T_Informale 10 gennaio 2016

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Informale, arte concettuale, body art

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Informale, arte concettuale, body art

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informale, arte Corrente artistica sviluppatasi in Europa dopo la Seconda guerra mondiale che considera l’opera d’arte, pittorica o scultorea, come una realtà a sé, diversa («altra») da quella dell’esperienza quotidiana e da ogni esperienza artistica anteriore (le espressioni art autre e art informel sono state utilizzate, per la prima volta, dal critico M. Tapié, nel 1952). In senso ampio, l’arte i. può essere considerata una delle manifestazioni dell’astrattismo non geometrico e, nell’esaltazione della materia e del gesto, comprendere ricerche statunitensi contemporanee, quali l’action painting

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Con la parola ‛informale' si designarono subito tutti quei movimenti o quelle personalità che, dopo il formalismo delle più importanti avanguardie storiche, che aveva dominato l'arte fino al 1940-1945, riproposero nella pittura e nella scultura un primato dell'espressione in senso individuale, puntando sulla materia, sulla tensione gestuale e sul recupero di un'immagine ingenua, incolta o degradata. Il termine venne in uso in Europa, ma esso fu riferito anche, più o meno correttamente, all'action-painting e all'espressionismo astratto americani, nonché al tachisme, alla pittura materica, all'art brut, a quelle indicazioni date da M. Tapié sotto il titolo Un art autre nel 1952, e perfino allo spazialismo e al nuclearismo. A prescindere quindi da una morfologia simile, ma anche da ogni dichiarazione di poetica, il termine coglie genericamente un'area il cui comun denominatore è soltanto il fare perno dell'artista su una situazione esistenziale, su una percezione individuale dei problemi anche oggettivamente tragici del mondo degli anni quaranta-cinquanta.

(voce “Informale” di Marisa Volpi Orlandini in Enciclopedia del Novecento Treccani, 1978

consultabile online: http://www.treccani.it/enciclopedia/informale_%28Enciclopedia-del-Novecento%29/

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Prima edizione: 1938

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Nell’ambito delle poetiche esistenziali, o dell’informale, il problema viene posto in tutt’altri termini: la materia ha bensì un’estensione e una durata,

ma non ha ancora o non ha più una struttura spaziale e temporale. La sua disponibilità è illimitata; manipolandola, l’artista stabilisce con essa un

rapporto di continuità esistenziale, di immedesimazione. (…) Fautrier ha evitato ogni rapporto con le ricerche strutturali cubiste e post-cubiste (…) constata che la materia pittorica non è soltanto il mezzo con

cui si esplicitano le sensazioni, ma una sostanza sensibile e impressionabile che delle sensazioni assorbe e fa proprie l’estensione e la

durata. Tutto ciò che si vive diventa materia: dunque (come aveva detto Bergson)

la materia è memoria (…)

G.C. Argan, L’arte moderna 1770-1970, Sansoni editore, Firenze 2002 (prima edizione 1970), p.268

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con la serie degli Otages (ostaggi), il momento più alto dell’opera di Fautrier: quello che fa di lui l’interprete di tutta una tragica situazione

europea determinata dall’oppressione nazista

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E negli USA?

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While the style of "drip" painting has become synonymous with the name Jackson Pollock, here the artist has autographed the work even more directly, with several handprints found at the composition's upper right. Around this time Pollock stopped giving his paintings evocative titles and began instead to number them. His wife, artist Lee Krasner, later explained, "Numbers are neutral. They make people look at a painting for what it is—pure painting." Collectors did not immediately appreciate Pollock's radical new style, and when first exhibited, in 1949 (then titled Number 1, 1948), this painting remained unsold. Later that year the work was shown again in the artist’s second solo exhibition (Pollock added "A" to the title to avoid confusion with more recent work) and shortly thereafter was purchased by MoMA.

fonte: https://www.moma.org/collection/works/78699?locale=it

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Nel 1950, all’età di 38 anni, Jackson Pollock aveva il vento in poppa. Aveva guadagnato 5.800 dollari durante la stagione 1949-50, somma

che corrispondeva alle vendite dell’esposizione presso Betty Parsons e alla sua retribuzione per un’importante commessa privata. In un’epoca

in cui il salario di un impiegato medio era di 3.500 dollari all’anno, rappresentava un’entrata considerevole. Ma il suo successo non era solo finanziario. La rivista “Life” aveva chiesto ai suoi dodici milioni di lettori a grandi caratteri: “è il più grande pittore americano vivente?”

R. Krauss, L’incoscio ottico, Bruno Mondadori 2008 (prima edizione 1993), p. 263

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“Life”, 8 agosto 1949

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Nel 1950 Alfred Barr acquistò Number 1 1948 per il Museo d’arte moderna di New York e,

malgrado le ultime reticenze nei confronti della pittura di Pollock, gli accordò uno spazio dalle

dimensioni impressionanti nel Padiglione americano della Biennale di Venezia

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E in Italia?

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Burri al lavoro immagini dalle teche rai

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Video retrospettiva Guggenheim NYC curata da Emily Braun