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I primi documenti in volgare Dal latino al volgare La poesia religiosa Il volgare letterario in Francia La Scuola siciliana I poeti siculo-toscani La poesia comico-realistica OBIETTIVI 1a Conoscere la trasformazione dal latino al volgare e la nascita delle lingue romanze. 1b Esaminare i primi documenti in volgare. 2a Conoscere la poesia religiosa e la codificazione delle laude in volgare. 3a Riconoscere gli elementi stilistici e tematici della poesia provenzale espressi dalla società cortese e recuperati dalla Scuola siciliana. 3b Conoscere i poeti siciliani che sulla base del volgare siciliano costruiscono una lingua colta separata da quella parlata. 4a Riconoscere il legame dei poeti siculo-toscani con la Scuola siciliana di cui rinnovano temi e stili, rimanendo comunque lontani dalla lingua parlata. 5a Conoscere la poesia comico- realistica che capovolge i valori della società cortese e utilizza per primi la lingua parlata dal popolo con finalità artistiche. Confrontare il linguaggio letterario e quello iconico. V. JACOMUZZI, M.R. MILIANI, A. NOVAJRA, F.R. SAURO, Trame e temi © SEI 2011 1 on line volume B

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I primi documenti in volgare

Dal latino al volgare

La poesia religiosa

Il volgare letterario in Francia

La Scuola siciliana

I poeti siculo-toscani

La poesia comico-realistica

OBIETTIVI

1a Conoscere la trasformazionedal latino al volgare e lanascita delle lingue romanze.

1b Esaminare i primi documentiin volgare.

2a Conoscere la poesia religiosae la codificazione delle laudein volgare.

3a Riconoscere gli elementistilistici e tematici dellapoesia provenzale espressidalla società cortese erecuperati dalla Scuolasiciliana.

3b Conoscere i poeti sicilianiche sulla base del volgaresiciliano costruiscono unalingua colta separata daquella parlata.

4a Riconoscere il legame deipoeti siculo-toscani con laScuola siciliana di cuirinnovano temi e stili,rimanendo comunque lontanidalla lingua parlata.

5a Conoscere la poesia comico-realistica che capovolge ivalori della società cortese eutilizza per primi la linguaparlata dal popolo con finalitàartistiche.

Confrontare il linguaggioletterario e quello iconico.

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È dato e sempre sarà datoimmettere vocaboliche rechino il sigillo del presente.Come il bosco muta le foglienel fluire degli annie cadono le prime,così passa il tempo delle parole,e hanno fioritura e vigore della gioventùle ultime nate.[…]Molte parole cadute in disuso rivivrannoe cadranno quelle che ora sono in onore,se l’uso, in cui risiedel’arbitrio, il diritto e la normadel nostro idioma, lo vorrà.Orazio, Ars poetica, in Le opere, Garzanti, Milano 1988

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La letteraturaitalianadelle origini

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LA LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

IN ORIGINE ERA IL LATINOStabilire con precisione il momento in cui una lingua ha origine è pressoché im-possibile. La formazione di una lingua è infatti un processo lungo e complesso, ba-sato sulla costante interazione tra elementi ereditati dalla tradizione e innovazioniapportate dalla comunità dei parlanti. Per questo motivo, anche se è noto che l’ita-liano, il francese (la lingua d’oïl 1 parlata nella Francia del Nord), il provenzale (lalingua d’oc parlata nella Francia del Sud), il portoghese, lo spagnolo, il catala-no (parlato nella regione di Barcellona), il rumeno, il ladino (parlato nelle Alpi sviz-zere e in alcune valli del Trentino), hanno una comune matrice latina, non è fa-cile definire quando ha avuto inizio la loro storia di lingue autonome e indipendenti.

LA DIFFUSIONE E LA TRASFORMAZIONEDEL LATINONel mondo antico il latino ha un’ampia diffusione poiché è la lingua dei Romani,il popolo che ha creato un vastissimo impero che si estende dalle coste del Me-diterraneo all’Asia minore e all’Europa centrale. Tuttavia il latino non è parlato alla

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volumeB

Dal latinoal volgare

1. I termini oïl e oc siriferiscono al modo in cuisi dice “sì” nelle linguedel Nord e del Sud dellaFrancia. Le lingue neolatine (o romanze) in Europa oggi.

portoghese

spagnolo

catalano

francese

franco-provenzale

romancio, ladino,friulano (da ovest a est)

rumeno

italiano

sardo

provenzale

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dal latino al volgare

stessa maniera in ogni parte di questo immenso territorio né da tutti gli abi-tanti. Nelle zone conquistate, la lingua dei vincitori si sovrappone a idiomi preesi-stenti e, con molta probabilità, viene pronunciata diversamente, mentre a Roma illatino di scrittori, uomini politici e giuristi risulta assai differente da quello utilizza-to da mercanti, contadini e schiavi.Dotato di grande prestigio sociale, il latino delle classi dominanti esercita un in-flusso di gran lunga superiore rispetto a quello parlato da plebei e popoli sot-tomessi e, a partire dal III secolo a.C., costituisce la base del latino classico, unalingua codificata da precise norme grammaticali e stilistiche che diviene il mo-dello al quale per molti secoli gli scrittori continueranno a fare riferimento.

L’AFFERMAZIONE DEL VOLGAREFino a quando l’Impero romano mantiene la propria compattezza politicae territoriale anche la lingua latina conserva la sua coesione interna, dimo-strando grande capacità di penetrazione.La situazione comincia a cambiare a partire dal IV secolo dopo Cristo, quan-do la profonda crisi economica e le continue ondate di invasioni barbariche dap-prima indeboliscono, poi segnano la fine dell’unità dell’Impero, mettendo in di-scussione anche l’egemonia culturale del latino.La decadenza romana determina la scomparsa delle istituzioni scolasti-che che fino a quel momento hanno garantito una formazione culturale omo-genea nelle varie parti del territorio, consentendo alle innumerevoli variazionie innovazioni espressive tipiche dell’uso quotidiano di prendere il so-pravvento.

Al latino classico si sostituisce una lingua volgare – cioè parlata dal popolo(vulgus) –, più aperta e dinamica, ma meno regolamentata e territorialmentedisomogenea.

Il latino classico tuttavia non scompare completamente e continua a es-sere utilizzato nelle situazioni in cui è necessario disporre di uno stru-mento linguistico più qualificato e prestigioso. Per questo diviene la lin-gua della cultura e della Chiesa, conservando le strutture grammaticali e sin-tattiche della tradizione, ma modificandosi profondamente sotto l’aspettolessicale grazie all’inserimento di numerosi neologismi, derivanti dal con-tatto con altri popoli e dalla diffusione del Cristianesimo che conia parolenuove per esprimere termini e concetti originariamente in ebraico, aramai-co e greco.

LA SEPARAZIONE TRA LATINO E VOLGAREAgli inizi del VI secolo nelle aree un tempo dominate dai Romani è ormai in attouna netta separazione linguistica che si accentuerà nei secoli successivi:

da una parte i volgari, le lingue dell’uso comune, parlate – ma non scritte – dabuona parte della popolazione;

dall’altra il latino, ormai slegato dall’attualità, incomprensibile per molti e ap-pannaggio quasi esclusivo dei chierici, cioè di coloro che possono vantare unalunga formazione ecclesiastica.

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volumeB4

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LA LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

La separazione tra questi due codici linguistici comincia a essere considerataun problema tra il IX e il X secolo e non a caso il primo intervento esplicito atale proposito proviene dalla Chiesa, che costituisce la principale forza unificanteall’interno della società medioevale. Così, mentre la liturgia, ossia l’insieme del-le preghiere e dei riti a cui i fedeli partecipano, continua a essere celebrata nellatino della tradizione, nel Concilio di Tours (813) per la prima volta si insistesulla necessità che gli ecclesiastici utilizzino la rustica romana lingua, cioèil volgare, per assolvere in modo efficace ad alcuni compiti particolarmente de-licati quali la predicazione e l’amministrazione del sacramento della confessio-ne. In sostanza, si suggerisce al clero di servirsi di un codice comunicativodiverso da quello ufficiale quando entra in contatto diretto con il popolo che,evidentemente, non capisce più il latino.

I VOLGARI E L’ORIGINE DELLE LINGUE ROMANZELa proposta del Concilio di Tours, però, non prevede di adottare i volgari ef-fettivamente parlati dal popolo, ma di scegliere una lingua che risulti com-prensibile ai fedeli. Si tratta di un processo che va dall’alto (il clero) verso il bas-so (il popolo) e non viceversa, ma che è comunque importantissimo per la na-scita delle lingue moderne perché inizia a disegnare dei confini territoriali sta-bili – che con termine attuale potremmo definire “regionali” – entro i quali uti-

lizzare le specifiche varianti della lingua volgare.Poiché questo lungo processo di selezione e differenzia-zione linguistica si svolge sul piano della comunicazioneorale, non abbiamo quasi nessuna testimonianza scritta del-le tappe in cui esso si articola. Tuttavia qualche segnaleindiretto di quanto sta accadendo in Europa possiamo ri-cavarlo dalle parole di Ibn Khurdadhbih, un geografo per-siano vissuto nel IX secolo, che nel suo Libro delle stradee delle province attesta l’esistenza di due lingue netta-mente distinguibili tra loro, quella di Spagna e quelladi Francia, utilizzate dai mercanti nei loro traffici nel ba-cino del Mediterraneo. Da ciò si può dedurre che in que-sta fase storica alcuni volgari europei sono già tantoevoluti e differenziati da poter essere considerati lin-gue autonome e distinte da chi le utilizza con finalitàpratiche e commerciali.È a partire da questo periodo che è possibile individuarele radici delle lingue romanze (o neolatine), ossia derivatedal romanice loqui (il parlare come i Romani), che si svi-

lupperanno nell’area comprendente Italia, Francia, Penisola Iberica e Dacia (l’at-tuale Romania) e che inizialmente saranno utilizzate esclusivamente per la co-municazione orale. La “rivoluzione culturale” del volgare inizia però quando esso fa la sua com-parsa all’interno di testi scritti: inizialmente si tratta di brevi stralci inseriti in te-sti in latino per risolvere necessità pratiche e solo dopo un tirocinio durato alcunisecoli i volgari romanzi assumeranno il prestigioso ruolo di lingue letterarie.

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Il cosiddetto Glossario diReichenau, VIII secolo,nel quale i termini dellatino classico sonointerpretati con vocidel latino parlato,testimonia la progressivaaffermazionedel volgare.

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i primi documenti in volgare

I primi documentiin volgare

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L’INDOVINELLO VERONESENella ricostruzione dei passaggi che conducono dal latino al volgare, un postodi notevole importanza è occupato dal cosiddetto indovinello veronese, un bre-ve documento risalente alla fine dell’VIII secolo e rinvenuto nel 1924 nella BibliotecaCapitolare di Verona. Si tratta di una dozzina di parole seguite da una formulaliturgica di ringraziamento, scritte sul recto (parte anteriore) del terzo foglio di unlibro di preghiere, trascritte e successivamente tradotte dagli studiosi.

Se pareba bovesalba pratalia arabaet albo versorio tenebaet negro semen seminaba

Spingeva avanti i buoisolcava bianchi campiteneva un bianco aratroe spargeva il nero seme

Si tratta di un indovinello popolare, diffuso in Italia fino al XIX secolo,1 nel qualel’attività della scrittura è paragonata a quella dell’agricoltura, con una corrispondenzatra i buoi e le dita, i campi bianchi e il foglio di pergamena o di carta, il biancoaratro e la penna d’oca, il nero seme e l’inchiostro. Nonostante l’indovinello nonpossa essere considerato un esempio di uso intenzionale di una nuova lin-gua, ma più probabilmente rappresenti solo l’innocuo scherzo di un copista, iltesto veronese è molto importante perché dimostra come il volgare sia or-mai sul punto di affrancarsi dalla lingua madre. Infatti, a parole che conser-vano la forma classica del latino, come boves e et, se ne affiancano altre in cuisono evidenti i segni grafici e fonetici che contraddistingueranno in seguito il vol-gare italiano, come la desinenza -o al posto di -um in albo, versorio, negro, la man-canza della originaria desinenza in -t nei verbi pareba, araba, teneba, seminaba,la é al posto della ı nella parola negro.

I GIURAMENTI DI STRASBURGOIl primo documento ufficiale nel quale si riscontra un uso intenzionale e con-sapevole della lingua volgare è quello conosciuto con il nome di Giuramentidi Strasburgo.

1. La prima quartina dellapoesia Il piccolo aratore diGiovanni Pascoli (Myricae1891) recita: Scrive… (lanonna ammira): ara belbello, / guida l’aratro conla mano lenta; / seminacol suo piccolo marrello: / il campo è bianco, nerala sementa.

L’indovinello veronese,fine VIII secolo.

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LA LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

Siamo nel IX secolo e alla morte di Ludovico il Pio, erede di Carlo Magno, il ti-tolo di imperatore passa al suo primogenito Lotario contro il quale i fratelli mi-nori Ludovico il Germanico, sovrano della parte orientale dell’Impero e Carlo ilCalvo, re di quella occidentale, ingaggiano una lunga ed estenuante guerra di suc-cessione. La loro alleanza è attestata nei Giuramenti di Strasburgo, pronunciati nell’842e riportati da Nitardo (795 ca.-844), nella sua Storia dei figli di Ludovico il Pio,nei quali, allo scopo di farsi comprendere dai soldati, i due re dichiarano il pro-prio impegno a condurre a oltranza la guerra, ciascuno nella lingua dell’alleato:Ludovico pronuncia il giuramento in romana lingua, cioè in francese e Carlo inteudisca lingua, cioè in tedesco. Questa scelta dimostra che popoli che abita-no in territori limitrofi non usano più il latino come lingua comune ma chei loro idiomi sono ormai tanto differenziati da impedire una comunicazionediretta.Ecco le parole pronunciate in romana lingua da Ludovico il Germanico al cospettodegli uomini di Carlo.

Pro Deo amur et pro christian poblo et nostro commun salvament,d’ist di in avant, in quant Deus savir et podir me dunat, si salvaraieo cist meon fradre Karlo et in aiudha et in cadhuna cosa, si cumom per dreit alvar dift, in o quid il mi altresi fazet et ab Ludher nulplaid nunquam prindrai, qui, meon vol, cist meon fradre Karle indamno sit.

Per amore di Dio e per la salute del popolo cristiano e nostra co-mune, da questo giorno in avanti, in quanto Dio me ne concede sa-pere e potere, io sosterrò questo mio fratello Carlo d’aiuto e d’ognicosa, come si deve secondo giustizia sostenere il proprio fratello,a tal patto ch’egli faccia altrettanto nei miei risguardi, e con Lota-rio non verrò mai ad accordo alcuno che, di mia volontà, sia a dan-no di questo mio fratello Carlo (traduzione in Storia della Lettera-tura Italiana, a cura di E. Cecchi, N. Sapegno, Garzanti, Milano 1979).Il giuramento di Carlo il Calvo, che non abbiamo riportato, si diffe-renzia soltanto per il fatto che manca il nome Ludovico dopo l’espres-sione “questo mio fratello”.

Le lingue in cui si esprimono Carlo il Calvo e Ludovico il Germa-nico, tuttavia, non corrispondono completamente ai volgari ef-fettivamente parlati nei loro territori e possono essere consi-derati un primo embrionale tentativo di definire un canone, cioèun insieme di regole ricalcate dalla tradizione latina, cui i nuo-vi idiomi devono sottostare. Se le parole dei sovrani riproduconofedelmente i formulari giuridici e le strutture sintattiche della lin-gua antica dei documenti ufficiali, il loro lessico proviene inve-ce da lingue “nuove” che dimostrano l’ormai raggiunta auto-nomia espressiva di alcuni idiomi “territoriali”.Sotto questo aspetto i Giuramenti di Strasburgo possoni essere

considerati frutto della stessa esigenza pratica, manifestatasi pochi decenniprima nel Concilio di Tours, di rendere accessibili al popolo – di fedeli o di sol-dati – manifestazioni di pensiero e di volontà nate ed elaborate negli ambienticolti dei ceti dirigenti.

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Frammento dei Giuramenti di Strasburgo, 842.

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i primi documenti in volgare

I PLACITI CASSINESII primi documenti attestanti un uso ufficiale del volgare italiano risalgono al960, più di un secolo dopo quelli francesi. Questo ritardo si può spiegare con ladifferente storia politica e sociale dei due territori. Negli anni in cui vengono tra-scritti i Giuramenti di Strasburgo, l’Italia è sottoposta all’influenza di dominatoridiversi, situazione che non consente la formalizzazione di un codice linguisticoscritto distinto e autonomo dal latino, relegando il volgare a lingua parlata esclu-sivamente dai ceti più bassi.Le prime testimonianze in volgare italiano sono i Placiti cassinesi, quattro giu-ramenti (placiti) dalla struttura formale molto simile, registrati all’interno di un do-cumento redatto nel corso di una disputa legale.Nella città di Capua, dominata dagli ultimi principi longobardi, don Aligerno, aba-te del monastero di San Benedetto di Montecassino e un tal Rodelgrimo si con-tendono la proprietà di un fondo agricolo dinanzi al giudice Arechisi. A sostegnodelle sue rivendicazioni, l’abate porta tre testimoni che confermano come quelterreno sia da trent’anni di proprietà del monastero; ma mentre tutti gli atti rela-tivi al procedimento giudiziario sono redatti in latino, le dichiarazioni dei testimonia favore del monastero vengono riportate in volgare in questa forma:

Sao ke kelle terre, per kelle fini che ki contene, trenta anni le possette partesancti Benedicti.

So che quelle terre, entro quei confini che qui si descrivono [si fa riferimen-to alla memoria che Rodelgrimo ha presentato per rivendicare il possesso delterreno], trenta anni le ha tenute in possesso l’amministrazione patrimonia-le di san Benedetto.

Il motivo per il quale il giudice avverte l’esigenza di registrare in volgare le di-chiarazioni dei testimoni è probabilmente lo stesso che un secolo prima avevaindotto Carlo il Calvo e Ludovico il Germanico a pronunciare i loro giuramenti inlingua romana e teudisca, ossia la necessità di farsi capire da persone che nonparlano né comprendono il latino ufficiale e che non sarebbero in grado di sot-toscrivere alcuna testimonianza in una lingua ignota.Come abbiamo già osservato per i giuramenti di Strasburgo, anche i plàciti – sep-pure riguardanti un ambito circoscritto e una questione di scarsa importanza –vanno considerati come il tentativo di standardizzare la lingua spontanea enon regolata del popolo filtrando i materiali originali e inserendoli in una strut-tura colta. È questa la ragione per cui negli anni seguenti la formula elaboratanei giuramenti cassinesi verrà utilizzata pressoché identica in documenti giuri-dici stilati in territori vicini.Nei due secoli successivi le testimonianze scritte in volgare si fanno più fre-quenti, anche se rimangono legate a funzioni pratiche. Inizialmente riguar-dano documenti notarili, inventari di beni e ricordi personali, mentre l’altroambito nel quale la scrittura in volgare comincia a muovere i primi passi è quel-lo della predicazione religiosa, che come i contratti e le testimonianze neces-sita una piena reciproca comprensione tra le parti.Per parlare di letteratura in volgare occorrerà però attendere fino al XIII se-colo quando alcuni individui dotati di una solida cultura latina ma parlanti in lin-gua volgare sceglieranno di dare alla lingua degli umili e degli incolti dignitàespressiva, superando la funzione esclusivamente pratica che essa ha ri-coperto per molto tempo.

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Frammento dei Placiticassinesi, 960.

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LA LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

La poesiareligiosa

UNA NUOVA SPIRITUALITÀNel corso del Medioevo la Chiesa cattolica, che è l’unica organizzazione unita-ria nella frammentata Europa feudale, assume un’importanza fondamentale sulpiano culturale. Con la fine dell’Impero romano, infatti, la trasmissione della cul-tura avviene quasi esclusivamente attraverso le scuole istituite presso le catte-drali o le sedi vescovili e l’attività di trascrizione dei manoscritti viene realizzatadagli amanuensi nei monasteri benedettini.Se in ambito politico e sociale la presenza della Chiesa è capillare ed energica,non sempre il clero adotta un comportamento improntato all’attuazione dei prin-cipi evangelici. A partire dall’XI secolo si sviluppano movimenti di protesta po-polare contro la simonia – ossia la pratica di comprare e vendere cariche reli-giose – e la corruzione del clero che si diffondono in tutta Europa impegnan-do gli uomini del tempo, che attribuiscono un valore centrale al rapporto con Dio,nella ricerca di nuove strade per esprimere la loro fede.Tra il XII e il XIII secolo questa crescente tensione spirituale dà origine a un’ab-bondante produzione letteraria di argomento religioso che viene stimolata dal-l’acceso dibattito sulla necessità di un radicale rinnovamento della Chiesa.Una delle testimonianze più alte in questa direzione è il trattato in latino De con-temptu mundi (Il disprezzo del mondo) di Giovanni Lotario di Segni (1179-1180),in cui l’autore – che sarà Papa dal 1198 al 1216 con il nome di Innocenzo III –teorizza il disprezzo dei beni terreni e la rinuncia alle lusinghe del mondo allo sco-po di condurre una vita davvero cristiana, nell’attesa della beatitudine celeste.Con il suo richiamo a un’esistenza più pura e autentica questo trattato ha unalarghissima diffusione e moltiplica tra i fedeli le pratiche devozionali e religio-se. Contemporaneamente, però, il diffuso desiderio di rinnovamento religiosogenera anche diverse eresie che, partendo dalla critica alla corruzione e al-l’eccessiva ricchezza del clero, finiscono col mettere in discussione i prin-cipi fondanti della teologia cattolica e la stessa organizzazione della Chie-sa. È il caso dell’eresia dei càtari (dal greco katharós che vuol dire “puro”) i qua-li separano nettamente il bene, appannaggio di pochissimi eletti o puri, dal male,che identificano con i beni terreni e materiali e, non riconoscendosi più nella Chie-sa ufficiale, creano comunità di credenti che vivono secondo rigidissime rego-le morali. Contro l’eresia càtara, particolarmente diffusa in Provenza, la Chie-sa reagisce con estrema durezza, organizzando la cosiddetta Crociata degli Al-bigesi (1209-1229), che si conclude con l’eccidio indiscriminato di tutti gli abi-tanti del territorio e l’istituzione del Tribunale dell’Inquisizione (1233) che ha ilcompito, con il supporto delle autorità politiche, di scoprire, processare e con-dannare gli eretici.

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la poesia religiosa

I NUOVI ORDINI MENDICANTIMentre la repressione delle eresie si fa più intensa, la Chiesa intraprende an-che un percorso di rinnovamento interno, facendo proprie alcune istanze dicambiamento. Così dall’esigenza, largamente avvertita, di una vita ecclesiasti-ca più sobria e dalla necessità ideologica di disporre di predicatori in grado didiffondere correttamente la dottrina cattolica, nascono due nuovi ordini religiosimendicanti, quello domenicano e quello francescano, che saranno determinantiper la rinascita morale della Chiesa e influenzeranno ogni aspetto della vita deltempo. L’ordine domenicano, fondato dallo spagnolo Domenico di Guzman eapprovato da papa Onorio III nel 1216, si dà come obiettivo prioritario l’elimina-zione delle eresie mediante la predicazione e l’approfondita conoscenza della dot-trina e della teologia. L’ordine francescano, istituito da Francesco d’Assisi e ap-provato dallo stesso Onorio III nel 1223, porta alle estreme conseguenze la ri-cerca della povertà evangelica che diviene rinuncia totale al possesso di beni ma-teriali secondo il modello dell’Imitatio Christi e delle prime comunità cristiane.Se dal punto di vista culturale, all’interno della Chiesa i domenicani assume-ranno ben presto il ruolo di intellettuali, utilizzando come codice di comu-nicazione scritta il latino, i seguaci di Francesco d’Assisi, dediti a una vita sem-plice e modesta, cercheranno con la loro predicazione un contatto diretto conil popolo non sempre acculturato e per questo saranno i primi ad avvertire lanecessità di esprimere il messaggio cristiano secondo modalità adeguatealle risorse culturali dei destinatari.

IL MOVIMENTO DEI FLAGELLANTIL’istituzione dei due nuovi ordini assorbe ma non esaurisce completamente le istan-ze spirituali dei fedeli e per tutto il XIII secolo continuano a moltiplicarsi nuove espe-rienze di fede che in certi casi rimangono nell’alveo dell’ortodossia cristiana, in al-tri si trasformano in vere e proprie eresie. Tra gli altri, riprende vigore il filone esca-tologico, che aveva dato origine ai movimenti millenaristi1 e si diffondono profe-zie e visioni che annunciano la fine dei tempi e l’avvento del regno di Dio.Grandissimo seguito tra i credenti ha la profezia del teologo Gioachino da Fio-re (1130 ca.-1202), secondo cui sta per avere inizio una nuova era nella qualela Chiesa ufficiale – gerarchica, dogmatica e legata agli interessi materiali – saràsostituita da una Chiesa nuova, più spirituale e tollerante, e l’umanità potrà fi-nalmente vivere nella purezza e nella libertà.

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1. Filone escatologico... movimentimillenaristi: il termineescatologia indica ciò chela teologia, a partire dalMedioevo, chiamava“dottrina delle coseultime”, cioè il destinodell’uomo e del mondodopo la morte. Già neiprimi secoli delcristianesimo nacquero i“movimenti millenaristi”la cui speranzaescatologica nel regnomillenario trovò la suafonte principalenell’Apocalisse diGiovanni. Nel capitolo 20di questo testo, infatti, èscritto che, a un certopunto della storia umana,i nemici di Dio verrannosconfitti, Satanarinchiuso negli abissi permille anni e per milleanni il Messia e i suoiseguaci risuscitatiregneranno sulla Terra.Trascorsi questi milleanni di regno Satanaverrà liberato e torneràsulla Terra ma verrànuovamente sconfitto erigettato nell’abisso perl’eternità. Flagellanti raffigurati in una miniatura, 1365.

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LA LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

Influenzato dalla profezia gioachimita, nel 1260 l’eremita francescano Raniero Fa-sani (...-1281), fonda la Compagnia dei Disciplinati di Cristo e inizia la sua pre-dicazione pubblica annunciando calamità per coloro che non si purificheranno daipeccati mediante penitenze corporali. Dall’esempio di Raniero, che si autoflagellain pubblico per imprimere sul proprio corpo i segni fisici della sofferenza di Cri-sto sulla Croce, nasce il movimento popolare dei Flagellanti (detti anche Disci-plinati o Battuti) costituito soprattutto da laici che si riuniscono in fraternità dap-prima concentrate a Perugia, Assisi e nelle città minori dell’Umbria, poi diffuse nelresto dell’Italia centro-settentrionale. Migliaia di persone seguono in processio-ne i penitenti vestiti di bianco che pregano e si percuotono a sangue per espia-re i peccati, alternando alla recitazione degli inni liturgici in latino quello di lau-de in volgare che reinterpretano e semplificano i contenuti della tradizione in-nografica latina in modo che tutti ne possano comprendere il senso.

LA LAUDAInizialmente le laude vengono trasmesse oralmente dagli appartenenti alle con-fraternite, ma poi, per l’ampliarsi e il diffondersi del movimento, i testi ven-gono trascritti e in un certo senso codificati anche se, passando di fraterni-tà in fraternità, continuano a essere modificati per adattarsi alle tradizioni e alleesigenze spirituali dei diversi contesti.È quindi grazie all’attività dei Disciplinati che la lauda inizia il proprio cam-mino di genere letterario, dandosi precise regole formali e tematiche ma al con-tempo conservando l’iniziale funzione pratica di diffondere il messaggio evan-gelico e stimolare la conversione dal peccato. Da questo punto di vista si puòaffermare che la scelta del volgare sia dettata più da concrete esigenze co-municative che da ragioni stilistiche. Questo spiega perché l’area geograficain cui il volgare assume per la prima volta una forma letteraria sia l’Italia cen-trale e in particolar modo l’Umbria, terra d’origine delle prime comunità fran-cescane e delle fraternità dei Disciplinati.Sotto l’aspetto formale, la lauda religiosa può essere considerata un adat-tamento della ballata (vedi a p. 34), un componimento poetico di matrice po-polare nato in Italia centrale nel corso del Duecento per celebrare con musica,canto e danza gli eventi festivi della comunità e costruito alternando secondo pre-cisi schemi metrici un ritornello o ripresa – cantato da un coro e ripetuto dopoogni strofa – a un numero variabile di stanze cantate da un solista.Tuttavia, mentre la ballata popolare è incentrata su temi di carattere profano –per esempio l’amore – le laude hanno come contenuto argomenti religiosi ri-tenuti essenziali per la salvezza spirituale dei fedeli e si basano sulla semplificazionedel contenuto dei Salmi,2 o su temi ricorrenti come l’invocazione a Gesù e Ma-ria per allontanare il demone della tentazione e del peccato, il ricordo della Pas-sione e della morte di Gesù, l’esaltazione dell’amore per Cristo.Analogamente alle ballate, le laude sono spesso costruite secondo la tecni-ca del contrasto che consiste nel contrapporre le parole del solista, contenu-te nelle stanze, a quelle del coro che recita il ritornello. Con il tempo questa pe-culiare modalità espressiva si accentua fino a dare origine a elementari formedi rappresentazione teatrale – le laude drammatiche – in cui personaggi fissi incostume recitano, su un semplice palcoscenico diviso in scomparti, episodi trat-ti dalla Bibbia.

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volumeB

Bibbia di Souvigny,miniatura supergamena, fineXII secolo.

2. Il libro dei Salmi è lapiù importante raccolta di canti contenuta nellaBibbia. Si tratta di 150preghiere che riflettonoogni possibile situazioneumana, vissuta emeditata da chi pensa e prega davanti Dio.

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LA POESIAAnche se esistono documenti volgari precedenti di qualche decennio, il Can-tico di Francesco d’Assisi è considerato il primo testo letterario della no-stra poesia sia perché costituisce uno straordinario esempio di continuitàtra la tradizione cristiana in latino e la nascente cultura volgare sia perchéoffre un’altissima testimonianza della profonda spiritualità dell’epoca.Attraverso la rappresentazione di un universo lieto e pacificato in cui ogni ele-mento simboleggia la grandezza di Dio creatore, Francesco persegue la fi-nalità pratica di offrire ai frati del suo ordine e al popolo di devoti un testo dacantare a lode del Signore. Il Cantico era infatti destinato a essere recitato inpubblico con l’accompagnamento di una musica composta dallo stesso Fran-cesco di cui però non è rimasta alcuna testimonianza.

Francesco d’Assisi

Laudes Creaturarum(o Cantico di Frate Sole)

Altissimu, onnipotente, bon Signore,Tue so’1 le laude, la gloria e l’honore et onne2 benedictione.

Ad te solo, Altissimo, se konfano,3

et nullu homo ène dignu Te mentovare.4

5 Laudato sie,5 mi’ Signore, cum6 tucte le Tue creature, spetialmente messor7 lo frate Sole, lo qual è iorno,8 et allumini noi per lui.9

Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:10

de Te, Altissimo, porta significatione.11

10 Laudato si’, mi’ Signore, per sora Luna e le stelle:in celu l’ài formate12 clarite13 et pretiose et belle.

Laudato si’, mi’ Signore, per frate Vento et per aere et nubilo et sereno14 et onne tempo, per lo quale a le Tue creature dài sustentamento.

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1. Tue so’: a Te appartengono.2. onne: ogni.3. se konfano: si addicono.4. et nullu homo ène dignu Te mentovare: e nessun uomo è (ène)degno di nominarti. 5. sie: sii.6. cum: questo cum, di origine latina, è stato diversamenteinterpretato dai critici come “a causa di”, oppure “insieme a”, oancora “così come”; tutte le possibilità garantiscono intelligibilità altesto anche se con diverse sfumature di significato.

7. messor: messere, cioè signore. È una forma tipica del volgare umbro.8. lo qual è iorno: grazie al quale c’è la luce.9. allumini noi per lui: ci illumini grazie a lui.10. radiante cum grande splendore: radioso grazie alla sua grandeluminosità.11. de Te ... porta significatione: e di Te, Dio, è simbolo.12. l’ài formate: le hai create.13. clarite: luminose.14. et nubilo et sereno: e per le nuvole e per il sereno. Nubilo esereno vanno intesi come sostantivi.

METRO prosa rimata suddivisain versetti di misuravariabile, spesso inassonanza tra loro esolo occasionalmentelegati da rime

il significante

le parole chiave

i temi

le figureretoriche

la simbologia

l’intertestualità

l’extratestualità

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15 Laudato si’, mi’ Signore, per sor’Aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.

Laudato si’, mi’ Signore, per frate Focu, per lo quale ennallumini15 la nocte: ed ello è bello et iocundo16 et robustoso17 et forte.

20 Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa,18

et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.

Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo Tuo amoreet sostengo infirmitate et tribulatione.19

25 Beati quelli ke ’l sosterrano20 in pace, ka21 da Te, Altissimo, sirano22 incoronati.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra Morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò skappare:23

guai a cquelli ke morrano ne le peccata mortali; 30 beati quelli ke trovarà24 ne le Tue sanctissime voluntati,

ka la morte secunda no ’l farrà male.25

Laudate e benedicete mi’ Signore et rengratiate e serviateli26 cum grande humiltate.

Laudes Creaturarum, in G. Contini, Letteratura italiana delle origini, Sansoni, Milano 1982

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15. per lo quale ennallumini: grazie al quale illumini. Il prefisso en-ha valore rafforzativo.16. iocundo: allegro.17. robustoso: il suffisso -so ha valore rafforzativo.18. ne sustenta et governa: ci nutre e ci accudisce.19. sostengo infirmitate et tribulatione: sopportano malattie esofferenze. 20. ’l sosterrano: sosterranno ciò, ossia le malattie e le sofferenze.

21. ka: poiché.22. sirano: saranno.23. pò skappare: può scampare, sfuggire.24. ke trovarà: che la Morte (soggetto sottinteso) troverà.25. ka la morte secunda no ’l farrà male: che la dannazionedell’anima (morte secunda) non farà loro del male.26. serviateli: servitelo.

Francesco nasce ad Assisi nel 1181 con il nome di Giovanni, ma viene chiamato France-sco dal padre Pietro Bernardone, un ricco mercante di stoffe, per ricordare l’origine della mo-glie probabilmente conosciuta in Provenza. Vive una giovinezza agiata e spensierata, ma nel 1204, fatto prigioniero nel corso dellaguerra contro Perugia, si ammala ed entra in una profonda crisi spirituale che nel 1206 cul-minerà nella conversione. Dopo un periodo trascorso in un eremo, rinuncia alle ricchezzepaterne e dal 1207 inizia la sua nuova vita religiosa costituendo una piccola comunità chevive predicando in assoluta povertà. Ricevuta l’approvazione di papa Innocenzo III, tenta più volte di portare la parola del Van-gelo in Oriente dove si combatte la Quinta Crociata, ma raggiunge il suo scopo solo nel1219 quando tenta inutilmente di convertire al-Malik al-Kamil, sultano di Egitto e Siria.

Alla morte del padre rientra in Italia, ad Assisi, e redige la Regola dell’Ordine, che nel 1223 viene approvata da papaOnorio III. L’ultimo periodo della sua vita è caratterizzato da sofferenze fisiche ed esperienze mistiche: nel 1224 ri-ceve le stigmate e nel 1226 muore nell’eremo della Porziuncola. Oltre al Cantico di frate Sole, redatto in volgareumbro, Francesco d’Assisi è autore di diversi scritti in latino, tra cui brevi admonitiones ai frati e lettere ai fedeli chehanno come tema la povertà, la carità, l’umiltà e la penitenza.

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STRUMENTI DI LETTURA

Il significanteIl Cantico riproduce la struttura degli inni la-tini ispirati ai Salmi che venivano recitati du-rante la liturgia e si sviluppa secondo unaprosa rimata in cui si succedono gruppi diversetti di misura variabile, spesso in asso-nanza tra loro (vv. 1-2 Signore/benedictione;vv. 6 e 9 sole/significatione; vv. 12-13 vento/tempo) e solo occasionalmente legati darime (vv. 10-11 stelle/belle).La lingua utilizzata da Francesco appartieneall’area del volgare umbro, come testimo-niano le frequenti desinenze in –u invece chein –o (v. 1 altissimu, v. 4 nullu, dignu, v. 8 ellu,bellu), le forme verbali in -ano invece che in -anno (v. 3 konfano, v.), il termine messor (v.6) per messer e l’epitesi che trasformal’espressione è in ène (v. 4).La destinazione del componimento a un pub-blico ampio e non particolarmente colto, giu-stifica la scelta del volgare, considerato lostrumento linguistico che meglio si presta alladiffusione di un messaggio universale. Sitratta, tuttavia, di un volgare privo di sfuma-ture propriamente dialettali, che rivela losforzo di codificare una lingua media, di-versa dal latino ma non piattamente model-lata sul vernacolo.Nel testo affiorano anche numerose persi-stenze grafiche del latino nei termini honore(v. 2) e homo (v. 4), benedictione (v. 2), spe-tialmente (v. 6), significatione (v. 9), pretiosa(v. 16), rengratiate (v. 32) in cui il gruppo ti+vocale va letto zi; altre forme latineggiantisono fructi (v. 22), nocte (v. 18) e la congiun-zione et più volte ripetuta.

Le parole chiaveGli epiteti altissimu, onnipotente, bon (v. 1)con cui Francesco si rivolge a Dio eviden-ziano lo stretto rapporto del componimentocon la tradizione biblica nella quale si fa largouso di questi appellativi per definire il Crea-tore.È tipica dei francescani, invece, la rappre-sentazione del forte legame spirituale cheunisce i seguaci della Regola mediante unaterminologia che appartiene al campo se-mantico della famiglia: nel Cantico il concettodi fratellanza giunge a comprendere tutti glielementi del creato (v. 6 frate Sole, v. 10 soraLuna; v. 12 frate Vento, v. 15 sor’Aqua, v. 17frate Focu) e a includere persino la Mortecorporale (v. 27), che consente il passaggio

inevitabile ma necessario affinché l’anima siavvicini a Dio. Un peculiare doppio ruoloviene attribuito alla Terra (v. 20) che è soraperché creata da Dio come ogni altra cosa ematre in quanto fonte di sostentamento per iviventi.La bellezza e la varietà del creato vengono ce-lebrate da Francesco mediante una ricca ag-gettivazione che di ogni creatura restituiscein modo naturalistico le caratteristiche più vi-vaci: così il Sole è bellu e radiante (v. 8), l’Ac-qua utile et humile et pretiosa et casta (v. 16),il Fuoco iocundo et robustoso et forte (v. 19).

I temiLa lode al Creatore: nella sua apparentesemplicità stilistica e strutturale, il Canticocostituisce un’importante testimonianza dellacomplessa spiritualità duecentesca. Emergeinnanzitutto l’intento laudativo di Francescoche, esaltando gioiosamente gli elementi na-turali come altrettante manifestazioni di Dio,ricompone la scissione tra cielo e terrache impronta il pensiero di molti teologi me-dioevali, per i quali il mondo costituisce unatentazione diabolica da cui occorre fuggire. Il Cantico di Francesco tratteggia invece ununiverso caratterizzato da bellezza e bontà,che celebra la grandezza, l’onnipotenza el’amore di Dio poiché è frutto della sua vo-lontà creatrice: Dio non è distante dall’uomo,ma è presente nella concreta realtà del creatoe può essere compreso con semplicità, ap-

San Francesco e iconfratelli, miniatura,fine XIII secolo.

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AlleluiaLaudate Dominum de caelis,laudate eum in excelsis.Laudate eum, omnes angeli eius,laudate eum, omnes virtutes eius.Laudate eum, sol et luna,laudate eum, omnes stellae lucentesLaudate eum, caeli caelorumet aquae omnes, quae super caelos sunt. Laudent nomen Domini,quia ipse mandavit, et creata sunt.

Alleluia.Lodate il Signore dai cieli,lodatelo nell’alto dei cieli.Lodatelo, voi tutti, suoi angeli,lodatelo, voi tutte, sue schiere.Lodatelo, sole e luna,lodatelo, voi tutte, fulgide stelle.Lodatelo, cieli dei cieli,voi, acque al di sopra dei cieli.Lodino il nome del Signore,perché al suo comando sono stati creati.

Salmo 148, 1-5

Oltre a compendiare temi e motivi della tradi-zione cristiana, il componimento di Francescodiviene a sua volta un modello nell’ambitodella poesia religiosa poiché apre la strada al-l’utilizzo del volgare in tutte le cerimonie di ca-rattere non sacramentale il cui scopo siaistruire i fedeli (paraliturgia) e nei decenni se-guenti darà origine al genere letterario dellalauda drammatica (vedi a p. 312).

L’extratestualitàSecondo la tradizione francescana, il Canticosarebbe stato composto nella chiesetta disan Damiano presso Assisi nel 1224 al ter-mine di una notte passata da Francesco tratormentosi dolori agli occhi e assalti di topi econclusasi con una visione celeste che gliavrebbe promesso la beatitudine eterna. Iversi sul perdono (vv. 23-26) sarebbero statiinvece composti nel 1225 in occasione di ungrave dissidio tra il vescovo e il podestà diAssisi che Francesco si era adoperato di ri-pianare, mentre la parte sulla morte (vv. 27-31) sarebbe stata scritta nel 1226, quasicome presentimento della fine vicina. Non sappiamo se questa ricostruzione sia deltutto attendibile, poiché l’idea di una compo-sizione del Cantico in fasi diverse potrebbeessere frutto della tendenza tipicamente me-dioevale di stabilire uno stretto legame tra ilcontenuto dei componimenti e i passaggicruciali della biografia degli autori.

Giotto (1267-1337), La predica a gli uccelli,1296-1298.

prezzando la perfezione delle sue opere. Datale convinzione scaturisce una totale ac-cettazione dell’esistente, anche nei suoiaspetti terribili e spaventosi della malattia,della sofferenza e persino della morte chenella religiosità francescana assumono unafunzione salvifica se accolte e sopportate conspirito cristiano (vv. 24-27).L’uomo nel mondo: nella sua incondizionatalode a Dio, Francesco esprime una visionedecisamente antropocentrica della crea-zione e la natura viene esaltata non solocome “segno” della mente creatrice di Dioma anche per la sua utilità, in quanto offre al-l’uomo la possibilità di vivere in modo degnosulla Terra. Per esempio, il valore del soleconsiste nella sua capacità di illuminarel’umanità (v. 7) mentre l’alternarsi delle sta-gioni viene interpretato come uno strumentoper garantire la sopravvivenza della specieumana (vv. 13-14).

L’intertestualitàSul piano stilistico, lessicale e semantico ilCantico di Francesco si richiama esplicita-mente alla tradizione del Vecchio Testamento.In particolare, il motivo della benedizione alSignore da parte delle sue creature è ripresodal Cantico de I tre giovani nella fornace con-tenuto nel libro di Daniele (III, 51-90), mentrela ripetizione della formula Laudato sie è ri-conducibile al Salmo 148, di cui proponiamoi versi iniziali.

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Labo

rato

rioLABORATORIO

diffic

oltà

il componimento di Francesco , modificando il menopossibile la struttura sintattica del testo.

Scegli una delle creature che Francesco considera “utili” all’uomo e dedica-le un in cui esalti le sue caratteristiche positive.testo in prosa

in italiano correnteRiscrivi

11

10

Produzione

diffic

oltà

Il significante

Individua e trascrivi di seguito due termini che, a tuo avviso, sono tratti dalvolgare umbro e due in cui si riconosce la matrice latina.

Termini derivanti dal volgare umbro: ............................................................................................................

Termini latineggianti: ............................................................................................................................................................

Individua altri due esempi di assonanza oltre a quelli segnalati negli Strumentidi lettura.

I temi

Quale, tra le creature elencate nel Cantico, simboleggia maggiormente la po-tenza di Dio? Per quale motivo?

Spiega brevemente per quali aspetti, secondo Francesco, la Morte corpora-le (v. 27) differisce dalla morte secunda (v. 31).

Le figure retoriche

Dal punto di vista retorico come si definisce la ripetizione a inizio verso del-l’espressione Laudato si’?

Individua la paronomasia presente nel v. 16.

L’intertestualità

Confronta il Cantico di Francesco d’Assisi con i versi del Salmo 148: quali ana-logie e quali differenze esistono tra i due testi?

6

5

Vedi a p. 76

Vedi a p. 67 e 75

Vedi a p. 29 e 59

Vedi a p. 28 e 55

9

8

7

4

3

Analisi

diffic

oltà

Quali creature sono esplicitamente citate da Francesco nella sua lode a Dio?

Per quali motivi alcune di esse vengono considerate “utili” per l’uomo?2

1

Comprensione

la poesia religiosa

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LESSIC

O

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LA POESIALa lauda XCIII, conosciuta anche come Pianto della Madonna, è uno dei mo-menti più alti della poesia di Jacopone da Todi per la sua straordinaria capa-cità di riportare un episodio centrale della religiosità cristiana, la passionee la morte di Gesù Cristo, su un piano umano tanto intenso dal punto di vistaemotivo da colpire in modo immediato e profondo la sensibilità dei fedeli.Il testo è strutturato come un dialogo a quattro voci nel quale è centrale la fi-gura di Maria, colta soprattutto nel suo ruolo di madre, affranta dalla sofferenzadel figlio che affronta una morte, agli occhi della donna, ingiusta e insensata.

Jacopone da Todi

Donna de Paradiso

Voce Schemadialogante rima

Ripresa“Donna de Paradiso,1 m

Fedele lo tuo figliolo è preso, mIesù Cristo beato. x

StrofaAccurre, donna, e vide a

5 che la gente l’allide:2 acredo che lo s’occide, atanto l’ho flagellato.3” x

“Com’essere porria,4

Maria ché non fece follia,10 Cristo, la spene5 mia,

om l’avesse pigliato?6”

“Madonna, ell’è traduto:Fedele Iuda sì l’ha venduto;

trenta denar’ n’ha avuto,15 fatto n’ha gran mercato.7”

“Soccurri, Maddalena!8

Maria Ionta m’è adosso piena:9

Cristo figlio se mena,10

com’è annunzïato.”

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1. de Paradiso: delcielo.2. l’allide: lo percuote. È un latinismo.3. l’ho flagellato: lohanno flagellato.4. Com’essere porria:come è possibile.5. spene: speme, cioèsperanza.6. om l’avesse pigliato:che l’abbiano catturato.7. fatto n’ha granmercato: lo ha venduto a un prezzo vilissimo.8. Maddalena: nellatradizione evangelicaMaria Maddalena è unadelle tre donne cheassistono allacrocifissione di Gesù.9. Ionta m’è adossopiena: mi è giuntaaddosso una sciaguraimprovvisa einsopportabile.10. se mena: è portatovia.

METROballata di settenari con l’eccezione di qualcheottonario, con stanze di quattro versi (schemaaaax) e ritornelli di tre versi (schema mmx)

il significante

le parole chiave

i temi

le figureretoriche

la simbologia

l’intertestualità

l’extratestualità

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20 “Soccurre, donna, adiuta,11

Fedele cà ’l tuo figlio se sputa12

e la gente lo muta;13

hòlo14 dato a Pilato.”

“O Pilato, non fareMaria 25 el figlio mio tormentare,

ch’io te pozzo mustrare15

como a torto è accusato”.

“Crucifige, crucifige!Popolo Omo che se fa rege,16

30 secondo nostra legecontradice al senato.”

“Prego che me ’ntennate,17

Maria nel mio dolor pensate:forsa mo vo mutate

35 de che avete pensato.18”

“Traàm for li ladruni,19

Popolo che sian suoi compagnoni:de spine se coroni,20

ché rege s’è chiamato!”

40 “ O figlio, figlio, figlio,Maria figlio, amoroso giglio!

figlio, chi dà consiglioal cor mio angustïato?

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11. adiuta: aiuta.12. cà ’l tuo figlio sesputa: perché sputanosu tuo figlio.13. e la gente lo muta:e lo trasferiscono (dalsinedrio dove è statoprocessato).14. hòlo: lo hanno.15. te pozzo mustrare:ti posso dimostrare.16. che se fa rege: chesi dichiara re.17. me ’ntennate: micomprendiate.18. forsa mo vo mutatede che avete pensato:forse ora (forsa mo) voipotreste cambiare idea.19. Traàm for li ladruni:scarceriamo i ladri.20. de spine se coroni:sia incoronato di spine.

Jacopo de’ Benedetti nasce a Todi tra il 1230 e il 1240 da una nobile famiglia.Dopo aver studiato legge, esercita la professione di notaio e, secondo la leg-genda, conduce una vita allegra e godereccia fino al momento in cui la mogliemuore durante una festa a causa del crollo della sala dove sta ballando. In quel-l’occasione Jacopo scopre che la donna indossa un cilicio (veste intessuta di pelidi capra indossata sulla nuda pelle per fare penitenza) e ne rimane così sconvoltoda abbandonare ogni interesse materiale.Dopo un periodo di penitenza durato dieci anni, durante il quale si avvicina ai Disci-plinati (vedi a p. 312), nel 1278 diviene frate laico nell’ordine dei Francescani. A causadelle sue posizioni polemiche nei confronti della corruzione della Chiesa, nel 1298papa Bonifacio VIII lo scomunica e successivamente lo fa processare e imprigionare.

Alla morte di Bonifacio VIII, avvenuta nel 1303, viene liberato e si ritira nel convento di san Lorenzo di Col-lazzone, tra Perugia e Todi, dove muore alla fine del 1306.Degli scritti di Jacopone da Todi ci è rimasto un laudario, ossia una serie di laude raccolte in volume a par-tire dal XIV secolo in ambiente francescano, che può essere considerato una fedele testimonianza del per-corso mistico e spirituale del frate, anche se non tutti i testi sono attribuiti a lui in modo certo. Nelle laudedi Jacopone la celebrazione dell’amore per Dio e degli ideali di carità e povertà si affianca di frequente auna critica feroce e serrata della realtà mondana di cui il frate denuncia l’aspetto vano e caduco.

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Figlio occhi iocundi,21

45 figlio, co’22 non respundi?Figlio, perché t’ascundial petto o’ si’ lattato?23”

“Madonna, ecco la croce,Fedele che la gente l’aduce,24

50 ove la vera lucedéi essere levato.25”

“O croce, e che farai?Maria El figlio mio torrai?26

Como tu ponirai,55 chi non ha en sé peccato?”

“Soccurri, piena de doglia,27

Fedele ca ’l tuo figliol se spoglia:28

la gente par che vogliache sia martirizzato.29”

60 “Se i tollete el vestire,30

Maria lassatelme31 vedere,como el crudel feriretutto l’ha ensanguenato.”

“Donna, la man li è presa,Fedele 65 ennella croce è stesa;32

con un bollon l’ho fesa,33

tanto lo ci ho ficcato.34

L’altra mano se prende,ennella croce se stende

70 e lo dolor s’accende,ch’è più moltiplicato.

Donna, li pè se prenno35

e chiavellanse al lenno:36

onne iontur’ aprenno,37

75 tutto l’ho sdenodato.38”

“E io comenzo el corrotto:39

Maria figlio, lo mio deporto,40

figlio, chi me t’ha morto,41

figlio mio dilicato?

80 Meglio averiano fatto42

che ’l cor m’avesser tratto,

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21. occhi iocundi: dagliocchi che danno gioia.22. co’: come.23. perché t’ascundi alpetto o’ si’ lattato?:perché ti sottrai al pettoche ti ha allattato?24. l’aduce: la porta (siriferisce alla croce delverso precedente).25. ove la vera luce déiessere levato: nel luogoin cui (ove) la luce dellaVerità (cioè Gesù) deveessere sollevata.26. torrai?: prenderaicon te?27. doglia: dolore.28. se spoglia: vienespogliato.29. martirizzato:crocifisso.30. Se i tollete elvestire: se a lui togliete i vestiti.31. lassatelme:lasciatemelo.32. la man li è presa,ennella croce è stesa:gli hanno afferrato lamano e l’hanno stiratasulla croce. Il verbostendere deriva daextensio, termine tecnicoche definiva lo stiramentodelle membra sulcavalletto della tortura.33. con un bollon l’hofesa: l’hanno spaccatacon un chiodo.34. tanto lo ci hoficcato: tanto lo hannofatto penetrare.35. li pè se prenno:afferrano i piedi.36. e chiavellanse allenno: e li inchiodano(chiavellanse) al legnodella croce.37. onne iontur’aprenno: hannospaccato tutte legiunture.38. tutto l’hosdenodato: lo hannotutto snodato.39. comenzo elcorrotto: comincio ilpianto. Il corrotto (orèpito) è il lamentofunebre sul corpo deldefunto.40. lo mio deporto: miagioia. È un gallicismodiffuso nell’anticoitaliano.41. chi me t’ha morto:chi ti ha ucciso.42. Meglio averianofatto: sarebbe statomeglio.

Svenimento della Vergineai piedi della croce(1480-1490).

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che ne la croce è tratto,43

stace descilïato!44”

“Mamma, ove si’ venuta?45

Gesù 85 Mortal me dài feruta,46

ca ’l tuo planger me stuta,47

che ’l veio sì afferrato.48”

“Figlio, che m’aio anvito,49

Maria figlio, pate e marito!90 Figlio, chi t’ha ferito?

Figlio, chi t’ha spogliato?”

“Mamma, perché te lagni?Gesù Voglio che tu remagni,50

che serve ei mei compagni95 ch’al mondo aio aquistato.51”

“Figlio, questo non dire:Maria voglio teco morire;

non me voglio partirefin che mo m’esce ’l fiato.52

100 C’una aiam sepultura,53

figlio de mamma scura:54

trovarse en afranturamate e figlio affocato!55”

“Mamma col core afflitto,Gesù 105 entro le man te metto

de Ioanne, meo eletto:56

sia tuo figlio appellato.

Ioanni, èsto mia mate:57

tollela en caritate,58

110 aggine pïetate,59

ca ’l cor sì ha furato.60”

“Figlio, l’alma t’è ’scita,61

Maria figlio de la smarrita,figlio de la sparita,62

115 figlio attossecato!63

Figlio bianco e vermiglio,figlio senza simiglio,64

figlio e a chi m’apiglio?65

Figlio, pur66 m’hai lassato!

la poesia religiosa

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43. che ’l corm’avesser tratto, chene la croce è tratto: chemi avessero strappato(tratto) il cuore, cheadesso è dilaniato (tratto)nella croce.44. stace descilïato: e sta lì lacerato.45. ove si’ venuta?:dove sei venuta?46. feruta: ferita.47. me stuta: mispegne, mi uccide.48. che ’l veio sìafferrato: che lo vedo (il tuo pianto) cosìlancinante.49. che m’aio anvito:ne ho un buon motivo.50. che tu remagni: chetu rimanga in questomondo (remagni).51. che serve ei meicompagni ch’al mondoaio aquistato: che tuconservi i compagni (gliapostoli) che ho avuto inquesto mondo. 52. fin che mo m’esce’l fiato: fino a quandonon respirerò più.53. C’una aiamsepultura: che ci sia pernoi una sola sepoltura.54. scura: infelice.55. trovarse enafrantura mate e figlioaffocato: che la madre eil figlio si trovino insiemesoffocati nelladisperazione (afrantura).56. de Ioanne, meoeletto: Gesù affida lamadre a GiovanniEvangelista. 57. èsto mia mate:questa è mia madre.58. tollela en caritate:prendila per carità difiglio.59. aggine pïetate: abbidi lei pietà.60. ca ’l cor sì hafurato: poiché ha il cuoretrafitto (furato).61. l’alma t’è ’scita: latua anima ha lasciato ilcorpo.62. sparita: annientata.63. attossecato:intossicato dall’aceto edal fiele bevuto sullacroce.64. senza simiglio:senza uguali.65. a chi m’apiglio?: a chi mi aggrappo?66. pur: per sempre.

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120 Figlio bianco e biondo,figlio volto iocondo,figlio, per che t’ha ’l mondo,figlio, così sprezzato?67

Figlio dolze e placente,125 figlio de la dolente,

figlio hatte la gentemalamente trattato.68

Ioanni, figlio novello,mort’è lo tuo fratello:

130 ora sento ’l coltelloche fo profitizzato.69

Che moga70 figlio e mated’una morte afferrate:71

trovarse abraccecate72

135 mate e figlio impiccato!73”Donna de paradiso, in G. Contini,

Letteratura italiana delle origini, Sansoni, Milano 1982

LA LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

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67. sprezzato:disprezzato,misconosciuto.68. hatte la gentemalamente trattato: lagente ti ha (hatte) trattatoin modo ingiusto ecrudele.69. che fo profetizzato:Simeone avevaprofetizzato che l’animadi Maria sarebbe statatrafitta da una spada.70. Che moga: chemuoiano.71. d’una morteafferrate: straziatiinsieme da una solamorte.72. trovarseabraccecate: che sitrovino abbracciati.73. mate e figlioimpiccato: la madre e ilfiglio appeso alla croce.

STRUMENTI DI LETTURAIl significante

Il testo è costituito prevalentemente da versisettenari, con l’eccezione di qualche otto-nario (vv. 25, 28, 56, 69, 76, 128) e riprendela struttura strofica della zagialesca, un’an-tica ballata di origine arabo-ispanica di cuisegue il semplice e regolare schema dellarima (aaax nelle stanze, mmx nel ritornello). A differenza delle laude recitate dalle confra-ternite nel corso delle processioni, i compo-nimenti di Jacopone sono abitualmentecostruiti su un contrasto tra personaggi,talvolta reali – la Madonna e un devoto, Cri-sto e un peccatore, un vivo e un morto – tal-volta astratti o simbolici – i cinque sensi, isette vizi capitali –. Ma Donna de Paradiso sidistingue dagli altri componimenti del fratepoiché è l’unico ad assumere la forma di unvero e proprio dialogo in cui si alternano le

voci di un fedele (probabilmente san Gio-vanni), che fino al v. 75 assume il ruolo delnarratore onnisciente, di Maria, del popolodegli Ebrei che sollecitano la condanna diCristo e di Gesù stesso (dal v. 84). Per que-sto motivo viene considerata il primo esem-pio di lauda drammatica, un genere carat-terizzato da un andamento quasi teatrale chefiorirà nei decenni successivi.Attraverso le parole dei soggetti dialoganti èpossibile ricostruire le tappe della passione emorte di Gesù Cristo (vedi la rubrica L’inter-testualità a p. 323), che sono presentate informa narrativa e vengono esposte in unasintassi prevalentemente paratattica chesemplifica al massimo la struttura testuale. L’utilizzo del volgare umbro appare frutto diuna precisa scelta comunicativa dell’autoreche avverte l’esigenza, condivisa da molticontemporanei, di elaborare un testo a con-

Crocifissione, icona, fine XII secolo.

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la poesia religiosa

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tenuto religioso in una lingua comprensibiledal popolo. Allo scopo di enfatizzare la dram-maticità dell’argomento, dà ai versi un ritmorapido e concitato e adotta un lessico di-retto e a volte crudo e violento (v. 21’l tuo fi-glio se sputa, v. 63 ensanguenato, v. 74 onneiontur’ aprenno, v. 75 sdenodato, v. 135 im-piccato).

Le parole chiaveIl linguaggio fortemente espressivo dellalauda, teso a coinvolgere emotivamente i fe-deli, è ricco di termini appartenenti al camposemantico del dolore che rimarcano la sof-ferenza interiore della Madonna (v. 33 nel miodolor, v. 43 cor mio angustïato, v. 56 pienade doglia), progressivamente trasformata inannullamento fisico e morale (v. 97 voglioteco morire, v. 101 figlio de mamma scura,vv. 113-114 figlio de la smarrita, / figlio de lasparita).Per contrasto, numerose espressioni mettonoin rilievo la bellezza (v. 116 bianco e vermi-glio, v. 120 bianco e biondo, v. 124 dolze eplacente), la gioiosa giovinezza (v. 44 occhiiocundi, v. 121 volto iocondo) e la purezza diGesù (v. 41 amoroso giglio, v. 79 dilicato) ren-dendo ancora più assurda e incomprensibilela sua morte.

I temiL’umanizzazione di Gesù e Maria: nella re-ligione cristiana la morte di Gesù costituisceun momento fondamentale poiché la naturadivina di Cristo si manifesta nel sacrificio concui espia i peccati degli uomini e nella suc-cessiva resurrezione che lo riconduce allacasa del Padre, ma di questa concezioneteologica nella lauda di Jacopone traspareassai poco. Nel testo affiorano soltanto alcuniriferimenti alle profezie che hanno anticipatol’evento della morte (v. 19 com’è annunzïato;v. 131 che fo profitizzato) e un unico richiamo,ad opera del fedele, al compito di Gesù diportare agli uomini la luce della verità (v. 50 lavera luce). Nel componimento prevale invece il motivodello straziante dolore della madre, rap-presentata soprattutto nella sua umanità didonna disperata e carnalmente legata al fi-glio (v. 47 al petto o’ si’ lattato) di cui tena-cemente sostiene l’innocenza (v. 9 ché nonfece follia; v. 55 chi non ha en sé peccato) difronte a chi lo accusa di aver violato la legge(vv. 38-39 de spine se coroni, / ché rege s’èchiamato).La trasposizione sul piano umano dell’episo-

dio evangelico si giustifica con l’origine so-ciale del pubblico cui la lauda è destinata, co-stituito da popolani semplici e di modestacultura, più pronti a farsi coinvolgere affetti-vamente ed emotivamente dalla vicenda chea riflettere sugli aspetti dottrinali. Così, alloscopo di suscitare una pietà spontanea e im-mediata in chi ascolta, l’autore conferisce altesto il tono semplice e ingenuo di un rac-conto popolare che sollecita la devozione deifedeli attraverso l’identificazione nei senti-menti dei protagonisti.Il compianto funebre: le radici popolari diDonna de Paradiso sono confermate dallamodalità con cui Maria esprime il proprio do-lore quando inizia il compianto funebre. A taleproposito l’etnologo Paolo Toschi (1893-1974) ha osservato come diverse espressionidel lamento della Madonna (v. 41 amorosogiglio; v. 44 occhi iocundi; vv. 46-47 figlio,perché t’ascundi / al petto o’ si’ lattato; v. 101figlio de mamma scura; vv. 114-115 figlio dela sparita, / figlio attossecato; vv. 118-119 fi-glio e a chi m’apiglio? / Figlio, pur m’hai las-sato!) non siano ascrivibili al cerimonialefunebre ecclesiastico dell’epoca, centratosoprattutto sulla prassi penitenziale, ma ri-calchino invece la fraseologia del pianto fu-nebre (rèpito o corrotto) recitato dalle donneai tempi di Jacopone (e per molti secoli an-cora) in tutta l’Umbria, le cui radici affondanoin rituali antichissimi, precedenti il Cristiane-simo.

Le figure retoricheLa rilevanza dell’anafora del termine Figlionel lamento di Maria alla croce (vv. 88-91, vv.112-126) ha lo scopo di accrescere la parte-cipazione del fedele al dolore della Madonna,assolvendo a una funzione drammatica oltreche ritmica. Inoltre riecheggia la struttura for-male delle litanie recitate durante le proces-sioni che, nella loro forma più antica, consi-stevano in un’elencazione rituale dei santi aiquali si chiedeva di intercedere presso Dio eallontanare le calamità naturali.

L’intertestualitàIl processo, la flagellazione, la crocifissione ela morte di Gesù Cristo sono riportati daiquattro evangelisti, ma solo nel Vangelo diGiovanni si fa riferimento alla presenza diMaria ai piedi della croce. Il confronto tra ilcomponimento di Jacopone e i rispettivipassi del Vangelo evidenzia come il frateabbia ripreso alcune immagini e situazionipresenti nella Scrittura (sottolineati nel testo),

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dando loro un taglio interpretativo inedito chepunta lo sguardo sulla disperazione di madredella Madonna e riporta l’episodio evange-lico su un piano totalmente umano.

Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagel-lare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, glie-la posero sul capo e gli misero addosso un mantello diporpora. Poi gli si avvicinavano e dicevano: «Salve,re dei Giudei!». E gli davano schiaffi. Pilato uscì fuo-ri di nuovo e disse loro: «Ecco, io ve lo conduco fuo-ri, perché sappiate che non trovo in lui colpa alcuna».Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il man-tello di porpora. E Pilato disse loro: «Ecco l’uomo!».Come lo videro, i capi dei sacerdoti e le guardie gri-darono: «Crocifiggilo! Crocifiggilo!». Disse loro Pi-lato: «Prendetelo voi e crocifiggetelo; io in lui non tro-vo colpa». Gli risposero i Giudei: «Noi abbiamo unaLegge e secondo la Legge deve morire, perché si è fat-to Figlio di Dio».[…]

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Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso. Essi pre-sero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso illuogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota, dove lo cro-cifissero e con lui altri due, uno da una parte e unodall’altra, e Gesù nel mezzo. […]Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorelladi sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màg-dala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei ildiscepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna,ecco il tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco la tuamadre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era com-piuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete».Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spu-gna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e glie-la accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesùdisse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lospirito.

Giovanni, 19, 1-7; 16-18; 25-30

Simone Martini (1284-1344) Cristo sulla via del Calvario, 1342,particolare.

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Labo

rato

rioLABORATORIO

diffic

oltà

il testo , trasformando il dialogo tra i quattro personaggi indiscorso indiretto.

La crocifissione di Gesù Cristo è probabilmente uno dei soggetti più frequentinella tradizione pittorica italiana, sia per il suo significato religioso sia per ladrammaticità umana dell’evento narrato. Effettua un tra la riproduzione del polittico della Passione di Simone Martini, conservatoal Museo del Louvre di Parigi, e la lauda di Jacopone da Todi: quali versi deltesto potrebbero essere illustrati dal dipinto? Quali figure del quadro rappre-sentano i personaggi che recitano il componimento o in esso sono citati?

confronto extratestuale

in prosaRiscrivi

10

9

Produzione

diffic

oltà

Il significante

Rifletti sui participi furato (v. 111), attossecato (v. 115), lassato (v. 119). Qualè il loro significato letterale? Quali parole attuali, secondo te, derivano da que-sti termini in volgare?

Le parole chiave

Il realismo del linguaggio di Jacopone risalta in modo particolare nella rie-vocazione della crocifissione di Gesù (vv. 65-75): sottolinea e trascrivi tutti itermini che riproducono la violenza della scena e per ciascuno trova l’attua-le parola corrispondente.

I temi

Rileggi le strofe attribuite al popolo: che cosa viene contestato a Gesù? Per-ché ciò è una colpa?

Come accade in Maria, anche in Gesù i sentimenti umani prevalgono sulla na-tura divina: in quali circostanze testuali questa affermazione trova conferma?

Vedi a p. 76

Vedi a p. 62

Vedi a p. 55

8

7

6

5

Analisi

diffic

oltà

Quali personaggi dialogano nel componimento?

Chi avvisa Maria di quanto sta accadendo a Gesù?

In che modo Gesù cerca di attenuare il dolore della madre?

Che cosa si augura Maria nei versi conclusivi della lauda?4

3

2

1

Comprensione

la poesia religiosa

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LESSIC

O

LESSIC

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Ilvolgare letterario

in FranciaL’IDEALE CAVALLERESCOA partire dall’XI secolo, nel territorio francese, organizzato secondo il modello feu-dale imposto da Carlo Magno, si sviluppa un nuovo ceto di cavalieri, formatodai figli cadetti dell’antica classe nobiliare esclusi dalla successione ereditaria deifeudi, ma anche da individui provenienti da famiglie non nobili che si mettono alservizio di un grande feudatario ricevendone in cambio terre. Nel corso di qual-che decennio il rango di cavaliere diviene ereditario e gli appartenenti a questanuova classe, pur godendo di un grado inferiore di nobiltà, cominciano a con-dividere alcuni dei privilegi dei grandi signori. Per legittimare la loro rapida ascesa sociale i cavalieri elaborano un siste-ma di valori proprio che, definendo in modo preciso le virtù che li distinguonodai villani (cioè da chi lavora la terra), costituisce una sorta di rappresentazio-ne idealizzata della cavalleria e della sua funzione. Sono considerati valori ca-vallereschi la prodezza, che si rivela nell’esercizio delle armi, il senso dell’onore,la lealtà nel combattimento e la fedeltà al proprio signore, virtù quindi esclusi-vamente militari che solo successivamente l’intervento della Chiesa riuscirà a mi-tigare e ingentilire, mettendo il valore dei guerrieri al servizio dei deboli, degli op-pressi e della vera fede.La prima espressione letteraria degli ideali cavallereschi è costituita dalle chan-sons de geste, lunghi poemi epici in lingua d’oïl – il volgare parlato nella zonasettentrionale della Francia (vedi a p. 304) – raggruppati in cicli centrati sulla fi-gura di Carlo Magno e dei suoi paladini, di cui l’esempio più noto è la Chansonde Roland (vedi Volume C) composta alla fine dell’XII secolo.

In Italia la circolazione delle chansons de gesteè favorita da una serie di fattori diversi tra cuila dominazione normanna, che diffonde nelMezzogiorno la conoscenza del francese, i pel-legrinaggi e gli intensi traffici commerciali cheogni anno spingono migliaia di uomini a per-correre la via Francigena. Attraverso questa via,che dalla Francia conduce a Roma un inces-sante flusso di mercanti e fedeli, si diffonde lafama delle gesta del re Carlo e del paladinoOrlando in tutta la penisola, come testimo-niano i numerosi reperti iconografici e la to-ponomastica di molte località che conservatracce dei nomi dei personaggi celebrati nella

Gruppo di cavalieri,miniatura dal codice De universo di RabanoMauro, 1028.

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il volgare letterario in Francia

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Chanson de Roland1. Quando le corti dei signori di Francia si trasformano in cen-tri eleganti e raffinati dove si vive secondo un codice di comportamento minu-ziosamente definito, al cavaliere non basta più dimostrare di essere valoroso inbattaglia, ma comincia a perseguire virtù adatte ai tempi di pace, come la libe-ralità, cioè il disprezzo del denaro e dei beni materiali, la magnanimità, ossiala capacità di compiere atti generosi, e la misura, che si manifesta nella capa-cità di tenere a freno le proprie passioni.

L’AMOR CORTESECentro della corte è la donna, di condizione aristocratica e spesso moglie delsignore feudale, il cui culto diviene l’elemento distintivo del sistema di valo-ri cavalleresco e si traduce in una particolare concezione dell’amore, defi-nita amor cortese, che impronta tutta la produzione letteraria del tempo. Considerata un essere sublime e impareggiabile, essa è irraggiungibile e neisuoi confronti il cavaliere esprime una dedizione assoluta, proclamandosi suoservitore e rendendole omaggio senza pretendere nulla in cambio. Questo tipodi rapporto viene definito “servizio d’amore” e genera in chi ama sentimenti disofferenza e tormento interiore per l’impossibilità di conseguire il proprio obiet-tivo, ma anche di gioia e pienezza perché la passione d’amore purifica, ingenti-lisce e nobilita chi la sperimenta. Trattandosi di un amore non lecito, il cavaliereutilizza ogni accorgimento per mantenerlo segreto in modo da non incrinarel’onorabilità dell’amata alla quale si riferisce soltanto attraverso l’artificio retoricodel senhal (pronuncia sequàl = segnale), uno pseudonimo riconoscibile solo dal-la donna stessa.Tuttavia, un sentimento tanto esclusivo e totalizzante distoglie daogni interesse che non sia l’amata e quindi allontana l’uomo ancheda Dio; ciò, oltre a generare nell’amante un irrisolvibile senso di col-pa, spingerà la Chiesa a esprimere un’energica condanna nei con-fronti dell’amor cortese, la cui fortuna durerà comunque ben oltrela fine del mondo cavalleresco.Gli ideali cortesi sono fortemente influenzati dal contesto in cui na-scono, una società ristretta ed elitaria nella quale anche l’espres-sione di un sentimento ha la funzione di segnalare l’apparte-nenza a un preciso gruppo, poiché può amare finemente solochi è cortese, cioè appartiene a una corte. A proposito del nes-so esistente tra la concezione dell’amor cortese e la società feu-dale, alcuni studiosi hanno interpretato il rapporto di subalternitàdel cavaliere rispetto all’amata come una metafora del vincolo chestringe il vassallo al suo signore e che viene riprodotto nel linguaggioletterario quando l’uomo, rivolgendosi alla donna, la chiama al ma-schile midons, che significa “mio signore”.

1. Ecco alcuni esempi dell’influenza dalla poesia cavalleresca francese in Italia.Toponomastica: il nome di Capo d’Orlando, sulla costa siciliana, attestato già nel secolo XII tra il 1185 e il 1187.Onomastica: a Capua nel 1131, a Pavia nel 1145, a Genova nel 1150, a Parma nel 1174, a Ferrara nel 1176 viene registrata la nascita di coppiedi fratelli chiamati rispettivamente Orlando e Oliviero, segno della diffusione popolare del poema cavalleresco lungo la via Francigena e nei luoghidella dominazione normanna.Iconografia: a Brindisi, porto d’imbarco della Terrasanta, il vecchio pavimento a mosaico della cattedrale, costruito nel 1178 e distruttodefinitivamente nel terremoto del 1858, rappresentava scene della battaglia di Roncisvalle; a Verona fin dalla prima metà del XII secolo Orlando eOliviero campeggiano in due bassorilievi ai lati del portale del Duomo; nella stessa epoca la figura di Orlando domina la città di Modena da unospigolo della torre Ghirlandina.

Miniatura dal CodexManesse, XIII secolo. Il manoscritto raccogliepoesie liriche cortesi eminiature cheraffigurano in manieraidealizzata dei poetiintenti in attivitàcavalleresche e cortesi.

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LA LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

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CANZONEcomponimentoformato da più stanze(vedi a p. 33).

SESTINAfu inventata dal poetaprovenzale ArnautDaniel e introdottanella poesia italianada Dante, è compostada sei stanze indivise(senza fronte esirma), con una codacostituita da unaterzina. Ogni stanza èformata da sei parole-rima, che si ripetonosempre uguali distanza in stanza,secondo l’ordinechiamato di“retrogradazione acroce”: ABCDEF,FAEBDC, CFDABE,ECBFAD, DEACFB,BDFECA.

PASTORELLAcomponimento informa di dialogo cheha come temal’incontro tra uncavaliere e unapastorella la quale, il più delle volte,respinge le offerteamorose delcavaliere.

Gli ideali dell’amor cortese sono espressi in forma narrativa nel romanzo ca-valleresco e in particolare nel Ciclo bretone che si basa su antiche leggende fio-rite intorno al mito di re Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda e viene elabo-rato nel XII secolo in lingua d’oïl da Chrétien de Troyes (vedi Volume C), men-tre il genere poetico che interpreta più fedelmente questi valori è la lirica nellalingua d’oc (o occitano) che raggruppa diversi volgari della Francia meridiona-le, il più importante dei quali è il provenzale.

LA POESIA LIRICA PROVENZALELa poesia lirica che a partire dal XII secolo viene prodotta all’interno delle cortifeudali del Sud della Francia è il risultato artisticamente più alto di questa fasestorica. Originariamente essa viene cantata in pubblico, con un accompa-gnamento musicale, dai trovatori (da trobar, che significa comporre musica),professionisti che talvolta eseguono personalmente le loro composizioni, talvoltale affidano a cantori professionisti chiamati giullari. All’inizio le poesie dei trovatori vengono trasmesse oralmente, ma dal XIII secoloesse vengono trascritte e raccolte in canzonieri, dove i testi sono precedutida brevi introduzioni (razos) e accompagnati dalle biografie, spesso fantasiosee romanzate, degli autori (vidas).Secondo la tradizione, il primo dei trovatori è stato il grande signore feudale Gu-glielmo IX di Aquitania vissuto tra l’XI e il XII secolo, ma sono noti i nomi di altripoeti, appartenenti a classi sociali meno prestigiose e autori di alcuni dei 2542componimenti giunti fino a noi poiché, a differenza di quanto accadeva per i poe-mi cavallereschi, di solito tramandati in forma anonima, i provenzali hanno la con-suetudine di firmare le loro opere.La poesia trobadorica esprime sentimenti, pensieri e stati d’animo degli autorimediante un repertorio codificato di immagini e strutture metriche e strofiche– come la canzone, la sestina e la pastorella – destinate a influenzare in modo du-raturo la letteratura dei secoli seguenti.L’argomento centrale della lirica provenzale è l’amore, sviluppato secondo ilcanone cortese che impone l’asservimento dell’amante all’amata, impediscela soddisfazione del desiderio ma contemporaneamente celebra la gioia che col-ma l’animo di chi è in grado di provare questo nobile sentimento. I temi moralie politici vengono trattati solo in particolari strutture strofiche tra cui il sirventesee la tenzone.A causa del successo e della grande diffusione della lirica trobadorica, l’occi-tano acquista dignità letteraria e si impone come lingua canonica della poe-sia d’amore fino agli inizi del XIII secolo, quando la crociata contro gli Albige-si bandita dal papa Innocenzo III pone bruscamente fine alla civiltà cortese di Pro-venza, distruggendo la ricchezza e la potenza dei grandi signori meridionali, i cuifeudi finiscono sotto il diretto controllo della corona francese, e riducendo la pre-stigiosa lingua d’oc al rango di idioma territoriale.Nonostante ciò la cultura dei trovatori non sparisce completamente: per meritodei provenzali sfuggiti al massacro della crociata che si rifugiano nelle corti e nel-le città dell’Italia settentrionale e grazie alla scelta di scrittori appartenenti ad al-tre aree linguistiche e culturali di recuperare elementi stilistici e tematici tipi-ci della lirica trobadorica, come accade presso la corte di Federico II dovenasce la Scuola siciliana, un fenomeno singolare nel panorama culturale ita-liano del XIII secolo.

SIRVENTESEcomponimentospesso polemico ecalunnioso, a voltesatirico.

TENZONEcomponimentodestinato alladiscussione di untema controverso trapiù interlocutori.

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la Scuola siciliana

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La Scuolasiciliana

LA MAGNA CURIANella prima metà del XIII secolo l’imperatore Federico II di Svevia creaun organismo statale assoluto, accentrato e fondato su un solido ap-

parato amministrativo, il cui centro propulsivo si trova in Sicilia e che,per diversi aspetti, può essere considerato il primo Stato moder-

no d’Europa. Nella Magna Curia, la corte simbolo del potere imperiale, Fe-

derico II riunisce le personalità più colte dell’epoca, di ognifede religiosa e provenienza geografica e, in un clima culturale

vivace e insolitamente aperto rispetto ai tempi, promuovelo studio della filosofia, della medicina e delle scienze naturali, ma anche dell’astrologia e dell’alchimia, consi-

derate strumenti attendibili di conoscenza. A differen-za di quelle feudali, la corte di Federico è mobilepoiché si sposta di continuo per la Sicilia e in tutta Italia in relazione alle molteplici necessità politiche delsovrano e, anche grazie a ciò, diviene un luogo di fer-

tile interscambio culturale.

I POETI SICILIANIÈ nell’ambito della corte che tra il 1230e il 1250 nasce la Scuola poetica sici-liana, i cui protagonisti sono funzionariamministrativi, burocrati e rappresentantidell’imperatore forniti di cultura giuridicae retorica e quindi omogenei per condi-zione sociale e formazione. Più che allaloro origine geografica l’appellativo “Si-ciliani” si riferisce infatti alla comunematrice culturale, al condiviso sistemadi valori e all’ambito politico nel qualeessi operano. La produzione letteraria deiSiciliani si ispira in modo esplicito e di-chiarato ai modelli stilistici e tematici

Federico II col falcone,miniatura dal codice De arte venandi cumavibus, XIII secolo.

Federico II concede privilegi al comune di Asti,miniatura dal Codex Astensis, XIII secolo.

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LA LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

Miniatura dal CodexManesse, XIII secolo.

dei provenzali, ma a differenza di trovatori e giullari, che della composizio-ne di versi avevano fatto una professione dotata di autonoma dignità, per i Si-ciliani scrivere poesie è un diletto, una forma di evasione dalla realtà quotidiana

e, allo stesso tempo, un segno di apparte-nenza a una cerchia ristretta ed eletta. Dai provenzali i Siciliani riprendono fe-delmente la tematica dell’amor cortese,che costituisce l’argomento pressoché uni-co delle loro composizioni con tutto il suorepertorio di tópoi e situazioni standardizzate– omaggio feudale alla dama di cui l’uomosi professa umile servitore, esaltazione del-la perfezione dell’amata, lode alla sua bel-lezza paragonata a quella della natura, do-lore per la sua lontananza e rimpianto per legioie d’amore perdute – ma abbandonanola consuetudine dell’accompagnamentomusicale poiché la loro poesia è destinataalla lettura individuale e non alla recitazionepubblica.

IL VOLGARE SICILIANOSul piano formale i Siciliani compiono un’operazione destinata ad avere un’im-portanza decisiva nella storia letteraria italiana, assumendo come lingua poe-tica il volgare siciliano di cui costruiscono lessico e sintassi prendendo amodello le due lingue più prestigiose del tempo, il latino e la lingua d’oc, in mododa accogliere ed esprimere degnamente il patrimonio concettuale dei trovatori.Il loro volgare è un siciliano alto e illustre, adoperato con intenzione non dia-lettale ma letteraria e lontanissimo dall’uso parlato, depurato da ogni espressionebassa e colloquiale e sostanziato di vocaboli rigorosamente selezionati.Orgogliosi di appartenere a un’élite, i Si-ciliani non operano scelte linguistichedettate dall’esigenza di rendere ac-cessibili i loro testi a un pubblico più am-pio ma si muovono nella direzione oppo-sta della netta separazione tra la linguaparlata e la lingua poetica che caratte-rizzerà a lungo la tradizione letteraria ita-liana. Occorre tuttavia precisare che scar-sissime sono le testimonianze della formaautentica del volgare siciliano poiché i te-sti di questi autori, diffusi e ammirati in tut-ta Italia, ci sono pervenuti nelle trascrizionieffettuate da copisti toscani che hanno so-vrapposto le caratteristiche del loro idio-ma a quelle originarie.

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Federico II, miniatura dalla Chronica regia Coloniensis, XIII secolo.

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la Scuola siciliana

1. Meravigliosamente: straordinariamente.2. mi distringe: mi avvince, mi stringe con forza. Il prefisso di- havalore rafforzativo.3. che pone mente in altro exemplo: che osserva attentamente(pone mente) un modello (altro exemplo).4. pinge la simile pintura: riproduce la copia esatta.5. facc’eo: faccio io.6. ’nfra lo core meo: nel mio cuore.7. figura: immagine.

8. pinta como parete: dipinta come apparite.9. e non pare di fore: e non traspare all’esterno.10. co’ mi par forte: come è crudele.11. con’ v’amo di bon core: con quanta devozione io vi amo.12. ca pur vi guardo ascoso: che vi guardo solo di nascosto (ascoso)13. non vi mostro amore: non vi dimostro il mio amore.14. Avendo gran disio: avendo un grande desiderio (di guardarvi).15. dipinsi una pintura: impressi dentro di me una vostra immagine.16. e quando voi non vio: e quando non vi vedo (vio).

Meravigliosamente1 aun amor mi distringe2 be mi tene ad ogn’ora. cCom’om che pone mente a

5 in altro exemplo3 pinge bla simile pintura,4 ccosì, bella, facc’eo:5 dche ’nfra lo core meo6 dporto la tua figura.7 c

10 In cor par ch’eo vi portipinta como parete,8

e non pare di fore.9

O Deo, co’ mi par forte.10

Non so se lo sapete, 15 con’ v’amo di bon core:11

ch’eo son sì vergognoso ca pur vi guardo ascoso12

e non vi mostro amore.13

Avendo gran disio,14

20 dipinsi una pintura,15

bella, voi simigliante;e quando voi non vio16

LA POESIAL’amore per una donna sublime, tanto intenso da rendere muto e vergognosochi lo prova, è un tópos della poesia provenzale che Jacopo da Lentini inter-preta con grande maestria tecnica, giocando con un lessico ricco di allusivirimandi interni. Come sempre accade nella poesia dei Siciliani, la situazionerappresentata è astratta e decontestualizzata. Tuttavia l’autore mostra grandeabilità nel descrivere il senso di impotenza e di paralisi che coglie l’inna-morato al cospetto di una donna la cui perfezione richiama quella divina, in-troducendo in questo modo una tematica che avrà grande fortuna fino allapoesia stilnovista (vedi a p. 335).

Jacopo da Lentini

Meravigliosamente…

METROcanzonetta formatada sette stanze inversi settenari

il significante

le parole chiave

i temi

le figureretoriche

la simbologia

l’intertestualità

l’extratestualità

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Jacopo (o Giacomo) da Lentini nasce probabilmente (le notizie certe sono molto scarse) aLentini, nei pressi di Siracusa, intorno al 1210. La sua attività presso la corte di Federico II èdocumentata da due privilegi del 1233 nei quali viene definito fidelis scriba e notarius – dacui l’appellativo Notaro con il quale si autodefinisce in alcuni componimenti – e da un docu-mento del 1240 firmato “Jacobus de Lentino domini Imperatoris notarius”. Partendo da alcuni vaghi accenni contenuti nei suoi testi si è ipotizzato che tra il 1241 e il 1245sia stato in Lazio e in Toscana, probabilmente al seguito della corte di Federico. La sua mortedovrebbe risalire al 1260 circa. Nel canto XXIV del Purgatorio, Dante Alighieri parla di Jacopo da Lentini come del primo e piùautorevole rappresentante della Scuola siciliana, di cui ancor oggi viene considerato l’interpretepiù alto per la grande abilità inventiva e retorica. Dei circa 150 componimenti attribuibili ai Si-

ciliani, ben 38 appartengono al suo canzoniere, che offre un repertorio completo delle scelte metriche e tematiche dellapoesia siciliana: a lui si devono la codifica della struttura della canzone (vedi a pp. 328 e 33) e, quasi certamente, l’in-venzione del sonetto, il cui nome deriva dal provenzale sonet – diminutivo di so che vuol dire suono, melodia – nelsenso di “poesia per musica”. Il sonetto viene considerato dai Siciliani una struttura metrica meno nobile della canzoneed è inizialmente destinato a esporre argomenti di tono discorsivo e dottrinale, ma il prestigio acquisito nei secoli se-guenti estenderà l’uso di questa composizione metrica ad ambiti tematici molto differenziati (vedi a p. 32).

guardo ’n quella figura,e par ch’eo v’aggia avante:17

25 come quello che credesalvarsi per sua fede,ancor non veggia inante.18

Al cor m’arde una doglia,19

com’om che ten lo foco30 a lo suo seno ascoso,20

e quando più lo ’nvoglia,21

allora arde più loco22

e non pò stare incluso:23

similemente eo ardo35 quando pass’ e non guardo

a voi, vis’ amoroso.24

S’eo guardo, quando passo, inver’ voi,25 no mi giro, bella, per risguardare.26

40 Andando, ad ogni passo getto uno gran sospiro che facemi ancosciare;27

e certo bene ancoscio,28

c’a pena mi conoscio,29

45 tanto bella mi pare.30

17. ch’eo v’aggia avante: che vi abbia davanti a me.18. ancor non veggia inante: nonostante non veda davanti a sé ciòin cui si crede.19. Al cor m’arde una doglia: nel cuore sento un dolore (doglia).20. com’om che ten lo foco a lo suo seno ascoso: come chinasconde il fuoco nel petto.21. e quando più lo ’nvoglia: e quando più lo avvolge (’nvoglia).22. allora arde più loco: tanto più esso lì (loco) brucia.23. non pò stare incluso: non può rimanere rinchiuso (incluso).

24. amoroso: che suscita amore.25. inver’ voi: verso di voi.26. risguardare: guardarvi nuovamente.27. che facemi ancosciare: che mi fa singhiozzare.28. e certo bene ancoscio: e tanto mi affanno.29. c’a pena mi conoscio: che mi riconosco appena.30. mi pare: mi appari. È frequente nella poesia siciliana l’alternanzadei pronomi allocutori “tu” e “voi”.

LA LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

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la Scuola siciliana

Assai v’aggio laudato, madonna, in tutte parti31

di bellezze ch’avete. Non so se v’è contato32

50 ch’eo lo faccia per arti,33

ché voi pur v’ascondete.34

Sacciatelo per singa35

zo ch’eo no dico a linga,36

quando voi mi vedrite.

55 Canzonetta novella,37

va’ canta38 nova cosa; lèvati da maitino39

davanti a la più bella, fiore d’ogn’amorosa,40

60 bionda più c’auro fino: “Lo vostro amor, ch’è caro,41

donatelo al Notaro ch’è nato da Lentino.42”

Meravigliosamente…, in G. Contini, Letteratura italiana delle origini,

Sansoni, Milano 1982

STRUMENTI DI LETTURAIL SIGNIFICANTE

La poesia è strutturata secondo lo schemadella canzonetta, un componimento formatoda un numero variabile di stanze costruite inmodo simmetrico, composta, a differenzadella canzone (vedi a p. 33), solo da versibrevi. In questo caso si tratta di sette stanzein versi settenari, ciascuna delle quali constadi una fronte divisa in due piedi identici (abcabc) e di una sirma indivisa il cui verso con-clusivo rima con l’ultimo verso del secondopiede (ddc). L’ultima stanza funge da congedo e, se-guendo il modello di alcuni poeti provenzali,si rivolge direttamente alla canzone (v. 55Canzonetta novella), modalità questa chesuccessivamente sarà utilizzata anche daglistilnovisti e da Francesco Petrarca

.Nel testo sono presenti diversi esempi di rimasiciliana che, assimilando i suoni i a è e u a ó,legano foneticamente le parole ora/pintura/fi-gura (vv. 3, 6, 9), ascoso/incluso/amoroso (vv.

Vedi Appendice

30, 33, 36), avete/ascondete/vedrite (vv. 48,51, 54). È probabile che questo tipo di rima,considerato legittimo dagli scrittori del pas-sato, sia una conseguenza della toscanizza-zione della poesia siciliana operata dai copistie che, inizialmente, il v. 3 finisse con la parolaura, i vv. 33, 36 suonassero ascusu/amurusue i vv. 48, 51 avite/ascondite.Fedeli all’originario volgare siciliano sono in-vece le forme eo (vv. 7, 10), meo (v. 8), vio (v.22) e zo (v. 53).Oltre alle rime vere e proprie la poesia pre-senta una fitta trama di ripetizioni lessicalicome porto/porti (vv. 9, 10) e pass’ …guardo/guardo … passo (vv. 35, 37) che col-legano rispettivamente la prima alla secondastanza e la quarta alla quinta.

LE PAROLE CHIAVELa selezione lessicale operata dai Siciliani èestremamente rigorosa e la loro abilità tec-nica si manifesta soprattutto nella capacità diinventare artifici retorici sofisticati e com-

31. in tutte parti:dappertutto.32. Non so se v’ècontato: non so se vi èstato detto.33. per arti: ad arte.34. ché voi purv’ascondete: e per questoanche voi vi nascondete.35. Sacciatelo per singa:riconoscete dai segniesteriori. Sacciatelo e singasono forme meridionalicome i successivi zo, linga,vedite.36. zo ch’eo no dico alinga: ciò che io non dicocon le parole (a linga).37. novella: appenacomposta, ma secondoun’altra interpretazione,straordinaria.38. va’ canta: vai acantare.39. lèvati da maitino:alzati di buon mattino.40. d’ogn’amorosa: diogni donna capace diamore.41. caro: prezioso.42. ch’è nato da Lentino:che si chiama da Lentinioppure, secondo un’altrainterpretazione, che ènativo di Lentini.

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plessi, basandosi su una limitata partitura lin-guistica. Una delle strategie retoriche ricor-renti è costituita dall’iterazione, di cui si trovaun significativo esempio nella seconda stan-za quando in quattro versi consecutivi ilverbo parere viene ripetuto con lievi varia-zioni semantiche che gli fanno assumere divolta in volta il significato di sembrare (vv. 10,13), apparire (v.11), essere visibile (v. 12).Nella prima parte del componimento la ripe-tizione dei termini pintura/figura definisce al-ternativamente l’atto materiale del dipin-gere (vv. 4-6 om … pinge la simile pintura)e la rappresentazione mentale e senti-mentale dell’amata (v. 9 la tua figura; v. 11pinta como parete, vv. 20, 21 dipinsi unapintura bella, voi simigliante) con cui il poetasi consola della sua assenza fisica (v. 23guardo ’n quella figura).

I TEMIIl poeta e l’amata: il tema dell’intenso inna-moramento del poeta per una donna è uno ste-reotipo che non corrisponde affatto a una realeesperienza autobiografica e la figura femminile– sempre presente nelle liriche del Notaro – èpriva di qualsiasi determinazione concreta erealistica e viene tratteggiata in modo stilizzatoricalcando i motivi provenzali della bellezza (vv.7, 39, 43, 58 bella) e della radiosa luminosità (v.60 bionda più c’auro fino).La fenomenologia amorosa: più dettagliatae sentita è la descrizione dello stato d’animoe dei sentimenti dell’amante che attraversosospiri e singhiozzi (vv. 41-44) manifesta ciòche le sue parole non riescono a dire (v. 53).Tuttavia, a differenza dei provenzali, Jacopoda Lentini non giustifica il suo “silenzio” conle convenzioni letterarie che imponevano ditenere segreta la passione per riguardo al-l’onorabilità della donna ma con un rapido ri-ferimento alla sua timidezza (v. 16 ch’eo sonsì vergognoso), che consente di attribuire alpoeta una maggiore capacità introspettivadei suoi predecessori.

LE FIGURE RETORICHE I poeti siciliani esprimono la loro concezionecortese dell’amore attraverso figure retorichecostruite su immagini convenzionali che, at-tinte per lo più dal modello provenzale, avran-no larga fortuna nella poesia d’amore dei se-coli seguenti.Nella prima stanza l’autore si serve di una si-

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militudine per paragonare il processo cheporta il pittore a riprodurre fedelmente un og-getto dopo averne attentamente osservatol’originale a quello attuato dal poeta-amanteper interiorizzare l’immagine della donna (vv.4-9). Le due situazioni hanno in comune l’in-teresse totalizzante dei soggetti nei confrontidei rispettivi modelli e la duratura persistenzadelle loro rappresentazioni.Nella quarta strofa un’altra similitudine (vv.28-33) esprime l’idea che la passione sia piùdolorosa se occultata e che, come il fuoco,l’amore diviene più impetuoso e ardentequando si cerca di soffocarlo.

L’INTERTESTUALITÀI tópoi dell’incontro con l’amata in grado diprovocare uno stato di estasi ma anche diangosciosa paralisi (vv. 37-45) e della lodealla bellezza della donna, qualche decenniodopo verranno ripresi dai poeti stilnovistiche li reinterpreteranno accentuando il le-game tra la sublime apparizione femminile ela perfezione di Dio. Successivamente gli stessi temi saranno svi-luppati con sensibilità più acuta da Petrarcache si impossesserà anche di molte imma-gini care ai Siciliani, come la metafora delfuoco ardente per rappresentare l’intensitàdel sentimento amoroso.In questo sonetto tratto dal Canzoniere, Pe-trarca descrive la passioneamorosa come un fuoco interiore che bruciaa tal punto da rendere palesi nel corpo i sen-timenti che l’amante infelice vuol tenere celati.

Solo et pensoso i piú deserti campivo mesurando a passi tardi et lenti,et gli occhi porto per fuggire intentiove vestigio human la rena stampi.

5 Altro schermo non trovo che mi scampidal manifesto accorger de le genti,perché negli atti d’alegrezza spentidi fuor si legge com’io dentro avampi:

sì ch’io mi credo omai che monti et piagge10 et fiumi et selve sappian di che tempre

sia la mia vita, ch’è celata altrui.

Ma pur sí aspre vie né sì selvaggecercar non so, ch’Amor non venga sempreragionando con meco, et io co·llui.

Solo et pensoso…, in G. Contini, Letteratura italiana delle origini, Sansoni, Milano 1982

Vedi Appendice

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LABORATORIO

strofa per strofa il contenuto del testo.

Fa’ la della poesia.

Elabora in forma scritta un tra la canzonetta di Jaco-po da Lentini e il sonetto di Petrarca Solo et pensoso che hai appena letto, met-tendo in evidenza gli elementi tematici che accomunano i tre componimenti.

7 Riassumi

parafrasi

confronto intertestuale9

8

Produzione

Il significante Individua l’iterazione lessicale presente nella quarta stanza (vv. 28-36) e spie-ga a quale campo semantico essa si riferisce.

Le figure retoriche Sottolinea la similitudine presente nella terza stanza e spiegane il significa-to indicando quali sono i termini di paragone.

Vedi a p. 52

Vedi a p. 50

6

5

Analisi

Per quale motivo il poeta non rivela alla donna il suo amore?

Che cosa lo spinge a costruire nella sua mente una fedele rappresentazionedell’amata?

In che modo si manifestano la sofferenza e lo smarrimento dell’autore?

Che cosa chiede alla canzonetta nell’ultima strofa?4

3

2

1

Comprensione

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Labo

rato

rio diffic

oltà

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oltà

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LESSIC

O

APPROFONDIMENTO

Nel canto XXIV del Purgatorio Dante definisce Dolce Stil Novo la corrente poeticasviluppatasi tra il 1280 e il 1310 a Firenze e a Bologna all’interno della nuova classe borghese, poli-ticamente influente e dotata di una cultura raffinata: a questo movimento letterario appartengono,tra gli altri, lo stesso Dante Alighieri, Guido Cavalcanti, Lapo Gianni e Guido Guinizzelli.Il termine dolce si riferisce alla scelta di adottare uno stile terso e musicale e una sintassi semplicee limpida dalla quale sono escluse le espressioni lessicali caratteristiche del parlato; l’aggettivonovo sottolinea la modalità nuova con cui si interpreta il sentimento amoroso, che costituisce iltema unico della poesia stilnovista. I poeti stilnovisti celebrano la donna-angelo, la cui perfezionenobilita l’amore terreno, trasformandolo in una forza spirituale in grado di operare una prodigiosametamorfosi interiore nell’animo di chi ne fa esperienza.

Vedi Appendice

Il dolce stil novo

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LA LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

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1. Però c’Amore no si pò vedere: poiché l’Amore non si può vedere.I versi iniziali riprendono l’argomento sostenuto da Jacopo Mostaccinel sonetto precedente. 2. e no si tratta corporalemente: e non si può toccare fisicamente.3. manti ne son de sì folle sapere: parecchi (manti) sono diun’opinione tanto folle; manti è un gallicismo.4. che credono c’Amor[e] sia nïente: da sostenere che l’Amore nonsia niente, dunque non esista. Pier delle Vigne si riferiscepolemicamente all’opinione di Mostacci e a quella sostenuta daJacopo da Lentini nella tenzone con l’abate di Tivoli del 1241.5. Ma po’ ch’Amore si face sentire: ma quando l’amore si fasentire.6. dentro dal cor signoreggiar la gente: e domina il cuore dellagente.

7. molto maggiore pregio de[ve] avere: dimostra di avere molta piùforza (pregio).8. che se ’l vedessen visibilemente: che se lo si vedesseeffettivamente.9. Per la vertute de la calamita como lo ferro at[i]ra no se vede:come non è visibile (no se vede) la facoltà (vertute) della calamita diattirare il ferro.10. ma sì lo tira signorevolmente: eppure essa lo attrae con forzaincontrastabile (signorivolmente).11. e questa cosa a credere me ’nvita: e ciò mi spinge a credere.12. ch’Amore sia, e dàmi grande fede: che l’Amore esista, e mi dàuna grande fiducia in questa opinione.13. che tutor sia creduto fra la gente: che sempre (tutor) la gentegli ubbidisca; tutor è un gallicismo.

Pier della Vigna

Però c’Amore no si pò vedere

LA POESIAPer i poeti siciliani il tema dell’amore è spesso al centro di discussioni teori-che, come accade nella tenzone, di cui riportiamo una parte, nella quale Ja-copo Mostacci, Pier delle Vigne e Jacopo da Lentini dibattono sulla natura diquesto sentimento.Jacopo Mostacci sostiene che la disposizione ad amare, caratteristica degli es-seri umani, non sia in sé una prova dell’esistenza reale dell’amore, visto chel’esperienza comune dimostra che esso no parse ni pare (non si è mai veduto enon si vede). A ciò Pier delle Vigne controbatte affermando che, pur non essendoné visibile né tangibile, l’Amore può essere considerato una sostanza reale pro-prio in virtù della forza invincibile che esercita sulla volontà degli uomini.

Però c’Amore no si pò vedere1

e no si tratta corporalemente,2

manti ne son de sì folle sapere3

che credono c’Amor[e] sia nïente.4

5 Ma po’ ch’Amore si face sentire5

dentro dal cor signoreggiar la gente,6

molto maggiore pregio de[ve] avere7

che se ’l vedessen visibilemente.8

Per la vertute de la calamita 10 como lo ferro at[i]ra no se vede,9

ma sì lo tira signorivolmente;10

e questa cosa a credere mi ’nvita11

ch’Amore sia, e dàmi grande fede12

che tutor sia creduto fra la gente.13

da Però c’Amore no si pò vedere, in Poesia Italiana.Duecento, a cura di C. Segre e C. Ossola,

Einaudi-Gallimard, Torino 1997

METROsonetto costituito dadue quartine a rimabaciata e due terzinea rima replicata

il significante

le parole chiave

i temi

le figureretoriche

la simbologia

l’intertestualità

l’extratestualità

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la Scuola siciliana

V. JACOMUZZI, M.R. MILIANI, A. NOVAJRA, F.R. SAURO, Trame e temi © SEI 2011

volumeB36

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STRUMENTI DI LETTURAIL SIGNIFICANTE

Il componimento di Pier delle Vigne è partedi una tenzone, una forma di dibattito in versisu un tema tra due o più interlocutori – inquesto caso Jacopo Mostacci, l’autore stes-so e Jacopo da Lentini – che espongono leloro opinioni sull’argomento prescelto utiliz-zando la forma del sonetto. La poesia proposta è costituita da due quar-tine a rima baciata (ABAB ABAB) e due ter-zine a rima replicata (CDB CDB) in unastruttura metrica parzialmente continua inquanto la rima A delle prime due strofe si ri-pete in quelle successive, mentre nella rispo-sta di Pier delle Vigne viene ripresa la rima in-ire presente nella proposta con cui Mostacciapre la discussione. Questo procedimento sichiama “risposta per le rime”, da cui derivaun modo di dire in uso ancor oggi.

LE PAROLE CHIAVELa parola chiave del testo è amore che l’au-tore personifica mediante la scelta strategicadella maiuscola (vv. 4, 5, 13) per rafforzare latesi secondo cui esso esiste ed è una so-stanza dotata di forza effettiva.Nel selezionato tessuto lessicale del poetaspiccano inoltre il verbo signoreggiar (v. 6) el’avverbio signorivolmente (v. 11) che, acco-munati dalla medesima radice “signor”, defi-niscono l’impotenza dell’uomo nei confrontidella passione amorosa facendo riferimentoal rapporto di subalternità, tipico della societàdel tempo, che vincola i sudditi al sovrano.

I TEMILa natura dell’Amore: la tenzone poeticacui Pier delle Vigne prende parte testimoniadel clima culturale che si respira alla corteimperiale, esemplificando l’astratto intellet-tualismo dei poeti siciliani, che in questa oc-casione si servono della loro grande abilitàtecnica per discutere in versi un tema di ca-rattere filosofico, ossia quale sia la naturadell’amore e se esso possa o no essere rite-nuto una sostanza dotata di esistenza pro-pria.Nel sonetto che apre la tenzone Jacopo Mo-stacci sostiene che ciò che non è percepibilecon i sensi non esiste e di conseguenzal’amore – che non si vede né si tocca – nonpuò essere considerato una sostanza reale.Al ragionamento di Mostacci, Pier delle Vigneoppone il valore dell’esperienza affermandoche la capacità dell’amore di dominare la vo-lontà degli uomini è una dimostrazione dellaforza di questo sentimento e di conseguenzane attesta l’esistenza.Il complesso ragionamento sviluppato daidue poeti, che si concluderà con il sonetto diJacopo da Lentini secondo cui l’amore è undesiderio che nasce nel cuore stimolato dallavista dell’amata, è un’ulteriore conferma delfatto che per i Siciliani l’interesse per le te-matiche amorose non ha alcun rapportocon la loro vita emotiva e sentimentale o conuna donna reale, ma è piuttosto uno stru-mento per esibire la propria superioritàculturale e sociale.

Pier della Vigna (o delle Vigne) nasce a Capua intorno al 1190 da una famigliadi origini modeste e successivamente studia diritto all’Università di Bologna. Lasua presenza alla corte di Federico II è attestata fin dal 1220, quando ricoprel’incarico di notaio. Nel 1225 viene nominato giudice della Magna Curia e contri-buisce alla realizzazione delle Costituzioni di Melfi, il codice legislativo emanatoda Federico II. Raggiunge il culmine della carriera nel 1247 quando viene eletto cancelliere dicorte, capo della cancelleria imperiale e logoteta (funzionario preposto al bilan-cio e ai conti).Nel 1249 viene arrestato a Cremona perché sospettato di tradimento e detenuto

in un carcere toscano dove viene accecato per ordine del re. Nello stesso anno muore in circostanzeoscure, probabilmente suicida.I più importanti scritti di Pier delle Vigne sono in latino, lingua nella quale compone un Epistolario che ri-vela una raffinata conoscenza delle tecniche retoriche ed espositive dei prosatori d’arte, ma come moltifunzionari di corte è anche autore di alcune canzoni e di un sonetto in volgare siciliano.

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LA LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

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volumeB

LE FIGURE RETORICHELa similitudine che collega la forza invisibilema potentissima dell’Amore alla facoltà dellacalamita di attirare il ferro (vv. 9-11) appar-tiene al vasto repertorio retorico dei Sicilianiche, in modo maggiore rispetto ai provenzali,mostrano una spiccata predilezione per i pa-ragoni basati sugli elementi naturali – fuoco,mercurio, argento vivo, pietre dure – le cuipeculiarità ricavano da enciclopedie, bestiarie lapidari (raccolte sulle virtù mediche e ma-giche delle pietre), dimostrando così la loroampia cultura e allo stesso tempo il decisointeresse della corte di Federico II nei con-fronti delle scienze.

L’INTERTESTUALITÀLa figura di Pier delle Vigne ci è nota soprat-tutto grazie a Dante Alighieri, che nel XIIIcanto dell’Inferno lo colloca nella selva deisuicidi, riabilitandolo senza alcuna prova con-creta dall’accusa di tradimento e rappresen-tandolo come un uomo di corte che, fedeleal proprio signore, viene colpito dalle invi-diose calunnie di chi gli sta accanto.Nelle parole con cui si rivolge a Dante e a Vir-gilio, Pier delle Vigne – mutato in un macabroalbero sanguinante – riassume la fulmineaparabola della sua vita, dai prestigiosi incari-chi attribuitigli dall’imperatore alla fine inglo-riosa, segnato dal discredito e dal disprezzo,circostanze queste che per molto tempo fa-ranno della sua figura il simbolo stesso del-l’instabilità della Fortuna.

Io son colui che tenni ambo le chiavidel cor di Federigo, e che le volsi,serrando e diserrando, sì soavi,che dal secreto suo quasi ogn’ uom tolsi;fede portai al glorïoso offizio,tanto ch’i’ ne perde’ li sonni e’ polsi.La meretrice che mai da l’ospiziodi Cesare non torse li occhi putti,morte comune e de le corti vizio,infiammò contra me li animi tutti;e li ’nfiammati infiammar sì Augusto,che’ lieti onor tornaro in tristi lutti.L’animo mio, per disdegnoso gusto,credendo col morir fuggir disdegno,ingiusto fece me contra me.Per le nove radici d’esto legnovi giuro che già mai non ruppi fedeal mio segnor, che fu d’onor sì degno.

da Inferno, in Divina Commedia, SEI, Torino 2008

Io sono colui che tenne entrambe le chiavi delcuore di Federico e le adoperai aprendo e chiu-

dendo tanto dolcemente da allontanare da luiogni altro; e restai tanto fedele al mio presti-gioso incarico da perdere la pace e la vita.Lʼinvidia, che mai allontanò i suoi occhi diso-nesti dalla corte imperiale, causa di rovina pertutti e vizio delle corti, infiammò contro di metutti gli animi; e coloro che ardevano dʼinvidiainfiammarono tanto lʼimperatore che i miei glo-riosi incarichi si trasformarono in tristi lutti. Cre-dendo di fuggire la vergogna con la morte, perun amaro piacere il mio animo mi spinse acompiere contro di me, che ero giusto, un attoingiusto. Per le strane radici di questo albero,vi giuro che mai ho infranto la fedeltà al miosignore, che fu tanto degno di onore.

L’EXTRATESTUALITÀLa causa dell’arresto di Pier delle Vigne, per-sonaggio di primo piano alla corte di Fede-rico II, e le modalità misteriose della suamorte non sono ancor oggi del tutto chiarite,ma l’ipotesi più accreditata è che sia statoaccusato di tradimento – quanto a ragionenon sappiamo – cosa di cui egli mostra di es-sere preoccupato in questa lettera, tratta dalsuo epistolario e indirizzata all’imperatore alquale ribadisce la propria lealtà.

Oltre a ciò, o clementissimo tra i principi, se mi è con-cesso non nascondere un mio cruccio, vorrei parlare,se pure con qualche timore, del fatto che nella vostralettera v’è una benevola espressione che mi ha sbi-gottito, là dove dite: “Ti raccomandiamo vivamen-te che, nel servirci, tu ti mostri, come al solito, scru-poloso e sollecito soprattutto dei nostri interessi, poi-ché, sebbene in queste incombenze ti abbiamo dato deicollaboratori, tuttavia è noto che la serenità nostraconta esclusivamente su di te”.Confesso, o signore, che in queste parole risuona unagrande benevolenza nei miei riguardi, a meno che nonsignifichino proprio l’opposto e vogliano essere un’ac-cusa alla mia pigrizia e una sferzata alla mia ne-gligenza. In questo caso, se c’è chi mi ha accusato diciò, si tratta di una lingua maledica che calunnia uninnocente; e chi si compiacque di far questo, sia uomoo angelo, anche se d’ uomo o d’angelo ha il nome, hasprecato il fiato tra i figli della verità. E son certo che,per quanto vicino possa esservi colui che così mi de-nigra, se l’altissimo mi concede di restare ai vostri pie-di, l’iniquità contro di me dovrà chiudere la bocca.Ma il Signore ponga fine, e presto, a queste chiac-chiere, in modo da smascherare costoro, da rimuo-vere gli ostacoli che si frappongono tra noi, da ri-condurre il padre al figlio, il benefattore e signore alsuo fedele.

da Lettera a Federico II (traduzione di Tilde Nardi), in G. Contini, Letteratura italiana delle origini,

Sansoni, Milano 1982

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volumeB38

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Labo

rato

rioLABORATORIO

diffic

oltà

diffic

oltà

diffic

oltà

ComprensioneIn quale situazione viene scritto e a chi è rivolto il sonetto di Pier delle Vigne?

Come considera l’autore coloro che non credono nell’esistenza dell’amore?

A che cosa l’autore paragona la forza dell’amore?3

2

1

AnalisiIl significante

Quale lunghezza metrica hanno i versi in questo componimento?

Individua la rima siciliana (vedi a p. 333) presente nelle due quartine iniziali.

Quale figura metrica è presente nella parola nïente (v. 4)? Qual è la sua fun-zione?

I temi Per quali ragioni il contendente di Pier delle Vigne sostiene che l’amore nonesiste?

Qual è invece la tesi dell’autore? Con quali argomentazioni la sostiene?

Le figure retoriche Nel testo sono presenti alcuni esempi di iterazione lessicale: quali sono?9

Vedi a p. 50

Vedi a p. 76

Vedi a p. 10, 12 e 24

8

7

6

5

4

ProduzioneFa’ la della poesia.

E tu che cosa pensi sia l’amore? Esponi il tuo punto di vista sulla questionein un breve .testo in prosa

parafrasi

11

10

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LA POESIAScrivere poesie è segno di aristocratica appartenenza e anche Federico, pro-motore e sostenitore della Scuola siciliana non può esimersi dal parteciparein prima persona all’attività letteraria dei suoi funzionari. A lui viene attribuitoquesto commiato, un dialogo tra due amanti costretti a separarsi a causa diun imprecisato impegno bellico (forse una crociata?) cui l’uomo non può sot-trarsi. È un componimento unico nel suo genere non solo perché nasce dal-l’ispirazione di uno degli uomini più potenti del tempo ma anche perché èl’unico tra i testi dei Siciliani di cui sia stato rinvenuto un accompagnamentomusicale (che però risale al XIV secolo).

Federico II

Dolze meo drudo

“Dolze meo drudo, e vaténe!1

meo sire, a Deo t’acomando,2

ché ti diparti da mene3

ed io tapina rimanno.4

5 Lassa, la vita m’è noia,5

dolze la morte a vedere,6

ch’io non penso mai guerire7

membrandome fuor di gioia.8

Membrandome che ten vai,9

10 lo cor mi mena gran guerra:10

di ciò che più disïai mi tolle lontana terra11.

Or se ne va lo mio amore ch’io sovra gli altri l’amava:12

15 biasmomi de la Toscana,13

che mi diparte lo core.14”

“Dolce mia donna, lo girenon è per mia volontate,15

1. Dolze meo drudo, e vaténe: dolce mio amico (drudo), allora (e)va’(vaténe).2. meo sire, a Deo t’acomando: mio signore, ti affido (t’acomando) aDio.3. ché ti diparti da mene: poiché ti allontani (ti diparti) da me (mene).Nella parola mene è presente un’epitesi, che consiste nell’aggiuntadella sillaba finale ne con valore rafforzativo.4. ed io tapina rimanno: e io misera (tapina) rimango; tapina èun’espressione lessicale popolareggiante.5. Lassa, la vita m’è noia: afflitta (Lassa), la vita è per me profondapena (m’è noia).6. dolze la morte a vedere: la prospettiva della morte (la morte avedere) è dolce.7. ch’io non penso mai guerire: poiché non penso di poter maiguarire.

8. membrandome fuor di gioia: pensando me stessa(membrandome) senza (fuor di) gioia.9. Membrandome che ten vai: pensando (Membrandome) che te nevai.10. lo cor mi mena gran guerra: il mio cuore si agita (mi mena granguerra).11. di ciò che più disïai mi tolle lontana terra: una terra lontana mistrappa (mi tolle) ciò che più amai (disïai ). Nei versi successivi sichiarisce che l’amato sta per partire per la Toscana.12. Or se ne va lo mio amore ch’io sovra gli altri l’amava: ora sene va il mio amore, che io più di tutto amavo.13. biasmomi de la Toscana: rimprovero (biasmomi) la Toscana.14. che mi diparte lo core: che mi spezza (diparte) il cuore.15. Dolce mia donna, lo gire non è per mia volontate: mia dolcedonna la partenza (lo gire) non dipende dalla mia volontà.

METROcanzone formata dacinque stanze in versiottonari

il significante

le parole chiave

i temi

le figureretoriche

la simbologia

l’intertestualità

l’extratestualità

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volumeB40

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16. ché mi convene ...potestate: poiché devo (mi convene) ubbidirea colui che ha potere(’n potestate) su di me.17. Or ti conforta s’iovado: ora consolati(ti conforta), anche se ioparto.18. e già non tidismagare: e nonscoraggiarti (ti dismagare).19. ca per null’altra ...falseraggio: perché,amore, non ti ingannerò(falseraggio) per nessunaaltra donna (null’altrad’amare).20. Lo vostro amore ...segnoria: l’amore per voimi lega e mi tiene in suopotere (hami in suasegnoria). Il passaggio daltu al voi non è insolito neipoeti siciliani (vedi Jacopoda Lentini,Meravigliosamente…a p. 331).21. ca lëalmente ... sanza falsìa: poichédavvero (lëalmente) miaccade (m’avene) di amarvi senza inganni.22. Di me vi siarimembranza: conservateil mio ricordo(rimembranza).23. [e] non mi aggiate ’n obrìa: e non mi abbiate(no mi agiate) in oblio (’n obrìa), cioè nondimenticatemi.24. c’avete in vostrabalìa tutta la miadisïanza: poiché avete invostro potere (balìa) tutti imiei desideri (disïanza).25. commiato domandosanza tenore: chiedo diandare (commiatodomando) senza indugio(tenore).26. che vi sia ... mio core: mi raccomando a voi,a cui lascio il mio cuore.27. Cotal è ... piaceri: talel’attrattiva (la ’namoranza)del piacere d’amore.28. che non mi posso ...in lëanza: che, in fede mia(in lëanza), da voi nonposso separarmi. Dalmomento che, poco prima,l’amante ha dichiarato didover partire senza indugio(vv. 33-34), va consideratosoggetto di questi ultimiquattro versi il core che,secondo un tópos dellalirica provenzale, ha presodimora presso la donna.

ché mi convene ubidire 20 quelli che m’ha ’n potestate.16

Or ti conforta s’io vado,17

e già non ti dismagare,18

ca per null’altra d’amare, amor, te non falseraggio.19

25 Lo vostro amore mi tene ed hami in sua segnoria,20

ca lëalmente m’avene d’amar voi sanza falsìa.21

Di me vi sia rimembranza22

30 [e] non mi aggiate ’n obrìa,23

c’avete in vostra balìa tutta la mia disïanza.24

Dolze mia donna, commiato domando sanza tenore:25

35 che vi sia racomandato, che con voi riman mio core.26”“Cotal è la ’namoranzadegli amorosi piaceri27

che non mi posso partire da voi, [mia] donna, in lëanza.28”

Dolze meo drudo, in G. Contini, Letteratura italiana delle origini, Sansoni, Milano 1982

Federico II, figlio dell’imperatore Enrico VI degli Hohenstaufen di Svevia e diCostanza d’Altavilla, nasce a Jesi nel 1194. Nel 1195 il padre lo incorona redi Germania e tre anni dopo gli attribuisce il titolo di re di Sicilia. Successi-vamente viene nominato re d’Italia e nel 1220 è incoronato imperatore dalpapa Onorio III con il nome di Federico II.A differenza dei suoi predecessori, stabilisce il centro dell’Impero in Italia,precisamente in Sicilia, da cui governa i suoi vasti domini con l’obiettivo di re-staurare l’autorità regia. Il tentativo di limitare l’ingerenza politica della Chiesaè però motivo di continui scontri con papa Gregorio IX, che nel 1227 arriva ascomunicarlo poiché non ha rispettato l’impegno di partire per una crociata.Allo scopo di ridimensionare l’autonomia della nobiltà feudale e delle città, Fe-

derico II vara le Constitutioni melfitane (1231), un insieme di leggi che rafforzano il potere imperialecontro ogni forma di particolarismo e costituiscono l’ossatura del suo Stato centralizzato. Muore nel1250.Il regno di Federico II è caratterizzato da una grande apertura culturale: l’imperatore fonda a Napoli laprima Università Statale d’Occidente e dà impulso alla Scuola medica di Salerno. Convinto protettoredi artisti e letterati, fa della sua corte il luogo di incontro tra le diverse culture del Mediterraneo, ri-chiamando presso di sé intellettuali e scienziati da ogni luogo.Scrittore egli stesso, è autore del trattato latino De arte venandi cum avibus, dedicato alla caccia conil falcone. Gli sono inoltre stati attribuiti sei componimenti poetici in volgare.

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LA LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

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41on line

volumeB

APPROFONDIMENTO

Federico II è una personalità complessa e tanto controversa da poter essere definito da Pier delleVigne come “il salvatore inviato da Dio, il principe della pace, il messia-imperatore” e dal papaGregorio IX come “la bestia che sorge dal mare carica di nomi blasfemi […] e spalanca la bocca adoffesa del Santo Nome senza cessare di scagliare la stessa lancia sul tabernacolo di Dio e sui Santiche abitano nei cieli“.Convinto sostenitore dell’autonomia del potere imperiale, Federico II combatte una lotta durissi-ma contro l’insubordinazione di vescovi e baroni avvezzi a governare i loro territori senza alcuncontrollo, stabilendo che nessuno possa conservare possessi e privilegi di cui non sia in grado dipresentare i titoli legittimi. Impone inoltre l’abbattimento di fortificazioni e castelli eretti senzapermesso imperiale e arroga a sé l’esercizio della giustizia penale, che sottrae all’arbitrio della nobil-tà, rispondendo con le armi alle rivolte dei feudatari e scacciando i vescovi ribelli dalle loro sedi.Scomunicato dal Papa per essersi rifiutato di guidare una crociata, finalmente nel 1228 parte allavolta di Gerusalemme ma qui, invece di combattere, intavola con il sultano d’Egitto Malik al-Kamil una lunga trattativa al termine della quale Gerusalemme, Betlemme e Nazareth passanosotto l’amministrazione cristiana per la durata di dieci anni, mentre ai musulmani viene garantitol’accesso ai loro luoghi sacri.Questa azione più diplomatica che religiosa, conclusasi senza spargimenti di sangue, non vieneaffatto apprezzata dalla Chiesa, come testimonia Salimbene da Adam nella sua Chronica: “Avendo-lo infatti mandato la Chiesa oltremare per recuperare la Terra Santa, egli fece pace con i Saracenisenza alcun vantaggio per i Cristiani. E per di più fece invocare il nome di Maometto pubblicamentenel tempio dei Signore”.Federico dà prova di grande lungimiranza politica quando affronta il problema della pacifica-zione della Sicilia, periodicamente afflitta da rivolte della numerosa e radicata comunità musulma-na. Tra il 1224 e il 1300 fa trasferire forzatamente a Lucera, nei pressi di Foggia, circa ventimila

musulmani a cui, in cambio del pagamen-to di una tassa, viene concesso il dirittodi scegliersi il capo e gli organi di vigi-lanza e di conservare la propria religio-ne, costruire moschee e minareti e viveresecondo le proprie usanze. Quest’ineditadecisione costa a Federico aspri rimprove-ri da parte del Papa, ma trasforma gli anti-chi ribelli nei più fedeli sudditi dell’impera-tore che li arruola permanentemente comearcieri nell’esercito e dei migliori fa la pro -pria guardia del corpo.La sua distanza dai pregiudizi del temposi osserva anche nel modo in cui modificala posizione giuridica degli ebrei che finoa quel momento non godono di alcun dirit-to civile: nelle Costituzioni Melfitane Fede-rico II li parifica ai cristiani nel diritto didifesa e di protezione. Inoltre, ricono-scendo che essi sono odiati dai cristiani epertanto particolarmente soggetti alle loropersecuzioni, vieta che vengano insultati acausa della diversità di fede, che venganobattezzati con la violenza o contro la lorovolontà e che siano sottoposti alla provadel ferro arroventato, dell’acqua bollente ogelata o ad altre torture per estorcere lorouna confessione.

La modernità di Federico II

Federico II incontra il sultano Malik al-Kamil, miniatura dalla Nova cronicadi Giovanni Villani, XIV secolo.

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la Scuola siciliana

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volumeB42

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STRUMENTI DI LETTURAIL SIGNIFICANTE

Questo componimento, attribuito all’impera-tore Federico II, appartiene al genere delcontrasto o discordo, una variazione delcanto d’amore cortese accompagnato damusica di origine provenzale, che esprimevail turbamento dell’amante mediante la di-scordanza metrica e melodica delle stanze.Anche in area germanica esistevano te-sti analoghi, detti wechsel, basati su unoscambio di versi di argomento amoroso traun uomo e una donna, alla cui composizionesi era dedicato anche l’imperatore Enrico VI,padre di Federico. Attraverso questa poesiaè perciò possibile ricostruire almeno parzial-mente la fitta rete di rapporti culturali esi-stenti tra aree geografiche diverse. Federico,infatti, oltre a conoscere bene la lingua la-tina, greca e araba, padroneggia il tedesco,parlato dal padre, l’idioma franco-normannodella madre e il volgare illustre siciliano ela-borato dalla Scuola poetica fondata pressola sua corte e pertanto non deve stupire chenella sua produzione letteraria affiorino e simescolino generi e temi di varia origine.Il testo è formato da cinque stanze in versiottonari, ciascuna delle quali è suddivisa in

Miniatura dal CodexManesse, XIII secolo.

Corrado IV di Svevia, secondogenito di Federico II, in una battuta di caccia con falcone, miniatura dal Codex Manesse, XIII secolo.

una fronte di due piedi uguali (abab) e unasirma (cddc). Come quasi tutti i componi-menti della Scuola siciliana, anche questo ciè stato tramandato nella versione mano-scritta dai copisti di area toscana e pertanto,quelle che a noi oggi paiono rime imperfetteo assonanze, con molta probabilità origina-riamente suonavano come rime perfette. Unesempio è costituito dalla rima siciliana deivv. 6-7, che vanno letti come vediri/gueriri,dei vv. 21-24, e dei vv. 38-39, da leggere ri-spettivamente come vaiu/falseraiu e piaciri/partiri.Vanno considerate invece semplici asso-nanze i legami fonici che legano i vv. 2-4(acomando/rimanno) e i vv. 14-15 (amava/Toscana).Questo commiato è uno dei primissimiesempi di poesia dialogata nell’ambitodella Scuola siciliana. Anche se il testo tra-mandatoci non permette di distinguere concertezza assoluta le voci dei personaggi dia-loganti, l’ipotesi più plausibile attribuisce alladonna le prime due strofe (vv. 1-15), al-l’uomo quelle successive fino al v. 36, men-tre i versi conclusivi (vv. 37-40) dovrebberoessere pronunciati dal “cuore dell’uomo”che, secondo un tópos della tradizione tro-badorica, rimane con la donna.

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volumeB

LE PAROLE CHIAVENel componimento, modellato sul canone lin-guistico del siciliano illustre, sono presenti di-verse espressioni mutuate dal linguaggioamoroso dei trovatori, come l’aggettivodolze (vv. 1, 6, 33) alternato a dolce (v. 17) ei sostantivi con desinenza provenzale -anzacome rimembranza (v. 29), disïanza (v. 32),’namoranza (v. 37) che definiscono i momentifondamentali dell’esperienza amorosa.

I TEMIDialogo tra innamorati: i versi riportano ildialogo tra un cavaliere in procinto di partiree la sua amata rattristata dalla prospettivadell’imminente separazione, modulando loscambio di battute secondo i tópoi della poe-sia cortese. La donna lamenta che l’allonta-namento dell’amato le sottrae la gioia divivere (v. 5 la vita m’è noia; v. 8 fuor di gioia),l’uomo ribadisce l’autenticità dei suoi senti-menti (vv. 25-26 Lo vostro amore mi tene / edhami in sua segnoria), le promette fedeltà elealtà (vv. 27-28 ca lëalmente m’avene /d’amar voi sanza falsìa) e conclude affer-mando che, anche quando sarà partito, il suocuore rimarrà con lei (v. 36 che con voi rimanmio core).La situazione narrata è quasi del tutto avulsadalla realtà, neanche un dettaglio illustra lecaratteristiche dei personaggi e non è espli-

citato il motivo per cui l’uomo debba partiree dove sia destinato. I fugaci accenni allaterra lontana (v. 12 lontana terra) e alla To-scana (v. 15 biasmomi de la Toscana) noncontribuiscono a dare alla situazione contornipiù certi e sembrano essere scelti soprattuttoper la loro capacità allusiva di sottolinearel’enorme distanza che separerà la coppia.Il conflitto tra Amore e necessità: nono-stante l’abilità letteraria di Federico II sia te-stimoniata da più voci – il cronista Salimbenede Adam scriveva che l’imperatore “sapevaleggere, scrivere, cantare e comporre canzonie poesie” – alcuni studiosi dubitano che eglisia l’autore di questo componimento perchéle parole con cui l’innamorato giustifica lapropria partenza con l’ubbidienza dovuta adun superiore (vv. 17-20 Dolce mia donna, logire / non è per mia volontate, / ché mi con-vene ubidire / quelli che m’à ’n potestate)sembrano incompatibili con la potenza di unimperatore. Questa osservazione non consi-dera il fatto che anche per Federico, comeper gli altri poeti della Scuola siciliana, lapoesia non ha alcuna connotazione auto-biografica ma è uno strumento intellettualeche consente di esibire la propria abilità nelcomporre, sviluppando tematiche conven-zionali o dibattendo teorie accuratamente se-lezionate dagli appartenenti al gruppo. Inquesto senso, la situazione descritta nelcommiato non lo riguarda personalmente mapotrebbe avere un valore esemplare dimo-strando l’insanabile contrasto tra la forzadella passione e la necessità che costringegli uomini a separarsi da ciò che amano.

LE FIGURE RETORICHEL’iterazione lessicale, consueta nella poe-sia siciliana, sottolinea l’importanza senti-mentale del ricordo (v. 8 membrandome, v. 9membrandome, v. 29 rimembranza). In parti-colare, tra i vv. 8 e 9 l’autore ricorre all’artifi-cio retorico delle coblas capfinidas – codi -ficato nella tradizione provenzale e consi-stente nella ripresa nel primo verso dellastanza di una parola o di un’espressione con-tenuta nell’ultimo verso del precedente – chein questo caso ha soprattutto una funzionedialogica perché segna il passaggio da uninterlocutore all’altro.

Trovatori, miniaturadalle Càntigas de Santa

Maria, XIII secolo.

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la Scuola siciliana

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Le figure retoriche Indica quale figura retorica si cela nel verso lo cor mi mena gran guerra (v. 10)e spiegane il significato.

Vedi a p. 52

8

Stato d’animo della donna Stato d’animo dell’uomo

1 1

2 2

3 3

ComprensioneChi sono i protagonisti del componimento?

Qual è l’origine della loro sofferenza?

Che cosa chiede l’uomo alla donna?

Che cosa le promette?4

3

2

1

AnalisiIl significante

Individua l’iterazione lessicale con variazione semantica presente nelle stan-ze 1 e 2.

Le parole chiave Evidenzia le espressioni utilizzate dall’autore per definire la sincerità dell’amoretra i protagonisti del commiato e osserva se esse vengono messe in rilievoda particolari artifici retorici.

I temi Definisci con tre sostantivi lo stato d’animo e i sentimenti dei due protago-nisti del colloquio.

Vedi a p. 76

Vedi a p. 62

Vedi a p. 50

7

6

5

Produzioneil testo attribuendo le strofe alle rispettive voci

dialoganti.

Attualizza la situazione descritta nella poesia e scrivi un tra due per-sone dei giorni nostri costrette a separarsi per causa di forza maggiore.

dialogo

in italiano correnteTrascrivi

10

9

LESSIC

O

LESSIC

O

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LA LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

I poetisiculo-toscani

Nel 1250 muore Federico II e pochi anni dopo suo figlio Manfredi viene sconfit-to e ucciso dalle truppe di Carlo I d’Angiò nella battaglia di Benevento (1266). Lafine della dinastia sveva comporta la scomparsa della Scuola siciliana, che delprogetto imperiale di Federico è stata la più alta espressione ideologica. Tutta-via l’eredità culturale della Magna Curia non si disperde ma viene accolta eassorbita in altri ambiti territoriali, soprattutto in Toscana dove gode di gran-dissimo prestigio.Con l’espressione poeti siculo-toscani si definisce un ampio gruppo di rima-tori tra loro assai eterogenei, originari per lo più delle maggiori città toscane, cheriprendono nel loro volgare temi e convenzioni stilistiche dei Siciliani per con-servarne gli insegnamenti, trasmetterne e diffonderne il patrimonio espres-sivo allo scopo di far sopravvivere una civiltà letteraria che considerano un mo-dello esemplare di raffinatezza formale.Per questi poeti scrivere significa innanzitutto imitare più o meno fedelmenteil modello siciliano e occitanico, ma nonostante i vincoli imposti dall’osservanzadel canone tradizionale, alcuni di essi sono artefici di importanti innovazioni sulpiano metrico, stilistico e tematico che sono anche il frutto del diverso con-testo sociale e politico in cui operano e che assumeranno un peso determinantenel successivo sviluppo della letteratura italiana. A differenza dei loro predecessori,la cui poesia fiorisce all’interno di una corte (feudale nel caso dei poeti proven-zali, imperiale per i Siciliani), i poeti siculo-toscani vivono infatti in città or-ganizzate come liberi comuni e caratterizzate da un forte dinamismo socialema anche da un’accentuata conflittualità che si manifesta in continue guerre ter-ritoriali e, soprattutto, in laceranti lotte interne che oppongono famiglie e fazio-ni avversarie. Mentre i Siciliani, ligi e ubbidienti funzionari di un imperatore au-toritario e accentratore, si esprimevano sviluppando temi e argomenti totalmenteavulsi dalla realtà contingente, i poeti siculo-toscani sono in primo luogo cit-tadini che vivono intensamente i contrasti e i conflitti del loro tempo. Per que-sto motivo, pur teorizzando una poesia sostanzialmente astorica, nei loro testi– principalmente nelle canzoni politiche – emerge in modo più o meno intensola complessità del mondo circostante.La trasposizione dei componimenti dei Siciliani nel volgare toscano attribuisceun ruolo decisivo a quest’area geografica, che si estende a nord fino a Bolognae a est fino a Faenza, in una dimensione sovra cittadina assimilabile a quella spe-rimentata dai poeti siciliani. E anche se il linguaggio dei Siculo-toscani, inner-vato di formule convenzionali, appare ancora più artefatto e lontano dal parlatodi quello dei loro modelli, esso va considerato un importante momento di tran-sizione nel processo che qualche decennio dopo porterà il volgare fiorenti-no ad assumere il ruolo di lingua letteraria dominante.

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Guittone d’Arezzo

Ahi lasso, or è stagion...LA POESIAQuesta canzone politica, di cui, a causa delle notevoli difficoltà linguistiche,ti proponiamo solo la prima strofa, è una delle più note di Guittone e trae spuntodalla battaglia di Montaperti del 1260, conclusasi con la disfatta di Firenze,un evento storico che assunse un grande significato per gli uomini del tempo.Inizialmente l’autore – aretino di nascita ma guelfo per posizione (vedi la rubricaL’extratestualità negli Strumenti di lettura a p. 349) e perciò politicamente vi-cino a Firenze – lamenta la fine della gloriosa città, contrapponendo la miseriadel presente alla grandezza del passato. Ma nelle strofe successive il suo do-lore si muta in amaro sarcasmo e nella conclusione egli ironizza polemica-mente sul Comune sconfitto, attribuendogli una potenza di cui è ormai privo.

Ahi lasso,1 or è stagion de doler tanto2

a ciascun om che ben ama ragione,3

ch’eo meraviglio u’ trova guerigione,4

ca morto no l’ha già corrotto e pianto,5

5 vedendo l’alta Fior sempre granata6

e l’onorato antico uso romano7

ch’ a certo pèr, crudel forte villano,8

s’avaccio ella no è ricoverata:9

ché l’onorata sua ricca grandezza10 e ’l pregio quasi è già tutto perito10

e lo valor e ’l poder si desvia.11

Oh lasso, or quale dia12

fu mai tanto crudel dannaggio audito?13

Deo, com’hailo sofrito,14

Deritto pèra e Torto entri ’n altezza?15

da Ahi lasso, or è stagion…, in G. Contini,Letteratura italiana delle origini, Sansoni, Milano 1982

1. Ahi lasso: ahimè.2. or ... tanto: ora è ilmomento di lamentarsi(doler tanto).3. a ... ragione: perchiunque (a ciascun om)ami in modo giusto laragione.4. ch’eo ... guerigione: emi chiedo con meraviglia(eo meraviglio) dove (u’)trovi conforto. Il soggetto èciascun om.5. ca ... pianto: e come ildolore e il lutto (corrotto)ancora non lo abbianoucciso (morto).6. l’alta ... granata: lanobile Firenze ricca difrutti (granata). La parolafior si riferisce sia al giglio,emblema di Firenze, siaall’antico nome della città.7. e l’onorato ... romano:e l’antica e nobiletradizione romana di cui lacittà è erede.8. ch’a ... villano: che èdestinata a perire (pèr),ferocia crudele e priva dicortesia.9. s’avaccio ...ricoverata: se la città diFirenze (ella) non verràpresto (avaccio) salvata.10. ché ... perito: poichéla sua grande e rispettatapotenza e il suo valore(pregio) sono quasi deltutto spariti.11. e ... desvia: e la forzae il potere cambianostrada (si desvia).12. or quale dia: in qualegiorno.13. fu ... audito?: fu maiudita una simile sventura?14. com’hailo sofrito:come hai potutosopportare?15. Deritto ... altezza:che il diritto perisca e siimponga il torto?

METRO canzone formata dadue piedi in versiendecasillabi e dauna sirma nella qualecompaiono alcunisettenari

i poeti siculo-toscani

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il significante

le parole chiave

i temi

le figureretoriche

la simbologia

l’intertestualità

l’extratestualità

Guittone del Viva di Michele nasce ad Arezzo da un’agiata famiglia borghese di parteguelfa (vedi la rubrica L’intertestualità negli Strumenti di lettura a p. 349). Per l’acutiz-zarsi dei contrasti tra guelfi e ghibellini, nel 1263 viene esiliato dalla città e poco dopo,con il nome di frate Guittone, entra a far parte della congregazione dei Milites BeataeVirginis Mariae, comunemente detta dei Frati Gaudenti, svolta che determina il pas-saggio dalla poesia d’amore a quella di argomento spirituale e morale. Muore intorno

al 1294, all’età di circa sessant’anni.Il suo ricchissimo Canzoniere comprende 251 sonetti e 50 canzoni e si sviluppa seguendo tre filoni te-matici: quello amoroso in cui vengono rielaborati in modo originale i motivi della tradizione siciliana eprovenzale; quello politico che dà voce alla passione civile dell’autore; quello religioso, nel quale egliesprime il ritrovato ardore spirituale componendo ballate sacre e laude.Guittone è anche autore di trentasei Lettere in prosa poetica che riproducono nel volgare toscano il mo-dello latino delle epistole didascaliche.

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LA LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

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STRUMENTI DI LETTURA

IL SIGNIFICANTE Il genere della canzone politica deriva dalsirventese, un componimento provenzalebasato sulla successione di strofe (coblas)concluse da una stanza finale più breve (tor-nada) dal contenuto morale, politico o lette-rario. Profondo conoscitore della tradizioneoccitanica, Guittone rinnova e reinterpreta nelvolgare toscano le principali strutture metri-che elaborate dai provenzali, di cui apprezzae imita soprattutto lo stile del trobar clus(poetare chiuso) che è alla base di una poe-sia ricchissima di artifici metrici e retorici, maoscura e di non immediata comprensione.Anche i componimenti di Guittone sonospesso di difficile interpretazione e se i suoicontemporanei lo considerano un maestro,nella generazione successiva Dante ne criticalo stile e le scelte linguistiche accusandolo diusare un lessico e una sintassi artificiosi epoco limpidi.Le prime sei stanze di questa canzone sonoformate da due piedi in versi endecasillabicon rime in schema ABBA CDDC e da unasirma dalla struttura rimica abbastanza sim-metrica (EFGGFfE) nella quale compaiono al-cuni settenari; l’ultima strofa è più breve e,seguendo il modello provenzale, funge daconclusione.Tutte le stanze sono capfinidas, cioè inizianocon la parola che conclude quella prece-dente: per esempio il primo verso della se-conda strofa inizia con la parola altezza(Altezza tanta êlla sfiorata Fiore), la stessa checonclude la stanza precedente (v. 15).

Il volgare toscano di Guittone è estrema-mente vario e composito e viene arricchitoda espressioni di origine latina (v. 3 u’), sici-liana (v. 3 eo, v. 12 dia, v. 5 Fior al femminile),francese (v. 5 granata, v. 13 dannaggio).

LE PAROLE CHIAVEGuittone rappresenta Firenze giocando sul-l’ambivalenza della parola Fior che richiamasia il giglio – simbolo araldico del Comune –sia l’antico nome della città. La derivazione del toponimo Firenze dallaparola fiore non è un’invenzione guittonianama è attestata da diversi scrittori del passato.Ecco come Giovanni Villani (1276-1348) nellesue Istorie fiorentine spiega l’origine delnome della sua città:

Onde fu al cominciamento per molti chiamata la pic-ciola Roma, altri l’appellavano Floria perché Fio-rino fu quivi morìo, che fu il primo edificatore diquello luogo, e fu in opera d’arme e di cavalleria fio-re, e in quello luogo, e campi d’intorno, ove fu la cit-tà edificata, sempre nascono fiori e gigli. Poi la mag-giore parte degli abitanti furono consenzienti di chia-marla Floria, siccome fosse in fiori edificata, cioè conmolte delizie […] Ma poi per lo lungo uso del vul-gare fu nominata Fiorenza; cioè s’interpreta spa-da fiorita.

da Istorie fiorentine, www.book.google.it

I TEMILa passione politica: la canzone politicaguittoniana può essere considerata il primoesempio di quel progressivo ampliamento te-matico che nei decenni successivi darà ori-gine a una nuova stagione poetica. Rispetto aicompositori siculo-provenzali ai quali si ispira,Guittone è nutrito di esperienze personali di-verse e – vissuto in un contesto sociale più vi-vace e conflittuale – non può accontentarsi diimitare pedissequamente l’atmosfera cano-nica della tradizione d’amore. Il suo coinvol-gimento nella realtà circostante finisce colprevalere sugli elementi lirici, per cui i mol-teplici artifici retorici e stilistici che sperimentanel testo hanno la precipua funzione di ornaree abbellire una materia più concreta e cor-posa di quella astratta e immobile celebratadai suoi predecessori.Nei versi proposti, il compianto per l’umiliantesconfitta di Firenze va ben oltre il motivo con-

Il mese di maggio,miniatura dal codice Les Très Riches Heures duDuc de Berry dei Frèresde Limbourg, XV secolo.

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i poeti siculo-toscani

venzionale ed esprime la delusione autenticadel poeta, che mentre sostiene la supremaziamorale e culturale della città – idea che si af-fermerà sempre più nei secoli seguenti – allostesso tempo ribadisce l’importanza dei valori etici sui quali ha fondato la propriastessa esistenza.

L’INTERTESTUALITÀNel suo viaggio ultraterreno narrato nella Di-vina Commedia, Dante incontra Farinata degliUberti, uno dei ghibellini fiorentini che con illoro tradimento hanno permesso ai senesi divincere a Montaperti e che per questo mo-tivo è stato successivamente condannato al-l’esilio perpetuo dalla città. Al dannato chechiede ragione di questa spietata decisione,che ha colpito anche i suoi discendenti,Dante risponde rievocando la ferocia dellabattaglia di Montaperti.

«E se tu mai nel dolce mondo regge,dimmi: perché quel popolo è sì empioincontr’a’ miei in ciascuna sua legge?»Ond’io a lui: «Lo strazio e ’l grande scempioche fece l’Arbia colorata in rosso,tal orazion fa far nel nostro tempio».

da Inferno X, in Divina Commedia,SEI, Torino 2008

«E, possa tu [Dante] tornare nel dolce mon-do, dimmi: perché quel popolo [il popolo fio-rentino] è così spietato contro quelli della miaparte in ogni sua legge?».Ed io gli risposi: «La tremenda strage che tin-se di rosso sangue il fiume Arbia, fa prende-re tali decisioni nei nostri consigli».

L’EXTRATESTUALITÀI termini guelfo e ghibellino nascono nel-l’ambito della lotta per la supremazia che apartire dal XII secolo oppone il Papa all’Impe-ratore. Ghibellino, che deriva da Weiblingen,il nome del castello dei duchi di Svevia, conl’elezione a imperatore di Federico I di Sveviafinisce con l’indicare tutti coloro che sosten-gono il potere imperiale. Guelfo, trascrizionedella parola Welfen (da Welf, capostipite dellacasa di Baviera), definisce chi sta dalla partedel Papa.L’evento storico da cui prende spunto l’in-vettiva di Guittone è la battaglia di Monta-perti, nella quale si fronteggiano Firenze, diorientamento politico guelfo, e Siena, con-trollata dai ghibellini. Nel corso del Duecento le due città, in con-correnza per motivi commerciali, si affron-

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tano in un lungo conflitto nel quale Firenzegode dell’appoggio di diversi Comuni to-scani, del re di Francia e del Papa, mentreSiena è sostenuta da Pisa, Arezzo e da Man-fredi, erede dell’imperatore Federico II. Nel 1258 alcuni ghibellini scacciati da Fi-renze vengono accolti da Siena che conquest’azione contravviene a un precedentetrattato e dà alla lega guelfa l’occasione diattaccarla. I senesi rifiutano di arrendersi al-l’ultimatum degli avversari e schierano ilproprio esercito, numericamente inferiore,sperando nell’appoggio dei ghibellini infil-trati nell’esercito nemico. La battaglia finaletra le due rivali si scatena il 4 settembre1260 nei pressi di Montaperti, un piccoloborgo della Val d’Arbia. Nel corso dei com-battimenti Bocca degli Abati, un ghibelli-no di Firenze che milita nell’esercito guelfo,riesce a far cadere lo stendardo della caval-leria fiorentina, mandando nel panico letruppe che non sanno più dove dirigere illoro attacco. Mentre i senesi avanzano, ighibellini nascosti nelle fila dell’esercito av-versario si scagliano contro i concittadinidell’opposta fazione. Al termine della batta-glia, che si conclude con la rovinosa scon-fitta di Firenze, tra i soldati guelfi si contanocirca 10 000 morti e 15 000 prigionieri, men-tre i senesi perdono soltanto 600 uomini,conquistando, sia pur per pochi anni, l’ege-monia territoriale.

La Commedia, Inferno,miniatura lombarda,prima metà XV secolo.

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LA LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

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Dopo aver ricostruito il testo secondo lo schema sintattico della prosa, fan-ne la .parafrasi

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Produzione

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Il significante Individua i settenari presenti nel testo.

Le parole chiave La strofa è costruita sulla contrapposizione tra l’antica grandezza di Firenzee l’attuale condizione di declino: individua e trascrivi tutte le parole che allu-dono alla potenza perduta della città toscana.

I temi Spiega, brevemente, le ragioni per cui nella poesia di Guittone, a differenzadi quella siciliana, sono tanto presenti le tematiche politiche.

Le figure retoriche Quale figura retorica si cela nell’espressione Fior sempre granata? Qual è ilsuo significato?

7Vedi a p. 52

Vedi a p. 76

Vedi a p. 62

Vedi a p. 12

6

5

4

Analisi

Quale stato d’animo esprime il poeta nel testo?

Qual è stata la causa della rovina di Firenze?

Che cosa chiede l’autore negli ultimi tre versi della strofa? 3

2

1

Comprensione

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LA POESIAUna lirica scritta da una donna va considerata un caso eccezionale nel pano-rama letterario italiano del XIII secolo. Ma l’autrice di questo sonetto mostrauna piena padronanza dello stile e interpreta con grazia e originalità i motiviconvenzionali della poesia siculo-provenzale, contrapponendo alla gioiosa at-mosfera primaverile che fa da sfondo alla felicità degli innamorati il suo statod’animo dolente di donna perché, secondo i dettami dell’epoca, è costrettaa sposarsi contro la sua volontà.

Compiuta Donzella

A la stagion che’l mondo foglia e fiora

A la stagion che ’l mondo foglia e fiora1

acresce gioia a tut[t]i fin’ amanti:2

vanno insieme a li giardini alorache3 gli auscelletti fanno dolzi canti;

5 la franca gente tutta4 s’inamora,e di servir ciascun trag[g]es’ inanti,5

ed ogni damigella in gioia dimora;6

e me,7 n’abondan mar[r]imenti e pianti.8

Ca9 lo mio padre m’ha messa ’n er[r]ore,10

10 e tenemi sovente in forte doglia:11

donar mi vole a mia forza segnore,12

ed io di ciò non ho disio né voglia,e ’n gran tormento vivo a tutte l’ore;però13 non mi ralegra fior né foglia.

A la stagion che ’l mondo foglia e fiora, in Poeti del Duecentoa cura di G. Contini, Ricciardi, Milano-Napoli 1960

1. A la stagion che ’lmondo foglia e fiora:nella stagione in cui lanatura mette fiori efoglie. Si parla dellaprimavera.2. acresce gioia atut[t]i fin’ amanti:aumenta la gioia di coloroche si amano in modonobile (fin’ amanti). 3. alora che: nell’ora incui.4. la franca gente tutta:tutte le persone resenobili nell’animo (lafranca gente) dall’amore.5. e di servir ciascuntrag[g]es’ inanti: eognuno si offre(trag[g]es’ inanti) per ilservizio d’amore.6. in gioia dimora: vivenella gioia.7. e me: per me, invece. 8. n’abondanmar[r]imenti e pianti:crescono le afflizioni(mar[r]imenti) e il dolore.9. Ca: perché.10. m’ha messa ’ner[r]ore: mi ha messo inuna situazione difficile. 11. tenemi sovente inforte doglia: mi provocaun grande dispiacere.12. donar mi vole a miaforza segnore: mi vuoledar marito (donar mi vole... segnore) contro la miavolontà (a mia forza).13. però: perciò.

Non abbiamo alcuna notizia biografica di questa poetessa fiorentina di cui ci sono pervenuti tre sonetti di gusto provenzale. In passato è stata fatta l’ipo-tesi che dietro il suo nome si celasse in realtà un poeta della Scuola siculo-toscana, intenzionato a prendersi gioco dei suoi confratelli. Le notevoli qualità artistiche di questo misterioso personaggio sono testimo-niate dal fatto che in un’epoca nella quale per le donne è quasi impossibilededicarsi alla scrittura, molti rimatori inviano a Compiuta dei sonetti e lostesso Guittone le indirizza una lettera in cui ne loda le virtù. È probabile quindi che questa poetessa sia effettivamente esistita e che possaessere considerata la prima donna compositrice di versi in volgare italiano,alla stregua delle poetesse provenzali (trobairitz) di cui è accertata l’esistenza.

In questo caso il nome Compiuta, attestato nella Toscana medievale, non sarebbe uno pseudonimo,mentre l’appellativo Donzella potrebbe riferirsi alla sua condizione di donna non sposata.

i poeti siculo-toscani

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METROsonetto

il significante

le parole chiave

i temi

le figureretoriche

la simbologia

l’intertestualità

l’extratestualità

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IL SIGNIFICANTEIl componimento è un sonetto le cui strofe sisuccedono seguendo lo schema di rima al-ternata (ABAB, ABAB CDC, DCD). Il versoche conclude il testo riprende quello inizialein forma di chiasmo negativo (v. 1 foglia efiora, v. 14 fior né foglia), conferendo allapoesia un’elegante e armoniosa strutturachiusa che rivela una buona conoscenzadelle regole stilistiche da parte dell’autrice.

LE PAROLE CHIAVEL’adesione della poetessa al modello cul-turale cortese si esplicita nell’adozione di mo-tivi topici della poesia d’amore provenzale,come l’ambientazione primaverile (v. 1 A lastagion che ’l mondo foglia e fiora), l’idea cheil sentimento amoroso raffini ulteriormentel’animo nobile di chi lo prova (v. 2 fin’amanti,v. 5 franca gente, v. 6 servir) e l’iterazione delsostantivo gioia (vv. 2, 7), termine ricorrentenella lirica d’amore duecentesca.Anche nel lessico si riscontrano provenzali-smi (v. 4 auscelletti, dolzi, v. 8 marrimenti) esintagmi di matrice siciliana (v. 9 messa ’nerrore).Il contrasto tra la lieta ambientazione prima-verile e il triste stato d’animo della protagoni-sta è sottolineato dal pronome personale me

con valore avversativo (v. 8 e me) che con-trappone la gioia del mondo circostante allacupa malinconia della donna.

I TEMIIl rifiuto dell’amor profano: capovolgendol’impostazione delle chansons de toile (vedila rubrica L’intertestualità) in questo compo-nimento la poetessa non esprime né il doloreper l’assenza dell’amato né l’aspirazione adavere un compagno più accattivante di quelloscelto dal padre, ma rifiuta completamentela prospettiva matrimoniale (v. 12 ed io diciò non ho disio né voglia) perché – come diràin un altro sonetto – ella “lasciar voria lomondo e Deo servire” (vorrebbe lasciare ilmondo per dedicarsi alla vita monastica), pre-ferendo l’amore divino a quello profano.L’impossibilità di realizzare il suo desideriogenera nell’autrice un senso di dolorosa im-potenza che la condanna a marrimenti epianti (v. 8) e le rende impossibile condividerela gioia della festosa stagione primaverile alcui risveglio gli altri giovani partecipano in-vece con ardore (vv. 13-14 e ’n gran tormentovivo a tutte l’ore; / però non mi ralegra fior néfoglia).

L’INTERTESTUALITÀNella tradizione trobadorica francese un postoparticolare è occupato dalle chansons detoile, canti composti e recitati da donne men-tre cuciono, filano e tessono, che hanno comeargomento dominante l’amore. Tra questi i piùnumerosi sono i lamenti della malmaritata(dal francese antico mal mariée), espressionecon cui si designa una donna trascurata e in-felice che con i suoi versi lamenta la violen-za o l’indifferenza del marito, sognando unamante che la compensi della crudeltà delcompagno e delle sofferenze subite.Il genere della malmaritata si diffonde in Ita-lia soprattutto nell’ambito della cultura popo-lare dove viene tramandato oralmente sottoforma di ballata o canzone, ma viene assor-bito e reinterpretato anche dalla poesia col-ta siciliana, da cui Compiuta Donzella traespunto per il suo sonetto.

STRUMENTI DI LETTURA

LA LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

V. JACOMUZZI, M.R. MILIANI, A. NOVAJRA, F.R. SAURO, Trame e temi © SEI 2011

51on line

volumeB

Il mese di aprile,miniatura dal codice Les Très Riches Heures duDuc de Berry dei Frèresde Limbourg, XV secolo.

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i poeti siculo-toscani

Labo

rato

rioLABORATORIO

diffic

oltà

Fa’ la del testo.

Ti è mai capitato di fare una scelta solo perché ti era stata imposta dai tuoigenitori? la tua .esperienzaRacconta

parafrasi8

9

Produzione

diffic

oltà

Le parole chiave Individua le parole utilizzate per indicare il dolore della poetessa e cerca unsinonimo per quelle che oggi non sono più in uso.

I temi Quali elementi del paesaggio comunicano una sensazione di gioia e felicità?

Per quali aspetti la protagonista del sonetto è diversa dai suoi coetanei?

Oltre che nel v. 8, in quale altro punto del sonetto l’autrice contrappone espli-citamente la propria volontà a quella del padre?

Vedi a p. 76

Vedi a p. 62

7

6

5

4

Analisi

diffic

oltà

In quale periodo dell’anno è ambientata la storia?

Qual è lo stato d’animo della poetessa?

Da che cosa è causato? 3

2

1

Comprensione

V. JACOMUZZI, M.R. MILIANI, A. NOVAJRA, F.R. SAURO, Trame e temi © SEI 2011

volumeB52

on line

LESSIC

O

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LA LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

La poesiacomico-realistica

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53on line

volumeB

1. I clerici vagantes eranostudenti e intellettualipoveri esclusi dallacarriera nelle universitài quali, piegando lasolenne aulicità del latinoa una finalità comica,presentavano in tonoburlesco e irriverentetemi come la sofferenzaumana causatadall’avversa fortuna, lavolubilità e la corruzionedelle donne, l’avarizia deipadri e la stupidità dellemadri.

PARODIAdal greco para,“contro” e oidé,“canto”. Fare laparodia di qualcosa(un’opera letteraria,una persona ecc.),significa accentuarnei tratti in modocaricaturale o ironico.

Mentre i rimatori siculo-toscani accentuano ed esasperano il carattere artificio-so del volgare letterario, una direzione radicalmente diversa viene intrapresa daipoeti comico-realistici. Il termine definisce alcuni scrittori operanti in Toscana– tra Firenze, Arezzo, Lucca e soprattutto in area senese – che nella seconda metàdel Duecento rifiutano le convenzioni della poesia d’amore e capovolgonoi valori della società cortese. Alla celebrazione di situazioni e sentimenti alti esublimi i poeti comico-realistici contrappongono la descrizione di una realtà quo-tidiana e triviale, di personaggi ai limiti della caricatura di cui enfatizzano i trat-ti più bassi e degradati mediante il meccanismo della parodia. All’amore puro enobile si sostituisce la forza del desiderio fisico, alla perfezione della dama do-tata di eccelse virtù morali la meschinità della plebe rozza e venale, all’elogio delcoraggio l’esaltazione dei piaceri offerti dal vino e dal gioco.Queste scelte tematiche sono influenzate dalle trasformazioni delle città ita-liane che tra il Duecento e il Trecento vedono l’emergere di un nuovo ceto so-ciale dinamico e spregiudicato, la borghesia mercantile, maggiormente aper-ta al contatto con altre realtà regionali ed europee e quindi piuttosto critica neiconfronti degli ideali politici e spirituali della società antica, ormai al tramonto. Ma su questi scrittori agisce in modo determinante anche la conoscenza dellapoesia goliardica elaborata a partire dal XII secolo dai clerici vagantes.1

Nonostante amino presentarsi come personaggi rozzi e incolti, i poeti comico-realistici sono letterati a tutti gli effetti e l’anticonformismo dei loro testi non na-sce da un istintivo gusto per la trasgressione ma, al contrario, va considerato ilfrutto di una scelta consapevole che pur andando nella direzione opposta a quel-la della poesia d’amore presuppone e implica una pari perizia tecnica.La stretta contemporaneità di questi poeti, l’affinità della loro formazione cultu-rale, il ristretto ambiente geografico in cui operano, l’identità del loro pubblicodi riferimento e la predilezione per temi come l’incostanza delle amicizie, la pas-sione per le donne e per il vino, l’esecrazione della povertà rendono i loro com-ponimenti piuttosto uniformi, impressione accentuata dall’impiego quasiesclusivo del sonetto, un genere metrico più aperto a temi e modi colloquiali. Decisamente innovative sono invece le scelte linguistiche e lessicali di que-sti rimatori che, trasferendo in volgare toscano il portato della tradizione goliar-dica, creano una lingua assai più varia e articolata di quella selezionatissi-ma dei poeti d’amore, adattando il vocabolario cortese a situazioni ignobili evolgari e accostando il lessico di origine provenzale a termini di estrazione po-polaresca con risultati di grande freschezza. Per questo motivo essi possono es-sere considerati dei pionieri poiché sono i primi scrittori colti ad avventurar-si nel campo inesplorato della lingua popolare e a utilizzarla intenzionalmentecon finalità artistiche.

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LA POESIAProtagoniste di questa scenetta sono una ragazza e due donne adulte, men-tre al poeta tocca il ruolo di voce fuori campo che esorta una di loro ad ado-perarsi affinché la povera fanciulla, tanto dimagrita da apparire malata,riprenda a mangiare e si rimetta in forze. Il testo è un chiaro esempio del realismo stilistico e tematico di questascuola poetica perché dall’atmosfera rarefatta e stilizzata della lirica d’amoreci conduce in un mondo comune fatto di gesti, azioni e parole quotidiane.

Rustico Filippi

Su, donna Gemma,co·la farinata

Su, donna Gemma,1 co·la2 farinata3

e col buon vino e co·l’uova ricenti,4

che la Mita per voi sia argomentata,5

ch’io veg[g]io ben ch’ell’ha alegati i denti.6

5 Non vedete com’ell’è sottigliata?7

Maravigliar ne fate tut[t]e genti.8

Donna Filippa9 assai n’è biasimata10

da tutti i suoi amici e da’ parenti.

Or acendete il foco e sì cocete10 cosa che spesso in boc[c]a si metta;11

se non, per certo12 morir la farete:

ché la gonella,13 che sì l’era stretta,se ne porian far due – be·llo vedete14 –così è fatta magra e sotiletta.15

Su, donna Gemma, co·la farinata, in Sonetti satirici e giocosi,Carocci, Roma 2005

1. donna Gemma: lamadre o una parentedella Mita nominata al v. 3.2. co·la: con la. Il puntinotra co e la indica lacaduta della lettera n(vedi anche vv. 2, 13)3. farinata: minestra abase di farina di grano,farro o orzo cotta inacqua o brodo.4. ricenti: fresche. La i alposto della e è tipica delfiorentino.5. per voi siaargomentata: sia da voicurata.6. ch’io veg[g]io bench’ell’ha alegati i denti:che io vedo che ella ha identi legati a causa dellafame.7. sottigliata: dimagrita.8. Maravigliar ne fatetut[t]e genti: fate stupiretutti.9. Donna Filippa:potrebbe essere la madreo una parente di Mita(vedi n. 1).10. n’è biasimata: èrimproverata per questo.11. cosa che spesso inboc[c]a si metta: cibiappetitosi che le faccianovenire voglia di mangiarespesso.12. se non, per certo:altrimenti, di sicuro.13. la gonella: la gonna.14. se ne porian fardue – be·llo vedete: sene potrebbero fare due,lo vedete bene.15. così è fatta magrae sotiletta: tanto èdiventata magra e sottile.

Rustico di Filippo, detto il Barbuto, nasce a Firenze tra il 1230 e il 1240. Di parte ghi-bellina (vedi la rubrica L’extratestualità negli Strumenti di lettura a p. 349) è in rap-porti letterari con diversi rimatori del suo tempo ed è stimato da BrunettoLatini che gli dedica un poemetto. La data della sua morte non ècerta, ma probabilmente può essere collocata agli inizi del 1300.Rustico Filippi è il più antico tra i poeti comico-relistici fiorentini ed è autore di unaraccolta di 58 sonetti, la metà dei quali appartiene al filone della lirica amorosa diispirazione guittoniana mentre l’altra metà è di gusto realistico. La scelta di colti-

vare entrambi i generi è comune a molti scrittori dell’epoca, ma Rustico eccelle soprattutto nel secondo,in particolar modo nel vituperium (componimento basato sull’insulto) e nella descrizione ironica e ca-ricaturale di personaggi del mondo borghese comunale.

Vedi Appendice

i poeti siculo-toscani

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volumeB54

on line

METROsonetto

il significante

le parole chiave

i temi

le figureretoriche

la simbologia

l’intertestualità

l’extratestualità

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LA LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

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volumeB

STRUMENTI DI LETTURA

IL SIGNIFICANTE Rustico Filippi è il primo poeta a rielaborare involgare toscano temi popolareschi o deri-vanti dalla tradizione goliardica. In questocomponimento conferisce un tono leggero equotidiano alla forma canonica del sonettomediante precisi espedienti formali tra cuil’inserimento di vocaboli ricalcati dal dialettofiorentino (v. 2 ricenti per recenti), espressionitratte dalla parlata domestica (v. 4 ch’ell’haalegati i denti) e un anacoluto che riproducela sintassi colloquiale (vv. 12-13 la gonella,che sí l’era stretta, / se ne porian far due).

n’è biasimata / da tutti i suoi amici e da’ pa-renti); donna Gemma, potenziale salvatricedella fanciulla cui spetta il compito, necessa-rio ma certo non sublime, di preparare mani-caretti che risveglino l’appetito dell’inferma(vv. 9-10 cocete / cosa che spesso in bocca[la] si metta).In un contesto sociale fin troppo partecipe eprodigo di consigli la causa reale del dima-grimento della povera fanciulla rimane ignoto(è innamorata? si è ammalata? ha subito unapunizione?) e ciò che soprattutto rimane allettore è la vivida rappresentazione di unascenetta popolare in cui anche le figure se-condarie appaiono fresche e vivaci (vv. 7-8).Il realismo duecentesco: sebbene venganodefiniti da un nome e da precise caratteristi-che fisiche e morali, i personaggi di questo,come di altri componimenti di Rustico Filippirisultano difficilmente identificabili, così comenon sempre sono del tutto comprensibili lesituazioni che l’autore rappresenta con dina-mismo quasi narrativo.Per gli scrittori del Duecento, infatti, realismonon significa descrivere fedelmente ciò cheaccade ma costruire una galleria di perso-naggi tipici e di situazioni verosimili che,sviluppandosi in un’ambientazione popolare-sca, sono di per sé considerate autentiche.

Pagina di manoscritto con un sonetto di RusticoFilippi, XIV secolo.

Mercanti, banchieri,cambiavalute, contabilisono le nuoveprofessioni che sisviluppano con laborghesia mercantile,miniatura.

LE PAROLE CHIAVEL’intento realistico dell’autore si traduce nellaselezione di un lessico che definisce consemplice precisione alcuni elementi della vitaquotidiana dei protagonisti come il cibo (v. 1farinata, v. 2 buon vino ... uova ricenti), l’am-biente domestico (v. 9 acendete il foco) el’abbigliamento (v. 12 la gonella che sí l’erastretta), abbassando la realtà rappresentataa un livello di concretezza ignoto all’astrattaraffinatezza della coeva lirica d’amore.

I TEMILa giovane malata: il sonetto trae spunto dalmotivo popolare della “fanciulla malata d’a-more”. Le protagoniste sono tre figure fem-minili agli antipodi rispetto a quelle esaltatedalla lirica cortese: la Mita, magra e rinsec-chita (v. 5 sottigliata, v. 14 magra e sotiletta),con la bocca contratta (v. 4 ha alegati i denti)e quasi in punto di morte (v. 11 per certo morirla farete); donna Filippa oscuramente ritenutaresponsabile della situazione (vv. 7-8 assai

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i poeti siculo-toscaniCAPITOLO UNO 56

Labo

rato

rioLABORATORIO

diffic

oltà

Delle cause che hanno reso Mita magra e sotiletta non ci viene detto nulla:tu una che spieghi la situazione raccontata nel sonetto, utiliz-

zando come personaggi le figure create dall’autore.storiainventa

7

Produzione

diffic

oltà

Il significante Ricostruisci lo schema della rima del sonetto.

I temi Da quali segni esteriori si comprende che Mita non mangia a sufficienza?

Le figure retoriche Quale figura retorica si cela nella frase cosa che spesso in bocca si metta (v. 10).

Metafora Perifrasi Iperbole

Vedi a p. 54

Vedi a p. 76

Vedi a p. 32

6

5

4

Analisi

diffic

oltà

Chi sono i protagonisti di questo sonetto? Quali figure, invece, fanno da sfondo?

Quale tra le protagoniste viene criticata da parenti e conoscenti?

Qual è il suggerimento dell’autore per risolvere la situazione?3

2

1

Comprensione

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LA LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

LA POESIAUn tema ricorrente nei testi di Cecco Angiolieri è quello dello umor nero, unacondizione di cupa insoddisfazione di volta in volta provocata nel poeta dallapovertà o dalla sfortuna o dal padre taccagno che non si decide a morire…In questo caso, responsabile della sua malinconia è una donna – Becchina,figlia di un cuoiaio e protagonista di molti componimenti – che non ricambial’amore dell’autore ma lo tratta con ostentata indifferenza e si libera di lui conpoca grazia dicendogli di “andare a farsi i fatti suoi”. In un breve giro di versi Angiolieri riesce a far coesistere abilmente il paro-distico capovolgimento (vedi a p. 354) di uno dei temi più sviluppati dallapoesia d’amore – l’incolmabile distanza che separa l’uomo dalla sua amata– e l’acutezza psicologica con cui rileva che l’indifferenza è la peggiore pu-nizione che si possa infliggere a una persona innamorata.

Cecco Angiolieri

La mia malinconiaè tanta e tale

La mia malinconia1 è tanta e tale,2

ch’i’ non discredo che, s’egli ’l sapesseun che mi fosse nemico mortale,che di me di pieta[de] non piangesse.3

5 Quella, per cu’ m’avven, poco ne cale:4

che·mmi potrebbe, sed ella volesse,guarir ’n un punto di tutto ’l mie male,5

sed ella pur: “I’ t’odio” mi dicesse.6

Ma quest’è la risposta c’ho da·llei:10 ched ella7 non·mmi vòl né mal né bene,

e ched i’ vad’8 a·ffar li fatti mei;

ch’ella non cura s’i’ ho gioi’ o pene,9

men ch’una paglia che·lle va tra’ piei.10

Mal grado n’abbi Amor, ch’a·lle’ mi diène.11

La mia malinconia è tanta e tale, Poeti del Duecentoa cura di G. Contini, Ricciardi, Milano-Napoli 1960

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volumeB

1. La mia malinconia: il mio umor nero. Il termine malinconia è diorigine greca ed indica letteralmente la bile di colore nero.2. tanta e tale: così grande (tanta) e di tale intensità (tale).3. ch’i’ non discredo che, s’egli ’l sapesse un che mi fossenemico mortale, che di me di pieta[de] non piangesse: che credodavvero (non discredo) che se lo sapesse qualcuno (un) che mi ènemico mortale, piangerebbe di pietà per me. La combinazione tral’avverbio negativo non e il prefisso negativo dis- dà luogo ad unafrase affermativa.4. Quella, per cu’ m’avven, poco ne cale: poco importa (ne cale) diciò a colei che è la causa di quello che mi accade.5. che·mmi potrebbe, sed ella volesse, guarir ’n un punto di

tutto ’l mie male: che se volesse potrebbe guarirmi subito (’n unpunto) di tutti i miei mali.6. sed ella pur “I’ t’odio” mi dicesse: anche se mi dicesse soltanto“Io ti odio”. In sed, la d finale ha valore eufonico. 7. ched ella: che lei.8. ched i’ vad’: e che io vada.9. ch’ella non cura s’i’ ho gioi’ o pene: che lei (non) si preoccupa seio provo gioia o dolore.10. men ch’una paglia che·lle va tra’ piei: meno di quanto leinteressi se una pagliuzza le capita tra i piedi.11. Mal grado n’abbi Amor, ch’a·lle’ mi diène: sia maledetto (malgrado) Amore, che mi ha consegnato (diene) in suo potere.

METROsonetto

il significante

le parole chiave

i temi

le figureretoriche

la simbologia

l’intertestualità

l’extratestualità

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i poeti siculo-toscani

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on line

Cecco Angiolieri nasce a Siena intorno al 1260 da una nobile e ricca fa-miglia. Di parte guelfa (vedi la rubrica L’extratestualità negli Strumenti di let-tura a p. 349), trascorre una giovinezza sregolata. Nel 1281, mentre militanelle truppe senesi, viene multato due volte per essersi allontanato dal-l’accampamento e nel 1291 viene processato e assolto per il ferimento diun uomo; qualche anno dopo lascia Siena, probabilmente diretto a Roma.Non conosciamo la data della sua morte ma deve essere avvenuta prima del1313, come dimostra il documento con cui i suoi figli rinunciano all’ereditàpaterna perché gravata da eccessive ipoteche.

Cecco Angiolieri è autore di più di cento sonetti che, ad eccezione di qualche componimento di sog-getto amoroso, sono quasi tutti ascrivibili al filone comico-realistico di cui è egli l’esponente di mag-gior spicco. Nei suoi testi il poeta si dipinge come un donnaiolo amante del vino e del gioco e animatoda un feroce odio nei confronti della famiglia, in particolare del padre, ricco banchiere senese. Oggi,tuttavia, si tende a pensare che questo colorito ritratto non vada considerato in modo autobiograficoma sia il frutto del vasto repertorio letterario dell’autore.

STRUMENTI DI LETTURA

IL SIGNIFICANTEIl sonetto segue uno schema di rime alternate(ABAB ABAB CDC DCD) e presenta unastruttura sintattica complessa, in particolarmodo nella prima quartina, basata su unasuccessione di negazioni che si elidono avicenda, per cui se nell’insieme il periodo haun significato affermativo non tutti i nessi sin-tattici appaiono limpidi (v. 2 non discredo, nelsenso di credo davvero; v. 4 non piangesse). Più lineari sono le terzine conclusive che ri-feriscono ciò che la donna pensa del poeta edel suo amore sotto forma di discorso indi-retto.Alternando e mescolando continuamente lalingua volgare colta al dialetto senese ilpoeta tende a imitare il linguaggio popolarecon una scelta stilistica originale che si op-pone polemicamente alla limpida purezzadella poesia amorosa: in questo sonetto sonotratti dal vernacolo senese l’aggettivo pos-sessivo in forma invariabile mie (v. 7) e il so-stantivo piei (v. 13), mentre la rozzezza delparlato è riprodotta dall’anacoluto che tra-sforma il complemento di termine in soggetto(v. 5 Quella nel senso di a quella).

LE PAROLE CHIAVEOggi il termine malinconia indica una condi-zione di lieve e soffusa tristezza, ma nell’acce-zione di Angiolieri questa parola ha un signi -ficato diverso, che deriva dalla concezione delcorpo elaborata dalla cultura medica greco-latina e largamente diffusa nel Medioevo.Secondo il medico greco Galeno (II sec. d.C.)

il corpo umano è fondamentalmente costi-tuito da quattro umori – sangue, bile gialla,bile nera e flegma – che corrispondono aiquattro elementi cosmici, fuoco, terra, aria eacqua. La salute e il temperamento di un in-dividuo sono condizionati dalla prevalenzadell’uno o dell’altro per cui il flemmatico, cheha un eccesso di flegma, è grasso, lento,pigro, sciocco; il melanconico, con preva-lenza di bile nera, è magro, debole, pallido,avaro, triste; il collerico, con troppa bilegialla, è magro, asciutto, di bel colore, irasci-bile, permaloso, furbo, generoso, superbo; ilsanguigno, con eccesso di sangue, è rubi-condo, gioviale, allegro, goloso e dedito aipiaceri del corpo.

I TEMILa rivisitazione dei modelli letterari: no-nostante il tono apparentemente rozzo e ple-beo, i componimenti di Cecco Angiolieri sonointessuti di citazioni colte che rivelano labuona formazione letteraria dell’autore. Dallatradizione realistica dei poeti goliardi egli ri-prende il gusto per l’invettiva e per l’in-sulto, l’esaltazione del godimento fisico ela celebrazione degli aspetti più bassi evolgari dell’esistenza che sviluppa in unaprospettiva più ampia, soffermandosi soprat-tutto sulla rappresentazione caricaturale dibrevi squarci di vita quotidiana popolare cuiattribuisce una dignità letteraria che nel se-colo successivo influenzerà anche altri ge-neri, in particolar modo la novellistica.In questo sonetto l’autore opera un anticon-formistico rovesciamento degli stilemi della

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LA LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

poesia d’amore, reinterpretando il tema dellasofferenza dell’uomo nei confronti dell’amata,inaccessibile non più per la sua sublime per-fezione ma per il rifiuto piuttosto plebeo cheoppone alle profferte amorose dello spasi-mante (v. 11 e ched i’ vad’ a·ffar li fatti mei).Malinconia e indifferenza: con grande acu-me psicologico il poeta spiega la propria de-vastante malinconia, ossia lo stato di cupa in-

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volumeB

soddisfazione che lo attanaglia, con la per-fetta indifferenza della donna osservando cheella potrebbe salvarlo dal suo dolore (vv. 6-7 sed ella volesse, / guarir ’n un punto di tutto’l mie male) se provasse nei suoi confronti unsentimento qualsiasi, anche negativo comel’odio (v. 8 sed ella pur: “I’ t’odio” mi dicesse),mentre nella realtà egli sa di non essere te-nuto in alcuna considerazione (v. 10 ched ellanon·mmi vòl né mal né bene; v. 12 ch’ella noncura s’i’ ho gioi’ o pene).

LE FIGURE RETORICHENei suoi testi Cecco Angiolieri presentaspesso se stesso e la sua vita in modo dram-maticamente esagerato, usando ogni sorta dieccesso verbale per ottenere un effetto pa-rodistico. In questo caso per descrivere lasua profondissima insoddisfazione apre il so-netto con un’iperbole nella quale definisce lasua condizione tanto disperata da suscitarela pietà del suo peggior nemico (vv. 2-4, ch’i’non discredo che, s’egli ’l sapesse / un chemi fosse nemico mortale, / che di me di pieta[de] non piangesse).

Pagina di manoscrittocon un sonetto di CeccoAngiolieri, XV secolo.

L’INTERTESTUALITÀNel XIX secolo il poeta francese Charles Baudelaire dà a quattro delle sueliriche il titolo Spleen, una parola inglese che deriva dal greco antico splén e significa “milza”,organo che – secondo la teoria degli umori di cui abbiamo parlato a proposito dei temi – pro-duce la bile nera responsabile della malinconia. Ecco come Baudelaire descrive la schiacciante sensazione di angoscia da cui è oppresso.

SpleenQuando il cielo discende greve come un coperchiosull’anima che geme stretta da noia amara,e dell’ultimo orizzonte stringendo tutto il cerchioci versa un giorno cupo più della notte nera,

5 quando la terra è fatta di un’umida segreta,entro cui la Speranza, pipistrello smarrito,con le sue timide ali sbatte sulle pareti,e va urtando la testa sul soffitto marcito,

quando la pioggia spiega le sue immense strisce10 imitando le sbarre d’un carcere imponente,

e un popolo di ragni, silenzioso e viscido,tende le reti in fondo a queste nostre menti,

d’improvviso campane esplodono furiose,lanciando verso il cielo un gridio tremendo,

15 come anime che, erranti, senza patria, pietosemandino un inatteso, ostinato, lamento.

– Funebri cortei, senza la musica e i tamburi,lenti solcano l’anima. La Speranza, lo sguardovinto, piange, e l’Angoscia, che è dispotica e dura,

20 sul mio capo già chino pianta ora il suo stendardo.Spleen, in I fiori del male, Feltrinelli, Milano 2003

Vedi a p. 87

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i poeti siculo-toscaniCAPITOLO UNO 60

Labo

rato

rioLABORATORIO

diffic

oltà

Fa’ la della poesia.

Utilizzando le informazioni contenute nel sonetto ricostruisci sotto forma dila burrascosa conversazione tra il poeta e l’amata.discorso diretto

parafrasi

10

9

Produzione

diffic

oltà

Analisi

diffic

oltà

Come definisce il poeta il suo stato d’animo?

Da che cosa è causato?

Che cosa lo farebbe stare meglio? 3

2

1

Comprensione

Il significante Cerca nel testo un esempio di eufonia simile a quello segnalato nella nota 6.

I temi Quale sentimento esprime l’autore nel verso conclusivo?

La personificazione del sentimento amoroso è un tòpos della poesia lirica due-centesca: in che modo Angiolieri utilizza, capovolgendolo, questo motivo?

Le figure retoriche Individua la similitudine presente nel sonetto di Angiolieri, spiegane il signi-ficato e rifletti sulla sua funzione: che tipo di effetto vuole ottenere l’autorecon questa immagine?

L’intertestualità Con la guida dell’insegnante effettua un confronto intertestuale tra la malin-conia di Cecco Angiolieri e lo Spleen di Charles Baudelaire: in che cosa que-sti due stati d’animo sono differenti?

Vedi a p. 67

Vedi a p. 52

Vedi a p. 76

Vedi a p. 24

7

8

6

5

4

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