani possono e devono darci una mano, perché si possa riacquistare fiducia nella volontà di sgomberare il terreno dalle macerie di un passa-to a volte disastroso.Si tratta, come avverte ancora Mo-rin, di “riscrivere la Storia”, com’è compito di ogni generazione.

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Nei cinque capitoli del libro si definisce la

comunicazione multimediale, collocandola all’interno

dei processi comunicativi interpersonali e di massa;

si tratta della comunicazione dall’ottica di chi riceve

un messaggio multimediale online e offline, ovvero

della fruizione; si delineano le fasi della progettazione

di un testo multimediale, dall’idea alla produzione;

si affronta la fase realizzativa con considerazioni

sull’immagine sonora, sull’immagine visiva e su

quella audiovisiva; si propone al lettore di esercitarsi

praticando l’impostazione di layout, la sintesi

monoconcettuale di brani testuali, la scelta di gamme

cromatiche e la descrizione di metafore, l’ideazione di

icone di navigazione.

Teoria e praticadella comunicazione multimediale

di Caterina Cangià

PrimaDidattica

Caterina Cangià

MULTIDEAEvery single bud’s an idea

Nei cinque capitoli del libro si definisce la comunicazione multimediale, collocandola

all’interno dei processi comunicativi interpersonali e di massa; si tratta della comuni-

cazione dall’ottica di chi riceve un messaggio multimediale online e offline, ovvero del-

la fruizione; si delineano le fasi della progettazione di un testo multimediale, dall’idea

alla produzione; si affronta la fase realizzativa con considerazioni sull’immagine sono-

ra, sull’immagine visiva e su quella audiovisiva; si propone al lettore di esercitarsi pra-

ticando l’impostazione di layout, la sintesi monoconcettuale di brani testuali, la scelta

di gamme cromatiche e la descrizione di metafore, l’ideazione di icone di navigazione. Caterina Cangià

Caterina Cangià, di educazione multilingue e multiculturale, è docente di Didattica

delle lingue moderne all’Università LUMSA di Roma. Pioniera della produzione mul-

timediale in Italia, la sua prima creazione, European Party, ha ottenuto il Gold Award

al Milia di Cannes nel 1995. Ha diretto per 18 edizioni il Festival del Teatro Didattico

in Lingua Straniera. I suoi corsi per l’apprendimento delle lingue – ICI JE VIS, pubbli-

cato dalla Université Saint Esprit di Kaslik (Libano), ENGLISH ON STAGE, pubblicato

dalla Giunti Scuola e CLICK! pubblicato da Multidea – sono la traduzione di anni di

studio, di ricerca e di vissuto condiviso con discenti di lingue e culture diverse. Ha

fondato “La Bottega d’Europa” per promuovere l’insegnamento delle lingue con il te-

atro e con il computer. Ha numerose pubblicazioni al suo attivo e più di 400 articoli

su riviste specializzate che trattano di educazione ai media e di didattica. Per Giunti

ha pubblicato L’altra glottodidattica, per Tuttoscuola Teoria e pratica della comuni-

cazione multimediale e Insegnanti D.O.C., per La Scuola Editrice Lingue Altre. Co-

noscerle e coltivarle e Lingue Altre. Insegnarle e impararle, per Multidea Old & New

media a misura di bambini, Glottotecniche e glottotecnologie e Didattica il LIM itata.

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