Tre uomini e una panda - Mongolia e altre storie

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“Tre uomini e una panda” narra le gesta di tre ragazzi e di una vecchia Fiat Panda impegnati nell'ambizioso progetto di raggiungere Ulaanbaatar, remota capitale della Mongolia, meta finale del Mongol Rally, manifestazione internazionale a scopo benefico. Irriverente, surreale, improbabile. Un libro che individua nel viaggio la vera patria dell’uomo e nell’incessante vagabondare la salvezza morale. Un inno alla libertà che vede nel viaggiare un moto di elevazione spirituale. Un caleidoscopio di avventure sulla strada, alla scoperta di terre lontane e misteriose.

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Associazione Sineterra1

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Testi © TEAMujinFotografie © Marco Germi

Copyright © 2012 Sineterrawww.sineterra.org

I edizione dicembre 2012

Questo volume è stato stampatonel mese di Dicembre 2012

per conto degli autorida Pixartprinting srl - Quarto d’Altino (VE)

I proventi derivati dai diritti d’autore di questo librosaranno devoluti all’associazione

Lotus Children’s Centre Charitable TrustUlaanbaatar, Mongolia

www.lotuschild.org

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Albensi Giacomo De Angelis Nicolò Germi Marco

Tre uomini e una pandaMongolia e altre storie

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“A te convien tenere altro viaggio”rispuose, poi che lagrimar mi vide,

“se vuo’ campar d’esto loco selvaggio”Dante, Divina Commedia, Inferno, Canto I

Poco c’è da dire per presentare questo resoconto di viaggio: potrei ricordare Marco Polo e le antiche spedizioni mercantili che si avventuravano verso il lontano Oriente, potrei ricordare innumerevoli viaggiatori solitari che han-no camminato per il mondo; potrei e vorrei parlare a lungo dei tanti dotti viaggiatori, da Giuseppe Tucci a Fosco Maraini e Tiziano Terzani, che hanno studiato e amato posti lontani. Le esperienze di tutti questi viaggiatori però sono intrinsecamente riconducibili ad un fil rouge che corre attraverso tutte le loro avventure: tutti loro avevano infatti in comune qualcosa che anche i nostri giovani viaggiatori in Panda hanno; tutti loro hanno amato la fatica, il cammino, la strada, la conoscenza più che la gloria, la realizzazione perso-nale e le ricchezze. Tutti loro hanno voluto sperimentare l’Altro non risparmiandosi mai, spesso arrancando faticosamente tra alte innevate vette himalayane o le desolate pianure mongole, rubando un sorriso ad una giovane principessa tibetana o donandone uno ad un piccolo bambino iraniano. Il viaggio intrapreso da tutti loro è un viaggio anagogico, un viaggio che attraverso gli Altri porta a scoprire se stessi: questo troverete fra le pagine di questo resoconto e questo potrete notare osservando attentamente gli occhi dei protagonisti nelle molte foto che vi verranno proposte.E’ con lo spirito di condivisione della strada che vi esorto a leggere questo resoconto di viaggio, facendo vostra la loro fatica, facendo vostro il loro cam-mino, facendo vostro il loro percorso interiore. Buona Strada!

Andrea Germi

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“Un uomo si mette in marcia per raggiungere, passo a passo, la sag-gezza. Non è ancora arrivato.”

Palomar, Italo Calvino

E non arriverà mai, soprattutto su una panda.

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Valle di Alamut

Asghabat

Tehran

Tashkent

HodjanOsh

Dushambe

Balkhas

Semey

Barnaul

OlgiiHovd

AltayBayanhongor

Arvayher Ulaanbaatar

GERMANIA

ITALIA

AUSTRIA

REPUBBLICA CECA

SLOVACCHIA

UNGHERIA ROMANIA

BULGARIA

TURCHIA

IRAN

TURKMENISTAN

UZBEKISTAN

TAJIKISTAN

KIRGIKISTAN

KAZAKHISTAN

RUSSIA

MONGOLIA

Klenova

Budapest

Bratislava

Bucarest

Varna

AnkaraInstanbul

Tabriz

Khiva

Bukkara

Samarcanda

Bishkek

AlmatyLissone

Monaco

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Valle di Alamut

Asghabat

Tehran

Tashkent

HodjanOsh

Dushambe

Balkhas

Semey

Barnaul

OlgiiHovd

AltayBayanhongor

Arvayher Ulaanbaatar

GERMANIA

ITALIA

AUSTRIA

REPUBBLICA CECA

SLOVACCHIA

UNGHERIA ROMANIA

BULGARIA

TURCHIA

IRAN

TURKMENISTAN

UZBEKISTAN

TAJIKISTAN

KIRGIKISTAN

KAZAKHISTAN

RUSSIA

MONGOLIA

Klenova

Budapest

Bratislava

Bucarest

Varna

AnkaraInstanbul

Tabriz

Khiva

Bukkara

Samarcanda

Bishkek

AlmatyLissone

Monaco

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PROLOGOCome tutto ebbe inizio

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Nato dall’unione tra l’amore per il viag-gio e per l’uomo, il nostro progetto cre-sce spinto dal nobile sentimento dell’a-iuto verso la popolazione mongola e della scoperta dell’ignoto.Ancora al di sotto della soglia della po-vertà, a causa dell’aumento incessante dei tassi di disoccupazione e di una si-tuazione politica instabile, la Mongolia risulta essere, oltre che uno degli stati più estesi del pianeta, anche uno dei più poveri.Parte da qui la decisione di creare un team con il compito di portare, dopo un viaggio di circa 16000 km attraverso una quindicina di stati diversi, una pan-da e dei fondi al Lotus Children’s Centre Charitable Trust, centro che si adopera nell’aiuto dei bambini bisognosi di Ula-anbaatar.Il viaggio, conosciuto col nome di Mongol Rally, porta diversi team pro-venienti da tutto il mondo, a compiere un percorso estremo che dall’Europa, si conclude a Ulaanbaatar, capitale della Mongolia; il tutto solo con l’utilizzo di improbabili mezzi di limitata potenza o mezzi di soccorso.

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Fondamentalmente siamo tre “instabili” e spensierati studenti di ventitré anni, che in una fredda notte d’inverno hanno deciso, senza pensarci troppo, di assoldare un mezzo improbabile e condurlo fino in Mongolia.Siamo Marco, Nicolò e Giacomo.Siamo nomadi nel profondo dell’animo, e il compromesso che questa espe-rienza è capace di darti ci ha spinto a cogliere al volo questa occasione: la grande possibilità di vagabondare incessantemente tra terre inesplorate e inospitali, entrando in contatto con le diverse popolazioni locali, il tutto co-ronato da un grande obiettivo socialmente utile.Inoltre, essendo viaggiatori (in)dipendenti e backpackers da strapazzo, ogni avventura o idea al limite viene accolta e intrapresa senza pensarci troppo. Dopo anni di interrailers a zonzo per l’Europa, abbiamo deciso di fare il grande passo.Nel Gennaio del 2011 nasce il TEAMujin, nome nato da un mix tra team e Temujin, nome di battesimo del grande condottiero mongolo Gengis Khan, l’anima stessa della Mongolia di ieri e di oggi. Un personaggio deci-so, saggio e tollerante, che ci ha guidato mo-strandoci i territori che lo hanno reso celebre in tutto il mondo.

Tre uomini e RiccardaCHI SIAMO

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“Io vengo dal Barbaro Nord. Indosso le stesse vesti e mi sfamo dello stesso cibo dei pastori di vacche e dei mandriani di cavalli. Facciamo gli stessi sacrifici e ci dividiamo le ricchezze. Guardo alla Nazione come a un nuovo figlio appena nato e mi curo dei miei soldati come se fossero i miei fratelli...” Gengis KhanDa lui si evincono i simboli dei prin-cìpi chiave del nostro team come te-nacia, capacità di adattamento e di innovazione.Ulteriore simbolo del TEAMujin è l’origami della gru, simbolo di pace e di speranza.

team ujin

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L’ispirazione viene dalla storia di Sadako Sasaki: “La piccola Sadako Sasaki aveva appena 2 anni quando la bomba atomica Little Boy fu sganciata su Hiroshima, e soltanto 11 quando le fu diagnosticata una grave forma di leucemia.Durante la sua degenza in ospedale, Sadako ha affidato le sue preghiere ad una antica leggenda giapponese, secondo la quale piegare mille gru origami le avrebbe permesso di realizzare un desiderio.Il sogno di Sadako era quello di poter tornare a correre e giocare con i suoi compagni, ma il suo desiderio non era limitato a questo; Sadako stava dedicando al suo lavoro il massimo impegno soprattutto perché credeva che così avrebbe posto fine a tutte le sofferenze ed avrebbe curato tutte le vittime del mondo, ed avrebbe portato loro la pace.Sadako sognava di esorcizzare la morte, di sconfiggere quella sua malattia, di continuare a sperare nella Vita, la vita dell’intera umanità.”

Purtroppo nemmeno noi siamo in grado di porre fine a tutte le sofferenze del mondo, ma vogliamo fare la nostra parte per aiutare chi è più debole di noi.Le nostre mille gru rappresenteranno le mille sterline che ci siamo impegnati a raccogliere per dare una picco-la speranza ai bambini di Ulaanbaatar.

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Il Mongol Rally è una sorta di avventura dove i partecipanti, partendo da Londra e da Pra-ga, dovranno cercare di arri-vare sani e salvi a Ulaanbaatar, capitale della Mongolia. Gli organizzatori di questa gara non forniscono alcun aiuto o consiglio, per lo più inco-raggiano a viaggiare fuori dai percorsi pericolosi e invitano calorosamente a non cacciarsi nei guai!Non solo questo viaggio im-pone la completa autosuffi-cienza durante la durata della gara, ma impone, o meglio consiglia, di percorrere tutto il percorso, a molti sconosciu-to, senza l'ausilio di tecnologie quali navigatori o GPS.Altra regola fondamentale della competizione è che l'in-tero viaggio deve essere fatto con un mezzo di limitata po-tenza (non deve superare 1200 cc di cilindrata) oppure con mezzi di soccorso, quali am-bulanze, camion dei pompieri, carri funebri ecc..La gara non elargisce alcun premio per la prima vettura che riesce ad arrivare a desti-nazione, che comporta tradi-zionalmente circa dai 13 mila ai 16 mila km spalmati su tre

COS’è

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queStO MOnGOL RALLyNon per i deboli di cuore!

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o quattro settimane, mentre la soddisfazione consiste nel sapere che la parte principale del ricavato viene donato in beneficenza ad associazioni locali e ad altre scelte singolarmente da ogni team. Se siete alla ricerca di un avven-tura che metterà a seria prova le vostre capacità di adattamento e di "soprav-vivenza", avete trovato pane per i vostri denti!Come tutti gli avventurieri, viaggiatori liberi ed indipendenti, noi e i ragazzi di The Adventurists amiamo il mondo in cui viviamo e cerchiamo di miglio-rarlo coi mezzi a nostra disposizione!L'obiettivo principale del Mongol Rally è quello di raccogliere il maggior numero di fondi per migliorare le condizioni di vita di popoli in difficoltà

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attraverso la donazione ad enti benefici. Finora il Mongol Rally ha raccolto oltre £ 1.500.000. Infatti ad ogni team che partecipa alla "competizione" è richiesto di raccogliere £ 1000 da donare in beneficenza, di cui almeno £ 500 vanno all'ente di beneficenza prescelto dagli organizzatori.Questo denaro farà la differenza per le vite della popolazioni più povere pre-senti in Mongolia. L'ente ufficiale del 2012 è Lotus Children’s Centre Chari-table Trust, fondazione che compie un lavoro impressionante nella cura degli orfani e dei bambini di strada della capitale mongola di Ulaanbaatar.

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LOtuS CHILdRen’S CenteR

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Lotus Children’s Centre Charitable Trust si dedicato a fornire cure, assistenza alloggio e istruzione ai bambi-ni orfani, maltrattati, abbandonati in Mongolia. Il Lotus Children’s Centre è stato fondato nel 1993 dall’australiano Didi Kalika, che ha iniziato dando da mangiare e fornen-do cure mediche ai bambini che vivono sulle streets di Ulaanbaatar.Ben presto si rese conto che era necessario molto di più, e con l’aiuto di amici costruì una piccola casa per i bam-bini nel distretto di ger1 Yarmag, nella periferia della ca-pitale.Le difficili condizioni economiche in Mongolia produ-cono sempre più neonati e bambini abbandonati, e per questo il progetto di Didi si è notevolmente sviluppato nel tempo. Didi nel 1997 fondò una scuola materna, e in seguito fondò la Lotus Primary School. Da allora l’organizzazione ha curato ed educato fino a 150 bambini alla volta, in piccole unità familiari ciascu-na curata da una house-mother.Dal momento in cui i bambini sono cresciuti si è regi-strato un crescente enfasi sui programmi di formazione

professionale per prepararli alla vita adulta. È nata anche una Guesthouse in Ulaanbaatar, gestita quasi esclusivamente da ragazzi provenienti dal Lo-tus Centre, che non solo fornisce occupazione ai bambini più grandi che lasciano la scuola, ma genera anche utili che contribuiscono alle spese di funzionamento del Centro. Nel 2009 Didi Kalika è stato insignito dell’Ordine d’Australia per i suoi servizi ai bambini di strada della Mongolia.

1 Letteralmente “casa” in Mongolo. È un’abitazione mobile adottata da molti popoli nomadi dell’Asia. È maggiormente conosciuta con il nome di “Yurta”.

CHARItAbLe tRuStDalla parte degli Ultimi

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ItIneRARIOStrade ed attimi

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Lasciata la nostra cara Italia ci dirigia-mo verso Klenova, Repubblica Ceca, dove si svolge la festa ufficiale della ma-nifestazione.Dopo una notte di bagordi ci lanciamo finalmente ed ufficialmente attraverso Slovacchia, Ungheria, Romania e Bul-garia, fino a raggiungere la Turchia ed entrare definitivamente in Asia, per poi attraversare Iran, Turkmenistan, Uz-bekistan, Tajikistan, Kirghizistan, Ka-zakistan, Russia ed infine la tanto ago-gnata Mongolia!Capita spesso di cambiare il percorso perché si è costretti a causa di cambia-menti climatici o geo-politici, perché lungo il tragitto vengono suggerite e scoperte nuove località interessanti e sconosciute, o semplicemente perché il tempo avanza o scarseggia. Il nostro percorso è stato molte volte dettato più dalla casualità che dall’accu-rata programmazione.Qui riportiamo il nostro itinerario di massima al netto di errori e ripensa-menti avuti sulla strada.

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Dispaccio Chilometri progressivi

Nazione Località Periodo

#1 0 - 2500 Italia, Germania, Repubblica Ceca, Slovacchia,

Ungheria, Romania;

Lissone, Monaco, Klenova, Budapest, Transilvania, Bucarest;

15/07 - 18/07

#2 2500 - 3600 Romania, Bulgaria, Turchia;

Bucarest, Ruse, Varna, Obzor, Istanbul, Ankara;

18/07 - 23/07

#3 3600 - 7000 Turchia, Iran; Ankara, Maku, Tabriz, Valle di Alamut, Tonekabon,

Gorgan, Bajgiran;

23/07 - 29/07

#4 7000 - 7600 Turkmenistan; Asghabat, Deserto di Karakum; 29/07 - 31/07#5 7600 - 8700 Uzbekistan; Khiva, Bukhara,

Samarcanda, Tashkent;31/07 - 6/08

#6 8700 - 11600 Tajikistan, Kirghizistan; Hodjan, Isfara, Batken, Osh, Bishkek, Lago di Issyk kul;

6/08 - 12/08

#7 11600 - 13500 Kazakistan; Almaty, Balkhas, Baragandi, Semey; 12/08 - 18/08#8 13500 - 16400 Russia, Mongolia; Barnaul, Tashanta, Olgii,

Hovd, Altay, Bayankhongor, Arvaikheer, Ulaanbaatar;

18/08 - 25/08

#9 16400 Mongolia. Ulaanbaatar. 25/08 – 30/08

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Dispaccio Chilometri progressivi

Nazione Località Periodo

#1 0 - 2500 Italia, Germania, Repubblica Ceca, Slovacchia,

Ungheria, Romania;

Lissone, Monaco, Klenova, Budapest, Transilvania, Bucarest;

15/07 - 18/07

#2 2500 - 3600 Romania, Bulgaria, Turchia;

Bucarest, Ruse, Varna, Obzor, Istanbul, Ankara;

18/07 - 23/07

#3 3600 - 7000 Turchia, Iran; Ankara, Maku, Tabriz, Valle di Alamut, Tonekabon,

Gorgan, Bajgiran;

23/07 - 29/07

#4 7000 - 7600 Turkmenistan; Asghabat, Deserto di Karakum; 29/07 - 31/07#5 7600 - 8700 Uzbekistan; Khiva, Bukhara,

Samarcanda, Tashkent;31/07 - 6/08

#6 8700 - 11600 Tajikistan, Kirghizistan; Hodjan, Isfara, Batken, Osh, Bishkek, Lago di Issyk kul;

6/08 - 12/08

#7 11600 - 13500 Kazakistan; Almaty, Balkhas, Baragandi, Semey; 12/08 - 18/08#8 13500 - 16400 Russia, Mongolia; Barnaul, Tashanta, Olgii,

Hovd, Altay, Bayankhongor, Arvaikheer, Ulaanbaatar;

18/08 - 25/08

#9 16400 Mongolia. Ulaanbaatar. 25/08 – 30/08

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Sono qui riportate le gesta dei tre intrepidi e incoscienti “ebrei erranti”. Non sarà un dettagliato resoconto di ogni attimo trascorso sulla strada, ma sarà una caotica e spontanea raccolta di suggestioni e di vere emozioni.Non rappresenterà un racconto di un viaggio di fuga da una realtà ostile e insopportabile, ma un viaggio di riscoperta di libertà e di autenticità. Un viaggio verso luoghi privi di forma, cangianti e senza nome, e allo stesso tempo un viaggio di speranza, di aiuto e di concretezza.

teAMujIn

MOnGOLRALLy 2012Fighting to make the world less boring

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“Per il ragazzo, innamorato di mappe e di stampe, l’universo è pari alla sua vasta brama. Come è grande il mondo alla luce della lampada, come, agli occhi del ricordo, meschino!Un mattino partiamo, il cervello in fiamme, il cuore gonfio di rancore e di vo-glie amare, e andiamo seguendo il ritmo delle onde, cullando il nostro infinito sul finito dei mari:Gli uni, felici di fuggire una patria infame, gli altri l’orrore delle proprie culle; e alcuni, astrologhi perduti negli occhi d’una donna, Circe tirannica dai profumi fatali.

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Per non essere mutati in bestie, s’inebriano di spazio, di luce e di cieli infuocati; il gelo che li morde, i soli che li bruciano cancellano lentamente il segno dei baci.Ma, veri viaggiatori sono quelli che partono per partire; cuori leggeri, simili a palloncini, non si staccano mai dal loro destino, e senza sapere perché dicono sempre: Andiamo!I loro desideri hanno forme di nuvole, e come il coscritto il cannone, sognano grandi, cangianti, ignote voluttà, il cui nome lo spirito umano non ha mai co-nosciuto.”1

1 Atto I, Il viaggio, Charles Baudelaire, da “I fiori del male”

Tips & TricksIn questa simpatica sezione vi parleremo di alcuni trucchetti o più semplicemente modi di comportarvi per trascorrere un viaggio più spensierato, più divertente e con meno pro-blemi possibili. Alcuni risulteranno banali e scontati, ma proprio per questo non andran-no sottovalutati, ma al contrario andranno sottolineati e tenuti in considerazione.Questi tricks nascono da anni di esperienza “on the road” dei protagonisti.Vogliono essere un simpatico e sottile sprone al viaggio rude e primitivo, esaltando le capa-cità di adattamento e la volontà, oltre che la necessità, di viaggiare low-cost e ad impatto zero.Viaggiare comporta l’assunzione di responsa-bilità nei propri confronti, nei confronti del popolo e della terra visitata, non è un sem-plice e presuntuoso girovagare turistico, ma è un camaleontico deambulare tra le realtà indigene.

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Pensieri in ViaggioLe sensazioni, le impressioni e le suggestioni che si percepiscono durante un viaggio sono una moltitudine informe di pensieri sfuggevoli, disparati e spon-tanei. Vi sono diversi strumenti per catturare, immortalare e trasmettere tali momenti a terzi. Riporteremo al termine di ogni dispaccio alcune di queste suggestioni, riprodotte in diverse forme, dallo scritto allo scatto.

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dISPACCIO unOKm 0 / 2500 | 3 giorni Italia – Germania – Repubblica CecaSlovacchia- Ungheria – Romania

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Partenza ufficiale alle ore 10,47 da Lissone.Al lancio non sono presenti i cinquecento preziosi dol-lari statunitensi di Jack, andati perduti durante i prepa-rativi.Si procede spediti fino a Verona, per poi svoltare verso il Brennero.La prima fregatura ci aspetta al confine Austriaco, dove siamo costretti ad acquistare numerosi bollini autostra-dali di dubbia utilità.Attraversiamo l’Austria sbadatamente, troppo focaliz-zati sulla meta, giusto in tempo per beccarci una delle poche piogge estive di tutto il viaggio.Dopo un breve tratto di strada, tappa “culturale” obbli-gata a Monaco, in cui abbiamo l’onore di assistere ad una sfrenata festa dai colori sgargianti.La tappa alla storica birreria è d’obbligo, così come la breve sosta nel gigantesco parcheggio dell’Allianz Arena.Riccarda per il momento non mostra segni di cedi-mento. Con il calare delle tenebre, partecipiamo ad una particolare “caccia al tesoro”, consistente nel trovare il castello di Klenova, sede della partenza ufficiale del MongolRally 2012.A guidarci, oltre ai daini e alle lepri, si staglia nel cielo un “Mongol-segnale” che ci indica la via!Il primo impatto con “l’organizzazione” The Adventu-rists consiste nella doverosa consegna di un sacchetto per la raccolta dei rifiuti e nell’indicazione di un angolo fangoso in cui coricarci per la notte.Al sorgere del sole il panorama che si presenta ai no-stri insonni occhi si compone di un variopinto stuolo di macchine malandate ed addobbate a festa dai folli parte-cipanti, ignari di ciò che dovranno affrontare.Fatta la conoscenza di alcuni team e attrezzata la mac-china, il maltempo ci impone di levare le tende anzitem-po, prima della “grande” festa.In serata raggiungiamo Brno, dove ci coccoliamo con

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un banchetto prelibato e ci fermiamo per la notte in un lussuoso Autogrill.È la giornata della vaccinazione antirabbica!Ci rechiamo di buona lena a Bratislava in cerca di informazioni più o meno dettagliate su come ottenere le tanto agognate punture.La cittadinanza non si rivela di particolare sussidio, quindi deviamo verso l’Ungheria in cerca di una sorte migliore.Arrivati a Budapest veniamo finalmente aiutati da una coppia di farmaciste e dirottati verso il “Budapest Fovaros Kormanyhivatala”, centro per i vacci-ni internazionali, fatiscente caserma sovietica, in cui veniamo delicatamente forati e rispediti al mittente.Subito lo spirito di avventura ci spinge verso l’obiettivo successivo, il valico della dogana romena, la prima del nostro viaggio.Romania, paese in cui della colonizzazione romana è rimasto soltanto il nome, mentre di quella meno gloriosa portata dall’Italia soltanto fabbriche e sogni infranti.Avanziamo nella miseria, circondati da carretti fatiscenti, trainati da cavalli stanchi, cani randagi e gente in perenne attesa ai bordi delle strade di qual-cuno o qualcosa che li porti chissà dove.Montiamo le tende in Transilvania, nel timore di una leggenda secolare, dove l’unica compagnia disponibile è quella di qualche camionista scriteriato. Circondati da un’immensa natura incontaminata, attraversiamo la Romania in tutta la sua anonima grandezza, verso Bucarest, valicando i Carpazi per una strada che non ripaga le attese suscitate dai racconti e dalle foto viste in precedenza.Arriviamo nel pomeriggio del 18 luglio a Bucarest, capitale poco interessan-te e altamente confusionaria, in cui ci dedichiamo allo “shopping sfrenato” con tutta la moneta locale avanzata, il cui magro resto andrà poi nelle piccole tasche di un giovane e pressante venditore di pennarelli “magici”.Una volta trovata la via d’uscita dalla città (ma anche dal paese) ci gettiamo ansiosi sulla prossima impresa...

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Ma come mi vesto? Prima di partire per qualsiasi tipo di viaggio si perde sicuramente del tempo nella scelta dei ve-stiti e dell’attrezzatura da portare. Nel viaggio come lo intendiamo noi i consigli sono relativa-mente pochi.Portare meno vestiti possibili: non bisogna pre-sentarsi a feste e serate di gala, non bisogna es-sere sempre lindi e puliti, basta essere decenti e presentabili. Per ridurre il numero e il volume si consiglia un tipico vestiario a “cipolla”: si è sem-pre coperti al punto giusto, non si ha freddo ne si suda, semplicemente aggiungendo o rimuovendo gli strati necessari; si evita di avere vestiti pesan-tissimi che occupano spazio e che magari non si useranno perché troppo caldi.Scegliere vestiti che non si usano più o rovinati: a tutti dispiace dover buttare vestiti perché strappati o indecenti, ma ricordate a qualcuno potrebbero tornare utili, per cui non buttateli nella spazzatu-ra, ma appoggiateli in qualche posto ben visibile.Oltretutto durante il viaggio di ritorno ci sarà la possibilità di alleggerirsi per rientrare nei limiti dei bagagli aerei o per far spazio a gadget acqui-stati in loco.

“Mi fa una strana impressione, me l’aspettavo molto diverso: il raduno si è svelato ai miei occhi assonnati, gonfi di prima mattina, in tutta la sua caotica e variopinta ilarità.Mi viene da pensare ad un accampamento di soldati malmessi, un’armata Brancaleone pronta a marciare a passo lento e incostante verso la Mongolia e verso una miriade di avventure inimmaginabili.Vengo assorbito da questo inquietante carosello di auto uniche e malandate, pilotate da personaggi ancor più inquietanti, e sembro dimenticare momenta-neamente il dolore per la separazione e la preoccupazione per un futuro tutt’al-tro che certo.

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Verrebbe da dire che ho trovato una sorta di famiglia molto allargata con cui condividere un lungo viaggio, mentre vago spaesato tra auto spagnole, tede-sche, svizzere, dalle quali fanno capolino individui con cui potrei avere molto in comune, che salutano calorosamente i compagni di sventure, condividendo sogni, percorsi e paure.All’ombra di un fatiscente palazzone abbandonato si consuma dunque la com-media di una fetta molto curiosa di umanità: vasche da bagno, manichini, chef, si mescolano confusamente per creare un perfetto caleidoscopio con cui scruta-re l’animo umano in molte delle sue sfaccettature più intense.Nel fango, per il fango, ha inizio il viaggio..”

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Vi avevamo lasciati alla presenza di un simpatico venditore di magici pennarelli a Bucarest.Dopo esserci “vulcanizzati” tra le impervie vie della capitale rume-na, riusciamo finalmente in serata a raggiungere il confine bulgaro, dove facciamo purtroppo i conti con la prima incomprensione do-ganale: all’uscita dalla Romania ve-niamo multati dalle “autorità” bul-gare lì presenti perché non siamo in possesso della vignetta autostra-dale bulgara, che avremmo dovuto acquistare non si sa dove, non si sa quando, non si sa perché in…Ro-mania!Affranti ed amareggiati attraversia-mo il Danubio (con un’ulteriore ga-bella da pagare!!) e ci accampiamo per la notte nel parcheggio di un centro commerciale, isolato e lon-tano da sguardi indiscreti.L’obiettivo con cui ci destiamo alle prime luci dell’alba è uno e indero-gabile: raggiungere la lontana Co-stantinopoli.Percorriamo con fervore le strade bulgare tra carretti e “cul de sac” di autostrade fantasma.Giungiamo sulle rive dorate e gradevolmente non salate del Mar Nero, ove ci attendono momenti di villeggiatura degne della migliore balneazione adria-tica.Senza indugi abbandoniamo il litorale per inerpicarci lungo il sentiero verso la (peggior) dogana turca.La strada si dispiega purtroppo sotto le nostre ruote tortuosa, ripida e mal-messa all’inverosimile.In dogana veniamo fagocitati dalla letargia della burocrazia ottomana.

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dISPACCIO dueKm 2500 / 3600 | 5 giorniRomania - Bulgaria – Turchia

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Usciti dal vortice doganale ci attende una via che farebbe invidia alle highway americane, immense colline aride e brulle attraversate da un’unica gettata di asfalto.La regolarità della pianura stepposa viene bruscamente interrotta da quel nugolo immane e irregolare di case che è Istanbul.Il primo motivo di fama di questa città non sono le sue moschee o la sua storia, ma il suo traffico caotico, impaziente ed entropico!Veniamo risucchiati a nostra insaputa fin dentro Sultanahmet1, centro sto-rico e turistico della città, dove ci regaliamo il lusso di un ostello e di un “parcheggio custodito” da stravaganti parcheggiatori alla “Fast And Furious”.Dato che ci troviamo in anticipo rispetto alla nostra tabella di marcia, ci concediamo due giorni da semplici e convenzionali turisti, dispersi nella bel-lezza e attirati dall’eterno.Istanbul ci regala una giungla di odori e di rumori, tra clacson impazziti e roboanti “inni” sopraggiunti all’improvviso, e una moltitudine di minareti, che come fasci di luce si stagliano nel cielo incontaminato formando una caratteristica skyline.Visitiamo la mastodontica Moschea Blu, la più grande di Istanbul, con i suoi quattro enormi minareti, la sua sfida altezzosa al cielo, omaggio alla potenza di Allah.In netta contrapposizione, nell’interno risalta l’intimità della preghiera e la 1 Letteralmente “blu” in lingua turca, è il centro storico di Istanbul, prende il nome da Sultanahmet camii, ovvero la grande Moschea Blu, fulcro della città vecchia

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vicinanza con il divino.Anche noi veniamo trasportati dal misticismo di questo popolo che si ge-nuflette di fronte ad un Dio senza volto.In serata dal sacro passiamo al profano e ci dilettiamo ad intervistare alcune delle grandi varietà di persone che popolano il centro di Istanbul, cercando di scoprire quanto possano conoscere la Mongolia! (Senza grandi sorprese, riportiamo la risposta più sconcertante alla domanda – Conosci la Mongo-lia? – : – Ah si!... Dove hanno girato Borat!? –... l’ignoranza dilaga!)Giunge quindi il momento dell’excursus pantagruelico su di un personaggio, che nella sua estrema ed inquietante generosità ci ha procacciato solo guai... Karl Ahmed B. Tedesco di nascita, italiano di adozione, convertito all’Islam, la cui (presunta) ingenuità farebbe invidia a Riccioli d’oro in persona, si offre di guidarci nelle impervie vie cittadine con lo scopo di farci raggiungere in-denni la parte asiatica della città.Goffo, indaffarato, con le mani in pasta in mille diverse attività, devotissimo ed oltremodo cordiale, sincero e pasticcione, nel giro di pochi minuti ci mo-stra attraverso un’atletica corsetta la strada da percorrere, ci offre tè turco e frutta secca, in compagnia di ignari e stupiti commensali inglesi, in un bar che sembra essere casa sua!Dulcis in fundo, ci trascina in un qui pro quo linguistico; seguono i fatti:Riccarda ha bisogno di una aggiustata alla pressione delle gomme. Il tacitur-no gommista dapprima sembrerebbe accordarci gratuitamente i suoi servizi

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come vorrebbe il suo integerrimo credo, in un secondo momento invece ri-tratta la generosa offerta e ci chiede la considerevole cifra di 10 Lire Turche (circa 5 euro) per aver gonfiato le nostre quattro ruote!Qui entra in gioco il nostro valoroso Karl a cui affidiamo 5 Lire (tutto ciò che era in nostro possesso) per addolcire il gommista truffaldino, intenzionato a denunciarci alle autorità locali.Dopo diverse contrattazioni non andate a buon fine, Karl minaccia in ma-niera plateale e impacciata di chiamare la polizia turistica, entrando appa-rentemente senza motivo in un albergo sito nei paraggi.Pensando che il nostro amico abbia sistemato l’affare, ci rechiamo noncuran-ti verso l’ambito traghetto; solo pochi minuti dopo scopriremo che Karl non aveva dato al gommista neanche una lira, e che, probabilmente, il gommista insoddisfatto furtivamente aveva trascritto la nostra targa, con chissà quali intenzioni!Lasciamo Karl sul suolo asiatico (senza sapere come farà il nostro bizzarro eroe a riattraversare il mare che lo separa da casa) mentre nella nostra mente si materializzano incubi doganali e intrighi internazionali.Come andrà a finire potrà dircelo solo il futuro...

Auto fornello e cucina on the roadPuò capitare quando si viag-gia in auto di percorrere molti chilometri sotto il sole cocen-te ed avere poco tempo per fermarsi a cucinare. Un buon trick è quello di porre il pen-tolino direttamente sul moto-re, tenendolo acceso, non solo si risparmierà il tempo per cercare ed estrarre il fornellet-to (quasi sempre sepolto nel bagagliaio) ma si avrà subito la pentola calda al punto giu-sto in tutta la sua superficie.

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“Istanbul non è una città qualunque, forse non è neanche una città.Per il visitatore lo spettacolo è di indicibile bellezza, che si tramuta in stupore man mano che i passi lo portano sempre più in profondità attraverso il nugolo sterminato di rue irregolari e scoscese.Era uno dei principali obiettivi del viaggio, meta obbligata del nostro pellegri-naggio, per me ancor più sognata e agognata, resa mitica alle miei orecchi dai tributi fatti a tanta magnificenza da grandi artisti.Ho cercato Dio ad Istanbul, o qualcosa del genere.Mi sono genuflesso in una moschea su tappeti finemente decorati, cercando la voce e i tratti di una divinità per alcuni troppo sanguinaria per essere realmen-te “clemente e compassionevole”, come recita il Corano; ho implorato come da più di mille anni implorano gli islamici ciecamente devoti.Nella moschea blu ho capito che Allah non sarebbe mai stato a proprio agio in un luogo cosi affollato, infestato da un acre odore di piedi e sudore.Le grida, quasi lamenti, lanciate nell’aria dai minareti, hanno squarciato il cielo e il mio cuore, assetato di segni ultraterreni, ha gioito di tanta rassicurante confusione, una rumorosa solitudine; mentre la sera incombe ineluttabile sul Corno d’Oro e le navi placidamente solcano il canale, verso l’Asia...”

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Riprendiamo il racconto da Ankara, città dalla incomprensibile pianificazione urbanistica e dalla cementificazione disordinata e sfacciata.Ci accampiamo in un comodo giardino antistante ad un cen-tro commerciale nel quartiere diplomatico, nel quale spiccano le sfarzose ed eccentriche architetture dei palazzi delle ambasciate di paesi sconosciuti e remoti.Grazie alla determinante intercessione di Cristina, diplomatica italiana (che non parla turco), otteniamo in breve tempo il visto per il Tajikistan e riprendiamo la marcia a spron battuto verso il confine iraniano.Man mano che la strada si inerpica verso la biblica cima dell’Ara-rat, le strade sotto di noi incominciano a sciogliersi e le gomme lasciano profondi solchi nell’asfalto fuso che rimane in parte at-taccato agli pneumatici.Approfittiamo della insperata venuta della prima leggera pioggia per prenderci un momento di relax, concedendoci una doccia ad impatto zero.La dogana si palesa ai nostri occhi con largo anticipo attraverso la solita sterminata fila di camion in attesa di un’accurata ispe-zione.Il team è scorato dopo aver appreso che in Iran il commercio di bevande alcoliche è severamente vietato.Sia sul fronte turco che su quello iraniano veniamo affiancati da loschi figuri spacciatisi per ufficiali premurosi, quando in realtà non sono altro che lestofanti in cerca di stranieri da circuire, ma che con grande destrezza e sangue freddo riusciamo ad eludere.Il vero e gentile ufficiale in breve tempo liquida la pratica e ci permette di proseguire.Finalmente in Iran, ci uniamo ad un malmesso team olandese,

dISPACCIO tReKm 3600 - 7000 | 6 giorniTurchia – Iran

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con i quali ci accampiamo rovinosamente e a scapito della macchina, tra alberi da frutto di un povero contadino che fortunatamente non si presenta con il fucile.I pazzi festaioli olandesi ci propinano una prelibata pasta dal variegato con-dimento, ma in mattinata preferiamo comunque separarci temendo una escalation di “infortuni meccanici” a causa della loro guida spericolata lungo le tortuose strade iraniane.Scendendo da Maku sostiamo a Tabriz, vecchia e decaduta capitale che nell’immaginario biblico era identificata con la porta dell’Eden; nel nostro caso l’unica porta che si apre è quella di una pasticceria che ci regala intensi momenti ricchi di dolcezza.Iniziamo ad assaggiare l’ospitalità, la gentilezza e la curiosità del sorpren-dente popolo iraniano: durante ogni momento di guida siamo circondati e

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scortati da orde di auto sgangherate che si appropinquano per strappare un saluto a questi stranieri che giungono a bordo di un’auto misteriosa.Il contrasto con la nostra cultura è spesso evidente: nonostante i 40 gradi siamo costretti a girare per la città con i pantaloni lunghi, per non oltraggiare il suscettibile decoro locale, per non parlare dei lunghi capelli che attirano molti sguardi indiscreti.Facciamo la conoscenza di due gentilissimi impiegati bancari che ci scortano attraverso le affollate strade colme di bancarelle e vagabondi alla ricerca di un vantaggioso cambio valuta, che ci appare stranamente favorevole a causa della svalutazione della moneta iraniana.Lasciata Tabriz prosegue il nostro avvicinamento alla lussureggiante costa del Mar Caspio, un lago che tutti credono un mare, per giunta piacevole.Spinti dagli entusiastici giudizi di una guida turistica, matura in noi l’idea di

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avventurarci nella misteriosa Valle degli Assassini di Alamut1.Giunti a Qazvin ci inoltriamo verso l’entroterra arido e roccioso, nel quale riusciamo a destreggiarci solo grazie al contributo di numerosi vacanzieri iraniani, popolo godereccio e incline ai bagordi, che ci indicano la via che dalle montagne scende scoscesa e altalenante fino alle verdi e floride risaie adagiate in fondo ad un pendio che sembra interminabile.Il primo “castello”, antica e sfarzosa dimora di un’indomita setta di assassini, che incontriamo si rivela poco più di un semplice conglomerato di pietre in

1 La setta degli assassini fu una particolare setta degli ismailiti, una corrente dell’I-slam sciita. Prima che il loro nome divenisse famoso e temuto in tutto il Medio Oriente, e mistificato in occidente, la parola “assassino” non esisteva. È infatti un inglesismo (assassins) della parola araba al-Hašīšiyyūn, “fumatore di hashish”. Particolarmente attivi tra l’VIII se-colo e il XIV secolo in Medio Oriente, famosi per la pratica di commettere omicidi politici mirati. L’apice della loro attività si ebbe in Persia e in Siria a partire dal XI secolo, in seguito ad un’importante scissione della corrente ismaelita avvenuta nel 1094 sotto la guida di Ha-san-i Sabbah, detto “il Vecchio della Montagna”, la cui roccaforte fu Alamut, nel nord della Persia, fra Teheran e il mar Caspio.

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cima ad un dirupo, che solo una fervida immaginazione può trasformare in una grande fortezza.Per nulla scoraggiati dal poco materiale offerto alla nostra fantasia, decidia-mo con rinato fervore di spingerci al castello di Alamut, ma l’ora tarda e la stanchezza ci spingono a cercare un comodo riparo per la notte nell’acco-gliente dimora di Mr. Ali Samie, cordiale e taciturno “albergatore” che per poche lire ci offre benignamente un letto e una cena abbondante.La mattina seguente trascorre tra la visita al castello, stavolta non frutto di miraggi e insolazioni, ma una vera e propria roccaforte in cima ad uno sperone roccioso, e dissertazioni socio-economiche con un futuro studente dell’università di Verona, in procinto di partire per il Bel Paese.Rinfrancati e riposati decidiamo di ritornare sulle rive del Mar Caspio, attra-verso l’Elburz, catena montuosa che raggiunge picchi di quattromila metri di altezza, una via che ci regalerà emozioni inaspettate.Infatti, mentre arranchiamo dispersi su strade sterrate e dissestate si ma-terializzano tra le nubi di polvere sollevate dal gelido vento quattro ilari e singolari individui.Il più giovane dei quattro, Milad, unico a saper parlare inglese, studia in Finlandia e torna in Iran solo per le vacanze, dove si imbranca con i vecchi compari alla faccia del Ramadan. Il resto del gruppo è composto dal padre di Milad e da due signori di mezza età.Come i quattro “amici miei” di Monicelliana memoria, girovagano senza meta per il territorio iraniano, mangiando, bevendo e fumando senza remo-ra alcuna.La zingarata del giorno consiste nell’accompagnarci fino a Tonekabon, rin-cuorandoci sui chilometri mancanti e offrendoci tè e narghilè sotto il tendag-gio fatiscente di un bar improvvisato a 3200 metri.Terminato lo sterrato e valicate le impervie montagne giungiamo, dopo “ap-pena” cinque ore di viaggio, sulla costa, dove ci concediamo insieme ai nostri quattro amici una lauta cena a base di basmati2 e carne di montone.In serata, quando pensavamo ormai di esserci definitivamente separati dal quartetto, e imboccata ormai la via per il Turkmenistan, eccoli apparire all’improvviso e farci segno di seguirli verso la riva del lago.La giornata si conclude con un caloroso commiato in riva al Mar Caspio, e con un frenetico “scambio” di doni graditissimi.2 Basmati è il nome di una varietà di riso a grano lungo, famosa per la sua fragranza e il gusto delicato. Il suo nome significa “Regina di fragranza” in Hindi

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Il giorno seguente, dopo aver macinato strade su strade e dopo una frettolosa visita a Gorgan, veniamo rovinosamente centrati da una macchina iraniana che stava sfrecciando noncurante della nostra sosta forzata al centro della carreggiata.Riccarda riporta qualche ammaccatura e il parziale distaccamento del paraurti posteriore, con nostro enorme sdegno.Dopo una frettolosa riparazione sul posto riprendiamo la corsa verso il con-fine turkmeno, fermandoci in una sperduta cittadina per cercare di rendere stabile il paraurti, impresa resa ardua dalle solite incomprensioni linguisti-che.Ovviamente attorno a Riccarda si raccoglie un numero elevatissimo di cu-riosi e disponibili iraniani: spicca su tutti un giovane ragazzo che con qual-che parola di inglese ci aiuta nella riparazione.Come è ormai costume di ogni nostra sosta in Iran, il tutto si conclude con una foto di gruppo e con un’interminabile sfilza di saluti e promesse!Trascorriamo l’ultima notte in Iran a Baba Aman, pittoresca area di sosta “on the road”, dove una moltitudine di famiglie e gruppi di amici si ritrova per bivaccare e passare in allegria la nottata.L’indomani si partirà in direzione Bajgiran, Turkmenistan!

“Arrivederci Iran. Un arrivederci che esclude l’addio.Stiamo per lasciare questa fantastica terra, dopo cinque giorni di incessante pe-regrinare. Lasciamo una moltitudine di conoscenze e di Amici. Paese ospitale, cordiale ed etereo, dove il territorio è in netto contrasto e non rispecchia la vera natura del suo popolo.Popolo inquinato da un fanatismo relegato e marginale; fanatismo materializ-zato soltanto con cartelloni pubblicitari che rappresentano martiri e capi reli-giosi così lontani dal popolo da sembrare un corpo estraneo.Fatto sta che l’ignobile propaganda occidentale è riuscita a mettere in ombra “Il popolo”, prima ancora dello stato; popolo che con immenso auspicio riuscirà a emanciparsi e ad allontanare l’ombra di oscurantismo e di relegazione che lo ricopre, riportando lo spessore culturale e umano in primo piano.”

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In dogana: Smile style Se viaggiando avete mai avuto a che fare con dogane straniere sapete bene che, prima o poi, la pazienza finisce, i soldi pure e la tensione arriverà alle stelle, tanto da domandarvi per quale motivo sia stata presa la decisione di passare dove non si sembra essere i benvenuti. Può capitare che i doganieri non solo non parlino la vostra lingua, ma nem-meno l’inglese. Si sente così il bisogno di sfogarsi. Il trucco in questo caso è semplice: usate parole italiane poco conosciute e soprattutto sorridete! Pen-seranno che stiate provando a spiegare qualcosa di bello e divertente. L’arma del sorriso deve essere usata senza moderazione, poiché può risolvere situa-zioni scomode e inaspettate.Attenzione! Molto probabilmente, se qualcuno si avvicina chiedendo i docu-menti non si tratta di un doganiere ma di un truffatore “le-galizzato”. Se tenta di farvi credere di essere un ufficia-le cercate attorno a voi qualcuno con alti gradi in divisa e domandate se stia dicendo la verità. Questo eviterà mol-te attese e problemi.Inoltre se durante il tragitto conosce-rete amici inglesi, abbandonateli pri-ma della dogana: nessuno capirà mai la loro pronuncia o dialetto, loro non si sforzeranno di far-si capire e si creerà solo una grossa con-fusione.

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dISPACCIO quAttRO

Km 7000 - 7600 | 2 giorniTurkmenistan

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Non appena usciti dall’Iran ci sentiamo immediatamente depauperati di tan-ta cortesia e generosità, venendo brutalmente catapultati in una realtà com-pletamente diversa: il Turkmenistan.Tramite una costosissima lettera d’invito ci viene concesso l’immenso privi-

legio nonché il grande onore di poter sol-care il preziosissimo suolo turkmeno con le nostre indegne spoglie.I severissimi doganieri, armati di fiaschetta piena di vodka, ci sottraggono altri trecen-to dollari per incomprensibili tasse e dazi vari (disinfestazione, compensazione ben-zina, disturbo alla quiete pubblica, ecc...).Ci viene inoltre richiesto di tracciare su una mappa l’itinerario che effettueremo per lasciare prima possibile e in maniera indolore questo angusto e inospitale paese. Atmosfera Orwelliana, disagio puro.Il clima è quello di uno stato di polizia: po-sti di blocco ogni cento km, gendarmi ed esercito ovunque, infinite registrazioni su polverosi libroni, telecamere, microspie, controllo della posta e censure varie!Seguendo l’unico cartello stradale presente in tutto la nazione, riusciamo a raggiunge-re Asghabat, capitale fantasma sterilizzata dal suo dittatore, monumento al regime.Lungo i larghi e vuoti viali si susseguono sfilze interminabili di palazzi bianchi e di-sabitati, alternati ad enormi parchi in cui nessun bambino va a giocare e a enormi centri commerciali svuotati di ogni pre-senza umana. In quello che stentiamo a definire un centro città, gli edifici governa-tivi, tronfi e ridicoli, quasi irreali, posizio-

nati casualmente tra un grattacielo e l’altro, trasmettono l’idea di una gran-dezza senz’anima, senza meriti, autoreferenziale.

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Molti paesi, anche quelli più civilizzati, sono affetti dal fenomeno della cor-ruzione. Può capitare di essere fermati da un poliziotto che millanta violazio-ni di limiti di velocità inesistenti, infrazioni di regole non segnalate e fermi di giorni o settimane del vostro mezzo. Qualunque sia la vostra colpa, la loro soluzione è chiedervi soldi e cercherà sempre di prenderne quanti più ne avete. In questo caso è utile avere con se due portafogli (o anche più). Quello scelto per contenere la “mazzetta” dovrà: sempre essere ampiamente visibi-

Di notte si avverte maggiormente l’abbandono di Asghabat: le uniche crea-ture che si aggirano come fantasmi nel buio decadente delle piazze silenziose sono poliziotti e soldati, impassibili protettori del muto marmo imperiale.L’ansia e il disagio sono tangibili, cosicché leviamo le tende al sorgere del sole, destinazione deserto di Karakum, l’altra faccia del Turkmenistan, meno appariscente e falsa, certo, ma tuttavia selvaggia e inclemente: un crudele mare di sabbia adagiato su un’enorme giacimento di petrolio.Cinquecento km di perfetto nulla infiammato dal sole, in cui trovano sollie-vo soltanto gli indifferenti dromedari, fatta eccezione per quel fenomeno na-turale puntualmente chiamato “le bocche dell’inferno di Darvaza”1, un trion-fo di fiamme la cui visione avrebbe culminato di certo la nostra metaforica (ma non troppo) discesa agli inferi, che purtroppo ci è preclusa dall’eccessiva onerosità della guida locale.Poco resta da dire sulla nostra permanenza in questo nulla cosmico, in cui l’indolenza con la quale il popolo si lascia soggiogare da uno spietato tiranno sembra testimoniare la vacuità dell’intero sistema. Gli ultimi km prima del confine sono il degno coronamento a tre giorni da dimenticare: una strada in orrende condizioni e mal curata come in pochi altri stati ci accompagna fino alla dogana dove, con animo quanto mai ben disposto, ci apprestiamo ad entrare in Uzbekistan...

1 Nel cuore del deserto del Karakum, si trova un’attrazione creata dall’esplorazione umana ed alimentata dalla natura. Si tratta del cratere di Darvaza, denominato dalle popola-zioni locali “La porta dell’inferno”, largo 60 metri e profondo 20. Un gruppo di geologi Russi, cercando gas, si avvicinò nel 1971 e vide la terra sotto la loro attrezzatura di trivellazione crollare creando un abisso. A causa della minaccia dei gas nocivi per i villaggi della zona, i geologi decisero di infiammare il cratere che perdeva gas, finendo per accendere il più grande barbecue mai conosciuto dall’uomo. Da allora il cratere brucia senza sosta proprio a causa di questi gas.

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Odio e senso di disagio. Una generazione viziata come la nostra, addormen-tata da anni di bambagia ed addomesticata da una democrazia paternalista, non ha mai dovuto affrontare un ostacolo simile, una violazione cosi immane di ogni naturale diritto all’autodeterminazione, alla libertà, alla vita persino.Il Turkmenistan è un deserto tanto morfologicamente quanto socialmente: le persone vagano casualmente tra i bianchi grattacieli di Asghabat, spaesati da un’urbanistica in continuo mutamento, circuiti da una dittatura barbara e asfissiante... Non respiro...Tra le dune spazzate da un vento bollente nessuno è realmente solo: telecamere, intercettazioni, filtri internet, involgono la vita di tutti i giorni e si stringono come un cappio attorno alle gole essiccate di questo popolo suddito. Non voglio più incontrare poliziotti spietati, soldati meccanici, controlli maniacali, non vo-glio pensare che la quotidianità sia plagiata da un vile e sanguinario despota, non voglio pagare profumatamente l’ingresso in un luogo simile, cosi prossimo all’inferno che defluisce dalle sue infuocate porte desertiche. Uscendo dalla do-gana tiro un sospiro di sollievo... Non potrà che andare meglio da qui in avanti.

le sul cruscotto, contenere una piccola quantità di denaro (possibilmente dollari, valuta molto ambita) ed avere una carta di credito (possibilmente vuota) in bella mostra. Il difficile sarà far capire di avere solo quelle poche monete e di utilizzare la carta di credito esclusivamente per negozi e spese varie: alla fine l’ufficiale sarà costretto ad “accontentarsi” di quel poco.P.S.: L’altro portafoglio contente tutti i soldi nascondetelo sotto le valigie, sarà nascosto e al sicuro da occhi e mani indiscrete.

Portafoglio corrotto

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“No shy”: con queste due semplici parole si può riassumere tutto l’animo generoso e ospitale del popolo uzbeko, sicuramente quello che ha reagito meglio all’indipendenza sovietica aprendosi al resto del mondo, pur mante-nendo vive le proprie tradizioni.La prima città da noi visitata è Khiva, fantastica roccaforte di sabbia e paglia circondata da un’irreale atmosfera di stasi temporale.La leggendaria sede dei mercanti di schiavi al centro della via della seta viene protetta dall’erosione del torrido deserto da una spessa muraglia di sabbia e mattoni che le dona una lucentezza eburnea e regale.L’interno non è da meno, con un magnifico minareto blu che emette rifles-si nella calda sera e con le ceramiche colorate ad adornare le innumerevoli moschee.

dISPACCIO CInqueKm 7600 - 8700 | 7 giorni

Uzbekistan

Nota dolente: la strada da Khiva a Bukkara, nell’interminabile deserto, è un agonizzante deambulare tra crateri di cui non si vede il fondo, macigni e continue deviazioni tra le dune irrego-lari.Il team è alla frutta, ma, di fronte al mi-raggio di una corroborante birra rige-nerante, trova lo sprone e termina l’im-presa.All’ombra delle secolari medrese1 si pa-lesa la più grande manifestazione di ospitalità mai ricevuta in tutta la nostra vita.Cimentatici in un ardua sfida contro la vodka, che non avremmo mai potuto

1 Madrese o madrasa, è un termine che in arabo significa “scuola”

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vincere, veniamo soccorsi da Akbar, un giovane sbevazzone locale.L’inglese non è il suo forte e la conversazione procede per lo più a gesti, ma con la vodka è un drago e ce ne offre una seconda bottiglia per festeggiare il suo presunto e imminente matrimonio, che definisce regale e sfarzoso.I ricordi della serata si fanno man mano oscuri e frammentati; l’unica certez-za è che l’indomani ci svegliamo con un grande mal di testa nella colorata e variopinta stanza degli ospiti della famiglia di Akbar. Di lui nessuna traccia.Al suo posto troviamo il resto della famiglia che in una girandola entropica di eventi ci porterà dal posare in numerose foto con figli e parenti vari fino all’offerta di una lauta e inaspettata colazione fatta in casa.Quando ormai il carosello sembrava essere giunto al termine, ecco che spun-

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ta dalle retrovie la sorella di Akbar che, con il suo ottimo inglese, ci accom-pagna nella caotica ricerca di un meccanico per Riccarda, rimasta con le sospensioni a terra. La missione non ottiene il successo sperato.Non soddisfatta, si offre di accompagnarci nella visita della città, illustran-doci tutto lo spessore architettonico di Bukkara, una perla del deserto che trasmette spiritualità e misticismo da ogni ceramica.Una volta terminato il giro turistico ci attendono altre sorprese. La generosa famiglia ci offre un pasto degno del gran visir e mette a nostra disposizione letti e docce in totale libertà e spontaneità, rispondendo ad ogni nostro dub-bio o diffidenza con le semplici parole “no shy”.La ragazza ci spiega con immane serenità ed accettazione che suo marito ora è con Allah, mentre stringe tra le braccia il giovane figlio, uno scatenato bambino con occhi di colore diverso.È in loro compagnia che trascorriamo il resto della giornata, destreggiandoci tra le tutt’altro che sicure giostre di un malmesso e fatiscente luna park.Al nostro rientro il fratello più giovane della famiglia, Anwar, per farci sen-tire più vicini a casa fa partire orgoglioso, utilizzando un impianto video da anteguerra, il DVD di un pessimo horror americano di serie B, doppiato in russo ma con sottotitoli in inglese. Abbiamo anche il nostro primo incontro informale con il celeberrimo plov, un delizioso agglomerato di riso, carne e verdure.L’indomani lasciamo a malincuore i comodi tappeti e la cordiale famiglia, con Akbar che fa di nuovo capolino per darci l’ultimo saluto.Si riparte, abbandonata la bambagia, in direzione di Samarcanda!Lungo la strada decidiamo definitivamente che per Riccarda è giunta l’ora di un bel pit-stop: il nostro fiero mezzo di trasporto sobbalza ferito su ogni buca, anche la più minuta.Arrivati a Samarcanda, ci destreggiamo affannosamente alla ricerca di un dottore per le povere e malmesse sospensioni, ma la missione è tutt’altro che agevole. Dopo vari tentativi facciamo capolino in una sperduta e scalcinata officina, ove, sommersi dal solito sciame di curiosi, scopriamo con immenso dispiacere che i pezzi per riparare Riccarda non sono mai stati reperibili in territorio uzbeko.Lo sconforto è dilagante e contagioso!Per alleviare le nostre pene ci concediamo il lusso di dormire in ostello in compagnia di altri team. Ed è proprio qui che, con il prezioso aiuto dei “We go of nothing”, entriamo in possesso di un paio di ammortizzatori che po-

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trebbero calzare a pennello alla panda, riaccendendo la speranza perduta.L’indomani ci dirigiamo con rinato entusiasmo all’officina del giorno prece-dente.Purtroppo l’esito risulta ancora negativo... Quando tutto sembra realmente perduto, i nostri impavidi e geniali meccanici covano inaspettatamente l’idea del secolo che potrebbe ridare vita alle ormai defunte sospensioni.Si taglia, si filetta, si ricarica (operazioni alchemiche)... ed il gioco è fatto!Lasciamo Riccarda nelle loro esperte ed affidabili mani sperando nel buon esito dell’operazione.Durante l’interminabile attesa, veniamo, in maniera inaspettata ma non trop-po, invitati a mangiare insieme all’intera officina: per la seconda volta le nostre bocche vuote vengono a contatto con il paradisiaco plov, condito riccamente con carote e ceci e accompagnato da pane e soprattutto vodka per festeggiare il compleanno di uno dei meccanici.Tra sorprendenti e inusuali conversazioni passiamo uno splendido pomerig-gio in compagnia di questi curiosi ma gentilissimi personaggi.Spicca tra di loro il capo officina: elegante uomo di mezza età, abile cacciatore dallo sguardo impenetrabile e “Ras” del quartiere, il quale ci mostra con im-menso orgoglio la testa di un povero lupo che ha avuto la sfortuna di incro-ciare il suo cammino.Riparato al meglio il danno, visitiamo la mitica e leggendaria Samarcanda: la capitale di Tamerlano è all’altezza di poemi e canzoni che ne lodano la mae-stosità; ogni elemento si combina alla perfezione per regalare al tramonto la sua perla più fulgida.Il meritato riposo all’ombra della tomba del grande sovrano viene interrotto da due simpatici poliziotti che ci invitano cordialmente a sloggiare per evitare guai con la legge. Via verso Tashkent allora, a risolvere una montagna di in-ghippi burocratici2.Come ogni capitale che si rispetti anche Tashkent si rivela soltanto un’accoz-zaglia informe di edifici anonimi e di piazze vuote sorvegliate devotamente da un numero esorbitante di forze dell’ordine.Il dramma legato ai visti giunge al suo apice (come direbbe Elio, “una lacrima sul visto”): quello uzbeko non si può prolungare e le sempre efficienti amba-sciate italiane come al solito non sanno nemmeno con quali nazioni confini il loro stato di competenza.2 Causa scontri nella regione del Pamir, dove hanno perso la vita 42 guerriglieri, sono stati interdetti i passaggi dalle dogane confinanti con Uzbekistan e Kirgikistan.

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Come degli intrepidi e spaesati eroi omerici, decidiamo di sfidare il destino ed entrare impavidi in Tajikistan, nonostante i venti di guerra soffino forti.La sera, prima di varcare la porta per l’ignoto, ci accampiamo in un sperduto e isolato campo di meloni, dove veniamo intercettati dal proprietario che, in maniera non più inaspettata, ci invita a raggiungere in resto della famiglia che si sta raccogliendo intorno ad una tavola improvvisata in mezzo ai campi per mangiare nientemeno che il prelibato plov.Alla luce di una lampada ad olio, ci ritroviamo in compagnia di un’eteroge-nea combriccola di uzbeki sorridenti e spensierati, tra cui un vecchio che ricorda uno sciamano americano e un ragazzo ubriaco dagli occhi spenti.Tra risate e bagordi notturni terminiamo la serata in un motel poco lontano dal campo di meloni, in cui ci viene offerta una sistemazione arrangiata.In mattinata l’indomita Riccarda procede a grandi falcate verso il confine di uno stato in fermento..Nella magnifica settimana passata in Uzbekistan ogni torto subito ad opera del fato è stato bilanciato da un’altrettanto incrollabile manifestazione di ge-nerosità gratuita e spontanea.Immensa lode agli uzbeki... e al plov!

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NO SHY – Non vergognatevi!Queste due semplici parole sono state le parole più forti e importanti ascoltate durante il nostro viaggio. Nonostante abbiano rappresentato fin da subito la nostra filosofia di viag-gio, ovvero ”mai rifiutare un invito”, qualcuno è riuscito ad esortarci ulte-riormente a non vergognarci e ad accettare incondizionatamente ciò che ci veniva offerto.In un viaggio in terre lontane non vi vergognate di chiedere aiuto o farvi aiutare, accettate ogni “offerta” anche se sapete fin da subito che finirà per cambiare tutti i vostri piani, perché ne varrà sicuramente la pena: cono-scerete le vere usanze locali, i veri sapori ma soprattutto le persone nel loro ambiente, scoprendo realmente il loro animo e la loro natura.E ricordate: più sono buffe, strambe ed incomprensibili, maggiore sarà la soddisfazione di conoscerle.

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“Passo tre giorni e due notti nella casa di una famiglia uzbeka a Bukhara: perfetti sconosciuti incontrati casualmente per un uno strano concorso di eventi che ci ha portato a bere vodka in un locale appartato.Telefono a mia madre per informarla di una tal fortuna ma dall’I-talia, a migliaia di chilometri ed anni di distanza, mi sento rispon-dere con preoccupazione di stare attento, di non fidarmi di gente che ti ospita senza fare domande, ti offre da mangiare e ti guarda con occhi luccicanti dalla curiosità.Dopo aver ricevuto un trattamento regale, totalmente spontaneo, che non abbiamo dovuto minimamente contraccambiare, travolti da un’esplosione di generosità, ce ne andiamo così, leggeri e felici, consapevoli di essere capitati in un mondo parallelo, rovesciato.Tra un piatto di plov e della frutta secca si scioglie ai nostri piedi l’animo trasparente dei nostri benefattori: la loro apertura ingenua, la semplicità con cui conducono vite fatte di stenti eppur dignitose, i matrimoni imposti, le tradizioni secolari.Cosa si provi ad essere come gli uzbeki di preciso non lo so, però c’è una piacevole rassegnazione nei loro sguardi; la colgo quando gli parlo di piaceri, ricchezze, abitudini occidentali che non potranno mai possedere, o quando vengono a sapere che da noi ci sposiamo quando vogliamo; eppure nessun segno di rimpianto in quei volti color indaco, come le ceramiche che ornano le moschee di Bukhara, scintillanti al tramonto...”

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dISPACCIO SeIKm 8700 - 11600 | 6 giorni

Tajikistan – Kirghizistan

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Rinfrancati e riposati, ripartiamo in direzione Tajikistan, croce e delizia dei nostri pensieri, del quale, vista l’impos-sibilità di transitare nel Pamir, viene ri-dimensionata l’importanza prendendo la decisione di passare a nord ed evitare in tal modo Dushambe, la capitale in fermento, ed immergerci il prima pos-sibile in territorio kirghiso.La missione è ardua!Siamo costretti a transitare in un terri-torio groviera, fulcro di continue riven-dicazioni geografiche, dove i confini, costituiti da molte enclavi, non hanno una reale logica e sono in continuo spo-stamento.Ad aumentare le difficoltà e i dubbi del team è la completa mancanza di queste strade sulle cartine in nostro possesso, lasciandoci in balia di sparute notizie elemosinate a viaggiatori e forze dell’or-dine che narrano l’esistenza di una mi-steriosa strada percorsa soltanto da av-venturosi tassisti in cerca di scorciatoie.Superiamo faticosamente la lentissima dogana uzbeka, a causa di ispettori apa-tici e solerti che permettono l’ingresso di un solo veicolo alla volta (per non andare in confusione), ed entriamo in quella tagika, dove veniamo pesante-mente depauperati per una presunta disinfestazione alle ruote.Superata da poco la frontiera, Riccarda ha un malore improvviso: e senza una valido motivo smette di camminare e si spegne. Il panico dilaga, anche a causa della scarsa conoscenza dell’italica tec-

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nologia da parte dei meccanici locali.Infine, dopo grandi manovre e un supporto telefonico dalla patria, si scopre l’arcano: un fusibile era saltato a causa dell’acqua sparata sulle nostre ruote in dogana.Una volta a Hodjan dobbiamo fare i conti con quattro giorni di inattività forzata, in attesa della validità del visto kirghiso: il primo giorno trascorre indolente tra l’osservazione degli allenamenti di una sgangherata squadretta di calcio locale, mentre ci gustiamo un dolcissimo melone-banana, il secon-do villeggiando sulle sudicie sponde dello “Stinky lake”1, dove, noncuranti dell’inquinamento dell’acqua, ci concediamo un bagno ristoratore con tanto di shampoo. Le critiche condizioni del team stimolano l’animo sensibile di un pescatore che ci invita a godere dell’ennesimo pasto gratuito, stavolta a base di pesce fritto.Il terzo giorno lo spirito avventuriero del team straripa in tutto il suo giovane vigore e spinge il gruppo, oramai stanco della sedentarietà, ad affrontare la dogana successiva con due giorni di anticipo. La fortuna per la prima volta sembra sorriderci in quanto attraversiamo senza ostacoli una barriera mal-messa e poco trafficata.Siamo in Kirghizistan, terra che si appresta ad essere lo scenario di un’audace impresa, degna di menzione in una guida turistica di fama mondiale. Dalla cittadina di Batken partiamo alla ricerca della misteriosa via per Osh seguen-do i vigorosi “PRIAMA”2 dei soliti avventori, grida accompagnate da vistosi movimenti delle braccia.Il percorso sembra esistere veramente e, come dei ribelli afghani, riusciamo a zigzagare evitando gli inutili posti di confine e le recalcitranti burocrazie.Il tratto di strada che ci apprestiamo a percorrere pare essere finanziato da un misterioso fondo Europeo e costruito dall’instancabile manodopera cinese.Per la notte ci fermiamo in uno sperduto paesino lungo la strada, un portale vivente aperto sulla Cina: popolazione con gli occhi a mandorla e linguaggio imperscrutabile. Con sorprendente anticipo giungiamo ad Osh in scioltez-za... missione compiuta!Dopo esserci dilettati a mercanteggiare nel grande e rinomato bazar, decidia-mo di riprendere l’incessante marcia in direzione Bishkek.1 Non vi preoccupate non siamo stati al vero Stinky lake in Ontario, ma si tratta del soprannome dato per ovviare all’impronunciabile nome del lago presente nella riserva Kau-pakkymckoe Boooxèpahunuwe Karaikum2 Letteralmente “dritto” in russo, incitazione più che indicazione stradale.

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Lungo la strada veniamo abbordati da un simpatico ragazzo incamiciato che, in compagnia dell’anziana mamma, ci offre una birra dandoci il benvenuto nella sua remota contea.Attraversiamo paesaggi mozzafiato, valichiamo passi remoti di enormi mon-tagne innevate scosse dal vento, tra yurte e cavalli al pascolo, giungendo in-fine, con il cuore colmo di gioia, a Bishkek, capitale rumorosa e geometrica.Stanchi e deperiti per il lungo viaggio, decidiamo di rifugiarci in un ostello per riacquistare parte delle forze perdute.Veniamo aiutati da una volante della polizia nella ricerca dell’introvabile No-mad Hostel, remoto e fatiscente rifugio di backpackers e bikers alla deriva.Qui facciamo la conoscenza di una simpatica coppia, lui diciannovenne olandese, lei studentessa slovena all’università di Venezia, con cui passiamo una piacevole serata tra vodka e risate.Il giorno dopo, all’alba di mezzogiorno, decidiamo di levare le tende e di passare a salutare un cuoco italiano conosciuto su internet: il buon Walter.Pesarese di origine, conduce una vita da single rampante di mezza età ge-stendo al meglio un ristorante italiano a Bishkek, discutendo animatamente con il suo tuttofare autoctono tramite improperi conditi da varie turpitudini.Al “Bella Italia” incontriamo anche un simpatico e generosissimo duo bre-sciano, che, a causa della chiusura del Pamir, ozia allegramente in compagnia

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del pittoresco chef. Dopo i saluti di rito riceviamo una generosa donazione a fondo perduto, che rimpingua le ormai vuote casse del team.Di nuovo sulla strada, si parte in direzione del Lago di Issyk Kul, con l’in-tenzione di trascorrere qualche giorno sulle sue rive, per poi attraversare il remoto confine orientale col Kazakistan.Questa visita al lago si rivelerà un ricettacolo di brutte sorprese: dapprima siamo costretti ad elargire una considerevole e inappropriata gabella per pre-servare la ricca biosfera locale, poi, durante la notte, veniamo svegliati da un focoso e alticcio gruppo di giovani quadrumani troppo sviluppati del posto, guidati da un orgoglioso membro delle forze dell’ordine (sbronzo anch’egli), che continua a mostrarci spavaldo le mostrine con cui è decorato con l’inten-zione di spillarci danari, mentre il resto del gruppo si dedica a un’ancestrale danza attorno a Riccarda.La situazione degenera quando il leader del gruppo precipita rovinosamente sulla nostra tenda, perdendo il suo cellulare. Dopo averci tenuto in scacco per più di un’ora, i pochi ragazzi sobri riescono a placare gli animi e a trasci-nare via il resto del branco.Come se non bastasse, il giorno seguente apprendiamo da un team norvege-se, la cui macchina è stata disintegrata da un’altra auto guidata da ubriachi, che la frontiera verso cui ci stavamo dirigendo è stata appena chiusa per

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A sangue freddoQuesto trucchetto è più che altro un consiglio sul modo di comportarsi. Se ci si trova in situazioni spiacevoli (come può esserlo un gruppo di ragazzetti ubriachi) bisogna saper mantenere il controllo e avere sangue freddo.Mostrare di non aver paura e di non voler accettare le loro assurde richieste è un ottimo sistema per non farsi sopraffare e intimorire; bisogna però fare attenzione a non esagerare e a non rendersi aggressivi.Isolare i facinorosi e parlare con i più tranquilli è la soluzione migliore. D’al-tronde ricordate, si viaggia in paesi che hanno delle leggi... anche loro temo-no problemi con le autorità.

qualche ignoto e incomprensibile capriccio burocratico. Si fa dietrofront celermente e si torna a Bishkek di volata per provare a varca-re il confine occidentale; enorme dispendio di carburante e tempo.Dulcis in fundo veniamo defraudati degli spiccioli rimanenti (destinati a succulenti Samsa3) da un tarchiato e goffo ufficiale, che sghignazza avida-mente pregustando il furto impunito.Prima di entrare in Kazakistan abbiamo un profetico incontro con un folta carovana di team stranieri con cui ci accingiamo a varcare il confine in anti-cipo di un giorno sulla tabella di marcia...

3 Panzerotti fritti, con all’interno carne e cipolla

Il Pamir era una delle mete obbligate del viaggio, una di quelle imprese destina-te a cambiare per sempre le vite di chi le compie, e dovervi rinunciare per cause di forza maggiore è stato un duro colpo. Il fatto che una guerra vera e propria stesse infuriando a poche centinaia di chilometri da noi ha stravolto i nostri piani. La paura degli scontri ha ceduto il posto alla delusione di un noioso per-corso obbligato in mezzo alle anonime campagne tagike, popolate da contadini cantautori e abili pescatori fluviali. I due giorni trascorsi in riva ad un lago decisamente inquinato sono serviti a ripercorrere quanto accaduto in precedenza, pensando al rischio corso ad en-trare in una regione sotto assedio, sullo scampato pericolo e sul nostro incerto futuro. Il tramonto si riflette nelle acque salmastre, il pesce appena pescato sta friggendo in una pentola rudimentale e noi sediamo sulle rocce calcaree a guar-dare l’amo tuffarsi tra i flutti...

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dISPACCIO SetteKm 11600 - 13500 | 6 giorniKazakistan

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In compagnia degli amici ralliers ci apprestiamo a varcare il confine ka-zako, sperando nella buona sorte, dato che il nostro visto non sarà valido prima dell’indomani.Scopriamo con estrema gioia che il gruppo è guidato da un indaffarato e simpatico ragazzo kirghiso che, mostrando abilità e notevoli conoscenze, ci fa scavalcare le interminabili file di frontiera.Purtroppo la procedura si complica e, dopo un’interminabile contratta-zione in bui e freddi uffici sovietici, veniamo finalmente spediti in Kaza-kistan, con l’obbligo di presentarsi il giorno seguente all’ufficio immigra-zione per il prolungamento del visto.Khrychev ci promette il suo aiuto, chiedendoci di contattarlo il giorno successivo per le infauste pratiche.Noncuranti dei pericoli che ci aspettano ad Almaty, procediamo spen-sierati insieme all’eterogenea comitiva in direzione della vecchia capitale.Lungo la strada si aggiunge al gruppo un team di scapestrati australiani, i quali, fregandosene altamente del codice della strada, ci scortano fino al centro di Almaty, dove consumiamo allegramente un misero pasto susci-tando la pietà persino dei nostri compagni di peripezie.Purtroppo, visto i nostri impegni inderogabili ad Almaty, dobbiamo la-sciare a malincuore la carovana e siamo costretti ad accamparci in una remota e buia zona periferica in attesa del giorno seguente. Mai scelta fu più dannosa!Durante la notte veniamo derubati di tutti i nostri soldi, e, come non ba-stasse, veniamo controllati e interrogati nel pieno dell’oscurità da sospet-tosi e inquietanti poliziotti. Alle prime luci constatiamo il furto ormai avvenuto: il morale del team non è mai stato così basso!Come cani bastonati ci dirigiamo strisciando verso l’ufficio di Khrychev per cercare di risolvere la questione “visti”.Passeremo l’intera giornata negli uffici della “Alfert”, società di spedizioni internazionali molto ben avviata, venendo coccolati dai suoi occupanti.Il buon Khrychev si rivela essere il capo e leader indiscusso della compa-gnia: kirghiso di nascita, ha studiato economia a Mosca e si è trasferito con moglie e figlio ad Almaty per amministrare questa fiorente attività.Dapprima invia un suo uomo fidato con i nostri passaporti all’ufficio im-migrazione dove resteranno per l’intera giornata in attesa di approvazio-ne, poi ci offre tè con biscotti e ci insegna a giocare ad un particolare e divertente gioco iraniano. Infine, come se non bastasse, invita il team a pranzare insieme a tutto l’ufficio.La generosità di Khrychev arriva a livelli incredibili: prima ci elargisce una considerevole somma di denaro per sopperire al furto della notte pre-

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cedente, poi ci regala simpatici e utili gadget griffati della ditta.È solo in tarda serata che giunge la fatidica notizia dell’elaborata appro-vazione del prolungamento del visto. La procedura era così complessa da richiedere un’intera giornata, tempo poi liberamente modificabile a di-screzione della somma data dal richiedente.Dopo la solita e immancabile foto di rito salutiamo tutti e ci allontaniamo da questa caotica e ingenerosa città.Il Karma ha riportato l’equilibrio: alle angherie subite sono stati contrap-posti atti di enorme generosità, che ci hanno restituito la fiducia nel pros-simo.Nei restanti quattro giorni cerchiamo di colmare il gap che ci separa dal confine russo, percorrendo i più di milleseicento km di landa kazaka tra steppe desolate e nulla totale, in cui l’unica compagnia sono gli onnipre-senti pascoli di cavalli e mucche.Gli unici insediamenti umani che incontriamo risultano essere poveri ed informi conglomerati urbani, dove il cemento e il degrado sovietico dila-gano, e piccoli borghi composti da fatiscenti e squallide catapecchie.All’alba del 18 agosto raggiungiamo con fatica le porte della grande madre Russia e ci immergiamo senza indugi in Siberia, una delle più grandi e dimenticate fette di terra e di umanità dell’intero pianeta.

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Restare in connessioneQuando si viaggia una delle necessità principali è di comunicare ai propri cari che si è ancora sani e salvi, e aggiornare chi vi sta seguendo da casa sulle vostre mirabolanti avventure.Il metodo più economico e comodo è comunicare via Internet. Nelle princi-pali città europee e internazionali, non è difficile ottenere l’accesso a Internet. La scelta è ampia. In bar, fast-food, ostelli, stazioni e in altri locali pubblici è facile trovare connessioni wi-fi gratuite. Ma, quando si è talmente tirchi da non volersi fermare in un bar o la tipologia di viaggio non permette molte soste in ostelli, o più semplicemente non si ha l’attrezzatura per allacciarsi alla rete, il metodo migliore è quello di “scroccare” la connessione nei numerosi centri commerciali, ormai distribuiti su tutto il territorio. Ogni centro com-merciale degno di questo nome ha al suo interno un negozio di prodotti tec-nologici, ed almeno l’80% di questi ha in esposizione computer, o simili, con accesso a internet. Una volta individuata la postazione, non preoccupatevi degli sguardi straniti dei passanti e dei commessi, procedete con noncuranza verso l’obiettivo e con tranquillità olimpica mandate mail e foto ai vostri cari. P.S.: Non vogliamo fare pubblicità, ma consigliamo i negozi della mela: non fanno problemi se inserisci la chiave USB o se passi tanto tempo sui loro inarrivabili e delicati computer.

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Lascio questa immensa terra di passaggio consapevole di aver ricevuto una lezione di generosità e umanità fuori dal comune.Per la prima volta siamo stati raggirati e de-rubati da loschi figuri nel pieno della notte, quando i nostri corpi inerti giacevano soavi tra le calde ed ospitali braccia di Riccarda, eppure siamo usciti dal Kazakistan con il sorriso in bocca.Sorridevo vedendo in TV uno strano tizio che cercava a tutti i costi di rimediare ai propri errori in nome del karma. Mai pri-ma, come oggi, ci interroghiamo seriamente sul karma, sul significato e sulla sua reale esistenza.Per noi il termine karma indica per lo più il principio di causa-effetto, un principio di concatenazione secondo il quale ogni azio-ne provoca una reazione.Ed effettivamente durante il nostro viaggio siamo rimasti piacevolmente colpiti da que-ste coincidenze, tant’è che ad ogni situazio-ne di bisogno abbiamo incominciato spon-taneamente a prestare soccorso e sostegno a qualche sfortunato avventore della strada, che prima non avremmo nemmeno notato.Molte volte non si è in grado di ricambiare in giusta misura ai favori ricevuti, ma cre-diamo fortemente nel karma e nel suo per-suasivo e mistico modus operandi.Quando torneremo in Italia, anche se l’aiu-to che cercheremo sarà minimo, non smette-remo di aiutare gli altri perché prima o poi senza volerlo qualcuno contraccambierà.

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Abbandonato il tiepido e desolato Kazakistan, ci accoglie l’algida Siberia, con le sue sterminate foreste di betulle ed i suoi burberi e austeri abitanti.Rimaniamo colpiti dalla vastità degli spazi siberiani, una terra immensa e isolata, una fetta di terra abbandonata al suo destino, un’estrema provincia dimenticata dalla grande madre Russia.La gente sembra scaldarsi facilmente, forse anche per difendersi dal clima ri-gido, ma in realtà ha un cuore grande come le sue pianure: il benzinaio con il quale stentiamo ad esprimerci per mettere benzina ci omaggia di un insolito e inaspettato regalo, una pianta grassa mezza moribonda che verrà battezzata Siberia, che ci accompagnerà nel resto del viaggio.Ansiosi di testare la bontà del legname autoctono, ci accampiamo in riva ad un fiume gelato per accendere un quanto mai necessario fuoco su cui cucina-re una pseudo-carne di un qualche animale a noi sconosciuto.Nonostante sia piena estate, la notte risulta la più dura di tutto il viaggio, con temperature che scendono abbondantemente sotto lo zero.Infreddoliti e acciaccati, la mattina ci dirigiamo verso l’ultimo baluardo pri-ma della grande meta: il tanto temuto confine russo-mongolo di Tashanta.Qui vengono confermati i peggiori auspici che vogliono queste due popola-zioni come grandi lavoratrici: il confine è chiuso per tutto il week-end!Sconsolati stanziamo in auto in attesa dell’apertura, mentre alle nostre spalle cresce a dismisura la carovana di team del Mongol Rally, tutti rigorosamente e strettamente anglofoni.Sopravvissuti a un’altra notte al gelo, l’indomani bruciamo sul tempo gli altri ralliers e varchiamo spavaldi per primi la frontiera, salvo poi essere ripresi alla letargica e farraginosa dogana mongola.

dISPACCIO OttOKm 13500 - 16400 | 7 giorniRussia – Mongolia

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A peggiorare le cose intervengono due alticci australiani che, al culmine del-la sbornia, spaccano una bottiglia di vodka russa, dopo averla preso a morsi, scatenando le ire degli ingrati doganieri che colgono al volo l’occasione per far passare a tutti un’altra notte rinchiusi come pecore in un recinto, mentre veniamo sbeffeggiati da simpatiche caprette che girovagano libere al di fuori del recinto.Trentasei ore e diciassette dollari dopo, veniamo finalmente liberati e lasciati pascolare liberamente nel territorio mongolo.Come furie ci fiondiamo a tutta birra verso est, venendo abbagliati dall’im-mensa e brulla desolazione della steppa mongola, e folgorati dalle attrezza-tissime ed efficientissime autostrade mongole!Alla media iperbolica di trenta chilometri orari incediamo traballanti tra sabbia, sassi e crateri, disorientati dalla contemporanea presenza di un infi-nità di vie alternative e ugualmente sgan-gherate, tracciate col passar del tempo da ogni automobilista stanco di percorrere una via prestabilita e abbastanza corag-gioso da gettarsi nell’erba alta. Come se non bastasse il percorso viene reso ancor più impervio dalla presenza sporadica di gelidi e vorticosi fiumiciatto-li da attraversare, ovviamente non serviti da ponti.Riccarda raggiunge pendenze vertigino-se e profondità impensabili, ma riesce in maniera inaspettata a rimanere indenne ed a superare con slancio ogni ostacolo.Dopo aver attraversato Olgii ci dirigiamo di gran carriera verso Hovd, in compagnia di un simpatico team australiano, con cui affrontiamo diversi guadi e ci accampia-mo per la notte. Il giorno seguente raggiungiamo Hovd, dove ci concediamo una lunga e doverosa sosta condita da una meditazione all’in-terno delle sicure e invalicabili mura del Gandan Puntsag, il più grande monastero

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buddista della Mongolia occidentale.Illuminati e riposati ripartiamo alla volta di Altay, lasciando gli amici austra-liani alle prese con una gomma bucata.Con noncuranza e sprezzo del pericolo incombente ci apprestiamo a varcare il confine del temuto Deserto dei Gobi, inospitale e immensa porzione di sabbia rossastra e sassi aguzzi, dove ci ritroviamo a scorrazzare tra cammelli dal passo stanco e goffo, e ger isolate.Presentato come un infernale calderone, il Gobi si rivela, fortunatamente, meno temibile del previsto. Le strade non accennano a migliorare e Riccarda incomincia a perdere qualche colpo.Giungiamo disidratati e con il fiato corto ad Altay, dove ci lanciamo alla di-sperata ricerca di acqua fresca.Lungo la strada facciamo la conoscenza di un simpatico giovanotto che ci

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invita gentilmente a casa sua per riempire la tanica. Poco dopo scopriremo che in realtà casa sua non è altro che un ospedale gestito dalla madre: il Shogsh Hospital.Qui veniamo rifocillati con suutei tsai1, deliziosi buuz2 e per finire pane, bur-ro e zucchero.Per sdebitarci della magnifica ospitalità, doniamo l’intero reparto farmaceu-tico del team alla loro nobile causa, ricevendo infiniti ringraziamenti.

Finalmente entriamo in contatto con la Mongolia ospitale e amichevole da tanti decantata, e, subito dopo l’incontro all’ospedale di Shogsh, facciamo la nostra prima visita all’interno di una ger.Seguono i fatti: nel tentativo di abbandonare la città, sbagliamo completa-

1 Tè salato e latte2 Ravioli ripieni di montone e cipolla immersi in un succulento brodo di latte

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mente strada e ci ritroviamo dispersi nella desolata periferia di Altay.Intenzionati a chiedere informazioni, veniamo invitati da una generosa fa-migliola nella loro splendida tenda. In questo incantevole scenario creato da vivaci e coloratissimi tappeti floreali che costituiscono le pareti della loro abitazione, ci vengono offerte tazze di suutei tsai, yogurt (probabilmente di cammello) e pesanti spuntini chiamati aaruul3.

Il padrone di casa è vestito con i tipici abiti mongoli e noi ne approfittiamo per una foto insieme; anche la moglie per non essere da meno si fa bella e si veste a cerimonia.In tutto questo trambusto, fa capolino un incredulo e spa-esato bambino con gli occhi a mandorla che, spaventato dalla straniera presenza, si nasconde dietro alle celesti e premurose vesti della madre.Ripartiamo salutandoli in mongolo con la promessa di inviargli tramite posta la foto scattata.Vedendoci in difficoltà, e non soddisfatto dell’aiuto già offertoci, il padrone di casa decide anche di scortarci con la moto fino alla strada perduta, che scopriremo essere molto più bella di quella appena percorsa.Dopo pochi metri ci accorgiamo che Riccarda ha “be-vuto” un po’ troppa benzina: dal serbatoio sembra uscire qualche goccia, il team non riesce a capire se sia bucato o meno e decide di proseguire in questo stato. La strada ricomincia, dopo pochi chilometri di illusio-ne, ad essere aspra e impervia, con una nuova difficoltà: attraversare un ponte semi-crollato; anche questa volta Riccarda si dimostra all’altezza della situazione. Nella città di Bayankhongor decidiamo di aggiustare il serbatoio, ma questa si rivelerà un’impresa al di sopra della nostra portata: spiegarsi con i meccanici indigeni è praticamente impossibile e il famoso drop-off dell’orga-

nizzatore del Mongol Rally, un rifugio in grado di esaudire le nostre richie-ste, è di fatto introvabile con le scarne mappe forniteci e nessuno del posto che sa dove si trovi. Il team perde la pazienza e decide di proseguire fino a Ulaanbaatar senza 3 Formaggio secco, che si ottiene facendo sgocciolare il formaggio bianco, aggiun-gendovi latte fresco, sgocciolando nuovamente in una garza, e viene quindi tagliato a pezzet-tini e posto a seccare in vassoi di legno posizionati sul tetto della ger

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riparare il serbatoio. In attesa della tanto decantata strada asfaltata, il team si appresta a percor-rere gli ultimi duecento km di strada sterrata, concedendosi periodicamente delle soste per controllare lo stato del serbatoio. Proprio durante una di queste soste veniamo abbordati da una macchina locale che in cambio di una brevissima conversazione ci offre uno spuntino a base di mele, prugne, pomodori e deliziose caramelle. Mentre proseguiamo tra pascoli di cavalli, mucche e caprette col bavaglino, si invertono le parti e il team si ferma a soccorrere un’altra macchina rimasta in panne per via della batteria scarica. Per ben due volte li aiutiamo fino al sopraggiungere della rigida notte che ci impone una sosta nel deserto.Il giorno seguente, di buon ora, completiamo gli ultimi sofferti e intermi-nabili chilometri sterrati e raggiungiamo la tanto agognata Arvaikheer da cui, secondo la sopravvalutata guida, dovrebbe partire una scorrevole strada pavimentata per raggiungere la capitale.Dopo milleduecento km macinati su strade al limite della praticabilità, al team ne mancano solo altri quattrocento per giungere al grande obiettivo: Ulaanbaatar, meta finale dell’incredibile viaggio. Riccarda è allo strenuo delle forze ma si lancia con grande forza di volontà sull’irregolare lingua d’asfalto, verso la gloria...

“Siberia, sterminata e dimenticata fetta di nuda terra e di umanità.L’impatto con questa terra leggendaria è stato ottimo. Incredibile territorio di smisurata grandezza e di selvaggia bellezza, spazi verdi sterminati e la flebile sensazione di un immenso potenziale umano e naturale.La sacralità dello spazio rende strano e misterioso il nostro passaggio, come un gigante dormiente e sornione in attesa di un prossimo risveglio. Anche il popolo sembra consapevole della grandezza e della potenzialità, ma tuttavia si mostra stanco e svogliato, anche lui in attesa... Il freddo è pungente, come lo è la sensazione di impotenza che si ha di fronte a questo ‘Tutto’...”

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Il bivioIn ogni viaggio che si rispetti, che sia in auto, in treno, in autostop o a piedi, prima o poi arriverà il momento di scegliere la strada. Il primo consiglio è di chiedere informazioni alle persone del posto: conoscono strade sco-nosciute alle mappe, scorciatoie ma soprattutto conoscono le meraviglie e le curiosità del luogo. Se siete fortunati avrete delle guide speciali e molto spesso gratuite.Altro consiglio, diffidate assolutamente da tecnologie quali GPS o naviga-tori, affidatevi a cartine, mappe e bussola. Questo accorgimento non solo vi eviterà labirintiche escursioni senza fine, ma soprattutto vi darà la possibi-lità di avere un contatto maggiore con la popolazione della strada!Ricordate, nel caso vi troviate in mezzo ad una steppa deserta e inospitale scegliete dove vorreste andare, ecco l’altra via sarà sicuramente quella giu-sta!

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“Aspra ed ispida. Finalmente Mongolia.Dopo quasi due anni di estenuante preparazione ci ritroviamo catapultati in questa vasta e misteriosa terra, dove sembra che la civiltà e il “progresso” si sia fermato insieme all’asfalto.La mancanza di strade è imbarazzante. La desolazione del vuoto qui si sente in minor quantità rispetto a Kazakistan e Siberia, desolazione che sembra essere colmata dalla sacralità strabordante dello spazio.Immensi e infiniti altopiani privi di alberi, vengono circondati ed accerchia-ti da catene montuose che coronano magnificamente questo idilliaco quadro d’insieme.Sfrecciamo tra branchi di pecore, di cavalli liberi e selvaggi e ci accostiamo all’incedere goffo e stanco di cammelli e yak; unica contaminazione sono questi puntini bianchi che di rado si sdraiano nell’infinito verde, puntini che danno riparo a un popolo, che dopo il soggiogamento sovietico, sta cercando di ritro-vare un’identità nazionale, ripartendo dalle tradizioni che li hanno resi grandi.

Colpisce il divario e la netta contrapposizione che si per-cepisce nelle città, in cui ci cerca di emulare il peggio che ha da offrire l’occidente. È l’apice della contraddizione, data l’immensità degli spazi disponibili, contro la loro stessa natura sono di-ventati sedentari e materialisti; si raggruppano in cit-tà-calderoni ove i problemi vengono percepiti in manie-ra esponenziale.Per fortuna fuori città sopravvivono ancora abiti tipici, stili di vita e tradizione quotidiana di una volta.Credo fortemente che la chiave del successo di questo popolo sia il ritorno forzato alla tradizionalismo del quotidiano, cercando di modernizzare alcuni aspetti per ottimizzare e aumentare la produttività, naturalmente evitando il modello occidentale della capitale.Sovrappopolata, caotica, disordinata, impersonale e apatica.Ulaanbaatar, pezzo d’occidente in oriente...”

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Km 16400 | 5 giorniUlaanbaatar – Italia!

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dISPACCIO nOVe

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Dopo più di un anno di preparazione, di quaranta giorni di incessante ed estenuante stanco deambulare, il TEAMujin, con caparbietà e immensa gio-ia, si appresta a varcare il solenne e atteso traguardo del Mongol Rally 2012.Gli ultimi km sono costellati da inni di giubilo ed esaltazioni personali. Riccarda sembra ormai volare, i rumori sinistri sono solo un lontano ricordo ed il team si sollazza tra i ricordi e i pensieri di un viaggio indimenticabile.Impattiamo con violenza con la caotica e bucolica capitale venendo subito inglobati dal traffico incessante e maleducato dove, sgomitando con arrogan-za e spregiudicatezza, ci divincoliamo fino alla Finish Line.Ad aspettarci ci sarà una passerella d’onore, sulla quale Riccarda ascende nell’Olimpo delle macchine leggendarie, mentre i tre membri del team di-ventano a pieno titolo veterani e ammirati avventurieri!Qui termina l’avventura “on the road” del TEAMujin e si apre una parentesi di vita sedentaria a Ulaanbaatar, che vedrà il team dividersi, acquistare un nuovo membro e porgere gli estremi e malinconici saluti ad una compagna di viaggio insostituibile, indistruttibile, mai doma, eroica e spavalda... Ric-carda!È il momento del commiato.Trascorriamo i pochi giorni rimasti girovagando per le surreali, multietni-che e occidentali vie di Ulaanbaatar, capitale fantoccio di uno stato incoeren-te e disorientato. Si denota il marcato dislivello sociale di questa nazione, che ha per simbolo proprio la sua capitale, città in cui è riunita più della metà della popolazione totale.Abbiamo la fortuna di visitare il centro Lotus Children, dove purtroppo non troviamo i bambini; sono infatti al Summer Camp a gozzovigliare!Facciamo comunque in tempo a constatare l’ottima qualità delle strutture, venendo rincuorati dai gentilissimi volontari che svolgono un lavoro eccel-lente, strappando alla strada questi bambini e crescendoli in un ambiente protetto.Tra gustosissimi buuz e deliziosi khuurshuur, troviamo il tempo di incontra-re Bat, uomo d’affari ed esperto radioamatore, il quale ci mostra la sua sede e ci scorrazza, sul suo fuoristrada, per tutta Ulaanbaatar.Qui giunge al termine l’avventura del TEAMujin, che visibilmente dimagri-to, si appresta a rimpatriare da vincitore.WE MADE IT!

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Manuale del consumatore attentoLa parsimonia in viaggio è un esercizio di virtù, in questo trick vogliamo spiegarvi come gestire l’essere sedentario in una grande e costosa città me-tropolitana.Purtroppo l’essere sedentario, soprattutto in città, impone alcune condizioni che sembreranno entrare in conflitto con la filosofia espressa in questo libro.A volte, oltre che un obbligo, risulta essere conveniente, per ragioni di stan-chezza, di clima o di igiene, trascorrere la notte in un ostello e o in una pen-sione economica. È qui che il consumatore attento dà il meglio.La ricerca e la scelta della sistemazione per la notte sono un’arte raffinata e complessa, dove verrà presa in considerazione un moltitudine di variabili.Ricordate di scegliere ostelli o pensioni con la prima colazione compresa, a volte può risolvere il “problema” cibo per l’intera giornata.Valutate anche posizione e servizi offerti, prestate meno attenzione al lato estetico del complesso, e concentratevi sulle persone e sulle personalità che lo gestiscono.

Per quanto riguarda il mangiare, se non avete avuto la possibilità di depredare la colazione dell’ostello, ricordate che la cosa migliore è fare la spesa al supermer-cato, dove si cercheranno di scoprire i prezzi e i formati più convenienti.Evitate locali, ristoranti e altre “trappole per turisti”, posizionati in luoghi como-di da raggiungere, e vicino ad attrazioni turistiche. Allontanandosi di pochi metri dalla vie principali, sarà possibile trovare locali con prezzi più convenienti e sapori più decisi e tradizionali.Essendo un esercizio di virtù e sacrifi-cio, ma anche disorganizzazione e liber-tà, il viaggio non dovrà allontanarsi dai “precetti” che in questo volume abbiamo menzionato. Ricordate, il necessario è poco!

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“Sono in aeroporto, spaesato, mesto e cupo. Intorno a me vedo passare mongoli, siriani, cinesi, kazaki e qualche rallier.L’amarezza mi pervade. Il viaggio sta lentamente scivolando fuori dalle mie mani sporche di sabbia, fango, benzina e sudore mentre, intorno, la gente ha fretta, la gente corre per andare chissà dove sbiadendo nella luce soffusa.Ulaanbaatar mi ha lasciato abbastanza perplesso, dopo aver viaggiato per giorni in un’atmosfera di solitudine e silenzio post-apocalittici, fatta di pascoli e qualche tenda abbandonata al vento qua e là, l’impatto con una città caotica e frenetica non può che stonare con tutto ciò che stavo imparando della Mon-golia.Incontriamo il traffico, un’entità rumorosa dai contorni poco definiti con cui non facevamo i conti da almeno due settimane, e lo smog, una piaga che la Mongolia non si era mai trovata a dover affrontare prima.Mi aggiro per i sobborghi di primo mattino e trovo gli ubriachi, soli, a vomitare in un parco giochi, a bazzicare disperati per le piazze sporche e desolate, impe-gnati a provocare qualche sfortunato avventore per scaricagli contro la propria disperazione.L’idea che mi sono fatto è che questo popolo non possa gestire una metropoli, non possa sopportarne i palazzi smisurati e i centri commerciali, non possa ac-cettarne i cartelli pubblicitari e gli aerei che ne graffiano il cielo, e abbia paura di dimenticare il proprio passato.E bevono pessima vodka, ne bevono tanta, a qualsiasi ora per scacciare il fred-do e il disagio.Me ne sto andando anche per questo: se un popolo sta male in casa sua i turisti non possono sentirsi molto meglio anche se forse è solo la mia indole a convin-cermi di tutto questo, a suggerirmi questi sofismi malinconici. Mi piacerebbe sognarli più felici e liberi, magari anche più intelligenti e composti.Sarà il tempo a dirci che fine farà la Mongolia, io intanto torno in Italia ad affrontare altri problemi, meno vitali ma ugualmente impellenti.”

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“Affacciato al balcone mi sporgosu un mondo che non riconosco,non da via Fermo scorgola strada infinita e il sognosembra piccolo, contorto,che immenso si rivela inveceagli instancabili occhi del ricordo.Lancio dall’attico il mio gridoe posso sentirne lontano e vibrantedall’Elburz il mostruoso eco,il ronzio furioso delle api prodighe

allevate dai curdi profughiche incendiano i carbonicoll’incessante vigore delle braccia,si contorce, sfrigola la fiamma,lotta nell’albore del vespro siberianoe via via scema crepitando al colardel grasso di spiedi arroventatiall’ombra di maioliche d’inaudita alterigia.Fa freddo sui severi Altai, compagno,da cui scemano le aquile in cercaspiegando le ali a venti crudeli

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che soffia fecondo verso il nobile Est;torni pure dove fu colta, strappata,nel centro vorticoso della mia esistenzaridotta ormai a spiare da un balcone,aspettando un Karl, o un Milad,che mi indichino nuovamente la via.”(Nicolò De Angelis)

che valorosi mongoli respingonocol vano calore della vodka.I sublimi canti di guerra del Pamirscuotono i minareti con infauste preghiere,gettate per le strade colme di vomitodi Istanbul che ha dormito con meprima di cadere in mano ai turchi,ma non pareggiano le roche goledei pastori che inneggiano agli dei del raccolto.Il Gobi già turbina imperioso sul mio letto:ne getterò la sabbia al primo vento

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Con questi tre aggettivi cerchiamo di riassumere ciò che ha significato per noi il Viaggio.Volutamente scritto con la lettera maiuscola, questa avventura ci ha desta-bilizzato e allo stesso tempo ci ha indicato una nuova e non semplice strada da percorrere.Partendo dal presupposto che abbiamo attraversato terre in cui l’ospite è sa-cro e l’ospitalità è un dovere morale, siamo stati letteralmente e inaspettata-mente conquistati dal popolo e dalla terra iraniana. Terra ricca di storia e bellezza, terra unica, terra ingiustamente maltrattata dall’opinione pubblica, terra ospitale e amichevole. Al contrario siamo rimasti stupiti in negativo dal Turkmenistan, inospitale e surreale. Stato di polizia.Dove veniamo “accolti”, in un clima Orwelliano, da ingiusti e salatissimi dazi doganali e da un città fantasma e finta come Asghabat.Un ultimo pensiero va alla Mongolia, terra di evidenti e profondi contrasti; dove la contrapposizione tra pieni e vuoti ne rende difficoltosa la compren-sione.Resta il fatto che il vero tesoro e la vera ricchezza di queste terre sia il popolo e la sua straripante umanità, più forte di qualsiasi megalomane esaltato di turno.Rimane il ricordo indelebile di quarantacinque giorni “on the road ”, i sor-risi e i saluti della moltitudine di gente incontrata, le situazioni surreali e spiazzanti, i risvegli nel nulla, le ore trascorse senza incontrare anima viva su strade al limite della follia, l’immensità di un cielo “diverso”.Si ritorna con lo spirito di vivere ogni momento al massimo, cercando nella quotidianità lo sprone, nell’attesa di ritornare sulla strada.

“Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati... dove andiamo? Non lo so, ma dobbiamo andare!”1

1 J. Kerouac, On the Road

COnCLuSIOnILibertà, condivisione, sacrificio

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Ringraziamo le nostre famiglie, gli amici, i nostri sponsor e tutti i nostri supporter.Un grazie speciale a:- Roberto Bianchi per l’ottima e premurosa preparazione di Riccarda;- Roberto Saponara & Saponara - Lavorazioni metalliche;- Massimo Balzarotti e tutta la Pizzeria “Peter Pan” di Cermenate;- Antonio Spalvieri & Spalvieri Impianti;- Alessandro Fustinoni & Fumisteria Fustinoni;- Dimensione Auto di Ascoli Piceno.

RInGRAzIAMentISupporter e sponsor

LAVORAZIONE METALLICHE

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Ulteriori ringraziamenti vanno al Comune di Saronno per il sostegno e la concessione del patrocinio;a Soyombo, associazioni attiva per la diffusione della cultura mongola;ad A.R.I. Saronno (Associazione Radioamatori Italiani)e a Daniela Busnelli de “ La Settimana di Saronno” per il sostegno e per il supporto durante il viaggio.

Un ringraziamento speciale va a tutte quelle persone che durante il viaggio ci hanno aiutato e incitato: Karl, Milad, Ameri, Akbar, Khrychev, Emma, Bat, oltre ai mille volti senza nome che, con semplicità e gentilezza, ci hanno sup-portato e sopportato lungo il cammino.

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SIneteRRAPer non fermarsi più

unA nuOVA ReALtà...

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Dopo un’esperienza del genere si ritorna con diffi-coltà alla quotidiana “normalità”, ed è proprio questo senso di irrequietezza che ci ha spinto alla ricerca di una soluzione.Sineterra nasce per riunire e suggerire percorsi alla riscoperta del significato originale del viaggio, per chi cerca esperienze uniche, per chi non può restare con le mani in mano, per chi ha bisogno di trovare risposte alle proprie domande.

“Sineterra intende favorire e promuovere la cultura del viaggio, la conoscenza e lo studio delle biodiversità e della multiculturalità, nel rispetto dei costumi e delle varietà sociali, promuovere i valori della solidarietà, del volontariato internazionale, dell’impegno per la pace e della cooperazione per favorire lo sviluppo e la convivenza nell’ambito di una società mondiale mul-tietnica; promuovere la dignità della persona, attra-verso la tutela dei suoi diritti fondamentali e la rea-lizzazione di processi di sviluppo, economico e sociale, attenti alla persona e all’ambiente.

L’associazione ha come scopo principale l’organizza-zione, la partecipazione e la promozione di eventi e manifestazioni, coniugando attività sportive, ricreati-ve e formative con l’impegno sociale per fini di bene-ficenza verso paesi e popoli in via di sviluppo e non solo...”1

Sineterra sarà un mezzo, un sostegno e un incentivo a guardare il mondo con occhi diversi, in maniera attiva e propositiva.

1 Statuto associazione “Sineterra”

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SOMMARIOPROLOGO ............................................. 1CHI SIAMO ...........................................2COS’È QUESTO MONGOLRALLY ...........6LOTUS CHILDREN’S CENTER ............. 10CHARITABLE TRUST ...........................11ITINERARIO ....................................... 12TEAMUJIN .......................................... 16MONGOLRALLY 2012......................... 16

DISPACCIO UNO .....................................................20

DISPACCIO DUE......................................................29

DISPACCIO TRE ...................................................... 35

DISPACCIO QUATTRO ............................................. 42

DISPACCIO CINQUE ................................................ 46

DISPACCIO SEI ....................................................... 58

DISPACCIO SETTE .................................................. 66

DISPACCIO OTTO .....................................................73

DISPACCIO NOVE ................................................... 85

CONCLUSIONI ................................... 95RINGRAZIAMENTI ............................ 96UNA NUOVA REALTÀ... ..................... 98SINETERRA ....................................... 98

tuRCHIA ORIentALe, RICCARdA AI PIedI deL MOnte ARARAt

PAG 1IRAn, IL teAM OSSeRVA PenSIeROSO LA VALLe dI ALAMut

PAG 2MOnGOLIA, IL teAM In COMPAGnIA dI AndReAS ALL’AeROPORtO GenGIS KHAn dI uLAAnbAAtAR

PAG 5uzbeKIStAn, IL teAM InCOntRA AKbAR In un fOLCLORIStICO bAR dI buKHARA

PAG 5MOnGOLIA, RICCARdA SuPeRA AGeVOLMente un RASSICuRAnte POntICeLLO

PAG 7MOnGOLIA, IL teAM ALLe PReSe COn LA VAStItà deL deSeRtO deL GObI

PAG 8MOnGOLIA, StuPORe InfAntILe

PAG 10MOnGOLIA, HIGHwAy MOnGOLA

PAG 12tuRCHIA, ASfALtO tuRCO SuLLe POVeRe RuOte dI RICCARdA

PAG 14RuSSIA, AffOLLAMentO ALLA dOGAnA dI tASHAntA

PAG 17RuSSIA, RICCARdA PeRCORRe L’ALtOPIAnO deI MOntI ALtAj

PAG 19RePubbLICA CeCA, IL teAM ALLA PARtenzA uffICIALe A KLenOVA

PAG 20ROMAnIA, CuRIOSItà On tHe ROAd

PAG 23unGHeRIA, PAnORAMA On tHe ROAd

PAG 25

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IndICe deLLe fOtOtuRCHIA, IStAnbuL, ReStI deL PALAzzO deL bOuKOLeOn

PAG 26IRAn, InCOntRO COn MILAd e I SuOI AMICI

PAG 26RePubbLICA CeCA, KLenOVA, PARtenzA uffICIALe MOnGOL RALLy 2012PAG 27tuRCHIA, InStAMbuL, In COMPAGnIA dI KARL

PAG 27tuRCHIA, COLORI dI IStAnbuL

PAG 29tuRCHIA, IStAnbuL

PAG 30tuRCHIA, PICCOLI AMICI Ad AnKARA

PAG 33IRAn, CuStOde dI GAzOR KHAn

PAG 34IRAn, SCALAndO L’eLbuRz

PAG 36IRAn, AMeRI ed ALtRI AMICI

PAG 38IRAn, ARRAMPICAndO neLLA VALLe dI ALAMut

PAG 41tuRKMenIStAn, deSeRtO deL KARAKuM

PAG 42tuRKMenIStAn, RICCARdA SI RIPOSA dOPO L’AttRAVeRSAMentO deL KARAKuM

PAG 45

uzbeKIStAn, RICCARdA SOttO I feRRI A SAMARCAndA

PAG 47uzbeKIStAn, PeRSI PeR Le VIe dI KHIVA

PAG 49uzbeKIStAn, buKHARA, bAMbInO SI IMPAdROnISCe dI RICCARdA

PAG 51uzbeKIStAn, nICO e RICCARdA SOttO Le MuRA dI KHIVA

PAG 52uzbeKIStAn, fOtO dI GRuPPO A SAMARCAndA

PAG 53uzbeKSItAn, SAMARCAndA, AbILe MeCCAnICO ALLe PReSe COn I nOStRI POVeRI AMMORtIzzAtORI

PAG 54uzbeKSItAn, SAMARCAndA, tOMbA dI tAMeRLAnO

PAG 54uzbeKSItAn, SIeStA nOttuRnA In COMPAGnIA

PAG 55uzbeKIStAn, tRAMOntO Su KHIVA

PAG 55uzbeKIStAn, COLORI ed eMOzIOnI

PAG 56KIRGIKIStAn, IMPROVVISA SOStA On tHe ROAd

PAG 57tAjIKIStAn, AMICI PeSCAtORI ALL’OPeRA

PAG 57KIRGIKIStAn, AMICI On tHe ROAd

PAG 57

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KIRGIKIStAn, RICCARdA RIPOSA IndIStuRbAtA

PAG 58KIRGIKIStAn, yuRte KIRGISe

PAG 61KIRGIKIStAn, bISHKeK, In COMPAGnIA dI wALteR dAVAntI AL “beLLA ItALIA”PAG 62tAjIKIStAn, IStAnte dI un tRAMOntO

PAG 64KAzAKHIStAn, PeRPLeSSItà e AbbACCHIAMentO

PAG 66KAzAKHIStAn, ALMAty, ALLA ALfeRt, ALLA CORte dI KHRyCHeV

PAG 68KAzAKHIStAn, bAMbInI KAzAKI e deGRAdO fISICO

PAG 69KAzAKHIStAn, IL teAM SI SOLLAzzA SOPRA RICCARdA

PAG 70MOnGOLIA, GIOVAne AddeStRAtORe dI AquILe KAzAKe

PAG 72RuSSIA, RICCARdA tRA Le fOReSte SIbeRIAne

PAG 75MOnGOLIA, On tHe ROAd

PAG 76RuSSIA, betuLLe SIbeRIAne

PAG 79MOnGOLIA, CHIedendO InfORMAzIOnI VICInO Ad ALtAy

PAG 80MOnGOLIA, ALtAy, dOnAzIOnI e RInGRAzIAMentI

PAG 82

MOnGOLIA, VISItA In unA GeR

PAG 82MOnGOLIA, GRuPPO dI RAILLeRS eSuLtAntI PeR LA LIbeRAzIOne dOGAnALe

PAG 82MOnGOLIA, SGuARdI SORPReSI

PAG 83MOnGOLIA, uLAAnbAAtAR, InCOntRO e GeMeLLAGGIO COn bAt, eSPeRtO RAdIOAMAtORe

PAG 83KIRGIKIStAn, SeMPLICItà nAtuRALe

PAG 83MOnGOLIA, uLAAnbAAtAR, fInISH LIne... we MAde It!

PAG 84MOnGOLIA, uLAAnbAAtAR, SALutIAMO defInItIVAMente RICCARdA

PAG 87MOnGOLIA, uLAAnbAAtAR, SCACCHI POMeRIdIAnI

PAG 88MOnGOLIA, uLAAnbAAtAR, jACK OSSeRVA e IMPARA

PAG 89MOnGOLIA, uLAAnbAAtAR, bLue SKy tOweR

PAG 90MOnGOLIA, RInCORRendO CAMMeLLI neL GObI

PAG 92uzbeKIStAn, IL teAM A KHIVA

PAG 94tuRKMenIStAn, SOStA e RIPARAzIOnI neL deSeRtO deL KARAKuM

PAG 97MOnGOLIA, LAndSCAPe

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