Trimestrale | Poste Italiane SpA – Sped. Abb. Post. DL 353 ... · Giusy Ranucci, Raffaele Iorio...

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17.1 Trimestrale | Poste Italiane SpA – Sped. Abb. Post. DL 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 1, DCB Roma – Aut. GIPA/C/RM/26/2013 del 28/06/2013 – ISSN 2385-0736 | Un fascicolo 25 euro Rivista ufficiale di Formazione continua della Società Italiana di Pediatria | Vol. 17 | n. 1 | gennaio–marzo 2016 Serendipità / Fibrosi cistica: come era, come è, come sarà / Telemonitoraggio domiciliare nella Fibrosi cistica / Fegato grasso: è sempre colpa dell’obesità? / Consulenza su farmaci e allattamento: dal caso clinico a un orientamento generale / Consigli ai genitori: la febbre / Il bambino multilingue nello studio del pediatra / Ossigenoterapia ad alti flussi tramite nasocannule nel bambino con insufficienza respiratoria acuta: meccanismo d’azione e indicazioni d’uso

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Rivista ufficiale di Formazione continuadella Società Italiana di Pediatria | Vol. 17 | n. 1 | gennaio–marzo 2016

Serendipità / Fibrosi cistica: come era, come è, come sarà /

Telemonitoraggio domiciliare nella Fibrosi cistica /

Fegato grasso: è sempre colpa dell’obesità? / Consulenza su farmaci

e allattamento: dal caso clinico a un orientamento generale /

Consigli ai genitori: la febbre / Il bambino multilingue nello studio

del pediatra / Ossigenoterapia ad alti flussi tramite nasocannule

nel bambino con insufficienza respiratoria acuta: meccanismo

d’azione e indicazioni d’uso

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Sospensione orale 100 mg/5 ml ibuprofenesenza zucchero

INDICAZIONI TERAPEUTICHETrattamento sintomatico della febbre e del dolore lieve o moderato.

Classe dispensazione: C SOP

1. A D Hay et al. Paracetamol plus ibuprofen for the treatment of fever in children (PITCH): randomised controlled trial. British Medical Journal 2008; 337-a1302.2. D Kanabar. A pratical approach to the treatment of low-risk childhood fever. Drugs in R&D 2014; 14: 45-55.

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Rivista ufficiale di Formazione continua

della Società Italiana di Pediatria

Vol. 17 | n. 1 | gennaio–marzo 2016

[ EditorialE ]

SerendipitàLuciana Indinnimeo

Il termine serendipità rappresenta plasticamente un rapido messaggio di sintesi tra il valore dell ’intuito, la potenza del caso e l ’importanza della curiosità > 5

[ tutto su ]

Fibrosi cistica: come era, come è, come saràElisabetta Bignamini, Carlo Castellani

Una malattia non ancora guaribile, ma senz’altro meglio controllabile e per molti aspetti ben diversa da come era conosciuta un tempo > 7

[ comE si fa ]

Telemonitoraggio domiciliare nella fibrosi cisticaSergio Bella, Fabrizio Murgia

L’analisi dei dati relativi al telemonitoraggio dei pazienti OPBG con fibrosi cistica seguiti a domicilio per un periodo di 5 anni > 13

[ caso clinico ]

Fegato grasso: è sempre colpa dell’obesità?Giusy Ranucci, Raffaele Iorio

Il pediatra non deve perdere l ’opportunità di una diagnosi precoce di malattia di Wilson in tutti i casi di epatopatia di incerta eziologia > 19

[ caso clinico ]

Consulenza su farmaci e allattamento: dal caso clinico a un orientamento generaleRiccardo Davanzo

Non è possibile né utile stilare delle liste di farmaci secondo varie categorie di rischio in corso di allattamento > 24

[ strumEnti di lavoro ]

Consigli ai genitori: la febbreUna nuova rubrica che presenta schede sintetiche da utilizzare nel rapporto con i familiari dei pazienti > 29

[ lE sociEtà sciEntifichE ]

Il bambino multilingue nello studio del pediatraMilena LoGiudice, Roberto Raschetti,

Marina Picca

I vantaggi mentali del bilinguismo persistono in età adulta e sono stati riscontrati anche negli anziani che sono cresciuti con due lingue dall ’infanzia > 30

[ comE si fa ]

Ossigenoterapia ad alti flussi tramite nasocannule nel bambino con insufficienza respiratoria acuta: meccanismo d’azione e indicazioni d’usoPaola Papoff, Roberto Cicchetti,

Stefano Luciani, Rosanna Grossi,

Tiziana Fedeli, Corrado Moretti

L’impiego dell ’HFNC si è diffuso in modo esponenziale in ogni ambito dell ’assistenza respiratoria pediatrica > 35

[ Quiz ]

Test di autovalutazione > 43

In copertina“Madame Roulin and Her Baby”

Vincent van Gogh, 1888, Olio su telaRobert Lehman Collection,

Metropolitan Museum of Art, New York. All’interno

(pag. 6) ‘Mostro’ (elab.), (pag. 13) ‘Dinosauri’,

(pag. 19) ‘Porcellini’, Pietro, 5 anni, pennarelli su carta, 30x21 cm;

(pag. 24) ‘Per passare il tempo’, Sara, 11 anni,

pennarelli su carta, 30x21 cm;(pag. 35) ‘Metro’,

Luca, 5 anni, pennarelli su carta, 30x21 cm.

Questo suggestivo ritratto della signora Augustine Roulin e della figlia neonata Marcelle, catturate in una posa particolarmente innovativa, è uno dei più riusciti della serie di ritratti dedicati alla famiglia del postino della cittadina di Arles Joseph Roulin, realizzati tutti tra 1888 e 1889. Vincent van Gogh si era trasferito nella località della Provenza per trovare un po’ di pace, ma fu proprio qui che ebbe gravi crisi psicotiche, aggredì il pittore Gaugain e si mozzò da solo un orecchio. Marcelle all’epoca del ritratto aveva quattro mesi (morirà nel 1980, quasi un secolo dopo). Quando Johanna van Gogh, cognata del pittore, che era incinta proprio in quei mesi, vide il dipinto, scrisse: “Mi piace immaginare che mio figlio sarà così forte, così bello e che lo zio un giorno dipingerà anche il suo ritratto”. Oltre a questo esposto a New York esistono altri quattro ritratti di Marcelle Roulin: uno al Van Gogh Museum di Amsterdam, uno alla Fondation Socindec di Vaduz, in Liechtenstein, uno alla National Gallery of Art di Washington e uno infine al Philadelphia Museum of Art.

Sospensione orale 100 mg/5 ml ibuprofenesenza zucchero

INDICAZIONI TERAPEUTICHETrattamento sintomatico della febbre e del dolore lieve o moderato.

Classe dispensazione: C SOP

1. A D Hay et al. Paracetamol plus ibuprofen for the treatment of fever in children (PITCH): randomised controlled trial. British Medical Journal 2008; 337-a1302.2. D Kanabar. A pratical approach to the treatment of low-risk childhood fever. Drugs in R&D 2014; 14: 45-55.

con comoda siringa dosatrice

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PER UN RAPIDO(1) ED EFFICACE(2) SOLLIEVO

GustoArancia

GustoFragola

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Direttore Scientifico

Luciana IndinnimeoProfessore Aggregato di PediatriaDipartimento di Pediatria e NPIUniversità di Roma “Sapienza”e-mail: [email protected]

Comitato Editoriale

Sandra BrusaMaria Elisabetta Di CosimoDante FerraraPietro FerraraLuciana IndinnimeoRocco RussoAnnamaria StaianoPier Angelo TovoRenato VitielloUfficio Editoriale

David FratiIl Pensiero Scientifico Editore via S. Giovanni Valdarno, 8 - 00138 Romae-mail: [email protected]

Direttore Responsabile

Luca De FioreISSN 2385-0736

Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 311

del 5 maggio 2000

Progetto grafico e impaginazione

Chiara Caproni immagini&immagine - RomaStampa

Arti Grafiche Trisvia delle Case Rosse, 23 - 00131 RomaFinito di stampare nel mese di marzo 2016

Società Italiana di Pediatria

via Libero Temolo, 4 - 20126 Milanotel. 02.45498282, fax 06.45498199cell. 340.4244544e-mail: [email protected]

Presidente

Giovanni CorselloVice Presidenti

Luigi GrecoAlberto VillaniTesoriere

Rino AgostinianiConsiglieri

Fabio CardinaleAntonio CorreraLiviana Da DaltDomenico MinasiAndrea PessionConsiglieri junior

Massimo BarbagalloElvira VerduciDelegato Consiglio Nazionale

Giuseppe MasnataDelegato Consulta Nazionale

Luigi MemoDelegato Conferenza Gruppi di Studio

Rosalia Maria Da Riol

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di Luciana [email protected]

“S erendipità” viene dall’inglese “serendipi-tà”, usato nella recente

letteratura medica anglosassone. Ho avuto occasione di imbattermi in questo termine e per questo desidero condividere con voi alcune riflessioni in merito.

Il termine “Serendipity” è stato coniato dallo scrittore inglese Ho-race Walpole nel 1754 nella novella Three Princes of Serendip ‒ Serendip essendo il nome arabo dell’isola di Ceylon. Gli antichi viaggiatori spes-so si imbattevano in cose di valore anche senza cercarle veramente, ma solo grazie al caso e ad un acuto spi-rito di osservazione. La serendipità presuppone quindi casualità, ma an-che arguzia, capacità di osservazione e umiltà intellettuale. Nell’epoca vit-toriana il termine non ebbe fortuna nel mondo scientifico, probabilmente perché ritenuto frivolo, essendo stato coniato da un autore di favole. Gli scienziati di allora, pur consapevoli dell’importanza del caso in molte scoperte scientifiche, preferivano tra-scurare la sua importanza. La seren-dipità, considerata una “mostruosità filologica” piuttosto che un neologi-smo degno di entrare nel linguaggio

del mondo accademico, fu sdoganata nel linguaggio medico accademico solo negli anni ’30 del Novecento da Walter Cannon.

Cannon, importante scienzia-to della Harvard Medical School e profondo umanista, colse il valore di un termine che riusciva a racchiude-re in sé l’importanza del caso nella ricerca medica senza nulla togliere alla preparazione, allo spirito critico e all’entusiasmo di essere un sempli-ce osservatore del mondo. La paro-la “serendipity” è oggi ampiamente acquisita nella letteratura medica anglosassone e sicuramente è servi-ta a meglio definire il ruolo del caso nella ricerca scientifica. Un esempio di serendipità scientifica è la scoperta della tolleranza immunologica, avve-nuta il 3 ottobre 1953. È questa la data di pubblicazione su Nature del lavoro di Billigham, Medawar e Brent sca-turito dall’osservazione casuale della tolleranza di allotrapianti cutanei tra vitelli gemelli dizigoti. Questi ricer-catori, dopo i lavori di Owen che nel 1945 era riuscito a dimostrare due ti-pi differenti di eritrociti nel sangue di vitelli gemelli dizigoti, riuscirono a concepire il concetto di tolleran-za immunitaria. Si aprivano nuove

frontiere di progresso medico, fino ai trapianti di organo. La serendipi-tà ha avuto il suo ruolo anche nelle ricerche di Marshall e Warren, Premi Nobel per la Medicina che negli anni ’80 misero in correlazione l’Helico-bacter pylori e l’ulcera peptica grazie ad osservazioni casuali eseguite da scienziati attenti, non condizionati da dogmi. Il dogma dell’epoca era “no acid, no ulcer”. Dall’inizio del No-vecento numerosi erano stati i lavori sulla presenza di batteri spiralifor-mi nello stomaco che non avevano ricevuto adeguata attenzione fino all’avvento dei due ricercatori clinici australiani.

I due medici, durante la loro at-tività ospedaliera di routine, si im-batterono nell’osservazione di batteri spiraliformi nelle biopsie gastriche e ciò stimolò intuizioni che furono portate avanti fino al Premio Nobel.

Il termine serendipità rappresenta plasticamente un rapido messaggio di sintesi tra il valore dell’intuito, la potenza del caso e l’importanza del-la curiosità, sempre da coltivare con umiltà ed entusiasmo in ogni mo-mento della nostra vita. Soprattutto quella professionale .

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Serendipità

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Introduzione

L a storia “moderna” della fibrosi cistica (FC) vede il suo avvio dagli scritti di Dorothy An-dersen del 1938 (Andersen DH. Cystic fibrosis of

the pancreas and its relation to celiac disease clinical and pathologic study. Am J Dis Child 1938;56:344-991) anche se, precedentemente, in letteratura si trova la descrizione di casi clinici fortemente suggestivi di questa patologia. L’immagine del bambino con l’addome espanso, iponutri-to, con tosse cronica e secrezioni dense tali da non riuscire ad espettorare è rimasta, da allora, fortemente evocativa della fibrosi cistica. Nel 2008, Clement R. Ren pubbli-cava un interessante articolo che dava atto di quella che era una realtà ormai conosciuta, almeno dalla comunità scientifica che si occupava e occupa della materia: Ren CR. Cystic fibrosis (Evolution from a fatal disease of infancy with a clear phenotype to a chronic disease of adulthood with diverse manifestations. Clinic Rev Allerg Immunol 2008;35:97–9). Che cosa è successo nell’arco di questi 70 anni?

La malattia è stata da subito riconosciuta d’origine genetica, autosomica recessiva. Una tappa di grande si-gnificato è stata quindi la scoperta del “gene” della fibrosi cistica (1989) che ha aperto nuovi scenari, stimolando medici e ricercatori a cercare di collegare le mutazioni del Cystic Fibrosis Transmembrane Regulator (CFTR) con le eterogenee manifestazioni della malattia. Ora, se questo è possibile per alcune caratteristiche cliniche, per esempio l’ insufficienza pancreatica per le mutazioni delle classi 1–3 (Tabella 4), è molto difficile per altre, tra cui la più importante, ossia la patologia respiratoria. Altri aspetti rilevanti sono stati, negli anni: il miglioramento dei pro-tocolli terapeutici, la disponibilità di nuovi farmaci (an-tibiotici) e loro vie di somministrazione, e il concentrare le cure in centri specializzati con team multidisciplinari e multiprofessionali, che hanno profondamente modificato il decorso della malattia, con aumento molto significativo

[ tutto su ]

Fibrosi cistica: come era, come è, come sarà Una malattia non ancora guaribile, ma senz’altro meglio controllabile e per molti aspetti ben diversa da come era conosciuta un tempo.

dell’aspettativa di vita (circa 40 anni) e che oggi, grazie alle recenti possibilità di cura a disposizione di alcune categorie di pazienti (ivacaftor, ivacaftor+lumacaftor), è possibile migliorino ancora.

Il volto clinico (fenotipo) della malattia

La FC è caratterizzata da una grande variabi- lità di espressione clinica ed evolve con gradi di gravi-

tà altrettanto variabili. La correlazione genotipo/fenotipo è oggetto di acceso dibattito, legato soprattutto al gran numero di mutazioni ad oggi conosciute, circa 2000, con peculiarità che sono riportate nel paragrafo 3.1 Il decor-so della FC è cambiato anche nella sua manifestazione classica, ossia la forma con insufficienza pancreatica e progressivo deterioramento respiratorio. L’introduzione dello screening neonatale, ormai a copertura quasi totale per le Regioni italiane, ha fatto sì che la diagnosi avvenga spesso prima della comparsa della sintomatologia e che i piccoli pazienti vengano immediatamente presi in carico da un Centro specialistico di riferimento. È utile però ricordare che dall’introduzione dello screening neonata-le è stato rilevato un calo di attenzione alla diagnosi in bambini che pure mostrano segni suggestivi della ma-lattia. In realtà, l’ipotesi diagnostica “fibrosi cistica” non andrebbe trascurata, in quanto i casi falsamente negativi

allo screening neonatale variano dal 2 al 4%2), inclusi pazienti con forme cliniche lievi o atipiche. Inoltre, l’im-migrazione da Paesi in cui lo scree-ning neonatale non viene eseguito deve mantenere viva l’attenzione su questa diagnosi differenziale. Le li-nee guida internazionali concordano nell’affermare che la diagnosi di FC vada fatta in base a sintomatologia A

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Elisabetta Bignamini1

Carlo Castellani21 SC Pneumologia – Centro Fibrosi Cistica, AOU Città della Salute e della Scienza di Torino, Presidio Regina Margherita2 Centro Fibrosi Cistica – Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata, Verona

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suggestiva o famigliarità ed alla conferma biochimica (test del sudore) o genetica (due mutazioni del gene CFTR). Tuttavia, talora sia il test del sudore che l’analisi gene-tica non conducono alla diagnosi certa; il primo per la possibilità di falsi negativi, la seconda per l’eterogeneità della mutazioni, non sempre necessariamente associate a malattia. Il test del sudore rimane comunque il “gold standard” per valutare la funzione della proteina CFTR e, quindi, per la conferma diagnostica. La malattia infatti si esprime principalmente a livello delle ghiandole esocri-ne, incluse quelle sudoripare, e comporta secrezioni con contenuto di sodio e cloro nettamente superiori all’abi-tuale. Il test del sudore consiste nel dosaggio dei livelli di cloro nel secreto delle ghiandole sudoripare, raccolto abitualmente a livello dell’avambraccio. Valori al di sopra di una determinata soglia (60 mMol/L) sono compatibili con la diagnosi di fibrosi cistica e, se associati a screening neonatale positivo o a un quadro clinico compatibile, consentono di iniziare il complesso iter terapeutico e di monitoraggio che oggi costituisce lo standard di cura per questa patologia. Viceversa, qualora il livello di cloro nel sudore risulti <30mMol/L nei primi 6 mesi di vita o <40mMol/L nelle età successive, la diagnosi di FC può ragionevolmente essere esclusa.

I principali sintomi attesi (ma non sempre presenti) nella prima infanzia sono riportati nella Tabella 1. Tra questi, solo l’ileo da meconio, peraltro spesso erroneamen-te sovra-diagnosticato, è esclusivo della patologia, mentre gli altri possono avere eziologie alternative.

Anche nelle età successive le manifestazioni cliniche possono variare (Tabella 2) e possono essere influenza-te anche da fattori ambientali, dal tipo e modalità della terapia, dall’accessibilità a centri specializzati, dallo stato nutrizionale, nonché, in misura più contenuta, dalla sco-larità materna e dal fumo in gravidanza.3

Presentazioni cliniche in relazione all’età

Nella Tabella 3 sono riportate alcune ma- nifestazioni cliniche correlate all’età di compar-

sa. Questi segni e sintomi possono anche rappresentare l’esordio della malattia in pazienti non diagnosticati in precedenza e, come sottolineato, hanno un’espressione

clinica variabile, legata sia alle mutazioni genetiche che a fattori ambientali.

Con l’aumento della sopravvivenza e la comparsa di una generazione di pazienti di 30-40 anni, i clinici hanno dovuto affrontare nuove complicanze e la comparsa di comorbilità come le vasculopatie diabetiche, le malattie cardiovascolari e l’insufficienza renale, spesso a compo-nente iatrogena per l’uso di terapie nefrotossiche ad alti dosaggi.4 Per stare bene e godere di una buona qualità della vita, i pazienti con FC devono del resto assumere un cocktail di farmaci che comporta importanti effetti collaterali a lungo termine, oltre alla scarsa aderenza te-rapeutica. Le complicanze legate a questi farmaci sono molteplici e talvolta tali che i pazienti si vedono preclu-dere importanti possibilità terapeutiche quali il trapianto polmonare, per poliallergia a farmaci, insufficienza renale o insufficienza epatica. La commercializzazione di farma-ci che agiscono su specifici difetti di sintesi o di funzione della proteina CFTR, sostenuti da specifiche mutazioni genetiche, è iniziata da alcuni anni con l’introduzione dell’ivacaftor, inizialmente per la mutazione G551D e, in seguito, allargata ad altre mutazioni di gating (vedi oltre). I risultati ottenuti in termini di miglioramento clinico sono stati particolarmente interessanti.5 L’obiet-tivo dei ricercatori è ora quello di trovare una terapia molecolare per le altre mutazioni, in particolare per la più diffusa: F508 del. Negli USA è stato approvato dal-l’FDA nel luglio 2015 un farmaco combinato (ivacaftor-lumacaftor) che comporta miglioramenti funzionali, per la verità modesti, nei pazienti con questa mutazione in omozigosi. Sono in corso sperimentazioni cliniche di fase III con altri farmaci associati a ivacaftor. Questi farmaci probabilmente cambieranno il fenotipo e la storia clinica dei pazienti con FC, anche se nulla ancora sappiamo su possibili loro effetti collaterali a medio/lungo termine. I limiti delle nostre conoscenze sui risultati, positivi o negativi, a lungo termine, la differente efficacia di queste terapie legata sia al tipo di farmaco che alla presenza di “non responders” ed il costo estremamente elevato (circa €250.000/anno per paziente) impongono una loro attenta valutazione, in termini etici e di costo/beneficio. Dovre-mo comunque probabilmente essere pronti a sostituire l’immagine del bambino sofferente, malnutrito e con la tosse cronica, con quella di bambini ed adulti con una A

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La FC è caratterizzata da una grande variabilità di espressione clinica ed evolve con gradi di gravità altrettanto variabili.

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patologia nuova, che richiederà sempre una terapia, ma che potrebbe permettere una vita se non uguale simile a quella normale, come qualità e durata.

La complessità genetica della malattia: le molte facce delle mutazioni cftr

È importante rendersi conto che non tutte le mutazioni del gene CFTR causano FC: alcune con-

sentono la produzione di una proteina perfettamente fun-

zionante e non hanno conseguenze cliniche, altre portano alla sintesi di una proteina parzialmente funzionante che, in seguito a variabili esterne al gene CFTR, potrà o meno portare ad un quadro di FC. Capire quali mutazioni dan-no origine a FC e quali no è importante per varie ragioni: una delle principali è il loro uso per la diagnosi di malattia. Esistono alcuni criteri, universalmente accettati, che con-sentono, nella maggioranza dei casi, di poter capire se una persona è malata di FC. Questi criteri associano a sintomi suggestivi per la patologia (vedi tabelle precedenti) o ad uno screening neonatale positivo, un test del sudore pato-

Tabella 2. Segni sintomi dall’età pediatrica all’età adulta

Età pediatrica Pansinusite cronica, poliposi nasale

Steatorrea

Prolasso rettale

Sindrome da ostruzione intestinale distale (DIOS)

Pancreatite idiopatica o ricorrente

Epatopatia

Infezioni respiratorie da Pseudomonas aeruginosa

Età adolescenziale-adulta

Aspergillosi broncopolmonare allergica (ABPA)Pansinusite cronica, Poliposi nasale

Bronchiectasie

Emottisi

Pancreatiti idiopatiche ricorrenti

Ipertensione portale

Pubertà ritardata

Azoospermia ostruttiva

Modificata da O’Sullivan BP, Freedman SD. Cystic fibrosis. Lancet 2009; 373: 1891–904.

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tutto su Fibrosi cistica: come era, come è, come sarà

Tabella 1. Segni e sintomi di FC nella prima infanzia

Epoca neonatale Ileo da meconio

Ittero protratto

Atresia intestinale

Prima infanzia Addensamenti polmonari persistenti all’RX torace

Problemi di accrescimento

Anasarca, ipoproteinemia

Diarrea cronica

Distensione addominale

Colestasi

Polmonite da Stafilococcus aureus

Ipertensione idiopatica intracranica (deficit di vitamina A)

Anemia emolitica (il deficit di vitamina E causa anemia aumentando l a fragilità e riducendo la vita dei globuli rossi)

Modificata da O’Sullivan BP, Freedman SD. Cystic fibrosis. Lancet 2009; 373: 1891–904.

Tabella 3. Principali manifestazioni cliniche nelle diverse fasce di età

Sinupolmonari

Infezioni ABPA

Sinusite

Poliposi nasale

ABPA

Emottisi Pneumotorace

Insufficienza respiratoria

Sinusite Poliposi Anosmia

Gastrointestinali

Intestino fetale iperecogeno

Ileo da meconio

Insufficienza pancreatica

Prolasso rettale

DIOS

Intussuscezione

Prolasso rettale

Steatosi epatica

DIOS

Cirrosi biliare

Tumori del tratto intestinale (adenocarcinoma

Renali, endocrinologici, altri

Disidratazione

Alcalosi ipocloremica, iponatriemica

Litiasi renale

Disidratazione ipocloremica, iponatriemica

Ritardo puberale osteoporosi

Cystic fibrosis-related diabetes (CFRD)

Litiasi renale, insufficienza renale

Congenital bilateral aplasia of the vas deferens (CB(CBAVD)

Hypertrophic pulmonary osteoarthritis (HPOA)

Artrite vasculite

Alcalosi metabolica ipocloremica iponatriemica

Modificata da O’Sullivan BP, Freedman SD. Cystic fibrosis. Lancet 2009; 373: 1891–904.

PRIMA INFANZIA Età PEdIAtRIcA AdoLEScENZA / Età AduLtA

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logico o la presenza di due mutazioni riconosciute essere causanti FC. L’identificazione delle due mutazioni non è indispensabile per la diagnosi: un test del sudore positivo insieme ai sintomi o allo screening neonatale è sufficiente. Tuttavia esistono situazioni, come un risultato dubbio del test del sudore o la diagnosi prenatale, in cui la diagnosi dipende dall’indagine genetica, e quindi dall’individua-zione di due mutazioni FC. Saper distinguere le muta-zioni del gene CFTR che causano malattia è quindi di enorme importanza, ma è anche meno semplice di quanto si possa pensare. Per evitare di etichettare erroneamente come causale una mutazione osservata in alcuni pazienti, e quindi formulare diagnosi sbagliate in altri, serve sia esse-re certi che i geni CFTR di quei pazienti non contengano altre mutazioni non identificate che potrebbero essere le vere responsabili della malattia, sia compiere complesse analisi di laboratorio che dimostrino che effettivamente la mutazione che stiamo considerando ha un importan-te impatto negativo sulla produzione delle proteina. La complessità di queste analisi e la relativa rarità di alcune mutazioni hanno fatto sì che, fino a pochi anni fa, solo per una ventina di mutazioni vi fosse consenso sul loro ruolo nel provocare la malattia. Nonostante si trattasse di mutazioni comuni, moltissime altre erano invece escluse e non potevano essere usate per fare diagnosi di FC. Allo scopo di superare questi limiti, nei primi anni 2000 la Cystic Fibrosis Foundation e la Johns Hopkins University hanno dato vita ad un progetto internazionale chiamato CFTR2 (Clinical and Functional Translation of CFTR) che ha raccolto dati genetici, clinici e di test del sudore di 40.000 pazienti con FC in Europa e Nordamerica.6 Il grande numero di pazienti coinvolti ha consentito di ot-tenere informazioni su mutazioni altrimenti rare a livello locale, e di identificarne alcune centinaia con dati clinici sufficienti a valutare se fossero effettivamente responsabili di FC. Queste mutazioni sono state inoltre sottoposte a complesse valutazioni sperimentali per comprendere se precludessero la produzione di proteina CFTR funzio-nante. Infine, le mutazioni sono state ricercate in più di 2000 genitori di bambini con FC, e quindi portatori.7 Se presenti non solo nel figlio malato ma anche nei genitori, poteva essere escluso che causassero FC: in caso contra-rio il genitore sarebbe stato anch’esso malato. Grazie a

questa complessa procedura, molte mutazioni sono state attribuite ad una di queste tre categorie:

· mutazioni che causano FC: la presenza di due di queste mutazioni in una persona fa sì che essa sia malata;

· mutazioni dalle conseguenze cliniche variabili: la presenza di una di queste mutazioni insieme ad una delle precedenti può in alcuni casi portare a FC, in altri a manifestazioni cliniche minori che non giustificano la diagnosi di FC;

· mutazioni che non causano FC: la presenza di una di queste mutazioni insieme ad una delle due categorie precedenti può in alcuni casi non avere alcuna con-seguenza, in altri portare a manifestazioni cliniche minori che non giustificano però la diagnosi di FC.

I risultati ottenuti sono visibili su un sito web pub-blicamente consultabile (www.cftr2.org), che comprende anche i dati clinici associati alle mutazioni riportate. Per ogni mutazione sono quindi disponibili i dati cumulati-vi dei pazienti portatori, comprensivi di valore del test del sudore, sufficienza od insufficienza pancreatica, pre-senza di Pseudomonas aeruginosa nell’ultimo escreato e dati spirometrici in funzione dell’età. Le mutazioni che causano FC e quelle dalle conseguenze cliniche variabili possono anche essere classificate in base al meccanismo di compromissione della funzione della proteina. Questi meccanismi sono sostanzialmente 6, motivo per cui le mutazioni possono essere ricondotte, talora con qualche difficoltà, a 6 classi (Tabella 4).

Classe 1: comporta la creazione di un Premature Termination Codon (PTC) e quindi la produzio-ne di una proteina tronca, instabile e velocemente degradata;

Classe 2: le proteine non vengono assemblate nella corretta forma glicosilata e raggiungono solo in minima parte la membrana cellulare;

Classe 3: le proteine raggiungono la membrana, ma determinano un ridotto tempo di apertura del ca-nale (sono le cosiddette mutazioni “gating”);

Classe 4: difetto di conduzione del canale; Classe 5: proteina normalmente funzionante ma in

scarsa quantità; Classe 6: instabilità della proteina sintetizzata.

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Capire quali mutazioni danno origine a FC e quali no è importante per varie ragioni: una delle principali è il loro uso per la diagnosi di malattia.

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I pazienti con almeno una mutazione di classe 4 o 5 tendono a mantenere una condizione di sufficienza pan-creatica (non usano o usano quindi pochi enzimi pan-creatici) e a manifestare una compromissione polmonare meno marcata.

Queste distinzioni sono importanti per comprendere alcune ricadute dello screening neonatale per FC. Que-sto identifica i cosiddetti “screening positivi”. Costoro costituiscono un gruppo ad alto rischio di essere malati di FC (veri positivi), ma possono anche non esserlo (falsi positivi). Per discriminare tra i due gruppi è necessario eseguire procedure successive, entrando in una fase più propriamente diagnostica, che si realizza tramite il test del sudore. Oltre a questi due possibili risultati dello scre-ening neonatale e dell’approfondimento diagnostico che gli può far seguito, ne esiste un terzo, più ambiguo e di difficile interpretazione. Si tratta di bambini positivi allo screening neonatale che hanno un test del sudore con valori intermedi, e cioè tra 30 e 59 mMol/L di cloro, e/o nei quali siano state identificate due mutazioni CFTR, delle quali almeno una non chiaramente identificata come causante FC. Questa situazione è stata chiamata “CFTR-related metabolic syndrome” (CRMS).8

La FC è per definizione una patologia evolutiva e tende ad aggravarsi nel tempo, con una variabilità individuale notevole, in parte attribuibile al genotipo CFTR, ma an-che alla qualità delle cure. È lecito chiedersi se anche le forme CF-SPID potrebbero avere una tendenza analoga e progredire fino a diventare vere e proprie forme di FC. Purtroppo l’esperienza è ancora limitata ed i periodi di osservazione di bambini con queste caratteristiche sono relativamente brevi. In alcuni casi si sono effettivamente manifestati e consolidati sintomi tali da giustificare la dia-gnosi di FC, corroborata da un test del sudore che negli anni si è positivizzato.9 In altri nel periodo di osservazione non si sono notati segni di morbilità diversi da quelli dei coetanei. In altri ancora, forse la maggioranza, si sono no-tate manifestazioni cliniche minori, spesso limitate ad un solo organo e non compatibili con la diagnosi di FC clas-sica. Queste forme, spesso in passato chiamate FC atipica, vengono oggi definite con un altro termine, più preciso e corretto, ma sostanzialmente intraducibile in Italiano e poco utilizzabile nella pratica clinica: CFTR-related disorder (CFTR-RD). La definizione di CFTR-RD è quella di una entità clinica associata a disfunzione della proteina CFTR ma che non raggiunge i criteri minimi di diagnosi della FC. La differenza quindi tra CF-SPID e CFTR-RD è che la prima è una diagnosi che si basa su riscontri di natura genetico-molecolare (la presenza di

mutazioni) e biochimica (screening neonatale positivo, test del sudore dubbio), ma spesso senza alcun sintomo, men-tre la seconda si associa anche alla presenza di un preciso fenotipo clinico. Come per CF-SPID, l’evoluzione clinica è variabile, ma la prognosi appare sicuramente più favo-revole della malattia pienamente espressa. I fenotipi più tipicamente associati con i CFTR-RD sono l’atresia bila-terale congenita dei dotti deferenti (Congenital Bilateral Absence Of The Vas Deferens, CBAVD) e alcune forme “idiopatiche” di pancreatite cronica o acuta ricorrente o di bronchiettasie disseminate. Naturalmente la diagnosi può essere posta solamente se si siano escluse cause alternative di queste patologie. L’azoospermia da CBAVD è respon-sabile dell’1–2% delle infertilità maschili. Pur essendo una caratteristica molto frequente nei maschi affetti da FC, questa forma di azoospermia, in assenza di manifestazioni cliniche extragenitali, veniva in passato considerata un’en-tità patologica indipendente dal gene della FC. Il miglio-ramento delle tecniche di analisi genetica ha mostrato che mutazioni CFTR sono presenti in entrambi gli alleli nella maggioranza dei maschi con CBAVD. Analogamente alla CBAVD, l’ipotesi che almeno alcune forme di pancreatiti idiopatiche croniche o acute ricorrenti siano correlate ad alterazioni del gene CFTR ha origine dalla constatazione che episodi recidivanti di pancreatite costituiscono un e-vento non raro in pazienti con FC che abbiano conservato un certo grado di funzionalità pancreatica esocrina. An-che in questo ambito, lo studio approfondito del gene ha portato a risultati inattesi: in una percentuale di soggetti affetti da pancreatite cronica (dal 12 al 37%) sono presenti una o due mutazioni. Al contrario di quanto avviene per l’atresia dei deferenti, la maggioranza delle pancreatiti non

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Tabella 4. Classi di mutazioni del CFTR.

Classe Tipologia di mutazioni (esempi)

Fenotipo Mutazioni più frequenti

I Nonsenso, frameshift, splicing, grandi delezioni e inserzioni

Severo, pancreas insufficiente

G542X

R553X

W1282X

R1162X

II Missenso Severo, pancreas insufficiente

F508del

III Missenso Severo, pancreas insufficiente

G551D

IV Missenso Pancreas sufficiente R117H

R334W

R347P

V Splicing, missenso Pancreas sufficiente A455E

3849+10kbC>T

VI Nonsenso, frameshift Severo, pancreas insufficiente

Q1412X

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può essere imputata ad alterazioni della proteina CFTR; tuttavia, per almeno una parte di questi casi, mutazioni nel gene della FC potrebbero essere coinvolte, da sole o in associazione ad altri fattori eziologici quali alcol o litiasi biliare, nella patogenesi dell’infiammazione pancreatica.10 L’identificazione di neonati con CF-SPID non implica, in assenza di manifestazioni di malattia, la necessità di terapie particolari, ma piuttosto di un piano di follow-up da ese-guirsi presso un Centro FC, con l’obiettivo di identificare precocemente segnali di malattia che indichino la necessità di un atteggiamento più interventistico (fisioterapia respi-ratoria, aerosolterapia, eradicazione di patogeni respiratori) o addirittura un cambio di diagnosi (FC o CFTR-RD). Si tratta quindi di prevenire evoluzioni verso forme di malattia più aggressive o diagnosi tardive di patologia.

D’altro canto, la diagnosi di CF-SPID non è immune da aspetti negativi, al punto che molti la considerano un effetto indesiderato dello screening neonatale. L’im-prevedibilità dell’evoluzione di questa condizione, pur nell’ambito nella maggioranza dei casi di situazioni asin-tomatiche o lievi, e i tempi anche lunghi per capire se vi sia o possa svilupparsi un danno (ad esempio, solo quando il bambino sarà diventato un giovane adulto sarà possibile comprendere se abbia atresia dei deferenti) risultano dif-

ficili da accettare da parte dei genitori. Inoltre, in assenza dell’esenzione utilizzabile solo in caso di diagnosi certa di FC, il costo degli accertamenti periodici, abitualmen-te ogni 6-12 mesi, ricade completamente sulla famiglia. Infine, trattandosi di patologia autosomica recessiva, i genitori presenteranno una probabilità del 25% per ogni eventuale altra gravidanza di avere un figlio con lo stesso genotipo e con le stesse problematiche, ed è facilmente comprensibile come l’incertezza sull’evoluzione clinica renda estremamente difficile un’eventuale diagnosi pre-natale. Un altro aspetto negativo, che non ha conseguen-ze per la famiglia con bambino con CF-SPID o per un malato di CFTR-RD, ma ne presenta per la valutazione epidemiologica della FC, è che talora questi casi sono erroneamente riportati come FC ai registri nazionali ed internazionali, con il rischio di alterare la descrizione ge-nerale e le proiezioni di sopravvivenza della FC, facendola apparire più lieve di quanto effettivamente sia.

Questa resta dunque un’area relativamente difficile da interpretare. Sappiamo ancora poco sull’evolutività a lungo termine di queste forme e siamo quindi in difficoltà a dare risposte alle giustificate apprensioni dei genitori di questi bambini. In questo contesto è essenziale una comunicazione con le famiglie chiara e aperta, che ricono-sca i limiti che contraddistinguono le nostre conoscenze sull’argomento, ma anche evidenzi come sia improbabile che forme di questo tipo diventino una FC conclamata, mentre è ragionevole ipotizzare un’evolutività modesta (CFTR-related disorders?). Va anche sottolineata la necessità di un follow-up prolungato presso un centro specialistico, unico strumento per conoscere l’evoluzione individuale di queste forme.

conclusioni

Attenzione alla diagnosi, organizzazione della cura, ricerca pubblica e privata, clinici e altri pro-

fessionisti della salute, pazienti, famiglie e associazioni che li rappresentano sono stati e continuano ad essere attori e strumenti di un cambiamento che ha portato la FC ad evolvere verso una malattia non ancora guaribile, ma senz’altro meglio controllabile e per molti aspetti ben diversa da come era conosciuta un tempo. Le sfide per il futuro si concentreranno sui temi della miglior compren-sione della variabilità fenotipica e della disponibilità ed accessibilità di farmaci di nuova generazione .

Gli autori dichiarano di non avere nessun conflitto di interesse.

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Introduzione

L a definizione di telemedicina rimane a tutt’oggi argomento di discussione. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (1997) ha distinto due termini, oramai di uso comune: Telematica medica e Telemedicina. La Tele-

matica medica è un termine generale che indica le attività, i servizi ed i sistemi correlati con la salute, effettuati a distanza per mezzo di tecnologie di comunicazione e d’in-formazione, per il miglioramento della salute, il controllo delle malattie, come pure per la formazione, l’amministrazione e la ricerca nell’ambito delle scienze sanitarie.

[ comE si fa ]

Telemonitoraggio domiciliare nella Fibrosi cistica L’analisi dei dati relativi al telemonitoraggio dei pazienti OPBG con fibrosi cistica seguiti a domicilio per un periodo di 5 anni

Sergio BellaFabrizio MurgiaDipartimento di Medicina Pediatrica – Assistenza Domiciliare Integrata nelle Malattie Croniche Ospedale Pediatrico Bambino Gesù – IRCCS, Roma [email protected]

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1986 Canada: rete satellitare tra alcune strutture me-diche ed alcune regioni del Kenia e dell’Uganda, con possibilità di videocomunicazione interattiva.

1988 Progetto “Telemedicine spacebridge in Arme-nia” durante il terremoto, consente di assistere sul campo i medici locali attraverso il teleconsulto di specialisti a distanza.

Sviluppo della telemedicina

S in dai primordi (fine anni ’60-primi anni ’70), la storia della Telemedicina può essere suddivisa in

tre periodi principali di sviluppo. Ciascuna fase termi-na in corrispondenza di un significativo progresso della tecnologia informatica, delle telecomunicazioni o delle macchine.

1. Era delle telecomunicazioni analogiche (anni ’70), basata sulla tecnologia della televisione;

2. Era digitale (inizia negli anni ’80), in seguito alla digitalizzazione dei sistemi di comunicazione;

3. Era di Internet, che apre l’accesso alla comunica-zione globale. Grandi quantità di dati, immagini e audio possono essere registrate ed inviate per consulto o condivise a grandi distanze. Rappresen-ta una svolta radicale rispetto alle fasi precedenti caratterizzate da costi molto alti, permettendo l’ac-cesso ubiquitario e facile ad un numero enorme di persone, con basso costo. I servizi sanitari erogabili spaziano dall’invio delle informazioni riguardanti i problemi della salute, ai gruppi di supporto, fino ai sistemi di teleconsulto che permettono la diagnosi, il trattamento e la prescrizione di terapie.

Applicazioni della telemedicina

· Servizio in aree disagiate (servizio sanitario in aree geograficamente disagiate come montagne, isole, fiordi, servizio sanitario temporaneo a comunità isolate, piattaforme petrolifere, spedizioni).

· Servizio a pazienti disagiati (supporto presso la casa di pazienti malati cronici, anziani, disabili, supporto specialistico al medico di base per pa-zienti oncologici, emergenze).

· Teleconsulto (rende facile l’accesso ai Centri di ec-cellenza, consente un miglioramento della comuni-cazione rispetto a quella tradizionale di tipo telefo-nico, permette la trasmissione di dati complessi).

Questa comprende:

· Teleformazione;

· Telemedicina;

· Telematica per la ricerca nell’ambito delle scienze sanitarie;

· Telematica per l’amministrazione di servizi medi-co-sanitari.

La Telemedicina è l’insieme dei servizi sanitari offerti da tutti i professionisti di sanità nelle situazioni in cui la distanza è un fattore critico, utilizzando le tecnologie di telecomuni-cazione per lo scambio di informazioni utili per la diagnosi, il trattamento e la prevenzione delle malattie e dei traumi, e per la ricerca, la valutazione e la formazione permanente degli operatori. La FDA (Food and Drug Administration) definisce la Telemedicina come l’offerta di cure sanitarie e di servizi di consulenza sanitaria al paziente, e la trasmissione a distanza di informazioni sanitarie comprendenti:

· servizi clinici di prevenzione, diagnosi e terapia;

· servizi di consulenza e follow-up;

· monitoraggio remoto dei pazienti;

· servizi di riabilitazione;

· educazione dei pazienti.

Breve storia della telemedicina

Le prime esperienze di Telemedicina nascono in ambiente militare, come risposta a problemi prati-

ci, attraverso l’utilizzo di tecnologie avanzate. Un ruolo particolare viene giocato dalla NASA, l’Ente spaziale a-mericano, che si è trovato per primo di fronte al problema di trattare dati medici provenienti da grandi distanze ed assicurare cure mediche in situazioni estreme.

Queste le principali tappe nell’ambito delle applica-zioni civili:

1959 Primo programma funzionale di Telemedicina per pazienti psichiatrici e per la formazione medica (Cecil Witthson).

1968 Aeroporto di Logan (Boston): videocollegamen-to tra ospedale ed aeroporto per l’accesso imme-diato ad un medico, senza la necessità di averlo presente in aeroporto.

1968 Progetto “interact” (Vermont): servizi medici ed educativi a 10 comuni, attraverso una rete che connetteva aree rurali.

1985 Queensland (Australia): rete satellitare che for-niva servizi di Telemedicina ad aree remote, prima servite via telefono, radio o con una guardia medica per via aerea.A

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· Contenimento della spesa (ottimizzazione del la-voro del medico, riduzione degli spostamenti, ridu-zione del numero degli accessi al Pronto Soccorso, riduzione dei ricoveri ospedalieri).

· Collaborazione (nuove possibilità di comunicazio-ne medico-medico e medico-paziente, studi scien-tifici collaborativi con facilitazione dello scambio dei dati e della discussione).

· Allargamento del mercato (ospedali altamente spe-cializzati, servizio consultivo a nuovi utenti in aree fuori controllo di un ente sanitario, Paesi in via di sviluppo o dell’Europa dell’Est).

· Teledidattica ed aggiornamento (condivisione delle banche dati, condivisione di materiale didattico mul-timediale per corsi universitari o per aggiornamento continuo, accesso ad esperti in tutto il mondo).

telemedicina e fibrosi cistica

I progressi della telematica in campo medico offrono oggi agli operatori sanitari e ai pazienti una

serie di servizi che hanno modificato il concetto tradi-zionale di assistenza. La disponibilità di apparecchiature maneggevoli, facilmente trasportabili e di semplice utiliz-zo, che consentono di raccogliere e trasmettere differenti dati clinici, ha contribuito, negli ultimi anni, ad un rapido sviluppo della home care.

L’applicazione più iniziale del Telemonitoraggio ha interessato il follow-up di pazienti affetti da patologie in fase acuta quali aritmie o insufficienza cardiaca, diabete, insufficienza respiratoria acuta, il controllo delle puerpere in allattamento, la valutazione di pazienti chirurgici nel postoperatorio. Solo più recentemente la Telehomecare (THC) si è rivelata utile anche nel follow-up delle pato-logie croniche a carico di vari organi ed apparati, come malattie cardiopolmonari, asma bronchiale, insufficienza cardiaca. Nella fibrosi cistica (FC) la storia naturale della malattia è caratterizzata da episodi ricorrenti di infezione

respiratoria che causano un danno polmonare progressi-vo, con decadimento della funzione polmonare a lungo termine fino all’exitus.1

La spirometria mostra nel tempo in questi soggetti una riduzione del FEV1 (volume espiratorio forzato nel primo secondo), e in seguito anche una riduzione della FVC (capacità vitale forzata), che ammonta ogni anno mediamente a circa il 2% del valore atteso.2 In caso di in-fezione polmonare, un trattamento antibiotico instaurato precocemente aiuta a prevenire complicazioni più gravi e conseguentemente limita il danno polmonare a lungo termine. Tale modalità di intervento consente anche di utilizzare vantaggiosamente terapie antibiotiche meno invasive, anche utilizzando la via di somministrazione orale.3 Fin dal 2001, nel Centro FC dell’Ospedale Pe-diatrico “Bambino Gesù” di Roma abbiamo iniziato ad utilizzare la THC nel follow-up dei nostri pazienti a do-micilio. I primi risultati di questo lavoro sono stati inco-raggianti. Abbiamo rilevato una riduzione statisticamente significativa ricoveri ospedalieri e una tendenza nel tempo ad una migliore stabilità della funzione respiratoria.4 È noto che, da un punto di vista psicologico, la Telemedicina può contribuire nella FC a migliorare l’esito attraverso l’acquisizione di una maggiore consapevolezza della ma-lattia e del programma terapeutico da parte del paziente.5

Nella nostra esperienza, un miglioramento della prognosi a lungo termine nella FC deve passare necessariamente per un miglioramento della aderenza al trattamento.6 In questo articolo riportiamo i dati relativi alle attività di monitoraggio dei nostri pazienti FC seguiti a domicilio per un periodo di 5 anni, al fine di comprenderne meglio gli effetti sull’evoluzione del trend clinico.

Metodo

In tutti i soggetti è stata eseguita una dia- gnosi clinica di FC, confermata dallo studio del gene

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Fin dal 2001, nel Centro FC del “Bambino Gesù” di Roma abbiamo iniziato ad utilizzare la THC nel follow-up dei nostri pazienti a domicilio.

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Regulator) e dal test del sudore. Al momento non esi-stono criteri universalmente accettati per l’inclusione dei pazienti con FC in un programma di tele monitoraggio.7 In Italia, in particolare, il telemonitoraggio non rientra ancora nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) forniti dal Sistema Sanitario Nazionale (SSN). La possibilità di eseguire il telemonitoraggio dipende ancora, nei singoli casi, da risorse messe a disposizione in modo volonta-rio dalle autorità sanitarie locali. I pazienti inclusi nel programma di THC sono comunque seguiti e trattati con i protocolli di follow-up in uso, uniformemente ai pazienti che non praticano THC.8 Abbiamo usato strumentazione Spirotel ™, che fornisce e trasmette a distanza la spirometria e la pulsossimetria notturna. Il flusso di lavoro è stato descritto e discusso in un nostro precedente studio.9 I dati vengono registrati ad intervalli pianificati e concordati con i medici del centro FC. La frequenza richiesta può variare a seconda della situazio-ne clinica del paziente, in media due volte a settimana. Il paziente può comunque decidere autonomamente di trasmettere i dati anche in assenza di preavviso. I pazienti eseguono a domicilio durante la notte la regi-strazione della saturazione di ossigeno e della frequenza cardiaca. Al mattino, dopo la fisioterapia respiratoria e il drenaggio del muco, viene eseguita una spirometria, dopo aver risposto ad un semplice questionario su alcuni sintomi polmonari soggettivi. I dati sono trasmessi dallo strumento sotto forma di un allegato e-mail ad un server dedicato. Gli operatori sanitari addetti al telemonitorag-gio scaricano i dati in ospedale ogni giorno utilizzando il software dedicato e li memorizzano in un database

locale. Per quanto riguarda i criteri di intervento, ab-biamo considerato come patologiche riduzioni acute del FEV1 (>10% rispetto al valore medio caratteristico del soggetto in condizioni cliniche stabili).10 Per la pulsos-simetria notturna, abbiamo considerato patologica una caduta dei valori del valore massimo di saturazione di ossigeno dell’emoglobina (SaO2) al di sotto del 90%, una riduzione della SaO2 media ed un incremento del T90 (tempo trascorso sotto il 90%). Ciascun paziente viene richiamato per telefono per completare la raccolta dei dati anamnestici e per condividere i risultati. I dati ed i grafici ottenuti sono discussi in un briefing tra gli operatori del Centro per una valutazione complessiva e per decidere su qualsiasi azione terapeutica. I pazienti che mostrano dati patologici sono invitati a ritrasmet-tere subito. In alcuni casi, una terapia antibiotica viene prescritta sulla base dell’ultimo espettorato. In altri casi i pazienti sono invitati a tornare al Centro FC per una va-lutazione clinica, per effettuare ulteriori test, o per essere ricoverati. In ogni caso viene programmata la successiva trasmissione di dati. Da febbraio 2010, abbiamo inizia-to a tenere un registro elettronico dei dati, in formato foglio di calcolo. Per ogni trasmissione sono registrati i principali parametri. Viene eseguito automaticamente un report mensile delle attività e il calcolo della percen-tuale media di adesione alla frequenza raccomandata di trasmissioni (inteso come rapporto trasmissioni/totale giornate paziente).

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Tabella 1. Riepilogo delle attività

Period 2010 2011 2012 2013 2014 Total

Patients n. 30 29,7 26,5 24,6 25,1 27,2 (mean)

Days 226 257 243 235 268 1229

Transmissions 466 669 831 868 1029 3863

Spyrometry 554 985 1060 957 952 4508

Pulse oximetry 162 211 292 168 62 895

Symptoms — 255 709 755 794 2513

Adherence 23,19 23 32,34 37,41 38,27 28,98 (mean)

Phone calls 420 592 745 672 669 3098

Answers — — 618 564 573 1755

% Answers/calls — — 82,95% 83,93% 85,65% 84,13%

Inpatients n. 8 15 49 38 35 110

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Risultati

I dati sono relativi all’attività svolta nel perio- do dal febbraio 2010 al 31 dicembre 2014. Abbiamo se-

guito in tale periodo in media circa 30 pazienti. La Tabella 1 mostra il riepilogo delle attività. Abbiamo ricevuto 3863 tra-smissioni contenenti 4508 spirometrie e 895 pulsossimetrie notturne. Da aprile 2011 abbiamo ricevuto 2513 questionari riguardanti i sintomi. Abbiamo effettuato in tutto 3098 chiamate telefoniche, ricevendo una risposta immediata da parte del paziente o della famiglia in circa l’85% dei casi. L’aderenza media al trattamento ha mostrato una tendenza alla crescita nel tempo (da 23,19 nel 2010 a 38,27 nel 2014). Abbiamo eseguito 110 richiami in ospedale (8 nel 2010, 15 nel 2011, 49 nel 2012, 38 nel 2013 e 35 nel 2014, vedi Tabella 1).

discussione

Abbiamo osservato una crescita annua del nu- mero di trasmissioni nonostante la diminuzione

del numero di pazienti seguiti. Il progressivo incremen-to della aderenza al trattamento potrebbe indicare un migliore gradimento globale da parte dei pazienti per la metodica. Un possibile contributo a questa tendenza potrebbe essere che i pazienti meno aderenti sono stati persi al follow-up prima, il che renderebbe il valore dell’a-derenza a lungo termine migliore. Per quanto riguarda la frequenza delle trasmissioni abbiamo raccomandato ai pa-zienti di trasmettere ad intervalli variabili a seconda della condizione clinica, generalmente due volte a settimana. In questo senso ci aspettiamo che l’aderenza ottimale al trattamento dovrebbe essere 100% per due trasmissioni a settimana/5 giorni lavorativi. Abbiamo ottenuto nella pratica un aumento costante e progressivo della aderenza del trattamento ottenendo in pratica un raddoppio dei valori nel corso del periodo in esame. È da considerare che i pazienti affetti da FC sono già gravati da un notevole carico continuo di terapie sia mediche che fisioterapiche e che questo risultato è stato ottenuto senza la necessità di prescrivere un calendario preciso per le trasmissioni. Il metodo che abbiamo utilizzato nella pratica quotidiana è rimasto sostanzialmente invariato. Segnaliamo il fat-to oggettivo che dal 2011 abbiamo iniziato a richiamare sempre i pazienti dopo una trasmissione anche in con-dizioni di stabilità clinica. Non è possibile valutare allo stato attuale quanto questo abbia contribuito all’aumento dei valori della aderenza al trattamento. Resta il fatto che questa è l’unica modifica apportata al protocollo di follow-up. La possibilità di un legame tra questi dati è

interessante e certamente richiederebbe ulteriori studi. Il telefono cellulare è stato lo strumento che abbiamo usato per stabilire il contatto con i pazienti. La percentuale di chiamate andate a buon fine sembra essere migliorata nel tempo ma il telefono cellulare a nostro parere continua ad essere uno strumento prezioso, ma non sempre com-pletamente affidabile.

conclusioni

La tendenza dei parametri quantitativi e qua- litativi del nostro lavoro è positiva. I dati mostrano,

a nostro avviso, un possibile ruolo della Telemedicina nell’organizzazione della assistenza domiciliare delle ma-lattie croniche. Allo stato attuale tuttavia mancano dati attendibili sull’efficacia a lungo termine dell’uso della Te-lehomecare nella FC. I dati definitivi sulla reale efficacia a lungo termine dell’uso della Telehomecare nella FC potranno essere ottenuti attraverso uno studio controllato, per il quale i tempi appaiono però maturi .

Gli autori dichiarano di non avere nessun conflitto di interesse.

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come si fa Telemonitoraggio domiciliare nella Fibrosi Cistica

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Report clinico

P almira è una bambina di 9 anni che viene sottoposta ad uno screening laboratoristico per-ché da qualche mese presenta dolori addominali

ricorrenti. Si tratta, per la verità, di dolori di lieve entità che non interferiscono significativa-mente con le attività ordinarie, ma poiché all’e-same obiettivo il pediatra di famiglia riscontra epatomegalia, si procede all’approfondimento. AST, ALT e GGT risultano aumentate di 3, 5 e 2 volte rispetto al limite superiore della norma.

[ caso clinico ]

Fegato grasso: è sempre colpa dell’obesità?Il pediatra non deve perdere l’opportunità di una diagnosi precoce di malattia di Wilson in tutti i casi di epatopatia di incerta eziologia.

Giusy Ranucci Raffaele Iorio UOS Epatologia Pediatrica – AOU Federico II; Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali – Università di Napoli Federico II

Risultano invece normali emocromo, indici flogistici, pancreatici e renali; negativi i marker sierologici per i virus epatotropi maggiori e minori. Poiché l’indice di

massa corporea è al 90° percentile per l’età e l’ecografia mostra una steatosi epatica di grado moderato-severo, ci si orienta verso una epato-patia steatosica da sindrome metabolica. Sup-porta tale orientamento la familiarità (soggetti con diabete mellito tipo 2, ipertensione arte-riosa ed iperdislipidemia nel ramo paterno). A

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Viene pertanto prescritta dieta ipocalorica bilanciata e si consiglia di ridurre la sedentarietà e di incrementare l’at-tività fisica. Dopo 3 mesi, nonostante Palmira abbia perso 1 Kg di peso corporeo, le transaminasi e la GGT restano immodificate. Nel frattempo la paziente appare in buon equilibrio clinico, i dolori addominali si diradano e non alterano la sua qualità di vita. Si procede alla esclusione della celiachia (antitransglutaminasi negativa, normalità delle IgA sieriche), dell’epatite autoimmune (normalità delle immunoglobuline sieriche, negatività degli autoan-ticorpi ANA, SMA e LKM-1), della malattia di Wilson e del deficit di alfa-1-anti-tripsina (livelli sierici normali di ceruloplasmina e alfa-1-antitripsina). Anche una riva-lutazione dell’eventuale esposizione di Palmira a farmaci epatotossici risulta negativa. L’ecografia epatobiliare non evidenzia alterazioni a carico dell’albero biliare. Passano altri tre mesi e gli enzimi epatici mostrano una tendenza al rialzo. Come procedere? Colangio-RMN, biopsia epa-tica, ricerca di epatopatie genetiche quali PFIC3, Alagille, Wilson, fibrosi cistica, …? In effetti, la ragazza non ha un fenotipo sindromico, non ha mai sofferto di polmoniti e/o di altri problemi suggestivi di fibrosi cistica, non ha storia di prurito. Altre malattie genetico-metaboliche sembrano poco probabili considerato il buon equilibrio clinico-laboratoristico della paziente e l’assenza di squi-libri metabolici. A questo punto si procede ad una rie-same del caso con una rivalutazione delle possibili cause dell’epatopatia di Palmira.

In relazione alla ipotesi di una steatosi da sindrome metabolica che costituisce attualmente la causa più comu-ne di epatopatia in età evolutiva, ci sono diversi elementi che non quadrano: manca l’iperinsulinismo, i valori degli enzimi epatici sono più alti di quanto non si osserva co-munemente nella NASH, non c’è stato alcun beneficio con il calo di peso e anzi si è assistito ad un peggioramento degli enzimi epatici. Contro l’ipotesi di una origine virale dell’epatopatia c’è l’assenza di fattori di rischio e la sie-rologia negativa. Inoltre, sebbene nell’epatite C ci possa essere steatosi, il fegato grasso di Palmira sembra di entità

sproporzionata rispetto a quanto si osserva nei bambini con epatite C. L’ipotesi di una epatopatia autoimmune non sembra sostenibile per la mancanza di alterazioni sierologiche e anche perché la paziente non presenta al-cun segno di sospetto (assenza di astenia, assenza di altre patologie autoimmuni, assenza di familiarità). L’epato-patia da deficit di alfa-1-antitripsina è rara nella nostra regione e difficilmente potrebbe spiegare il quadro di presentazione della paziente. Non convince invece che l’esclusione della malattia di Wilson possa essere basata, in una paziente con epatopatia steatosica, sull’esclusivo dosaggio della ceruloplasmina, peraltro effettuata in un laboratorio senza una particolare esperienza nel settore. Ciò anche in considerazione del fatto che il 10-20% dei pazienti wilsoniani presenta valori normali di cerulopla-smina. Diventa pertanto mandatoria in questo caso la rivalutazione della cerulospalsmina associata alla deter-minazione della cupruria delle 24 ore. Il nuovo dosaggio della ceruloplasmina, effettuato presso il nostro centro, mostra un valore di 18 mg/dl (valori normali: superiori a 20 mg/dl). Si procede pertanto con il dosaggio del rame u-rinario delle 24 h che evidenzia un valore di 75 mcg (valori normali: inferiori a 40 mcg). Si effettua anche il dosaggio della cupruria delle 24 ore dopo somministrazione di pe-nicillamina (600 mg al mattino e 450 mg dopo 12 ore) con il risultato di 458 mcg (valore inferiore rispetto a quello di 1600 mcg ritenuto indicativo di malattia di Wilson nello studio originario di DaCosta). Questo risultato non indebolisce il sospetto diagnostico di malattia di Wilson perché è stato dimostrato che la cupruria dopo carico di penicillamina supera i valori di 1600 mcg/die solo nei pazienti wilsoniani con epatopatia severa (come quelli in-clusi nello studio di DaCosta), mentre la piccola Palmira ha una epatopatia lieve caratterizzata esclusivamente da aumento degli enzimi epatici con perfetta normalità della protidosintesi epatica e della bilirubinemia.

L’esclusione della malattia di Wilson non può essere basata,in un paziente con epatopatia steatosica, sull ’esclusivo dosaggio della ceruloplasmina.

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che fare?

Che fare a questo punto? Biopsia epatica con dosaggio del rame tessutale? Analisi molecolare

per la ricerca delle mutazioni associate alla malattia di Wilson? E nel caso si opti per l’analisi molecolare senza biopsia epatica, cosa fare in attesa del risultato? Ricerca dell’anello di Kayser-Fleischer con la lampada a fessura? Certamente nel sospetto di malattia di Wilson è indicata la valutazione oculistica per la ricerca dell’anello di KF, ma raramente quest’ultimo è riscontrabile in età pediatrica. Come atteso, Palmira risulta negativa a questa valutazio-ne. Si procede anche ad un esame neurologico accurato, ma anche questo valutazione risulta non contributoria. Vediamo a questo punto della storia di calcolare il pun-teggio di Ferenci per la malattia di Wilson, che risulta pari a 2 (interpretazione dello score: tra 2-3 la malattia di Wilson è probabile, se lo score è 4 o maggiore la diagnosi è certa). Cos’altro potrebbe essere in gioco? Il deficit di gli-cosilazione delle glicoproteine può portare sia ipocerulo-plasminemia che cupruria elevata. Di tale entità esistono diverse forme con vari quadri clinici di variabile gravità. Spesso, ma non sempre, c’è il ritardo psicomotorio. Gli al-tri segni possono includere: anomalie lipocutanee, atrofia olivo-ponto-cerebellare, anomalie scheletriche, capezzoli retratti. La diagnosi si basa sull’evidenza di anomalie nella glicosilazione delle glicoproteine sieriche, sul dosaggio enzimatico leucocitario e sulla ricerca di mutazioni nei geni corrispondenti. Si procede pertanto allo studio del profilo di glicosilazione della transferrina, ma il risultato è normale. Tenuto conto dell’epatopatia steatosica e dei valori elevati di cupruria basale, l’ipotesi della malattia di Wilson rimane quella più forte. Si decide di avviare l’analisi molecolare presso il Laboratorio di Epatopatie Genetiche dell’Ospedale Regionale Microcitemie di Ca-gliari (presso il Dr. Georgios Loudianos) e di soprassedere all’effettuazione della biopsia epatica che sicuramente darebbe informazioni utili per la diagnosi ma che, con-siderata l’invasività, non sembra indispensabile in una paziente come Palmira. In attesa del risultato dell’analisi molecolare, si decide di iniziare la terapia per la malattia di Wilson con zinco acetato. La paziente dopo soli 6 mesi di terapia normalizza le transaminasi. Intanto giunge il risul-tato dell’indagine genetica che mostra la presenza di due mutazioni in eterozigosi (p.H1069Q/p.R1041P) e confer-ma quindi la diagnosi. Si procede allo screening familiare che evidenzia uno stato di eterozigosi nei genitori e nel fratello. Esiste un’alta eterogeneità allelica nella malattia di Wilson con la presenza di poche mutazioni relativa-mente frequenti e molte mutazioni rare. Pertanto, nella

maggioranza dei pazienti wilsoniani è presente lo stato di eterozigote composto per 2 mutazioni specifiche piut-tosto che lo stato omozigote per una singola mutazione.

commento

In conseguenza dell’attuale epidemia di obe- sità, la steatoepatite non alcolica (NAFLD) è diven-

tata la causa più comune di epatopatia in età preadole-scenziale ed adolescenziale. Pertanto, in presenza di un quadro ecografico di fegato brillante (Fig. 1), soprattutto se associato a sovrappeso (BMI > 85° percentile) o obe-sità (BMI > 95° percentile), l’orientamento diagnostico ‒ per motivi epidemiologici ‒ tende a propendere verso la NAFLD. Nella stragrande maggioranza dei casi, la diagnosi di NAFLD è appropriata ed è supportata dalla riduzione delle transaminasi secondaria alla diminuzione del peso corporeo ottenibile con la dieta ipocalorica e le modifiche dello stile di vita. Ciononostante, bisogna tener presente che in una piccola percentuale di casi l’o-besità può rappresentare un semplice fattore confondente o essere concausa della steatosi insieme alla malattia di Wilson o altri disordini genetico-metabolici ( ). Appare ragionevole ricercare la malattia di Wilson nei bambini con steatosi epatica, soprattutto se manca il sovrappeso o qualora l’ipertransaminasemia persista nonostante il calo ponderale. La patologia va ricercata in prima battuta se non c’è eccesso ponderale; nei ragazzi sovrappeso o obesi con fegato brillante la ricerca dovrebbe essere avviata

se non c’è risposta al calo ponderale. Ovviamente tale approccio è soste-nibile se si ha la possibilità di sorve-

Figura 1. Fegato brillante all’ecografia epatica

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gliare nel tempo il paziente con fegato grasso. La ricerca sistematica di cause genetico-metaboliche nei pazienti pediatrici con fegato brillante è sicuramente dispendiosa e probabilmente caratterizzata da poche positività. Tuttavia, se consideriamo l’evoluzione inevitabilmente sfavorevole della malattia di Wilson in termini di danno epatico e neurologico quando non riconosciuta e trattata, è evidente che il pediatra non deve fallire questa diagnosi. È inquie-tante che in alcune casistiche di pazienti pediatrici con steatoepatite non alcolica con prognosi severa la malattia di Wilson non sia stata ricercata accuratamente.

Una peculiarità del caso presentato è stata la scelta di non effettuare per la conferma diagnostica la biopsia epatica. La determinazione quantitativa del rame epa-tico offre un prezioso supporto per la diagnosi quando evidenzia una concentrazione di rame superiore a 250 microgrammi per grammo di tessuto secco. In assenza

di patologie colestatiche, il riscontro di un tale valore di rame tessutale indica una diagnosi pressoché certa di malattia di Wilson. Il principale inconveniente di tale procedura è legato alle sue complicanze che, sebbene ra-re, possono talvolta essere particolarmente severe. Una diagnosi altrettanto certa può oggi essere posta con la diagnosi molecolare: il riscontro di due mutazioni diverse in eterozigosi o di una singola mutazione in omozigosi consente una sicura conferma diagnostica. Il grosso limite di questa procedura è rappresentato dai tempi di attesa che nella maggior parte dei casi sono dell’ordine di mesi. Tenuto conto della inevitabile tendenza alla progressio-ne della malattia di Wilson in assenza di trattamento, non sempre è proponibile una lunga attesa per iniziare il trattamento farmacologico, pena il deterioramento del paziente. Non va infine dimenticata la possibilità che l’analisi molecolare evidenzi una sola mutazione (etero-

Tabella 1. Cause di steatosi epatica in età pediatrica

Malattie generali e sistemiche Cause genetico-metaboliche Altre malattie genetiche rare Epatotossicità da farmaci

Malattia sistemica acuta

Malnutrizione acuta

Nutrizione parenterale totale

Sindrome metabolica/Obesità

Sindrome dell’ovaio policistico

Apnea ostruttive notturne

Rapida perdita di peso

Anoressia nervosa

Cachessia

Malattia infiammatoria cronica intestinale

Celiachia

Epatite C

Sindrome nefrosica

Diabete mellito tipo 2 e sindrome di Mauriac

Distiroidismi

Disordini ipotalamo-ipofisari

Intestino corto

Fibrosi cistica e sindrome di Schwachman

Malattia di Wilson

Deficit di alfa1-antitripsina

Galattosemia

Intolleranza ereditaria al fruttosio

Glicogenosi (tipo I e VI)

Ipercolesterolemia

Lipomatosi di Madelung

Lipodistrofie

Sindrome di Dorfman-Chanarian

Abeta o ipebetalipoproteinemia

Difetti alfa-beta ossidazione

Porfiria cutanea tarda

Omocistinuria

Tirosinemia tipo 1

Difetti sintesi acidi biliari

Deficit congenito di glicosilazione

Sindrome Turner

Organicoaciduria

Deficit di citrina

Emocromatosi

Sindrome di Alstrom

Sindrome di Bardet-Biedl

Sindrome Prader-Willi

Sindrome Cohen

Sindrome Cantu (delezione 1p36)

Malattia di Weber-Christian

Etanolo

Ecstasy, cocaina

Nifedipina

Diltiazem

Estrogeni

Corticosteroidi

Amiodarone

Tamoxifene

Perexilina

Methotrexate

Prednisolone

Valproato

Vitamine

L-asparaginasi

Zidovudina e farmaci per HIV

Solventi

Pesticidi

È inquietante che in alcune casistiche di pazienti pediatrici con steatoepatite non alcolica con prognosi severa la malattia di Wilson non sia stata ricercata accuratamente.Are

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zigosi). In tal caso, considerato che la malattia di Wilson è autosomica recessiva, il riscontro di una sola mutazio-ne non dovrebbe consentire la diagnosi della malattia. Tuttavia, se ciò vale per soggetti clinicamente sani (quali generalmente sono i genitori dei pazienti wilsoniani), la situazione è meno ben definita nei casi in cui lo stato di eterozigote viene riscontrato in pazienti con malattia epatica e/o neurologica e con alterazione della cerulopla-smina e della cupruria. In tali circostanze il ricorso alla biopsia epatica appare ragionevole per pervenire ad una diagnosi di certezza. Fortunatamente, in Palmira il riscon-tro di due mutazioni non ha lasciato dubbi sulla diagnosi. Altri due punti critici della nostra gestione sono rappre-sentati dal fatto che abbiamo iniziato la terapia farmaco-logica prima che pervenisse il risultato dell’analisi mole-colare e dalla scelta della zinco-monoterapia come prima linea al posto della penicillamina. Per il primo punto, il rischio di progressione della malattia di Wilson impone un intervento terapeutico precoce. È altresì chiaro che il trattamento farmacologico deve essere riservato ai casi in cui la diagnosi sia certa o molto probabile e dovrebbe es-sere fatto in centri con esperienza sulla problematica. Nel caso di Palmira i valori borderline della ceruloplasmina, quelli francamente elevati della cupruria basale e l’assenza di altre epatopatie rendevano molto plausibile la malattia di Wilson. Inoltre l’uso dello zinco che, a parte la pos-sibile pirosi, è sprovvisto di effetti collaterali severi, non poteva arrecare danni alla paziente in attesa della diagnosi definitiva. In relazione alla monoterapia con zinco come terapia di prima linea, c’è da dire che le linee-guida eu-ropee ed americane consigliano per i pazienti wilsoniani con esordio epatico i chelanti (penicillamina o trientine) come prima scelta. È anche vero però che nei soggetti con epatopatia lieve, caratterizzata cioè esclusivamente da un rialzo degli enzimi epatici, la monozincoterapia si è dimostrata efficace e sicura come prima linea.

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conclusioni

In conclusione, questo caso clinico vuole ribadire la necessità che il pediatra non deve perdere l’opportu-

nità di una diagnosi precoce di malattia di Wilson in tutti i casi di epatopatia di incerta eziologia. Questo vale ovvia-mente anche per i pazienti con presentazione neurologica o neuropsichiatrica. Una corretta diagnosi è impegnati-va in età pediatrica perché i criteri convenzionali validi per l’età adulta non sempre sono applicabili ai bambini. Quando adeguatamente trattata la malattia di Wilson ha una prognosi eccellente, con una curva di sopravvivenza che coincide con quella della popolazione generale. Il trattamento della patologia deve essere proseguito per tutta la vita; infatti alla sospensione prolungata della te-rapia farmacologica segue inevitabilmente la morte per insufficienza epatica acuta .

Gli autori dichiarano di non avere nessun conflitto di interesse.

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IL CASO DELLA SIGNORA ELISA.

Elisa è una donna di 37 anni, laureata, amministratrice di una attività commerciale

di famiglia. Ha partorito per via vaginale il primogenito Giovanni, di peso 3490 gr, a

41 settimane di età gestazionale. Apgar 8–10, adattamento neonatale rallentato con

alitamento delle pinne nasali, gemito occasionale e polipnea (68/min) evidenziate

[ caso clinico ]

Consulenza su farmaci e allattamento: dal caso clinico a un orientamento generale

Riccardo DavanzoNeonatologo – Istituto Materno-Infantile IRCCS Burlo Garofolo, Trieste

a 1 ½ di vita, mentre era a contatto pelle

a pelle poco dopo aver succhiato al seno.

Giovanni a 5 h di vita sta bene e si trova

pronto per avviare il rooming-in. La madre

richiama l’attenzione della infermiera di

turno sulla compatibilità dell’allattamento

al seno con la terapia che sta seguendo a

base di lorazepam (1 mg x 2/die per os) e

paroxetina (20 mg per os/die). La donna è in

trattamento per una sindrome depressiva.

Il pediatra-neonatologo viene coinvolto per

esprimere un suo giudizio.

Non è possibile né utile stilare delle liste di farmaci secondo varie categorie di rischio in corso di allattamento.

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L’assunzione del colostro non è un problema!

Indipendentemente dalla valutazione che il medico verrà a fare sulla compatibilità con l’allat-tamento al seno, ci si potrebbe chiedere che rischi

eventuali abbia potuto implicare una poppata “incontrol-lata” in sala parto. In realtà la quota di farmaco che un bambino assume col colostro è in generale trascurabile, proprio per i limitati volumi di produzione del colostro (10-50 ml/die). L’eventuale problema di un’esposizione a un farmaco si pone sostanzialmente solo dopo la montata lattea. Anche in assenza di informazioni tempestive e precise sulla sicurezza d’uso di un farmaco non è neces-sario quindi tenere in sospeso l’avvio dell’allattamento al seno e c’è tempo sufficiente per condurre nel giro di 24 h una breve documentata indagine sul rischio lattazionale.1

Valutazione del rischio: attitudine e metodologia

Naturalmente il nostro pediatra potrebbe risolvere sbrigativamente la consulenza con-

siderando che lorazepam e paroxetina sono farmaci neurotropi potenzialmente influenzanti lo sviluppo neuroevolutivo del lattante nel caso di passaggio nel latte materno. In realtà, così facendo disconoscerebbe i benefici dell’allattamento al seno, che sono ben noti e scientificamente provati, mentre enfatizzerebbe un rischio ancora imprecisato dovuto all’esposizione del poppante ai due farmaci attraverso il latte materno. La positiva attitudine a valorizzare l’allattamento al seno e a limitare la somministrazione dei sostituti del latte ma-terno solo nei casi veramente necessari, porta a investire del tempo nella ricerca bibliografica, come suggerito anche dal Tavolo Tecnico sull’Allattamento (TAS) del Ministero della Salute.2 Ma ci sono testi di riferimen- A

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to? Sicuramente sì. L’Hale per esempio!3 Più facile ed economico è però accedere al sito LactMed dei National Institutes of Health.4 Su questo sito si possono trovare le informazioni sul passaggio di un farmaco nel latte, sui suoi livelli nel sangue del lattante, sugli eventuali effetti collaterali rilevati sul lattante e una valutazione complessiva dell’uso in corso di lattazione.

Ragionando sulla paroxetina

Dati di farmacocineticaL’aggiornamento della scheda della paroxetina sul LactMed data 31 marzo 2015. Troviamo scritto che per assunzioni di 10-50 mg/die di paroxetina la concen-trazione massima riscontrata nel latte è di 153 mcg/L ossia 0,153 mg/L. Come si può notare è una concen-trazione dell’ordine dei microgrammi, a fronte di una dose materna espressa in milligrammi. Questo differente ordine di grandezza sottolinea il concetto generale che la quota nel latte risulta limitata. Calcolando un’ipote-tica assunzione di latte materno pari a 150 ml/kg/die (che a dire il vero si ha solitamente solo dopo la prima settimana di vita), un bambino di 3.490 gr, che assuma ½ litro al giorno di latte (523 ml per la precisione), in-trodurrà circa 0,08 mg di paroxetina al giorno, per una dose teorica del lattante (theoretical infant dose o TID) di 0,023 mg/kg/die. La quota di farmaco pro chilo di peso assunta dalla madre era invece di 0.28 mg/kg/die (20 mg per un peso convenzionale stimato di 70 kg). Facendo ora il rapporto fra dose infantile espressa in mg/kg/die e dose materna pure espressa in mg/kg/die si ottiene un rapporto, che rappresenta la dose relativa del lattante (relative infant dose o RID). La RID per la paroxetina è di circa 1%, ben al di sotto del limite di sicurezza indicato convenzionalmente al 10% per tutti i farmaci.3 Naturalmente la RID è solo uno dei parametri da poter prendere in considerazione, ma ha il vantaggio di evidenziare quanto della dose materna un lattante

riceva rispetto alla madre. La paroxetina in definitiva passa nel latte e anche se Hale nel suo testo ci dice che la sua biodisponibilità orale è completa, alla fine i livelli di paroxetina nel sangue del lattante sono solitamente sotto soglia di dosabilità.

Dati tossicologici I dati si riferiscono a figli di donne che avevano assunto, come nel nostro caso, la paroxetina anche in cor-so di gravidanza. Sono incostantemente riportati alcuni effetti collaterali quali agitazione, irritabilità, pianto inge-stibile, disturbi del sonno e alimentari, risposta attenuata al dolore, rallentamento della crescita e lieve ritardo psi-comotorio. In un caso clinico si segnalava ipopotassiemia, alcalosi ipocloremica e lieve disidratazione, ma il rapporto causale con la paroxetina non trovava plausibilità ezio-patogenetica. L’assunzione di inibitori del reuptake della serotonina (SSRI) a fine gravidanza si correla infine con un rischio maggiore di alterato adattamento neonatale (come nel nostro caso).

Effetti della paroxetina sulla lattazioneGli inibitori del reuptake della serotonina (SSRI) e nello specifico la paroxetina stimola la prolattina e in donne non gravide e che non allattano può portare a iperprolattinemia e galattorrea. Questo effetto non sem-bra avere implicazioni negative nel caso di una donna in allattamento. Gli SSRI invece sono associati ad un ritardo di circa 17 h della lattogenesi II (montata lattea).

In sintesiLa maggior parte delle fonti autorevoli consi-derano la paroxetina come uno degli antidepressivi da preferire in corso di allattamento al seno, in conside-razione dei rari e comunque lievi effetti collaterali sul lattante riportati in letteratura. Va però osservato come non sia possibile discriminare sicuramente fra sintomi attribuibili al farmaco e sintomi attribuibili piuttosto al disagio psichico di una madre con depressione. In ge-nerale i disturbi sono più frequenti quando, come nel

L’eventuale problema di un’esposizione a un farmaco si pone sostanzialmente solo dopo la montata lattea.

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nostro caso, l’assunzione dell’antidepressivo avviene anche in gravidanza.

Alternative alla paroxetina?Questo problema si pone eventual-mente se il farmaco è controindicato e non, come nel nostro caso, quando è giudicato sicuro. Secondo la scala di ri-schio lattazionale di Hale (L1 massima sicurezza; L2 sicurezza; L3 probabile si-curezza; L4 possibilmente rischioso; L5 controindicato) la paroxetina è giudicata L2. La sertralina è certamente considerata un antidepressivo ancor più sicuro, di pri-ma scelta per la donna che allatta e che debba iniziare un trattamento antidepressivo5, ma nel nostro caso non ci sogneremo di mettere in discussione la scelta della paroxetina.

Sull’uso del lorazepam

È ragionevole supporre che l’associazione di due farmaci ad azione sul sistema nervoso centra-

le aumenti il rischio di effetti collaterali (nel bambino così come nella madre) e meriti una ancor più attenta sorveglianza del lattante. Se tuttavia ciascuno dei due farmaci è giudicato compatibile, due valutazioni di liceità in corso di allattamento non possono trasformarsi in una controindicazione se i due farmaci sono usati contempo-raneamente. Il lorazepam è benzodiazepina (BDZ) che si lega alle proteine del plasma materno per l’80%, con scarso passaggio e concentrazione nel latte e basso rapporto fra le concentrazioni del latte e del plasma (M/P 0,15–0,26). La biodisponibilità orale è completa. La RID è di 2,6–8,5%3,4, quindi sufficientemente bassa da rassicurare. Il lorazepam è una BDZ a emivita intermedia (12 h), che può teorica-mente accumularsi col passar del tempo nel lattante. Agli usuali dosaggi tuttavia non sono descritti in letteratura effetti collaterali (in particolare sedazione) da esposizio-

ne attraverso il latte materno, come inve-ce risulta per il diazepam a lunga emivita (43 h), controindicato in allattamento.3

Quale età per il rischio lattazionale?

Il rischio di effetti collaterali dipende sostanzialmente dalla capacità

del bambino di metabolizzazione la quota di farmaco a cui è esposto. Questa capacità è comprensibilmente ridotta nei pretermine e nel piccolo lattante. Nei primi 2 mesi di

vita si concentrano infatti l’80% circa delle segnalazioni di effetti collaterali sia in base alla revisione della letteratura condotta da Anderson6 sia per lo studio pluridecennale di sorveglianza francese di Soussan.7 Questi dati stanno ad indicare che il rischio collegato all’uso di farmaci in corso di allattamento perde di importanza dal 3° mese di vita in poi, a maggior ragione quando ad un certo punto il bambino non sia più allattato in maniera esclusiva.

La consulenza alla donna

Non è possibile né utile stilare delle liste di farmaci secondo varie categorie di rischio in corso

di allattamento. La valutazione deve infatti essere ag-giornata (l’accesso a LactMed risponde a questa esigen-za) e individualizzata, anche in base al desiderio ed alla motivazione ad allattare espressa dalla donna durante il colloquio. Quando la valutazione del rischio lattazionale sia favorevole all’allattamento, come nel caso di Elisa, daremo rassicurazioni, ma non potremo dare le garanzie assolute che talune donne si aspettano. Dire che il farmaco non passa nel latte o che non capiteranno assolutamente effetti collaterali non è sempre possibile. Nel nostro caso si darà l’informazione che lorazepam e paroxetina sono entrambi sicuri, ma allo stesso tempo si ricorderà di pre-

Scala di rischio lattazionale di Hale

L1MASSIMA SIcuREZZA

L2SIcuREZZA

L3PRoBABILE SIcuREZZA

L4PoSSIBILMENtE

RIScHIoSo

L5coNtRoINdIcAto

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stare attenzione all’eventuale comparsa di disturbi come pianto inconsolabile, sonnolenza e difficoltà alimentari. Se i foglietti illustrativi dei farmaci controindicano l’al-lattamento e sono quindi in contraddizione con quanto in scienza e coscienza comunichiamo alla mamma, dovremo chiarire i motivi di questa discrepanza. Si suggerirà infine di assumere i farmaci subito dopo la poppata al seno per consentire una metabolizzazione del farmaco da parte della mamma, prima della poppata successiva. Alcune madri possono essere preoccupate del passaggio nel latte di quantità anche piccole di farmaci ad azione sul sistema nervoso centrale per i possibili effetti a lungo termine. Per i farmaci antiepilettici è stato in realtà dimostrato che allattare al seno migliora l’outcome neuroevolutivo dei bambini rispetto all’allattare artificialmente.8 In altri termini sembra, allo stato attuale dell’arte, di poter dire

che l’eventuale difetto neuroevolutivo da esposizione al farmaco è più che compensato dal positivo effetto a li-vello neuromotorio e cognitivo della nutrizione con lat-te materno. Risultati simili si possono prevedere, anche se non ancora dimostrato, per altre categorie di farmaci neurotropi come gli antidepressivi e le benzodiazepine. Sulla base del consiglio di altri specialisti da cui sono seguite (il neurologo, per esempio), alcune madri possono sviluppare la falsa convinzione che un certo farmaco è controindicato in corso di allattamento e decidere di non allattare. In questo caso rispetteremo la scelta fatta, ma dovremo comunque, se interpellati, dare un’informazione scientificamente corretta. La consulenza potrà quindi anche essere in contrasto con l’opinione dello specialista. È del resto importante che la consulenza non abbia ef-fetti diseducativi, nel momento in cui si assecondino false controindicazioni ad allattare, indicate da terzi. Starà alla sensibilità e correttezza deontologica del pediatra trovare la forma idonea per comunicarlo alla madre e magari direttamente allo specialista.

difficoltà e successo con l’allattamento al seno

Se una donna con depressione e/o ansia opta per l’allattamento è prevedibile, anche se non scon-

tato, che abbia bisogno di un aiuto ed incoraggiamento speciali con l’avvio dell’allattamento. Non solo in queste donne la montata lattea può ritardare, ma il loro frequente difetto d’autostima e la scarsa tolleranza alla carenza di sonno a seguito di ripetute poppate al seno, rappresentano dei concreti ostacoli al successo dell’allattamento. Aiutare queste donne ad allattare può rappresentare una sfida, ma è un obiettivo importante per il prezioso empowerment collegato al successo dell’allattamento .

Gli autori dichiarano di non avere nessun conflitto di interesse.

È importante che la consulenza non abbia effetti diseducativi, nel momento in cui si assecondino false controindicazioni ad allattare indicate da terzi.

Bibliografia

1. davanzo R, Bua J, de cunto A, Farina ML, de Ponti F, clavenna A, Mandrella S, Sagone A, clementi M. Advising Mothers on the Use of Medications during Breastfeeding: A Need for a Positive Attitude. J Hum Lact 2015;pii: 0890334415595513

2. Farmaci nella donna che allatta al seno: un approccio senza pregiudizi. Ministero della Salute 2014. http://goo.gl/8R1jKh

3. Hale tW, Rowe HE. Medications and mothers’milk. 16th edition. Plano: Hale’s Publishing, 2014.

4. LactMed http://goo.gl/HUfSxZ5. Pinheiro E, Bogen dL, Hoxha d, ciolino Jd, Wisner KL.

Sertraline and breastfeeding: review and meta-analysis. Arch Womens Ment Health 2015;18(2):139-46 doi: 10.1007/s00737-015-0499-y

6. Anderson P et al. A review of adverse reactions from medications in breastmilk. Clin Pediatr (Phila) 2015; pii: 0009922815594586.

7. Soussan c et al. Drug-induced adverse reactions via breastfeeding: a descriptive study in the French pharmacovigilance database. Eur J Clin Pharmacol 2014;70:1361-1366.

8. Meador KJ, Baker GA, Browning N et al. Neurodevelopmental effects of antiepileptic drugs (NEAD) Study Group. Breastfeeding in children of women taking antiepileptic drug: cognitive outcome at age 6 years. JAMA Pediatr 2014;168: 729-736.A

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[ strumEnti di lavoro ]

Consigli ai genitori:la febbre Una nuova rubrica che presenta schede sintetiche da utilizzare nel rapporto con i familiari dei pazienti.

N on abbiate troppa paura della febbre: la febbre non è nemica del

bambino ma stimola le capacità di difesa dalle infezioni. Nei piccoli la febbre è una evenienza comune e in genere si risolve nel giro di pochi giorni.

È consigliabile misurare la feb-bre per via ascellare con termome-tri digitali a punta morbida.

I farmaci antipiretici quali pa-racetamolo o ibuprofene devono essere usati solo quando alla febbre si associ un quadro di malessere generale. La dose degli antipire-tici deve essere sempre valutata in base al peso e non all’età, usando il dosatore presente nella confezione del farmaco, senza superare la dose massima prevista.

PARACETAMOLO: 10–15 mg/kg/dose ogni 6–8 ore per la febbre o il doloreIBUPROFENE: 10 mg/kg/dose ogni 8 ore

Si ricorda che:

· paracetamolo e ibuprofene NON devono essere usati combinati o alternati per la possibile comparsa di effetti collaterali;

· la somministrazione è preferibile per bocca, in assenza di vomito, in quanto l’assorbimento del farmaco è più costante ed è possibile dosarlo più correttamente in base al peso del bambino;

· la somministrazione mediante supposte è consigliabile solo in caso di vomito;

· l’uso dell’ibuprofene è sconsigliato sotto i 6 mesi di età (nei bam-bini di età compresa tra 3 e 6 mesi limitare la somministrazione a quelli di peso superiore ai 5,6 kg), in corso di varicella, nel bambino disidratato e nel bambino asmatico;

· non è consigliabile usare metodi fisici quali spugnature, bagni freddi, impacchi di alcool per abbassare la temperatura;

· altri farmaci che non siano antipiretici e in particolare gli antibiotici, devono essere somministrati solo dopo prescrizione medica.

Inoltre:

· non forzate il bambino a mangiare ma proponete spesso da bere

· copritelo poco;

· nell’ambito di una dieta corretta cercate di proporre gli alimenti che gradisce;

· non abbiate troppa fretta di riprendere le normali attività (nido, materna, scuola) ma lasciategli, se possibile, qualche giorno di convalescenza.

Quando consultare il pediatra:

· sempre se il bambino ha un’età inferiore ai sei mesi;

· se il bambino ha più di sei mesi e presenta:– difficoltà a respirare, – appare sonnolento o difficilemente risvegliabile o poco reattivo– stato confusionale . A

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A cura del Tavolo Tecnico Congiunto ASL MI1: Pediatri di Famiglia, Pediatri Ospedalieri, Rappresentanti ASL

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Introduzione

N egli ultimi decenni il panorama sociale e culturale mondiale è andato incontro a una profonda trasforma-

zione: a causa dei flussi migratori si è, infatti, costituita anche in Italia una società multicul-turale e multietnica che, fra tutte le altre carat-teristiche, risulta essere, inevitabilmente, anche multilingue. Il multilinguismo è ormai un dato di fatto e si stima che circa i ⅔ della popolazione mondiale sia in grado di parlare e comprendere più di due lingue.

Proprio per questo motivo quotidianamente nei no-stri ambulatori capita di confrontarsi con genitori che hanno scelto di avviare i propri bambini all’apprendi-mento di una seconda lingua già nei primi anni di vi-ta, o perché uno o entrambi i genitori sono stranieri o semplicemente perché ritengono che possa costituire un arricchimento e offrire migliori opportunità. Anche a scuola lo studio di una lingua straniera è introdotto già dalla scuola materna e continua lungo tutto il percorso di studi fino all’Università.

definizioni

S i definisce multilingue un soggetto in grado di comunicare attraverso più di una lingua, sia atti-

vamente (attraverso la parola, la scrittura o il canto) che passivamente (attraverso l’ascolto, la lettura), chiaramente si parlerà quindi di bilingue o trilingue in base al numero di lingue coinvolte. Il bilinguismo, in senso stretto, è l’es-sere in grado di parlare utilizzando alternativamente due codici linguistici diversi. In base all’epoca di acquisizione della seconda lingua, possiamo distinguere il bilinguismo precoce, che può essere simultaneo o consecutivo, e il bi-linguismo tardivo. Si parla di bilinguismo precoce quando

Milena LoGiudice1

Roberto Raschetti2 Marina Picca3

1 Pediatra di Famiglia, Palermo – SICuPP2 Scuola di Specializzazione in Pediatria, Università degli Studi di Pavia3 Pediatra di Famiglia, Milano – SICuPP

[ le SoCietÀ SCieNtiFiCHe ]

Il bambino multilingue nello studio del pediatra I vantaggi mentali del bilinguismo persistono in età adulta e sono stati riscontrati anche negli anziani che sono cresciuti con due lingue dall’infanzia

Tabella 1. Tipi di bilinguismo

Età di esposizione Tipo di bilinguismo

0–3 anni Bilinguismo precoce simultaneo

3–6 anni Bilinguismo precoce consecutivo

>6 anni Bilinguismo tardivo

il bambino apprende la lingua in età prescolare, dunque prima di studiarne la grammatica come ad esempio nel caso di figli nati da coppie in cui le due lingue sono presenti fin dalla nascita del bambino. Se l’acquisizione delle due lingue avviene in modo simultaneo fin dalla nascita del bambino, si parlerà di bilinguismo simultaneo, mentre qualora la seconda lingua sia introdot-ta nell’ambiente dopo i tre anni si parlerà di

bilinguismo consecutivo. In caso di bilinguismo tardivo, prima si acquisisce la lingua madre e solo successivamente la seconda lingua, in genere dopo i 6 anni, come nel caso dei bambini figli di immigrati o adottati provenienti da paesi esteri e dei bambini che apprendono una seconda lingua a scuola (Tabella 1). Si parla infine di bilinguismo passivo quando una delle due lingue viene solo compresa ma il parlante non è in grado di riprodurla oralmente.

Multilinguismo: pregiudizi e false conoscenze

Sul bilinguismo esistono pregiudizi e false co- noscenze:

· “Imparare più lingue dalla nascita creerà confusio-ne nel bambino?”;

· “Mio figlio bilingue farà più fatica degli altri a imparare a parlare?”;

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Vi è capitato di sentire un bambino dire: “Ho 2 hand”, “La caramella è très très bon”, “Como me gusta giocare!”?È normale! Si chiamano “interferenze interlinguistiche” (code-mixing, code-switching) e fanno parte dello sviluppo tipico di tutti i bi/plurilingui.

Avvengono per diversi motivi:

· perché lo sviluppo linguistico del bambino è in evoluzione e la consapevolezza di parlare più lingue si acquista pian piano;

· perché il bisogno di dire fa sì che si preferisca prendere in prestito una parola dall’altra lingua piuttosto che inter-rompersi per cercare la parola che non viene o che non si conosce in quella lingua;

· perché, a volte, il bambino ha l’impressione che certi termini dell’altra lingua esprimano meglio quello che vuole dire.

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· “Tutte queste lingue saranno un problema per la sua identità?”;

· “Il bilinguismo può determinare un disturbo del linguaggio?”.

Sui miti errati riguardanti il bilinguismo studi scien-tifici recenti hanno ormai fatto luce, ed in letteratura sono state pubblicate approfondite review sul tema del multilinguismo. È stata definitivamente dimostrata falsa la convinzione che l’apprendimento di più lingue possa confondere il bambino: infatti, in molte nazioni dove è comune che i bambini vengano esposti a multiple lingue sin dalla nascita non si verifica una maggiore incidenza di disturbi del linguaggio. Bambini cresciuti e educati in un ambiente caratterizzato da un linguaggio qualitativamen-te elevato, in cui più lingue sono valorizzate e utilizzate in modo continuo, sperimenteranno benefici cognitivi e sociali, e potenzialmente anche economici.

Il cervello del bambino bilingue

Le reti neuronali relative alla gestione delle competenze linguistiche si trovano prevalentemente

in quattro aree fondamentali dell’encefalo (il giro fron-tale inferiore sinistro, la corteccia cingolata anteriore, il corpo striato e una parte della corteccia parietale), le stesse aree che sostengono la rete del controllo cognitivo dei processi di pianificazione di attenzione e di orga-nizzazione, le cosiddette “funzioni esecutive” che utiliz-ziamo tutte le volte che vogliamo o dobbiamo risolvere un compito nuovo. I bambini multilingue imparano a leggere più precocemente e le abilità di lettura si trasfe-riscono da una lingua all’altra. Di conseguenza i bambini bilingue hanno migliori capacità attentive ed esecutive ed un migliore rendimento scolastico. L’effetto è partico-larmente forte quando la lingua aggiuntiva è introdotta

prima dei cinque anni di età. Il bilinguismo infantile è, infatti, diverso dall’apprendimento di una seconda lingua in età adulta, essendo un processo spontaneo che ha luogo se il bambino ha la possibilità di sentire spesso due lingue e motivazione a usarle dall’infanzia. Un in-teressante studio ha dimostrato che i bambini bilingue di pochi mesi distinguono i suoni e le parole delle due lingue anche quando sono simili. Il cervello del bam-bino è, infatti, perfettamente capace di ‘gestire’ due o più lingue contemporaneamente, i bambini bilingue in genere non mescolano le due lingue (anche se spesso lo possono fare volontariamente) e anche qualora questo avvenga (interferenze linguistica o code-mixing, cioè passaggio da un codice linguistico ad un altro all’interno della stessa frase), non indica confusione linguistica ma anzi è indicativo di un aumentato controllo linguistico e cognitivo.

Risulta inoltre erronea la convinzione che i ge-nitori di bambini che stanno apprendendo una seconda lingua debbano parlare anch’essi tale lingua, anche se non ne possiedono totale padronanza. Come i bambini che crescono parlando una sola lingua, i bambini mul-tilingue apprendono meglio quando ascoltano notevoli quantità di discorsi di svariata natura, complessi e di-namici riguardo eventi passati di loro interesse. Questo è quello che viene chiamato un ambiente linguistico

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qualitativamente elevato. Un genitore che non possiede una buona padronanza di una lingua ha difficoltà nella comunicazione di base e questo rende difficile, se non impossibile, fornire al bambino un’esperienza positiva e arricchente. Il sentire parlare una lingua fluentemente e correttamente aiuterà il bambino nello sviluppo del linguaggio molto più che un’esposizione ad una lingua limitata, semplice e superficiale. E proprio per questo motivo, è importante che il genitore parli al proprio bambino nella lingua di cui ha più padronanza anche e soprattutto se si tratta di una lingua di minoranza. I bambini bilingue tendono inoltre ad avere una maggiore e precoce consapevolezza che gli altri possano vedere le cose da una prospettiva diversa dalla loro (decentra-mento cognitivo). Questo deriva dalla pratica costante di adattare la scelta della lingua al tipo di persona con cui si parla, sviluppando, quindi, una maggior consapevolezza dell’altro e una maggiore flessibilità mentale. Si è visto infine che i vantaggi mentali del bilinguismo persistono in età adulta e sono stati riscontrati anche negli anziani che sono cresciuti con due lingue dall’infanzia. Ci sono evidenze sul fatto che il bilinguismo possa ritardare il declino cognitivo (sia normale che patologico) nella terza età e diversi studi hanno dimostrato che i parlanti bilingui anziani hanno migliori capacità cognitive dei coetanei monolingui.

Possibili svantaggi del bilinguismo

Alcuni bambini bilingue iniziano a parlare con qualche ritardo rispetto ai coetanei, ma entro i

limiti della normalità. Qualora si volesse valutare il vo-cabolario, questi bambini hanno un numero di parole più ristretto in ciascuna lingua rispetto ai monolingui, anche se il vocabolario complessivo nelle due lingue può essere più ampio.

Un aspetto particolare, importante dal punto di vista psicologico, è che il bambino bilingue può avere talvolta

un accento percepito dagli altri come “straniero” in tut-te le lingue parlate. Questo accade quando il bambino acquisisce fin dalla lallazione dei suoni intermedi nella produzione di vocali e consonanti e quando questi non sono corretti durante la crescita. A causa di vecchie te-orie, si riteneva che il bilinguismo favorisse l’insorgen-za di disturbi dell’apprendimento e della letto-scrittura Quando un bimbo manifestava disturbi di questo tipo, si consigliava ai genitori di abbandonare a torto la seconda lingua concentrandosi su una sola, non considerando che chiedere a una famiglia di rinunciare a una lingua può compromettere l’identità del bambino, il suo equilibrio e il benessere della famiglia stessa. La lingua, infatti, non è solo uno strumento di designazione oggettiva delle cose ma ha una forte carica affettiva che influisce in qualche modo sulla qualità della relazione genitore-figlio. Ciò vale in particolare per quei genitori che non possiedono una buona padronanza della lingua del paese ospitante e che, perciò, in questo modo fornirebbero un modello lingui-stico scorretto e poco efficace al bambino. Ogni genitore quindi deve essere fortemente incoraggiato a parlare con il proprio bambino utilizzando la propria lingua madre, che è la lingua degli affetti e dei legami fra i genitori e i figli. E’ inoltre di fondamentale importanza, al fine di non trasmettere confusione ai figli, che ogni genitore utilizzi sempre la stessa lingua: un genitore-una lingua. Va infine sottolineato che per poter diagnosticare un disturbo di linguaggio deve esserci una significativa difficoltà in tutte le lingue conosciute dal bambino. Nel caso in cui ci sia una difficoltà SOLO in una lingua, si parlerà di ritardo di acquisizione della seconda lingua (L2).

Quando introdurre una seconda lingua?quali strumenti?

Anche sulle tempistiche di introduzione della seconda lingua esistono molti dubbi tra i genitori.

La risposta è una ed è semplice: prima lo si fa, meglio

La lingua non è solo uno strumento di designazione oggettiva delle cose ma ha una forte carica affettiva che influisce in qualche modo sulla qualità della relazione genitore-figlio.

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è. Aspettando troppo, infatti, si rischierebbe di perdere i benefici cognitivi che il bilinguismo può apportare pur essendo stato dimostrato che anche il bilinguismo consecutivo avvantaggia i bambini dal punto di vista cognitivo. Non ha senso aspettare che una lingua si sia stabilizzata prima di introdurre la seconda: come detto sopra, il bambino è in grado già dalla nascita di gestire più lingue contemporaneamente senza sforzo e senza creare confusione. È altresì necessario, per la corretta acquisizione di una seconda lingua, che il tempo di e-sposizione ad essa sia superiore al 30% di quello che il bambino trascorre interagendo con gli altri e che l’espo-sizione deve essere costante durante tutto lo sviluppo (infanzia e adolescenza) altrimenti, com’è naturale, potrà essere dimenticata.

Il bisogno di comunicare con più lingue ha inoltre un’importanza cruciale, l’uso delle diverse lingue deve essere costantemente messo in pratica. Il bambino bilin-gue dovrebbe trovarsi regolarmente in situazioni in cui sia costretto a parlare una delle due lingue conosciute, in modo da tener sempre presente quanto gli sia utile e necessaria per comunicare.

Alcuni strumenti per aiutare e motivare i bambini possono essere:

· frequentazione se possibile di parenti e amici stra-nieri;

· partecipazione ad attività e gruppi di gioco in lin-gua;

· l’utilizzo a partire dai 7–8 anni di giochi (anche al computer);

· visione di cartoni animati;

· nella primissima infanzia cantare canzoni (tipo ninna nanna), leggere favole in una seconda lingua.

Quello che resta fondamentale è l’aspetto affettivo e relazionale. I bambini apprendono e fanno le cose all’in-terno di un rapporto affettivo e significativo con i propri genitori e familiari, tutte le altre figure possono essere di supporto e di corredo, ma non sono i “depositari” dell’apprendimento. Va infine detto che avere genitori

che parlano lingue diverse non garantisce di per sé il bilinguismo: i bambini hanno bisogno di sentir parlare entrambe le lingue in misura sufficiente, per questo si rendono necessari impegno e coerenza da parte delle famiglie e della scuola.

conclusioni

Abbiamo visto quindi come il bilinguismo sia un investimento che offre al bambino molto più

della competenza in due lingue.I vantaggi linguistici e cognitivi offerti

dall’uso attivo di due lingue sono ottimi motivi per incoraggiare il bilinguismo nella prima infanzia e per mantenere attive anche le lingue minoritarie. Sarà neces-sario quindi modificare l’atteggiamento nei confronti del bilinguismo: una corretta informazione tra le famiglie, gli insegnanti e gli studenti, il personale sanitario, gli am-ministratori e i politici può far sì che molti più bambini possano crescere bilingue. La Società Italiana delle Cure Primarie Pediatriche (SICuPP) ha elaborato un poster ‒ scaricabile dal sito www.sicupp.org ‒ che riassume, in modo semplice come “parlare più lingue faccia crescere di più”. Il pediatra di famiglia consapevole degli enormi vantaggi cognitivi, culturali e sociali, dovrà quindi agire da facilitatore nell’incoraggiare i genitori stranieri a parlare con i propri figli utilizzando la rispettiva lingua madre, e i genitori isoculturali ad esporre i bambini ad almeno una seconda lingua quanto più precocemente possibile .

Gli autori dichiarano di non avere nessun conflitto di interesse.

Bibliografia

1. Abdelilah-Bauer, B. Guida per genitori di bambini bilingui. Milano: Raffaello Cortina, 2013.

2. Mccabe A, tamis-LeMonda cS, Bornstein MH et al for Society for Research in Child Development. Multilingual children: beyond myths and toward best practices. Social Policy Report 2013;27(4):1–36.

3. Gagliano A. Bilinguismo un’opportunità per la vita. Il Pediatra. Tecniche nuove 2014;8-12.

4. Sorace A. Pinning down the concept of “interface” in bilingualism. Linguistic Approaches to Bilingualism 2011;1-33.

5. Bilingualism Matters http://www.bilingualism-matters.org.uk

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l’angolo delle società scientifiche Il bambino multilingue nello studio del pediatra

Parlate al vostro bimbo nella vostra lingua: è uno dei più grandi regali che possiate fargli!

Ogni bambino nasce pronto per diventare bi-lingue o pluri-lingue. Il cervello infatti NON ha un’organizzazione monolingue, ed è in grado di adattarsi per l’apprendimento di più lingue.

Parlate al vostro bimbo nella lingua con cui vi sentite più a vostro agio e con la quale sentite di poter creare un legame affettivo più forte (madrelingua o lingua del cuore).

Prima è, meglio è: il periodo ideale per introdurre un’altra lingua va dalla nascita fino agli otto anni. Ovviamente, però, NON È MAI TROPPO TARDI.

PARLARE PIÙ LINGUE FA CRESCERE DI PIÙ

PERCHÉ IL BILINGUISMO FAVORISCE LO SVILUPPO...

...DEL CERVELLO DEL BAMBINO ...DI UN

LINGUAGGIO PIÙ RICCO

... DELL’IDENTITÀ E DELLA DOPPIA APPARTENENZA

CULTURALE

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[ comE si fa ]

Ossigenoterapia ad alti flussi tramite nasocannule nel bambino con insufficienza respiratoria acuta: meccanismo d’azione e indicazioni d’usoL’impiego dell’HFNC si è diffuso in modo esponenziale in ogni ambito dell’assistenza respiratoria pediatrica

Paola Papoff1, Roberto Cicchetti1, Stefano Luciani1, Rosanna Grossi1, Tiziana Fedeli2, Fabio Midulla1, Corrado Moretti1

per conto del gruppo di studio della Terapia Intensiva della Prima Infanzia (TIPI)1Terapia Intensiva Pediatrica – Policlinico Umberto I, “Sapienza” Università di Roma2Terapia Intensiva Neonatale, Fondazione MBBM – Ospedale San Gerardo, Monza

Meccanismo d’azione

Accanto alle moderne tecniche di ventilazione non invasiva si è diffuso negli ultimi dieci anni un nuovo sistema di ossigenotera-pia, cosiddetto “nasocannule ad alto flusso” (high-flow nasal cannula,

HFNC), che grazie ad alcune caratteristiche del tutto peculiari è in grado di migliorare gli scambi gassosi e di ridurre il lavoro respiratorio in molte con-dizioni di insufficienza respiratoria del bambino e dell’adulto. Il meccanismo d’azione dell’HFNC è originale e complesso (Figura 1)1. L’HFNC è stato ini-zialmente concepito per somministrare attraverso delle nasocannule una miscela di aria e ossigeno, riscaldata e umidificata, ad un flusso superiore rispetto al picco inspiratorio del paziente, affinché non fosse necessario come nei sistemi a basso flusso un ulteriore prelievo di aria dall’esterno per adeguare il flusso A

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somministrato a quello del paziente (Figura 2). Di conseguenza l’unica miscela di ossigeno in-spirata è quella proveniente dalle nasocannule e pertanto la concentrazione di ossigeno (FiO2) impostata sull’apparecchio e quella inalata dal soggetto coincidono. Nella Figura 3 è illustrato in modo schematico come è costituito un sistema ad alti flussi.

Riduzione dello spazio morto anatomicoDurante l’espirazione le vie aeree che si estendono dal naso ai bronchioli terminali (spazio morto anatomico), si riempiono del gas proveniente dagli alveoli che risulta povero di O2 e ricco di CO2 (Figura 4a). Quando il sog-getto inspira, si verifica un mescolamento tra il volume di gas inspirato e il volume del gas presente nello spazio

morto (Figura 4b), il che comporta una riduzione delle concentrazioni di O2 e un aumento della CO2 rispetto al gas fresco proveniente dall’ester-no. Idealmente, se lo spazio morto potesse essere ridotto, una quota proporzionalmente maggiore di gas fresco arriverebbe agli alveoli con un conseguente miglioramento degli

scambi gassosi. Questo è quanto avviene con l’HFNC, in cui la somministrazione di un flusso costante superiore alle necessità del paziente fa si che nell’espirazione il gas espirato si scontri a

livello orofaringeo con quello in ingresso proveniente dal-l’HFNC venendo così eliminato direttamente dalla bocca, senza attraversare il nasofaringe (riduzione dello spazio morto, Figura 5a). Di conseguenza durante l’inspirazione il gas fresco si mescolerà con quello dello spazio morto solo a partire dall’orofaringe (Figura 5b) arrivando più ossigenato agli alveoli. Con l’HFNC dunque e non con altre tecniche di ossigenoterapia è possibile aumentare lo scambio di gas a livello alveolare a parità di FiO2 e senza teoricamente modificare le pressioni delle vie aeree.

Condizionamento della miscela dei gase ridotta spesa energeticaIl sistema HFNC è stato studiato per umidificare la mi-scela dei gas in modo che l’umidità relativa raggiunga circa il 100% ad una temperatura compresa tra 34°C e 37°C.

Rispetto alle nasocannule a basso flusso o alla maschera ad alto flusso, l’HFNC

Meccanismo d’azione dell’HFNC

Flusso

Spazio morto naso-faringeo

Resistenze respiratorie

Pressione positiva faringea

condizionamento dei gas

Attività mucociliare Comfort Lavoro metabolico

Figura 1. Meccanismo d’azione dell’HFNC in relazione all’entità del flusso e al condi-zionamento dei gas.

Figura 4 e 5. Espirazione e inspi-razione fisiologica.

Figura 2. Con l’HFNC il flusso somministra-to dall’apparecchio supera il picco inspi-ratorio del paziente per cui non viene inalata ulteriore aria dall’esterno cosa che si verifica con i sistemi a basso flusso (area tratteggiata).

Flu

sso

L/m

in

Alto Flusso

Picco inspiratorio del paziente

Basso Flusso

Ti Te

Espirazione fisiologica

4a. Durante l’espirazione le vie aeree di conduzione si riempiono del gas proveniente dagli alveoli povero di O2 e ricco di CO2 (spazio morto, in azzurro).

Inspirazione fisiologica

4b. Durante l’inspirazione il volume di gas freschi (freccia verde) si mescola con il gas dello spazio morto (in azzurro) arricchendosi di CO2 e impoverendosi di O2.

Espirazione con HFNC

5a. Il flusso espiratorio proveniente dalla trachea (in azzurro) si scontra a livello del faringe con quello in ingresso dell’HFNC (in verde) ed esce dalla bocca invece che dal naso (riduzione dello spazio morto del nasofaringe).

Inspirazione con HFNC

5b. Durante l’inspirazione il nasofaringe viene continuamente riempito dal gas proveniente dall’HFNC per cui il mescolamento del volume di gas fresco (in verde) con lo spazio morto (in azzurro) avviene solo a partire dall’orofaringe.

Espirazione fisiologica

4a. Durante l’espirazione le vie aeree di conduzione si riempiono del gas proveniente dagli alveoli povero di O2 e ricco di CO2 (spazio morto, in azzurro).

Inspirazione fisiologica

4b. Durante l’inspirazione il volume di gas freschi (freccia verde) si mescola con il gas dello spazio morto (in azzurro) arricchendosi di CO2 e impoverendosi di O2.

Espirazione con HFNC

5a. Il flusso espiratorio proveniente dalla trachea (in azzurro) si scontra a livello del faringe con quello in ingresso dell’HFNC (in verde) ed esce dalla bocca invece che dal naso (riduzione dello spazio morto del nasofaringe).

Inspirazione con HFNC

5b. Durante l’inspirazione il nasofaringe viene continuamente riempito dal gas proveniente dall’HFNC per cui il mescolamento del volume di gas fresco (in verde) con lo spazio morto (in azzurro) avviene solo a partire dall’orofaringe.

Espirazione fisiologica

4a. Durante l’espirazione le vie aeree di conduzione si riempiono del gas proveniente dagli alveoli povero di O2 e ricco di CO2 (spazio morto, in azzurro).

Inspirazione fisiologica

4b. Durante l’inspirazione il volume di gas freschi (freccia verde) si mescola con il gas dello spazio morto (in azzurro) arricchendosi di CO2 e impoverendosi di O2.

Espirazione con HFNC

5a. Il flusso espiratorio proveniente dalla trachea (in azzurro) si scontra a livello del faringe con quello in ingresso dell’HFNC (in verde) ed esce dalla bocca invece che dal naso (riduzione dello spazio morto del nasofaringe).

Inspirazione con HFNC

5b. Durante l’inspirazione il nasofaringe viene continuamente riempito dal gas proveniente dall’HFNC per cui il mescolamento del volume di gas fresco (in verde) con lo spazio morto (in azzurro) avviene solo a partire dall’orofaringe.

Espirazione fisiologica

4a. Durante l’espirazione le vie aeree di conduzione si riempiono del gas proveniente dagli alveoli povero di O2 e ricco di CO2 (spazio morto, in azzurro).

Inspirazione fisiologica

4b. Durante l’inspirazione il volume di gas freschi (freccia verde) si mescola con il gas dello spazio morto (in azzurro) arricchendosi di CO2 e impoverendosi di O2.

Espirazione con HFNC

5a. Il flusso espiratorio proveniente dalla trachea (in azzurro) si scontra a livello del faringe con quello in ingresso dell’HFNC (in verde) ed esce dalla bocca invece che dal naso (riduzione dello spazio morto del nasofaringe).

Inspirazione con HFNC

5b. Durante l’inspirazione il nasofaringe viene continuamente riempito dal gas proveniente dall’HFNC per cui il mescolamento del volume di gas fresco (in verde) con lo spazio morto (in azzurro) avviene solo a partire dall’orofaringe.

Espirazione fisiologica

4a. Durante l’espirazione le vie aeree di conduzione si riempiono del gas proveniente dagli alveoli povero di O2 e ricco di CO2 (spazio morto, in azzurro).

Inspirazione fisiologica

4b. Durante l’inspirazione il volume di gas freschi (freccia verde) si mescola con il gas dello spazio morto (in azzurro) arricchendosi di CO2 e impoverendosi di O2.

Espirazione con HFNC

5a. Il flusso espiratorio proveniente dalla trachea (in azzurro) si scontra a livello del faringe con quello in ingresso dell’HFNC (in verde) ed esce dalla bocca invece che dal naso (riduzione dello spazio morto del nasofaringe).

Inspirazione con HFNC

5b. Durante l’inspirazione il nasofaringe viene continuamente riempito dal gas proveniente dall’HFNC per cui il mescolamento del volume di gas fresco (in verde) con lo spazio morto (in azzurro) avviene solo a partire dall’orofaringe.

Espirazione fisiologica

4a. Durante l’espirazione le vie aeree di conduzione si riempiono del gas proveniente dagli alveoli povero di O2 e ricco di CO2 (spazio morto, in azzurro).

Inspirazione fisiologica

4b. Durante l’inspirazione il volume di gas freschi (freccia verde) si mescola con il gas dello spazio morto (in azzurro) arricchendosi di CO2 e impoverendosi di O2.

Espirazione con HFNC

5a. Il flusso espiratorio proveniente dalla trachea (in azzurro) si scontra a livello del faringe con quello in ingresso dell’HFNC (in verde) ed esce dalla bocca invece che dal naso (riduzione dello spazio morto del nasofaringe).

Inspirazione con HFNC

5b. Durante l’inspirazione il nasofaringe viene continuamente riempito dal gas proveniente dall’HFNC per cui il mescolamento del volume di gas fresco (in verde) con lo spazio morto (in azzurro) avviene solo a partire dall’orofaringe.

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come si fa Ossigenoterapia ad alti flussi tramite nasocannule nel bambino con insufficienza respiratoria acuta: meccanismo d’azione e indicazioni d’uso

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nelle vie aeree. In questa fase le vie aeree ex-tratoraciche tendono a collassare a causa della riduzione della pressione interna, facendo au-mentare le resistenze. Quando il soggetto è collegato all’HFNC, grazie all’elevato flusso inspiratorio, le resistenze inspiratorie diminu-iscono. Durante l’espirazione, il gas proveniente dalla trachea scontrandosi con quello inspira-torio proveniente dall’HFNC batte sulla parete posteriore del faringe e viene forzato ad uscire

dalla bocca. In questo modo potrebbe crearsi un vero effetto “CPAP” (continuous positive airway pressure) che potrebbe contribuire anch’esso alla riduzione delle resistenze delle vie aeree.1

Applicazione di pressione positivaL’entità della pressione positiva generata dall’HFNC differisce in base alla fase del respiro. Infatti, all’inizio dell’inspirazione la pressione delle vie aeree è quasi sempre leggermente negativa o di poco superiore allo zero (pres-sione atmosferica), mentre durante l’espirazione diventa francamente positiva (Figura 6). L’entità della pressione generata dall’HFNC è determinata dal flusso erogato, dal rapporto flusso/peso corporeo, dal rapporto tra grandezza delle nasocannule e narici, e dalla apertura della bocca. La pressione positiva espiratoria può essere utile a preve-nire il collasso delle vie aeree superiori (effetto stent) nei bambini con apnea ostruttiva del sonno, e può contribuire ad aumentare il tempo espiratorio e ridurre l’auto-PEEP (Positive End Expiratory Pressure) nella malattia ostruttiva. L’aumento della pressione delle vie aeree in fase espirato-ria potrebbe favorire anche un certo grado di distensio-ne alveolare e quindi migliorare il rapporto ventilazione/perfusione nelle malattie restrittive. Tuttavia non vi sono ancora sufficienti studi per raccomandare questo sistema nei pazienti con insufficienza respiratoria di tipo ipossico. Le pressioni generate con l’HFNC sono comunque molto variabili tra individuo e individuo e all’interno dello stesso paziente. In uno studio fisiologico effettuato in bambini con bronchiolite acuta virale, Milesi et al hanno misurato la pressione faringea nel corso di un graduale incremento del flusso fino a 7 L/min (Figura 7).2 Rispetto al peso del paziente, gli autori hanno osservato che un flusso di 2 L/kg/min corrispondeva a circa 4 cm H2O di pressione. Da questo studio non era possibile prevedere l’andamento delle pressioni in condizioni di flusso maggiore, anche se a 7 L/min entrambe le componenti della pressione (inspiratoria ed espiratoria) risultavano superiori allo zero dimostrando che l’HFNC può generare una vera e propria CPAP.

Figura 3. Rappresentazione schematica di un sistema HFNC: sono visibili il flussimetro (per impostare il valore del flusso), l’umidificatore, il mi-scelatore aria/ossige-no (per impostare la FiO2) e il circuito che termina con le naso-cannule da collegare al bambino.

Espirazione fisiologica

4a. Durante l’espirazione le vie aeree di conduzione si riempiono del gas proveniente dagli alveoli povero di O2 e ricco di CO2 (spazio morto, in azzurro).

Inspirazione fisiologica

4b. Durante l’inspirazione il volume di gas freschi (freccia verde) si mescola con il gas dello spazio morto (in azzurro) arricchendosi di CO2 e impoverendosi di O2.

Espirazione con HFNC

5a. Il flusso espiratorio proveniente dalla trachea (in azzurro) si scontra a livello del faringe con quello in ingresso dell’HFNC (in verde) ed esce dalla bocca invece che dal naso (riduzione dello spazio morto del nasofaringe).

Inspirazione con HFNC

5b. Durante l’inspirazione il nasofaringe viene continuamente riempito dal gas proveniente dall’HFNC per cui il mescolamento del volume di gas fresco (in verde) con lo spazio morto (in azzurro) avviene solo a partire dall’orofaringe.

Espirazione fisiologica

4a. Durante l’espirazione le vie aeree di conduzione si riempiono del gas proveniente dagli alveoli povero di O2 e ricco di CO2 (spazio morto, in azzurro).

Inspirazione fisiologica

4b. Durante l’inspirazione il volume di gas freschi (freccia verde) si mescola con il gas dello spazio morto (in azzurro) arricchendosi di CO2 e impoverendosi di O2.

Espirazione con HFNC

5a. Il flusso espiratorio proveniente dalla trachea (in azzurro) si scontra a livello del faringe con quello in ingresso dell’HFNC (in verde) ed esce dalla bocca invece che dal naso (riduzione dello spazio morto del nasofaringe).

Inspirazione con HFNC

5b. Durante l’inspirazione il nasofaringe viene continuamente riempito dal gas proveniente dall’HFNC per cui il mescolamento del volume di gas fresco (in verde) con lo spazio morto (in azzurro) avviene solo a partire dall’orofaringe.

Espirazione fisiologica

4a. Durante l’espirazione le vie aeree di conduzione si riempiono del gas proveniente dagli alveoli povero di O2 e ricco di CO2 (spazio morto, in azzurro).

Inspirazione fisiologica

4b. Durante l’inspirazione il volume di gas freschi (freccia verde) si mescola con il gas dello spazio morto (in azzurro) arricchendosi di CO2 e impoverendosi di O2.

Espirazione con HFNC

5a. Il flusso espiratorio proveniente dalla trachea (in azzurro) si scontra a livello del faringe con quello in ingresso dell’HFNC (in verde) ed esce dalla bocca invece che dal naso (riduzione dello spazio morto del nasofaringe).

Inspirazione con HFNC

5b. Durante l’inspirazione il nasofaringe viene continuamente riempito dal gas proveniente dall’HFNC per cui il mescolamento del volume di gas fresco (in verde) con lo spazio morto (in azzurro) avviene solo a partire dall’orofaringe.

Espirazione fisiologica

4a. Durante l’espirazione le vie aeree di conduzione si riempiono del gas proveniente dagli alveoli povero di O2 e ricco di CO2 (spazio morto, in azzurro).

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4b. Durante l’inspirazione il volume di gas freschi (freccia verde) si mescola con il gas dello spazio morto (in azzurro) arricchendosi di CO2 e impoverendosi di O2.

Espirazione con HFNC

5a. Il flusso espiratorio proveniente dalla trachea (in azzurro) si scontra a livello del faringe con quello in ingresso dell’HFNC (in verde) ed esce dalla bocca invece che dal naso (riduzione dello spazio morto del nasofaringe).

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5b. Durante l’inspirazione il nasofaringe viene continuamente riempito dal gas proveniente dall’HFNC per cui il mescolamento del volume di gas fresco (in verde) con lo spazio morto (in azzurro) avviene solo a partire dall’orofaringe.

Espirazione fisiologica

4a. Durante l’espirazione le vie aeree di conduzione si riempiono del gas proveniente dagli alveoli povero di O2 e ricco di CO2 (spazio morto, in azzurro).

Inspirazione fisiologica

4b. Durante l’inspirazione il volume di gas freschi (freccia verde) si mescola con il gas dello spazio morto (in azzurro) arricchendosi di CO2 e impoverendosi di O2.

Espirazione con HFNC

5a. Il flusso espiratorio proveniente dalla trachea (in azzurro) si scontra a livello del faringe con quello in ingresso dell’HFNC (in verde) ed esce dalla bocca invece che dal naso (riduzione dello spazio morto del nasofaringe).

Inspirazione con HFNC

5b. Durante l’inspirazione il nasofaringe viene continuamente riempito dal gas proveniente dall’HFNC per cui il mescolamento del volume di gas fresco (in verde) con lo spazio morto (in azzurro) avviene solo a partire dall’orofaringe.

Espirazione fisiologica

4a. Durante l’espirazione le vie aeree di conduzione si riempiono del gas proveniente dagli alveoli povero di O2 e ricco di CO2 (spazio morto, in azzurro).

Inspirazione fisiologica

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Espirazione con HFNC

5a. Il flusso espiratorio proveniente dalla trachea (in azzurro) si scontra a livello del faringe con quello in ingresso dell’HFNC (in verde) ed esce dalla bocca invece che dal naso (riduzione dello spazio morto del nasofaringe).

Inspirazione con HFNC

5b. Durante l’inspirazione il nasofaringe viene continuamente riempito dal gas proveniente dall’HFNC per cui il mescolamento del volume di gas fresco (in verde) con lo spazio morto (in azzurro) avviene solo a partire dall’orofaringe.

Miscelatore Aria/OssigenoFlussimetro

Valvola di sicurezza

37 °C Umidificatore

migliora il comfort del paziente riducendo la sensazione di bocca secca e la dispnea. Ulteriori benefici dell’HFNC comprendono un miglioramento della clearance mucoci-liare, una riduzione delle atelettasie1 e una minore spesa energetica per la mancata necessità da parte del paziente di condizionare i gas inspirati.

Riduzione delle resistenze delle vie aeree superiori Quando il diaframma si contrae, la pressione intratoracica diminuisce e un flusso di gas è richiamato dall’ambiente

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Effetti collaterali L’HFNC riduce la sensazione di bocca secca, le lesioni nasali e consente l’alimentazione orale o enterale, tutta-via come ogni altro sistema presenta dei problemi.3 Per esempio il rumore raggiunge quasi 80 dB (in relazione al flusso) e può essere superiore rispetto ad altri siste-mi come la CPAP. Di recente sono stati segnalati tre episodi di pneumotorace e pneumomediastino durante l’uso dell’HFNC. Il rischio di “air leaks” potrebbe essere associato ad un uso inappropriato delle cannule nasali che occludono troppo il lume delle narici generando un au-mento di pressione eccessivo. Inoltre vi sono dubbi circa la difficoltà di predire l’entità della pressione generata nelle vie aeree all’aumentare del flusso e circa la possibilità di infezioni respiratorie in particolare da Ralstonia spp o da altri organismi gram-negativi.

Esperienze in pediatria

Anche se l’HFNC viene correntemente uti- lizzato nelle terapie intensive e sempre più frequen-

temente anche nei reparti di Pediatria, i lavori scientifici a cui fare riferimento per le indicazioni cliniche e le mo-dalità d’impiego sono ancora pochi. Nel 2014 è stata pub-blicata una revisione della letteratura4 che ha analizzato 11 studi sull’HFNC in Pediatria ma nessuno, eccetto uno, era randomizzato controllato (Hilliard), e pertanto gli autori hanno concluso che al momento non ci sono studi suffi-cienti per trarre conclusioni definitive sull’efficacia clinica di questo sistema. Da questi lavori emerge comunque che l’HFNC non solo migliora lo score respiratorio e il comfort dei bambini con insufficienza respiratoria acuta di varia etiologia (Spentzas), ma soprattutto consente di ridurre il tasso di intubazione (Wing) nei bambini af-fetti da bronchiolite (McKierman, Schibler). Dagli studi

L’HFNC non solo migliora lo score respiratorio e il comfort dei bambini con insufficienza respiratoria acuta di varia etiologia, ma consente di ridurre il tasso di intubazione nei bambini affetti da bronchiolite.

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RESPIRo SPoNtANEo

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Figura 6. Variazioni della pressione nelle vie aeree durante il respiro spontaneo, l’HFNC e la CPAP. La maggiore positività si ottiene durante la CPAP.

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fisiologici è emerso inoltre che le pressioni nasofaringee durante la terapia con HFNC sono dipendenti dall’entità del flusso (Arora), e che nei bambini con bronchiolite un flusso elevato (ad esempio 8 L/min) aumenta il volume polmonare di fine espirazione e di conseguenza migliora il distress respiratorio ovvero minore frequenza respiratoria, ridotta FiO2, migliore SpO2 (Hough).

Esperienze in neonatologia

Le esperienze cliniche in Neonatologia sono numerose e incoraggianti.5 Nei neonati pretermi-

ne l’HFNC è stato utilizzato in vari ambiti, ad esempio come supporto primario nei neonati affetti da distress respiratorio acuto (RDS), per il trattamento dell’apnea della prematurità, come supporto post-estubazione e per il divezzamento dalla CPAP. Quando l’HFNC è stato u-tilizzato come trattamento primario dell’RDS alcuni studi hanno dimostrato una riduzione della necessità di CPAP (Shoemaker), senza tuttavia mostrare un significativo miglioramento dell’outcome polmonare (morte o displasia broncopolmonare), se non per una lieve riduzione dei giorni in ventilazione (Fernandez-Alvarez). Nell’apnea della prematurità l’HFNC non ha mostrato differenze

di efficacia rispetto alla CPAP (Sreenan), e anche nel periodo postestubazione (Yoder) HFNC e CPAP hanno mostrato simili risultati nel prevenire il fallimento dell’e-stubazione (Collins, Campbell, Manley). L’HFNC è stato anche utilizzato per il divezzamento dalla CPAP senza mostrare un effetto positivo sulla riduzione dell’incidenza di CLD (Sasi). Nella maggior parte degli studi che hanno confrontato CPAP e HFNC l’unica differenza tra i due sistemi riguardava una riduzione del trauma nasale con l’HFNC. In alcuni studi fisiologici su neonati con lieve RDS gli effetti dell’HFNC sono stati confrontati con quelli della CPAP in termini di efficacia sulla riduzione della FiO2, della pressione esofagea, delle crisi di apnea, senza trovare differenze (Al-Alaiyan, Lavizzari, de Jongh).

dove iniziare l’HFNc

Sebbene la maggior parte degli studi sul- l’HFNC siano focalizzati nelle Terapie Intensive,

negli ultimi anni è emerso che l’HFNC si può utilizzare facilmente anche nei reparti non intensivi, compresi i reparti di Pediatria, i Pronto soccorso o durante il tra-sporto in ospedale. Uno dei vantaggi dell’HFNC, e che lo rende così attraente per molti centri che vogliono farsi carico dei bambini con insufficienza respiratoria acuta, è che richiede minime capacità tecniche per avviare il trattamento. Infatti i parametri da impostare si limitano al flusso e alla FiO2. Tuttavia occorre ricordare che i bambini con insufficienza respiratoria acuta possono peggiorare

HFNc 1 L/min HFNc 7 L/min

Figura 7. Registrazione simultanea della pressione faringea e della pressione esofagea a 1 L/min e a 7 L/min in un neonato. Si noti la maggiore positività della pressione all’aumentare del flusso. (Milesi et al.).

Pressione Faringea Pressione Faringea

Pressione Esofagea Pressione Esofagea

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rapidamente e/o inaspettatamente pertanto è importante prevedere un

piano di assistenza per monitorare e gestire le eventua-li complicanze respiratorie. In molti ospedali è prevista la presenza di un anestesista o di un team dedicato alla gestione delle urgenze nei reparti di degenza, anche se spesso queste figure non hanno una specifica competenza pediatrica. In questo caso sarebbe opportuno stilare delle linee-guida per pediatri e anestesisti per la gestione del bambino in attesa di trasferimento. Nel caso non fosse disponibile un team anestesiologico per le urgenze, o una Terapia Intensiva pediatrica all’interno dell’ospedale, sa-rebbe opportuno assicurarsi che il proprio centro hub sia disponibile ad accogliere il bambino in peggioramento anche solo per la stabilizzazione, nel caso di indispo-

nibilità di posto letto di terapia intensiva pediatrica. In quest’ultima eventualità il paziente dovrebbe essere tra-sferito dal centro spoke rapidamente se non mostra segni di miglioramento dopo 1 ora di HFNC senza aspettare un eventuale peggioramento.

Monitoraggio durante l’HFNc

Come è stato raccomandato per la gestione del paziente in ventilazione non invasiva9 è fonda-

mentale che il bambino sia monitorizzato (frequenza car-diaca, respiratoria e saturazione periferica d’ossigeno) in continuo durante il trattamento con HFNC e che vi sia un medico e un infermiere che ad ogni turno siano in grado

Neonati a termine (<1 m) Lattanti (1–12 mesi) >1 anno

Impostazioni iniziali Flusso: 1–6 L/min o 1L/Kg/minFiO2 per SaO2 95-98%

Flusso: 2–8 L/min o 1L/Kg/minFiO2 per SaO2 95-98%

Flusso: 8–10 L/min o 1L/Kg/minFiO2 per SaO2 95-98%

NC ≅ 50% Ø nariciTemp.37° C

NC ≅ 50% Ø nariciTemp.37° C

NC ≅ 50% Ø nariciTemp.37° C

Miglioramento clinico → mantieni parametri impostati per 12–24 h e poi inizia divezzamento

Mancato miglioramento o peggioramento clinico (⇑ FR, ⇑ FC, agitazione, SaO2 < 92%)

I incremento di supporto ⇑ Flusso 0.2L/kg/min ogni 10’-20’ (max 3 L/kg/min)

⇑ Flusso 0.2L/kg/min ogni 10’–20’ h (max 2L/kg/min)

⇑ Flusso 0.2L/kg/min ogni 10’–20’ (max 2L/kg/min)

Mancato miglioramento

II incremento di supporto ⇑ FiO2 ⇑ FiO2 ⇑ FiO2

Mancato miglioramento

III incremento di supporto Considera: 1. aspirare secrezioni nasali2. ⇓ flusso se segni di agitazione3. Sondino Naso-gastrico (SNG) se distensione gastrica

Considera: 1. aspirare secrezioni nasali2. aerosolterapia (broncospasmo)3. ⇓ flusso se segni di agitazione4. Sondino Naso-gastrico (SNG) se distensione gastrica

Considera: 1. aspirare secrezioni nasali2. aerosolterapia (broncospasmo)3. ⇓ flusso se segni di agitazione4. Sondino Naso-gastrico (SNG) se distensione gastrica

Mancato miglioramento → ripeti EGA e Rx torace

IV incremento di supporto Peggioramento gas ematici Considera: • CPAP/NIV per 1–2 h, se FiO2 <50%,

paCO2 <0,50 mmHg e pronta disponibilità di ventilatore

Altrimenti:• Ventilazione meccanica

Peggioramento gas ematici Considera: • NIVper 1–2 h, se paCO2 <60mmHg,

FiO2 <0,60 e pronta disponibilità di ventilatore

Altrimenti: • Ventilazione meccanica

Peggioramento gas ematici Considera: • NIVper 1–2 h, se paCO2 <60mmHg,

FiO2 <0,80, e pronta disponibilità di ventilatore

Altrimenti: • Ventilazione meccanica

Riconosci l’insufficienza respiratoria (IRA) sulla base di: ⇑ Frequenza Respiratoria, ⇑ Frequenza Cardiaca, segni di distress respiratorio, SpO2< 95%, refill capillare > 2 sec, alterato stato di coscienza.

Esegui EmoGasAnalisi (EGA) per confermare il tipo di IRA (ipossica o ipercapnica):Valuta la necessità di supporto respiratorio in base ai segni clinici e all’EGA.

Indicazioni all’HFNc

distress respiratorio lieve-moderato, pco2 < 60mmHg, pH > 7.27, Fio2 > 0.25 e < 0.60

come iniziare:

controindicazioni all’HFNc

Raccolte aeree extra alveolari, insufficienza multipla d’organo, ridotto drive respiratorio, distress respiratorio grave

Figura 8. Algoritmo sull’uso dell’HFNC.

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di gestire sia l’HFNC che l’insufficienza respiratoria stessa. Una volta che l’alto flusso è stato impostato il personale che lo gestisce deve essere in grado di valutare attentamente i segni di distress respiratorio ed i parametri cardiorespiratori del bambino per poter avviare rapidamente il paziente verso un centro di terapia intensiva qualora peggiori. Il rischio che un paziente in alto flusso non riceva rapidamente un livello di assistenza maggiore potrebbe mettere a repenta-glio la salute del bambino. Fino ad ora, questa osservazio-ne è stata confinata alla popolazione degli adulti. Tutte le impostazioni ed i cambiamenti dell’HFNC devono essere registrati e controllati ogni 2–4 ore dal personale infermie-ristico. Le variazioni di flusso e di FiO2 sono consentite solo allo staff medico. All’infermiere di turno è permesso di aumentare la FiO2 durante un evento acuto.

Sistemi per somministrare l’HFNc

Sono attualmente disponibili tre tipi di si- stemi per l’alto flusso. Il primo utilizza un blender

aria/ossigeno più un sistema di umidificazione, come nel caso dell’Optiflow System® (Fisher and Paykel, Auckland, New Zealand), del Precision Flow® (Vapotherm, Exeter, UK), e del Comfort-Flo® (Teleflex Medical, Durham, NC, USA). In questi sistemi, eccetto il Vapotherm, è presente una valvola di sfiato che consente di far uscire il gas qualora si stabilisca una pressione eccessiva nel cir-cuito. Chiaramente la pressione nel sistema dipende non solo dal flusso impostato ma anche dalla grandezza delle nasocannule. Il secondo tipo di sistema è dotato di una turbina più un umidificatore (Airvo2®, Fisher and Paykel, Auckland, New Zealand). Questo sistema ha il vantaggio di non richiedere una sorgente esterna di gas, eccetto l’ossigeno, ma lo svantaggio che l’incremento del flusso è più grossolano (per esempio la versione pediatrica parte da 2 l/min con un incremento di 1 L/min fino a 25 L/min). Il terzo sistema è basato su dei ventilatori convenzionali che consentono anche di somministrare l’HFNC.

Impostazione del flusso e della Fio2

Nei bambini al di sotto di un anno il flusso dovrebbe essere superiore a 2 L/min e modificato

in relazione al peso corporeo, es. 1–2 L/kg/min. Nei bam-bini con età superiore il flusso dovrebbe essere maggiore, almeno 6-8 L/min, per arrivare ad almeno 20 – 30 L/min (circa 1 L/kg/min) nei bambini fino a 10 anni di età. Alcuni autori hanno suggerito di riferirsi per la scelta del flusso non ad una fascia di età ma al peso del paziente e hanno raccomandano di usare flussi in base alla formula di Sre-enan et al (flusso (L/min)= 0,92 + 0,68 x peso in kg).6 Un altro modo per calcolare il flusso è in base alla formula: VI=(VT x f ) / Fti (VI=flusso inspiratorio in L/min, VT=Tidal volume in L, f=frequenza respiratoria in atti/min, Fti=frazione inspiratoria, generalmente 0,3). In ogni caso se il flusso impostato in fase iniziale non fosse sufficien-te per ridurre i sintomi respiratori e migliorare i gas ematici, allora si può aumentare gradualmente, senza eccedere il limite massimo indicato per quelle nasocannule. La FiO2 dovrebbe essere impostata per raggiungere saturazioni tra il 95% e il 97%. La temperatura del gas dovrebbe essere circa 37°C per raggiungere una umidificazione ottimale. Con queste temperature si può incorrere in fenomeni di condensa nel circuito; in questo caso la temperatura può essere ridotta a 34°C. Le cannule nasali devono adattarsi alla dimensione delle narici in modo che ci siano delle perdite, e non si verifichi una pressione eccessiva nel faringe. Il dia-metro suggerito è circa la metà di quello delle narici. Per la riduzione del flusso in fase di divezzamento vedi Figura 8.

Indicazioni all’HFNc

· Ipossiemia (FiO2 < 0.60)

· Ipercapnia lieve moderata (pCO2 < 45 mmHg nella patologia restrittiva e < 55 mmHg nella ostruttiva)

· Aumento del lavoro respiratorio (aumento dell’at-tività dei muscoli respiratori).

Criteri di esclusionePazienti con distress respiratorio grave che già presentano

Una volta che l ’alto flusso e stato impostato il personale che lo gestisce deve essere in grado di valutare attentamente i segni di distress respiratorio ed i parametri cardiorespiratori del bambino.

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come si fa Ossigenoterapia ad alti flussi tramite nasocannule nel bambino con insufficienza respiratoria acuta: meccanismo d’azione e indicazioni d’uso

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segni di scompenso (head bobbing, respiro paradosso), tachicardici, con acidosi respiratoria o con FiO2>0,60 dopo stabilizzazione iniziale (es. aspirazione nasale, bolo di fluidi, aerosolterapia) dovrebbero essere sottoposti a ventilazione non invasiva (NIV) o ventilazione mecca-nica (VM).

Potenziali complicanze

· Pneumotorace (rischio estremamente basso) da considerare comunque se instabilità clinica o au-mento del lavoro respiratorio o significativo incre-mento della FiO2;

· distensione gastrica;

· irritazione oculare da dislocamento delle cannule;

· potenziali rischi di lesioni da decubito o da dispo-sitivi di fissaggio;

· il fenomeno della condensa nei tubi potrebbe pro-vocare apnee;

· aumento indesiderato della pressione faringea con relativo peggioramento della auto-PEEP.

Fallimento dell’HFNCNei bambini il rischio di fallimento dell’HFNC, defini-to come necessità di intubazione, varia dal 8% al 19% e raggiunge quasi il 30% quando si consideri il passaggio intermedio alla ventilazione non invasiva. Nei bambini con età inferiore ai 2 anni, il fallimento dell’HFNC può avvenire nell’arco di circa 7–14 h, mentre con altre strategie di ventilazione non invasiva il fallimento si raggiunge più precocemente nell’arco delle prime due ore dall’inizio della terapia. Mayfield e collaboratori riferiscono come indica-tore di efficacia una riduzione della frequenza respiratoria e cardiaca del paziente del 20% nei primi novanta minuti di terapia.7 Abboud e collaboratori sottolineano che i “non responder” alla terapia con HFNC rispetto ai “responder” sono quelli più ipercapnici all’esordio, con meno tachipnea e con una minore riduzione della frequenza respiratoria.8 Per questi motivi, l’HFNC dovrebbe essere iniziato in un reparto che abbia uno staff sufficiente a monitorizzare attentamente il decorso clinico del paziente e in grado di riconoscere i segni della progressione dell’insufficienza respiratoria. In caso di iniziale insuccesso si possono intra-prendere alcune azioni come modificare il flusso, aspirare le narici, posizionare un sondino nasogastrico o praticare aerosolterapia. In caso di mancato beneficio è consigliabile contattare un centro di rianimazione pediatrica.

conclusioni

Nonostante la mancanza di una chiara dimo- strazione di efficacia da parte della letteratura medi-

ca, l’impiego dell’HFNC si è diffuso in modo esponenziale in ogni ambito dell’assistenza respiratoria pediatrica. Le indicazioni più convincenti sono le infezioni acute virali come la bronchiolite, e nei neonati tutte le attuali indica-zioni della CPAP. Da un punto di vista pratico questo trat-tamento andrebbe iniziato nelle fasi iniziali dell’insufficien-za respiratoria e il paziente dovrebbe essere attentamente monitorizzato per la comparsa di segni di peggioramento per non ritardare un trattamento più efficace .

Gli autori dichiarano di non avere nessun conflitto di interesse.

Bibliografia

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3. Milési c, Boubal M, Jacquot A, Baleine J, durand S, odena MP, cambonie G. High-flow nasal cannula: recommendations for daily practice in pediatrics. Ann Intensive Care 2014;4:29.

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7. Mayfield S, Bogossian F, o’Malley L, Schibler A. High-flow nasal cannula oxygen therapy for infants with bronchiolitis: pilot study. J Paediatr Child Health 2014;50:373-8.

8. Abboud PA, Roth PJ, Skiles cL, Stolfi A, Rowin ME. Predictors of failure in infants with viral bronchiolitis treated with high-flow, high-humidity nasal cannula therapy. Pediatr Crit Care Med 2012;13:e343-9.

9. Essouri S, carroll c; Pediatric Acute Lung Injury Consensus Conference Group. Noninvasive Support and Ventilation for Pediatric Acute Respiratory Distress Syndrome: Proceedings From the Pediatric Acute Lung Injury Consensus Conference. Pediatr Crit Care Med. 2015 Jun;16(5_suppl Suppl 1):S102-S110.A

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4. il lorazepam è una benzodiazepina a:a. breve emivita;b. emivita intermedia;C. emivita lunga;d. emivita oltre le 48 ore.

5. il rischio di reazioni collaterali sul bambino da farmaco assunto dalla madre che allatta è maggiore:a. nel primo mese di vita;b. nei primi 2 mesi di vita;C. nei primi 3 giorni di vita;d. è sempre identico.

6. la diagnosi di Fibrosi Cistica viene posta in base ai seguenti dati:a. sintomatologia suggestiva;b. familiarità;C. test del sudore;d. analisi genetica.

7. Nella Fibrosi Cistica quali sono le conseguenze delle mutazioni di gating?a. produzione di una proteina tronca,

instabile;b. difetto di conduzione del canale;C. la proteina non viene glicosilata

e raggiunge solo in minima parte la membrana cellulare;

d. ridotto tempo di apertura dei canali della membrana cellulare.

8. la diagnosi di Cystic Fibrosis Screen Positive, inconclusive diagnosis (CF-SPid) comprende tutti gli aspetti elencati eCCetto:a. presenza di mutazioni del gene

cFtR;b. screening neonatale positivo;C. grave insufficienza pancreatica;d. test del sudore dubbio.

9. le indicazioni all’uso delle “nasocannule ad alto flusso” (high-flow nasal cannula, HFNC) sono tutte eCCetto:a. ipossiemia (Fio2 <0,60);b. grave distress respiratorio;C. aumento dell’attività dei muscoli

respiratori;d. ipercapnia lieve moderata.

10. il sistema HFNC (high-flow nasal cannula) non determina:a. umidificazione della miscela dei gas

inalati in modo che l’umidità relativa raggiunga circa il 100%;

b. miglioramento della clearance muco-ciliare;

C. riduzione delle atelettasie;d. aumento della sensazione di bocca

secca.

[Quiz]

Test di autovalutazione

Le risposte esatte saranno pubblicate sul prossimo numero della rivista.

1. la telematica è:a. La telematica per la ricerca

nell’ambito delle scienze sanitarie;b. la telemedicina;C. la teleformazione;d. tutte le precedenti.

2. Nei pazienti con FC il calo annuo del FeV1 è:a. 5%;b. 15%;C. 2%;d. 20%.

3. la relative infant dose (rid) da ritenersi sicura in merito al rischio di reazioni da farmaci nel poppante in corso di allattamento al seno è:a. ogni valore <10%;b. ogni valore >10%;C. ogni valore pari a 40-60%;d. è un limite arbitrario che gli esperti

stabiliscono di volta in volta.

Le risposte del numero precedente1. la correzione chirurgica del criptorchidismo è indicata a quale età? 18 – 24 mesiRisposta corretta: CLa discesa dei testicoli nella borsa scrota-le si conclude alla nascita. In alcuni casi, però, questo processo può concludersi entro il primo anno. Nei pazienti pre-ter-mine, il processo maturativo globalmen-

te risulta più lento. Pertanto, superati i 12-18 mesi, i testicoli che non risiedono stabilmente nella borsa scrotale vanno sottoposti ad orchidopessi, normalmen-te eseguita tra i 18 ed i 24 mesi di vita.

2. Nel reflusso vescico-ureterale di grado elevato una delle seguen-ti condizioni di norma non è cor-

retta: trattamento prima dell’anno di vita.Risposta corretta: CI reflussi di V grado vanno sempre trattati chirurgicamente dopo il primo anno di vita, mediante chirurgia tradizionale (“o-pen”). L’intervento è risolutivo nel 98% dei casi e consiste nel ricreare ex novo la giunzione uV.

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4Quiz Test di autovalutazione

3. l’ernia inguinale nella femmi-na: deve essere operata nel più breve lasso di tempo.Risposta corretta: DNelle femmine, non di rado, all’interno del sacco erniario è possibile ritrovare l’ovaio stesso o una porzione della tuba. A causa del rilevante rischio di incarce-ramento/strozzamento con conseguente necrosi dell’ovaio o della tuba, l’interven-to è indicato in elezione nel più breve lasso di tempo possibile.

4. in caso di rachialgie degli ado-lescenti: i fattori coinvolti sono molteplici. Una attenta raccolta anamnestica delle caratteristiche del dolore, e delle situazioni in cui si genera più facilmente così come un’attenta indagine relativa allo sport praticato dai pazienti è il punto di partenza fondamentale per il corretto inquadramento di questo genere di disturbi. Risposta corretta: Dun inquadramento anamnestico com-pleto permette allo specialista di fare le corrette ipotesi diagnostiche, orientare al meglio l’esame clinico e prescrivere gli esami radiologici corretti e a minore impatto. Il primo esame di conferma è la radiografia del rachide che permette l’esclusione delle patologie dell’accresci-mento vertebrale tipiche dell’adolescen-za. La risonanza magnetica è raramente utile, e va prescritta qualora ci fossero segni clinici di coinvolgimento del sistema nervoso.

5. Si deve sospettare la scoliosi e fare una radiografia se: si trova un gibbo di 5° o più durante il test di adams.Risposta corretta: BIl test di Adams positivo con gibbo di 5° o più deve sempre far sospettare una scoliosi. Se il gibbo supera i 7° le probabi-

lità che si debba usare un corsetto sono discretamente alte. tuttavia al gibbo si associa talvolta un morbo di Scheuer-mann , e non la scoliosi; altre volte il rachide può essere in asse, nonostante la rotazione. In quest’ultimo caso di parla di “asimmetria del rachide”. Esistono quindi dei falsi positivi, ma è sempre opportuno indagare.

6. Quali delle seguenti caratteri-stiche farmacologiche differenzia gli antistaminici di ii generazione da quelli di i generazione? Mag-giore selettività per il recettore, bassa lipofilia, azione antinfiam-matoria.Risposta corretta: ALa principale differenza tra le due cate-gorie risiede nel fatto che le molecole di II generazione sono caratterizzate da maggiore selettività per il recettore H1, maggiore efficacia clinica e minori effetti collaterali (minore effetto sedativo, ridot-ta interazione con i recettori muscarinici, serotoninergici, alfa-adrenergici); inoltre, esse posseggono anche un’azione di tipo anti-infiammatorio che si riflette in parte anche sull’ostruzione nasale.

7. Qual è il farmaco di scelta per il trattamento della rinite allergica moderata-grave? Steroide topico nasale.Risposta corretta: DI corticosteroidi topici nasali costituiscono i farmaci di scelta nel trattamento della rinite allergica, in particolare delle forme moderate-gravi, in quanto riducono sen-sibilmente tutti i sintomi e in modo spe-cifico l’ostruzione nasale.

8. Quando è indicata la chirurgia nel trattamento delle cisti ovari-che secernenti? Solo nei casi di complicanza acuta: torsione ovari-ca, rottura, emorragia intra-cistica e compressione degli organi circo-stanti.Risposta corretta: ALe cisti ovariche secernenti tendono alla regressione spontanea, con conseguente risoluzione dei segni puberali e norma-lizzazione dei livelli ormonali. occorre pertanto prediligere un atteggiamento conservatore con stretto monitoraggio clinico, ormonale e strumentale. La chi-rurgia è sicuramente indicata nei rari casi di complicanza acuta (torsione o-varica, rottura, emorragia intra-cistica e compressione degli organi circostanti), indipendentemente dalle dimensioni e

caratteristiche ecografiche della cisti, o in caso di persistenza o ulteriore incremento dimensionale della cisti dopo un tempo ragionevole di osservazione, di solito de-finito come 3-6 mesi.

9. Qual è il momento ottimale per introdurre il glutine nella dieta di un lattante a rischio familiare di malattia celiaca (almeno un paren-te di primo grado con malattia ce-liaca)? Non è presente alcuna dif-ferenza nel rischio di celiachia tra i bambini che introducono il gluti-ne a 6 mesi e coloro che lo intro-ducono a 12 mesi.Risposta corretta: DRecenti studi dimostrano che rinviare l’introduzione del glutine a 12 mesi di età non riduce né aumenta il rischio di malattia a lungo termine. L’ipotesi della “finestra di tolleranza” non ha trovato supporto, in quanto non è stata osservata alcuna differenza nel rischio di celiachia tra i bambini che hanno introdotto il glutine a 6 mesi (durante la “finestra” aperta) e coloro che lo hanno introdot-to a 12 mesi (quando la finestra è stata chiusa). Le recenti evidenze scientifiche non supportano le attuali linee-guida della Società Europea di Gastroentero-logia, Epatologia e Nutrizione Pediatrica (ESPGHAN) sulle tappe dello svezzamen-to, che raccomandano l’introduzione del glutine tra 4 e 7 mesi di età al fine di ridurre il rischio di malattia celiaca.

10. l’allattamento al seno ha un ruolo protettivo per lo sviluppo della malattia celiaca? Non è dimo-strato un ruolo protettivo.Risposta corretta: BNon è dimostrato alcun effetto protetti-vo dell’allattamento al seno per lo svilup-po della malattia celiaca. Secondo recen-ti evidenze scientifiche la durata media dell’allattamento al seno è molto simile per i bambini tra i quali la malattia celia-ca si sviluppa e per quelli in cui non si sviluppa. Pertanto, anche se ci sono mol-te buone ragioni per raccomandare il prolungato allattamento al seno, indi-pendentemente dal fatto che abbiano un rischio genetico per lo sviluppo della malattia celiaca, gli studi prospettici non hanno osservato un effetto protettivo nei confronti della malattia celiaca.

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RIASSUNTO DELLE CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO

1-DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE FLUIBRON FEBBRE E DOLORE Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto fragola senza zuccheroFLUIBRON FEBBRE E DOLORE Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto arancia senza zucchero

2-COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA Ogni ml di sospensione orale contiene:Principio attivo: ibuprofene 20 mg.Eccipienti: sciroppo di maltitolo 753,30 mgPer l’elenco completo degli eccipienti, vedere paragrafo 6.1.

3-FORMA FARMACEUTICA Sospensione orale.

4-INFORMAZIONI CLINICHE4.1-Indicazioni terapeutiche Trattamento sintomatico della febbre e del dolore lieve o moderato.

4.2-Posologia e modo di somministrazione La dose giornaliera è strutturata in base al peso ed all’età del paziente.Gli effetti indesiderati possono essere minimizzati con l’uso della dose minima efficace per la durata di trattamento più breve possibile necessaria per controllare i sintomi (vede-re paragrafo 4.4).Nei bambini di età compresa tra 3 e 6 mesi limitare la somministrazione a quelli di peso superiore ai 5,6 kg.La somministrazione orale a lattanti e bambini di età compresa fra 3 mesi e 12 anni do-vrebbe avvenire mediante siringa dosatrice fornita con il prodotto.La scala graduata presente sul corpo della siringa riporta in evidenza le tacche per i diversi dosaggi; in particolare la tacca da 2,5 ml corrispondente a 50 mg di ibuprofene e la tacca da 5 ml corrispondente a 100 mg di ibuprofene. La dose giornaliera di 20-30 mg/kg di peso corporeo, suddivisa 3 volte al giorno ad inter-valli di 6-8 ore, può essere somministrata sulla base dello schema che segue.

Nel caso di febbre post-vaccinazione riferirsi al dosaggio sopra indicato, somministrando una dose singola seguita, se necessario, da un’altra dose dopo 6 ore. Non somministrare più di due dosi nelle 24 ore. Consultare il medico se la febbre non diminuisce.Il prodotto è inteso per trattamenti di breve durata.Nel caso l’uso del medicinale sia necessario per più di 3 giorni nei lattanti e bambini di età superiore ai 6 mesi e negli adolescenti, o nel caso di peggioramento della sintomatologia deve essere consultato il medico.Nei lattanti di età compresa tra 3 e 5 mesi deve essere consultato il medico qualora i sintomi persistano per un periodo superiore alle 24 ore o nel caso di peggioramento della sintomatologia.

Istruzioni per l’utilizzo della siringa dosatrice:1 – Svitare il tappo spingendolo verso il basso e girandolo verso sinistra.2 – Introdurre a fondo la punta della siringa nel foro del sottotappo.3 – Agitare bene.4 – Capovolgere il flacone, quindi, tenendo saldamente la siringa, tirare delicatamente lo stantuffo verso il basso facendo defluire la sospensione nella siringa fino alla tacca corrispondente alla dose desiderata.5 – Rimettere il flacone in posizione verticale e rimuovere la siringa ruotandola delicata-mente.6 – Introdurre la punta della siringa nella bocca del bambino, ed esercitare una lieve pres-

sione sullo stantuffo per far defluire la sospensione.Dopo l’uso avvitare il tappo per chiudere il flacone e lavare la siringa con acqua calda. Lasciarla asciugare, tenendola fuori dalla portata e dalla vista dei bambini.

4.3-Controindicazioni • Ipersensibilità all’ibuprofene o ad uno qualsiasi degli eccipienti. • Bambini di età inferiore a 3 mesi o di peso inferiore a 5,6 kg. • Ipersensibilità all’acido acetilsalicilico o ad altri analgesici, antipiretici, antinfiammatori non steroidei (FANS), in particolare quando l’ipersensibilità è associata a poliposi nasale e asma. • Ulcera peptica attiva. • Grave insufficienza renale o epatica. • Severa insufficienza cardiaca. • Storia di emorragia gastrointestinale o perforazione relativa a precedenti trattamenti at-tivi o storia di emorragia/ulcera peptica ricorrente (due o più episodi distinti di dimostrata ulcerazione o sanguinamento). • Uso concomitante di FANS, compresi gli inibitori specifici della COX-2. • Gravidanza e allattamento (vedere paragrafo 4.6).

4.4-Avvertenze speciali e precauzioni di impiego Dopo tre giorni di trattamento senza risultati apprezzabili consultare il medico.Gli effetti indesiderati possono essere minimizzati con l’uso della più bassa dose efficace per la più breve durata possibile di trattamento che occorre per controllare i sintomi (vedere i paragrafi sottostanti sui rischi gastrointestinali e cardiovascolari).L’uso di FLUIBRON FEBBRE E DOLORE deve essere evitato in concomitanza di FANS, inclusi gli inibitori selettivi della COX-2.Gli analgesici, antipiretici, antinfiammatori non steroidei possono causare reazioni di ipersensibilità, potenzialmente gravi (reazioni anafilattoidi), anche in soggetti non prece-dentemente esposti a questo tipo di farmaci. Il rischio di reazioni di ipersensibilità dopo assunzione di ibuprofene è maggiore nei soggetti che abbiano presentato tali reazioni dopo l’uso di altri analgesici, antipiretici, antinfiammatori non steroidei e nei soggetti con iperreattività bronchiale (asma), poliposi nasale o precedenti episodi di angioedema (vedere paragrafo 4.2 e paragrafo 4.8 ).Emorragia gastrointestinale, ulcerazione e perforazione: durante il trattamento con tutti i FANS, in qualsiasi momento, con o senza sintomi di preavviso o precedente storia di gravi eventi gastrointestinali, sono state riportate emorragia gastrointestinale, ulcerazione e perforazione, che possono essere fatali.Anziani: i pazienti anziani hanno un aumento della frequenza di reazioni avverse ai FANS, specialmente emorragie e perforazioni gastrointestinali, che possono essere fatali (vedere paragrafo 4.2).Negli anziani e in pazienti con storia di ulcera, soprattutto se complicata da emorragia o perforazione (vedere paragrafo 4.3), il rischio di emorragia gastrointestinale, ulcerazione o perforazione è più alto con dosi aumentate di FANS. Questi pazienti devono iniziare il trattamento con la più bassa dose disponibile.L’uso concomitante di agenti protettori (es. misoprostolo o inibitori di pompa protonica) deve essere considerato per questi pazienti ed anche per pazienti che assumono basse dosi di aspirina o altri farmaci che possono aumentare il rischio di eventi gastrointestinali (vedere paragrafo 4.5).Pazienti con storia di tossicità gastrointestinale, in particolare anziani, devono riferire qualsiasi sintomo gastrointestinale inusuale (soprattutto emorragia gastrointestinale) in particolare nelle fasi iniziali del trattamento.Cautela deve essere prestata ai pazienti che assumono farmaci concomitanti che potrebbero aumentare il rischio di ulcerazione o sanguinamento, come corticosteroidi orali, anticoagulanti come warfarin, inibitori selettivi del reuptake della serotonina o agenti antiaggreganti come l’aspirina (vedere paragrafo 4.5).Quando si verifica emorragia o ulcerazione gastrointestinale in pazienti che assumono FLUIBRON FEBBRE E DOLORE, il trattamento deve essere sospeso.I FANS devono essere somministrati con cautela ai pazienti con una storia di malattia gastrointestinale (colite ulcerosa, morbo di Crohn) poiché tali condizioni possono essere esacerbate (vedere paragrafo 4.8).Gravi reazioni cutanee alcune delle quali fatali, includenti dermatite esfoliativa, sindrome di Stevens-Johnson e necrolisi tossica epidermica, sono state riportate molto raramente in associazione con l’uso dei FANS (vedi paragrafo 4.8). Nelle prime fasi della terapia i pazienti sembrano essere a più alto rischio: l’insorgenza della reazione si verifica nella maggior parte dei casi entro il primo mese di trattamento. FLUIBRON FEBBRE E DOLO-RE deve essere interrotto alla prima comparsa di rash cutaneo, lesioni della mucosa o qualsiasi altro segno di ipersensibilità.Cautela è richiesta prima di iniziare il trattamento nei pazienti con anamnesi positiva per ipertensione e/o insufficienza cardiaca poiché in associazione al trattamento con i FANS sono stati riscontrati ritenzione di liquidi, ipertensione ed edema.Studi clinici e dati epidemiologici suggeriscono che l’uso di ibuprofene, specialmente ad alti dosaggi (2400 mg/die) e per trattamenti di lunga durata, può essere associato ad

PESO ETÀDOSE

SINGOLA IN ML

N° MASSIMO DI SOMMINISTRAZONI/

GIORNO

5,6 -7 Kg7 -10 Kg10 - 15 Kg15 - 20 Kg20 - 28 Kg28 - 43 Kg

3 - 6 mesi6 - 12 mesi1 - 3 anni4 - 6 anni7 - 9 anni10 - 12 anni

2,5 ml2,5 ml5 ml

7,5 ml (5 ml + 2,5 ml)

10 ml15 ml

3 nelle 24 ore

Page 46: Trimestrale | Poste Italiane SpA – Sped. Abb. Post. DL 353 ... · Giusy Ranucci, Raffaele Iorio Il pediatra non deve perdere l’opportunità di una diagnosi precoce di malattia

un modesto aumento del rischio di eventi trombotici arteriosi (es. infarto del miocardio o ictus). In generale, gli studi epidemiologici non suggeriscono che basse dosi di ibuprofene (es. ≤ 1200 mg/die) siano associati ad un aumento del rischio di infarto del miocardio.I pazienti con ipertensione non controllata, insufficienza cardiaca congestizia, cardiopatia ischemica accertata, malattia arteriosa periferica e/o malattia cerebrovascolare devono essere trattati con ibuprofene soltanto dopo attenta considerazione. Analoghe considera-zioni devono essere effettuate prima di iniziare un trattamento di lunga durata in pazienti con fattori di rischio per eventi cardiovascolari (es. ipertensione, iperlipidemia, diabete mellito, fumo).L’uso di ibuprofene, di acido acetilsalicilico o di altri analgesici, antipiretici, antinfiammato-ri non steroidei, richiede particolare cautela:• in caso di asma: possibile broncocostrizione; • in presenza di difetti della coagulazione: riduzione della coagulabilità; • in presenza di malattie renali, cardiache o di ipertensione: possibile riduzione critica del-la funzione renale (specialmente nei soggetti con funzione renale o epatica compromessa, insufficienza cardiaca o in trattamento con diuretici), nefrotossicità o ritenzione di fluidi; • in presenza di malattie epatiche: possibile epatotossicità; • reidratare il soggetto prima dell’inizio e nel corso del trattamento in caso di disidratazio-ne (ad esempio per febbre, vomito o diarrea); Nei bambini e negli adolescenti disidratati esiste il rischio di alterazione della funzionalità renale.

Le seguenti precauzioni assumono rilevanza nel corso di trattamenti prolungati:• sorvegliare i segni o sintomi di ulcerazioni o sanguinamenti gastrointestinali; • sorvegliare i segni o sintomi di epatotossicità; • sorvegliare i segni o sintomi di nefrotossicità; • se insorgono disturbi visivi (vista offuscata o ridotta, scotomi, alterazione della percezio-ne dei colori): interrompere il trattamento e consultare l’oculista; • se insorgono segni o sintomi di meningite: valutare la rara possibilità che essa sia dovuta all’uso di ibuprofene (meningite asettica; più frequente nei soggetti affetti da lupus eritematoso sistemico o altre collagenopatie). Poiché FLUIBRON FEBBRE E DOLORE contiene maltitolo, i pazienti affetti da rari proble-mi ereditari di intolleranza al fruttosio non devono assumere questo medicinale.FLUIBRON FEBBRE E DOLORE non contiene zucchero ed è pertanto indicato per quei pazienti che devono controllare l’apporto di zuccheri e calorie.Ogni dose da 2,5 ml di sospensione contiene 4,51 mg (0,20 mmol) di sodio; ciò deve essere tenuto in considerazione nei casi sia raccomandata una dieta povera di sodio.

4.5-Interazioni con altri medicinali e altre forme di interazione Le seguenti interazioni sono comuni all’ibuprofene, all’acido acetilsalicilico e agli altri analgesici, antipiretici, antinfiammatori non steroidei (FANS):• evitare l’uso contemporaneo di due o più analgesici, antipiretici, antinfiammatori non steroidei: aumento del rischio di effetti indesiderati • corticosteroidi: aumento del rischio di ulcerazione o emorragia gastrointestinale (vedere paragrafo 4.4) • antibatterici: possibile aumento del rischio di convulsioni indotte da chinolonici • anticoagulanti: i FANS possono aumentare gli effetti degli anticoagulanti, come il warfa-rin (vedere paragrafo 4.4) • agenti antiaggreganti e inibitori selettivi del reuptake della serotonina (SSRIs): aumento del rischio di emorragie gastrointestinale (vedere paragrafo 4.4) • antidiabetici: possibile aumento dell’effetto delle sulfaniluree • antivirali: ritonavir, possibile aumento della concentrazione dei FANS • ciclosporina: aumentato rischio di nefrotossicità • citotossici: metotressato, riduzione dell’escrezione (aumentato rischio di tossicità) • litio: riduzione dell’escrezione (aumentato rischio di tossicità) • tacrolimus: aumentato rischio di nefrotossicità • uricosurici: probenecid, rallenta l’escrezione dei FANS (aumento delle concentrazioni plasmatiche) • metotrexato: potenziale aumento della concentrazione plasmatica di metotrexato. • Zidovudina: rischio aumentato di emartrosi ed ematomi in emofilici HIV (+) se trattati contemporaneamente con zidovudina e ibuprofene. • diuretici, ACE inibitori e Antagonisti dell’angiotensina II: i FANS possono ridurre l’effetto dei diuretici e di altri farmaci antiipertensivi. In alcuni pazienti con funzione renale compro-messa (per esempio pazienti disidratati o pazienti anziani con funzione renale compro-messa) la co-somministrazione di un ACE inibitore o di un antagonista dell’angiotensina II e di agenti che inibiscono il sistema della ciclo-ossigenasi può portare a un ulteriore deterioramento della funzione renale, che comprende una possibile insufficienza renale acuta, generalmente reversibile. Queste interazioni devono essere considerate in pazienti che assumono FLUIBRON FEBBRE E DOLORE in concomitanza con ACE inibitori o antagonisti dell’angiotensina II. Quindi, la combinazione deve essere somministrata con cautela, specialmente nei pazienti anziani.

I pazienti devono essere adeguatamente idratati e deve essere preso in considerazione il monitoraggio della funzione renale dopo l’inizio della terapia concomitante.Dati sperimentali indicano che l’ibuprofene può inibire gli effetti dell’acido acetilsalici-lico a basse dosi sull’aggregazione piastrinica quando i farmaci sono somministrati in concomitanza. Tuttavia, l’esiguità dei dati e le incertezze relative alla loro applicazione alla situazione clinica non permettono di trarre delle conclusioni definitive per l’uso continuati-vo di ibuprofene; sembra che non vi siano effetti clinicamente rilevanti dall’uso occasiona-le dell’ibuprofene (vedere paragrafo 5.1).

4.6- Fertilità, gravidanza e allattamento È improbabile che soggetti di età inferiore a 12 anni vadano incontro a gravidanza, o allattino al seno. Peraltro, in tali circostanze bisogna tenere presente le seguenti conside-razioni.L’inibizione della sintesi di prostaglandine può interessare negativamente la gravidanza e/o lo sviluppo embrio/fetale.Risultati di studi epidemiologici suggeriscono un aumentato rischio di aborto e di mal-formazione cardiaca e di gastroschisi dopo l’uso di un inibitore della sintesi di prosta-glandine nelle prime fasi della gravidanza. Il rischio assoluto di malformazioni cardiache aumentava da meno dell’1% fino a circa l’1,5%. È stato ritenuto che il rischio aumenta con la dose e la durata della terapia.Negli animali, la somministrazione di inibitori della sintesi di prostaglandine ha mostrato di provocare un aumento della perdita di pre e post-impianto e di mortalità embrione-fetale.Inoltre, un aumento di incidenza di varie malformazioni, inclusa quella cardiovascolare, è stato riportato in animali a cui erano stati somministrati inibitori di sintesi delle prostaglan-dine durante il periodo organogenetico.Durante il terzo trimestre di gravidanza, tutti gli inibitori della sintesi delle prostaglandine possono esporreil feto a:• tossicità cardiopolmonare (con chiusura prematura del dotto arterioso e ipertensione polmonare); • disfunzione renale che può progredire a insufficienza renale con oligo-idroamnios; la madre e il neonato, alla fine della gravidanza, a: • possibile prolungamento del tempo di sanguinamento, un effetto antiaggregante che può occorrere anche a dosi molto basse; • inibizione delle contrazioni uterine risultanti in ritardo o prolungamento del travaglio.

4.7-Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari Non pertinente, considerata l’età del paziente.

4.8-Effetti indesiderati Gli effetti indesiderati osservati con ibuprofene sono comuni agli altri analgesici, antipireti-ci, antinfiammatori non steroidei.Reazioni di ipersensibilitàRaramente: reazioni anafilattoidi (orticaria con o senza angioedema), dispnea (da ostruzio-ne laringea o da broncospasmo), shock, sindrome caratterizzata da dolore addominale, febbre, brividi, nausea e vomito; broncospasmo (vedere paragrafi 4.3 e 4.4).Patologie gastrointestinaliGli eventi avversi più comunemente osservati sono di natura gastrointestinale. Possono verificarsi ulcere peptiche, perforazione o emorragia gastrointestinale, a volte fatale, in particolare negli anziani (vedere paragrafo 4.4).Dopo somministrazione di FLUIBRON FEBBRE E DOLORE sono stati riportati: nausea, vomito, diarrea, flatulenza, costipazione, dispepsia, dolore addominale, melena, emate-mesi, stomatiti ulcerative, esacerbazione di colite e morbo di Crohn (vedere paragrafo 4.4). Meno frequentemente sono state osservate gastriti.Dolore epigastrico, pirosi gastrica. I disturbi gastrici possono essere ridotti assumendo il farmaco a stomaco pieno.Raramente: epatite, ittero, alterazione dei test della funzione epatica, pancreatite, duode-nite, esofagite, sindrome epatorenale, necrosi epatica, insufficienza epatica.Patologie del sistema nervoso e degli organi di sensoVertigine, cefalea, irritabilità, tinnito.Raramente: depressione, insonnia, difficoltà di concentrazione, labilità emotiva, sonnolen-za, meningite asettica, convulsioni, disturbi uditivi e visivi.Patologie respiratorie, toraciche e mediastinicheRaramente: broncospasmo, dispnea, apnea.Patologie della cute e del tessuto sottocutaneoReazioni bollose includenti sindrome di Stevens-Johnson e necrolisi tossica epidermica (molto raramente).Eruzioni cutanee (anche di tipo maculopapulare), prurito.Raramente: eruzioni vescicolo-bollose, orticaria, eritema multiforme, alopecia, dermatite esfoliativa, dermatite da fotosensibilità.Patologie del sistema emolinfopoieticoMolto raramente: neutropenia, agranulocitosi, anemia aplastica, anemia emolitica (possi-

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un modesto aumento del rischio di eventi trombotici arteriosi (es. infarto del miocardio o ictus). In generale, gli studi epidemiologici non suggeriscono che basse dosi di ibuprofene (es. ≤ 1200 mg/die) siano associati ad un aumento del rischio di infarto del miocardio.I pazienti con ipertensione non controllata, insufficienza cardiaca congestizia, cardiopatia ischemica accertata, malattia arteriosa periferica e/o malattia cerebrovascolare devono essere trattati con ibuprofene soltanto dopo attenta considerazione. Analoghe considera-zioni devono essere effettuate prima di iniziare un trattamento di lunga durata in pazienti con fattori di rischio per eventi cardiovascolari (es. ipertensione, iperlipidemia, diabete mellito, fumo).L’uso di ibuprofene, di acido acetilsalicilico o di altri analgesici, antipiretici, antinfiammato-ri non steroidei, richiede particolare cautela:• in caso di asma: possibile broncocostrizione; • in presenza di difetti della coagulazione: riduzione della coagulabilità; • in presenza di malattie renali, cardiache o di ipertensione: possibile riduzione critica del-la funzione renale (specialmente nei soggetti con funzione renale o epatica compromessa, insufficienza cardiaca o in trattamento con diuretici), nefrotossicità o ritenzione di fluidi; • in presenza di malattie epatiche: possibile epatotossicità; • reidratare il soggetto prima dell’inizio e nel corso del trattamento in caso di disidratazio-ne (ad esempio per febbre, vomito o diarrea); Nei bambini e negli adolescenti disidratati esiste il rischio di alterazione della funzionalità renale.

Le seguenti precauzioni assumono rilevanza nel corso di trattamenti prolungati:• sorvegliare i segni o sintomi di ulcerazioni o sanguinamenti gastrointestinali; • sorvegliare i segni o sintomi di epatotossicità; • sorvegliare i segni o sintomi di nefrotossicità; • se insorgono disturbi visivi (vista offuscata o ridotta, scotomi, alterazione della percezio-ne dei colori): interrompere il trattamento e consultare l’oculista; • se insorgono segni o sintomi di meningite: valutare la rara possibilità che essa sia dovuta all’uso di ibuprofene (meningite asettica; più frequente nei soggetti affetti da lupus eritematoso sistemico o altre collagenopatie). Poiché FLUIBRON FEBBRE E DOLORE contiene maltitolo, i pazienti affetti da rari proble-mi ereditari di intolleranza al fruttosio non devono assumere questo medicinale.FLUIBRON FEBBRE E DOLORE non contiene zucchero ed è pertanto indicato per quei pazienti che devono controllare l’apporto di zuccheri e calorie.Ogni dose da 2,5 ml di sospensione contiene 4,51 mg (0,20 mmol) di sodio; ciò deve essere tenuto in considerazione nei casi sia raccomandata una dieta povera di sodio.

4.5-Interazioni con altri medicinali e altre forme di interazione Le seguenti interazioni sono comuni all’ibuprofene, all’acido acetilsalicilico e agli altri analgesici, antipiretici, antinfiammatori non steroidei (FANS):• evitare l’uso contemporaneo di due o più analgesici, antipiretici, antinfiammatori non steroidei: aumento del rischio di effetti indesiderati • corticosteroidi: aumento del rischio di ulcerazione o emorragia gastrointestinale (vedere paragrafo 4.4) • antibatterici: possibile aumento del rischio di convulsioni indotte da chinolonici • anticoagulanti: i FANS possono aumentare gli effetti degli anticoagulanti, come il warfa-rin (vedere paragrafo 4.4) • agenti antiaggreganti e inibitori selettivi del reuptake della serotonina (SSRIs): aumento del rischio di emorragie gastrointestinale (vedere paragrafo 4.4) • antidiabetici: possibile aumento dell’effetto delle sulfaniluree • antivirali: ritonavir, possibile aumento della concentrazione dei FANS • ciclosporina: aumentato rischio di nefrotossicità • citotossici: metotressato, riduzione dell’escrezione (aumentato rischio di tossicità) • litio: riduzione dell’escrezione (aumentato rischio di tossicità) • tacrolimus: aumentato rischio di nefrotossicità • uricosurici: probenecid, rallenta l’escrezione dei FANS (aumento delle concentrazioni plasmatiche) • metotrexato: potenziale aumento della concentrazione plasmatica di metotrexato. • Zidovudina: rischio aumentato di emartrosi ed ematomi in emofilici HIV (+) se trattati contemporaneamente con zidovudina e ibuprofene. • diuretici, ACE inibitori e Antagonisti dell’angiotensina II: i FANS possono ridurre l’effetto dei diuretici e di altri farmaci antiipertensivi. In alcuni pazienti con funzione renale compro-messa (per esempio pazienti disidratati o pazienti anziani con funzione renale compro-messa) la co-somministrazione di un ACE inibitore o di un antagonista dell’angiotensina II e di agenti che inibiscono il sistema della ciclo-ossigenasi può portare a un ulteriore deterioramento della funzione renale, che comprende una possibile insufficienza renale acuta, generalmente reversibile. Queste interazioni devono essere considerate in pazienti che assumono FLUIBRON FEBBRE E DOLORE in concomitanza con ACE inibitori o antagonisti dell’angiotensina II. Quindi, la combinazione deve essere somministrata con cautela, specialmente nei pazienti anziani.

I pazienti devono essere adeguatamente idratati e deve essere preso in considerazione il monitoraggio della funzione renale dopo l’inizio della terapia concomitante.Dati sperimentali indicano che l’ibuprofene può inibire gli effetti dell’acido acetilsalici-lico a basse dosi sull’aggregazione piastrinica quando i farmaci sono somministrati in concomitanza. Tuttavia, l’esiguità dei dati e le incertezze relative alla loro applicazione alla situazione clinica non permettono di trarre delle conclusioni definitive per l’uso continuati-vo di ibuprofene; sembra che non vi siano effetti clinicamente rilevanti dall’uso occasiona-le dell’ibuprofene (vedere paragrafo 5.1).

4.6- Fertilità, gravidanza e allattamento È improbabile che soggetti di età inferiore a 12 anni vadano incontro a gravidanza, o allattino al seno. Peraltro, in tali circostanze bisogna tenere presente le seguenti conside-razioni.L’inibizione della sintesi di prostaglandine può interessare negativamente la gravidanza e/o lo sviluppo embrio/fetale.Risultati di studi epidemiologici suggeriscono un aumentato rischio di aborto e di mal-formazione cardiaca e di gastroschisi dopo l’uso di un inibitore della sintesi di prosta-glandine nelle prime fasi della gravidanza. Il rischio assoluto di malformazioni cardiache aumentava da meno dell’1% fino a circa l’1,5%. È stato ritenuto che il rischio aumenta con la dose e la durata della terapia.Negli animali, la somministrazione di inibitori della sintesi di prostaglandine ha mostrato di provocare un aumento della perdita di pre e post-impianto e di mortalità embrione-fetale.Inoltre, un aumento di incidenza di varie malformazioni, inclusa quella cardiovascolare, è stato riportato in animali a cui erano stati somministrati inibitori di sintesi delle prostaglan-dine durante il periodo organogenetico.Durante il terzo trimestre di gravidanza, tutti gli inibitori della sintesi delle prostaglandine possono esporreil feto a:• tossicità cardiopolmonare (con chiusura prematura del dotto arterioso e ipertensione polmonare); • disfunzione renale che può progredire a insufficienza renale con oligo-idroamnios; la madre e il neonato, alla fine della gravidanza, a: • possibile prolungamento del tempo di sanguinamento, un effetto antiaggregante che può occorrere anche a dosi molto basse; • inibizione delle contrazioni uterine risultanti in ritardo o prolungamento del travaglio.

4.7-Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari Non pertinente, considerata l’età del paziente.

4.8-Effetti indesiderati Gli effetti indesiderati osservati con ibuprofene sono comuni agli altri analgesici, antipireti-ci, antinfiammatori non steroidei.Reazioni di ipersensibilitàRaramente: reazioni anafilattoidi (orticaria con o senza angioedema), dispnea (da ostruzio-ne laringea o da broncospasmo), shock, sindrome caratterizzata da dolore addominale, febbre, brividi, nausea e vomito; broncospasmo (vedere paragrafi 4.3 e 4.4).Patologie gastrointestinaliGli eventi avversi più comunemente osservati sono di natura gastrointestinale. Possono verificarsi ulcere peptiche, perforazione o emorragia gastrointestinale, a volte fatale, in particolare negli anziani (vedere paragrafo 4.4).Dopo somministrazione di FLUIBRON FEBBRE E DOLORE sono stati riportati: nausea, vomito, diarrea, flatulenza, costipazione, dispepsia, dolore addominale, melena, emate-mesi, stomatiti ulcerative, esacerbazione di colite e morbo di Crohn (vedere paragrafo 4.4). Meno frequentemente sono state osservate gastriti.Dolore epigastrico, pirosi gastrica. I disturbi gastrici possono essere ridotti assumendo il farmaco a stomaco pieno.Raramente: epatite, ittero, alterazione dei test della funzione epatica, pancreatite, duode-nite, esofagite, sindrome epatorenale, necrosi epatica, insufficienza epatica.Patologie del sistema nervoso e degli organi di sensoVertigine, cefalea, irritabilità, tinnito.Raramente: depressione, insonnia, difficoltà di concentrazione, labilità emotiva, sonnolen-za, meningite asettica, convulsioni, disturbi uditivi e visivi.Patologie respiratorie, toraciche e mediastinicheRaramente: broncospasmo, dispnea, apnea.Patologie della cute e del tessuto sottocutaneoReazioni bollose includenti sindrome di Stevens-Johnson e necrolisi tossica epidermica (molto raramente).Eruzioni cutanee (anche di tipo maculopapulare), prurito.Raramente: eruzioni vescicolo-bollose, orticaria, eritema multiforme, alopecia, dermatite esfoliativa, dermatite da fotosensibilità.Patologie del sistema emolinfopoieticoMolto raramente: neutropenia, agranulocitosi, anemia aplastica, anemia emolitica (possi-

bile test di Coombs positivo), piastrinopenia (con o senza porpora), eosinofilia, riduzione di emoglobina ed ematocrito, pancitopenia.Disturbi del metabolismo e della nutrizioneRiduzione dell’appetito.Patologie cardiache e vascolariEdema, ipertensione e insufficienza cardiaca sono stati riportati in associazione al tratta-mento con FANS.Ritenzione di fluidi (generalmente risponde prontamente all’interruzione del trattamento).Molto raramente: accidenti cerebrovascolari, ipotensione, insufficienza cardiaca congesti-zia in soggetti con funzione cardiaca compromessa, palpitazioni.Studi clinici e dati epidemiologici suggeriscono che l’uso di ibuprofene, specialmente ad alti dosaggi (2400 mg/die) e per trattamenti di lunga durata, può essere associato ad un modesto aumento del rischio di eventi trombotici arteriosi (es. infarto del miocardio o ictus) (vedere paragrafo 4.4).Patologie renali ed urinarieMolto raramente: insufficienza renale acuta nei soggetti con preesistente significativa compromissione della funzione renale, necrosi papillare, necrosi tubulare, glomerulonefri-te, alterazione dei test della funzione renale, poliuria, cistite, ematuria.Disturbi del sistema immunitarioIn pazienti con malattie auto-immuni preesistenti (ad esempio: lupus eritematoso sistemico, malattie del sistema connettivo) sono stati segnalati casi singoli di sintomi di meningite asettica come tensione nucale, cefalea, nausea, vomito, febbre, disorientamen-to (vedere paragrafo 4.4).VariRaramente: secchezza degli occhi e della bocca, ulcere gengivali, rinite.

“Segnalazione delle reazioni avverse sospette.” La segnalazione delle reazioni avverse sospette che si verificano dopo l’autorizzazione del medicinale è importante, in quanto permette un monitoraggio continuo del rapporto beneficio/rischio del medicinale. Agli operatori sanitari è richiesto di segnalare qualsiasi reazione avversa sospetta tramite il sistema nazionale di segnalazione all’indirizzo “www.agenziafarmaco.gov.it/it/responsabili”.

4.9-Sovradosaggio I sintomi di sovradosaggio si possono manifestare in bambini che abbiano assunto più di 400 mg/kg. L’emivita del farmaco in caso di sovradosaggio è 1.5-3 ore.

SintomiLa maggior parte dei pazienti che ingeriscono accidentalmente quantitativi clinicamente rilevanti di FANS sviluppano al più nausea, vomito, dolore epigastrico o raramente diarrea. Sono possibili anche tinnito, cefalea e sanguinamento gastrointestinale. In caso di inge-stioni di quantitativi più importanti, si osserva tossicità del sistema nervoso centrale che si manifesta con sonnolenza, occasionalmente eccitazione e disorientamento o coma, con-vulsioni. Nei casi più seri si può verificare acidosi metabolica, prolungamento del tempo di protrombina (INR). Si possono manifestare anche insufficienza renale e danni epatici. Nei soggetti asmatici si può verificare un’esacerbazione dei sintomi della malattia.

TrattamentoNon esiste alcun antidoto dell’ibuprofene. Il trattamento è sintomatico e consiste negli idonei interventi di supporto. Mantenimento della pervietà delle vie aeree e monitoraggio di funzione cardiaca e segni vitali. Particolare attenzione è dovuta al controllo della pres-sione arteriosa, dell’equilibrio acido-base e di eventuali sanguinamenti gastrointestinali.In caso di sovradosaggio acuto lo svuotamento gastrico (vomito o lavanda gastrica) è tanto più efficace quanto più precocemente è attuato; può inoltre essere utile la sommini-strazione di alcali e l’induzione della diuresi; l’ingestione di carbone attivo può contribuire a ridurre l’assorbimento del farmaco.

5-PROPRIETA’ FARMACOLOGICHE5.1-Proprietà farmacodinamicheCategoria farmacoterapeutica: farmaci antinfiammatori/antireumatici non steroidei, deriva-ti dell’acido propionico. Codice ATC: M01AE01Ibuprofene è un analgesico-antiinfiammatorio di sintesi, dotato di spiccata attività anti-piretica. Chimicamente è il capostipite dei derivati fenil-propionici. L’attività analgesica è di tipo non narcotico. Ibuprofene è un potente inibitore della sintesi prostaglandinica ed esercita la sua attività inibendone la sintesi perifericamente.Dati sperimentali indicano che l’ibuprofene può inibire gli effetti dell’acido acetilsalici-lico a basse dosi sull’aggregazione piastrinica quando i farmaci sono somministrati in concomitanza. In uno studio, dopo la somministrazione di una singola dose di 400 mg di ibuprofene, assunto entro 8 ore prima o dopo 30 minuti dalla somministrazione di acido acetilsalicilico (81 mg), si è verificata una diminuzione dell’effetto dell’acido acetilsalicilico sulla formazione di trombossano e sull’aggregazione piastrinica. Tuttavia, l’esiguità dei dati e le incertezze relative alla loro applicazione alla situazione clinica non permettono di trarre delle conclusioni definitive per l’uso continuativo di ibuprofene; sembra che non vi

siano effetti clinicamente rilevanti dall’uso occasionale dell’ibuprofene.5.2-Proprietà farmacocinetiche Ibuprofene è ben assorbito dopo somministrazione orale ed è distribuito in tutto l’organi-smo rapidamente. Se assunto a stomaco vuoto, i livelli serici massimi sono raggiunti dopo circa 45 minuti. Quando assunto in concomitanza a cibo, i livelli massimi nel sangue si raggiungono tra un’ora e mezzo e 3 ore. L’ibuprofene si lega in larga misura alle proteine plasmatiche, si distribuisce a livello tissutale e nel liquido sinoviale. L’emivita plasmatica della molecola è di circa due ore. L’ibuprofene è metabolizzato nel fegato in due metabo-liti inattivi e questi, unitamente all’ibuprofene immodificato, vengono escreti dal rene sia come tali che coniugati. L’eliminazione dal rene è rapida e completa. L’ibuprofene viene escreto nel latte in concentrazioni molto basse.

5.3-Dati preclinici di sicurezza Non vi sono ulteriori informazioni su dati preclinici oltre a quelle già riportate in altre parti di questo Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto (vedere paragrafo 4.6).

6-INFORMAZIONI FARMACEUTICHE6.1-Elenco degli eccipienti FLUIBRON FEBBRE E DOLORE Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto fragola senza zucchero Acido citrico monoidrato, sodio citrato, acesulfame di potassio, gomma xantana, sodio benzoato, aroma fragola, sciroppo di maltitolo, glicerina, acqua depurataFLUIBRON FEBBRE E DOLORE Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto arancia senza zuccheroAcido citrico monoidrato, sodio citrato, acesulfame di potassio, gomma xantana, sodio benzoato, aroma arancia, sciroppo di maltitolo, glicerina, acqua depurata

6.2-Incompatibilità Non pertinente.

6.3-Periodo di validità FLUIBRON FEBBRE E DOLORE Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto fragola senza zucchero 36 mesiPeriodo di validità dopo la prima apertura: 6 mesi.FLUIBRON FEBBRE E DOLORE Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto arancia senza zucchero 36 mesiPeriodo di validità dopo la prima apertura: 6 mesi.

6.4-Precauzioni particolari per la conservazione Nessuna particolare.

6.5-Natura e contenuto del contenitore FLUIBRON FEBBRE E DOLORE Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto fragola senza zuccheroFlacone color ambra in polietilene tereftalato (PET) con tappo e sottotappo in polietilene con chiusura a prova di bambino.Siringa dosatrice con corpo e stantuffo in polietilene.FLUIBRON FEBBRE E DOLORE Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto arancia senza zucchero Flacone color ambra in polietilene tereftalato (PET) con tappo e sottotappo in polietilene con chiusura a prova di bambino.Siringa dosatrice con corpo e stantuffo in polietilene.

6.6-Precauzioni particolari per lo smaltimento e la manipolazione Nessuna istruzione particolare.

7-TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO Titolare A.I.C.: Chiesi Farmaceutici S.p.A. – Via Palermo, 26/A – 43122 Parma (PR)

8-NUMERO DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO FLUIBRON FEBBRE E DOLORE Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto fragola senza zucchero - flacone da 150 ml con siringa dosatrice: AIC n. 043188010 CLASSE C SOPFLUIBRON FEBBRE E DOLORE Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto arancia senza zucchero - flacone da 150 ml con siringa dosatrice: AIC n. 043188022 CLASSE C SOP

9-DATA DI PRIMA AUTORIZZAZIONE/RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE Prima Autorizzazione: 26/08/2014

10-DATA DI REVISIONE DEL TESTO Maggio 2015

Page 48: Trimestrale | Poste Italiane SpA – Sped. Abb. Post. DL 353 ... · Giusy Ranucci, Raffaele Iorio Il pediatra non deve perdere l’opportunità di una diagnosi precoce di malattia

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