Timore e tremore Kierkegaard

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Soren Kierkesaard in BUR ft )oren l\lerKegaarq TIMORE E TREMORE AUT-AUT (DIAPSALMATA) A curadi CornelioFabro Br& Diario Diario del seduttore Don Giovanni Prefaziorri La ripetizione Stadi sul cammino dellavita Sul concetto di ironia CLASSICI DEL PENSIERO

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Timore e tremore Kierkegaard

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Soren Kierkesaard in BURf t

)oren l\lerKegaarq

TIMORE E TREMOREAUT-AUT (DIAPSALMATA)

A cura di Cornelio Fabro

Br&

Diario

Diario del seduttore

Don Giovanni

Prefaziorri

La ripetizione

Stadi sul cammino della vita

Sul concetto di ironia

CLASSICI DEL PENSIERO

Page 2: Timore e tremore   Kierkegaard

ProprietàL letteraria riservata

O 1972, 1986 RCS Rizzoli Libri S.P.A., Milano

@ 1994 R.C.S. Libri & Grandi Opere S.p.A', Milano

@ 1998 RCS Libri S'P.A., Milano

rsBN 97 8 - 88' 17 - 16 5 62 - 4

Titolo originale dellbPera:

Ftlgt og Baeven, Dialektísk l4rik oJ Johanes de Silentio

Prima edizione BUR gennaio 1986

Undicesima edizione BUR Classici del Pensiero maggio 2010

Per conoscere il rnondo BUR virira il sito wvw,buneu

INTRODUZIONE

Nel labirinto della produzione pseudonima kierkegaardia-na Timore e Tremore costituisce il primo punto fermo peruna corÌetta interpretazione di un'avventura letteraria chenon ha riscontro in nessuna produzione del turbolento edirrequieto Ottocento europeo, per l'intensità tematica ela densita ermeneutica. Mentre il monume tale Aut-Auldi Victor Eremi[a aveva percorso le due tappe póiemichedell' immanenza esterica ed erica con le Cane dei due soi-topseudonimi A e B. Timore e Tremoret di Johannes dèSilgtLo_SSL lt.9_oq19mp9"-r31eo Lo ripresa di CostantinoConstantius intende mett€re a fuoco I'orizzonte religioso

l4gglt Ètb {lqgaone reale proposta e vissuta dall'auto-rg che il pubblico dei lettori, ammaliato dallo scintillio sti-listico di AulAut, non aveva awertito'?: la priorità asso-luta del rapporto a Dio e perciò il distacco dello stadioreligioso come supr emo vertice dell'esistènza e fondamentodell etrca.--La

tématica di fondo è la giustificazione d9l!q follufad9l fidanzamento con Regina Olsen (11 ottobre 1841) cheaveva messo in subbuglio gli ambienti letterari di Cope-

I l l t i toloèpresodaS.P^olo:. l lCor.,7,16. l l motto è preso da Ha-mann: (Ciò che Tarquinio il Superbo intese con il taglio dei papaverinel-suo giardino, Io comprese suo figlio ma non il messaggero).

2 Malgrado iÌ richiamo rcligioso dell'Ultimdlum, cioè il discorso con-clusivo inteso a dimostrare che l'uomo (ha sempre torto davanti a Dio)t(S.V. t. II, p. 368 sgg.) con la conclusione che (solo la verirà che edifica, è verìtà per te)) (Op. cit . , t . I I , p. 381).

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naghen, rimasti ancor piil perplessi dalle divagaz ioni esteti-co-er iche di Aur-Aur. i l nodo dct la , i ruazione era essen-zialmente religioso, cioe quello dell'obbedienza ad un pre-ciso ordine divino come prova suprema della fede che inTimore e Tremore ha per protagonista il patriarca Abra-mo il quale, in obbedienza a Dio, è disposto a sacrificareIsacco, il figlio <iella Promessa.

Cosi nella Rlpresa la situazione si ripete: Giobbe, il giu-sto, è privato dei figli e di tutti i suoi beni e colpito anchenel suo corpo e languisce piagato su di un letamaio, con-traddetto dagli amici che lo considerano oggetto della giu-stizia divina. Due testimonianze assolute di fede di sesnoopposto, Abramo manriene il silenzio assoluto e Giobbeinvece si sfoga in fiera polemica con i tre amici interlocu-tori.

di sctittore. Sarà letto ed anche tradotto all,estero e s,i_norriderà per il tremendo pathos che contiene. Ma ouan-do esso è stato scritto. quando colui che era creduto l,au_tore se ne andava sotto I'incognito del bighellone ed ave_va I'aria di un petulante, di motteggiatore e di leggero nes-suno poté capirne la profonda serietà>. Ma era un insan_no, un trucco leîrerario: <Oh, gli stoltil Eppure mai unlibro fu così serio!>> nella sua diaìettica esiitenziale: <Sel'autore avesse avuto un,aria seria, I'orrore sarebbe statominore. La reduplicaziones - realizzata dallo pseudoni_mo - è il massimo dell'orrore>. perciò deplorà aon unulucida preveggenza: <<Ma quando sarò mortò si avrà di meun'idea fantastica, come di una figura tetra: allora il li-bro riuscirà tremendo) per la nuova rotta, quella decisi_va, nel cammino dello spirito. E viene indicato il momen_to critico nel superamento irreversibile di direzione: <Unaparola vera vi è già detta, là dove metto in risalto la diffe_renza fra un poeta ed un eroe>> _ il poeta è lui, nascostonello pseudonimo, e I'eroe è Abramo, chiamato <eroe del_la fede> e modello del cristianesimo straordinario. Di ouiappare rivelarrice la cadenza autobiografica: <Vi è in meun lato poetico preponderante e la mistificazione è aonun_to nel fatto che Timore e Tremore riprodtceva in iondola mià vita6>>. Eisò perciò davà la óhiave ermè;;l* J;della vita personale come di tutta l,attiyità letterada, quasiun compendio profetico di quanto seguirà nel volteggiaredel gioco dialettico degli pseudonimi nei sette anni seeuentiche avranno il loro fulcro nel problema sul senso u-ltimo

. r È i l momento esrnziale del la -dialelrrca quali taLiva., proDria delcnsnanertmo. ctoe di ecrre e vi^vere ciò che si crede, ciò cÉe ii scrivee si predica {C[r.: Dia o, tr . i : .3,Indice dei rermini, t . Xi i . p. ió8i.-o.Diot io t849.IBSO, X2 A t5: rr. i l . r nr. 2530. *f. vf, p. i+i.

- l ìóosembra percjò esatto applicare a quesro scritto la regola deili alrri oieì-oontmli ossta dfhat-in genctul he lKietkegaatd) does nor himsetl shore'{{fíi; :í tri ::í,i xlÍ1ii;..,.,Ííí,#ffi l;..,nHffili:t] : trlì il:,iThe Pandox in feat and Trcmbting. KerkegaatO:-r. X 1rf ij. p. iiì11

L'ermeneutica di Timore e Tremore si profila su di unosfondo ambiguo o piÌr esattamente ambivalente nel rap-porto antitetico di Kierkegaard al padre ed a Regina ch'e-gli considera i suoi maestri nella dialettica dell'esistenza3:il primo col suo crislianesimo cupo, dominato dal sensodi colpa ch'egli dovette subire; il secóndo represso con laqg4aqngsfera spensierara di eioia delltviia citgli nonpote accetî:rre per non tradire la sua vocazione essenzialecome di uno ch"era stato <segregator da un <pungolo nellacarne>) come Paoloa. Uno scritto quindi doppiamente al-lusivo e capace di fornire la chiave dell'enigma dell'esi-stenza del suo autore che lo collocherà al vertice della suaattività di scrittore: (Dopo la mia morte si vedrà che ba-sîerà nmore e Tremore per rendere immortale un nome

3 Alle parole di Regina: (Dopo tutto, tu non puor sapere se lbrse noúsarebbe un bene anche per te che mi fosse concesso di manerti vic!no), egli osserva: (Ecco, questo è timore e tremore) (Diarrb, 1g49, XJA l50i t r . i t .J , ù.3796, t . X, p.7l) .

a II Cor. 12,7. Il <pungoÌo nella carne> è jl t€ma costante del Dia-rio fin-sul leuo di morte (Vedi: Dr',4rjo, Appendice A, tr. it.3, t. XII,pag.98). Per. i tesri fondamenlal i . ibid. p. t42 s. e Dia o,ed.B.U.R.Mjtano 1979r, p. 7 sge.

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della vita, polarizzato nel problema: <<Come si fa a diven-

tare cristiani?>, che sarÈr reso esplicito da Ioannes Clima-

cts (Postilla conclusiva non scientifica del 1846) in fotmaproblematica di distacco dalla sfera poetica con la denun'-

iia del tradimento da parte della ragione spinoziana di Les-

sing ed Hegel e di conclusione mediante il (salto> della

fedè con Anti-Clim acùs (La malatîia morîdle, 1848i L'e-

sercizio del Cristianesimo, 1850\1 .Mentre .La ripresd tematizza in filigrana il rapporto a

Regina moslrando l'impossibilità di ritornare sulla pro-

pria decisione, Timore e Tremore nasconde (n-el rapporto

al padre) il mistero iremèndo del rapporto del credentealiìAssoluto, come si rileva da un testo contemporaneoaA biàiò aiwite rimanda lo stesso. KierkegaalQ 49114conclusione del testo ora citato come alla chiave ermeneu-

i"u'oiiu,,u'ru sua attivit{ di sc-ritrore. -ll testo - con il

tito\o Sòhizzo - capovolge, con evidente allusione del suo

iapponò a Regina, Ia situazione di Abramo per far emer:geie il senso profondo del suo rapporto alla fanèiulla ab-

bandonata e sconvolta dall' inattesa decisione' Qui la si-

luazione rasenta la tragedia di un confiirio irreparabile che

solo la fantasia creatrice di Kierkegaard poteva immagi-nare: <Supponiamo... che Isacco avesse saputo che il pa-

dre lo portava con sé al monte Moria per sacrificarlo>'Ebbene, se avessimo oggi un poeta, egli ci potrebbe esporre

I'argomento dei colloqui fra padre e figlio lungo la stra-

da. In un prirno momento la scena patetica: (Anzitutto

immagino che Abramo abbia concentrato nel suo sguardo

' Diario 184244,IV A 76i nr.474. l . l l l . p 74 sgg' La si luazjonedi Abramo è di caraltcre el ico ma con fondamento rel lgloso: _)adledes

',,ar Abruham Of ng aÍ Isoak en îeligieus Akt, selv om Abraham ellers!il dastil tevede e[k; bistemte etiske Ktuv" l'Del resro l'olferla di Isaccoda oaìLè di Abrarno era un al lo rel igioso anche se Abramo vlreva quo-

t iài'^nì."nt. .on unu ptecisa [otzaiLica. -] {C . \1a:lanrschuk' I nd!òrc|-

s? i Sorcn KietkeEaardi fo{attertkab, Copenaghen 195I p 48).LopseLr-donimo religioso sarà Anli Climacu\ (La mdlaltia motlale L eserctzlodel Cristiaùesimo).

I

tutto il suo amore di padre; il suo volto venerando ed ilcuore straziato davano risalto alle sue parole; esortò il fi-glio a sopportare il destino con pazienza facendo capirecon parole velate che anch'egli, come padre, ne soffrivaancor piìr>. Ed ora la,finzione poctica della trasposizionedel racconto biblico alla sua situazione esistenziale lellaGnsione doppia, cioè del padre ve-rso di lui e della sua versoRegina: <Davanti al suo insucceiiò. Abramó dovette pro-babilmente scostarsi un momento e, quando tomò a guar-darlo, per Isacco egli era irriconoscibile: I'occhio selvag-gio, l'aspetto glaciale e la veneranda canizíe dîizzata co-me una furia sulla fronte. Egli afferrò Isacco per lo sto-maco, tirò fuori il coltello e I'apostrofò: "Credi tu ch'iovolessi compiere tutto questo per lddio? Ti inganni. Io so-no un idolatra: questo desiderio si è risvegliato in me, iovoglio ammazzarti, io sono peggio di un cannibale. Nonlusingarti, sciocchino di ragazzo, al pensiero che sono tuopadre; io sono e voglig essere il tuo assassino". Ed orail nocciolo dell'allusione del dramma: <Ed Isacco s'ingi-nocchiò gridando al cielo: "O Dio misericordioso., abbipietà di me!" Ma allora ecco Abramo mormorare fra sée sé: "Bisogna proprio che la cosa vada così; alla fin fineè meglio ch'egli mi creda un mostro, che mi maledica per-ché sono stato suo padre e prighi ancora Dio, piuttostodi sapere che è stato Dio a impormi la tentazione, altr!menti perderebbe la ragione e forse maledirebbe Iddio!">- <Me {Sy:È ar 4_os!ri lempi -

q chiede Kierkegaard -il poen capace di immaginare iòifli it i simiti? E ruîraviala condotta di Abramo riuscirebbe di un'autentica poe-sia, di una rnagnanimita che sorpassa tutto ciò ch'io holetto nelle tragedie).

Ed ora la chiave ermeneutica: <<Colui che riuscirà a soie-gare quest'enigma avrà spiegato anche ia mia vjta. Maio-ve trovare tra i contemporanei chi possa comprendere untale enigma?>

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A diîferenza del successo strepitoso di AutAut' Timore'ì

ii"*orc p^ta quasi inosservato: ma al tema di Abra-

-.. ."À" tielu O.i suo rappoflo intimo religioso' Kierke-

;;;i;-;l ';;"; con insistenia in rre testi nel Diario della

iiii*ria íiì.ttr". a.riq p,opti" attività lerteraria e sul

".ìii.. a.il" *"rru .rp.ii.n'u religiosa Non sono piir

esoressioni dello pseudonimo, ma variaTioni eslstenzlall

àì', tut flgrturion. tpirituale8 dell'evenÎo biblico nella vi-

l, ai-rii..t.guuta passatà del tutto inosservate nella

Xteita*ra-t'oornlmg: appartengono-tutte e tle allo steJ-

so cictò riflessivo e le riportiamo nella loro progressrone'

A. <<.Timore e Tremore: Abramo e la decisione di sacri-

ficare Isacco>>.

... Ed egli tagliò la legna' Iegò l\acco' e accese il rogo: trasse

i l col lel lo - e lo vibro su lsaccol^

lj[r*i=".1,rfi ffi'#r:,!"ixis:ii*n{$ji$:co-sa simile! Tu eri il mio amico, ed;;i;;;. À";h" all'ultimo momento ti ho sridato: 'Abramo'

Abramo, férmati! ' ".Allora Abramo rispose con una voce ch'era della debolezza so-

ii"i" "làorì"'a"i i:àaoiazione,

e at Lempo ste'so della debolezza

ffiff Íilí*if;:"J:x itlx;;;: l ;:"Ti;;:::'j4il;Ì3r:kfinis:x":' ÎhiitrTii'i:'l|;J"ii1",il;'ll!ii+fl t":::r:u*i,;iàìÌii:$H"""i::ì'J'î:'""à".:"""$t

8 La critica deirra invece accomuna'-malerad:;X,'l*X1Î::'"J;ìt;

::1""J,;,f"i:::îfr?T,oi f '^ixt?"1' lrll ;;;-i ii ià,, piiì.,,i.. r,,*|;i;',r j:;"i;^i,l;,r"^,i j;:*;n::;;::;*Ì::i;ri:::l':,^;Hz'.i si)'i,iíi ci,,Ti,. tondon I741.p l5ses 91:es l v:9i3 q'j::i

t,lr;:Ín^:'r^:;:::j',".,""fl il;il,Sii::::ii;{J;ii'íi#iD.2Iì sss. I lproblema era stato toccalo rl:ii, jf ,':",-,',"w;:;;1t3:;t;y;1;;1;;, j{,',:'ffi ;5-li#íffriÌf;:'t{;ii{jiîí'J:"'i,:" i7,,e67, pp. 577'600.

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fosse la Tua? Quando Tu mi ordini di sacrificare mio figlio, eall 'ult imo momento si sente una voce che dice: 'Férmati! 'do-vetti credere evidentemente ch'era del tentatore che voleva trat-tenermi dall'adempiere la Tua volontà. Una delle due: o avreido\uto pensare che quella voce che mi diceva di sacrificale lsaccofosse del tentatore; e alÌora non mi sarei messo in cammino. Masiccome mi assicurai che quella era la Tua voce, allora dovetticoncludere che l'altra era del tentatore".Poi Abramo fece ritorno a casa, e il Signore gli diede un secon-do lsacco. Ma Abramo, guardandolo, non si mostrava mai con-îento. Quando lo guardava, scuoteva la testa e diceva: "Nonera questo quell ' Isacco!".Ma a Sara egli disse: "Fu però una cosa strana che sia stato Id-dio a volere ch'io sacrificassi Isacco: questo era certo, eterna-mente certo, Dio stesso non lo può voler negare, E quando poiio lo feci per dawero ecco che era uno sbaglio da parte mia:non era più volontà di Dio... ".Ma non così con il padre della Fede, Abramo! Proprio in que-sto consiste I'ubbidienza, nell'ubbidire subito e incondizionata-mente all'ultimo momento. Oh, quando si è andati tanto oltrecol dire A, si è allora umanamente piuttosto disposîi a dire an-che B e a colpire. Più difficile che salire al Moria e sacrificareIsacco è quando già si è tirato fuod il coltelÌo, poter allora evoler capire, in obbedienza assoluta, che ciò non si esige da me.Quando si îratta di decisioni simili, come quella di sacrificareil proprio figlio o di tenerselo, poter consenare ancora all'ulti-mo momento la stessa prontezza ubbidiente e, se oso dire, agiledi un servitore che deve rassegnarsi - quando è quasi al termi-IIe - a tomare indietro e dunque ad aver fatto quasi invano lacona. Oh, qugsto è grande. "Ma nessuno però fu grande comeAbramo: chi può capirlo?"e>.

B. <<Timore e Tremore: la fidlcia in Dio di Abramo>.

... Abramo sacrificò I'ariete e tornò a casa con Isacco che gliera nmasto.Ma, diceva Abramo a se stesso, io però con questa stoda sonodiventato per sempre eterogeneo dall'umanità- Se ti losse pia-ciuto, o Signore, farmi nascere, pur restando uomo, in formadi cavallo, non sarei più eîerogeneo daÌl'umanità, di quel chenon sia diventato con questo fatto, La diflerenza di non aver

e Diatio l85l-52, Xa A 338; tr. it.3 nÌ. 3529, i. lX, p. 47 sgg.

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It,:x?Jlilxi?*?:i'::fixi"l;#"Ti:'6?li'?,T$iiX'$ì"""iíìit

à-..iti".' infinitamenîe opposti con sara non posso

l," [#ti"". t*ru'xÌ::ruf.?3 "' ii,yru"î""ffi :'lffi;ilin' ;i;i;nàre. verrà certamente il tempo che la sua

"of"f.." ii .aft.ra' èd essa mi perdonerà Ed allora dovrò rin-

iiàìr-rl iJi'ò"..i" perdono amoroso' così anche con Isacco:

u,i*i**ilÎ:'l;I",?,ll,Ì''llnl'?1i""'Ti'l$:lh*i,1i'111;:l:;t.tlig::::xiîlill?,ili'li;lilltîJ.tt:ùÎi:"iùiì,ì'ià-i'"ìiu" "Àài.1. F * t" !.:ò :li,l"'ilJ',î,iii"J,5:1:i::"JiTiff:;3 iif"lilîîl'rif li,ìi ;;à àìi penaeua aa ranoài",[ìJìr" iiiò"i. a Te, con quesrà mi sarei reso pir) eteroge-

u:l*;:'r'{1,.,.-;'. j::il:jill;:Ifr1iili4!i"":jtlti*i*ll,llll'"".*líù:il. iàlfl#'la Fede, per non valicare con.le-nl

ftîi:ifri'liiri':#r"'J;f [*'#l*îii:i{i#t'C, <<Iluovo !iyt91qe-If.el4:-o.te; lL rytlplqqtdiCdi Dio pqq

Alrqmqr.

't3}Jì5"#1'"Ti*:'y;:ff :l"i'ff$":i!:ri"'""'3f;

fr ;;;ì;;r,^"",èdisooito,l-la,s,c;Xr;.Tit?1i'*,,m-Tagliò la legna, legò Isacco e.accesl

niHr.i$x'*:ffif.1'":'H;iT""'Í,X'""T::i;.Ìft f; 3:::icn:'#,lLtl;l'*; ;1"" :f,iì'il1"':3:ili*, uppu-" " r u,oà't dt*;";li;i;i' veóchio, veccnio mio' cheiai-tu fatto?

iiónlui ,.nti-ro t". ie parole' no.n hai senti lo quel ch'io grida-

vo? 'Abramo, Abramo, férmati '?" 'InIu ab."-o iirpora

"on ,,,,u uo"e.che in parte aveYa l'accento

filj3'Tt'T'::if,'1ltr"*"":;:llff '[''tr'iili]3*'.ltro Diatio l85l-52, x4 A 357; tr' it'3 nr' 3537' t IX' p' 54 sgg'

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perché tu sai dare la cosa migliore e la sai anch€ esigere, Peròil mio dolore fu mitigato perché Isacco comptese e nella gioiadi essere d'accordo con lui, non ho affatto sentito la tua voce.Fui io stesso, persuaso di fare I'ubbidienza, che cacciaí il coltel-lo nella vittima ubbidiente".Allora Dio dsuscitò Isacco. Ma, chiuso in un muto dolore, Abn-mo rimuginava fra sé e sé: "Però non era questo quell'Isacco!" Ein un certo senso neppure lo era, perché per aver compreso ciò chelsacco comprese sul Monte Moria, di esserc cioè stato scelto daDio per vittima, era egli in un certo senso diveltato un vecchio,vecchio come Abramo, non era del tutto quell'Isacco, e soltantoper ltternità essi erano fatti veramente I'uno per l'altrc.Dio lo previde, ed ebbe misericordia di Abramo e fece, comesempre, andare tutto bene, infinitamente meglio che se non fos-se successo quell'errore. C'è, diss'Egli ad Abramo, un'eteldta;tra poco tu sarai eternamente congiunto a lsacco dove in eterlovoi sarete fatti l'uno per l'altro, Se tu avessi sentito la mia voce,se ti fossi fermato: avresti allora avuto Isacco per questa vita- ma I'affare dell'eternita non ti sarebbe div€ntato chiaro. Tusei andato troppo in la, mi hai guastato tutto,..: però io faccioche la cosa vada ancora meglio che se tu non fossi andato tan-t'oltre, C'è un'eternità!Ouesto è i l raDDorto tra Ciudaismo e Crislianesimo. Secondoii-Cristianeiimo Isàèco è immìlato véramente..., mìpér I 'eIer-nirà. SecondoìfGiudaisnio nori iì rrarta ctre cfi una prova,e tut-to I'a[Tare rimane esselziqlniglle delrro cuesta vitalr))'. --

È per questo che Abramo è stato chiamato il <padre dellafede> e Isacco il <figlio della promessa>: non a caso Kier-kegaard nel nostro testo accosta ad Abramo la VergineMaria, la "piena di grazia" la quale, al pari di Abramo,viene assoggettata, con l'annuncio dell'Angelo, alla pro-va suprema della fede: è qui la radice, per Kierkegaard,come per la spiritualità cattolica, della grandezza della Ma-dre di Dio, della Piena di Graziat2: nella sofferenza, nel-

lt Diario 1853, XJ A 132: tr. cit.3 nr. 3585, t. x, p. 44 sgg.Queste variazioni hanno suggerito l'osservazione che l'Abramo di Ti_

more e Tremorc è ln <<uorno piir debole di quello storico del libro diMosè, la sua f€de non è assoluta ma piil o meno tentata> (Hans tro erikke absolut, fien merc eller mindrc anlaeSteta F,l. Billeskov Jansen,Kie*egaard Vae*er i Udvqlg, Copenaghen 1950, Bd. lV, p. 132).

tr cfr. c. Fabro, Kierkegaard poeta leologo dell'Anúunciazione,Humanitas lll (1948), p. 1025 sgg.

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::i:-i:'i:Ji: ji'TÌi'"#J#l'T"jL:3't;ff :T::

*;i:lr"r*Í*",:?.id'j:'#','T".#*'d;.',:l?''"il1': ;l i":]ffi J*t*Hl*i]'tulf*i rffi t i Ìit14,

mula: <Agisci in modo che il pringlpio determinante del:la tua azione possa dir entare la norma unir ersale'r. In He-gel scornpale ogni ril 'eiinrento al Singolo: è la Ragione unj-

versale o Spirito assoluto che regola il corso della storiauniversale mediante gli spiriti nazionali nelle varie civiltae culÌure.

L'altro versante, quelto di opposizione e rifiuto dellafede che salva, è per Kierkegaard il demoniaco ch'egli il-lustra qui con la deliziosa leggenda di Agnese e il Trítone'Il mostro marino, che intendeva sedurre I'ingenua fanciul-Ia, desiste dal suo proposito alla vista della sua disarman-te innocenza: "Grazie al demoniacol5, il Tritone sarebbeil Sineolo, jl quale come Singolo è piu alto del generaìe'

l l deÀoniaco ha ìa stessa propr ieta del d iv ino. c ioè chei l Singolo può cntrare in un rappor lo assoluto con esso

"e pertanto"... più la formazione di Agnese sarà concen-trata sull'Io e pirìt sorprendente sarà la sua autoillusione'Anzi - e qui è evidente il rappcrto a Regina - non è im-pcnsabi lc che un Tr i lone, con la st la astuzia demoniaca,possa riuscire nella realtÈr non solo a salvarla (Agnese nel-la fiaba e Regina rteìta vita), ma anche a cavare da Agne-se qualcosa di straordinariot6. E qui s'inserisce, comecontropafiita del mito'fiaba di Agnese e il Tritone, \l Iac-

conto biblico del giovane Tobia, che si appresta a sposareSara, vedova di ben sette mariti, uccisi uno dopo I'altrodal demone invidioso: <ln generale si riesce a sapere mol-to poco sul demoniaco... e quelli che veramente l'afferra-no si trovano nell'alternativa o di perdersi nel demoniaco

15 Il <demoniaco> rappresenta l'angoscia di fronte al bene e costituisce Ìa forma Diù acuta della disperazione come effetto dello (scanda-

lo). Sotlo l'asp""1to teologico del rilìulo di Dio e di Cristo esso vieneanalizzafo con rara profondità da Anti-Climac:us (La malania mortale1848 e L'esercízio de! Cri\lianesìmo, 1850, spec. p lI: (Beato chi nonsi scandalizzera in me!).

16 La leggen<ìa di Agnese sembra suggelita dai poeta Baggesen (cfr'

F.L Bilesk;v Jansen, BdgS?ser, Biblìotheca Kierkegaardiana, lx [1982]'D. 86).

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o di salvarsi nel divino). E viene evocato' come prospet-

tiva dell'uomo moderno, l-'incontro fra il dxbitanJe Faust

e Margherita nella versione di Goether?' Faust è un du-

bitante e il dubbio ha annientato in lui la realtà: per que-

sto a nessuno egli parla del suo dubbio, né a Margherita

del suo amore. Faust è una figura troppo ideale per cam-

minare in ciabatte, come fanno i dubitanti seguaci del si-

stema (hegeliano)r8. Non è ideale chi non ha una passio-

ne infinita e chi ha una passione infinita ha da molto tem-

po salvato la sua anima da queste chiacchiere' Egli taceper sacrificare se stesso - oppure parla, consapevole che

scompiglierà tutto).Abramo resta così il paradigma del Singolo davanti a

Dio, cioè di ogni vero credèntei': da lui sappiamo che

ogni uomo deve rimanere fedele alla scelta del suo amo-re, e l'uomo che ama Dio non ha bisogno di lagrime nédi ammirazione. Il gesto di Abramo rivela I'essenza dellareligiosità eiipbna alla soglia della fede cristiana: la reli-gione (la fede) è il fondamento della morale, non la mo-rale il fondamento della l 'ede. La fede esige il <sallo" cheporta il credente nelle braccia di Dio, I'Oinipotente: cosìviene-troncata sul nascere ogni insidia del dubbio. tI verocredente dimentica la sofferenza nell'amore: è questo ilèómpito dellà fede di fronte a Dio, che vede nel segreto,conosce la sofferenza e conta le lacrime. Il vero credente,come Abramo, cammina aL buio: egli si abbandona a Dio,che vede e può t ur lo. La f igura di Abramo viene èsal tatanella parte introduttiva: (Preparazione, stato d'animo, pa-negirico di Abramo>>. La sua <<prova> è scandagliata inuna serie di problemi che confrontano lo stadio religiosocon lo stadio etico2o per chiarire il conflitto di Abramoe la grandezza spirituale del suo gesto: l. Si dà una so-spensione teleologico dell'eticu? - 2. Esiste un dovere ss-soluto verso Dio? - 3. Dal punto di vista etico si puòscusare il silenzio di Abrsmo con Sora, Eliezer e Isaccosul suo progetto? - Qui Kierkegaard espone con rara finezza un'analisi esistenziale del silenzio relisioso nelle variesfere della vita dello spirito".

Timore e Tiemore per il suo contenuto e per lo stile in mas-sima tensione, benché appartenga all'arco estetico deglipseudonimi, è r'!,libro religioso e adombra il rapporto per-sonale dell'uomo a Dio nella fede ed in questo anticipala dialert ica del Cr isr ianesimo: la i radiz ione cr ist iana, in-fatri, considera Isacco una figura di Crisro. lsacco perònon è il vero protagonisra, ma Abramo. il padre dei cre-denti: (A lui era riservata una più dura prova e il destinodi Isacco era il coltello in rnano ad Abramo>, che era so-

]0 N. Tbulstrup, Introduzione all'edizione critica, p. l? sgg.'' Perciò K. afferma: (lo sono e sono stato uno scrittore religioso)

(Il punto di \iista della mia attirítù di scritlorc, S.V. XIII, p. 559; tr.ì1. in Sc tti sulla comunicazione, Roma l9?9, t. I, p. l2'7).

t 'Nel Diat io Coelhe. a.sieme ad Hegel e Mlnsler l quesle cana-gl ie r. e presentalo comc uno dei mi\r i f icalori del l elà moclcrna {xl A

435, rr . i l .J , !o l . Xl . P.661li Sulla dialertica del dubbio moderno, come cominciamento del fi-

lo.ofar e. in polemica col Cogi!o eryo sum- Kierlegaard ìn queslo stessopiìoao,ra

""t i t .noo un taÀgio aulobiograticoreorelrco: Ioannes Cli

iacus o ile omnibus dubitu;dum est,lasciato incompiuto nelle carle(lV B 1). Secondo Kierkegaard, quindi: non (Cogilo, erSo sum>' rfla,,Sun ereo cocito" lNon " Èenso. dunque sono" ma Sono' dunque pen_

sou tcfr lPosri l /4, t i . cir ' 412 b). Anzi e cr edo piu preciqamenle: Cd8'Io

ens àuia sum in mundo, cioè apprchendo quod sum coram m.unclo qul

ett colle,lio en!um el apprchendo me ess? in quanlufi appreh?nao me

etse ens int?r enlial 4 mundum aorum m? esse. I lo penso ì enle percne

ióìo n.t .onao, "ioe

apprendo che sono di fronte al mondo, che è una

iàccolta di enti , e apprèndo che sono in quanlo apprendo di e'sere^!nenre fra sl i enl i e che i l mondo è di fronle a me. " l e quel cordn srgnl l lca

non )oìt;nto un rapporto rpaziale ma anTirut lo e\ i \ ten/iale co' l i lut ivo'Perclòi Apprcheì1(lo quod esÍ eús' quod sunt enlia ín munclo' erSo ap'

orehendo'simul quodèsf nundus el quod ipse sum ín corpore el in mun'2o: erNt inrellipo quod ipsum e$c est imulÍundamentum mundi et me

ioiius'nuntluÀ conriderantis inleltigo ipsum Lîse ls?u actum ettendi)'í i i r ìnr ip,r^ orniu. Pr1lxm. ["Apprendo che esi\re l enle che esi ' to-

no enti nel mondo; dunque apprendo insieme che esiste il mondo e cheio stesso sono nel co.po_e nel mondo; dunque conprendo che I'essere

stesso è insieme fondamento del mondo e di me slesso che consideroiirnànao;

"o.p..noo to stesso Essere come principio di tutti gli enti )l

19 C.E. Arbaugh _ Ceorge B. ArbaÙgh, Kierkegaard's AuthoÎ-

sirp, London 1968, P. 114.

t6l7

Page 9: Timore e tremore   Kierkegaard

lo davsnti a Dio con il comando divino di sacrificare Isac-

;;. ;Jii i igtio o"tlu promessa divina Abramo non du-

biiò: non si mise a sbirciare a destra e a sinistra per trova-

;.';;;ì;h. scappatoia. Egli sapeva che era Dio' I'onni-

ooi.nr., atta lo mertera alla prova: sapeva che si poteva

5i-.r. à" irr il sacrificio piu duro: ma sapeva anche che

i.rîn.u.rifi.io è troppo duro quando è Dio che lo ve-

à.r. f "oti

eutu.o è diuentato il <secondo Fadre del ge

nefe umano))' L'oggetto (argomento) è la lede' la leoe rl-

velara come rappono personale dell'uomo a l)lo": la qìa-

lettica della feàé è la piÌr fine e straordinaria di tutte' essa

;;i;;;;; I 'assurdó ed implica ia rrasformazione radi-

:il ;:ii; ;.';#;; t i ri i ii i, ù' i' o di roannes crimacuiil;;;;; ; fondo le tappe di questa trasformazione in-

àicunao ""ttu

fede della religiosità B' ossia nella nuova

;;;iúì.ii" rivelazione dell'uomo-Dio' la tappa conclu-

sJa'àella ulta aelo spirito di cui il dittico di Anti-Climacus

f i"iil"lii, morraie, L'esercizio del cristianesimo\ de-

ff;;i i;i l; orofondo per realizzare il <salto" decisi-

uo à"ftu f"a" aft" talva. In quest'orizzoîle Timore e Tre'

ioiii upp"n" il prologo che anticipa la luce fiammeg-

niurrt. A"i ...iggi'o della salvezza per ogni credente'

Sesuito ai due voìumi di Aut-Aut' che avevano scan-

aunii?i" if momenlo estetico ed etico terminando con un

acc-enno all'edificanre religioso' -Timo re e Tremore appro-

;;;i;:; r;;r" dell'edificante con I'analisi della tenta-

liónè 4i Atryqrg-che è il modello religioso in contrasto

2 Alfermare perciò ch e u...Kierkeeaard \ view of ùe ethical appea$

xontiii'ii, ú" rèrre *at i.t..k identiJi?d as ar:tri'r?Íi:"""fi'f.':';'íÍíik(La visione che K. ha dell'etica apparei,"il.àÀ" * ptin.ipio slrelramente univelsale "l

{G'E Arbaugh-G-B'

*jj'*j ̂ ".*,rl*i"i';,',i i:: ;ì:ìîi'" il'J"".:'iTi'f,$:#":i1ff':;!":f;:ff :"'è"',:;"':tr;::'::r:!:*ru6:::4;l';'íft'!:Y-;i"ì ì i i iànu

in el.unìo. nel suo rappoío con Dio " l Per questo l 'opera'

ú.. |r ' t pt."o.t i .r ' appaniene agl i scri l r i edif icanti '

l8

con I'eroe tragico: qui, spiega K., (... I 'etica è la tenta-4o!9,_!t lqppo4o d Dlo è scomparso; I'immairenza deìladisperazione elica è rottai I'assurdo costituisce Ianotificazionéi>>. E pertanto nella fede I'interiorità è almassimo: è il modello religioso, di cui Abramo è il proto-tipo, che lo mostra nell'abbandono incondizionato a Dio.

Diamo in appèndice la versione degli scintil lanti Dlap-salmaîd, come sfondo di contrasto estetico al drammaetico-religioso del <saltor> della fede con Abramo: sonoscintille di fuoco fatuo ma che rivelano anch'esse dall'al-tra parte, da quella dell'illusione estetica, il dramma del-la libertà personale in cui si specchia e si realizza il desti-no dell'uomo.

CORNELIO FABRO

23 Cîr, Sguordo di uno sforzo contemporaneo nella letteruturo do-fiese. Appendice alla Posîilla conclusíya non scientlica, P. , aap. Il(tr. it. cit., t. ll, p. 7t sqg; Operc, Firenze 1912, p. 401). - Nel Puntodí yista della mia atlività lellerariaK. prcclsa che in Tímorc e Tremore(...si trattava di una produzione estetica di una natura però del tuttoparticolare> (Scn?/i srl/a comunicazíone a cùra di C. Fabro, Roma, Logos1979, t . I . , p. 131).

Page 10: Timore e tremore   Kierkegaard

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TTMORE E TREMORE

Lirica dialetticadi

Johannes de Silentio

Ciò che Tarquinio il Superbointese col taglio dei papaveri

neÌ suo giardino, lo capì suo figlioma non il rnessaggeroi.

Hamann

- ' . ì - . i i ' '

I Da'. Hamann's Schtfter, ed. Fr. Roth, BerÌin 1821-43, Bd. IU, p.190. lI teslo è citato anche nei P.rpirel di quest'anno 1843: I A 122, p.48. Le opere di Hamann, nell'ediione compìeta del Roth, figùrano nellabibìioteca di Kierkegaard (Sóren Kierkegaards Bibliotek, En Blbliogta-fi ved Niels Thulstrup, Copenaghen 1957, n.ri 536-44, p.49).

Page 12: Timore e tremore   Kierkegaard

PREFAZIONE

Non solo nel_mondo $egli affar! lqq44qhelqquello delleidee, il nostro tempo sta attuando un'autentica liquida-

z'slTc4.!I9!tr9!9 " t;lr'1<sla!!.4_!19ri{4the tié!da chiedersi se alla fine ci sarà anc-ol3_-qUg]9!!ìg _diqpC!!g_a offrlre Ogni mercante della speculazione che l'impor-!e$_9_ggqqqqlq !lgj9l1q moderna_mette in ev!@gt' ogttt.h_qir.g.,qgc9!l9'3ssis!9U-!q, s!t494l9,ll9t_st ec!orl!g!]t4 qifg4lqlfl qqqbllery,,q! tu!1g:.m_a. Y? ,g_ltrer. Forse sarebbeawentato e ìnopportuno chiedere loro dove in fondo se

I È il primo spunto polemico contro H.L. Marlens€n e J.L. Heiberg- capiscuola della destra hegeliana teologico-filosofica danese - di unattacco che costituisce l'obiettivo domìnante di questa prefazione e ditutto questo scritto. Kierkegaard in questa critica aveva presentì soprat-tutto i saggi apparsi sulla rivista (Perseus. Journal for den specuÌaliveldeeD, diretta da Heiberg, e specialmente l'ampia recensione dell'Hei-berg stesso: Orel,I+. Dt. ll. H, Rolhes TrceniShedsag Forsoníngs[aer(nr. I, 1837, pp. I sgg.) e. Det logiske Ststem, FòNte Alhandling (îr.II, p. 3 sgg.). La recensione a Rothe in reaìtà è un compendio dell'hege-lismo in sei paragrafi: l. lntroduzione, 2. L'Infinito e il finito,3. Filosofia e sistema,4. Idealità eldea,5. Spirito e immortalita,6. Larivelazione. - Reagì subito per la posizione realistica tradizionale F.C.Sibbern, che fu maestro di Kierkegaard aÌl'università, nella rivista: (Maa-nedsskrift for Literatur) (XIX, 1838, pp. 283-360, 424-582; XX, 1839,pp. 20-6, 103-36, 193-308). In apertura della sua critica Sibbern dichia-ra che Heiberg è venuto meno al compito che si era prefisso (.tròl de-/rrit), dichiarando insi€me che non è dmasto prigioniero del sistema he-geliano e che (... quando vengono i giusti impulsi egli può comunquesia muoversi liberamente sia anche cominciare ad andare al di là di He'gel (at gaae ud over HegeÌ)t (corsivo di Sihbern, /oc. cit., pp,29l sgg.l.L'ampia disamina del vecchio úaestro influì notevolmente sul distaccocompleto dall'hegelismo dello stesso Kierkegaard, quale si annuncia conla produzipne pseudonima del 1843.

25

Page 13: Timore e tremore   Kierkegaard

ne stanro andando, ma è coÍesia e modestia il conside-rare comc una cosa troppo risoluta il fatto ch'essi abbia-no dubitato di tutto, poiché altrimenti sarebbe anche undiscorso strano quello ch'essi <<vanno oltre>. Tutti alloraIanno fatto quel movimento precedentd e probabilmentecon tanta facilità da non sentire la necessità di spendereuna parola sul <<come>>3: neppure colui che con angosciae preoccupazione cercasse una piccola spiegazione, tro-verebbe un simile cenno di guida, una piccola prescrizio-ne dietetica suÌla loro maniera di comportarsi con questocompito enorme. (Ma I'ha fatto Cartesio?> C€rtesio, que-sto pensatore venerabile umile onesto i cui scritti nessuno

14gge a legsere g9n1q lq nig profonda commozione, egliha fatto ciò che ha detto e ha detto ciò che ha fatto. Ahi-mè! Ahimèl Ahimè! ecco una grande rar i tà ai nósi i i tem-p!] qql!"!!o, com'egìi spesso anche ripete, non ha dubì-talg riqpello all4 f€de: Memores îamen, ul iom dicîum esî,huÌc lumini ncltursli tamdiu lonîum esse credendum,quamdiu nihil conîrarium a Deo ipso revelstur-., Proeler(aetera outem, memoride nostroe pro summa regula estinJigendum, ea quoe nobis a Deo revelata sunl, uigmnium. c?4!ssama- esse credendo ;!|qryqmvlf Íor!L!!4me4rotionis, quam maxime clarum eî evidens, qliud quid no-bis suggerere videreîur, soli îamen auctoritati divinae po-tius quam proprio nostro judicio lidem esse adhibenrlam(cîr. Principia philosophiae, pars prima. J 2S

-j

i6f.Egli non ha gridato: <<Fuoco>, né impose a ognuno il do-

2 Il movimento cioè del <dubbio unìve$aleD,3 Sul ucome, cioè essi I 'abbiano tatto.a l(Memori tutaavia, come già è stato detto, che a questo lume na-

rurale bi.ogn.r cr(dere f ino a quando nienl( di conrario \ ien'e r i \elaLoda Dio stesso. Oltre a tutto il reslo poi bisogna porre nella nostra mentecome somma legola che-Ie colqche ci sono rivelate da Dio debbono es-sere credute come le Diù certe di tritte: e forse anche se iÌ lume della ú-gione, quanio più si può chiaro ecl evldente, sembrasse suggerirci qual-che altra cosa, bisogna lultavia prestar fede aua sola autorità dirlrìa piuFtoslo che al nostro proprio giudizìo.)l

26

vere di dubitare, poiché Cartesio era un pensatore tran-quillo e solitario, non uno strillone di guardia notturna;ha confessato onestamente che il suo metodo aveva irn-poîlanza per lui soltanto e che aveva in pa e la sua ra-gione nelle traballanti sue conoscenze precedenti: i/e 4alsigitur putel, me hic tradiîurum sliqusm methodum, quamunusquisque sequi debeat ad recîe regendain roîionem; il-Iam enim tantum, quam ipsemeî secuîus sum, exponeredecièiL.. Sed simul ài itula sîudíorum curriculum absol-llTiè. juventutis), quÒ decurso mos esî in eruditorum nu-merum cooptari, plane aliud coepi cogilare. Tot enim medubiis îoîque erroribus implicatum esse onimadverîi, utomnes discendi conotus nihil aliud mihi profuisse iudica-rem, quam quod ignorsnîiam meam magis magisque de-texissem (cfr. Disserîctio de methodo, pp. 2 sgg.)5. -Ciò che quegli antichi greg!, ! q-uali però anche s'intende-vano un.po' di filosofia, assunlero come un compito pertutta la vita - poiché la pratica del dubitare non si acqui-stà in pochi giorniè poche settimane - ciò che il recchioex lottatore riusciva a ottenere dopo aver conservato I'e-quilibrio del dubbio attraverso tutte le seduzioni, dopoaver negato impavido la certezza della sensazione e la cer-tezza del pensiero, dopo aver sfidato senza riguardi I'an-goscia dell'amor proprio e le suggestioni della simpatia -ai nostri giorni invece questo è diventato il punto di par-fenza,*

Nel nostro tempo nessuno 9i felma plir alla fede, mapassa oiire. Chiedere dove arrivano éostoro, sarebbe for-

5 [<Nessuno deve pensare che io voglia insegnare il metodo che cia-scuno deve seguire per condurre r€ttamenle 1a propria ragione, io hod€ciso di espcìrre soltanlo quelio che io stesso ho seguìto... Quaodo ioebbi concluscì qùel corso di s1udi, al cui termine si era accolti nel nume-ro deì dotti, io cominciai a pensare in modo del tutto oppofo. Compre-si infatti di trovarmi avviluppato in tanti dubbi e tanti errod da arrivarea credere che lutto il mio impegno per istruirmi non mi avesse dato aftro vantaggio che quelÌo di falmi scoprire sempre piil profondamentela mia ignoranza.rl

2'.1

Page 14: Timore e tremore   Kierkegaard

se una stupidità, mentre è certamente un segno di corte-sia e di cultura ammettere che ognuno ha la fede, poichéaltrimenti sarebbe un discorso strano il dire: andare ol-rre. Nei tempi ant ichi la r i tuazione era dirersa: al lora l ifede era un compito per tutta la vita, poiché si era con-uilri ó6-ià[iarica del Crèdeiè non si acquistava in pochigio141e qlpoghq settimane. Quando il vecchio esperto siavvicinava alla sua fine, dopo aver combattuto la sua bat-raglia ( Tim.,4,7) e conservato la sua fede, il suo cuoreera ancora abbastanza giovane da non dimenticare I'an-goscia e il timore che l'avevano formato da giovane e do-minaro nel la v i r i l i là, ma di cui nesrun uomo r iesce conl'età a sbarazzarsi - a meno che non gli riesca quantoprima di andare oltre! Dal punto al quale quelle venera-bili figure riuscirono ad avvicinarsi, ai nostri tempi inve-ce ciascuno comincia per andare oltre.

Il sottoscritto non è affatto un filosofo; egli non ha com-preso il ' isrema, non sa se elso e!!s!e. sg è cgqrplq1g; !lsuo deboìe capo è già abbastanza preoccupato di quell'e-norme cervello che tocca avere ai nostri giorni quandoognuno ha in resra pensieri cosi enormi. Anche se si fossein grado di trasferiie in fórmi di concériod turto il con-renuto della fede. non seguìrebbe da ciò che si è compre-sa Ia lède, che sì è compreso come si è giunti a essa o co-m'essa entri in qualcuno. Il sottoscritto non è affatto unfìfosolo: egli è, poètice et eleganter, uno scrittore îuoriruolo che non scrive il sistema né fa promessd di dare unsi.tema, che non si dà al sistema né scrive per il sistema.Scrive, perché quesîo è un lusso che gli procura tanto piùpiacere ed evidenza quanto son pochi coloro che compe-

j Secondo la concezione hegeliana.' Allusione ancora a Martensen e anche, sembra, a Rasmus Nielsen

che nel 1838 aveva ottenuto una cattedra di filosofia all'Università diCopenaghen. Piir tardi R. Nielsen si avvicinera a Kierkegaard il qualepenserà a un cerlo punto di associarlo al suo pensiero: ma ne avrà un'a-mara delusione, corne attcsta il ,idrlo,

28

rano e leggono ciò ch'egli scrive. Egli è facile profeta delproprio destino in un tempo quando si è tirato un fregosulla passione per servire la scienza; in 'ln tempo quandouno scrittore che vuol procurarsi dei lettori deve adattarsia scrivere in modo da costituire una comoda lettura dapennichella pomeridiana, conformare il portamento ester-no a quello del cortese giardiniere3 che si vede nel gior-nale degli Awisi economici il quale, col cappello in manoe le buone raccomandazioni avute dall'ultimo posto doveha prestato servizio I'ultima volta, si raccomanda al rispettabile pubblico. Il sottoscritto prevede il proprio de-stino, Ji rimanere compleiamenle ignor4lol ha il presen-timento orrendo che la critica gelosa gli farà sentire spes-so la frusta; egli teme ancora qualcosa di piiì spaventosocioè che qualche scriba zelante o qualche divoratore di pa-ragrafi (il quale, per salvare la scienza, è sempre prontoa fare con gli scritti degli altri ciò che Trope <per salvarela scienza> faceva coraggiosamente con (la distruzione delgenere umano>) lo taglierà in JJ: lo farà con l'inflessibili-tà di quell'uomo che, per obbedire alla scienza della pun-teggiatura, divideva il suo discorso contando le parole, 50fino al punto fermo e 35 fino al punto e virgola. - Iom'inchino con la sottomissione piu profonda davanLi aògni cavillatore sistemàiico:.,quesió non è sistema, nonha assolutamente nulla a che fare col sistema), Ausuroogni bene al sistema e a tutti i danesi interessati a qùsroomnibusr0; poiché è poco probabile che diventi una ror-re. Auguro a I utti insieme e a ciarcuno in paiticolare ognifoÍuna e benedizione con osni risDetto

Johannes de Siientio

8 Era una figura che appariva spesso negli anni 1840-43 sul (Berling-ske Tidende) di CoDenaahen.

9 È il nome di un persoìaggio della commedia di Heiberg: necerrer,rcn.og- Dtret (, , I I recensore e ìa be\l ia-. 1826).

'" F indìcaro con quesl 'espre,\ ione ironica i l 5islema hegeliano in au-ee nella cultura danese,

Page 15: Timore e tremore   Kierkegaard

STATO D'ANIMO'

Ctra una volta un .upmq cbe 4I9y.4 seq!i!o, da qqrltbillqquella bella storia dt A\r3mo (G9n.,2?,, I sgg.): come Dioténtò Abramo e come Abramo resistetle nella tentazione,conservò la fede e riebbe per la seconda volta il figlio con-tro ogni aspettativa. Ormai avanti negli anni, egli Ieggevala stessa storia con una ammirazione ancora pir) grande,poiché la vita aveva separato ciò che la pia semplicità del-I'infanzia aveva unito. Piìr ava ava negli anni e piìr spessoegli volgeva il suo pensiero a quel racconto, il suo entu-siasmo cresceva sempre piÌ1, ma tanto rneno egli riuscivaa capire il racconto stesso. Alla fine diF94!9q 9glìl alqaspiegazione del fatto; la sua anima spasimava di un solodesiderio, quello di vederg At{4!qS' e 4q44.Sqle 4osl?!-gia, quéÍta di essere stato reslimonio di quell'evento. Lasua bramà non era quella di vedere le belle regioni d'O-riente né la magnificenza della Terra Promessa, né quei

due pii coniugi la cui vecchiaia fu benedetta da Dio, néla venerabile figura del decrepito Patriarca, né I'esuberantegiovinezza d'Isacco donatogli da Dio - per lui era indif-ferente che l'evento fosse accaduto in una landa deserta.La sua aspirazione era di accompagnarsi al viaggjo di tregìorni quando AbJaryq cqmqiqqvl preceduto dal doloree avendo al fìanco Isacco. Il suo desiderio era di esserestaiò preùnte nell'ora quando Abramo alzÒ gli occhi e

Le note contrassegnate con * sono dì Séren Kierkegaard.1 Stemning (ted: Stimmung). Nell'abbozzo c'è il termine greco:

neoolpís (prologo, preludio). Cfr. Pdpirer IV B 60 e 81, 1 (pp.229 e 236)

Page 16: Timore e tremore   Kierkegaard

vide in lontananza il monte Moria, l'ora in cui rimandòindietro gli asini e solo con Isacco salì sulla montagna:poiché ciò che l'interessava, non erano gli artificiosi tre-mori della filosofia ma il brivido del pensiero.

Quell'uomo non era un pensatore, non sentiva nessunimpulso di oltrepassare la fede; per lui la cosa piir splen-dida era di essere ricordato come quel Padre della fedee una sorte invidiabi le quel la di aver la anche se nersunolo sapesse.

Quell'uomo non era un esegeta erudito, non sapeva leg-gere I'elraico. Se l'avesse saputo, avrebbe forse compre-so facilmente e il racconto e Abramo.

(E Dio tentÒ Abramo e gli disse: Prendi Isacco, il tuo uni-co figlio che tu ami. e va nella lerra di Moria e sacrificaloivi in olocausto sul monte ch'io ti mostrerò) (Gen., 22,I sgg.).

Era di prima mattina, Abramo si alzò per tempo, fecesellare gli asini, lasciò la sua tenda e prese Isacco con sé;dalla finestra Sara li seguì con lo sguardo che s'inoltrava-no nella valle finché non li perdette di vista. Camminaro-no tre giorni senz'aprir bocca; la mattina del quarto gior-no Abramo non disse parola ma, alzando gli occhi, videin lontananza il monte Moria. RimandÒ indietro i servie solo, tenendó Isàccó per mano, salì il monte. Ma Abra-mo diceva a se stesso: <<Non posso nascondere a Isaccodove porta questo cammino>. Si fermò, pose la sua ma-no sul capo di Isacco in segno di benedizione e Isacco s'in-chinò per riceverla. Il volto di Abramo era soffuso di pa-tqgilè, il suo sguardo mite, il suo discoiso incoraggian-te. Ma lsacco non riusciva a capirlo, la sua anima nonpoteva elelarsil egli abbracciò leginocchia di Abramo, sigettÒ ai suoi piedi, suppìicò per la sua giovane vita, perle sue belle speranze; ricordò la gioia della casa di Abra-mo, ricordò la tristezza e la solitudine. Allora Abramo

r).alzò rl ngazzo e prendendolo per mano si rimise jn cam-mino, le sue parole riboccavano di consola4ione e di esor-tazione, Ma Isacco non poteva comprenderlo. Alramo salìil Moria, ma Isacco non lo comprese. Abramo voltò dalui per un momento lo sguardo, ma quando Isacco rivideil volto di Abramo, esso era mutato: il suo sguardo eraselvaggio, la sua figura un orrore. Prese Isacco per lo sto-maco, lo gettò a terra dicendogli: <Sciocchino, credi tuch'io sia tuo padre? lo sono un idolatra. Credi ru che que-!!9 ! a

'l! qld{_rg di Dio? No, è un mio capriccio>2. Isac-

co rrasal i e gr idava nel la sua angoscia: " Dio del c ie lo ab-bi p ierà di me, Dio di Abramo abbi p iet à di me; se io nonho un padre sulla terra, sii tu mio padre!>. Ma Abramodiceva parlottando con se siesso: "Signore del cielo, è me-glio ch'egli mi creda un mosrro piurtosro che perda la fe-de in te>>.

Quando il barnbino dev'essere svezzato, la madre si tingedi nero il seno, perché sarebbe riprovevole ch'esso appa-risse ancora delizioso quando il bambino non 1o deve ave-re. Così il bambino crede che il seno è mutato, ma la ma-dre è la medesima, il suo sguardo è amoroso e tenero co-me sempre. Beata.colei che non ha bisogno di mezzi piùterribili per svezzare il bambino!

I I

Era di prima mattina, Abramo si alzò per tempo, abbrac-ciò Sara, la moglie della sua vecchiaia; e Sara baciò Isac-co. che I'aveva preserva(a dal disonore, suo orgoglio e suasperanza per tutte le generazioni. Così essi camminavano

2 Nulla di questo nel racconto biblico. Qui è I'evidente trasfigurazio-ne della sua rottura di fidanzamento con R€gìna davanti aÌla quale egli- per facilitarle il distacco - volle presentarsi come una (canaglia)(cîr. Diario, tr. it.: (Curriculum), t. XII, p. 144).

Page 17: Timore e tremore   Kierkegaard

silenziosi lungo la via e lo sguardo di Abramo stava fisso

in terra fino al quarto giorno quando, alzando gli occhi'

vide in lontananza la vetta del monte Moria, ma il suo

sguardo tornò ad abbandonarsi verso la terra' In silenziqp-reparò I'olocausro' legò lsacco, in silenzio estrasse il col-

iellà: allora scorse il capro che Dio gli aveva indicato' L-o

sacrificò e tornò a casa. - Da queì giorno Abramo dr-

venne vecchio, non poté dimenticare quel che Dio gli ave-

va riihiéÀto. tsacco continuava a crescere come prima: ma

t ocCtrió ai Abramó si eia appànnato' egli non riuscì ad

avere più la gioia.

Quando il bambino è grandicello e dev'essere sYezzalo 'ilora la madre nasconde per pudore il seno: così il bam-

bino non ha pir) la madre. Bealo il bambino che non ha

perduto la sua madre in altro modo.

III

Era di prima mallina' Abramo si alzò per tempo, baciò

Sara, la giovane madre, e Sara baciò Isacco, gioia sua,

sua feliciià per sempre. E Abramo cavalcava pensoso lun-

go la via, pensava ad Àgar e al figlio ch'egli aveva caccia-

io nel deserto (Gen., 16 e 18, 9-15). Eqi-il monte Morll

ed estrasse il coltello.Era una sera tranquilla. Abramo cavalcava solo ed ec-

co che arrivò al moniè Moria; si buttò con la faccia a ter-

r".lt*t, pi" Oi perdonargli i l suo peccato. quello di aver

uótr-uo úcrlricaió lsaCco, di avei dimenticato ii suo dove-

Ééi-pJ;-y;'*-iirisli;.Esiiitttlcavimóltospessolasua vià sótitaria, ma senza trovar pace. Egli n-91 riusciva

a capire che fosse peccato l'aver voluto sacrificare a Dio

lu-.qq4 1nigf ior. ch'egli aueva, ciò per cui avrebbe dalo

l4 propria vita !nSI19.I9l19i e !9 qlgsto eJa q4 Peglalol!3g!! ngll aveua a44to Isacco a questo modg' nonpoleaa.

?lL

qllqr3 qomplgldgle ch'esso.gli potesse essere perdonato.Quale peccato infatti mai era piÌr orribile?

Quando si deve svezzare il bambino, anche la madre sof-fre che lei e il bambino sono sempre piir separati; che ilbambino che prima stava sul suo cuore e poi riposava sulsuo petto non le starà piìr così vicino. Soffrono così insie-me quel breve dolore. Beata lei, che ha tenuto tanto vici-no il bimbo da non addolorarsi piìr!

IV

Era di prima mattina, nelìa casa di Abramo tutto era pron-to per il viaggio. Egli si congedò da Sara ed Eliezer, il ser-vo fedele, lo seguì per un tratto e poi se ne tornò a casa.Abramo e Isacco camminarono insieme fino a che arriva-rono al monte Moria. Abramo preparò tutto per il sacri-ficio, calmo e tranquillo; ma quando si volse ed estrasseil coltello, lsacco vide che la sinisLia di Abramo si contor-éeva per disperazione e un brivido percorse if suo corpo- ma Abramo estrasse il coltelÌo.

Allora fecero ritorno a casa e Sara corse loro incontro.ma lsacco aveva perduto la fede. Di tutto questo nel mon-do non si è rnai fatto parola: Isacco non parlò mai connessuno di quel chg afgva vedulo e Alramo non sospettòc!9 o!t4c!t49 _ll ay9qry. yplo.

Quando il banbino si deve svezzare, la madre gli porgeun cibo piÌr forte perché il bambino non muoia. Beato co-lui che ha a portata di mano un cibo più forte.

Queste e molte altre simili riflessioni su quell'evento ri-muginava I'uomo di cui parliamo. Ogni volta ch'egli, do-po un viaggio sul monte Moria, tornava à òaia, allóra srre-

Page 18: Timore e tremore   Kierkegaard

l1lelo 4e!tq llqlhezza 9 gl}lceldo!e mani diceva: (Nes-suno è stato grande come Abramo, e chi è in grado di corn-prenderlo?>.

PANEGIRICO DI ABRAMO

Se non ci fosse nell'uomo una coscienza eterna, se al foll-do di tutto non ci fosse che una forza selvaggia ribollentela quale. torcèndosi in oscure pasiióni. tutto produce, siaciò ch'è grande come ciò óh'è ìnsigni f icanrei se sorro ognicosa si nascondesse un vuoro senzifòndo. mai colmo. chealtro sarebbe la r ila se ron disperazione? Se questa fossela situazione, se non ci fosse nessun sacro vincolo che unis-se l'umanità, se le generazioni si susseguissero I'una dopoI'allra come le foglie dei boschir. se una generazione suc-cedesse all'altra come nel bosco il canto degli uccelli; sel'umanità attraversasse il mondo come la nave attraversail mare. come il vento il deserto. come un'azione vuotae sterile: se un oblio eterno, sempre famelico, spiasse lasua preda e non ci fosse forza alcuna per strapparnelo -come la vita non sarebbe allora vuota e sconsolata! Maperciò non è così. Quel Dio che ha creato l'uomo e la don-na(Gen., 1, 26), così ha formato I'eroe e il poeta o I'ora-tore. quesio nón prò. fqlg g99f qhg fa quello; egli può sol-tanto ammirare, amare, rallegrarsi con I'eroe. Tuttavia an-ch'egli è felice, non meno di quello. lnfatti l'eroe è la suamigliore essenza, ciò di cui è innamorato, felice di nonesserlo lui stesso. Così che il suo amore nuò manifestarsicon l'ammirazione. Egli è il genio del ricórdo che non puòfar nulla senza rìcordare quel ch'è stato falto, nulla faresenz'ammirare ciò ch'e stato fatto; nulla prenAe Aèt suó,ma è geloso di ciò che gli è stato affidato. Egli segue lascelta del suo cuore, ma quando ha trovato ciò che cerca,

t cft. Itiade, yI, 146-9.

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allora va di porta in porta coi suoi canti e i suoi discorsiproclamando che tutti devono ammirare l'eroe come lui,essere fieri dell'eroe come lo è lui. Questo è il suo mestie-re, I'umile sua azione, questo è il suo fedele servizio nellacasa dell'eroe. Se il suo amore rimane fedele a questo mo-do, se giorno e norre egl i lot ta contro I 'asruzia del l 'obl ioche vuot rapiigli i l suo eroe. allora egli ha compiuro la9!a gpgra, allora è unito con l'eroe che l'ha amato conaltrertanra îedelrà: poiche ii poeta è come I'essenza mi-gliore dell'eroe, certamente privo di forza come lo è unricordo, ma anche illuminato com'è un ricordo. Perciòngqsq]|lo ch'è stato grande può essere dimenticato. E se pas-sa un tempo piil lungo, se la nube dell'incomprensione of-fusca l'eroe, viene però anche qualcuno che I'ama e pirìè stato lungo il tempo ch'è passato nell'oblio più gli ri-marrà fedele.

Nol Nessuno, che sia stato grande nel mondo, sarà di-menticato; ma ognuno è stato grande a suo modo, ed egllanzd ciascuno secondo la sua grandezza. Poiché colui cheha amalo se stesso. è di\entato grànde con se slesso. L.colui che ha amato gli altri uomini è direnrato grande conla sua dedizione. Ma colui che ha amato Dio, è diventato Ìpiù grande di tutti. Ognuno dev'essere ricordato, ma cia-scuno è diventato grande jn rapporto alla sua altesa. Unoè divenrato grande coll'arrendere il possibile; un alrro òóÍ-l 'a l [endere l 'eterno: ma colui che arrese I ' impossibi le, d i -vgnne piÌr grande di tutti. Ognuno dev'essere ricordato.Ma ognuno è slalo grande in rappono alla grandeiia óon-tîo cui combdtîe. Poiché colui che combatté contro il mon- Ido, divenne grande vincendo il mondo, e colui che com-batté contro se stesso divenne piir grande vincendo se stes-so, ma colui che combatté con Dio divenne pirìr grande dituttia. Così si è combattuto sulla terra: c'era chi ha vin-to tutti con la sua forza e c'era chi ha vinto Dio con la

a Come appunto Abramo: anche Giacobbe secondo Gen.. 32,24-32.

Page 19: Timore e tremore   Kierkegaard

sua impotenza. C'era chi faceva affidamento su se stessoe ottenne tutto e c'era chi, sicuro della sua forza, ha sa-cdficato tutto: ma chi ha ffeduto in Dio è stato il più gran-de di tutti" C'è stato chi era grande con la sua forza e chiera grande con la sua sapienza, e chi era grande con lasua speranza, e chi era grande col suo amore, ma Abra-mo era jl piu grande di tutti. grande con la sua forza, lacuì potenza è impotenza (I Cor., 3, l9), grande per la suasaggezza il cui segreto è stolrezza, grande pei la iua spe-ranza la cui forma è pazzia. grande per il suo amore ch'èodio di se stesso.

Grazlq qtla f9de, Al1q4qo qbbqdoqò la terra dei suoipadri e divenne straniero nella Terra Promessa (Hebr., 11,s sgC.l. làróio inaietro una cosa e prele golr !9 !!na cg:qllasciò la sua intelligenza terrena e prese con sé la fede: al-trimenti non sarebbe ceaaamente mai partito, se avesse pen-sato che questo era una cosa cosi assurda. Grazie alla fe-de, egli era uno straniero nella Terra Promessa: non c'eranulla che gli ricordasse ciò che aveva caro, ma tutto conla sua novità non faceva che tentare la sua anima di unanostalgia malinconica. Eppure, egli era I'eletto di Dio incui Dio aveva posto la sua compiacenza! Certo, se fossestato uno spostato, respinto dalla grazia divina, alloraavrebbe capito meglio la situazione che ora era come unoscherno su di lui e sulla sua fede. C'è stato al mondo an-che chi è vissuto esiliato dalla terra dei pa-dri ch'egli ama-va. Egli non è dimenticato, neppure il suo lamento quan-do con malinconia ha cercato e trovato ciò che aveva per-duto. Di Abramo non esiste nessuna lamenlazione. È urna-no lamentarsi, è umano piangere con chi piangè; ma è piirgrande il credere, pirì beato il conteqlplare il credente.

Grazie alla fede, Alrqmo ottenne la promessa che nelsuo seme tutte le generaziòni dèE ièrra sarebbero bene-qelte (Ge!.,22, 18). Il tempo passava, c'era la possibili-tà, Abramo credette. Ci fu nel mondo chi anche avevaun'attesa. Il tempo passava, la sera incombeva, egli non

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fu così miserabile da dimenticare la sua promessa, perciònon dev'essere neppure dimenticato. Allora egli siìddo_lorò, ma il dolore non lo deluse come aveva fatto la vita:ma fece per lui rurto ciò che poté, nella d.olcezza del dolo_re eg ottenne ta sua a esa ingannata. E umano addolo_rarsi, è umano soffrire còì Ctri soffre, ma è piir grandeil credere, una maggior bearitudine è osservarà lr

"ieoin_te. Di Abramo non abbiarno nessuna lamentazione. Eslinon ha numerato con rristezza i giorni menrre il temJopassava, non ha guardato Sara con sguardo sospetîoso pervedere se invecchiava, non ha fermato il cammino delio_le (Ios., 10, l2-13) perché Sara non invecchiasse e con es_sa non invecchiasse anche la sua attesa, non ha cantatoa Sara per ca.lmarsi la sua nenia malinconica. Abramo di_ventò vecchio e Sara la burla del pq9se, eppure egli eralétetio ai Oio è l'eieiie della promessa, nel suo seme sa_rebbero state benedette tutte le naziorù aelàErra. eltórànon sarebbe stato meglió ch'egli non fosse l.eletto di Dio?Che significa essere l,eletto di Dio? Significa vedersi ne_gato in gioventù il desiderio della giovinezza per trovarsiesaudiri con grande farica nella veccNaia? Ma Abramocredette e mantenne la promessa, Se Abramo avesse oscil_lato, l'avrebbe allora lasciata. Egli avrebbe detto a Dio:<Forse non è la tua volontà che questo awenga, così ri-nuncio al rnio desiderio; era questo I'unico chà faceva lamia beatitudine. La mia anìma è semplice e non nascon_de nessun segreto rancore perché tu me I'hai rifiutato>.Egli non sarebbe stato dimenticato, avrebbe salvato mol-ti col suo esempio, ma non sarebbe diventato il padre dellafede (Rom.,4, t 6); poiché è una cosa grande il rinunciareal proprio desiderio ma e più grande il mantenerlo doDoaverlo abbandonato: è una cosa grande afferrare i.eterni_tà, ma è piÌr gr,ande mantenere la realtT ìernporale dopo3verla abbandonàià. -- attoia venne ta pienéziadei tèm_pi (Gal., 4, 4). Se Abramo non avesse creduto, Sara sa-rebbe certamente moria di dol,orii e Abra-o, inèîetiió dal

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dolore, non avrebbe complgqo-.! p1g'm9sga.pq1g,q119!;bè soiriso èóirié-illùn sógnó di Àiòventù. Ma Abramo cre-dette, perciò egli è giovànè; poiché colui che spera sem-pre la cosa migliore, costui invecchia perché deluso dallavita; chi si tiene sempre pronto al peggio, costui invecchiaprecocemente; m-a colui che-cr-ede, conserv_q ìl!:glg!!ggio-vinezza, Sia perciò lodata questa storia. Infatti Sara, mal-grado la sua eta, era giovane abbastanza per desideraredi diventar madre; e Abramo, malgrado la canizie, era an-cor giovane abbastanza per desiderare di diventar padre.A un osservatore esteriore il miracolo consiste nel fattoche la cosa awenga secondo la propria attesa; in un sen-so piìr profondo, il miracolo della fede è che Abramo eSara fossero così giovani da poter desiderare, che la fedeavesse conservato il loro desiderio e con esso la loro gio-vinezza. F'gli ricevette il compimento della promessa, laricevette il credente, e questo awenne secondo la promessae secondo la fede; poiché (anche) Mosè colpì la roccia conil suo bastone, ma egli non credeva (Exod,, 16, I sgg.).

Ci fu gioia nella casa di Abramo, il giorno che Sara ce-lebrò le sue nozze d'oro.

Eppure la situazione non doveva restare così; Abramodoveva essere tentato ancora una volta. Egli aveva lotta-to contro quella potenza astuta che tutto scova, con quelnemico tutt'orecchi che mai sonnecchia, contro quel vec-chio che soprawive a tutto - aveva lottato col tempo econservato la fede. Ora tutto I'orrore della lotta si era con-centrato in un momento: (E Dio tentò Abramo dicendo-gli: Prendi Isacco, il tuo unico figlio che tu ami, va nellaterra di Moria e offrilo ivi in olocausto sul monte ch'ioti mostrerò).

Ecco che così tutto è perduto, in un modo piir orribileche se Abramo non avesse avuto il figlio5! Così il Signo-

5Il testo ha: <..: che se ciò non fosse accaduto>t. È evidente l'allu_sione aIIa nascita miracolosa di Isacco.

,{0

re non faceva che prendersi gioco di Abramo! Con un mi-racolo aveva realizzato I'assurdo; e ora voleva vederlo an-nientato. Era una pazzia. Ma Abramo non rise come feceSara quando le fu annunziata la promessa (Gen., 17, l7).Tutto Cl4 pplq!!q[9{q4len"i_ 4r f"dele auesa, la brevegioia del compimenro oèttaiiómesia. Òtri è colui chestrappa il basîone dalle mani del veói-fiìò? chi è colui ch'e-sige che sia il vecchio stesso a spezzarlo? chi è colui chefa incanutire i capelli di un uomo scoísolato? chi è coluiche esige che sia l'uomo stesso a farlo? Non c'è compas-sione alcuna verso un vecchio venerando, per un bambi-no innocente? Eppure Abramo era I'eletto di Dio ed erail Signore che disponeua ia prova. Tut.to ora itaua peres-ièie peiiiuro: Ii rièb;do ùaenifico della posrerità, Ia pro-messa nel seme di Abramo, tutto questo non eta stato cheun capriccio, un pensiero fuggevole che Iddio aveva avu-to e che ora Abramo doveva cancellare. Quello splendidotesoro, ch'era antico come la fede nel cuore di Abramo.molti anni piìr vecchio di Isacco il frutto della vita di Abra-mo, santificato dalle preghiere e maturato nella lotta -la benedizione sulle labbra di Abramo, questo frutto do-veva ora essere strappato prima del tempo e diventare in-significante: poiché quale significato avrebbe se Isacco de-v'essere sacrificato! Quell'ora malinconica, epperò bea-ta, quando Abramo avrebbe dovuto congedarsi da tuttociò che aveva caro, quando ancora una volta avrebbe do-vuto sollevare il suo capo venerando, quando ancora unavolta il suo volto avrebbe sfolgorato come il volto del Si-gnore, quando egli avrebbe concentrato tutta la sua ani-ma in una benedizione che sarebbe stata capace di colma-re Isacco di benedizioni per tutta la vita - quest'ora nonsarebbe venuta! Poiché Abramo awebbe dovuto certamen-te congedarsi da Isacco, ma in modo ch'egli doveva so-prawivere; la mone Ii avrebbe separati, ma così che Isac-co sarebbe diventato il sostituto. Il vecchio non giacereb-be lieto sul letto di morte alzando su lsacco la sua mano

4l

Page 21: Timore e tremore   Kierkegaard

-f

benedicente, ma stanco della vita avrebbe assestato a Isac-co un ceffone. Ma era Dio che g[ mandava la prova! Guai,guai aI messaggero che si fosse recato da Abramo con unasimile notizia! Chi avrebbe osato portare questo messag-gio di dolore? Ma era Dio che gli mandava la prova!

Abramo tuttavia credette e credette per questa vita. Cer-to, ie iisua fede fósiè stata soltanto per una realta futu-ra, allora sarebbe stato facile per lui sbarazzarsi di tuttoper affrettarsi a uscire da questo mondo al quale non ap-parteneva. Ma tale non era la fede di Abramo, se mai esi-ste una fede simile; poiché in fondo ciò non è fede, mala possibilità più remota della fede che presentisce il suooggetto agli estremi confini dell'orizzonte, separata perÒda una profondità abissale dentro la quale la disperazio-ne fa il suo gioco. Ma Abramo credette proprio per que-sta vita, che sarebbe invecchiato in quella terra, onoratodal popolo, benedetto nella sua posterità, indimenticabi-le in Isacco, la cosa piÌt cara della sua vita, ch'egli abbrac-ciava con un amore di cui non era che una povera espres-sione il fatto ch'egli compisse il dovere paterno di amareil figlio, ch'è ciò Clre lsr,ronq rylf laqostrofe: (il figlio chef) ami>> (Gen.,22,2). Giacobbe ebbe 12 figli 9 uno ne arnò(Gen., 37, 3), Abramo ne ebbe uno solo e l'amò.

Ma Abramo credette e non dubitò, egli credette l'as-surdo. Se Abramo avesse dubitato - allora avrebbe fat-t-o qualèoia d'al_t_ro, qlal_c.gq {i qrqndg e di sp-Ìendido. In-fatti come avrebbe potuto Abramo fare qualcosa che nonfosse grande e splendido! Egli si era recato sul monte Mo-ria, aveva tagliato la legna, acceso la catasta, estratto ilcoltello - aveva gridato a Dio: <Non disdegnare questosauificio, non è ciò che ho di meglio, lo so di certo. Poi-ché cos'è un povero vecchio rispetto al figlio della pro-messa? è però la cosa migliore che possa darti' Fa che Isac-co non venga a saperlo, che egli si possa consolare conla sua giovinezza>>. E si sarebbe piantato il coltello nel pet-to. Sarebbe stato ammiralo nel mondo e il suo nome non

sarebbe stato dimenticato; ma una cosa è essere ammiratie un'altra essere una stella che guida, che salva chi è an-gosclato.

Ma Abramo credette. Egli non pregò per sé così da com-muovere il Signore; questo lo fece soltanto per stornarela giusta punizione su Sodoma e Gomorra, solo alloraAbramo si presentò a Dio con le sue preghiere (Gez., 18,23 sgg.).

Noi leggiam_o nella Sacra S,ffittura: (E Dio tentò Abra-mo, dicendo: Abramo, dove sei? A6ramo rispose: Ecco-mi qui>. Tu, a cui s i r ivolge quesró mio discorso, r i com-porti allo stesso modo? Quando hai veduto avvicinarsi dalungi i duri colpi del desrino, hai forse àerro ailé

-onra-gne: copr i remi. e al le col l ine: cadcte su di me? (Lc. , 23,30). O se îu fossi piir forre, il ruo piede non avanzerebbelentamente per la via, non desideresti far ritorno alle an-tiche orme? Quando ti fu rivolta la chiamata, hai o nonhai risposto, oppure ti sei messo a brontolare? Non cosìAbramo che contento, franco, fiducioso rispose: Eccomi!Noi leggiamo ancora: <E Abramo si levò di buon matt!no)>. Egli si affretrò come se si trartasse di iecarsi a unafesta, e di buon mattino era al posto stabilito, sul monteMoria. Non disse nulla a Sara, nulla a Eliezer: chi avreb-be potuto comprenderlo? Non gli aveva la tentazione, conla sua propria natura, imposto il silenzio? (Abramo ta-gliÒ la legna, legò Isacco, accese la catasta, estrasse il co!tello>. - Mio uditore! Ci furono molti uadri che credet-tero di perdere nel loro figlio la cosa piu cara al mondo,di perdere così ogni speranza per l 'avvenire, ma non cifu nessuno che fosse il figlio della promessa nel senso cheIsacco lo era per Abramo. Molti padri perdettero il lorobambino; ma fu Iddio, l ' immutabile e insondabile volon-tà dell'Onnipotente, fu la sua mano a toglierlol Non cosìcon Abramo. A lui era riservata una piu dura pìora e ildestino ciliacco era il coltello in mano ad Abramo. Edègii rimase lì, i l vegliardo con Ia sua unica speranzal

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Page 22: Timore e tremore   Kierkegaard

Ma non dubitò, non si mise a sbirciare a destra e a sini-

stra con angoscia, non importunò il cielo con le sue pre-

ghie.e. sapÈva ch'era Dio, l'Onnipotente, che lo metteva

Iiiu ptotu, sapeva che si poteva esigere da lui il sacrificio

oiJ àuto, ma sapeua anche che nessun sacrificio è troppo

à*o o,luttoo e r]lo che lo vuole- e cavò fuod il coltello'-

óià"u. forza al braccio di Abramo, chi tenne solle-

vata la sua destra perché non cadesse impotente? A con-

templare una rcenà simile, si resta paralizzati' Chi foÍifi-

"J iiutti*u di Abramo, perché i suoi occhi non si abbas-

,uraaro a non vedessero Isacco e l'ariete? Al vedere una

.o.u ri-if", si diventa ciechi. - Eppure è raro che qual-

cuno fott" Oluenti paralitico o cieco, ancor piir raro è che

quat"uno racconti degnamente quanto è accaduto (ad

eUtu-o;. Tutti lo sappiamo - si tratta soltanto di una

Drova.- Se Abramo, quando fu sul monte Moria' avesse dubi-

tuio, .. i"O.aito uuesse guardato attorno' se nell'alzare il

coltÉ[o avesse per caso scorto I'ariete, se Dio gli avesse

o.i."tto di sairificarlo al posto di Isacco - allora egli

;;;;il; ì"it" ritorno a casi. Tutto era (lo stesso) di pri-

ma, egli aveva Sara, conservava Isacco, epperÓ quanl-era-.-uiUí"tol

Perché ii suo ritorno era una fuga' la sua sal-

vezza il casó, la sua mercede la vergogna' il suo futuro

forre tu p"tOírion". Allora egli non avrebbe testimoniato

rJp"t fi sua fede né per la graz\a di Dio ma soltanto di

ouàn,'"ru orribile salire sul monte Moria Allora Abra-

lo non sarebbe stato dimenticato, né il monte Moria'

óu.rio rur.uu. r,uto nominalo non come I'Araral su cui

i ; ; ; ; i ;At ." loen.,8.4) ma come un orrore' poiché è

stito qui che Abramo dubitò'

Venerabile Padre Abramo! Quando tu scendesti dal monte

Moria, non avevi bisogno di nessun panegirico che potes-

se coniolarti per la perdita; infatti tu avevi ottenuto tutto

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e conservato Isacco - non era così? Il Signore non te lo

ioir" piu e tu fosti felice con lui nella tua tenda' come lo

,"i trótt'utttu vita per tutta I'eternità Venerabile Padre

Abramo! Son passati millenni da quel giorno' ma tu non

hai bisogno di nessun tardo amantfche strappi il tuo rl-

cordo al'ia violenza dell'oblio, poiché ogni lingua ti ricor-

du - . t,.t p.rò ,i.umbi il tuo ammiratore nella forma piir

solendida: tu lo fai beato nell'aldilà riposante sul tuo se-

.';, t qti ne imprigioni la vista e il cuore con la meravi-

sI; deila tua azione' Venerabile Padre Abramol Secon-

ào Padre dell'umano geneie! Tu che per primo compren-

àesii e testimoniasti pàr quell'enorme passione che disde-

ena la lotta spaventosa con la furia degli elementi e le forze

àella creazione per lottare con Dio' Tu che per primo co-

noscesl.i quella sublime passione, la sacra pura e umlle

.rpr.rtion" per la follia divina'. che fosti ammirato dai-paìani

- pórdona colui che ha voluto parlare in tua lo-

àeianche se non l'ha fatto come si conveniva' Ha parlato

umilmente, secondo il desiderio del suo cuore; ha parlato

brevemente com'era conveniente' Ma egli non dimentiche-

rà mai che per te dovettero passare cent'anni prima di ot-

tenere un figlio di vecchiaia contro ogni aspettativa' che

tu dovesti estrarre il coltello prima che tu conseNassl lsac-

co: non dimenticherà mai che in 130 anni di vita non ser

andato al di là della fede8.

6 Allusione alìa poesia Den Samle Etsket (<<ll \ecchio amanle)) del-

I'amico e maestro Poul Mólìer ch'è citalo anche neìÌa contemporanea

lioìi* ts.v.,Ilt, 198, cfr. il ricordo frel Diafio l84l-42, ÍLl A95:'tr'

i t .3. nr .714, t . l l l , P.26)." i È it *.- turore (povía) di cui parla Plîlone nel Fedro (244 D e

zss l .èit .- i ior io l84r-44, lv A 109; tr ' i t 3 897, nr ' 717' t l ' p- 383)---s

ancàr" atturion" polemica at la l i lo\of ia moderna e in part icolare

"il'ú;ì;;. ifiì,;i; [on'iaira ta fitosoÎia

''rperiore alla religione e aJ

r" f .ài. f 'aiut ión. c'è già al l ' ini lo del la prefazione

t

Page 23: Timore e tremore   Kierkegaard

rylLBLqMATAESPETTORAZIONE PRELIMINARE

U_n vecchio proverbio, ispirato dal mondo esterno g visi-!!!9-diq9: <1!qlo qhi lav,ora, trorr'a 44 m4lgiare> (II Thess.,3, 10). 1q449 a,lb4stanza, perché il proverbio non s'adat!4q! rnqqdg- clrg è plq 4i qtqa propria; poiché il mondo ester-

19,è_sqcgetto alla legge dell' imperfezion-Qui si vede dicontinuo che anche chi non lavora, trova da mangiare echi dorme ne trova ancor pir) lautamente di chi lavora.Nel mondo esterng t!!to qip4g4 4 portatore; esso è schia-vo della legge dell'indifferenza e colui che ha I'anello, alui obbedisce lo spirito dell'anello, sia egli un Nourredino un Aladino, E colui che ha il tesoro del mondo. il teso-

!L e s99r q!4unque sia il modo col quale -lla ottenuto.Nel mondo dello spirito la-situazione,ediyqrtl. Qq rggnaqn q1Q!49. divino, qLli llorì ligye egualmente sul giusto esqll lnlqqo, il lgle LólflgiÉgierf almente sui buoni e suicaitivi tlzr., 5, 4si: quiiolo cú t,avor+iióva da mangia-rq solg 9hi è s1q1o !q_q"gqs_c'a, lfqfq-p3!9; rol- 9!! s!qq:de nell'oltretomba, salva I'amatae; solo chi estrae il co|-Gùó, oltienJ Iidcóó. Cólui óhé nón vuol lavorare, non tro-va da mangiare ma è ingannato, come gli dei ingannaro-no Orfeo con una figura evanescente invece dell'amata -I'ingannarono perché era un rammollito e non un corag-gioso, perché era un citarista e non un uomo. Qui nonserve avere Abramo per padre (Mt., 3, 9) o 17 antenati:a colui che non vuol lavorare si applicano le parole della

e Il mito di Orfeo che discende nell'Ade per riprendere Euddice (cfi.Platorl.e, Symposion 179 D).

Page 24: Timore e tremore   Kierkegaard

Scrittura sulle vergini di Israele ('Is', 26, l8), ch'egli gene-

iu u""tot rnu "ot"iche

lavora, egli mette al mondo il pro-

orio padre.'' è'iun tup"t" atte vuole introdurre spudoratamente nel

mondo delò spiriio la slessa legge dell'indifferenza sotto

iu ouui. to,piiu il mondo esterno Esso pensa che basta

conoscere ciò ch'è grande, non c'è bisogno dt altro lavo-

ro. Perciò non trova da mangiare ma vien meno per la-

rie, nentre tutto si trasforma in oroto' E allora cosa sa?

in èiecla rnigtiala di contemporanei e innumerevoli mol-

ilt"airi Ol pòsteri conobbero i trionfi di Milziade"' ma

iiiu uno tóro "n"

aivenne insonne per questo' ci furono

e"na;ioni lnn"aerevoli che conobbero a memoria' pa-

ioiu p"i p-ofu, fu ttoria di Abramo: ma a quanti essa tolse

mai il sonno?---la storia di Abramo ha una proprietà singolare' quella

di essere sempre magnifica per poco che la si capisca' pur-

.tre ti uogtiu iauoturè e affaticarsi' Ma non si vuol lavora-

ì.1.'t"ri .ì *.r comprendere quella storia' Si esalta la

;ì;;r'J; Ab;;"' rna come? Si dà a tutta la faccenda un'e-

íoi.ti io"" a.r îulto generica: <'La cosa grande fu ch'egli

.jmÀ Dio in modo dJvoler sacrificargli la cosa migliore>'

È u"Àti-o; -u

nfa cosa migliore> è un'espressione inde-

É.-iouta. é'identificano del tutto alla svelta, sia nel pen-

;i;;;;;-" nel discorso, Isacco e la cosa migliore: il me-

a-i'tÀt" poJ u otu a suo agio fumare la pipa durante la

rn"aiìurione "

t'uaitore può ben stendere le gambe como-

damente. Se quel giovane ricco che Cristo incontrÒ per

via (Mr., 1g,26 sgg.) avesse venduto tutti i suoi beni e li

u".ri.J*l ai povei, noi lo loderemmo come lutto ciò ch'è

lranoe, anctrà se non lo comprendiamo senza il lavoro:

iiu "gli

non etu p"rò diventato un Abramo' benché aves-

r.ìuEiifi"uto la cosa migliore' Ciò che si trasc{ra nella

,,-iu Ai ,q,U.u-o è I'angoscia; poiché verso il denaro io

;il;;ffi;;bbjieaàùne eticà, ma verso il fielio il pa-

ro Allùsione al mito del re Mida (ovidio, Metamorph'xl'85 sgE')'tt-CiàJii giovane Mitziade (cfr' Plutarco tll' 3)'

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dre ha il dovere piri alto e pitr sacro. L'angoscia è una fac-cenda pericolosa per gli smidollati, perciò la si dimenticae ciononostante si vuol parlare di Abramo. Allora se neparla e nell'incalzare del discorso si scambiano le dueespressioni: Isacco e la cosa migliore, (e così) tutto proèe-de a meraviglia. Tuttavia se putacaso ci fosse fra gli udi-tori qualcuno che soffrisse d'insonnia, allora c'è pericolodel più spaventoso, del piii profondo, tragico e comicomalinteso. Anche costui se ne tornò a casa, volle fare co-me Abramo; poiché il figlio era la cosa migliore. Se quel-I'oratore riuscisse a saperlo, forse si recherebbe da lui agridargli: uomo abbominevole, rifiuto della società, qua-le diavolo si è impossessato di te in modo che tu possaassassinare tuo figlio? E il pastore, il quale non si era néaccaldato né aveva sudato predicando su Abramo, era stu-pito di se stesso, della serietàr della collera con la qualeaveva tuonato contro quel pover'uomo; egli era contentodi se stesso perché non aveva mai parlato con tanta forzae unzione. Egli andava dicendo a se stesso e a sua moglie:(SoI1o un oratore, ciò che finora mi è mancato è stata I'oc-casione, poiche quando domenica ho parlato di Abramo,non mi sentivo affatto completamente preso>). Se un si-mile oratore avesse un pizzico d'intelligenza in piÌr da per-dere, penso che la perderebbe se il peccatore con tranquil-lità e dignità gli rispondesse: questo è proprio quel che tustesso hai detto domenica in predica! Del resto comeavrebbe potuto il pastore pensare una conclusione simi-le? Eppure era cosi e I'errore era sollanto ch'egli non sa-pey€ qi!e!4 parlava. Magari ci fosse qualche poeta chepotesse decidersi a preferire simili situazioni invece dellebubbole che riempiono le commedie e i romanzi! Qui iltragico e il comico si toccano a vicenda in un'infinità as-soluta. Il discorso del pastore era forse in sé e per sé ab-bastanza ridicolo, ma diventò infinitamente ridicolo colsuo effetto, un effetto del resto del tutto naturale. Oppu-re se il peccatore, senza sollevare obbiezioni, fosse con-vertito dal discorso penitenziale del pastore, se questo pa-

49

Page 25: Timore e tremore   Kierkegaard

store zelante se ne fosse tornato allegro a casa, lieto in

coscienza che non solo operava dal pulpito, ma soprat-

ir* ""t

forza irresistibiie come pastore di anime:- poi-

ché la domenica entusiasmava la comunità, mentre lune-

Ji"o.. ,n ctt.totino con la spada di fttoco (Gen" 3 ' 24)

si poneva di fronle a colui il quale con le sue azioni ror-

,.ùb. rn.,t"r. in berlina il vecchio proverbio che ìe cose

ntìuunoo n"t aondo nel modo come predica il pastole * 'Se invece il peccatore non fosse convinto, la sua srtua-

zioìe è abbastànza tragica. Allora probabilmente egli sa-

rà giustiziato o chiuso in un manicomio: insomma' egll

Jdíventato infelice rispetto a quella cosiddetta realta' in

un altro senso - p.nrò io - dul "ome

Abramo I'ha reso

felice; poiche colui che lavora' non perisce'

Come si può spiegare la contraddizione di quell'orato-

re? È forse perché Abramo ha acquisito il diritto di pre-

i"iirion" al "t."ta

un grand'uomo e, se qualche altro -fa

i" ,t.rru "oru,

è questó un peccato che grida al cielo? In

où"tto luao uilotà io nott dèsidero condividere un elogio

àsì vacuo. Se la fede non trasforma in un'azione santa

il voler ucciderè il propriò figlio, allora vale per Abramo

il eiudizio come per qualsiasi altro uomo' Se forse manca

il ioiaggio di wolgère fino in fondo il proprio pensiero

e di dire che Abramo era un assassino' allora è meglio pro-

curarsi questo coraggio senza sprecare il tempo in discor-

siìnutili. t'espressióne etica per I'azione di Abramo è ch'e-

-ìi"À1.", uccìdere lsacco. ljespressioge religiosa è ch'egli

íuot *..iti.at. tsucco: ma in questa èontraddizione si tro-

va orecisamente l'angoscia che puÒ certamenle tendere un

uoilo insonne - Abìamo però non lo è. egli non ha que-

;,;;;;;;;i;: 'ó rorse egli non ha fatto per niente ciò che

iu Éiúuiu tu..on,u, *i a .urro di quei tempi un qualcosa

di tutr'altro genere. però cosi dimentichiamo Abramo; poF

' Nei remoi anl ichi si diceva: è dotoroso che nel mondo le co'e non,,"a^no càtJpifai.u ir pcslore - tor 'e ora viene i l lempo' specialmen-

l:l"i'::l:1ru1i";l'f;,i::.:,?:."^:'[;:'i'T:i:xlil;#;ì"" lTdi senso, nella Predica nessuno.

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ché non vale la pena ricordare quel passato che non puòdiventare presente. O forse quell'oratore ha dimenticatoqualcosa che corrisponde alla dimenticanza etica ossia cheIsacco era il figlio. Se infatti si sopprime la fede riducen-dola a zero o al nulla, non resta piìt che il fatto crudo,che Abramo voleva uccidere Isacco - ciò ch'è abbastan-za facile a intuire per chiunque non abbia la fede, valea dire quella fede che lo rende duro per lui'

Per parte mia confesso che non mi manca il coraggiodi portare un pensiero fino in fondo; finora non mi sonoimbattuto in nessun pensiero di quelli che fanno paura ese m'imbattessi in qualcuno di questi, spero di avere al-rneno la sincerità di dire: que_slg pe4siero-mj fa paura, es-so mi sconvolge e perciò non voglio pensarci e se così fa-cendo avrò torto, non sfuggirò certamente alla punizio-ne. Se avessi conosciùió ótie sèCondo il giudizio della ve-rita Abramo era un assassino, non so se sarei stato capa-ce di passare sotto silenzio la mia pietà per lui. Tr.rttaviase I'avessi pensato, probabilmenle avrei taciuto, poichénon si deve iniziare altri a simili pensieri. Ma Abramo nonè un'illusione, egli non si è acquistato la sua fama dor-mendo, non la deve al capriccio del destino'

$i può allora parlare francamente di Abramo senza cor-rere il pericolo che qualcuno si smarrisca e faccia altret-ianto? Se non oso farlo, manterrò il silenzio su Abramoe soprattutto non I'abbasserò al punto ch'egli diventi unatrappola per i deboli. Infatti se qualcuno riduce tutto allafede ossia a ciò ch'essa è, penso allora che se ne può par-lare senza pericolo nel nostro tempo che mette in piazzatante stravaganze sulla fede; è solo con la fede che si ot-tiene la somiglianza con Abramo, non con l'assassinio'Se I'amore è ridotto a un'impressione fugace, a una com-mozione voluttuosa che I'uomo prova, atioii- quànaosi vuol parlare delle imprese dell'amore - non si fa altroche tendere trappole per accalappiare i deboli. Un molotransitorio tutti ce I'hanno, ma se ognuno volesse com-piere la cosa spavenlosa che l'amòre ha santificato come

Page 26: Timore e tremore   Kierkegaard

impresa immortale: ecco che tutto è perduto, sia l'impre-sa come lo smarrito protagonista,

Si può certamente allora parlare di Abramo; infatti lacosa grande non può mai nuocere quando è concepita nellasua grandezza, è come la spada a due tagli che uccide esalva. Se la sorte cadesse su di me per parlarne, comince-rei col mostrare quale uomo pio e timoroso di Dio eraAbramo, degno di essere chiamato l'eletto di Dio. Soloun uomo simile può sottoporsi a una prova simile: ma chiè simile ad Abramo? Poi vorrei mostrare quanto Abra-mo amava Isacco. Infine vorrei pregare tutti i buoni spi-riti di assistermi perché il mio discorso fiammeggiasse co-me I'amore paterno, Spero pertanto di riuscire a raccon-tare la cosa in modo che non saranno molti padri nellaterra e nei regni del (nostro) re che osino attestare di ave-re un eguale amore. Ma se non si ama come Abramo, ognipensiero di sacrificare Isacco diventa uno scrupolo12. Diquesto si potrebbe parlare già per diverse domeniche, nonc'è fretta. L'effetto sarà, se si parlerà come si deve, chebuona parte di quei padri non vorranno piìr ascoltare al-tro perché sarebbero contenti se per proprio conto riuscis-sero ad amare come Abramo. Se poi ci fosse qualcuno che,dopo aver ascoltat o la grandezza, ma anche l'orrore del-l'imp19s4 di Abramo, osasse mettersi tuttavia in cammi-no, io sellerei il mio cavallo e viaggerei con lui. A ognistazione fino al monte Moria, gli spiegherei ch'egli è intempo per tornare indietro, che potrebbe pentirsi del ma-linteso di credersi chiamato per essere tentato in una si-mile lotta, che potrebbe confessare di non avere il corag-gio: così Dio stesso avrebbe potuto prendersi Isacco, seavesse voluto averlo. È mia convinzione che un siffattouomo non è maledetto, ch'egli può diventare felice con

t2 Anfaegletse (ted. Anfechtung\: il termine è stato messo in circo-lazione nella teologia da Lutero e indica uno stato complesso dello spi-rjto, un misto di dubbio, incerîezza, tentazione... che è appunto lo scru-poÌo come rilassamento della fede e della liberta.

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tutti gli altri, ma non nel tempo. Un uomo di questo ta-glio non sarebbe giudicato a questo modo anche nei tem-pi di maggior fede? Ho conosciuto un uomo che una vol-ta avrebbe potuto salvarmi la vita, se fosse stato magna-nirno. Egli disse apertamente: (Vedo bene ciÒ che potreifare; ma non l'oso, ho paura che dopo mi manchino leforze e debba pentirmene>. Non era magnanimo, ma chivorrebbe per questo non volergli piir bene?

Una volta che avessi parlato a questo modo e avessicommosso i miei uditori così da far loro sentire le batta-glie dialettiche della fede e la sua passione gigantesca, stareibene in guardia di non farli cadere nell'errore di pensare:(Costui ora ha la fede a un livello così alto che per noibasta toccare un lembo della sua veste> (Mt.,9,2l).Ln'fatti io aggiungerei: <Io non ho affatto la fede. Io sonoper natura una testa scaltra e ogni tipo simile prova sem-pre grandi difficoltà a compiere il movimento della fede.Non nascondo però ch'io non attribuisco in sé e per sénessun valore a questa difficoltò secondo la qusle la îesîsscaltra andrebbe oltre superondola, (cioè) sl di là del puntoal quale può giungere più facilmente I'uomo più semplicee ingenuo>>.

L'amore ha nei poeti i suoi sacerdoti e spesso si senteuna voce che sa mantenerne il prestigio; ma sulla fede nonsi sente una parola. Chi parla mai a lode di questa passio-ne? La filosofia va al di là. La teologia sta imbellettataalla finestra e mendicando per averne i favori offre allafilosofia le sue grazie. Sarà. difficile capire Hegel, ma ca-pire Abramo è una via sfretta (Mt.,7, l4). Andare al dih di Hegel, è opera prodigiosa; ma andare al di là. di Abra-mo è la cosa piir facile di tutte. Per parte mia io ho impie-gato diverso tempo a comprendere la filosofia hegelianae credo anche di averla compresa in qualche modori; so-

13 Ora Kierkegaard attacca direttament€ ìa concezione hegeliana dellasuperiorità deÌla speculazione sulla fede - ch'è il tema teoretico del pre-

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Page 27: Timore e tremore   Kierkegaard

-

no anche abbastanza temerario di credere che, malgradoimiei sforzi, io non riesco a capire i singoli testi, tuttaviaegli è per suo conto perfettamente chiaro. Tutto questo

lo compio con facilita, non mi dà mal di capo. Quandoinvece devo pensare su Abramo, allora mi sento come an-nièntato. L'occhio a ogni momento si posa nell'enormeparadosso, ch'è il contenuto della vita di Abramo, a ognimomento mi sento respinto indietro e il mio pensiero, mal-grado la sua passione, non riesce ad andare oltre neppuredi un pelo. Tendo ogni muscolo per trovare la visuale eneflo stesso momenlo reslo come paralizzato.

Non sono al correnre di ciò che il mondo ammira comegrande e magnartimo, la mia anima nr sente I'alfinità. soncónvlntì in tutta umiltà che è anche per la mia causa cheI'eroe ha lottato e, meditandoci sopra, grido a me stessotism tuo res agitur, Io mr penso dentro I'etoe' non possopensarmi dentro Abramo, poiché ciò che mi è òiferto èil paradosso. Perciò io non credo affatto che la fede siaouaicosa di umile, invece essa è la cosa suprema, a pre-

scindere ch'è disonesto da parte della filosofia sostituirlacon qualcos'altro e mettersi a deriderla. La filosofia nonpuQ e lo_n {eyg dqrq !4 fede, ma essa ha da comprenderesestessa, deve sapere ciÒ ch'essa offre e non deve toglierenulla all'uomo e tanto meno stordirlo su qualcosa comese fosse nulla. Sono al corrente delle difficoltà e dei peri-

coli della vita, non li temo e li affronto con coraggio- Nonsono all'oscuro di ciò ch'è spaventoso; la mia memoriaè una sposa fedele e la mia filosofia una ragazzetta diligente che attende tranquillamente tutto il giorno al suolavoro e la sera sa parlarmene con tanta grazia che rni tro-vo obbligato a dare uno sguardo ai suoi quadri, anche senon sono sempre paesaggi o fiori o idilli pastorali. Ho visto

sente saggio, corne anche dl La ríprcsa - ela presunzione degli hegelìa-ni di <oitiepassare> Hegel. Sullo studio diretto che Kierkegaard fece diHegel, vedi il nostro sa Egio i Kie rkegaard critico di Hegel '

Íel / 01.i Inci'deilza di Hegel, Napoli 1970, pp. 497 sgg.

I'orrore davanti a me, non l'ho sfuggito per paura ma sobenissimo che, anche se avanzo per affrontarlo, il mio co-raggio non è il coraggio della fede né qualcosa che possaparagonarsi a essa. Io non sono in grado di fare il movi-mento della fede: non posso chiudere gli occhi e precipi-tarmi fiducioso nelle braccia dell'assuido, que:to è per meimpossibile - ma non me ne \ anro. Sono convinìo cheDio è amore l l Jo. ,4,8): quesro pensiero ha per me unvalore lirico originariora. Quando esso mi è presente, misento indicibilmente felice; quand'è assente ne sento unanosralgia piu veemente di quella dell'amante per I'oggèt-to del suo amore; ma io non credo, questo coraggio mimanca, Per me I'amore di Dio, sia in senso dirello comein senso inverso. è incommensurabile con tutra la realta.Non sono îanlo vile da mettermi a gemere e lamentarmiper questo, ma neppure cosi sornione da negare che la fe-de è ancora qualcosa di molto più alto. posso ben sop-portare di vivere a modo mio, sono allegro e contento;ma la mia gioia non è quella della fede e al confronto diquesta è infelice. Non importuno Djo con i miei piccoliguai, le cose singole non mi preoicupano, ma fisso losguardo soltanro sul mio amore e mantengo pura e chiarala sua fiamma verginale. La fede È convinta che Dio siproccupa delle cose piir piccole. Sono contento di trovar-mi in questa \ita sposato con la mano sinistrar'. la fedeè-umile abbastanza per richiedere la desira - che quesiosia umiltà, io non lo nego né mai lo negherò.

Forse che ognuno dei miei contemporanei è in gradodi fare i movimenri detla fede? A meno che non mi sbaslisul loro conlo. son convinto piuttosto ch'essi hanno I'o--r-goglio di fare ciò che anch'essi non ctèdono ch'io sia ca-paèe di farei la cosa iÀpèrfetìa. Ripugna alla mia anima

Ia Si tenga presente che Tífiore e tremore ba per sottotitolo: <UnaLir ica dialetr ica".

15 Allusiole alla celebre tesi di Lessing ch,è discusa da Johannes Cli-macus neÌle t/rìc?o/e e specialmente n€lla PostTl4.

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Page 28: Timore e tremore   Kierkegaard

fare ciò che succede tanto spesso, di parlare in modo di-sumano della cosa grande, come se la distanza di alcunernigliaia di anni fosse una distanza enorme. Mi piace in-vece parlare da uomo di quelle cose grandi, come se fos-sero accadute ieri, lasciando soltanto la grandezza a di'stanza la quale né esalta né condanna. Se dunque (iz 4za-litò di eroe rragico, poiche piu in altò non posso andare)fossi stato incaricato di un simile viaggio regale straordi-nario come quello del monte Moria, so bene ciò che avreifatto. Non sarei stato tanto vile da starmene a casa, némi sarei messo a sedere o a gironzolare per la strada, nonavrei neppure dimenticato il coltello così che ci potesse es-sere una piccola lentezza, sono assolutamente convinto chesarei stato sul posto al suono della campana, che tutto sa-rebbe stato in ordine - forse sarei giunto perfino in anti-cipo per poter presto sbrigarmela. Nello stesso momentoin cui montavo a cavallo, mi sarei detto: (Ora tutto è per-duto, Dio vuole lsacco, io lo sacrifico, e con lui tutta lamia gioia - tuttavia Dio è amore e continua a esserlo perme; poiché nel tempo Dio e io non possiamo parlare in-sieme, non abbiamo una lingua comune>. Forse ai nostrigiorni c'è qualcuno abbastanza sciocco, abbastanza invi-dioso della grandezza da voler credere e farmi credere chese io avessi realmente fatto questo, avrei fatto una cosaancor più grande di quella che fece Abramo, perché la miaenorme rassegnazione era molto più ideale e poetica dellagrettezza di Abramo. Questa però è la più grande falsità,poiché la mia enorme rassegnazione era il surrogato dellafede. Io non potrei fare altro che il movimento infinitoper trovare me stesso e di nuovo riposare in me stesso.ln questo caso non avrei neppure amalo lsacco come I'a-mò Abramb. Il fatto ch'io ero deciso a fare il movimen-to, potrebbe dimostrare il mio coraggio umanamente par-lando: ch'io I'amassi con tutta la mia anima è un presup-posto senza il quale I'intera faccenda diventa un crimine,ma io non l'amavo come Abramo; infatti in questo caso

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avrei resistito fino all'ultimo minuto senza per questo ar-rivare in rilardo sul monre Moria. Avrei inoltre con la miacondotta guastato tuttà la stoiià poiché se avessi riavutoIsacco, mi sarei trovato in imbarazzo. Per me sarebbe statodifficile, ciò che invece ad Abramo riuscì la cosa piir faci-le, cioè ritornare a vivere con gioia con Isacco. Infatti co-lui il quale con tutta I'infinità della sua anima, motu pro-prio et propriis auspicds [<con la propria decisione e i pro-pri auspici>], ha fatto il movimento infinito e non puòfare di pitr, costui conserva Isacco soltanto nel dolore.

Ma cosa ha fatto Abramo? Egli non arrivò né troppopresto, né troppo tardi. Montò sull'asino e si mise lenta-mente in cammino. In tutto il tempo egli credette, credet-te che Dio non esigeva da lui Isacco, anche se egli era di-sposto a sacrificarlo quando ciò fosse richiesto. Egli cre-deva in virtfi dell'assurdo, poiché qui non ci potrebbe es-ser queslione di calcolo umano, e I'assurdo era che Dio,il quale esigeva quesro da lui, un istanre dopo avrebbe re-vocato la richiesta. Abramo salì il monte, persino nel mo-mento in cui il coltello luccicava, egli credeva - che Dionon avrebbe voluto Isacco. Egli fu sorpreso dall'esito dellafaccenda, mediante un movimento doppior6 aveva rag-giunto la prima posizione e così egli ricevette Isacco congioia maggiore della prima volta. Andiamo avanti. Sup-poniamo che Isacco sia stato realmente sacrificato. Abra-mo credette. Egli non credette che un giorno sarebbe sta-to beato lassù, ma che sarebbe stato felice qui nel mon-do. Dio avrebbe potuto dargli un nuovo Isacco, richia-mare in v!!a qurllo sacrificato. Egli credette in virtir del-I'assurdo, poiché ogni calcolo umano era stato da tempoabbandonato. Accade anche di vedere che alle volte il do-lore fa impazzire ed è una cosa abbaslanza dura. Si puòanchèvedere che ta forza di volontà puÒ ergersi con tanta

16 ll <movimento doppio)) è precisamente quello della fede che si at-tua con I'intervento d€lla libertà.

Page 29: Timore e tremore   Kierkegaard

energia contro la tempesta da salvare la ragione: anche

;. ì;;;*; * resta un po' intonrito' Lungi da me il voler

disprezzare questo. Ma potel perdere la proprla raglone

" Oi aonr.go"tttu t'intera sfera della finitezza' di cui essa

I iun.nt."Oi cambio' e allora in forza dell'assurdo otte-

n.r"ir..irurn.n,. la medesima l'inilezza' è una cosa che

snaventa la mia anima; ma per questo non dico che è co-

,à au po.o, poiché anzi è l'unico vero prodigio'!1p.- elsn

aì rotito "tt..io

che la fede presenla non è opera d'arte'

li:J"" r.""r" ".zzo

e grosiolano' adarro solo per le na-

iur. pit s..ptii iolte: la situazione e però iliametralmente

oooosta. La dialettica della fede è la piu line e straorol-

nuiiu di tu,,.; essa la una.sublimità di cui po5so appena

iàt-f ;ta;i, ma neppule nien( dl Erù' Iò Posso fare

ii-t"tà. ."r,; dal trarn'polinó con cui tràpasso nell'infi-

niio, la mia schiena è come quella di un saltimbanco sno-

àua tin Outt'infunzia: perciò il salto per me è facile -

uo, Ou", "....

e io posso tuffarmi nell'esistenza' Ma non

ooiso fure il sallo seguente e lo strano non è ch'io non

oo,iu lutfo, ma solo perche mi spaventa Cert-o' se Abra-

ilo rr.l aoa"nto in iui montò sull'asino, si folsse-detto:

ora Isacco è perduto, io potrei anche benissimo sacrifi-

il;;i; ;J;, oiurtosto'di fare il lungo viaggio al mon-

té Moiia - non avrei bisogno di Abramo' mentre ora.lo

m'inchino sette volte davanti al suo nome e settantaÌolte

davanti al suo gesto. Ch'egli non si comporti a quel mo-

àà. to a.au.o oìt tatto ch'egli si allegrò tutlo nel ricevere

i*""o, pt"pti" O'lntima allegria senz'avere bisogno di nes-

,unu l..put-io"", di nessun tempo per concentrarsi sul

iiriio . àr.rr" sua gioia. Se non fosse stata questq la si

iuurion" ài eu.u-o-' allora ègli avrebbe forse amato Dio'

*"."t "i.ara,

poichè colui che ama Dio senza fede' egli

;in#'; ';;;q";.Jui .t," u-à-oió ciedendo' egfiri-

flette su Dio.--Su qu.uu vetta sta Abramo L'ultimo-stadio' ch'egli

perde úi vista, è la rassegnazione inl'inita' Egìi va realmen-

58

te oltre e giunge alla f!4e: poiché tutte queste caricaturedella fede, la misera miope indolenza che pensa: non c'ènessun pericolo, non val la pena affliggersi prima del tem-po - quella meschina speranza che dice: chi può saperecosa aciadrà? sarebbe però possibile. . - queste carica-iure appaiièngónó alle miièilè dellà,vità e la ias!qglazio-ne infinita le ha g1a gopgtlg di disprezzo infinito.

Abramojo non lo posso comprendere, in un certo sen-so io non posso imnararq g]f1 q1 lui senza restare stupe-fatto. Quando ci stimmagina éhé iiflètiendo sull'esitó diquesta storia, si sarebbe sen"'altro spinti a credere, ci s'in-ganna da sé e si vuol ingannare Dio per il primo movi-mento della fede; si vuole succhiare la saggezze della vila

dal paradosso. Forse a qualcuno l'implesa potrebbe riu-

scire, poiché il nostro tempo non si arresta alla fede, aÌ

suo miracolo di trasformare l'acqua in vno (Jo.' 2' I sgg'),ma trasforma il vino in acqua.

Non sarebbe meglio fermarsi alla fede e non è rivoltan-te che ognuno voglia andare oltre? Quando al nostro tem-oo. e lo si va dicendo in molti modi, non ci si vuol ferma-iè utlu f.aè; aou. ullóià si va a finiie? Alla prudenia ter-iena, 'al càlóóló gretto,'àlta rnesChinità e alla miserabilità'a tutto ciò che può rendere dubbia I'origine divina clel-I'uomo. Non sa-reble Ia cosq migliore quella di lermarsialla fe{e e qhe colqi che sta in piedi badi di non cadere(I.Cgy. lQ, l2)2 Il movimento {9!q fede iniatti 9i devgfareiempre in forza dell'assurdo però in modo. si badi

!eng. di non perdere la finitezza ma di guadagnarla tut-i'intera. Per parte mia potrei benissimo descrivere i mo-vimenti della fede, ma non sono capace di eseguirli. Qual-do sivuol imparare i movimenti per nuotare, ci si può benfar penzolare legqti con cinghie dal soffitto e descrivereànèhe i Àóvimenii, ma questo non è nuotare: così io pos-

so descrivere i movimentidella fede, ma quando sono get-

taro in acqua allora io certamente nuolo (poiche io nonsorro di quelli che sg)azzano)i ma faccio altri movimenti

<o

Page 30: Timore e tremore   Kierkegaard

-

dell' infinirà - mentre la fede fa I'oppo!!g' Essa, do-

oo aver compiuto i movimenti delli infiniLa. compiequelliiJr. iinì,"2". Bearo colui ch'è capace di fare questi mó-

virnenti,-egli fa la cosa miracolosa e io non mi stanche-

rò mai di ammirarlo - si tratti di Abramo o di uno schia-

vo della casa di Abramo, di un professore di filosofia o

di una povera domestica, per me è assolutamente indiffe-

rente, io bado soltanto ai movimenti. Ma fo anche atten-

zione e non mi lascio ingannare né da me stesso né da nes-

sun altro. I caralieri della rassegnazione infinita si cono-

réì.1".ir.."", i l loro passo-è elastico e.ardito' Coloiò

invece che portano k perla della fede, ingannano facil-

mente percié il loro esterno ha un'impressionante somi-

glianza con ciò che tanro l' infinita rassegnazione cómè la

iede disprezzano profondamente I con la l ' i l isteria boi-

shese.Conlesso sinceramente che nella mia pratica non ho tro-

v?to nessun esemplare autentico di cavaliere della fede,

senza Der questo volei negare che non lo sia qualsiasi uo-

mo. Tìttauìa per molti anni he ho cercato le tracièjnva-

no. In generale si usa girare per il mondo per vedere fiu-

mi e mon1i, stelle nuove, uccelli dai colori smaglianti' pe-

sci mostruosi, razze umane ridicole; ci si abbandona allo

stupore animale, che si spalanca davanti all'esistenza' per-

sua;i di aver visto chissà che cosa. Questo a m€ non m'in-

teressa, Se sapessi invece dove vive un simile cavaliere della

fede, andrei subito in cerca di lui, poiché questo miracolo

m'interessa assolutamente. Non me lo lascerei sfuggire un

momento; ogni minuro baderei a come si comporta nei

movimenti tdilla fede); e. considerandomi ben proweduto

per la vita, dividerei il mio tempo fra l'osservare lui e I'e-

iercitarmi e così passerei tutto il mio tempo ad ammirar-

lo. Ma anche se non ho trovato un tipo simile lo posso

però pensare. Eccolo qui. Abbiamo fatto conoscenza' gli

,ono ìtuto presentato. Appena ho posato su di lui i miei

occhi, nello stesso istante l'ho spinto via da me, ho fatto

60

anche un salto indietro, ho congiunto le rnani esclaman-do ad alta voce: <<Signore Dio! è questo l'uomo, è real-mente lui, ha l'aria dì un esattore delle imposte)). Eppureè lui. Mi awicino un po' di piÌr a lui, spio ogni suo mini-mo movimento per scorgere se non si presenti qualche pic-cola frazione di messaggio telegrafico eterogeneo dall'In-finito: uno sguardo, un cenno, un gesto, una malinconia,un sorriso che tradisca l'Infinito nella sua eterogeneita dalfinito. No! Io squadro la sua figura dal capo ai piedi pervedere se non ci sia una fessura attraverso la quale nonsbuchi fuori I'Infinito. No! Egli si presenta solido comeuna quercia. Il suo passo? è vigoroso, appartiene comple-tamente alla finitezza; nessun borghese attillato, che il po-meriggio della domenica esca per la passeggiata a Freds-berg, ha un passo più sicuro del suo, egli appaftiene com-pletamente al mondo più di qualsiasi borghese. Nulla chefaccia trapelare quella natura speciale e distinta da cui siconosce il cavaliere dell'Infinito. Si rallegra di tutto, par-tecipa a tutto e ogni volta che lo si vede partecipare neipiccoli eventi, lo fa con la disinvoltura che indica I'uomoterreno la cui anima è solidamente attaccata a queste co-se. Egli cura la sua azione. Quando allora lo si vede, ver-rebbe da credere che sia uno scrivano che ha perso la suaanima nella contabilita in partita doppiar?, tanto è meti-coloso. Egli va in chiesa. Nessuno sguardo celeste o qual-che segno dell'incommensurabile lo tradisce; se non lo siconoscesse, sarebbe impossibile distinguerlo dalla folla or-dinaria; poiché il suo canto dei Salmi sano e vigoroso mo-stra al massimo che ha un petto robusto. Nel pomeriggiova a passeggio nel bosco. Gode di tutto quel che vede, delbrusio degli uomini, degli omnibus, del Sund - quandolo s'incontra sulla Strandvej, lo si scambierebbe per unmercante in vacanza, tanto è riboccante di allegria; poiché egli non è un poeta e io ho cercato invano di carpire

t1 ll da'i,ese ha itolíekske Bogholdeù.

Page 31: Timore e tremore   Kierkegaard

--

in lui l'incommensurabile della poesia; verso sera fa ri-torno a casa, il suo passo è fresco come quello di un fat-torino. Strada facendo pensa che sua moglie gli ha prepa-

rato un buon piatto caldo per quando ritorna a casa' unanovità: per esempio una testa di abbacchio con verdura.Se incontra un suo simile, allora potrebbe accompagnarsiinsieme fino a Ósterport per parlargli di quel piatto conpassione degna di un gestore di ristorante. Fra parentesinon ha neppure un baiocco in tasca, ma crede fermamen-te che la moglie gli ha preparato quel piatto succulento.E se la moglie l'avesse fatto, vederlo a tavola sarebbe unospettacolo da far venire ì'acquolina in bocca alla gente

semplice, da mandarli in visibilio poiché mostra un appe-tito piÌr gagliardo di quello di EsaÌr (Gen., 25' 29 sgg.).Ma se la rnoglie non I'ha preparato - strano però! - nonfa niente. Per la strada passa davanti a un terreno da co-struzione, incontra un passante. Parlano un momento in-sieme: lui in un momento tira su una casa, ha a sua di-sposizione quanto occorre. Lo sconosciuto lo lascia, con-vinto di aver avuto a che fare con un capitalista, mentreil mio ammirato cavaliere pensa: certo, se l'occasione sipresentasse, il denaro lo troverei! Si ferma alla finestraa guardare la piazza sotto la sua abitazione osservandotutto quel che accade: un topo corre a nascondersi in unafogna, i bambini stanno giocando, tutto lo interessa conuna tranquillità nell'esistenza quasi fosse una ragazza dl16 anni. Eppure non è un genio; invano ho cercato di car-pire in lui, spiandolo di nascosto, I'incornmensurabilitàdel genio. La sera fuma la sua pipa; a vederlo, si giure-rebbe ch'è un salumiere che vegeta nel crepuscolo. Vivesenzq prq9919qq{qni_: comg !r4 fqnnullgnli gP_!u!e lacaal pi! garo plezzo ggni mC4€49 q9!!Sq!LviB' q !!9=!u91tempo, poiché egli non fa la minima cosa se non in forzadell;assurdo. Eppure - è uira cosa da montar sulie frlri{se pér untàltra ragione non venisse da crepar d'invidia -quest'uomo compie a ogni istante il movimento dell'infi-

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nità. Egli svuota nel-la rassegnazione infinita la profondamalinconia delltesisrenza, conosce la bearirudine dell,in-finità. ha provaro il dolore diìnunziare a rutto ciÒ chesi ha nel mondo - eppure gusta il finito tanro quanlo co_lui che non ha conosciuto nulla di più elevato: poiché nelsuo permanere nella finitezza non si vede traccia alcunadell'angoscia di un addestramento, tanta è la sicurezzach'egli mostra come se questo mondo fosse la cosa oiìrcena di rurre. Eppure I'intera figura del mondo ch'egl.i pìo-duce è una nuóva creaZìónè in viriù delltàssurdò. Sièias_selnato inliniramenle a rulto ed ecco che ha riavuro turroin virtù dell'assurdo. Compie di continuo il movimentodell'infìnità, ma con una iàlé óoiieitez-za e ì lcfreiia daottEnei! llapre !! rjaltq erolr gltGòondó óhè desideriggq!cg9lq!1ro. il compito più a;du; pèa;lùaildhtè disaltare portandosi in un posto preciso così che non c,è se-condo che non trovi la sua posizione mantenendo anchenel salto la iua posizione. Forse nessun ballerino può far_lo - ci riesce quel cavaliere. La massa degli uomini viveperduta nelle cule e gioie mondane, quesii sòno gti spèt-iatori che non panecipano mai al ballo. t cavalieri del-I' lnfinito son ballerini e hanno elevazione. Essi si muo-vono alzandosi e ricadendo e anche questo nori è oeriliîadi tgmpo ne sgradevolè a vedersi. M; dgni uólta;he ià-9-o.S; è.jt

"óti p"ssono tldde;è sutito pòsizione, vactt-

lano un momento, e questo vaciliarè mosîra che essi sonodegìi eslranei in questo mondo (Hebr.,I l, 37). euel va-crllare e più o meno evidente, secondo la loro abilita, maanche i piu esperti fra quesri cavalieri non riescono a na-scondere questo oscillare. Non è necessario vederli in aria.basta vederli nel momenro quando essi toccano o hannotoccato terra - per conoscerli. Ma poter cadere in mododa sembrare nello stesso secondo dritti e il móviùdnto,traiForriàie il Cató nella vita in un caóririn-aie, esirrimeiéassolùiàùénie il suElimé cól pedèitie, óueitó io puo sót:tant.o quel cavaliere: ecco l'unico miracoìo.

Page 32: Timore e tremore   Kierkegaard

Poiché questo miracolo può però facilmente inganna-

re, io desciiverò i movimenti in un caso preciso che può

chiarire il loro rapporto alla realta: poiché il nodo della

questione è tutto qui. Un giovanotto s'innamora di una

iri*io.t,u. tu,,o il conterìuto della sua vita è in quell'a-

iràt., ,*i" tir"-ione è tale ch'è impossibile realizzarló'

è impossibile tradurlo dall' idèalità alla realta *' Cli schiavi

della miseria. i ranocchi immerii nel pantano della vila'

gridano naturalmente: un amore simile è una follia, la ricca

iedova del birraio è un partito perfettamente eccellente

e solido. Ma lasciamoli gracidare nel pantano' Non & cosi

il cavaliere della rassegnazione infinita: egli non abban-

dont i%;ore ;étpùre pertutto lo splenilóre del mondo'

Non è uno scioCcii. Si aislcura anzitutto che quell'amore

iài.i t*i.*" contènutó dètta sua vita e la sua anima

li;;;;;* . fiera perché egli ne sprechi a casacc.iò an-

che un briciolo. Non è un vigliacco: non ha paura cne I a-

móieTlnsinui nei più segreti e remoti pensieri, che pene-

tri con innumerevóli diramazioni in ogni legamento deìla

sua coscienza - se I'amore diventa infelice, non è mai piìt

capace di staccarsene. Prova un piacere di beatitxdine n€l

lasciar che I'arnore faccia vr,lTare og{sìto lervo € 19lta-via la sua anima è ióienne come queì13 !! 9o!9i ch9 !a ry9-tata la coppa del veicro e sente chì il veleno sla penetran-

do ogni góccia del suo r:!'rgue - poiche quèl momehto

è vitie Àorte. Quando allora ègli ha óosì iucchiati tutto

llamore e si è sprofondato in esso, non gli manchera il

coraggio di tentare e rischiare tutto. Egli abbraccia con

lo sguardo la situazione della vita' chiama a raccolta I ra-

* Vien da sé che ogni ahro inleresse. nel quale un individuo.vede con_

centrarsi lut la la reahà del l esisten/a, può, quando si mosÎr l l rreal l /za'

bile, pro\ocare ilmovimenlo della fassegnaione Tutlavla ho sceltocome

esemDio l innamoramenlo per moslrare i movimenli ' perche queslo.è

; ' i ; í ; ; . ; ; ; ; ; ; . i ió.p.. ' ia. molro raci lmenre e cosi mi dispensa da

tutte quel le r i f lessioni prel iminari,che possono inleressare plu o meno

Profondameote solo Pochi slngon.

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pidi pensieri che, simili a colombe, son docili a ogni cen-

no, àgita su loro la sua bacchetta e quelli si lanciano in

tutte le direzioni. Ma ora quando tutti fanno ritorno' tut-

li messaggeri di tristezza, e gli spiegano che la cosa èlm-.poqqbile, gcli Iit4qle qa4qu!!g' ]l rincra?!1'.qi IiqlelteqtiieJo e aiioia intraprende il suo movimento. Se quel che

éùiìi"o hu un t.nsò, questo vaie se il movimento si svol-ge normalmente *. II cavaliere allora avrà anzitutto la for-

za di concentrare in un unico desiderio tìrtto il contenuto

della vita e il significato della realtà. Se a un uomo mancaqudsta conèeniiàzione, questa chiusura, I'anima è fìn daprincipio dispersa nel molteplice' allora non arrtva mat a

iare ii movimento: egli si comportèrà nellà vita con I'a-

siuzia dei finanzieri che collocano il loro capiiàle sùivàii

valori di borsa per poter vincere sull'uno quando perdo-

no iull'àitro -lnsomma, nón è un cavaliere. Poi il cava-

liere avrà la forza di concentrare il risultato di tutta I'o-perazione del pensiero in un unico atto di coscienza' qe

gli manca questa chiusura, la sua anima è dispersa fin dapiin.ipio nèl molteplice, non avrà mai il tempo di fare il

movimento, correrà sempre dietro agli affari della vita,

non entrerà mai nell'eternità: poiche anche nel momentoin èui sarà piir vièinó à'quèsto, si accorgerà improwisa-mente di aver dimenticato qualcosa per cui deve tornare

+ Per fiuscirc a qùeslo, è ùecessario la passione Ogni fioúmento del'I'inlini!ò avviane con passion? ? ncrsuna riles\ione può pro'lu e un mo'viriento- (ùtesro è it sàho continuo nell'esivenzo (he spiega il movimento'mentre la-mecliazione è una chimera che in Hegel de'ie spiegare tulfo

e nello stesso tempo è I'unica cosa ch'egli non ha cercato di spiegarc'Anche per fare li nota distinzione socratica fra ciò che si comprencleeiiò

"hi ,ron .i .o-p..nde, ci vuole la passione e tatto più naturalmen-

ie ber fare il vero e propdo movimento socratico' quello d€ll'ignoran-za. Ciò che manca al nostro tempo non è la riflessione' ma la passione

Perciò il tempo veramente gode in un certo senso di lroppa salute da

morire. poiché i l morire co.t r tuisce uno dei sahi piú note\ ol i e-mi è sem-

Dre moko oiaciuto un bre\e vcrlo dì un Poela l l quale. oopo ) o o vefsl

iemplici e bel l i nei qual i . i auguta i beni del la ! i la. lermina col i : ei '? 5?/Ègù SprunB n ct ie ÈnigkPit [ 'un tel ice.alto nel l 'elelnrlà' ] '

OJ

Page 33: Timore e tremore   Kierkegaard

indietro. Penserà che entrare nell'eternita è possibile nel

momento seguente: verissimo, ma con simili considera-zioni non arriverà mai a fare il movimento, ma queste lo

faranno sprofondare sempre più nel pantano'Il cavaliere ailora fa il movimento, ma quale? dimenti-

cherà tutto? perché non c'è anche in questo una specie di

concentrazione? No! Il cavaliere non si contraddice ed è

una contraddizione dimenticare il contenuto di tutta lapiópria vita e tuttavia rimanere il medesimo. Di diventa-re un altro, egli non sèniè nessun impulso e non lo consi-dera affatto la cosa grande. Solo le nature inferiori dimen-

ticano se stesse o diventanò qualcosa di nuovo. Così la

farfalla ha dimenticato di essere stala un bruco tanto com-pletamente che può anche diventare un pesce. Le naturepiù profonde non dimenticano mai se stesse e non diven-

ianó mai qualcosa di altro da quel ch'erano. [l cavaliereallora ricoidera tutto; ma questo ricordo è appunto il do-

lore, eppure nella sua infinita rassegnazione egli è ricon-

ciliato con l'esistenza. L'amore per quella principessa di-

venne per lui I'espressione di un eterno amore' assunse un

carattere religioso, sì trasfigurò in un amore per I'essenza

eterna. Esso certamente negava il compimento' ma a sua

volta lo riconciliava nella coscienza eterna del suo valore

in una forma di eternità che nessuna realta gli può strap-

iommozióni del deiiderio, che risvegliano i ricordi, a vol-

te è lui stesso a svegliarlo; poiché egli è troppo orgoglioso

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da volere che ciò che formava I'intero contenuto della suavita, debba essere stato I'affare di un momento fugace.Egli mantiene quest'amore giovale ed esso cresce con luiin eta e bellezza. lnvece egli non ha bisogno di nessunaoccasione della finitezza per Ia sua crescila. Dal momen-to ch'egli ha fatto il movimento la principessa è perduta.Egli non ha bisogno dell'erorismo di questi brividi nervo-si per vedere I'amata ecc.; non ha bisogno neppure in sensofinito di prendere continuamente congedo da lei, poichéegli ricorda in senso eterno e sa molto bene che gli amantiche sono così smaniosi di vedersi ancora I'ultima volta percongedo hanno il diritto di essere smaniosi, il diritto dipensare che sia I'ultima volta: poiché si dimenticherannoquanto prima I'uno dell'altro. Egli ha capito il profondosegreto che anche nell'amare un altro uomo bisogna esse-re cènamente se stessi. Egli non da piu utó sguaiAó !ni-to a ciò che la principessa fa e prolrlo pel queqlo {!mo-stra ch'egli ha compiuto il movimento.infi4itamente, Quisi può trovare I'occasione di vedere se il movimento delSingolo è vero o falso. Ciera anche colui che credeva diaver fatto il movimento, ma col passare del tempo la prin-cipessa fece qualcos'altro, si sposÒ per esempio con unprincipe: allora la sua anima perdette l'elasticità della ras-segnazione infinita. Egli mostrò con questo di non averfatto il movimento in modo giusto; poiché colui che si èrassegnato infinitamente, è anche abbastanza se stesso. Ilcava.liere non toglie la sua rassegnazione, egli conserva an-cora la giovinezza del suo amore com'era nei primo mo-mento, non se lo lascia scappare, perché egli ha fatto ilmovimento infinitamente. Ciò che fa la principessa nonlo puÒ disturbare; ciò è soltanio dèll! nature inferiori chehanno in un altro uomo la legge delle proprie azionì, cheprendono le premesse de_i propri atti dal-di_fuori. Se inve-ce la principessa ha gli stessi sentimenti, allora sboccerala bellèzza. Essa vorrà allòià introdurre se sreìsa nèlltói-dine dei cavalieri nel quale non si viene accolti per ballot-

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Page 34: Timore e tremore   Kierkegaard

-t

tazioners ma di cui è membro chiunque ha il coraggioil'iiitrodursi: l'ordine dei cavalieri, che dimostra Ia sua im-morúlittdaTftato che non c'è differenza fra uomo e don-na. Anch'essa vuol conservare il suo amore giovane e fre-ióó; anch'essa avrà superato il suo tormenlo, anche se,come dice il proverbio, non stia ogni notte a fianco delsuo signore. Questi due allora andranno d'accordo per tut-ta l'eternità, con una hormonio praestabilitate , talmenlesolida che se qualche momento venisse, il momento cheli occupasse non in senso finito, poiché allora essi sareb-bero invecchiati: se venisse quel momento che permettes-

se all'amore di esprimersi nel tempo, allora sarebbero ingrado di cominciare precisamente dal punto da dove avreb-bero cominciato se fossero stati uniti fin da principio. Co-lui che comprende questo, sia egli uomo o donna, non sa-rà mai ingannato: sono soltanto le nature inferiori ches'immaginano di essere ingannate. Nessuna ngaLta chenon sia così fiera, sa propriamente amare: ma se essa haquesta fierezza, l 'astuzia e la furberia del mondo interonon la potrà ingannare.

Nella rassegnazione infinita c'è pace e riposo; ogni uo-mó Che lo voglia, che non ha awilito se stesso - una co-sa ancora piÌr orrenda dell'essere troppo orgogliosi - conlo schernire se stesso, può fare I'allenamento per compie-re quel movimento che nel dolore riconcilia con l'esisten-za. La rassegnazione infinita è quella camicia di cui si parlanelle antiche leggende. Il filo è tessuto con le lagrime, im-biancato con le lagrime, la camicia è cucita con le lagri-me, ma allora essa protegge anche meglio del ferro e del-I'acciaio. Il difetto della leggenda è che un altro puÒ tes-

sere questa stoffa. Il segreto della vita è che ciascuno puòt8 Ballotation è il lermine spregiativo coniato da Kierkegaard per ìn_

dicare il suîfragio popolqre nel senso di prevalere del nurnero (cfr' DiQ-/ io 1848, IX A 4; tr . i t . ' . 1725, t 4, p. 165)

19 È I'espressione con la quale Leibniz indica I'accordo disposto finda principio fra l'anima e il corpo, come due orologi sincronizzati (Cer_hardt IV, 500 ssg).

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cucirsi da sé la camicia, e lo strano è che I'uomo può cu-cirsela altrettanto bene come la donna. Nell4rassegnazioneinfinita c'è pace e riposo e consolazione nel dolore, cioèquando il movlmento è fatto-in modo normaie. Tuttavianon mi sarebbe difficile scrivere un intero libro se dovessipassare in rivista i diversi errori, le situazioni capovolte,i movimenti abortiti in cui mi sono imbattuto soitanto nellamia poca esperienza. Si crede ben poco allo spirito e ben-ché il fare questo movimento dipenda dallo spirito, essodipende dal fatto se esso è o non è un risultato unilateraledi tna dira necessilas e più questa è presente tanto mag-giore è il dubbio se il movimento è normale. Se a questomodo sì vuol pensare che la fredda sterile necessità de-v'essere presente, questo equivale a dire che nessuno puòsperimentare la morte prima di morire realmente, e que-sto a me sembra un crasso materialismo. Però ai nostrigiorni ci si preoccupa meno di fare i movimenti puri. Seun allievo ballerino dicesse: ormai da molti secoli le gene-razioni, una dopo I'altra, hanno imparato le varie posi-zioni; è finalmente venuto il tempo che io mi appropri que-sto vantaggio e cominci senz'altro con i balli francesi, cer-tamente costui farebbe ridere; ma nel mondo dello spiri-to questo è estremamente plausibile. Cosa è dunque la cul-tura? Io credevo che fosse íl cursus che l'individuo per-corre al fine di afferrare se stesso; e colui che non vuolpercorrere questo cursus, gli giova ben poco l'esser natonell'età la più illuminata.

La rassegnazione infinita è I'ultimo stadio che precedela fede, così che chiunque non abbia fatto questo movi-mento, non ha la fede; è anzitutto nella rassegnazione in-finita che mi diventa chiaro.il mio valore eterno e che sol-tanlo allora ci puÒ esserè quesiioné Oi afferrare l'esisten-za in forza della fede.

Noi vogliamo ora incontrare il cavaliere della fede nelcaso ora indicato. Egli fa esattamente le stesse cose chefa I'altro cavaliere; egli fa una rinuncia infinita all'amore,

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Page 35: Timore e tremore   Kierkegaard

ch'è il contenuto della sua vita, è riconciliato nel dolore;

ma allora si compie il prodigio' egli [a ancora un movì-

menro piir meraviglioso di turti. poiche dicc: io però cre-

do che iiuscirò ad averla i! virtÌr cioè dell'assurdo, in vir-

iJ del nrincipio ctre a Dio tutto è possibile. L'assurdo qui

non appaniene alJe clifferenze che si trovano dentro la sfe-

ra própria dell'intelletto. Non è identico all'inverosimile,alliinatteso, all'imprevisto. NelÍomento in cui il cava-

i.r" ri tur..enu, eg:li e convhió-delf impossibilità chè que-

sto sia, umanamente parlando, il risuitato dell'intelligen-

ia e éi avere energia sufficiente per pensarlo' Invece nel-

I'intelletto infinito è possibile, cioè mediante la rassegna-

zione; ma questo possedere è insieme un abbandonare, pe-

Àq.,"tto port.O"ie non è per I'intelletto un'a;surdità; pói

ché I'inteiigenza continua a mantenèie il diritto che, nel

mondo della finitezza dov'essa esercita il suo dominio'questo è e resia irnpossibile Di quest'impossibilita il ca-

valiere della fède ha una coscienza altrettanto chiara; l'u-

nica cosa quindi che lo pt tò salr are ' è I 'as 'urdo e questo

egli l 'afferra con la l 'ede Egli conosce quindi l ' impossibi-

li ià e nello slesso momenro ctede i assurdo' Poiché se egli

s'immagina di aver la {ede, senza riconoscere - con tut-

ta la passionc del la sua anima e con tut to i l suo cuore -

I' impossjbilita, allora inganna se stesso e la sua.testimo-

nianza è fuori poslo, poiché egli non è giunto alla rasse-

gnazione infinita-- L4 fedg toJl è qellig lglu .l-'1.9d9119s19tr9a+1qual-cos4 di molto piu alto, precisamenle perche essa ha la ras-

iegnazióne p.ima di sé, non è I'impulso immediato del cuo-

reia il oaradosso déll'esistenza. Quando a questo modo

ina Éiovale ragazza si tiene sicura, malgrado tutte le dif-

ficoltà, che il srro desiderio sarà certamente adempiuto'

ouesta non è la cetÍ.ezza della fede, anche se essa e stata

educata da genitori cristiani e forse ha frequentato per un

anno intero la scuola del pastore. Essa è certa in tutta la

sua ingenuità e innocenza infantile, anche questa certez-

10

za nobilita la sua natura conferendole una grandezza so-vrumana così ch'essa come un taumaturgo può scongiu-rare le forze finite dell'esistenza e far piangere le stessepietre; mentre d'altra parte, nella sua perplessita, può an-dare sia da Erode come da Pilato e commuovere il mon-do con le sue preghiere. La sua certezza è molto amabilee si Dotrebbe imDarare anche molto da lei: soltanto unacosa non si può dì lei imparare: a fare i movimenti - poi-ché la sua certezza lon 9s4 flqgqre llllpossibilità qel do-lore della rassegnazione.

Allora io posso vedere che occorrono forza, energia elibertà di spirito per compiere il movimento infinito dellarassegnazione; posso insieme vedere ch'è possibile farlo'

Quel che segue mi sbalordisce, mi fa girare il cervello intesta; poiché, dopo aver fatto il movimento infinito dellarassegnazione, ora, in forza dell'assurdo, riuscire a otte-ner tutto, vedere il compimento dei desided, completamen-te, integralmente, questo supera le forze umane, è un pro-digio. Ma posso anche capire che la ceîtezza {elll ejgva;ne ragazza è solo una leggerezza a confronto dell'incrol-labilità della fede, benché essa 4bia ricono-sciuto I'impos-sibilità. Ogni volta ch'io voglio fare questo movimento,mi prende la vertigine, nello stesso momento l'ammiro as-solutamente, e neÌlo stesso momento la mia anima è pre-sa da un'enorme angoscia, poiche cos'è mai tentare Dirc?È questo pdió il movimento della fede e divenla tale an-che se la filosofia, per confondere i concetti, volesse farcicredere ch'essa ha la fede, e anche se Ia teologia volessevendercela a basso prezzo,

Per rassegnarsi non è necessaria la fede,. Infatti ciò ch'ioottengo nella rassegnazione è la mia coscienza eterna e que-sto è un movimeìto puramente filosofico ch'io posso fa-re per mia consoiazione quand'è richiesto e per mia disci-plina, poiché ogni volta che qualcosa di finito tenta d'im-padronirsi di me, io mi melto a digiuno fino a che faccioil movimento: infatti la mia coscienza eterna è il mio amo-

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re di Dio e qresto è per me slqeJior! e 1ut1o. Infatti perrassegnarsi non occorre la fede, ma per ottenere anche laminima cosa, al di làr della mia cosclgqza rt9144, ! pe.qes,-saria la fede, poiché qggqta è il pqla4osso. Spesso si scam-biano fra loro i (diversi) movimenti. Si dice che occorrela fede per rinunziare a tutto; si sentono discorsi anchepiù strani: che un uomo si lamenta di aver perduto la fe-de e, quando si guarda a quale grado della scala egli sitrova, si vede con stupore ch'egli è giunto soltanto al puntoch'egli deve compiere il movimento infinito della rasse-gnazione. Con la rassegnazione io rinunzio a tutto: que-sto movimento lo faccio da me stesso e, quando non lofaccio, è perche sono un vigliacco e un rammollito. sen-z'entusiasmo; è perché 4on sento Ì'irnportanza dell'altadignità ch'è proposta a ogni uomo di essere il proprio cen-sore, la quale è molto piir eminente dell'essere il censoregenerale di tutta larepubblica romana. Questo movimen-to io lo faccio da me stesso e ciò che ottengo è il mio ionella sua coscienza eterna, nella beata intesa col mio amoreper un'essenza eterna, Con la fede io non rinunzio a qual-cosa ma con la fede ottengo tutto, nel senso in cui sta scrit-ro cbe chi ha fede come uq granello di senape puó imuo-vere f e monlagne ( ut ., tj, ZOi. Basta il semplice coraggioumano per rinunziare a tutta la realtà temporale per otte-nere I'eternità: ma che io I'ottenga e possa insieme per tuttal'eternità rinunciarvi, questo è contraddittorio. Occorreinvece un coraggio umile e paradossale per poter ora af-ferrare lutta la reahà temporale in virtu dell'assuidò e qué-sto è il coraggio della tede. Con la fede Abramo non ri-nunziò a Isacco ma con la fede Abramo ottenne Isacco,In virtù della rassegnazione quel giovane ricco (Mt., 18,18 sgg.) avrebbe dovuto lasciare tutto, ma quando l'aves-se fatto il cavaliere della fede avrebbe dovuto dirgli: (Invirtrì dell'assurdo tu riavrai tutto il tuo denaro - puoitu crederlo?> E questo discorso non dev'essere affatto in-differente per quel giovane ricco, poiché se egli avesse la-

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sciato i suoi beni perché si era stancato, la sua rassegna-zione lascerebbe molto a desiderare.

Tutto fa capo alla temporalità, alla finitezza. Io possocon le mie proprie forze rinunziare a tutro e allora trovopace e quiete nel dolore, Posso adattarmi a tutto: anchese quell'orrendo demone, piir spaventoso del mostro diKnokke che spaventava gli uomini: anche se la follia mimostrasse il suo abito di pagliaccio e mi facesse capire chelo devo indossare io - io posso ancora salvare l.animamia se del resto la cosa per me piit importante è far sì chein me vinca l'amore di Dio piuttosto che la felicita terre-na. In quest'ultimo momento l,uomo può ancora racco-gliere tutta la sua anima in un unico sguardo rivolto alcielo, dal quale ogni buon dono discende (-/ac., 1, lZ), equesto sguardo dev'essere comprensibile per lui e da Co_lui ch'egli cerca come la prova ch,egli si è mantenuto fe-dele al suo amore. Allora potrà indossare tranquillo la suaveste. Colui che non ha un'anima così romantica, ha yen_duto la sua anima, poco importa se ciò gli abbia ora pro-curato un regno o una semplice moneta d'argento. Ma conle mie proprie forze io non riesco ad avere neppure la mi-nima cosa del mondo della finitezza, poiché io devo im-piegare sempre la mta forza per rinunziare a tutto. Conle mie forze io posso rinunziare alla principessa e, se nonmi metto a brontolare ma trovo gioia e riposo nel mio do-lore. con la mia forza porrÒ riotrenerla poiché impiegq]4mia forza appunto per rassegnalmi. Ma con la fede, dicequel malinconico cavaliere, con la fede tu riavrai la tuJprincipessa in forza dell'assurdo,

Ecco, questo movimento io non lo posso fare, Appenami accingo a farlo, tutto si capovolge e io mi rifugio neldolore della rassegnazione, Io posso nuotare nella lita,ma per questo nuoto misrico io mi senro rroppo rigido.Esistere in modo che la mia opposizione all 'esistenza siesprima a ogni momento come la piìl bella e sicura armo-nia, io non posso. Eppure dev,essere magnifico ottenere

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la principessa, lo dico ogni momento e il cavaliere della

iài"gtt-ion"."tt" non lo dicesse è un impostore: costui

nòn iu uuu,o un ,olo desiderio e non ha mantenuto il de-

siderio con giovanile baldanza nel suo dolore' Forse c'è

nure chi troverebbe anche comodo che il desiderio si spen-

sa. la freccia del dolore si smussi, ma costui non è un ca-

iaiiere. Un'anima [ibera che si sorprendesse in questi sen-

timenti disprezzerebbe se stessa e ricomincerebbe da ca-

po, soprattutto non permetterebbe di ingannarsi da se stes-

sa.'Eppure dev'essere una cosa magnifica ottenere la prin-

.io.rsa. epput" il cavaliere della fede è I'unico felice' I'e-

;eiilìilili;;'à, m"nt." il cavaliere della rassegnazió-ne è un estraneo e uno straniero. Ottenere a questo mooo

la principessa, vivere lietiè fèiici' giorno dopo giorno.con

i.iioÀl.tte ti po,t.bbe anche pensare che il cavaliere dèlla

,asùgnarionè potesse oltenere la principessa' ma la sua

anirn-a avrebbe afferrato d'intuito I'impossibilità della lo-

ro felicita futura), ma vivere lieti e felici ogni momgntg

in forza dell'assurdo, vedere ogni momento la spada so-

ro"* ,"f-*oo dell'amata e tuttavia trovar la quiete nel

;i,ì;;;;;ù;;';;e"Lio1", ta gioia in forza dell'assurdo-"ìu*to

i p-oigioro' óhi Io tà, è grande, è I'unico gran-

de: il pensaivi cómrnuou. la mia anima che pur non ha

mai lesinato la sua ammirazione per le cose grandi'

Se ora ognuno dei 14iei coÚemporanei, che no-n vuole

fermarsi alla fede, è un uomo che ha compreso I'orrore

della vita e ha compreso quel che dice Daub quando par-

ia di un soldato chi, con un fucile carico, se ne sta solo

di guardia vicino a una polveriera, in una notte tempeslo-

sajawerte strani pensieri; se ognuno che non vuol fer-

rnarsi atta fede, avesse la foiza ittànimó capace di com-

prendere che il desiderio era impossibile e quindi prendesse

iarnoo oa. starsene solo con questo pensiero; se ognuno

cheìon vuole fermarsi alla fede. fósse un uomo capace

di riconciliarsi nel dolore e col dolore e costui fosse poi

uno (e se non ha fatto tutto quel ch'è detto sopra' non sr

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deve incomodare quando si tratta della fede) che ha com-piuto la cosa prodigiosa, egli ha afferrato I'intera esisten-za in forza dell'assurdo - allora quel ch'io scrivo è l'elo-gio piÌr alto dei contemporanei da parte dell'ultimo di es-

si, di colui che puÒ fare soltanto il movimento della ras-segnazione. Ma perché non ci si vuol fermare alla fede e

alle volte si sente dire che celta gente arrossisce di confes-sare che crede? Questo non lo posso capire' Se mai potes-

si arrivare a poter fare questo movimento' da allora in poi

voglio sempre girare in carrozza a quattro cavalli.È mai realmente così che ogni filisteismo borghese ch'io

vedo nella vita, che non giudico a parole ma con i fatti,è esso realmente ciò che sembra, è mai esso la cosa prodi-giosa? Si potrebbe anche pensarlo; poiché quell'eroe del-la fede ha una somiglianza impressionante con lui: infatti

l'eroe della fede non è semplicemente un ironista o un

umorista ma qualcosa di ben superiore. Ai nòstri iempisi parla molto ai iionia e oì'trimoui specialmente tra lagente che non ne ha fatto mai pratica ma che pretende

tuttavia di spiegare tutto. Io non sono del tutto all'oscu-ro di queste due passioni, ne so un po'di più di quanto

hanno i compendi tedeschi e tedesco-danesi' So perciò chequeste due passioni sono essenzialmente diverse dalla pas-

sione della fede. L'ironia e I'humour riflettono anche su

se stessi e perciò appafengono alla sfera della rassegna-iione infinita, hanno la loro attività nel fatto che l'indivi-duo è inóómùènsurabiie

-pei la realtà.

L'ultimo movimenro, il movimentò paradossale delJa

fede, io non lo posso fare, sia esso ora o non sia un dove-re, anchese confesso che lo vorrei fare più che volentieri'Se a un uomo è permesso dire questo, sia egli a deciderlo;questo resta una faccenda tra lui e I'essenza eterna2o ch'èl;oggetto della fede, cioè di sapere se a questo riguardo si

4 L'espressione erige /aesen, sta in bocca del filosofo - ch'è il ca-valiere della fede - per indlcare I'Assoluto' Dio.

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può addivenire a un amichevole accordo. È nella capaci-

ia Oi ogni uomo di fare il movimento infinilo della rasse-

gnazione e io per parte mia non esiterò a trattare da vl-

gliacco chiunque si metta in testa di non esserne capace'

Con la fede è un'altra faccenda. Ma a nessuno e permes-

so di mettere in testa agli altri che la fede è cosa dappoco

oppure ch'è una cosa facile, mentre essa è la piìr grande

e difficile di tutte.Si racconta la storia di Abramo in un altro Inodo,' !i

esalta la grazia di Dio che gli ha ridonato Isacco, che non

si è tratrato chadi una prova. Una prova, una parola cne

può dire mòlto o poco e il tutto sfuma in un baleno come

ia parola. Si cavalca I'lppogrifo e in un batter d'occhio

si é sul monte Moria, nello stesso istante si scorge l'arie-

te; si dimentica che Abramo ha cavalcato I'asino ch'è un

uii*ui. Ai putto -olto

lento' cLe ilviaggio durò tré gioi-

ni, che impiegò un certo tempo per allestirc la catasta, pel

legare Isacco e per affilare il coltello'"Eppure

si fa l'ilogio di Ab1qr4o.. L'óiatore può ben dor-

-irÉ iino ati',rttimo quartó O oiaprlma della predica, gli

uditori possono ben addormentarsi durante la predica: da

ambe le pafi non c'è infatti in questo nessun mconvemen-

te. Ma s; ci fosse qualcuno sofferente d'insonnia, allora

forse se ne tornerebbe a casa, si metterebbe in un cantuc-

cio pensando: tutto si risolve in un momento, aspetta un

minuto ed ecco I'ariete, la prova è finita. Se I'oratore lo

cogliesse in questa situazione, penso che facendo sfoggio

di iutta la s,.ra dignità I'apostroferebbe: <Miserabile, che

lasci sprofondare la tua anima in simili sciocchezze; non

accade nessun miracolo, è tutta la vita ch'è una prova>>'

Man mano che I'oratore procede con questa sfuriata, il

suo animo si scalda sempre piu e si compiace sempre più

di se slesso e mentre quando parlava di Abramo nessuno

si era accorto che il suo sangue si congesl ionasse' ora egli

ha l'impressione che una vena gli scoppi in fronte Fors-e

farebbé un colpo se il peccatore, con calma e dignità, gìi

rispondesse: <Ma hai gia predicato su questo I'ultima do-memca)).

Allora o facciamo piazza pulita di questa storia di Abra-mo, oppure cerchiamo d'imparare a spaventarci dell'eno!-me paradosso ch'è il significato della sua vita così da com-prendere che il nostro tempo,-come ogni tempo, solo seha la fede può essere felice. Se Abramo non era una nulli-tà. un fantasma, un lusso che si usa per passatempo, I'er-rore non può mai consistere nel fatto che il peccatore vo-glia fare come lui, ma si tratta di vedere la grandezza del-la sua condotta perché I'uomo possa giudicare se stesso,se abbia la vocazione e il coraggio di sobbarcarsi a unasimile prova. La contraddizione comica nella condotta del-l'oratore era ch'egli riduceva Abramo a una realtà insignificante ed esortava poi I'altro a seguire l'esempio diAbramo.

Non si dovrebbe allora parlare di Abramo? Io dico disì. Se dovessi pàilaiè clilui, lorrefanzitutto nàiraie il do-lore della sua prova. A questo scopo vorrel com€ unqsan-guisuga succhiare tutla I'angoscia, la sofferenza e la pena

della passione paterna per poter descrivere ciÒ che Abra-mo soffrì mentr'egli, oppresso da tutto questo, tuttavracredette. Vorrei ricordare che il viaggio durò tre giorni ebuona parte del quarto, e questi quattro giorni dovrebbe-ro durare pirì dei duemila anni che mi separano da Abra-mo. Allora ricorderei che, a mio awiso, ogni uomo può

ancora tornare indietro prima di cominciare un'impresasimile, può a ogni momento pentirsi e tornare indietro.Se si farÈr questo, io non temo nessun pericolo, né temodi suscitare nella gente il desiderio di essere provati a so-miglianza di Abramo. Ma se si vuol mettere sul mercatoun'edizione di Abramo a prezzi popolari e insieme esor-tare ognuno a fare come lui, allora si finisce nel ridicolo.

È mia intenzione ora di estrarre dalla storia 4i Abramosotto foma di problema il momento dialettico ch'essa con-tiené, per vedere quale enorme paradosso è la fede, un

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paradosso ch'è capace di trasformare un omicidio in, un'a-

il;; t;:r; e sraàita à pio, lt paradoslo òne iesrituisòè

il;;;A;;;. ai *i n.ttun peàsiero può impdàió;

nirsi poiché la fede comincia appunto la dove il pensiero

finisce. PROBLEMA Ist DA uNA sospENSIoNE TELEoLocIcA DELL'ETICA?

L'etica2r è come tale il generalez e, corne tale, è validoper ognuno: ciÒ che in un altro modo si può esprimeredicendo che vale a ogni momento. Esso rifigg4 !4rn1angn-te in se stesso, non ha nulla fuori di sé che sia il suo téì,oc,ma esso stesso è il rrioE. di tutto ciò ch'è fuori di se e quan-do -l'eti_ca ha assunto questo in sé, non si va piìr oltre. LlSingolo, concepito immediatamente come realtà, sensibilee plichica. è il Singolo che ha il suo ró},oE neil'un;uèisate;il suo compito qtlco è di elpll4qrg J9 J19!qo--!9L!9C!!Crela sua singolarità per diventare il generale. Appela il Sin;golo vuol farsi valere q9l!4 sua s14gq!qqr_1a-di Jrqnre all'u-niversale, egli allora pecca, e soltanto ricoiosqendo qÌe-sto (suo_ errore) può riconciliarsi con il generale. Og4u1o!4che il Singolo, dopo essere entrato nel generale, sente l'im-pulso di farsi vàlère cóme Sineóiò, ègli óa?è 1eU9scrupolo23 dal quale riesce a liberarsi soltanto pentendo-si e abbandonando se slesso come il Singolo nell'univer-sale. Se è questa la cosa piir alta chà si può dire delt'uomoe della sua esistenza, allora i'etica ha la stessa qualita del-la beatitudine eterna dell'uomo, la quale per rutta I'eter-nità e in ogni.momento è il suo ré),og: sarebbe infatti una

]] t<iert<egaarO al solito usa il neutro astrattoi deî Ethiske," Altro t€rmine astratto: det Almene, Irel senso di (universale)), co-

m€^lubito spiega iI contesto._ ' Anjaegtelse è tl termine proprio di Luferc (AnÍechtung), come sie detto sopra.

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contraddizione ch'essa potesse essere abbandonata (cioèsospesa teleologicamente); poiché essa, appena è sospe-sa. è perduta. menlre ciò ch'è sospeso non è perdulo maanzi è conservato in ciò ch'è più alto, ch'è il suo ré1,o3.

Stando così le cose, allora ha ragione Hegel quando de-termina I'uomo nel capitolo (Il bene e la coscienza> uni-camente come il Singolo e considera questa determinatezzacome una <<forma morale del male> (cfr. specialmenteRechtsphilosophida), la quale dev'essere tolta nella teleo-logia della realtà morale così che il Singolo che rimane inquello stadio o pecca o sta nello scrupolo. Hegel ha iwe-ce torto quando parla della fede25; ha torto !!!!hé n94protesta con alte e chiare parole perché Abramo goda ono-ri e gloria come un Padre della fede, mentre dovrebbe es-sere additato e caccialo come un assassino.

Infatti la fede è questo paradosso che il Singolo è pirìallo del generale però, si badi bene, in modo ahe il movi-mento si riprende; !l Singolo qi-rildi, dopo essere stato nelgenerale, ora come il Singolo esso si isola come più altodel generale. Se la fede non consiste in questo, Abramoè perduto, la fede allora non è mai esistita in questo mon-do: precisamente perché essa è esistita da sempre. Infattise I'etica, cioè la morale, è la cosa più alta e se nulla d'in-cómmensurabile ritorna nell'uomo in altro modo, se noncome questo incommensurabile ch'è il male, cioè il Sin-golo che dev'essère espresso nel generale - non c'è biso-gno più di altre categorie oltre quelle della filosofia grecao quelle che un pensiero coerente può derivare da essa.Questo Hegel non doveva nasconderlo, poiché egli era alcorrente con gli studi greci26.

24 Nella sezione <Das Cute und das Cewissen) III bene e la coscien'za|. \\ 129-41 .

l i i l r . specialmenre: LnUklop d. phitos. , iss. 564.rÓ La conoscenza diret la e approfondila da parle di Hegel del pen-

siero greco si vede soprattutto nelle opere delÌa matùrità (specialmenÌeVor[es. úber die Geschichte der Phitosophie, Votles. ùber die Aesthe'tik) ILezioni di stofia de a fibsofía, Lezioni di Esletical.

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Non di rado si sentono uomini i quali, per mancanzadi studi seri, si smarriscono in frasi, raccoìtano

"t . ,o-

pra-il mondo cristiano splende una luce, mentre sul paga_nesimo le tenebre incombono. euesto discorso mi è sem_pre sembrato strano quando ancora oggi ogni pensatore

311 nrito1O9, ogni arrisra piu serio si rlngiouanisce conr ererna glovinezza del popolo greco. Una simile espres_sione si spiega col fatro che non si sa.quel che si deveiire,ma si parla solo per dire qualcosa. È esatto se si dice cheil Pagalesimo non aveva la fede; ma se quest,espressionedeve_dire qualcosa, bisogna essere un po,più irecisi suciò che s'interde per fede poiché altrimenti ii riiade nellesolite frasi. È facile comprendere tutta I'esistenza con lafede senz'aver I'idea di ciò ch'è la fede, e colui poi chefa assegnamento sull,arnmirazione quando ha unà siffat_ta spiegazione, non fa poi il peggiore dei. calcoli poichésecondo Boileau: un so! trouve toujours un plus iot quiI'admirdj .

. La ferle è appunto questo paradosso, cioèche il Singo_lo come Singolo è pirì alro del génerale; esso è giusrificitoql rronte a questo. non subordinato ma sopraordinato.Questo lerò va inteso a questo modo: ch,è il Singolo ilquale, dopo esser stalo subordinato come Singolo al se_nerale, ora mediante il generale divenra if Sing-oto it q,;a_le,-come Singolo, è sopraordinato; il Singoló-come Sin_golo sta in un rapporto assoluro all 'Assoluio- euesto pun_to di vista non si lascia trattare cón la mediazìonr*, poi_ché ogni.rnediazione avviene appunto in tirtù detg;ra-le; esso e e resta per tutta l,eternità un paradosso, inac_cessibile per il pensiero. O Ia fede è questo paiadosió op_pqre (queste sono le conseguenze che prego i lettore si de_gni

-avere in mente in ogni punto, poiché sarebbe troppo

prolisso per me scriverle dappertutto) anche la fede nàn

jJ l:Yl9 ::'1..g lroya s:mplg ùno piu sciocco che t.ammira. -l- - ( loe con ta dlale ica hegel iana del r '5uperanenton.

8l

Page 41: Timore e tremore   Kierkegaard

è mai esistita, proprio perché essa è esistita da sempre'

Cioè, in alrre parole, Abrarno è perduto'

È verissimo che questo paradosso puÒ Iac menle orven-

tare ner il Singolo tfto scrupolo, ma questa non e una ra-

gione per nasionderlo. È anche vero che l' intera struttu-

ia ai motti uornini può essere tale che questo paradosso

li respinge, ma questo non autorizza a trasformare la fe-

à" i" q.iur"o.u d'altro per essere in grado di averla' ma

à"ua pi'uuotro ao"fessare di non averla; mentre coloro ch€

hannó la fede, devono riflettere che occorre porre alcuru

criteri per poter distinguere il paradosso da uno scrupo-

lo.La storia di Abramo conliene ora una simile sospen-

sione teleologica dèllietica. Non sono mancatl cerveul acurr'è

investiÉaiori profondl che hanno trovato analogre con

questa sória. Laloro saggezza procede dal bel principio

cne in fonOo tutto è la stessa cosa' Se si guarda però un

oo: oìu au ui.ino, uien molto da dubitare se in tutto il mon-

ào.ì troui una sola analogia - a eccezione di una seguen-

i.. "t.

non alrnottra nulla - quando sta saldo che Abra-

mo rappresenta la fede: ch'essa è normaìmente espressa

ii toi,-tà ""i

uitu "on

è soltanto la piÌr paradossale che si

".ti" oa"tu.., ma così paradossale che non si lascia af-

íutto J*.ut.. Agfi agisce in forza dell'assurdo; poiché è

o.oorio un assurdo che il Singolo sla pir) alto del genera-

i.. ói*. p"i"a"sso non si làscia mediare; poiché appe-

nu ùti (.q,utumo) comincia col mediare, deve.allora con-

fessa-re di trovarsi in uno scrupolo - q-uand'è cosi' non

àriiva mai a sacrificare Isacco oppure, qualora arr'es esa-

".ii i.uto Iru."o, dovrebbe col pentimenlo volgersi indie-

;;;;j;;".rt". In forza dell'assurdo eeli riottiene iiacco'

Abramo non è iiérciò in nessun momento un eloe tragr-

ao, rnu q.tul"oti oi tutt'altro: o un assassino o un creden-

i".tiu oàt".-in-ione intèrmedia2eche salva I'eroe tragi

29 Thulstrup lKomzeflrdr, p l?0) r imanda per queslo concelto aÌ-

t" v"it^'titiiíal ei"trer,k ói Hesel (Jubilàumsaussabe xlv' 525 sss')

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co, manca in Abramo. Perciò si ha ch'io posso compren-dere l'eroe tragico, ma non posso comprendere Abramo,benché in un certo senso pazzo io l'ammiri piÌl di tutti glialtri.

Il rapporto di Abramo a Isacco, sotto il profilo etico,è semplicemente questo: che il padre deve amare il figliopiir disè itesso. PerÒ I'etica ha dentro la sua propria sfe-r_a diversi gradi; vedremo se in quei racèontó si trovà qual-che espressione più alta per I'etica la quale possa spiegaredal punto di yista etico la sua condotta e possa giustifica-re eticamente per lui la sospensione del dovere etico versoil figlio senza che per questo esca dalla teleologia del do-vere etico,

Quando un progetto, in cui è impegnato un popolo in-tero, è impedito; quando una simile impresa è bloccatadallo sfavore del cielo, quando l'ira divina manda la cal-ma di mare che sfida tutti gli sforzi; quando I'aruspice as-solve il suo duro compito e annunzia che il dio vuole insacrificio una giovane ragazza - il padre allora offriràcon anirno eroico questo sacrificio. Con magnanimità na-sconderà il suo dolore, malgrado potesse desiderare di es-sere <<l'uomo semplice che può sfogare il pianto>> e nonil re che deve agire da re. E benché il dolore solitario siagiti nel suo petto, ed egli abbia solo tre confidenti nelpopolo, tutto il popolo sara presto al corrente del suo do-lore; ma sarà anche al corrente del suo gesto che per ilbene di tutti egli sacrificherebbe lei, ia figlia, la giovanedeliziosaragazza. <<Oh seno incantevole, oh belle guance,o capelli d'oro!>>3o. La figlia lo commuoverà con le suelagrime, il padre volgerà altrove il suo volto, ma l'eroealzerà il coltello.

dove Hegel parla del <... sentimento della riconciliazìone ÍGeÍùhl derVersòhnungl che la tragedia conserva mediante lo sguardo d€Il'etemasiustizia>.- 30 Euîipíde, Irtgenía ir Aulide, v- 681

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Ouando la norizia di questo latto giungerà alla casa pa-

t.ìu. i*,"i. uAre fanciulle della Grecia arrosriranno di

.niuiiutrno e se quella figlia era tidanzata' il suo amato

r"r ..tì*a *frÉ furie ma sarà fiero di partecipare all'a-

zione del padre ben ché la ragazza g\ appartenga con mag-

sior tenerezza che al Padre'" 'óuunao I i " , r .p ido giudice' che salvò Israele nel l 'ora

delia distretra, in un solo respiro lega Dio e se stesso ln

"lt"f" ""r., allora cambierà eroicamente il giubilo della

iloiun" rug-ru,lugioia dell'amata figlia' in dolore e tutto

?;;;;;i"""g# ""i

lei la sua giovine zza versinate (Jud''

ì i . js ;* . r , , "" ogni uomo bennalo capirà e ogni donna

".".*ti r.ti*ta Jefte, ogni vergine d'Israele desidere-

;;;i;";. ;"*. sua figlia' Infatti a che servirebbe che'rlrii

"in"..t..or.uo voio, se egli non 1o mantenesse? La

vittoria non sarebbe ancora una volta strappata al popo-

lo?'' Ouando un figlio dimenrica il suo dovere' quando lo

s,u.-o uitiau al pàdre la spada giustiziera' quando le l.eggi

;rù"t" .ft" f" i,*a sia inflitta dalla mano del padre3r -

àiiit" p"0." à"te eroicamente dimenticare che il colpe-

""i. ! ,rl' ittrr"' deve eroicamente nascondere il suo do-

lore: ma non ci sarà nessuno nel popolo' neppure il fi-

nì io. . r l . non ammir i i l padre - e ogni vol ta che si com-

il;;,;;;;Éi;cgi di Éoma' sarà ricordaro che molti le

hanno interpretale piìr dottamente ma nessuno plu ma-

gnificamente di Bruto.Se invece Agamennone, mentre un vento favorevole

.ondu."uu a ve-le spiegate la flotta verso it suo obiettivo'

u".tr" .ong"auto ii màsso ch'era andato a prendere Ifige-

niu o., ,u.iifi"uttu; se Jefte non fosse stato vincolato da

uriioà-.rl" a".it" il destino del popolo e avesse detto al-

la figlia: <piangi ora due mesi la tua breve grovrnezza'

3l Allusione alla congiura dei figli del console Lucio GìunÌo Bruto

.n'.rrîiLlJàiJ"iiià'-nìù p'"i'-i tr'"i 'rzo" v' 8' 1; 'i'

lI' 4 sgs )'

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poiché ti sacrificherò)); se Bruto avesse a\uto un figlio one-sto e avesse chiamato i littori per giustiziarlo - chi liavrebbe compresi? Se questi tre uomini, in risposta alladomanda: perché fate questo? avessero risposto: è unaprova a cui siamo stati sottoposti - li avrebbero forsecompresi meglio?

Quando Agamennone, Jefte e Bruto nel momento de-cisivo eroicamente superano il proprio dolore, perdonoeroicamente la persona amata e devono compiere soltan-to I'azione esterna, ci sarà mai nel mondo un'anima no-bile che non versi lagrime di compassione per il loro do-lore e di ammirazione per il loro gesto? Se invece, nel mo-mento decisivo dell'eroismo, col quale sopportavano il lo-ro dolore, questi tre uomini avessero detto: (non acca-dra> - chi li avrebbe compresi? Se essi avessero aggiun-to per spiegazione: lo crediamo in virtù dell'assurdo, chili avrebbe capiti meglio? chi non avrebbe facilmente com-preso che ciò era assurdo, ma chi avrebbe capito che sipotrebbe credere I'assurdo?

La differenza fra l'eroe tragico e Abramo balza agli oc-chi facilmente. L'eroe tragico rimane ancora dentro la sfe-

Lqetica. Per lui ógni espressione dell'etica ha il suo ré),oE;in un'espressione etica superiore; egli riduce il rappgrtoetico fra padre e figlio o fra padre e figlia a un sentimen-to Che hì lasuà dialettica nel suo rapporto all'idea di mo-ralità. Non ci può essere questione di una sospensione te-llglggi"u dell'etica.

Diversa è la situazione di Abramo. Egli ha cancellatocon la sua azione tutta I'etica ottenendo il suo té1.og supe-riore fuori di essa, rispetto al quale ha sospeso questa. In-fatti mi piacerebbe sapere come si può mettere I'azionedi Abramo in rapporto al generale e se è possibile scopri-re un punto di contatto qualsiasi fra ciò che Abramo hafatto e il generale, se non quella trasgressione che Abra-mo ha compiuta. Non per salvare il popolo, non per af-fermare l'idea dello Stato, non per placare l'ira degli dei

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Abramo lo fa, Se fosse in ballo l'ira della divinità' Dio

dovrebbe prendersela solo con Abramo, I'azione-nol stamersi in termini generali, deve dire che la sua situazioneè una tentazione'r. poiché egli non ha un'éspiessione piiralta del generale che stia al di sopra del generale ch'eglitrasgredisce.

Perciò mentre Abramo suscita la mia ammirazione, nel-lo stesso tempo mi spaventa. Colui che rinnega se stessoe si sacrifica per il dovere, rinunzia al finito per afferrarel'Infinito, ne è abbastanza sicuro; I'eroe tragico lascia ilcerto per ciò ch'è ancor piÌr certo e I'occhio dell'osserva-tore riposa tranquillo su di lui. Ma colui che lascia il ge-nerale per afferrare qualcosa di ancor piìr alto del genera-le, che fa? È possibile che questa non sia altro che unatentazione? Se questo è possibile, il Singolo che sbaglias-se, che salvezza ci sarebbe mai per lui? Egli soffre tuttoil dolore dell'eroe tragico annientando la sua gioia mon-dala, rinunzia a tutto e forse nello stesso momento si sbar-ra la via per la gioia superiore che gli era cara e ch'eglivorrebbe comperare a ogni prezzo. L'osseryatore non lopuÒ comprendere, né posare su lui l'occhio tranquillo. For-se neppure è possibile fare ciò che il credente intende, poi-ché questo è impensabile. Oppure se si facesse questo, seil Singolo avesse frainteso la divinità, quale salvezza ci sa-rebbe per lui? L'eroe tragico ha bisogno di lagrime e re-clama le lagrime, e dov'è l'occhio invidioso che fosse cosìsterile da non piangere con Agamennone, ma dov'è coluidall'animo così traviato da osar piangere su Abramo? L'e-roe tragico compie la sua azione in un momento di tempodeterminalo; ma nello scorrere del rempo. egli compiequalcosa che non è da meno, egli visita colui la cui animaè stretta dal dolore, il cui petto è soffocato dai singulti,i cui pensieri si librano pregnanti sopra di lui, fecondatidalle lagrirne; egli si presenta a lui, gli toglie la fattura deldolore, gli scioglie i lacci dal busto, gli asciuga le lagrime

33 Ancora il termine,4 nÍaegfelse, che qni si rende forse meglio con(aentaaonet .

in nessun rapporto col generale ma è un'impresa puramen-

i; ;;i;;i". i'ercio, mentre l'eroe ragico è giande per la

sua virtù morale, Abramo è grande per una virtù pura-

mente personale. Nella vita di Abramo non c'è espressio-

n*dc; Éiìt alta che questa: il padre deve amare il figlio'

i;.ìi.u tiJtigniri.ato di moralìtà qui non enlra assoluta-

menre in quesiione. Qualora il generale fosse presente' esso

sarebbe celato in Isacco e come nascosto, per cosl olre'

nei lombi d'Isacco32. Si dovrebbe allora gridare con. la

bocca d'Isacco: non lo fare, tu distruggi tutto!

E allora perché Abramo lo fa? In nome di Dio ed è del

tutto identico, in questo caso, in nome proprio' Lo fa ìq

nome di Dic, p"."hé Dio esige questa prova della sua fe-

de; lo fa in noine proprio per poter portare questa plova'

L'umiltà è espressa benissimo dall'espressione con cul sem-

pre s'indica questa situazione: è una prova' una tentazio-

ne. Una tentaz ione, ma cosa questo vuol dire? Vuol dire

di solito ciò che vuol distogliere I'uomo dal compiere il

Droorio dovere: ma qui la tenlazione è la stessa erica che

vuol distogliere I'uomo dal fare la votontà di Dio' Ma co-

s'è allora il dovere? Il dovere è-appunto l'espr-essìone del-

la volontà- di Djo.'

Qiri-si mostra la necessità di una nuova categorla per

coÀpiendere Abramo' Un simile rapporto veiso la divi-

niià è sconosciuto al Paganesimo. L'eroe tragico non si

presenta con un rapporto privato alla divinita, ma è l'eti'

i"iu iaria ai"m":'qui perciò il paràdosso si diisó-tve nel-la mediazione dell'universale'

Per Abramo non ci può essere mediazione' e questo sr

puÙanche esprimere diiendo: Abramo non può parlare'

Lpp"nu purló, io esprimo il generale e se non lo faccio

nesrrnorni capirebbé. Appena a.llora Abramo vuole espri-

32 Espressione biblica (cfu. Hebr,,1' 5 e l0)'

86

Page 44: Timore e tremore   Kierkegaard

affinché il sofferente dimentichi le proprie sofferenze in

quelle di lui. Su Abramo non si può pìangere' I luici:i

awicina con un fto rror religiosus conté Israele si awicinò

al montè Sinai (Exod.,20, l8 sgg.). - Se allora l'uomo

solitario che sale il monte Moria, il quale con la sua cima

svetta com'è alto il cielo sopra la pianura di Aulide; s'egli

non è un sonnambulo che cammina sicuro sull'abisso'

mentre chi sta ai piedi del monte e lo sta a guardare trema

-di angoscia, di rispetto e spavento senz'osare di chiamar-

lo una volta pensando: chissà se quell'uomo non sl con-

fonde in se.tesso, chissà se non sta commettendo uno sba-

glio! - Grazie tante! ancora grazie a colui che porgesse

i chi è stato sopraffatto dai dolori della vita e abbando-

nato nudo, la frase, la foglia d ella parol^ (Gen , 3

"1)

cotl.

cui potesse nascondere la sua miseria Siano rese grazte

a te, grande Shakespeare, tu che sei capace di dire tutto'

urrolútu."nt. tutto com'è - e però perché non hai rac-

contato questo tormento? I'hai forse riservato per te sLes-

so, come si serba il nome dell'amata che neppure st puo

toilerare che il mondo lo nomini? lnfatti il poeta acquista

questo potere delle parole per esprimere i pesanti segretl

iegli aliri al prezzo di un piccolo segreto ch'egli non puÒ

esfrimere - e un poeta non è un apostolo, egli scaccia

i iiavoli soltanto in virtit del diavolo (Mc', 3' 15 e 22)'

Ma cuando ora t 'et ica è sospesa teleologicamente' co-

me esisìe il Singolo nel quale essa è sospesa? Egli esiste

come il Singolo in contrasto al generale' Pe99a egli allo-

ra? Infatti [uesta è la forma del peccato, visto nell'Idea;

proprio come il bambino, anche se non pecca (poiché egli

non ha coscienza della sua esistenza come tale), la sua esi-

stenza vista neÌl'ldea è peccato e I'etica reclama la sua est-

genza a ogni momento. Se si nega che questa lorma sr puo

i ìperere in modo che non sia peccato, Abramo al lora è

cóndannaro. fg l i credet ie tRorn. 4, 3) . Queslo e i l para-

dosso col quale egli resta sulla cima, ch'egli non può spie-

gur" u ,r"riun altro: il paradosso consiste infatti ch'egli

88

si pone, come Singolo, in un rapporto assoluto all'Asso-luto. E egli arlorizzato? La sua autonzzazione costitui-sce a sua volta il paradosso; poiché se lo è, non lo è invirtir di qualcosa di generale, ma in virtù della sua condi-zione di Singolo.

Come può allora il Singolo certificare ch'egli è autoriz-zato? È abbastanza comodo livellare tutta l'esistenza al-I'idea di Stato o di comunità34. Facendo questo, è anchefacile fare la mediazione poiché allora non si giunge af-fatto al paradosso, che il Singolo come Singolo è più altodel generale: un principio ch'io posso esprimere anche conuna proposizione di Pitagora che il numero dispari è pitìtperfetto del numero pari. La risposta al paradosso, cheeventualmente si potrebbe sentire ai nostri giorni, suonapress'a poco così: dipende dal risultato! Un eroe ch'è di-\entato uno oXúvòct lov per isuoi contcmporanei , percheha la coscienza di essere un paradosso che non si può ren-dere intelligibile, costui grida sfidando i contemporanei:il risultato dimostreràr certamente ch'io ero a\lorízzalo!Ai nostri tempi questo grido si sente molto di rado, poi-ché se essi a loro svantaggio non producono eroi, hannoil vantaggio di produrre anche poche caricature. Quandoallora nel nostro tempo si sente l'espressione: sarà giudi-cato secondo il risultato, è anche subito chiaro con chi siha I'onore di parlare. Coloro che parlano a quel modosono una marmaglia numerosa che chiamerò, con un no-me comune, i docenti. Costoro vivono nei loro pensieriben assicurati all'esistenza, hanno una posizione solida eópinioni srcure in uno Stato ben organizzato; hanno se-coli, anzi millenni, che li separano dalle scosse dell'esisten-

_za; essi non temono che cose simili si ripetano: cosa di-rebbero la polizia e ì giornali? La loro attivirà nella vitaè quella di giudicare i grandi uomini e di giudicarli secon-do il risultato. Un atteggiamento simile verso la grandez-

34 Come fa Hegel nella sua Filosofia del diritlo, secondo la qùale èlo Stato ìa fonte di tutti i doveri giùridici, €tici e religiosi.

89

Page 45: Timore e tremore   Kierkegaard

za tradisce un misto di orgoglio e di miseria: di orgoglio,perché ci si crede chiamati a giudicare, di miseria perchénon si sente la propria neppure nella piir lontanta affinitàcon quella dei grandi. Chiunque sia un po' erecîioris in-gentfs, si guarda bene da diventare un freddo e flaccidomollusco. E quando si awicina alle cose grandi, egli nonsi lascia mai sfuggire di mente questo che, a partire dallacreazione del mondo, è stato uso e costume che il risulta-to viene per ultimo e che, se si vuol imparare in veritp qual-cosa dai grandi, bisogna precisamente prestare attenzio'ne all'inizio. Se colui che deve agire, vuol giudicare se stes-so dal risultato, non arrivera mai a cominciare. Se il ri-sultato può rallegrare il mondo intero, questo allieroe nonserve poiché egli viene a conoscenza del risultato soltantoquando tutto è passato - e non è per questo ch'egli di-venne un eroe, ma lo fu per questo: perché cominciÒ.

Inoltre (in quanto è la risposta della finitezza alla do-mairda infinita; il risultato è nella sua dialettica del tuttoeterogeneo con l'esistenza dell'eroe. Oppure il fatto cheAbramo ottenne cd n un milacólo lsacco, dovrà dimostrareche Abramo era autorizzato a rapportarsi come il Singo-lo al genere? Se Abramo avesse realmente sacrificato Isac-co, sarebbe per questo stato meno autorizzato?

Ma si è curiosi del risultato, come si è curiosi della con-clusione di un libro; dell'angoscia, della miseria, del pa-radosso, non si vuol saperne. Si civetta da esteti col risul-tj!t-o; esso gìunge altrettanto inatteso ma anche aÌtrettan-to facilmente come un terno al lotto e, quando si senteil risultato, si resta edificati. Eppure non c'è ladrolacri-iego, condannato a lavorare nelle miniere, che sia un cri-minale tanto spregevole come colui che saccheggia il sa-cro a queslo mondo: Giuda stesso, che vendette il suo Signore per 30 denari (Mt.,26, 15), non è piir spregevoledi colui che traffica così con la grandezza.

35 oDi levatura superiore> si dtebbe oggi Ìn italiano.

90

Ripugna alla mia anima it parlare in modo così disu-mano della grandezza, lasciarla fluttuare a una distanzaenorme in una forma indefinita, far sì che resti grande tra_scurando il lato umano senza il quale essa cessa di esseregrande. Infatti non è ciò che mi capita che mi fa grande,ma e ciò ch'io faccio che mi fa grande: nessuno penseràmai che qualcuno diventa grande perché ha imbroccarouna grossa vincila al lolto. Anche se un uomo aosse natodi umile condizione, esigo però da lui che non sia così di-sumano verso se stesso quasi non fosse capace di rappre-sentarsi il palazzo del re se non a distanza, sognando va_gamente la sua grandezza, e in una volta elevandolo e in_sieme distruggendolo poiché l,aveva esaltato in un modomeschino - esigo da lui che sia abbastanza uomo. Derfarsi avanti con fiducia e dignità anche qui. Egli non àe-v'essere disumano al punto da voler sfasciare tutto Dreci-pitandosi dalla strada nell'apparramenro del re: coiì egliperde piìr del re. Invece egli deve provare gioia nell,osser-vare ogni regola del galateo con allegro e fiducioso entu-siasmo che gli darà appunto franchezza. euesta è soltan-to un'immagine, poiché quella dilferenza non è che un'e-spressione molto imperfetta della distanza dello soirito.Esigo da ogni uomo che allonrani da sé ogni pensiàro in-degno dell'uomo che lo trattenesse dall'entrare in quei pa-lazzi dove non entra la memoria degli eletti ma vi abitanoessi stessi. Egli non deve entrare con arroganza rivendi-cando una parentela, egli deve ritenersi felice osni voltache s'inchina davanti a loro, ma insieme rocca essire fran-chi e fiduciosi: esserlo sempre più di una servetta - Doi-ché se non lo sara un po'di più, non riuscirà mai a en-trani. E ciò che I'aiuterà, saranno precisamente I'ango-scia e le tribolazioni in cui i grandi sono stati tentati Doi-ché allrimenti costoro, se lui ha almeno un po' di miàol-lo, non faranno che eccitare la sua giusta invidia. E ciòche sem_bra grande soltanto a distanza, ciò diventa gran-iG eràAe à frtsi vùotei ivuotàte, lo si anniènia da se siesi.

91

Page 46: Timore e tremore   Kierkegaard

Chi mai al mondo fu grande come [a Piena di Grazia?la Madre di Dio, la Vergine Maria? E pertanto come se

ne parla? La sua grandezza non viene dal fatto di essere

la benedetta fra le donne (Zc 1, 28 sgg.). Perché, se non

ci fosse questo caso strano che cololo che ascoltano siano

capaci di pensare in un modo così disumano come quelli

che scrivono, allora certamente ogni ragazza potrebbe

chiedere: - Perché non sono diventata anch'io la Piena

di Grazia? - E se non dovessi aggiungere altro, non re-

spingerei come stupida una simile questione; perché in ma-

tèria di favori, considerando la situazione in astratto, ogni

uomo ha gli stessi diritti. Si dimentica invece la sofferen-za, l'angoscia, il paradosso. Il mio pensiero è puro comequello di qualsiasi altro; e chi è in grado di pensare cose

siffatte, avra anch'egli un pensiero altrettanto puro, al-trimenti si aspetti senz'altro anche la cosa più tremenda.Perché colui che abbia suscitato una volta queste imma-gini, non potràr più disfarsene: e s'egli pecca contro di es-

se, queste allora con ira tranquilla si prendono una ven-

detta piìr tremenda dello schiamazzo di dieci censori. Cer-tamente Maria mise al mondo il Bambino in modo mira-

coloso; ma la cosa tuttavia awenne in lei al modo dellealtre donne, e quello fu un tempo di angoscia, di soffe-renza, di paradosso. L'angelo certamente era uno spiritoservizievole, ma non fu affatto uno spirito servile, che siasiportato dalle altre donzelle d'Israele per dir loro: <<Non

disprezzate Maria, quel che in lei si compie è la cosa straor-dinaria!>>36.

Invece I'angelo se ne venne solo a Maria, e nessuno lapotrebbe comprendere. Quale donna piìt offesa di Maria:e non è vero qui che colui che Dio benedice, col medesi-

36 Kierkegaard ritorna spesso su questo parallelo fra Altramo e M^a-ria vergine. presenlala come modello di grandezza ed erolsmo cleua le-de (cfr. C. Fabro, Rierkegaard, poeta'teologo dell'Annunciqzioúe' in(Humanitas), III, 1948, pp. 1025 seg.).

mo respiro Egli anche maledice? Questa è la interpreta-zione spirituale della situazione di Maria. Ella non è af-fatto - mi ripugna a dirlo, ma ancor più il pensare allasfordrlezza e alla civetteria di quanti I'hanno così inter-pretata - una gran dama che si mette in mostra per tta-stullarsi con un Dio Bambino. Non pertanto quando Ma-ria dice: <<Ecco, io sono I'ancella del Signore> (Ic., l, 38),ella è grande, e non dovrebbe essere difficile spiegare co-rne sia divenuta Madre di Dio. Maria non abbisogna del-I'ammirazione del mondo, così come Alr4mq 4o.p lra .b-i,-sogno di lagrime: perché ella n_on era un'eroina, né egliu-n eroe. Ma ambedue divennero ancor più grandi deglieroi non col fuggire la sofferenza, le pene, il paldq1so,bensì per via di essi.

È una cosa grande, quando il poeta nel presentare il suoeroe tragico all'ammirazione degli uomini osa dire: pìan-gete su di lui, egli ne è degno. Poiché è una cosa grandemeritare le lagrime di coloro che meritano di versarle. Èuna cosa grande che il poeta osi tenere in scacco la folla,osi mortificare gli uomini esigendo che ognuno provi sestesso se è degno di piangere sull'eroe, poiché il lagrimaredei piagnucoloni è una degradazione del sacro. - PiÌtgrande però di turîo questo è che il cavaliere della fedeosi dire perfino all 'uomo nobile-che volesse piangere sudi lui: lon piangere su di me, ma piangi su te stesso (Lc.,23,28).

Ci prende la commozione, si cerca di ritornare a queitempi beati, una dolce nostalgia ci porta al termine deldesiderio per vedere Cristo che si aggirava nella Terra Pro-messa. Si dimentica I'angoscia, le tribolazioni, il parados-so. Non è forse molto facile sbagliarsi? Non era una cosada metter spavento pensare che quest'Uomo, che si aggi-rava fra gli altri uomini, ch'egli fosse Dio? non era unacosa da far spavento il mettersi a tavola con lui? era unacosa tanto facile diventare un Apostolo? ma, e il risulta-to, e i diciotto secoli? essi aiutano ceÍo, aiutano a pro-

Page 47: Timore e tremore   Kierkegaard

durre quel losco inganno che pona a ingannare gli altri

. i i st.isi. Non mi sènto il coraggio di desiderare di essere

contemporaneo di simili eventi, ma per questo non grudl-

co con severità coloro che hanno sbagliato' ne dlmlnuF

ico il merito di coloro che hanno visto giusto'-- g ora ritorno aa Abramo. O prima del risultato Abra-

mo è stalo a ogni minuro un assassino, oppure noi ci Îro-

uiàrnó .oi putàaotso ch'è piir alto di tuîte le mediazioni'La storià di Abramo contiene allora la sospensione te-

leolosica dell'etica. Egli è come il Singolo divenrato pru

utio-íii g.n..ut.' queito è il paradosso che non si lascia

-.alu..]È ahretta;to inesplicabile sia come egli vi entri

,iu "o-"

ti-"ngu in esso' Se non è questa.la situazione

di Abramo, egli non è neppure un eroe tragrco m1q13s-.usl"o. Nó" Éu t.nso voiei continuare a chiamarlo il Pa-

ai. oàitu r"a. "

p-larne a gente che si preoccupa soltanto

di narole, L'uomo può rimanere un eroe tragrco con re

iu.'oioptl. tott., non un cavaliere della fede' Quando.unuonio iiiiup*na. il cammino aspro in un certo senso del-

i.io" ttugióo, allora molti possono consigliarlo; colui che

"u o"t-iu"Uu.tt.tra della tède, nessuno lo può consiglia-

re, nessuno riesce a capirlo. La fede è un prodigio' eppu-

re nessun uomo ne è escluso: poiché cÍò in cul ognl vlta

umana si unisce è ia passione * e la fede è una passíone'

* Lessinq ha espresso in qualche pa-rte qualche coqa di simile cla un

ounto di t i i ta puràmente estel ico. Fgl i vuole ìn fondo moslrare ln quel

i.ì;h; i;;il;; ;i può anche mànifestare con una battuta di spiri-

i;:É ;i;;;;;;;;;'i" tcopo una risposra delto sventuraro re d'lnshilter-

.ilaoJrao i i:n' unu a"lerminata si(uazione Per conlrapposizione a que'

,ìr ""riiio*,i

a" oiaerol ìl racconto di una contadina e una sua baltu-

;:dill.lrì;;";";;;a: ,.Anche quesLa era una batruta di spiriro e' qu€l

;";;; ;;;;;;;Jina; ma le circostanze la rendevano inevitabile'

; il;;noIi;id;";;iercare le rasioni delle espressioni spirirose del

lioré'. aelt arflizio"e nel fatto che la penona che le dice sia persola

""iìàiÀt.i, ui" .a*ata e per di più anihe spirito<ai poiché Ie passioni

riDortano lulli zli uomini all'eguqglianzat ma in questo' che prooaolF

mente oeni uo;o senza dislinzione nelle slesse cìrcoslanze avreDbe oer_

ià Ia steia cosa. Quel pensiero della conEdina avrebbe potufo e dovulo

"".tr" à"-.tt"ì." ì"ei"ai cosi come ciò che il re dice in quel caso' avreb'

il;;-,;;;lrl.;;h-. ;n conladino e senza dubbio I'avrebbe derro' (cfr

laí"-,ii;. w. ro, g. p. :zs; Kierkegaard cita I'ed di Berlino-steÎlinoiiii-itji tr it voll.,'che figura ne[ cataloso della sua biblioteca)

PROBLEMA IIESISTE UN DOVERE ASSOLUTO I'ERSO DIO?37

Il momento etico è il generale e come tale esprime a suavolta il divino38. Perciò si ha ragione di dire che ogni do-vere è in fondo un dovere verso Dio; ma se non si puÒdire di piìr, si dice nello stesso lempo che in fondo nonc'è nessun dovere verso Dio, Il dovere diventa dovere seè riferito a Dio, ma nel dovere io non entro in rapportocon Dio ma col prossimo che amo. Se a questo riguardoio dico che il mio dovere è di amare Dio, io non dico infondo che una tautologia, in quanto <Dio> qui è presoin senso del tutto astratto come la (divinità), cioè il ge-nerale, cioè il dovere. Tutta I'esistenza dell'umanita allo-ra si arrotonda e prende la forma di una sfera peÌfettadove il monìento etico è insieme il limite e il contenuto.Dio dive ta un punto invisibile ed evanescente, un pen-siero impotente la cui forza si esercita soltanto nella sferaetica che riempie l'€sist€nza. Se quindi qualcuno pensa di

3? n titolo è polemico contro la posizione detla filosofia moderrìa cheha finito per eliminare dall'etica i doveri religiosi, come fa per esempioKajit lJel],a Eîhische Etemenla ehrc,la qùale -a difÍerenza della Meta-phlsík der Sitten che include nella morale i doveri verso Dio (PÍíchtendes Menschen gegen ùbemenschliche Wesen,Cassfer VIl,223) - trattasoltanto d€i doveri che ha l'uomo verso di sé e verso gli altri e considerala <... religione come dottrina dei doveri verso Dio luori dei limiti delafilosofia morale pura) (Cassirer Vll, 302). Hegeì poi con la sua Filoro-Íía del dilíîb finisce per eliminare la stessa €tica, come insistera Kierke-gaard specialmente ifl Johannes climacus (1846) e ùel Bog om Adler0847\.

38 È sempre il neutro: det Ethiske, det Ahnene, det Guddomelíge-

95

Page 48: Timore e tremore   Kierkegaard

amare Dio in altro senso da quello indicato, egli è un sen-

dmentale, egli ama un fantasma il quale se potesse parla-

re. eli direbbe: <<Io non desidero il tuo amore' resta pure

. "u'*

tuufr. Se qualcuno pensa di amare Dio altrimenti'

luest'amore divànta sospetto come quello di cui parla

iourr.uu ,."ondo il quale un uomo ama i cafri invece di

amare il prosslmo.Se il fin qui detto è esatto, se non c'è nulla d'incom-

mensurabile nella vita dell'uomo e se I'incommensurabile

che vi si trova dipende unicamente dal caso da cui niente

r.nu" in ouun,o i'esisren,a è considerata sotto I' idea' al-

i"i" l.tÉr ha ragione; ma non ha ragione di parlare di

i;à; ; ó autoriz;are a vedere in Abramo il padre della

iede, perché con la seconda cosa egli ha giudicato-tanto

eUruéo "o-"

tu f.de' Nella filosofia hègeliana c'è il prin-

.i"i" lrt. <<l'èsierno (l'estrinsecazione) è piir alto dell'in-

t.ino,". ciÒ si spiega spesso col seguente esemplo:.ll

bambino è,,1'inter no" ld os I n nere\, l 'adulto l'esterno (da-s

îiiitirrl*: da ciò che segue èhe il bambino è determi-

nuto p., uia d.ll'.sterno; viceversa, I'adulto come I'ester-

' no t à.t.trninuto dall'interno' La fede invece è il para-

Josso ctre t'interiorità è più alta dell'estedorita, owero (per

ricordare la espressione surriportata), (il numero dtsparl

è piu alto del Pari".- 'r.r.tà.àn."rion. etica della vita ilcompito è di spogliarsi

della determinazione dell'interiorità e di esprimerla nel-

I'esterno. Ogni volta che il Singolo mostra rlpugnanza'

ogni volta ch'egli ritorna o scivola nelle determinazionidell'inreriorità del sentimento, dell'emozione ecc., egli pec-ca, cade nello scrupolo. Il paradosso della fede consistein questo che l'interiorità è incommensurabile con l'este-riorità, un'interiorità (si noti bene!) che non è identica al-la precedente ma è un'interiorità nuova. Quest'osseNa-zione non va trascurata. La filosofia moderna si è per-messa di fare senz'altro I'equivalenza di (fede) e imme-diatezza. Stando così le cose, è ridicolo negare che la fedesia sempre esist ita. La fede a questo modo enrra a far pànedella compagnia volgare del sentimento, dell'emozione,dell'idiosincrasia, dei vapeurs ecc.In questo senso la filo-sofia può aver ragione di dire che non si può rimanere nellostadio della fede. Ma non c'è nulla che autorizza la filo-sofia a questa terminologia. Prima della fede precede unmovimento dell'infinità, e poi interviene la fede, nec opi-nale ma \n forza dell'assurdo. Questo io lo posso cefta-mente comprendele, senza perciò pretendere di avere lafede. Se la fede non fosse se non ciò ch'è spaccíato perfede dalla tilosofia, allora Socrate è andató piùr avanti,mentre si sa che Socrare non è arrivato alla fede. Egli hafarro i i movimento del l ' inf in i tà dal punto div ista intel let-tuale. Questo compito era già sufficiente per le forze uma-ne, anche se al giorno d'oggi lo si disdegna; ma quandolo si è fatto per prima cosa, quando il Singolo si è esauri-ro nel movimento del l ' ln f in i to, quando si è giuni i aì pun-to, è allora che sorge la fede.

Il paradosso della fede è quindi questo, che il Singoloè più alto del generale, in modo che il Singolo (per ripren-dere una distinzione dogmatica ora raramente usata) de-termina il suo rapporto al generale mediante il suo rap-porto all',Assoluto e non il suo rapporto all'Assoluto me-diante il suo rapporto al generale. II paradosso si può an-che esprimere dicendo che c'è un dovere assoluto versoDio, perché in questo rapporto di dovere il Singolo si rap-portà come Singolo assolutamente all'Assoluto. Quando,

o?

39 Veramente il principio di Hegel, come lo stesso Kierkegaard af_

r..ru ìiti"ì r.rì 'c. labto' Kier'kclaatd cÌitico di Heg?l' vol ' cit''

i"Jl'si ílee.lì iii"r"l "l'. ' iè't"'no èi int"no" t wissenschot der Lo'

!ít. ri. eì,?li. L x"p.. cr Laîson ll. Éo 'Es t Enlyklop'' {r 140-I) ve-dr nota sg.

4 La ;itica al principio hegeliano (L'eslerno è ì'interno ['is-'4e!s_

,"r" i l"ai, iÀru"i" z t t motivà polemico centtale del l opeta di Kierke-

;; ; , ; . è;; ; ; ; ; ; apre ta crir i ia nel la prerazione ad '4'rAut \s v 't , Pref., p. l l l ) .

96

Page 49: Timore e tremore   Kierkegaard

a questo proposito, si dice che c'è il dovere di amare Dio'

si èsprime qúalcosa di ben altro dalla concezione ordina-

ria: poiché se il dovere verso Dio è assoluto, il momento

eticó è ridotto a qualcosa di relativo' Da questo non se-

sue che I'erica debba essere distrutta ma essa ottiene una

iott'ult.u espressione, I'espressione del paradosso' Per

esempio I'amore verso Dio può portare il cavaliere della

i.à" àu "tpt."io""

oppostuài "iò "he

può suggerire il do-

vere dal punto di vista dell'etica'Se le còse non stànno à questo modo, la fede non ha

il suo posto nell'esistenza, la fede diventa uno scrupolo

e Abramo è perduto perché vi ha ceduto'-

óì"tio oaradosso non si assoggetta alla mediazione'

p..ìhé ri rìpot" sul fatto che il Singolo è soltanto il Sin-

iolo. Appena il Singolo vuole esprimere il suo dovere as-

ioluto nella sfera del generale e ne prende coscienza' su-

bito si riconosce nella situazione di scrupolo e anche se

vi resiste non riesce a compiere il cosiddetto dovere asso-

luto; e se non lo fa, pecca, anche se il suo atto corrlspon-

de rialiter a ciò che costituisce il suo dovere assoluto' Che

doveva allora fare Abrarno? Se avesse detto a un altro:

<<Io amo Isacco più di qualsiasi cosa al mondo e per que-

sto mi riesce così duro il sacrificarlo>>, I'altro avrebbe po-

tuto rispondere scrollando le spalle: <E allora perché lo

vuoi sacrificare?>. A meno che costui non fosse un cer-

vello astuto e scoprisse che Abramo voleva mettere in piaz-

za i suoi sentimenti in stridente contrasto con Ia sua con-

dotta.Nella storia di Abramo noi troviamo un paradosso sif-

fatto. Il suo rapporto a Isacco ha come formula etica: il

padre ama il figlio. Questo rapporto etico è abbassato a

ioal"osu di relàtivo in contrasto al rapporto assoluto a

óio. antu domanda del <perché>, Abramo non ha altra

risposta se non che si tratta di una prova, di una t€ntazio-

ne dove (come si è già osservato) c'è la sintesi di ciò che

si fa per iddio e di ciò che si fa per ié' Anche il linguaggio

ordinario rileva la corrispondenza dei due membri. Quandocosì si vede qualcuno che fa qualcosa che non rientra nelgenerale, ecco subito a dire che non I'ha fatto per Iddio,intendendo con ciò di dire che ha agito per se stesso. Ilparadosso della fede ha perduto il momento intermedia-rio, cioè il generale Da una parte la fede è ltspressionedel supremo egoismo (fare la cosa spaventosa, farla perproprio conto); - dall'altra è I'espressione della devozio-ne piìr assoluta, cioè farlo per Iddio. La fede non puÒ conla mediazione entrare nel generale, perché a qrrestg qlodpviene eliminata. La fede è questo paradosso e iì Singoloiion può del tutto farsi comprendere da qualcuno. Ci s'im-magina, certo, che il Singolo possa farsi capire da qualchealtro che si trova nella stessa situazione. Questa conside-razione è inconcepibile, se ai nostri tempi non si cercassein tanti modi d'insinuarsi astutamente nelle cose grandi.Soltanto il cavaliere della fede non può venire in aiuto diun altro. O il Singolo stesso diventa il cavaliere della fedeassumendo per suo conto il paradosso, oppure non lo di.verra mai. Il cameratismo in queste sfere è del tutto in-concepibile Ciascuno non può avere che da se stesso ognipiÌr accurata spiegazione di ciò che si deve intendere perIsacco. E se, parlando in generalg si potesse determinarecon precisione sufficiente ciò che si deve intendere per Isac-co (ciò che del resto sarebbe una contraddizione la più ridicola, quella di riportare il Singolq che si defilisce in con-trasto al generalg sotto le categorie generali; mentre deveagire come Singolo, cioè fuori del generale), il Singolo nonpotrà mai averne ceÍtezza da parte di altri, ma soltantocome Singolo. Perciò anche se un uomo fosse così vile esgSggyglg d4 yS!9re diventarc cavaliere 4ella fede sotto laresponsabilità e garanzia altrui, tuttavia non ci riuscireb--te.

Quic e b grandezza del cavaliere della fede ch'io pos-

!g qg44lqglrlg cqmprendere senza raggiungerla, perché miman94 il cgraggio; ma questa è anche la cosa tremenda,ciò ch'io posso comprendere ancor meglio.

99

Page 50: Timore e tremore   Kierkegaard

Nel Vangeìo di Luca si trova un imponanÎe precetto clr-

.u il dou"ri urroluto verso Dio: <Se qualcuno viene a m.e

.-;;oì" ii p"a.e' la madre, la moÀlie, i figli' i tratelli

" i"

-t.lf". p.rfino la sua anima' non può essere.mio di-

sceDolor (lc', 14, 26). Questo è un discorso arduo' cnl

bo1'.a ur"ortutiof Per questo anche lo si ascolta molto ra-

iuÀ"nt"' qu"rto ,llenzio non è che un sotterfugio che non

t.in. u "oitu.

Pertanto lo studente di teologia viene a sa-

pere che questo testo si trova nel Nuovo Testamento ma

ir "*i.rtÉ

manuale di esegesi trova la spiegazione che il

uerùo ur,oeiuTf in questo e in un paio di altri le5Îi' sta per

uriroìu. urt. u di.. minus diligo' posthqbeo' non colo' ni-

tli iir:io. tt contesto non sembra però appoggiare quesla

eialiosa interpretazione. Infatti nel versetto seguente (v'

i8t l.eeiarno ìl ,u..onto di quell'uomo che volendo co-

;""ifi;" torre fa anziÌutto i calcoli per sapere se è in

grado di portare a termine I'irnpresa per non essere por

óee"tto Oi scherno. Lo slretlo rapporto in cui il racconto

riú "u.on quel verselto sembra precisamente indicare

che i termini devono essere presi come stanno' per tremen-

di che possano sembrare, perché ognuno provi a se stesso

se può condurre a termine I'edificio'Nel caso che quel pio e garbato esegeta' con quella-sua

-unoura p". it tiodurre di contrabbando il cristianesimo

nel mondo riuscisse a convincere qualcuno' che tanto con

la erammatica, quanto con la linguistica e xdr - Ólvo(^oTldv

i.í".""à. f'"""l"gia>) il senso del velsetto era quello del-

ì'altro testo, nello stesso momento egli anche dimostre-

iebbe che il cristianesimo è la cosa piri miseranda ch'esi

sie al mondo. Perché la dottrina che in una delle sue

espressioni pirì liriche - in cui pirì intensamente lermen-

ta la coscienza del suo valore eterno - si riduce a una

"rpr"rsione ,ttt po' chiassosa che non significa nulla e in-

,,iì,"#::; "+:i:::;:"iî];tr' ii,i:: ;;.+.:Ì;!i':. ;:î:1il5:.ii;p.87.

100

dica soltanto che bisogna essere meno benevoli, meno ri-guardosi, piìr indifferenti; la dottrina che nel momento in

òui dà I'impressione di spaventare, finisce in balbettamenti'è una dottrina che non vale la pena di seguire.

Le parole sono terribili, però io credo bene che si pos-

sono capire senza che per questo colui che le ha capite ab-

bia il coraggio di farlo' Si dovrebbe però avere l'onesladi confessare ciò che ivi sta scritto e di ammettere ch'èuna cosa grande anche se non si ha il coraggio per que-

sto. Colui che si comporta a questo modo non escluderàse stesso da quella partecipazione alla bella storia, poiché

essa include in un certo modo la consolazione per colui

che non ha il coraggio di cominciare con la costruzionedella torre. Ma bisogna esser.e 4C!11!Ct,9 nSli{l1glqre questa mancanza.di coraggio per um4!!. q!?-lqo !*9-ce essa è orgoglio, mentre il coraggio dglp l9d-e, q l gpjc-oumile coraggio.

Si vedè oiiiàcilmente che se il testo citato ha un senso'

esso va inteso alla lettera. Dio è colui che esig-e am-ol!e,as-.soluto. Ma colui ora che nell'esigere l'amore di una per-

sona pensa che questo amore si moslra con il conleg-no

;ìJìr"oia" verso ciò che d'altronde gli è piu iaro. costuinon è ioltanto un egoista ma anche uno sciocco e chi vo-

lesse esigere un amore siffatto sottoscriverebbe la sua con-

óanna a morte. CiÒ pertanto che per gli uomini passa per

egoismo e stupidità, il nostro esegeta lo considera una con-cezione degna della divinità!

Ma come allora odiare i nostri cari! Non voglio ricor-

dare qui Ia distinzione comune fra amare e odiare, nonperché io abbia delle riserve da fare in quanto quella di-

stinzione è passionale, ma perche e egoista e qui non con-viene. Se invece io consìdero il compito come un parados-

so. allora lo comprendo, cioè come si può comptendereun paradosso. Il dovere assoluto ,può. -allora co.ndurre a

fare ciò che l'etica proibirebbe, ma non può in nessun ca-

so portare il càialiere della fède a smettere di amare È

l0 l

Page 51: Timore e tremore   Kierkegaard

ciò che mostra Abramo. Nel momento in cui vuole sacri-ficare Isacco, secondo la morale bisognerebbe dire che loodia. Ma se odiasse veramente Isacco, egli potrebbe starsicuro che Dio non esige da lui questo sacrificio, perchéCaino e Abramo non sono identici. Abramo ama Isaccocon tutta I'anima, e quando Dio glielo domanda egli loama, se fosse possibile, ancora di più e solo così egli puòfarne il sacrificio; perché è questo amore per Isacco, perla sua opposizione paradossale all'amore che porta a Dio,che fa del suo atto un sacrificio. È questa I'angoscia e l'af-fanno del paradosso per cui Abramo umanamente par-lando non riesce a farsi comprendere. Soltanto nel mo-mento in cui il suo gesto si trova in assoluta Contraddizio-ne col suo sentimento, soltanto allora egli può sacrificarelsacqg; Fenanto l41q{1à !q19{ore}delsuo gesto appar-tiene alla sfera del ggqgl4g.e..!S.qle!ta sfera egli è e rima-ne un assassino,

tliiÍirè í tèiio di Luca (rc., 14, 26 ) si può intenderein modo da vedere che il cavaliere della fede non riescead avere comunque una espressione più alta dell'univer-sale (cioè il momento etico) in crd egli possa salvarsi. Quan'do così per esempio noi supponiamo che la Chiesa esigequesto sacrificio da un suo membro, noi abbiamo in mol-ti casi soltanto un eroe tragico. Infatti I'idea di Chiesa nonè qualitativamente diversa da quella di Stato in quanro ilSingolo può entrare in essa con semplice rnediazione. Er1 qqqry-o-i!.!!ngolo è entrato nel paradosso, egli non en-tra nell'idea di Chiesa; ma in qle:to paradqsso egli devetrovare o la sua perdizione o la sua salvezza. Un simileeroe ecclesiasrico esprime nellà-suà àzione iJ generaìe e nonc'è nessuno nella Chiesa - neppure suo padre e sua ma-dre - che non lo comprenda. Invece egli non è un cava-liere della fede e la sua risposta è anche diversa da quelladi Abramo: egli non dice che nel caso suo si tratta di unaprova o di una tentazione.

In generale ci si guarda bene dal citare simili testi come

t02

quello di Luca. Si teme di lasciare agli uomini la brigliasciolta, che accada il peggio, appena il Singolo volÀsecomportarsi come Singolo. Inoltre si crede che esistere co-me Singolo sia la cosa piìr facile del mondo e perciò si deb-ba costringere la genre a divenrare il generale. per parremia non mi sento di condividere ne quel timore né que_st'opinione e quesro per la medesima ragione. Chi ha im_parato che l'esistere come Singolo è la cosa più terribiledi tutte, non deve aver paura di dire che questa è anchela cosa pirì grande ma deve anche dirlo in modo che lesue parole non diventino una trappola per chi è traviatoma piuttosto I'aiutino a entrare nel generale anche se lesue parole s'impegnassero un poco a raccomandare lagrandezza. Chi non osa citare questi testi, non deve neo_pur osare di nominare Abramo e il pensare che I'esisreiecome Singolo è abbastanza comodo contiene una conces_sione indiretta a proprio riguardo molto sospetta. Infatticolui che ha veramente riguardo per se slesso e preoccu_pazione per Ia propria anima. è certo che coluiihe vivesotio la sua propria sorveglianza, solo in tutto il mondo,egfi vive con maggiore auslerità e riúratezza di una fan_ciulla nella sua stanza. Che ci siano alcuni che hanno bi_sogno di costrizione come quelli i quali, lasciati a niedelìbero, si avvoltolerebbero nel piacere egoisra come besliescatenate, e certamente vero; ma si tratta appunto di mo-strare che non si è come loro, proprio per questo che sap_piamo parlare con angoscia e timore. Si deve parlare cónrispelto della grandezza affinche essa non vaàa in oblìoper timore di qualche danno che ci sara certamente ouan-do se ne parla in modo che uno conosca ch'è la cosa sran_de. conosca il suo orrore poiché senza questo napp*a rane avverte la grandezza.

Vediamo un po'piir da vicino I'affanno e I'angoscia chesi trovano nel paradosso della fede. L'eroe tragico rinun_ ,zia a se stesso per esprimere il generaìe; il cavaliere dellàfede rinunzia al generale per diventare il Singolo. Come

103

Page 52: Timore e tremore   Kierkegaard

ho detto, tutto dipende dal modo in cui si prospetta la si-tuazione. Chi pensa che sia una cosa piacevole essere ilSingolo, costui può star sicuro che non lo saràr mai, per-ché gli uccelli in libertà e i geni vagabondi non sono cava-lieri della fede. Il cavaliere della fede sa. invece. ch'è ma-gnifico appartenere al generale. Egli sa ch'è bello e bene-fico essere il Singolo che traduce se stesso nel generale eche, per così dire, cura di dare di se stesso un'edizione pu-ra, elegante e per quanto è possibile, perfetta, accessibilea tutti. Egli sa ch'è confortante diventare comprensibilea tutti nella sfera del generale in modo ch'egli comprendequesto e che ogni Singolo, che comprende lui, compren-de a sua volta in lui il generale, così che ambedue si ralle-grano della sicurezza ch'è data dal generale. Esso sa ch'èbello nascere come il Singolo che ha nel generale la suapatria, il suo amichevole soggiorno che l'accetta subito abraccia aperte ogni volta ch'egli lo desidera. Ma egli an-che sa che al di sopra di questo si snoda una via solitaria,stretta e dirupata; egli sa com'è terribile esser nati solitarie messi fuori del generale, dover camminare senza incon-trare nessun compagno di viaggio. Egli sa benissimo do-ve si trova e come deve comportarsi con gli uomini, Uma-namente parlando egli è pazzo e non può farsi comprm-dere da alcuno. Se non lo si considera sotto questo puntoai Gta, egli e un ipocrita e lo è in un modo tanto piÌr tre-mendo quanto piu avanza nel suo cammino.

Il cavaliere della fede sa ch'è entusiasmante rinunciarea sè stesso per il generale, che per questo ci vuol corag-gio, ma conosce anche la sicurezza che questo contieneappunto perché è per il generale. Egli sa ch'è una cosasplendida essere compreso da ogni spirito nobile e in mo-do che lo stesso osservatore ne sia nobilitato. Questo eglilo sa e si sente quasi awinto, potrebbe desiderare che que-sto gli fosse assegnato come il suo compito. Così ancheAbramo avrebbe potuto desiderare che il suo compito fos-se di amare Isacco come deve e conviene a un padre, in

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modo comprensibile a tutti, indimenticabile nel temDo.Egli poreva desiderare che il suo compiro fosse quelló disacrificare Isacco (nell'interesse) per il generale e cosìavrebbe potuto entusiasmare i padri per le gesta famose- ed egli era quasi atterrito al pensiero che siffatti desi-deri non fossero che scrupolia2 i quali vanno trattati co-me tali. Egli sa di battere una via solitaria, di non com-piere nulla per il generale ma che si tratta di una tentazio_ne e di una prova. Che cosa ha mai fatto Abramo Der ilgenerale? Lasciare ch'io ne parli dal punro di vista uma-no, solo umano. Egli impiega 70 anni per avere un figliodt vecchiezza (Gen., 21, 5). per ciò che gli altri ottengonoben presto e ne godono a lungo, egli impiega ben 70 anni- e perché? Perché egli dev,essere tentato e provato. eue_sto non è pazzia? Ma Abramo credelte: sojo Sara vaCillóe lo spinse a prendere Agar per concubina ma proprio perquesto egìi dovette anche cacciarla via (Gen., l6 ,l sgg.).Egli ottiene Isacco - ed ecco ch,egli di nuovo dev,esseresottoposto alla prova. Sapeva bene ch'è una cosa masni_fica esprimere il generale, ch'è splendido vivere con Iiaè-co. Ma non e quesro i l suo compiro. Egl i saper a ch.è ungesto regale sacrificare il proprio figlió per ilgenerale, ch.e_gli avrebbe dovuto trovar riposo in questo e come la vo_cale trova riposo nella consonante così tutti avrebbero ri-posato celebrando il suo gesto - ma non è questo il suocompito: egli è provato. Quel generale rornano, ch'è fa_moso per il suo soprannome di Temporeggiatore (Cunc_tator)43, feîmò il nemico col temporeggiare * ma queltemporeggiare non è al suo confronto quello di Abramo- ma egli non salva lo Stato. euesto è il contenuto diquei 130 anni. Chi potesse sopportare questo, i suoi con_temporanei potrebbero dire di tui: <euello di Abramo èun temporeggiare eterno; alla fine egli ottenne un figlio;

42 Anfae7telser, come sopra e nel senso gia indicato_'- Quinlo labio Ma*imo. i l lemporeggiatore.

Page 53: Timore e tremore   Kierkegaard

ne era passato abbastanza del tempo, ed ecco che ora lo

vuol sacrificare - ma èpàzza? E magari ne desse almeno

una spiegazione, ma lui va sempre dicendo ch'è una pro-

va!>. Ma Abramo non poleva neppur dare una spiega-zione; infatti la sua vita è come un libro ch'è posto sottosisillo divino e non diventa pul'licí iuris.

ì questa la cosa spaventosa. Chi non lo vede, può esse-

re sicuro di non essere un cavaliere della fede; ma chi lo

vede, non potrà negare che perfino l'eroe tragico piìr ten-

tato ii trova come a una festa da ballo in confronto del-l 'eroe della fede che avanza lèntamente e arrancando' Equando si è risto questo e ci si è convinti di non avere il

òraggio per capirlo, allora si sospetterà senz'altro il pro-

digio óhe-quel cavaliere ha compiuto di diventare il confi-delnte di Dio, l'amico del Signore così ch'egli - per espri-

mermi in modo umano - dà del <tu> a Dio nei cieli, men-

tre I'eroe tragico lo invoca soltanto in terza persona'

L'eroe trasico ha subito finito. il suo combattimenlofinisce prestò: ha compiulo il movimento dell' infinira e

fare questo, egli cade nello scrupolo. Poi egli ha abbastan-za passione per esprimere in un batter d'occhio tutta que-sta cefezza e in modo che conservi il pieno valore che ave-va nel suo primo momento, Se non lo può, rimane fer-mo: poiché allora gli tocca cominciare sempre da quel pun-to, L'eroe tragico concentra dunque l'etica in un momen-to, egli teleologicamente è andato oltre, ma sotto questoaspetto ha un appoggio nel generale. II cavaliere della fe-de dispone solamente e unicamente di se stesso ed è in que-sto che consiste la cosa spaventosa. I p iu v ivono l 'obbl i -gazione etica in modo da lasciare a ogni giorno la sua pe-na, ma essi così non arrivano mai a questa concentrazio-ne infinita, a questa coscienza energica, Per ottenere que-sto, può essere utile in un certo senso all 'eroe tragico ilricorso al generale, ma il cavaliere della fede è solo in tut-to. L'eroe tragicó compie il suo atto e trova riposo nelgenerale, il cavaiiere della fede si mantiene continuamen-te in tensione. Agamennone rinuncia a Ifigenia e con que-sto ha trovato riposo nel generale, lotta ora per sacrifi-carla, Se Agamennone non compisse il movirnento, se lasua anima nel momento decisivo, invece della concentra-zione appassionata, si perdesse in chiacchiere: ch'egli hamolte figlie, che potrebbe ancora chissà accadere la cosastraordinaria a - egli non è piú un eroe, ma un tipo damanicomio. Anche Abramo ha la concentrazione dell'e-roc, anche se essa è per lui piÌr difficile poiché egli non

te nel rimanere nel Ioro dovere così da trasforúarlo col ioro entusiasmonel loro desiderio. L'eroe tragico rinuncia al suo desiderio per compiereil sùo dovere. Anche per I'eroe della fede il desiderio e il dovere sonoidentici, ma egli deve rinunciare a entrambi. Quando allora vuol rasse-gnarsi rinùnciando al suo desiderio, egli non trova pace p€rchó c'è il do-vere. Se vuol restare nel dovere e nel suo desiderio. non diventa Diil iÌca! al iere del ld fede: poiché i l do!ere a.,oluLo e,ige I ' c. i .amenle ch egl ivì rìnunci. L'eroe tragico ha raggiunto un'espressione piil alta del dove-re, ma non un dovere assolulo.

{ Kierkegaard usa qui, per dare risalto al concetto, due ternini te-deschi: yielleicht (<\forse>, e dqs Aeussercrderlllcle ((la cosa straordi-nanar).

ora si riposa tranquit[ó nél generalede invece è insonne perché per lui-l -prova è €ontinua e

a ogni momento c'è la possibilità di pentirsi e di far ritor-

no al generale e questa possibilità può essere tanto uno

scrupolo come la verità. Su questo punÎo egll non puo crue-

dere spiegazioné alcuna a nessuno, perché allora egli ab-

bandona il paradosso'Il cavaliere della fede ha quindi anzitutto e soprattutto

la passione necessaria per concentrare l'intera sfera etica

chiegli spèzza, in un unico momento, cioè nell'avèie la cer-

tezzl ch'egli ama I!4qco con tutta I'anima *. Se non può

t Vo ei ancora una volta spiegare la dilferenza tra la collisione del-

I'eroe tragico e del cavaliere della fede. L'eroe tragico ha la certezzalhel'obbliga;ione morale è totalmente presente in lui per il fatto ch'egli Ia

i ;r f"; ; ; i ; un del iderio. Cosi Agamennone può djre: la prota ch' io

non venqo meno al mio do\ere di padre è che que(Îo mlo dol€re e l l

mio unió desiderio. Abbiamo quind; qui dovere e desiderlo l-uno ol

iìont. Jfattto. n fo.luna nella vita consiste in questa coincidenza di

desiderio e alovere e viceversa, e il compito dei più consìste precisamen_

106 107

Page 54: Timore e tremore   Kierkegaard

ha nessun appoggio nel generale, ma egli compie ancoraun movimento con cui concentra la sua anima sul mira-colo. Se Abramo non I'avesse fatto, egli si ridurrebbe aessere soltanto un Agamennone; se comunque è possibilespiegare com'egli possa essere giustificato nel voler sacri-ficare Isacco quando co4questo il generale non ne ha tral-to alcun vantaggio.

Solo il Singolo può decidere se ora si trova realmentein uno scrupolo o se è il cavaliere della fede. Tuttavia ilparadosso permette di costruire alcuni criteri che può ca-pire anche chi non è implicato nel paradosso. Il vero ca-valiere della fede è sempre l'isolamento assoluto, quellofalso è settario. Questo (settarismo) è un tentativo per sal-tare dalla via stretta del paradosso e diventare l'eroe tra-gico a buon mercato. L'eroe tragico esprime il generalee si sacrifica per questo. Il puìcinella settario, invece di(far) questo, ha un teatro privato, cioè una squadra di ami-ci e compari buontemponi che rappresentano il generalepress'a poco come gli assessori della Tabacchiera dbroasin Gulddaasen rappresentano la giustizia. Il cavaliere del-la fede è invece il paradosso, è il Singolo, assolutamentesoltanto il Singolo senza connessioni o prolissità. Questaè la cosa spaventosa che I'omiciattolo settado non può sop-poftare. Infatti, invece d'imparare da questo ch'egli nonè in grado di compiere la cosa grande e di confessarlo sin-ceramente (cosa che naturalmente non posso che appro-vare, perché è ciò che faccio anch'io), il povero diavolocrede di riuscire a farcela unendosi con quattro altri po-veri diavoli come lui. Ma la cosa non riesce affatto: nelmondo dello spirito non si riesce a farla franca. Una doz-zina di settari si prendono sottobraccio; costoro non com-prendono un'acca degli scrupoli solitari che attendono ilcavaliere della fede, ch'egli non osa sfuggire poiché sa-rebbe ancor più spaventoso s'egli avesse l'impudenza di

45 L'autore è chr. olufsen 11793).

sfondare. I settari si allenano insieme con un chiasso e bac_cano del diavolo, con i loro strilli tengono lontana l,an_goscia. E questa masnada di bestie urlanti crede di far lascalata al cielo6 e di entrarvi per la stessa strada del ca_valiere della fede che nella solitudine dell'universo nonascolta mai nessuna voce umana, ma se ne va solo conla sua spaventosa responsabilità.

Il cavaliere della fede ha per appoggio unicamente sesresso e soffre il dolore di non poter farsi comprenderedagli altri, ma non ha la vuota smania di guidare gli altri.Il dolore è la sua garanzia; egli non conosce la smania va_na e ia sua anima è troppo seria per una cosa simile. llfalso cavaliere si tradisce facilmenre con questa maestriach'egli ha acquistata in un morùento. Eglinon compren_de affatto ciÒ di cui si parla se non quando un altro Sin_golo deve fare la sua stessa strada, quando deve diventa-re il Singolo esattamente allo stesso modo come lui sen_z'avere quindi bisogno della guida di nessuno, e meno ditutto di chi volesse costringerlo. eui si salta ancora unavolta, non si può sopportare il martirio dell,incomoren_sione e si preferisce l'ammirazione del mondo Der la nro_pria abilita. II vero cavaliere della fede è un tèstimonio,mai un maestro e in ciò sta il profondo senso umano ch,éqlalcosa di ben piir impegnativo della scipita partecipa-zone per i guai degli altri uomini, partecipazione ch,è ono_rata col nome di <simpatia>, mentre non si tratta che divanità. Chi vuol essere unicamente testimonio, lo confes_sa mostrando che nessun uomo, neppure il più misero, ab_bisogna della partecipazione di un a.ltro uomo, oppure chedev'essere umiliato perché un altro sia esaltato. Ma Doi-ché egli ha comperalo a ca-ro prezro, non uende cenamànrea basso prezzo, non è così spregevole d'accettare l,ammi_razione degli uomini per ricambiarla con segreto disprez_zo. Eglì sa che la grandezza è in verità accessibile a turri.

tr Come i ciganti nella mitologia greco.

Page 55: Timore e tremore   Kierkegaard

Quindi, o c'è un dovere assoluto verso Dio e allora es-so coincide col paradosso ora descritto che il Singolo co-me Singolo è più alto del generale e si trova perciò in unrapporto assoluto all'Assoluto: o altrimenti la fede nonè maj stata. perchd è sempre slata. e Abramo è perdutoe il testo di L]uca 14, e i testi similari vanno interpretatialla stregua di quelJ'etegante esegesi'

PROBLEMA IIIDAL PUNIO DI VIS]A I ,TICO 5I PUO SCUSARE I I SILTNZIO

DI ABfu\MO C]ON SARA, ELIEZER, TSACCOSLL SUO PROCi,TIOÎ

L'etica è come tale il generale, come il generale è asua volta ciò ch'è manifesto. Determinato come imme-diatamente sensibile e psichico,-il Singolo è il nascosto.I l suo compito er ico è al lora quel lo di voler uscire dal suonascondimento e diventare manifesto nel generale. Ognivolta allora che rimane nel nascondimento, egli pena esi trova nello scrupolo da cui può uscire soltanto colmanifestarsi.

Qui ci troviamo di nuovo allo stesso punîo. Se non c,èun' in ler ior j tà che ha la sua ragione in quesro che i l Singo-lo come Singolo è piir alto del generale, la condottidiAbramo non si può scusare. poiché egli ha saltaro le istanzeet iche i l l rermcdie. Se invece si dà una si f fat ta inrer ior i tà.allola abbiamo il parado\5o che non si lascia mediare poi-ché_esso riposa appunto su questo che il Singolo è piìr al_to del generale, ma il generale è precisamente la media-

fatti non è la prima immedialezza, ma una ulteriore. Laprima immediatezza è quella estetica, qui la filosofia he_

a? Per it prìncìpio soprariportato che (l,esterno è l,interno).

,48 lnfatri-per Hegel (l,essenza deve apparr îe) (t)os Wesen muss er-.chelhen. Ch. W,.5. d. LoglA, . Buclr.2. nU,cln.: I_as.on i i ,- fOi,Cfr. EnUklop.. \ 383).

1l l

Page 56: Timore e tremore   Kierkegaard

geliana può aver ragione. Ma la fede non è il momentoesterico oppure anche la fede non è mai esistila perché èesistita.

Qui il meglio è di considerare I'intera faccenda da unpunto di v i5 la puramente estet ico e al la f ine d ' impegnarr iin una riflessione estetica nella quale voglio pregare il let-tore di abbandonarsi per un momento compìetamente,mentre io per portare il mio contributo modificherò la miaesposizione a seconda degli oggetti. La categoria che pren-derò in speciale considerazione è I'irteressdnîe: una cate-goria la quale, specialmente nel nostro tempo - appuntoperché il tempo vive in discrimine rerum - ha ottenutogrande importanza poiché essa in fondo è la categoria delpunto di volta. Non si dovrebbe perciò come alle volte ac-cade, dopo averla ammirata pro virll/, schernirla perchénoi siamo cresciuti, ma neppure essere troppo avidi nelcercarla; è certo infatti che ottenere di diventare interes-santi o di condurre una vita interessante non è un compi-to di impegno aÍistico, ma un privilegio del destino chesi paga con profondo dolore come ogm altro privilegiumnel mondo dello spirito4e. Così Socrate era I'uomo più in-teressante che sia mai stato, la sua vita è la più interessan-te Oètta stóiià, ma questa esistenza gli fu assegnata dal dioe in quanto ha dovuto acquistarsela da sé: egli ha ancheconosciuto pene e dolori. Chiunque prende la vita sul se-rio - e non mancano oggi esempi di una simile aspira-zione * non prenderà una siffatta vita invano. L'interes-sante è del resto una categoria-limite, v\ confinium ÎraI'eslelica e I'elica. Per queslo la riflessione deve conlìnua-mente sbirciare nel campo dell'etica: mentre, per poter ot-tenere importanza, deve afferrare il problema con la con-cupiscenza e I'interiorità estetica. Nel nostro tempo l'eti-ca si occupa raramente di queste cose. La ragione potreb-

49 È la tesi che svolgono i Díapsalmala in apertura di Aul-Aut.

be essere che per questo non c'è posto nel sistema5o. Al_lora.si potrebbe farlo in monogralie e inoltre, per evitareprolissità, si può farlo brevemente e con lo stesso risulta_to: qualora si tenga owiamente in proprio potere il pre_dicato, poiché uno o due predicati pojsono manitesiaieun intero mondo. Ci sarebbe posto sì o no, nel sistema,per simili parolette?

Aristotele dice nella sua immortale poellca: òúo pèv oúvroù pú rlou gipr1. nepì taùr'èorl, nepurerera xar dvcr_Tv(,)plot6 (ctr . c. l l ) . Naturalmenie a me interessasoltanto &vc1vóproq, il secondo momento, iÌ .i;o;;:scimenro. ovunque si parla di un ,i.onos.irn.nro, ii i iuì_ta eo ipso di un precedente occultamento. Come il rico-noscimento diventa al momenio diitenriuo, ,itus-i., coriI'occultamento è il momento di tensione della vita araÀ_matica.. Non posso qui indugiare sugli sviluppi che Arì-:1o,.1: ll esposro prima net capiroto riguardo ai meritiolversl della tragedia secondo che reprnérera e civalvóptor6operano insieme, e sul riconoscimento semplice edoppio, anche se questo con la interiorità e Ia sua tran_quilla perdizione mette in tentazione specialmente chi or_maj è arcistufo della superficialità dei volgarizzatori. euipuò bastare.un'osservazione piìr generale. Nella trageàiagreca l'occullamento (e perciò, come sua conseguen-za, ilnconosclmenlo) e un resto epico che ha il suo fondamen_to nel faro nel quale I'azione drammarica svanisce e dallTI.,*:i

ha la sua oscura enigmatica origine. Ol qui Je_nva.cne t'el tetto, che una tragedia greca produce, ha unasomiglianza con l,impressione di una statua che manca del_la potenza degli occhi. La tragedia greca è cieca. perciòoccorre una certa astrazione per lasciarsi influenzare con_veruentemente da essa. Un figlio uccide il padre, ma solo

50 Cioè nelta filosofia hegeliana.

---)r [ .Due infal l i sono le part i del la farola a queslo r igùardo: Ia peri_pez,a e tt flconoscimento, I

l l3

Page 57: Timore e tremore   Kierkegaard

dopo egli riesce-a sapere ch': 1".:;*:.H,X,TJ:*1":TIsairificare suo fratello, ma solo n

ià'rì.1.. "

tup"tro Queslo tipo di tragedia può interessa'

;:;Hìr";'",ì;; àoca aedna. atta riflessione' tt dram-

i" *"à.." -tt"

"ub-andonato il destino' si è drammallca-

..ti. .. "".1 p".. è vessenr e'

-scr u:1,::

:il:ìil'#l;me ir destino ne[a:-":']:,1i Îl,H';;ioii à.ìitio. a"il"e manifestazione sono allora uo(

t"ff ;'Jt'ifi l"J:"H:"iernohabisognod'll-':T::l-

In""io .i"ff;o."uftamento come di un elemento essenzra-

i". i-Àt. *o*n"o portare de€li esempi a questo rrguar-

io. l-o uut *,u:'"'""j::. 9l í?#fi ':[;H :i$ì1:nel nostro tempo è Preso da une

;;;;';; ; ";, " cú' esso c on cePi sc:.?: 11.:"fl [l"l;'J1

'j'ffft 1lli,tî:ffJ.Tà"#'i"*:*u,",i*,Denso quindi che ognuno' apperi"*."tt6t, l."o*e-di tar uscire dalla manica Bna mezzà

;;;#;ì;;;,'"11:'lT,"ili;,i"?i"i'.,il:"HiJ.s:mi limiterò. a un'otttll11t:1":rrrroducendo

così t,azionecolui che gioca a nascondlno e r

drammatica nel pezzo nasconoe qual che nonsenso'-noi ab-

biamo per risultato una -commedia;

se invece egli sta in

.uooorto aff ia.a, può allora awicinarsi a diventare urt

ii55ìtàtr.J.-É;;; qui soltanto un esempio di comicita'

Y;*u ;*n* ;:fflf"ì",ff '"ruf i.q':'!'q!ffi;,'ftft;;;;Lie allac.ipria e alt" p3:"!lu-11*rendono assolutamente irresistjbile' Egli acchiappa una ra-

;;;;;;i;;ì;o della felicita' E ora viene il bello della

:ffi;, ;;;; di conressarlo' non Perdera 1'e1 Tii

l;:ll'"";"",r;mli1fÌ'?[.",i'Ll'î::''::iffi "'ll#;?;52 Nella rr isl . anim',! ,4'

114

- L'occultamento è una sua libera dzione di cui egli è re-

,o-ruUit" Oi fronte all'estetica. Questa scienza non è ami-

cà deua calvizie ipocrita e l'abbandona al ridicolo' Que-

sto può bastare per farmi intendere: il comico non puo

essere I'oggetto che interessa qu€sta nostra rrcerca'='iuìi"

""rt:lo no aa percorrere è dì èspórié l'òècuitamento

diaietticamente, ai confini dell'estetica e dell'etica; poi-

.il ri iiut," .rté r'occultam€nto esletico e il paradòsso si

rnostrano nella loro diversitèr assoluta'Un oaio di esempi . l)na ragazza è innamorata segreta-

-.-nr."J un uo*o,..ntu p"tó che abbiano mai dichiara-

to l'un I'altra il reciproco amore. I genirori la costringo-

no a soosare un ahro (ella lo può fare anche per pleta ti-

liale); ella obbedisce ai genitori, cela il s{o segreto <per

non íendere infelice l'altro' e nessuno riuscirÈr a sapere quel

ch'ella soffre>. - Oppure un giovane potrebbe con una

sola oarola venire in possesso dell'oggetto delle sue aspt-

razioni e dei suoi sogni inquieti' Questa paloletta com-

prometterà tuttavia, e forse (chissà!) distruggerà un'inte-

ia famiglia: egli decide con magnanimità di mantenere il

sro ,agi"to e <<quella ragazza non riuscira mai a sapere

.hl"ttu'fott" pn8 diu"tttut" felice accettando la mano di

"n uft.on. È un pec"uto che questa coppia di amanti'.di

cui ognuno in paiticolare è nascostg per il rispettivo' sia-

no ui.tt" nascòsti I'uno per I'altra: qui si potrebbe altri-

menti realizzare un'eccellente superiore unità' Il loro oc-

cultamento è un'azione libera di cui essi stessi sono respon-

sabili anche verso l'estetica. L'estetica è una scienza sen-

sibile e cordiale che conosce molte piìr soluzioni di un ge-

rente del monte di pieta. A ora cosa fa? Essa si-melte- a

fare tutto il possibile per gli amanti' Ecco che per caso

ognuno dei due rispenivi candidati al matrimonio riesce

;-";;;;. ;; ;.e". àella nobile-decisione dell'altra parte'

funVa ; ";aipiegàziòne,

si sposano e fanno insieme la

ii*t" o.gri"*.",icì eroi; infani' benché non abbiano nep-

óire auuio il tempo di dormire sulla loro eroica risoluzio-

I l5

Page 58: Timore e tremore   Kierkegaard

ne, I'estetica considera questo come se avessero combat-tuto coraggiosamente anni e anni per mantenere il loroproposito. L'estetica infatti non si preoccupa del tempo,sia che si tratti di una cosa seria o di uno scherzo: oer leiesso scorre egualmente veloce.

Ma l'etica non conosce né quei casi, né quel sentimen-talismo, né ha un concetto così sbrigativo del tempo. Quila faccenda prende un altro aspetto. L'etica non si prestaalle discussioni, poiché essa ha categorie pure. L'etica nonsi richiama all'esperienza ch'è anche fra le cose ridicolela più ridicola e tanto lontana dal rendere un uomo sag-gio che piuttosto Io fa impazzire se costui non conosce nul-la di p iu aho. L 'er ica non conosce i lcaso, quindi non vie-ne a una spiegazione, non scherza con le dignità; essa po-ne una responsabilità enorme sulle magre spalle dell'eroe,condanna come presunzione il voler fare da provvidenzacon le proprie azioni ma condanna anche il volerlo farecon la propria sofferenza. Essa invita a credere alla realtàe ad avere il coraggio di lottare contro tutte le tribolazio-ni della realtà, soprattutto contro queste sofferenze in-cruente che si assumono con la propria responsabilità; met-te in guardia contro il credere agli astuti calcoli dell'intel-ligenza che sono pirì bugiardi degli oracoli antichi. Essamette in guardia contro ogni magnanimità intempestiva,lascia fare alla realtà: c'è tempo per mostrare il coraggio,ma poi I'etica stessa offre tutta I'assistenza possibile. Tut-tavia se quei due fossero toccati da qualcosa di piir pro-fondo, se vedessero con serietà il loro compito, se avesse-ro Ia serietà di cominciare, certamente qualche risultatoci sarebbe, ma l'etica non li può aiutare, eqsa è offesa:poiché hanno un segreto per lei, ch'essi mantengono a tut-to loro rischio e pericolo.

L'estetica quindi esige occultamento e lo premia, I'eti-ca esige manifestazione e punisce la segretezza.

Tìrtta.,7ia alle volte anche l'estetica esige manifestazio-ne. Quando l'eroe, intrappolato in un'il lusione estetica,

n6

crede col suo silenzio di salvare un altro uomo essa esigesilenzio e lo premia. euando invece l,eroe con la sua azioiesi meue a lare confusione nel la v i ra di un al t ro uomo. es_sa allora esige manifes1.44ioq9. Eccomi qui con I'eroè trà-gico. Voglio considerare pe. un mome nto l,Ifigenia in Au_lde di Euripide. Agamennone deve sacrificare lfieenia.L 'estet ica per questo esige ora da Agamennone si lànzio:sarebbe indegno per un eroe cercare conforto da un altrouomo, anche per riguardo verso la donna egli deve na_scondere il più possibile la cosa. D,altra parte l,eroe, sevuol proprio essere tale, dev'essere tentato nello scruDoloorrendo che gl i prepareranno Ie lagr ime di Cl i rennesira ed'Ifigenia. Che fa I'estetica? Essa offre una scappatoia,ha pronto un vecchio servitore il quaìe rivela tutió a CL_tennestra. Ora tutto è a posto.

L'etica però non ha a portata di mano nessuna casuali-ta e nessun vecchio servo. L,idea estetica si autocontrad_dice appena dev'essere tradotta ng]la 1eat1a.1 *icaìsigeperciò manifestazione. L'eroe ìragrco mostra appunto ilsuo coraggio et ico perche. senz'essere inr ischiato da nes_suna illusione estetica, annunzia a Ifigenia il suo destino.Se fa questo, egli è allora il figlio pieaileito dell,etica nelquale essa ha la sua compiacenza (Mt , 17.5). Se tace, al_lora può essere perché egli crede con questo di alleviarela prova agli altri ma può anche essere perché così facen-do I'allevia a se stesso. però egli sa di essere libero a que_slo riguardo. Se tace, si assume come il Singolo Ia respon_sabilità in quanto egli trascura un argomento che puó ve-nireda fuori, Questo non lo può fare come eroe tragico;porcne appunto per quesîo l,etica lo ama, poiché egli sem-pre esprime il generale. La sua azione eroica esige corag-gro, ma questo coraggio esige anche ch.egli non si sottrag_ga nessuna argomeltg4ong, Ora è certo ihele lagrime so-no un tremendo orgumentum ad hominem e le lasrimepossono ben commuovere anche chi è impassibile per t ur_to iI resto. Nella tragedia ifigenia ottiene il permisso di

117

Page 59: Timore e tremore   Kierkegaard

Diansere: in realta le si concedono per piangerg du".1":l '

comà oer la Îiglia di Jel're llud" ll ' 37)' non rn solrluqr-

n", .u A pi.aia.f padre e facendo uso di tutta la sua arte

iiiuttu torò di lagrime> e abbracciandogli le ginocchia in-

i;;;";i;;;"ósr il ramo di ulivo dei supplici (cfr' v'

rz24).'-il'a.tatl"u

"rig" *anifestazione, ma si aiuta con ilcaso'

L'etica esige manifestazione e trova nell'eroe tragico la sua

sòdciisfazióne.-1.i"ì"ì"0" i" severità con cui I'etica esige la manifesta-

,i""",i"" ,i p"t però negare che il segreto e il sileruio

i"i"" o.oti"t* te la gtandezza di un uomo poiché so-

nì'J*J*inurioni dell' interiorità' Quando Amore lascia'pri.rtà

i. ii.", partorirai un bambino che sarà un dio se

tu tacerai, ma un uomo se tu tradisci il segreto53' L'eroe

iàtì.", .rt'C rr favorito dell'etica' è l 'uomo lallo statol pu-

;;:i; l;;"*" anche comprendere e tutta la sua impresa

è;;;;;;tò ch'è manifàsto' Se vado piu avanti' allora

i"l;;i;;;. sempre nel paradosso' in quello djvino e.de-

;;il;';;t.ht:i silenzio è l'uno e I'altro tt q!!91.2i9.!

i"l.J"r-i"* i.r diavolo e piir si race e piu il demone d!

venla lerribile, ma il silenzio è anche Ia mutua rntesa lra

la diviniiq e ìl Singolo.iutruuiu pri*a d-i nassare alla qtoria di Abramo' vorrei

,i.uo.ur" ,tt puio d'individualità poetiche' Con il potere

aii" at"l*ià r. ,errò sulla cima e, poiché agito su.di lo-

io'iu ait.ipfmu O.lla disperazione' impedirò loro di star-

,.* ,"-qtiiir così che nella loro angoscia possano fare

I'una o l'altra scoperta * '

53 cfr. Diapsalmata.ln questo volume' a p' 176'

* Ouesl i movlmenLi e quesl i at leggiamenti certamente non possono

lu"":,*'i:: í:il ;irl:K:lllí;lt':'"'"','];:',u"':il: :i!f"Tii:i 'J^' ì ì ; ; ; ;ù;ìJ"

'v.gJio soltanto - poiché è'empre pef me una grora

:fi,':.'lT'tîH.;;:il'li;: :;:.''"E*""'Jff 'lfi t:';;il:l"il;l l8

Aristotele nella sua Poliîica narral.J'na storia sulf inquie-tudine politica in Delfi ch'era sta!4 proyqcitll.qa g!!4:sticcio matrimoniale. Il Íidanzato, cui gli Auguri aveta'Ào preàetto una dis[razia che sarebbe seguita'al suo ma-trimonio, cdmbia-d'improvviso i! ryq pig4o 491 mot4e119decisivo quando va per prendere Ia fidanzaîo - rifiutacioè di celebrare le nozze *. Non ho bisogno di altro. ADelfi quest'evento non passò senza lagrime; se un poetane avesse preso lo spunto per un dramma, potrebbe fareassegnamento sicuro sulla paÍecipazione. Non è forse .spa-veltoso che l'amore, il quale spesso e volentieri nella vitaè proscritto, ora sia privato anche dell'assistenza del cie-lo? L'antico proverbio che <il matrimonio è contratto incielo>, non è qui schernito? Di solito sono le tribolazioni

Dramaturgíe. TutIalia egli ha rivolto lo sguardo sopra il lato puramen-te divino di questa vita (la vittoria completa) e perciò egli ha disperato;forse egli avrebbe giudicato diversamente se avesse badato di piil al latormano (Theologia viatorum lE la conoscenza delle cose divine ch'è pos-sibile al credente col lume della fede in questa vita, a differenza dei bea-ti che godono della visione di Diol). ciò ch'egli dice è innegabilmentemolto breve, in parte evasivo; ma poiché io sono moho f€lìce, quandoho I'occasione di starmene con Lessing, ci sto subito. Lessìng non erasolo uno dei cervelli piii intelligenîi che avess€ Ia Germania, non era so-lo in Dossesso di una cultura di rara precisione che permette di attingerecon sicurezza da lui e dalla sua autopsia senza timore di essere inganna-ti da citazioni sballate che non esistono da nessuna parte, da frasì com_prese a metà e prese da compcndi poco attendibili, né di essere disorien-tati da uno stupido strombazzare di novità che gli antichi avevano espo_sto molto meglio - ma egli aveva nello stesso tempo un dono altamen-te eccezionale per spiegare ciò che aveva capito. E si fermò a qùesto,nel nostro tempo invece si va oltre e si spiega di più di quel che siè capito.

+ La catastrofe storica fu secondo Aristotele la seguente: per vendi-carsi, la famiglia (della fidanzata) si procura un vaso sacro (del tempio)e I'introduce fra i beni del fidanzato che così è condannato come ladrosacrilego. Questo tuttavia non ha importanza: la questione non è se lafamiglia fosse astuta o stupida nel prendersi la vendetta. La famigliaassurge a significato ideale soltanto in quanto essa era trascinata dentrola dialettica dell'eroe. Per il resto è abbastanza fatale che costui, perchévuol sfuggire al pericolo non sposandosi, vi si precipiti dentro e insiemeche la sÌra vita entri doppiamente in contatto con la divinità: prima conla predizione degli Augurì, poi con l'essere condannato come ladro sa-.crilego.

l l9

Page 60: Timore e tremore   Kierkegaard

e difficoltà della îinitezza che, come spiriti maligni, vo-gliono separare gli amanti, ma I'amore ha il cielo dalla

iru pu.t. e perciò questa santa alleanza trionfa di tutti i

suoi nemici. Qui è il cielo stesso che separa ciò che il cielo

stesso ha unjto. E chi avrebbe mai sospetlato una cosa si-

mile? meno di tuttì certamente Ia giovane fidanzata' An-

cora un momento prima ella sedeva nella sua casa ln tut-

ta la sua bellezza e le amabili ancelle I'avevano adornata

con ogni attenzione così da potersene gloriare di fronte

a tutto il mondo, non solo riboccanti di gioia ma anche

colme d'invidia - sì, colme di gioia per l'impossibilità di

diventare ancora più gelose perché era impossibile ch'ella

fosse ancora pir) bella. EIla sedeva sola nella sua casa e

si tramutava di bellezza in bel\ezza; poiché tutto ciò di cui

era capace l'arte femminile era stato impiegato ad abbel-

lire degnamente la degna fanciulla. Mancava perÒ ancora

una cosa a cui le giovani ancelle non avevano pensato: il

velo, piir sottile, piir leggero e tuttavia capace di nascon-

derla di piir di quello col quale le giovani ancelle l'aveva-

no awolta - un abito da sposa, di cui nessuna fanciulla

sapeva nulla né poteva venirle in soccorso, anzi che nep-pure la sposa poteva capire come prowedere. Ed ecco unapotenza invisibile amica, quella che trova la sua gioia nel-

i'adornare le fidanzate, I'avvolse di quel velo senza ch'el-

la ne sapesse alcunché, poiché ella vide soltanto come il

fidanzato passò via e salì al tempio. Vide la porta chiu-

dersi dietro a lui ed ella rimase ancor piìr tranquilla e feli-

ce perché ora sapeva che le apparteneva più che non mai'

La porta del tempio si aprì ed egli uscì, ma lei abbassò

l'occhio verginale e perciò non vide che il suo sguardo era

sconvolto; ma egli vide che il cielo era geloso della deli-

ziosa bellezza della fidanzata e della sua felicità' La porta

del tempio si aprì, le giovani ancelle videro il giovane uscire

ma non videro che il suo viso era sconvolto, poiché erano

tutte affaccendate nel prelevare la fid anzata. Ella avanzóin tutta la sua umiltà verginale, eppure come una sovra-

tm

na, circondata dallo stato maggiore delle sue ancelle, ches'inchinavano davanti a lei come le ancelle s'inchinanosempre davanti alle fidanzate. Così ella rimase in cima al-la bella schiera e restò in attesa - fu solo un momento,poiché il tempio era a due passi. E il fidanzato venne -ma, giunto davanti alla sua porta, passò oltre.

Ma qui smetto. Non sono un poeta e non so muovermiche dialetticamente. Anzitutto è da osservare che è nel mo-mento decisivo che I'eroe riceve quesla spiegazione: còiiegli è puro e senza biasimo, !9n q! è leea1q alla leggeracon l'amata. Poi egli ha un prónunciàménro divino persT o piuttosto contro di sé owero non si lascia guidaredalla propria abilità come quei fidanzati leggeri. Segue an-che da sé che quell'oracolo lo rende infelice altrettanto co-me la fanciulla. anzi un po' di piu pèrctré eiui l 'occasio-ne. fnfarti è anche vero che hanno prederto soltanto a luiuna disgrazià, ma la quesrione è sé questa disgrazia noncolpira oltre lui anche la Ioro felicita cóniugalé.'Òosa do-vra aflora fare? - l) Deve tatere e cèlebrare le nozze pen-sando che la disgrazia forsc ngl .clpltela gq!i!-Si !l*.rCrtcaso io ho mantenuto I'amore e non temo di rendermi in-felice; ma devo racere poiché altrimènìi ii breve momentodi felicità è perduto. Questo sembra plausibile, ma nonlo è affatto. Poiché in ogni caso egli ha offeso la ragazza.Con il suo silenzio egli la rende in un certo modo colpe-vole poiché se ella fosse stata messa al corrente della cosanon avrebbe cefto dato mai il suo consenso a quell'unio-ne. Egli non avrà allora da sopportare soltanto la disgra-zia, ma porterà anihe ia responsabiiita di aver laciuto, lasua giusta ira per avere egli taciutb. - 2) îàiera egli econtrarrà le nozze? In questo caso egli deve entrare in unamistificazione con cui annienta se stesso nei ranoorto ai-I'amata. Questo forse I'esretica l'approvereblie. 'La cata-strofe si potrebbe allora delineare in modo simiie a quellareale, salvo a far intervenire all'ultimo momento una spie-gazione, però dopo che tutto fosse finito, poiché dal pun-

t2l

Page 61: Timore e tremore   Kierkegaard

to di vista estetico è necessario ch'egli muoia: a meno checotesta scienza non veda se è in grado di eliminare la fu-nesta profezia. Tuttavia questa condotta, benché magna-nima, contiene un disprezzo della ragazza e della realtàdel suo amore. - 3) Parlerà egli? Naturalmente non siéeve dimeniicare che il nostro eroe è un po' troppo poetaperché il rinunciare al suo amore significhi soltanto il fal-limento di un'operazione commerciale. Se parla, tutta lafaccenda si risolve in una storia di amore infelice dello stes-so stile di -4tel e Valborg *. Ecco qui una coppia che ilcielo stesso separa. Però questa separazione nel caso pre-sente va compresa un po' diveisamènié poiché essa insie-me risulta dall'azione libera degti individui. II punto piùdifficile in questa dialettica è che Ia sventura colpirà sol-tanto lui. Qui i due amanti non hanno come d-rel e Val-

* Del resro da que.(o punto di ! ista si potrebbero fdre i movimentidialettici in allra direzione. ll cielo gli predice una disgrazia a causa delsuo matrimonio; egli potrebbe tralascjare di celebrare le nozze ma sen_za dnunciare alla fanciulla e vivendo in un'unione romantica con lei cheper gli amanti sarebbe piiì che rassicuranle. Quest'unione contiene peròun'óffesa per la ragazza poìché, nel suo amore per lei, egli non esprimeI'universale. Tuttavia questo è un compito tanto per un poeta come perun moralista che vùol difendere il matrimonio. ln generale la poesia,quando prestasse attenzione all'eìemento religìoso e all'int€riorid del-l;individ;alità, avrebbe dei compiti molto piir importanti di quelli in cuipasticcia ocgi. La poesia non fa che raccontare semple la medesima storiaiun uo*o è laguto a ,,na ragazza ch'egli ha amata una volta e forse maiI'ha amata vciamente, perché ora ha visto un'altra che per lui è I'ideale.Un ùomo sbaglia nella vita, Ìa strada era giusta ma si è sbagliato di ca-sa, perché il suo ideale abila di f.onte al secondo piano - ecco, si pen-sa, un bel tema per la poesia. Un innamorato si è sbagliator ha vistol'amata alla luce della lampada e credeva che avesse i capelli neri, maecco che osservandola meglio trova ch'è bionda - sua sorella inveceè l'ideale. Si pensa che anche questo sia un tema adatto per la poesia.La mia opinione è che ogni tipo sinÌile è ùn cialtrone che sarà insoppor_tabile nella vita reale e che va preso subito a fischi, se pretende darsiimportanza nella poesia. Soìo passione contro passione crea una colli-sione poetica, non il frastuono di questi particolari dentro la medesimapassione. Quando per esempio nel Medìoevo ùna ragazza lnnamolatasi convince che il suo amore tereno è peccato e pr€ferisce quello cele-ste, qui sì, c'è una collisione poetica e la ragazza passa nella poesia poi_ché la sua vita è n€ll'idea.

122

borg un'espressione in comune per la loro sofferenza men_tre il cielo separa egualmente Axel e Valborg, poiché essisono egualmente vicini. Se fosse così, si potrebbe anchepensare a una via di scampo. Infatti poiché il cielo nonfa uso per separarli di una poteua visibiÌe, ma lascia que-sto decidere a loro, si porrebbe pensare ch'essi clecideise-ro di comune accordo di sfidare il cielo e la sua scias,Jra.

Tutîavia I'etica esigerà da lui di parlare. ll ,uo.roirrnosarà allora essenzialmenle in questo, ch'egii rinunèia at_I'eroismo esterico, che jn casr poìrebbe facilmente ore-sentarsi con quèÍpizzico di vanirà che il segreto porta consé, poiché egli deve vedere che sta per rendere infelice iaragazza. Larcaltèr di quest'eroismo riposa tuttavia sul fattoch'egli ha avuto e poi tolto il suo presupposto: altrimentiavremo eroi a bizzeffe nella nostra epoca che ha spintoa un virtuosismo incomparabile I'arte della falsificazio_ne, la quale compie cose eccelse saltando i momenti inter-medi.

Ma a che serve ora questo schizzo, dato che io mi limi-to all 'eroe rragico? Potrebbe servire a questo, a getrareun po' di luce sul paradosso. Tutto dipende da come sitettono per lui le cose con la predìZione Oegna*;-.1$essasaiàìn qualchè modò dècisiva pèila sùa vita. e[estaprdalztoiè e pittici ulrs o qualcosa di privaiissimuà? Lascena e ln Urecra; la predilione di un augure è comprensi_bile. per iut ri, penso che il Singolo può alferrarne non so-ro ll senso tesstcale ma anche che un augure annunzia al$qgolq@dgcìqioné dei cielo. La lirècliziòne detl?ugurenon è allora comprensibile soltanto per I'eroe ma per tut-ti ed essa non cosriruisce un rapporro privato allidivini_tà. Egli può fare ciò che vuole: ciò ch'è predetto, acca_dra. Sa che agisca sia che non agisca, per questo non en_trerà in un rapporto srretto con la diví;irà, nòh diventeràné I'oggeîto della sua grazia né dèlla sua iollera. Ciascrr_no p-otrà benissimo comprendere il risultaro come l,eroe,poiché non c'è stato nessuno sciitto segreto riservato al_

123

Page 62: Timore e tremore   Kierkegaard

l'eroe. Se vuol parlare, lo può fare egregiamente poichépuò farsi capire benissimo. Se vuol tacere, sta bene; poi-ché in forza ch'egli è il Singolo sarà più alto del generale,si riempirà la testa di idee fantastiche sul come l'amatadimenticherà presto questo dolore ecc. Se invece la volontàdel cielo non gli fosse stata annunziata dalla predizionedi un augure, se neave-sse avuto conoscenza in una formadel tutto privata 9 si fo9s9 messo in rapporto con lei del

!!4g p4ya!449n1e, eccoci allora di fronte al paradosso:se quèÀio cóÀunqne estsfe Cta Iqa {ttqCqio, ne è un dilem-ma) - egli non potrebbe piÌr parlare, anche se lo volesse.Il silenzio non gli de!9bbjC-i94L_4!!!44, !q4 lelqlg, I qqg:sto gli darebbe la certezza della legittimitìr della sua cau-sa. Il sùo iilen?ió nón sarebbe gÚllfpato q4!a!q qlle'e-gli come il Singolo dovrebbe mettersi in un rapporto as-sgltsto 4!9949ryt1e, ma pglc!é gqqq il Si4golo si era postoin urì rappgrtg asqoluto al!'Assoluto. Allora potrebbe, amio awiso, anche trovare riposo in questo, mentre il suosilenzio magnanimo sarebbe continuamente turbato dalleesigenze dell'etica. In generale sarebbe auspicabile che l'e-stetica una buona volta tentasse di cominciare dal puntoin cui si è esaurita in tanti anni, dalla magnanimità illuso-ria. Appena facesse questo, gf tryverebbg a l4vorare perla sfera religiosa, poiché questa potenza è l'unica che puòsalvare l'estetica nella qua Lott? con I'etica. La regina Eli-sabetta sacrificò allo Stato il suo amore per Essex sotto-scrivendo la sua condanna a morte. Fu un gesto da eroe,anche se fu in gioco un pizzico di risentimento personaleperché non le aveva rimandato I'anello. Com'è noto, eglil'aveva rimandato ma I'anello era stato trattenuto da unaperfida dama di corte. Elisabetta lo ebbe e si racconta,ni Ísllor, ch'essa per dieci giorni non fece che mordersiun dito senza dire una sola parola e poi morì. Ecco unbuon soggetto per un poeta che sapesse come tenere la boc-ca aperta, altrimenti sarebbe quanto mai adatto per unmaestro di ballo col quale spesso ai nostri tempi si scam-bia il poeta.

124

E ora uno schizzo sul demoniaco. A questo scopo Dos_so servirmi defla leggenda di Agnese e il Trironé^. ll'Tri_tone è un seduttore che spunra dal suo nascondigl io abis_sate, con I urore selvaggio srrappa e fa a petzi il fiore in-nocente che sedeva rutto leggiadro sulla riva e Densierosochilava il capo allo sciabordio dell,onda del màre. È cosìch-finora i pòeti ì 'hannointeiprèiato. fu..iu.ob* unupiccola modifica. Il Tritone è un seduttore: egli chiamaAgnese, con le parole più gentili risveglia in lei il suo se_greto, ella trova nel Tritone ciò che cercava e a cui il suosguardo si volgeva scrutando I'abisso del mare. Asnesevuole seguirlo. Il Trirone la prende fra le sue braccia,Agnese si afferra al suo collo, fiduciosa si abbandona contutta I'anima al più forte. Egli è già sulla riva, si chinasul mare per imrnergersi con la sua preda _ ed ecco cheAgnese lo guarda ancora una volta, ma senza Daura. sen_z'incertezza, senz'orgoglio per la sua forruna. senza [re_nesia di piacere, ma in assolura umihà come il povero fiorech'ella pensa di essere e con questo sguardo con assolutafiducia gli affida îutto il suo destino. - Ed ecco, meravi_glia! Il mare non muggisce più, tace la sua voce selvas_gia, la voce della natura ch'è la forza del Trirone si fei_ma, segue un momento di calma _ e Agnese continua aguardarÌo a quel modo. Allora il Tritone si accascia, nonpuÒ contrastare la forza dell'innocenza, il suo elementogli diventa infedele, non può sedurre Agnese. La riportaindietro, le spiega che voleva soltanto mostrarle quant,èbello il mare quand,è tranquillo e Agnese gli crede. _ poitorna indietro solo e il mare s,infuria, ma la disperazione

^ 'a Questa del jcala leggenda e r icordara da Kier legaard nel la le l rera

a Kegina ctet 9 dtcembre 1840 che comincra con una strofa del la bal laLadel poeta J. Baqgesen, Agnete fta Hotm?gaord. C lt . Brevc op Akltvk.ker vedrcrcnde S. Krcrkegaard, ed. N. Thulslrup. Copenagtren lsS:. bA.l , p. 56 e Bd. f t . pp. J5 sgg. Secondo Thul , t rup (Kommenlat . D. l j | lr accenno ar , .poet i " (Dtqt?îner MenlÌgt può indlcare i l poema: tpre,oe HÌvmanden { , ,Agne,e e i l f r i roner. t8 l4) d i H.C. Anderren. '

t25

Page 63: Timore e tremore   Kierkegaard

del Tritone infuria ancor di piìr. lgli può sgdurre Ag:rc-

se. può sedurre cento Agnesi, può affascinare ogm- ragaz-

;;:;; il;;;u .'iito . ii r'itone l;ha perduta So[-tanto come preda puo orventare suà, egti non p"ò tiTu-

ner fedele a nessuna ragazza percbé è soltanto un Trito-

n". Ul tono pat-esso una piccola alterazione * riguardo

al Tritone; in fondo ho cambiato un po' anche Agnese'

poiché nella leggenda non è del.tutto senza colpa come

in generale è un nonsenso, una civetteria e un'offesa alla

feÀminilità, immaginare una seduzione do'te la ragazza

non abbia assolutamente nessunissima colpa' L'Agnese

àe[a teggenaa, to aico per modernizzare un po' il mio sti-

le, cerca I'interessanfe ele ragazze di questo tipo possono

essere sicure di aver nelle vicinanze qualche Tritone; po!

ché ai Tritoni basta aprir I'occhio per scop-rirle e si butta-

no uaao"o come lo iqualo sulla preda' È perciò molto

* Si potrebbe trattare questa leggerida anche ìn un altro modo. Il Tri_

tone non vuole setlurre Agnese' anche se prima ne ha sedotte moh€ Non

ió';;ì;i;;;;;;;;oi-eriè.secosìpiace'un%""ì1"-i:"!'Jfl ii,tl,::::il:'" Í:,''J,X';&:;:r"ì'"11à?'il?#$;:;"à,"i"ìò Jji'"-"* alìrí'ii,i"iìitì. rffiitla- vi.gil tta un" cartiua coscienza riguardo alle

li!*:ii:iìi:".rill'"'::*,"Î"'q*:""î,Ì:i'"*:"'::'*'ilg!-;i;.;;;;;;16;;ùcal-a dil suo

"ompo'tamento' l'arfascina di lei;

liH.,h':#ffi trìr*::x'"1:'*1":;s11$ilf :"';l?*"'i3lÍf x;1m".*ù.fi:il-:ii*"tk*-tirl1,':xrT:ilHii;lJ3 :ii:"":l"ilff l",iîi1{i! ". ""J,ì::{ :i: ;j,;:"""1,"S,".-:,.'Js:i:T':':3';iÍî#Í iil'"ii"Tl ;;l;.ìniiJ,*pi,o à.r. òna."É ;Yill *.'r**:*'Tìî"Ìi:J'x'""''*:iliì''',""';ll'"""$i-+"d.".:i;:r*,uí"-, **un:' Jli';::;'J'i,!î,:::",'""."#i ffil; {,lll!:il irironà auuinghia Àgnese e si precipìtaión lei negli abissi del.maJe''*'.l"uli,xi:l;

;m,;";#"li;"ìliiX lli"l"f 'f#f'."'"J:i!;$àilffi;, ;;ji;J;;Èi. ài t.i-non e

'ai 'rato trovato perché ella di-

ventà una sirena che lenta cli uomini col suo canto'

126

stupido o è anche una balla, messa in giro apposta dal Tri-tone, che una cosiddetta buona educazione preserva le ra-gazze dalla seduzione. No, l'esistenza è molto giusta e im-parziale: contro la seduzione cle 1!4lfnlSq IngZZo, Lli!!!ìp:cenza.

Vogliamo ora dare al Tritone una coscienza umana econ il fatto ch'egli è un Tritone indicare la sua preesisten-za in conseguenza della quale la sua vita è stata impastoia-ta. Nulla impedisce ch'egli diventi un eroe, poiché il pas-so che ora fa gli porta la salvezza. Egli è salvato da Agne-se, il seduttore è infranto, si è piegato sotto il potere del-I'innocenza: non potrà mai più sedurre. Ma nello stessomomento due forze lottano in lui: il pentimento da unaparte e Agnese e il pentimento dall'altra. Se lo prende so-lo il pentimento, egli è nascosto; se lg prende Agnese erl pfqlql)4o, 41o.a 9C-!! È_!!B!1&C!9.

In quanto ora il Tritone è preso dal pentimento e rima-

4g_!glc_Oto, qllglq certà41e4t! 9_g_l! re3!g Agalse !4!9li9i;pq!9-!é,$_ggpsgl'aqqvtg_e]!e!,uej!U_ote_!2j._ell9,_gf qdg-yeche nel momento in cui le apparve mutato, per quanto eglilavesse nascosto, voìesse mosgq{q goltanto-la betla tian-gllUjF ddll4le. Pertanto il Tritone diventa ancor piìr in-felice nella sua passione: egli amava Agnese con una rnol-teplicita di passioni e aveva inoltre da sopportare il pesodi una nuova colpa. Il demoniaco nel pentimento l'uoleora certamente spiegargli che questa è la sua punizione eche più lo tormenta e meglio è.

S'egli si abbandona a questo demoniaco, fara forse an-cora un tentativo per salvare Agnese così come in un cer-to senso si può salvare un uomo mediante il male. Eglisa_ cheAgnese_l'amq. Sleql_i pg1gsq{lloglierla da que-sr'amore. etta àtlòra saiebbé salvà. Mà còmé? Che unasua conGssione sincera polsa eciitare in lei il disgusto, ilTritone non è così gonzo da crederci. Egli c919,hq.{ -fq199di eccitare in lei tutte le oscure passioni, di odiarla e disprezzarla, di ridicoliZZàfé lI suo amoié e póSsibilmihle

127

Page 64: Timore e tremore   Kierkegaard

4r ":gtul9_4_$g_Slg9g!!q. Non si risparmierà nessun tor-

mento, poiché è questa la profonda contraddizione del de-moniaco e in un certo senso si trova infinitamente meglionel demoniaco che non negli uomini triviali. 4u {g.tle9gq gggqtg g lrÌr fqcilqe1tg sgLìngqnngla (poiché solo lagente senza esperienza pensa che sia facile ingannare I'in-nocenza; I'esistenza è molto profonda ed è più facile alfurbo canzonare i furbi), ma tanto piÌr spaventose diven-tano le sofferenze del Tritone. Più la trama del suo in-ganno sara astuta e tanto meno Agnese sarà abile nel na-scondergli la sua sofferenza; ella impieghera ogni mezzoil cui unico effetto sarà, per così dire, non quello di smuo-verlo ma di tormentarlo.

Grazie{{9g93j99o=qgr4diilE!19-1919ry=bp:,!. j1gg-o;lo il quale come Singolo è pir) alto del generale, Il demo-

úà.S9_be]a!Le!Epj9rpiiéià!èTd80,tì.EqTé it Sing_olop!è 94!I4le_l!ì_ff!I4ppqto 4$9lS1o _cîn esso. Questa èI'analogia, la controparte di quel paradosso di cui stiamoparlando. Esso hà pérciò untcerta somigiiàn;a óFe puòing;arin-aî-. Così il Tritone ha apparentemente la prova cheil suo silenzio è giustificato e che in esso soffre tutto i[ suodolore. Tuttavia non c'è dubbio ch'egli non possa parla-re. & .p_e1lglqe-,,p9!Lebp9-q!,ve.nlel9-,qLefgr.lleclca,-442ia mio avviso un eroe grandioso. Pochi forse potrebberoóàplrè 0óvè sià la Gua) gran0ióaita *. Egli avrà pertanto

t L'estetica tratta alle volte qualcosa di simile con la sua abituale ci-vetteria, 11 Tritone vien salvato da Agnese e il tutto finisce con uri ma-tlimonio felice. Un matrimonio felice! Questo è abbastanza facile. Seinvece I'etica deve tenere il discorso alla benedizione nuziale, io pensoche allora sara un'aÌtra cosa. L'estetica getta il manto dell'amore soprail Tritone e così tutto è dimenticato. Nello stesso tempo essa pensa ch'èuna leggerezza credere che nel matrimonio le cose vadano come i4 unavetrdita all'asta dove ogni cosa è comperata nello stato in cui si trovaaI colpo del martello. Essa non si preoccupa che di far incotrtrare gliaúanti, per il resto poco importa. Essa dovrebb€ solo vedere quel cheaccade dopo, ma non neha il tempo perché si slancia subito di gran cal-riera a sposare una nuova coppia di amanti. L'estetica è la più infidadi tutte le scienze. Chiùnque l'abbia amata sul se o, è dive[tato in unc€rto senso infelice; ma colui che non l'ha mai amata, costui è e restaun pecus.

128

il coraggio di sbarazzarsi di ogni autoillusione di poter farfelice Agnese con la sua arte, avrà il coraggio di stritolareAgnese. Del resto io mi contenterò qui di una sola osser-vazione psicologica. Piu Ia formazione di Agnese sarà staîaconcentrara sull'io e più sorffidenre sarà la sua ai:róil-ìusione: anzi non è impeniàbiGìfiEiiTiiion{ìonìa- suaastuzia demoniaca, possa riuscire nella realtà non solo asalvarla ma anche a cavare da Agnese qualcosa di straor-dinario. Un demone infatti è capace di spremere forze dalpiù debole uomo e può a suo modo avere le mieliori in-tenzioni verso un essere umano.

. X Jtttol.C sla sopr.a una verta diatetrica. !,Sgli_!i r4y4gal oemonlaco cot pentlmentoj sono allora posribili duesrraoe: puo nmanere riservato, manlenersi nella sesretez_za senza rar at lrdamento sulla sua furberia. Come il Sin_golo non si trova pertanro in un rapportó assoluto al de-moniaco, ma trova riposo nel controparadosso che la di-vinità salverà Agnese (il Medioevo avrebbe dato questapiega al movimento, poiché secondo il suo concetto il luo-go adatto al Tritone è il chiostro). Oppure si può salvaregrazte ad Agnese. Questo ora non si fluòiapìi-re in modocome se I'amore diAgnese lo potesse salvare dal diventa-re in awenire un seduttore (questo è un tentaîivo esteticodi salvataggio che elude sempre il nocciolo della cosa. cioèla continuita nella vita del Tritone): sotto questo aspettoegli è salvo, egli si salva in quanto diventa manifesto. Eslisposa Agnese. Penanto egli deve rifugiarsì nel parado-sso. Quando infalfi il SìDgoto_ per,p,rgqri.11olpg :_.gq91t9oar generale, non puÒ tarvi ritorno se non come il Singo_lo ch.'entra in un rappond asbolùto àltAssolutó. Vo!ìioora fare qui untosseivazibne che aggiungera qualcosa aquanto ho detto finora *. Il peccato lon È b plrylq im_

*- Nelle pagine precedenti ho cercato di eliminare con ogni riguardoogni questione sul peccato e sulla sùa realta. Tì[to è concentAto sùAbra_mo ch'ìo posso ancora awicinare con calegorie immediate cioè in quan_lo ro Io posso capire. Appena spunÉ il peccatq ecco che Ia morte vaa.fondo appunto col penlimenro: il penlimento è infatti I'espressione eticapiù alta, ma proprio come lale è làutocontraddilone etica piu profonda.

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Page 65: Timore e tremore   Kierkegaard

*.'-1'-1':iÍi, illi::î::""";il'ffiiitl111:i:.o':ftT';.1::1peccato il Singolo si trova gia nella olrezlous usr Pd .uvJ

iàì."'"0*0" pll "lto

del Àenerale' p9!T-: Ìn::::'i1;

àì,ìJlil;.p'i,."*;;ig"n'É" *r.' 'iiÈere se ste-sso da chi

il-** a.rrà "-on441q

iind qlta non' Se la filosofia potesse

iia t'attro pensare anche che un uomo dovesse decidersi

l""r# "tri.

**tio la sua dotrrina' avremmo una b€lla

Lài.ií". Ú"'"rca che igno-ra il-peccaloli' È.Yt1:::i-,u'oa.f*"t"*ra inutile: óà ie essa fa valere il peccato',.,1.!

t; ,ffi .i;iìt; campo' Úa til'oso-ria insegna che l'im-

-"ài"tó aèu'attat. tolto' Questo è anche vero: ma cto cn€

;ii i "-.- e "r,. il peccatò lia .s!T'14t19 tlt'f,:9'11',."1'

air*-,o "orn.

non è v:ró che la-fede-sia-senz'altlo rrm-

mediato.tt Àpi"nu io

-i -uovo in queste sfere' tutto va a meravi-

gri","i" "-ctt"!q. s'gdo ro-qgn jplgeg-+gg:: t^ÎiÌ||

I"tg:r*:i,r,,tlxfi:|,:iiÉ*''ffiH#iil?;:ilil;ffi;;i;i-o!i'è;a -'ii*t;

quando l singolo,-a in gruOo ài poter cornpiere il generale - ed ecco che

ora si riPete il Paradosso'-'i loui-"nti àel Tritone perciò io ti posso c-omprende-

*, ;;;U9i';'-P9s9lg!I9lde;e [brar;roi iirritone in-

f4!ti glgnge appunto col paraoosso a v"t:t *"tiÍ:i:19";

"l;ai. sà inf",ù egú resta nascosto nel suo segreto eo e

ffi;;;;*ri i toimenti del pentimento' egli diventa un

àemone ed è come annienlato' Se resta nascosto' ma non

JoJi"u .it. tiu *uegio il tormentarsi nella schiavitÌr del pen-

ffi;;;;ú"t'ltberare Agnese, trova certamente la pace

rnu e p"ìaoio per questo mondo' Se diventa manifesto'

." .iiarcia sau*e aa Agnese, egli è il più grand'uomo ch'io

55 È l'etica hegeliana quale si presenta nelle Grundtinien der Philo-

""t* ifiji"rltl;,t one di Hesel (crr' t/t?* top- \ 2A' ztsarz 3) ch'èqri

"ifriiîpì,,:t. ta suo caràttere anticdstiano'

130

possa pensare. Infatti soltanto I'estetica può con leggerezzapensare di lodare la potenza dell'amore in modo che I'uo-mo perduto sia amato da úna îagazza innocente, la quale

con questo lo salva: solo I'estejlgt-s-b3Clil9llqeld9 glIJsla la ragazza I'er_o_ina,_ryq!I+ ll f4!gl_g_!!Lo!: IlE49-!e non pìrò ap_p44qqerq 4lAgnese senza ch'egli, dopo averiatto i mòvlmenti inrmiti dèl peniiménto,-fón facc-ià-àn-cora un movimento, il movimento in virtù dell'assúri[o.Eglì può fare con la sua foizà il mìuimlnto éèi piniimèn-

to, ma allora dà anche assolutamente fondo a tutte le sueforze e perciò non può riprenderle per fare dietrofront eafferrare la realta. Quando manca la passione sufficienteper fare sia I'uno come l'altro movimento, se si gironzola

nella vita pentendosi un po' e si pensa di cavarsela abba-stanza, allora si è rinunciato una volta per Iutte a vivereper I'Idea, si può molto facilmente riuscire ad aiutare gli

altri per la cosa suprema cioè a ingannare se stessi e gli

altii pensando che le cose nel mondo dello spirito vadanocome nel gioco del cucÌr dove tutto va a gonfie vele. Cisi può allora rallegrare riflettendo quanto non è strano chenel nostro tempo, dove ognuno è in grado di fare la cosapiÌr alta, il dubbio sull'immortalità dell'anima57 sia tan-to diffuso, poiché colui che realmente ha fatto il mov!mento dell'infinita difficilmente ne dubita. Le conclusio-ni della passione sono le uniche convincenti, cioè le uni-che persuasive. Pe1 fg4u1q l'9sis1enz?! plLa.Egq& e p!ìrfgdele di Elanloil qapie4le af.fgrmi, poiché essa non esclu-de nessun uómo, neppure il piÌr umile, né ingq4na alcu-no, poiché nel mondó dello spiriio è ingannato solo chiinganna se stesso. E opinione di tutti, e per quanîo.poslopermetterlni t qiudicare_anche mia, che la cosa plu alta

57 Kierkegaard allude alla contîoversia che seguì alla morte di Hegelsu questo póblema capitale; iniziatasi con i Gedanken ùber Tod undUniîeùlichkeit 0839\ di Feuerbach, interessò soprattutto la destra he-geliana (cfr. J.E. Erdmaní, Grundrks der Geschichte der Philosophie'j336; Berlìn 1878, Bd. I I , pp.64? ssg.; J338, pp.658 seg.).

l3 l

Page 66: Timore e tremore   Kierkegaard

non è rinchiudersi in un chiostro: ma per questo non p€n-

so affatto che nel nosrro tempo, quando nessuno p-lu sl

i; rr;ì;l;c;iliia un'anima pitr Éranil=e di qúel1e atumer.i.ìpìàí.i4. .rte trovano la pacè1n un chiostro' Quantimai haìno ogei lbbàstanza passione di pensare a questo

. qui"ai ai gi"Oi"ursi con sincerita? Soltantoliqg4-4iaq-sumere cosi sulla coscienza la responsabilità del lempg:

miserabile, una gherminella, una vigliaccheria che siedea tavola, che vilmente fa credere agli uomini di aver com-piuto la cosa piìl alta e perfidamente li trattiene dal fareperfino la piÌr piccola? Chi ha'fatto il movimento del chio-stro, non gli resta piir che un movimento: quello dell'as-surdo. Ma quanti mai nel nostro tempo capiscono cos'èl'assurdo e quanti vivono in modo d'aver rinunciato a tuttoe d'aver ottenuto tutto? quanti sono così onesti da sapereciò che possono e ciÒ che non possono? E non è vero che,quando ci sono, si trovano piuttosto fra la gente menocolta e in parte fra le donne? Il tempo manifesta in unaspecie di clairvoyarice i suoi difetti, così come un demo-niaco sempre manifesta se stesso senza comprendersi, poi-ché esige sernpre il comico. Se fosse realmente questo ilbisogno del tempo, si dovrebbe allestire per il teatro unanuova cornmedia dove si mette in berlina un Tizio chemuore d'amore. Ma non gioverebbe di più alla salvezzadel nostro tempo se questo accadesse fra noi, se il nostrotempo fosse testimone di un simile evento per poter avereuna volta il coraggio di credere nella potenza dello spirito, il coraggio di non soffocare il meglio di noi stessi edi non soffocarlo, per invidia, negli altri - col riso?

Un abbozzo condotto in questo stile il quale, mancan-do del movimento della passione del pentimento sarebbeancor più commovente, lo si puÒ trovare nella storia dellibro di Tobia (Zoó., .ó-8). Il giovane Tobia vuole-sposare

!efq, lu fjCE al]€le!_ed Ed1q Ma la îasazza yive inuna triste situazione. Ella è stata sposa di sette uomini chetutti morirono nella casa nuziale. Riguardo al'rii io pìó-gerro que5ro pafiicolaficoslituisie un neo della sroria, poi-ché I'effetto comico è quasi inevitabile se si stuzzica il pen-siero dei sette sterili tentativi di sposare una ragazza ch'èstata ben sette volte sul punto di farcela, come uno stu-dente che ha tentato sette volte la licenza liceale! Nel li-bro di Tobia I'accento è messo su un altro punto e perciòI'alto numero (degli sposi) è importante e in cefto senso

,".utur" ogni p*tiero segreó in modo che' se a ogni mo-

mento non si fa Il movlmenlo tn virtir della cosa che I'uo-

-o ft" oil noUif.

" sàcrà, si possano scóprire * con ango-

scia e orròre-e-se no1 g!1o eyglare 9-9n I'incolcl? t'oj::-

ra òmmozione chì iiEià nella vita di ogni uomo - men-

ire quànaoi ilve in óómóagnia di aliri ió ii oimentica

i""ii-"tt", lo si scansa facilmente, ci si tiene a galla in

molti modi, si trova I'occasione di cominciare da capo'

- toto qo.t 'lO"u potrebbe a mio awiso disciplinare molti

che ai nóstri giorni credono gia di avere raggiunto la cosa

piir alra. Ma di questo.ci siqreocgqn$. qe,.n Co9o. .nje+_ -:-itro tempo che ha ragÉiunto la cosa più alta'

':ltl:-T:

aì Jt" uii.rnpo .on instanc-abilita insonne il compito di

sun'altra epoca è tanÎo caduta nel comico come la nostra'

ii;;;;;il; *"iiìr i..pò non ubbia ormai panoriiocii ,:na genemtio aequivoca il suo eroe, il demone che

t"iit.* rii"tutu.""teìl terribile dramma da provocare al

riso tutta-l'epoca facendole dimenticare che ride di se stes-

sa. O che I'eiistenza merita qualcosa di più del riso, quan-

ào nià u u"nt'untti si è raggiunta la cosa piìr alta? E quale

uió -ouitn.ttto

tuperiore ha il tempo scoperto da quan-

do si è smesso di andare nel chiostro? Non è una saggezza

* A questo la noslra epoca cosl seria non ci crede piir' Eppure è stra-

n., ^tb"'rtanra

ch. nel pa;anesimo - che per sua natura era piir leggero

i""r"il-itiiti""irii Ji"A;sioni - i due rappresentanti della concezione

i-.." à.ìì:i.ìt,""-ìc.l) yv,;rót otouróv [cónosci te stessol' ogn.no a suo",,,"iiì" ua""nnuto

"ome sprofondandosi in se slesso si scopre anzitul-

ii?,"""i"ìiiiiJ'i" aiip..ilone al male' Non c'è bisosro che dica ch'io

penso qui a Socrate e a Pitagora.

Page 67: Timore e tremore   Kierkegaard

vi produce un effetto tragico; poiché la magnanimità diTobia è tanto maggiore sia perché è figlio unico (ZoA',

6, 15), sia perché lo spinge quel fatto terrificante. Questoallora mettiamolo da parte. Allora Sara è una ragazza chenon ha mai amato, che nasconde in sé la felicità di unasignorina, il suo immenso obbligo di priorita nel'esisten-za, la sua (Lettera di credito per la felicità)58 - di ama-re un uomo con tutto il cuore. Eppure-e più- tlliS&9-,41chiunque, poiché ella sa che un demone maligno, che I'a-óa, ucciaeià to sppsflnè[a noLle delle'nozze. Ho lenò miil-te storie tristi ma-dubitólélipossa-tiiivari una tristezzaprofonda come quella della vita di questa ragazza. Quan-do la diserazia viene dall'esterno, si può trovare qualcheconsolazLne. Sé un uomó riòn ha àvuroial'eiistenziciòòhè dòvévd iénderlo felice c'è però la consolazlone di pen-

sare che avrebbe potuto averlo. Ma l'insondabile tristez-za che nessun tempo riuscira mai à dlisifdre, che-nessqni.-p.ppof ià!qài!é]@:vare anche se I'esistenza facesse tutto! Un autore grecoirasconde ùnd qriàilìA-ffifita

_clfTose quando dice:

4cíyr<os 1qp 9r1òe!g llEp<1q igu1ev ì1 geú(erar. gé1pt &vxú).Io< i r"i ò,pr9"luoì Btrénc,orv tèii Lònii Pa-storalia|i. Ci furono moiie ,agazze che divennero infe-lici in amore: però lo divennero. Sara lo lu, prima di d!ventarlo. È duro non trovare colui al quale potersi abban-donare, ma è duro in modo indicibile non potersi abban-donare. Ecco che una giovane ragazza si abbandona e al-Iora si dice: ora costei non è più libera - ma Sala ng1fu mai libera e oerò lei non si era mai abbandonata Eduro se una ragazza si abbanOonassé e fosse ingannata,ma Sara fu ingannata prima di abbandonarsi. Quale mon-do di tristezza non c'è nel seguito, quando Tobia alla fine

58 In tedesco nel testo: VollmachtbrieÍ zum C/rcke (da Schiller).5e k<Infatti nessuno è sfuggito né sfuggira all'amore fin quando ci

saranno bellezza e occhi che vedono,>l

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vuole sposarla! Quali cerimonie nuziali, quale preparazio_ne! Nessuna ragazza è stata ingannata come Sara: poichéella fu ingannata in óiò ch'è la cosa più felice di tútte, laricchezza assoluta che possiede anche la r agazza più po_vera, con la perdita dell,abbandono sicuro, illimitato. li_bero, sfrenato; perché prima si doveva fare la fumisazio-ne mettendo il cuore e il fegato del pesce sopra i caiboniaccesi. E quale mai dev'essere stato il congedo fra madree figlia, lei che, delusa in tutto, avrebbe continuato a de-luderla nella cosa più bella! Limitiamoci a leggere la sto-ria. Edna prel:arò la camera, v.inrrodusse Sara piangen_do e riceveue le lagrime de!g. figlE. E Ie dissei órsù,-co_raggio, figlia mia! Il Signore del cielo e della rerra muriin gioia questo dolore! Figlia, sii di buon anirno! E ora

I enîasr sut glovalqJobia. euest.eroismo di voler rischiarela propria vita in un pericolo coJì lampinte, di cui ancheil racconto fa menzione, poiché il giorno dopo il matri_monio Raguel dice a Edna: manda una delle ancelle a ve_dere se egli vive: ma se non (è vivo), che io lo Dossa seo-pelfire e che nessuno lo sappia (cfî- Tob., S, f3t _ que-sl'eroismo divenne il compiro. Io mi permetto di orooor_re un ahro. Tobia agi con coraggio, intrepidelza e caval_leria; ma ogni uomo che non ha il coraggio per questo èun rammollito che non sa cos,è l,amore, né cos,è I'essereuomo, ne per quale cosa valga la pena di vivere: non haneppure compreso il piccolo mistero ch,è meglio dare chericevere (Act,,20, 35) - costui non ha alcun sospetto dellagrand.ezza di quesro ch'e molto piu difficile riievere chedare,,vale a dire quaiidoi hIaìutó"ii Còraggio di îarnea meno senz a diventare vili nell,ora della sventura. No.

tJ)

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lara 9ra gnl91q!1a. Mi avvicinerò a lei come non ml sono

mai avvicinato a nessuna ragazza o come non sono mar

stato tentato col pensiero di avvicinarmi a quelle incon-

trate nelle mie letture. Poiché quale amore di Dio non è

iorr. n""."utio per lasciarij guàrire quando fin da prin-

cipio si è sconvolti senza propria colpa-' quando fìn dall' i-

nizio si è un esemplare cosi malconcio di uomo! Quale ma-

turità etica nón ci vuole per assumere la rèspónsabilità di

Dermettere all 'amata un simile gesto di audacial Qualei-ii ia Jr fronte a un altro uomò! Quale fede in Dio' di

non odiare nel momento seguente l'uomo al quale ella do-

veva tut to lMettiamo che Sara sia un uomo e che il demoniaco sia

a portata di mano. La natura nobile e orgoglíosa può sop-

tortare tutto, ma una cosa non può sopportare: la com-

iurrion". C'i in essa un'offesa che può essere inflittà sol-

iànto du unu potenza superiore, poiché da se stesso egli

non può mai diventarne l'oggetto. Se ha peccaro, può sop-

portare la pena senza disperafe: ma senza sua colpa esse-

re votato al sacrificio della compassione fin dal seno ma-

terno, questo non lo può sopportare. La compassione ha

una.dialettica strana, essa esige in un certo momento la

colpa, nell'istante dopo essa vuole non averla e pcrciò l'es-

serà predèstilàto àú aompàiaióne divènia unà situazio-

ne tanto piir spaventosa quanto più la disgrazia deiltindi-

vlduo èln direzione dglla realta sni{tya!e,' Ma Sara non

ha colpa alcuna, eppure ella è preda di tutte ìe sofferenze

e dev'èssere ancora tormentata dalla compassione degli

uomini poiché anch'io, che l'ammiro anche piÌr di quan-

ro non l'amasse Tobia, non posso pronunciare il suo no'

me senza dire: povera ragazzal Supponiamo un uomo al

posto di Sara. rupponiamo ch'egli sappia che se amera una

ragazza sbucherà dall' inlerno uno splrlto e uccldera I a-

mita ne'lla notte delle nozze, allora polrebbe darsi ch'eglì

scegliesse il demoniaco; si chiudèsse in se stesso e dicesse,

con piglio demoniaco, id segreto: <Grazie, io non sono

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arnico di cerimonie e lungaggini, non voglio per nulla af-fatto i piaceri dell'amore, posso res!41-e q! !e1@!tu e di-vertirmi nel vedere le ragazze tirar le cuoia Ìa notte_ dellenozze>. In generale si riesce a saper molto poco sul de-moniaco, anche sè nel nostro tempo questo campo meritidi essere indagato e anche se l'osservatore, purché sia untipo capace di mettersi un po' in rapporto al demone, po-trebbe quasi ìmpiegare qualsiasi uomo per qualche mo-mento. Shakespeare è e rimane a questo riguardo un eroe.Quel demone crudele, la figura piir demoniaca che Sha-kespeare abbia descritto e l'ha descritta stupendamente:Gloster (poi Riccardo I I I ) . cos'è che l 'ha rràsformaro inun demone? È manifesto ch'egli non poteva sopportarela compassione cui era stato ?ssqegellqle !1Il qg bambi-no. Il suo monologo nel I arto aet niCioralli\ate pittdi tutti i sistemi di morale che non hanno sospetto alcunodegli orrori dell'esistenza o della loro spiegazione:

Io che, uscito da un rude stampo, manco del la maestà del l 'a-more per pavoneggiarmi dinanzi a una molleggiante ninfa; io,che sono privato di questa bella simmetria, irustrato di sembianzadalla Natura che sì mi dispaia, deforme, incompiuto, anzi tem-po inviato ìn questo spirante mondo, appena plasmato a mezzo, e pur questo in modo così monco e contraîfatto che i canilalrano contro di me quand' io zoppico accanro a loroao.

Tipi come Gloster non possono essere salvati con la me-diazìone ingabbiandol i nel l ' idea di società. In fondo I 'e-tica si beffa di costoro, come essa schernirebbe anche Sa-ra se le dicesse: perche non esprimi il generale e non ti spo-si? Questi t ipi sono radicati nel paradosso e non sono af-fatto piu imperfetti degli altri uomini, ma soltanto si tro-vano nell 'alternativa o di perdersi nel demoniaco o di sal-varsi nel divino. Di tempo in tempo la gente si è divertita

fl Shakespeare, Riccdrdo 1/1, alto I, scena l, 16-23; !r. ir. di M. Praz,Sansoni , Firenze 195ó, t . I , p- 291.

t31

Page 69: Timore e tremore   Kierkegaard

col pensare che elfi, streghe' gnomi ecc' erano mostn eo

è innegabile che ogni uomo, quando vede qualche mo-

itruosià, è inclinato a vedere in ciò una depravazione mo-

rale. Quale enorme ingiustizia, poiché la situazione va piut-

tosto Japovolta chiedendosi se non sia stata I'esistenza stes-

sa a coiromperli come una matrigna può snaturare dei

bambini. Tror arsi originariamente per natura o sltuazlo-

ne nal urale îuori del generale è l' inizio del demoniaco dl

;;ii;i;;ld";;.n t' i cotpu'. r'.uteo'di cumberlandó' è

un demone di questa faita, anche se compie il bene' Così

rl {9rqo!,i49o- p qq elp4qrJrq!3nÉg-cqqs dlqp.19 'ao-peletl

uómini, un oilpJezzo pqlO , S! qlqi-!-engl -- qhe non"spm-

il."toii" ti*., Dio sa qual è il loro significato nella vita!

in ouar,o momento io non so se rendano altro servizio

che quello di portare una parola edilicante per l ' immor-

ialità del'anima, perché per consolarsi sì potrebbe appli-

cale loro la battuta di Baggesen sul poeta della nostra clt-

tà Kildevalle: se diventa immortale lui, lo diventeremo

iuttiut. - Quel che qui è stato detto a proposìto di Sara'

soprattutto riguardo all'esposizione poetica e perclo con

un p."ruppotio fantastico, ha il suo pieno significato

ouundo "àn

inta."sse psicologico ci si mette ad approfon-

dire il significato del vecchio proverbio: nullum unquam

)rl,ii ì;iity aeerytry4jy;, qlisrq,qeieitie' nra{ti

6r R. cumberland (l?32-1811) è I'autore del dtamfia L'ebreo' Ea'

dotto in danese (l?96) e rappresentato piùl volte al Teatro Reale di Co_

Denashen,' ó2\ella ooesia Kieùegaoúen i sobradise't i .Ni. ' .È.ru.

""t ìun grande ingegno senza un pi lTico di paz'

zia.nì È una cirazione un po' r i toccala di Seneca' dove 5l legge ttne

iiii'à àiiriiitili, ,a c uiuiuuira ua ati'rcÉte \De !ranquittitate ani-,niivi, ro, ed Fr' Haate. Lipsiae l8ó2, p l96)

138

qùesta, dementid è la sofferenza del genio dell'esistenza,è | espressione, per così dire. deil' in_vidia dlvina. rìènrreit éqgioll lrprylqi: qe {e!91ry!!le4qo19, Così fin da prin-cipio il genio è disorientato rispetto al generale ed è por-tato in rapporto al paradosso, sia che nella disperazioneper il suo limite - che ai suoi occhi trasforma la sua on-nipotenza in impotenza - cerchi una calma demoniacae per questo non lo confessi né a Dio né agli uomini, siache trovi la pace religiosamente nell'amore a Dio. Abbia-mo qui, mi sembra, argomenti psicologici ai quali con gioiadedicare una vita intera: eppure se ne parla così di rado.In quale rapporto stanno pazzia e genio? si può derivarel-unadall5ltro?ln Qua[: sensóEfino à ótie punto il genioè padrone della sua demenza? E ovvio che lo è fino a uncerto punto, poiché altrimenti sarebbe veramente pazzo.Per queste ricerche occorrono tuttavia abilità consumatae amore, poiché è molto difficile fare indagini sopra unamente superiore. Se si leggesse qualche geniale scrittoreprestando attenzione a questo, forse sarebbe possibile, perqualche volta almeno - anche se con pena - fare qual-che piccola scoperta.

Voglio esaminare ancora un caso, quello di un Singoloche còn Ia lua segreLezza e col suo sìlenzìo vuole lalraieil generaìe. Mi servirò della storia Oi Faasr. Éusi è undubitante*, è un apostata dello spirito che va per le vie del-

* Se non si vuol ricorrere a un dubitante, si può scegliere una figuraanaloga, per esempio un ironista il cui sguardo acuto ha scoperto fon-damentalmente il ridicolo dell'esistenza che, per una segreta intesa conle forze della vita, sa che cosa il paziente desidera. Egli conosce dì averela potenza del ddicolo e se vuole usarÌa è sicuro di vincere e, quel chepiù conta, a suo vantaggio. Egli sa che si alzera una voce isolata pertratt€nerlo, ma sa d'essere il più forte, sa che ancora per un momentopùò riuscire a far apparir€ seri gli uominì, ma sa anche ch'essi segreta-menfe smaniano di ridere con lui; sa che ancora per un momento si puòlasciare che Ia donna nasconda gli occhi con il ventaglio ma sa che die-tro il ventaglìo ella ride, sa che il ventaglio non è assolÙtamente opaco;sa che ìe si può scrivere una scri{lura'ilìvisibile e sa che quando una donnagI da un colpo di ventaglio è segno che lo ha capito; sa seoza paura

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l'la carne. Così I'intendono i poeti e mentre si ripete conti-nuamente che ogni epoca ha il suo Faust, tutlavia un poetadopo l'altro non fa che seguire infaticabilmente la via giàbattuta. Facciamo un piccolo mutamento. lellljft 4!-bitante 1ar'eEoxúv lper.eccellenza], ma è unalq!]g-slTpatetica. Anche nella concezione del Faust di Goethe siîedlf?ssenza di una piÌr profonda osservazione psicolo-gica sui segreti colloqui del dubbio con se stesso. Ai no-stri tempi quando tutti ormai hanno sperimentato il dub-bio, nessun poeta ha fatto ancora un passo a questo fine'Penso anche di poter offrire volentieri carte di obbliga-zioni reali perché essi ne scrivano, perché scrivano tuttociò che hanno sperimentato in questo campo - essi peròriempiranno a stento il margine del primo foglio.

Soltanto quando a questo modo Faust si ripiega in sestesso, solo allora il dubbio può apparire poetico, solo al-lora egli si scopre veramente anche in tutte le sofferenzedella realtà. Egli sa ch-'è lo spirilo_4e p-9!q_119gsl9l_41;sa però anche che la sicurezza e la gioia in cui gli uominivìlono-iiònè6ndataì[!-alqIZta4Fqp!Íé,se'[ipiq-ga-iacilmente co-e

"na beatitudine piiva di riflessione.

d'inganno come il riso s'insinua e si nasconde neìl'uomo e, una voltache vi abbia preso pied€, se ne sta ad attendere. Immaginiamoci questoAristofane, questo Voltaire un po' ritoccato; dato ch'egli è anche unanatura simpalica, ama l'€sistenza, ama gli uomini e sa che se la condan-na del riso può forse anche salvare una giovane generazione, potrebbeperò far affondare una folla di contemporanei. Allora tace e, per quan-to può, si dimentica anche di rid€re. Forse parecchi non comprendonoaflatto la difficoltà di cui parlo e pensano che sarebbe ammìrevole ma-gnanimità il tacere. Ma io non penso così. Credo che ogni tipo siffatto,se non ha la magnanimità di tacere, è un traditore dell'esistenza. lo esi-go allora questa rnagnanimità da Ìui €, se l'ha, deve tacere. L'etica è unascienza pericolosa e potrebbe darsi che Aristofane, sotto il profilo pu-ramente etico, si fosse deciso a condannare le aberrazioni del suo tem_po coll'eccitare al riso. Sotto il profilo estetico la magnanimità non ser_ve, pÒiché sul credito dell'estetica non si corrono simili rischi. Se tace_ra, deve entrare nel paradosso. - Un altro schizzo: per esempio un uo-mo possiede la spiegazione, una spiegazione dolorosa, della vita di unetoe, e tuttavia un'intera generazione riposa assolutamente sicum su que_st'eroe senza sosp€ttare alcunché di simile.

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Ca.q q!{e4", il dubirante è superiore a tutto questo.es- qu atcu no voiè-éIngan narld iaiendogt i .r.d.r.; ;;;:re ql.rqversaro anche egli il.dub6iòl dubitantè lò ved_reb-oe Iacllmente; poiche colui che ha fat[o un movimento nelmnndo d-ell iltiii r q quìnatunmovffientoltÍfui- può@,;-.frÉiq.;un uomo spenmenîato oppure un barone di Mùnchhau_sll Ció ctre tàmerlaiió ii",e .ohpie* a"t'ì ,""itartarie, Faust sa di poterlo fare col suo dubbio _ ter_rorízzaîe gli uomini, far tremare I'esistenza softo i loropiedì, disgregare gli uomini, far risuonare dovunque il gri_do dell'angoscia, E se lo fa, egli non è affatto un farnir_lano, egli è in un certo senso autorizzato e autorizzato dal_I'autorizzazione del pensiero. Ma Faust è una natura siÀ_paletica, ama I'esistenza e la sua anima non conosce ì,in_vidia, vede bene che non potrebbe fermare il furore chepotrebbe certamente scatenare, non brama affatto la fa-ma di Erostrato - egli tace, nasconde nella sua anima ildubbio con più cura di quanto una ragazza nasconda ilfrutto del suo amore peccaminoso; cerca di camninarequanto meglio può con gli altri uomini: ma quel che glicapita, lo consuma in se stesso e così offre se siesso in ú-crificio per I'umanità.

. Si sentono alle volte alcuni i quali si lamentano, quan_oo una testa eccentrica solleva il dubbio e dicono; magarifosse stato zitto! È questa l,idea realizzata da Faust. óo_lui che ha un'idea di ciò che significa la fame del dubbio,costui sa anche benissimo che il dubitante è tanto affa_mato del pane quotidiano come del nutrimento dello spi_rito- Benché txuo ,! Oo_lq,S_gtS Faust soffre porru .r".r.un tuon argomento per dimoiiiarè che àon eia l.ór!ó-glio a dorn@lo;ìièorrdtt a -ul pìò-cólo mezr;otruff*

cEunaiffi

e Kierkegaard scrive Unni.

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zione dei teneri bambln1 gqsì io potrei averg la tentazio-ne di chiamarmi /o1tq ley9yryrp9lchi soqo mo[o !ry94-tlyo_qUeq& ri!$ta _di torturare gli eroi. Faust vede Mar-gherita, ma non dopo aver scelto il piacere; perché il mioFausl. non sceglie affatto, egli non vede Margherita nellospecchio concavo di Mefistofele. ma in tutra la sua amà-bile innocenza e poiché la sua anima ha conservato I'a-more per gli uomini, ègif puó' bèiiisalmo--lhriainorarsi dilei. Mà egli è un dubiìante,ll iuo OuUUio hà annièniaroit lui la realtà; poiché il mio Faust è tanto ideale che staagli antipodi di codesti dubitanti scientifici che dubitanouna volta al semestre sulla cattedra e per il resto possonofare qualsiasi cosa sia senza l'assistenza dello spirito siain virtir dello spirito. Egli è un dubitante, e il dubitanteha fame del pane quotidiano della gioia come del nutri-mento dello spirito. Però egli rimane fedele alla sua riso-luzione e tace, a nessuno parla del suo dubbio né a Mar-gherita del suo amore.

Vien da sé che Faust è una figura troppo ideale per ac-contentarsi di quella bubbola che se Faust parlasse cause-rebbe una discussione generica oppure tutto finirebbe infumo: forse, forse... (qui sonnecchia il comico, come ognipoeta facilmente s'accorge, nel mettere Faust in rapportoa questi sciocchi buffoni che oggi corrono dietro al dub-bio: portano un argomento puramente estrinseco per pro-vare il loro dubbio, per esempio un certificato medico, oimprecando che hanno dubitato di tutto, oppure lo dimo-strano dal fatto di aver incontrato nel loro viaggio un du-bitante. Mettono Faust in rapporto a questi messaggerie centometristi del mondo dello spirito che in gran frettatrovano da qualcuno qualche piccola novità sul dubbio,da un altro qualcuna sulla fede e ora arrangiano i loroaffari alla buona di Dio a seconda che la comunita vuolesabbia fina o ghiaia). Faust è una figura troppo ideale perpoter camminare in ciabatte. Non è-ideale chi non ha unapassione infinita e chi ha una passione infinita ha da mol-

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to tempo salvato la sua anima da questlchiacchiere. Eglitàè9 p9i !!9I1f"igare se stesso - òppure pailà, consapeó_le che scompiglierà tutto.

_ 5e tace, allora l'erica lo condanna. Essa dice infatri: .Tudevi riconoscere il gencralc e Io riconosci appunro farlan_qo. Iu.non osr arer compassione per i l generale>. Non siaeve otmcnttcare que\ta con5iderazione quando al le vol tesi giudica severarnente un dubitante perché parla. Io nonsono incline all,indulgenza con un simile .ó.po.tu-.n_to. ma qui come dappcn ut to è imporrante che i mor imenî iaccadano normalmente. per male che possa andare, an_che se un dubitante scatenasse sul mondo ogni possibileinfelicità, sarebbe da preferire a questi miserabili buon_gustai che assaggiano tutto, pretendono guarire il dubbiosenza conoscerlo e sono perciò in genere l,occasione pros_srma per scatenare il dubbio selvaggio e irresistibile. _Se parla, sconvolge tutto; poiché, se ciò non avviene eglilo saprà soltanto dopo e il risultato non gli serve né al m-o_mento di agire né riguardo alla sua responsabilità.

Se tace a.suo rischio e pericolo. potrebbe agire certo conlYul.1*'ju.

rna al.suo precedenre dolore aggiungereb_De un prccoto scrupolo poiche il generale conrinuèrà a tor_mentar lo dicendo: tu dovei ipar lare. dore t roverai la cer_lezza che la tua risoluzione non era suggerila da un orgo_glio nascosto?

Se invece.il dubitante prò diventare iÌ Singolo il qualecome Singolo sta in rapporió assoiuto att,Aisoùtó.'o,ljotlenere così un'autorizzazione a tacere. In questo casooeve constderare i l suo dubbio una colpa. In questo casoeg e net parado,so ma il suo dubbio è guariro benche pos-sa ayerne un altro-

, Anche. il Nuovo Teslamenro approverebbe un simile si_

renzto, 5r lrovano nel Nuovo le5tamento perfino lesti cheIodano I'ironia65, purché la si usi per nascondere qualco_

j ì"1:] : .ylr . ] ref e.empjo to.Lite. per lreqùenri parador5i, di rurLorr rrscorso dc]la mooÀgna lML, 5-7).

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sa di meglio. Pe anto questo movimento, cioè quello del-l'ironia, è come qualsiasi altro che ha il suo fondamentoin questo che la soggettivita è più alta della realtà. Ma og-gi non se ne vuol sapere, e in generale sull,ironia non sivuol sapere nulla di più di quanto ha detto Hegel il quale- per strano che sia - 4on ne capiva molto e le portavarancore, la qual cosa il nostro tempo ha buone ragioni pernon ricordare purché esso stia in guardia con l,ironia. NelDiscorso della montagna si legge: <(Quando tu digiuni, un-giti il capo e lavati il viso, affinché gli úòmini nón vedanoche tu digiunì,i (Mr., 5. I ?). Quéiro resto afferma diretla-menre che la soggeîtività è incommensurabile con la real-tà e che le è anchè permésso d'ingannare. Se la génté iheai nosrri giorni si sbraccia in discorsi sull ' idea dicomunità66, si mettesse a leggere il Nuovo Testamento,penserebbe forse in altro modo.

Ma ora Abramo, come ha agito? Poiché io non l,ho di-menticato, e il lettore forse si compiacerà di ricordare, ch'èstato.con I'intenzione di raggiungere questo punto che misono impegnato in tutte le discussioni precedenti, non co-me se Abramo diventasse con esse piìr intelligibile ma per-ché I'intelligibile potesse diventare piil stridente; poiché,come ho detto, Abramo io nol lo posso _comprendere, lopgsqq sC!-o elq]lllqry. E stato anche osservato che nulladegli stadi descrirri coniiene un'anaiogia con Abramo edessi furono eiposti unicameniè attó scopó che, mentle ve-nivano svolti dentro la loro propria sfera, nel momentodella deviazione [da Abramo], potessero comunque indi-care i confini della terra sconosciuta della fede. Se si po-tesse parlare di qualche analogia, questo dovrebbe esserenella sfera del paradosso del peccato; ma questo si trovaa sua volta in un'altra sfera e non può spiegare Abramoed esso stesso è più facile da spiegare che non Abramo.

6 Accenno polemico a Grundtvig e alla caterva dei grundtvigiani.

_,Dunque Abramo non parlò,

ffi'; ;:: ;',xtìr ; íy J#:f lr{,!'lili; :i,:!iàr," oqf"

"ì;ìì;tti"ri. " """ aveva un'espressione piÌr

:1î', j::,.ì:i1:;i:ìii:xi:::,",:!ili#,":i:fl?i:'à:*.;ft d;d'.ru:n:'i':X'"iÌ::T'"rî-:l*:*È:*:salvare Isacco; in generale tutto il ,"" .;À;i,", q".fì""aisacrificare Isacco, ha il motivo i.

;;:rixr 5*ki::*f"j;'.",1' ff # *:':; :;r:causa mia. r-,.ro. .r,.ti.o ..u ;;':":il:iiT,'.HJIr',',rii;

iiriliJ ::ill: !:t:i: ii ifi;:t: j* j*i xjfil'J.Tiî:i."J,:?"T:lli:ll':i::ltr:v93"-.,"e-r13*T:ì, :*n j: :il* #it:";É#j :'i ix'::

I l vero eroe tragico sacrif ica sepe. it e"ne,ai";-tT;;;";;ioni:;:

!l"'so e tùtte le colesue

a:*[".**ruil#r*]il ff i'$i; Jlrfi :i:ff i-;ffi ffi;#.1:[ii'1Ti1:T,]1,Íf:t$_"."",:1,!,?,j

Èd Fccoci allo-ra col paradosso

fl,,:,-.1iJ t;i : [THffi ,lsì,i m il i:lo ur o. .gii-noì' À ;;'"# ;:' ;;il:'ili:f,l::'" t o"

,":i"';:l: j,H:#:::l':ff ,T,îi:ì":T3i1;l';.,,1?xl:npetere che chi è di questa opinione non è il Cavaliere dellalede; poiche la sofferenza e I'angoscia e l,unica giustìti_lfl3n9

clre si osa_ pensare, anch-e se non si può pensareln generale poiché allora si roglie il paradoiso.ADramo face _ ma egli non puÒ parlare, è in quesro

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che consiste la sofferen4a e_l'anggsci4. Se infatti, quanqclp!tl9.l,o-.!S! Iiqs!9 Lt_4g1i. go4qpre4{ere, allora io noÌparlo anche se pqllary! llinterrottamente giorno e notte.Questo è il caso di Abramo. Egli può dire tutto, ma unacosa non può dire e quando non può dirla, cioè non puòdirla in modo èhe un altro la comprenda, egli non parla.La parola porta sollievo poiché essa mi trasferisce nel ge-nerale. Abramo può dire le cose piìr belle che una linguapossa escogitare sul modo col quale egli ama Isacco. Manon è questo ch'egli ha nel cuore, è una cosa piìt profon-da ossia ch'egli vuole sacrificare Isacco perché questa èuna prova lda parte di Dio]. Quest'ultima cosa nessunola può capire e così ognuno non potra che fraintendereanche la prima. Questa sofferenza è sconosciuta all'eroetragico. Per la prima cosa egli ha la consolazione di poterdbattere ogni controargomento: di poter offrire a Cliten-nestra, ad Achille, al coro, a ogni creatura vivente, a ognivoce uscita dal cuore dell'umanità, a ogni pensiero astutoo angosciato di protesta o di compassione, I'occasione diergersi contro di lui. Egli può essere sicuro che tutto quelche si può dire contro di lui, è stato detto, senza riguardie senza misericordia - e se lottare contro il mondo inte-ro è una consolazione, lottare contro se stessi è terribi-le -; egli non deve temere di aver trascurato qualcosa edi dover forse più tardi mettersi a gridare come il re Edoar-do IV dopo la notizia dell'assassinio df Clarence:

Chi m'ha supplicato in suo favore? Chi, nella mia collera, s'èinginocchiato ai miei piedi e mi ha ammonito di essfl cauto? Chiha parlato di fratellanza? Chi ha parlato d'amore?6?

L'eroe tragico non coqoqge 13 qp4yqqtqsa relpo,nsabilita della solitu4lne. Poi egli ha la consolazione di poterpiangere e lamentarsi con Clitennestra e Ifigenia - e le

67 Shakespeare, -RÍccardo III, arto ll, scenal, 106-8; tr. cit., t. l, p.

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lagrime e le grida sollevano, ma i sospiri indicibili tormen_tano. Agamennone può subito raccoglìere la sua animanella certezza ch,egli agira, e alora ha ancora temDo Derconsolare e confortare. euesto, Abramo non può. quan_do il suo cuore è commosso, quando le sue paiole voìreb-bero contenere una beata consolazione per tutto il mon-do, egli non osa consolare poiché allora Sara, Eliezer. Isac_co potrebbero dirgli: <Allora perché lo fai? tu puoi Iascìarperdere!>. E se nella sua tristezza volesse prenàere un po,d'aria e abbracciare tutto ciÒ che gli è caro prima di fareI'ultimo passo, forse scatenerebbe la cosa trèmenda. cioèche Sara, Eliezer. Isacco si scandalizzerebbero di lui e loprenderebbero per un ipocrita. Egli non parla, non parlanessun linguaggio umano. Anche se comprendesse tuttele lingue della r_erra, 3.nc[q se_golqIo chlgllqm? lo_g_qqr_prendessero, egtj non puÒ parlare _ egli parla nella lin_gua divina, parla in li4gu_e (I Cqr,,_13, t).

Questa soffererza io la posso ben capirè. posso ammi_rare-Abramo e non temo che qualcuno, leggendo questastoria, possa avere la tentazione di volere con leggérezzaessere il Singolo; ma confesso anche di non au"." il

"o-raggio per questo e che con gioia rinuncio a osni inten_zione di andare oltre, qualora fosse soltanro posibile cheun giorno - per tardi che fosse - vi giungissi. A ognilno_m€nto Abramo puÒ smettere, può pentirsi di tutto co-me di uno scrupolò: allora può pariare, allora túrti lo oos_sglq_comprendere - rna àttóiaìgiiìón è biù eurirna-Abramo nón.pra p-arlg:;_noic{É esrt L;i ;"ò dj;;;:;cq_9-lgllrlav_e dl tutto (cioè dirlo in m_odo comprensib_i!e),ossla cne sl tratta di una ptova dove il momenro eîico co_stituisce la tentaziónè. eni ii tróva in quesia sirua2ione,costui è un emigrante dalla sfera dell'etica. Ma ciò che selgue egli può dirlo ancor di meno. Abramo infatti, I'ab_biamo. già svolto ampiamente, fa due movimenti. Egli faiI movimento infinito della rassegnazione e rinuncia a-Isac_co: questo nessuno lo può capire, perché è un affare pri_

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vato; ma poi fa in ogni momento il movimento della fe-de. Questa è la sua consolazione. Infatti egli dice: questoperò non accadrà; o se accadrà, Dio allora mi darà un nuo-vo Isacco in forza appunto dell'assurdo. L'eroe tragicoriesce ad avere la fine della storia. Ifigenia si piega sottola risoluzione del padre, ella compie il movimento infini-to della rassegnazione ed essi ora sono d'accordo' Ifige-nia può capire Agamennone, perché il suo gesto esprimeil generale. Se invece Agamennone le dicesse: <Benché Dioti voglia come vittima, potrebbe darsi che non ti vogliain forza dell'assurdo) - ecco che in quel riedesimo istanteegli sarebbe incomprensibile per Ifigenia. Se si potesse dirquesto per un calcolo umano, Ifigenia certamente lo com-prenderebbe, ma allora si dovrebbe dedurre che Agamen-none non aveva fatto il movimento infinito della rasse-gnazione: così egli non è un eroe, la predizione dell'augu-re è un racconto da marinai e l'intera faccenda una farsa.

Abramo allora non parlò. Di lui ci è stata conservatauna sola parola, l 'unica risposta a Isacco la quale ancheampiamente dimostra ch'egli prima non aveva parlato'Isacco chiede ad Abramo dov'è l'agnello per I'olocausto:(E Abramo dísse: Dio prowederà un agnello per I'olo-causto, figlio miol) (Ger., 22, 8). Voglio considerare unpo'più da vicino queste parole di Abramo' Se mancasse-ro queste parole, I'intero evento mancherebbe di qualco-sa e forse tutto si risolverebbe in una confusione.

Spesso ho riflettuto a che punto un eroe tragico, se èal culmine della sofferenza oppure dell'azione ch'egli de-ve pronunciare la sua ultima battuta. La risposta dipen-de, a mio awiso, dalla sfera di vita alla quale egli appar-tiene, fino a che punto la sua vita ha un significato intel-lettuale, fino a che punto il suo soflrire o la sua azionesta in rappofto ailo spirito.

Vien da sé che l'eroe tragico nel momento culminante,cgmg qualsiasi altro uomo che non sia privo della parola,può dire un paio di parole, forse un paio di parole a pro-

posito; ma la questione è fino a che punto gli convengail dirle. Se il significato della sua vita sta nelliazione esé_riore, egli allora non ha nulla da dire poiché tutto ciò ch,e_gli dice è essenzialmente chiacchiera che ha I'effetto di in-debolire I'impressione di se stesso: invece il cerimonialetragico gli ordina di assolvere il suo compito in silenziosiache questo consista nell'agire o nel soffrire. per nonandare troppo per le lunghe mi limiterò a prendere quelche ho a portata di mano. Se Agamennone stesso, e nonCalcante, avesse dovuto alzare il coltello contro Ifigenia,si sarebbe soltanto abbassato a pronunciare nell,ultimomomento un paio di parole: poiché il significato della suaazione era lampante per tutti, la procedura deila pietà, del_la compassione, della commozione, delle lagrimé era iom_piuta e per il resto non aveva la sua vrra nessun rapportoallo spirito, cioè egli non era né un testimonio né un mae-stro nel campo dello spirito. Se invece il significato dellavita dell'eroe è in direzione deÌlo spirito, la mancanza diura barrura indebolirebbe l' impre,sione da parle sua. Ciòcne oeve al tora dire non è un paio di parole di c i rcostan_za, o un piccolo saggio di declamazione: ma I'importan_za della sua battuta è ch'egli nel momento decisivo realiz_zr se stesso. Un simile eroe intellettuale tragico deve avere- ciò a cui abbastanza spesso si aspira in modi ridicoli- deve avere e serbare l,ultima parola. Si esige da lui ilmedesimo atteggiamento trasfigurato che incombe aognieroe tragico. ma si esige in piu ancora una parola. C-osiquando un simi le eroe intel lc Lr le culmina ìn un soffr i re(nella morte), egli diventa immonaié;ón Ie ariè rjiaime pà-role prima di morire. menlre l'eroe rragico comune ditenraimmortale sol tanto dopo Ia morte,

Si puÒ prendere come esempio Socrate. Egli era un eroetragico intellettuale. Gli viene annunziata la sua condan_!e a lqorte. In quésto momento egli muore; poiché còluiche non comprende che si esige tutta la forza dello sniritoper morire e che sempre l,eroe muore prima dì mòrire,

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Icostui non andrà molto lontano nella sua considerazionedella vita. Come eroe si esige ora da Socrate che riposiirànqùilto in se stesso, ma come eroe tragico intellettualesi esige da lui che in quest'ultimo momento abbia la forzadi spirito sufficiente per compiere se stesso. Egli allora nonpuÒ come l'eroe tragico comune concentrarsi per tenersial cospet to della morte, ma deve fare presto questo movi-mento che nello stesso momento con la sua coscienza eglista al di sopra di questa lotta e afferma se stesso. Se a que-sto modo Socrate nella crisi della morte si fosse ammuto-lito, avrebbe indebolito l 'effetlo della sua vita, provocandoil malinteso che I'elasticità della ironia non era in lui unaforza cosmica, ma una specie di gioco, la cui agilità dove-va enlrare in azione in misura inversa a quella richiestaper mantenersi pateticamente in elevazione *.

Queste brevi indicazioni non si possono evidentementeapplicare ad Abramo, se si crede con qualche analogia dipoter trovare una parola che convenga ad Abramo comefinale; certamente, in quanto si vede la necessità che Abra-mo nell'ultimo momento debba compiere se stesso, nondeve estrarre il coltello in silenzio ma avere una parola dadire: poiché corne Padre della Fede egli ha un'importan-za assoluta nella vita dello spirito. Su ciò ch'egli deve di-re, non posso farmi idea alcuna; dopo che l'ha detto' possoben capirlo e in certo senso posso comprendere Abramoin quel che ha detto senza per questo awicinarlo più diquanto non l'avessi fatto prima. Se non esistesse nessunaultirna battuta di Socrprc;pqtf ei ól pE!i!9i-o-lq"l!9@-qtsùò oosto e fòrmularne unà è, se a mè nón rióscelotrèb-be farló un ioera. Ma nessun pòera si aicosta ad Abramó.

_ _Prima di considerare piir da vicino le ultime parole diAbramo, bisogna che io anzitutto richiarni t,attenzione sut-le difficoltà che in generale Abramo può incontrare perpoter riuscire a dire qualcosa. La sofferenza e I,angosciadel paradosso stanno, come sopra ho suotto, p.op.iairn.ni"nel silenzio:.Abramo non può partare. Se.si'nuot poriafqqualche analogia, la si può trovare nella siru;io;e de amone di piragora; p-òictré it siÈnzio, .h;.rl; ;;;;;;_Lermato, doveva manrenerlo tino a .ulrimo

momenlo epercro drsse-. e meglio essere ucciso che parlare (cfr. Dio_gene, lib. VIll, j 39). In quesro sensó e u n'aúìoconìrdddi_

Í#::'j'3i:;;:;i'J:,Ti*.,"[T.".llr;:i;*ii:x:sanào con ciò di essere auramo-e annulian;;il;;i"';-tuazioÌg plecedente. se òóii À6iano net momento deci_sivo dicesse a Isacco; (Si tratta di te>, parole siffatte so_no soltanto una debolezza. lnfatti se in generale egli cosìpotesse parlare, avrebbe dovuto farlo molto prima é la de_bolezza dovrebbe allora consistere nel fattò ch,eeli nonaveva avuto la maturirà e concenrrazione di spirilo pir pen_sare in anticipo tutto quel suo dolore, ma egli si è sbaraz_zato di qualcosa così che il suo dolore reaìe è maggioredi quello pensato. Inoltre simili parole lo metterebberofuori del paradosso trasformando la sua situazione in unoscrupolo:.poiché altrimenti egli non potrebbe dire nullae, se lo dicesse. non sarebbe n.ppurè un .ro. trugi.o.

-'

I uuavta le ullrme parole di Abramo ci sono state con_

* Poiché Platone ha in molti modi volatilizzato poeticamente la fi_gÌÙa di Socrate, le opinioni sono divise circa la battuta ah Socrate cheóev'e'sere consideraia decir iva. Io propongo la seguenle: gl i viene an'nunciata Ia condanna a morte, nel medesimo momento egl l muore. nelmedesimo momento egli trionfa sulla morte e compie se stesso n€lla fa-mosa risposta: che si meravigliava d'ess€re stato condannato con la mag-sioranzi di tre voti. Nessun discorso vuoto o stlipido sulla piazza delirercato, nessuna osseúazione cretina di un idiota poteva essere, comela sua condanna a morte, ridicolizzala con pari irotua.

150 l5 l

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che sa non lo può dire. Egli allora risponde: <Dio prov-vedera un agnello pel l'olocausto, figlio mio> (Gen., 22,8). Di qui si vede il doppio movimento nell'anima di Abra-mo, com'è stato descritto sopra. Se Abrarno avesse sem-plicemente rinunciato a Isacco senza fare nulla di piu.avrebbe mentito, perché egli sa che il Signore esige Isaccoper olocausto e sa che lui stesso in questo momento è pron-to a sacrificallo. Pertanto in ogni momento, ch'è seguitoa questo movimento, egli fa il movimento della fede inforza dell'assurdo. In questo senso egli non dice falsitàalcuna, poiché in forza dell'assurdo è sempre possibile cheDio faccia qualcosa di completamente diverso. Abramonon dice nessuna falsità, ma non dice neppure qualcosa,poiché egli parla in una linguà stranièrà. eiò diventà taf-to più evidente se si riflette che tocca allo stesso Abramosacrificare Isacco. Se il compito fosse stato un altro, seDio avesse ordinato ad Abramo di conduffe Isacco sulmonte Moria e ivi lui stesso I'avrebbe colpito con la fol-gore per prenderlo così in sacrificio, allora Abramo in sen-so diretto avrebbe ragione di parlare in quel modo cosìenigmatico con cui parla, poiché neppure lui pottebbe sa-pere quel che accadrà. Ma Abramo deve agire nel modocome il compito gli è stato affidato: egli deve quindi sa-pere nel momento decisivo che Isacco dev'essere sacrifi-cato. Se Abramo non avesse saputo queslo con precisio-ne, non avrebbe potuto fare il movimento infinito dellarassegnazione; le sue parole allora ceÍamente non sonofalse, ma così egli è molto lontano dall'essere Abramo:è meno importante dell'eroe tragico - anzi è un uomoindeciso che non riesce a prendere una decisione qualsiasie perciÒ se la cava sempre parlando con indovinelli. Maun simile esitante è esattamenle la parodia del Cavaiieredella fede.

Allora questo mostra ancora una volta che certamentesi può cornprendere Abramn, ma unicamente nel modocome si comprendè il paradosso. Per parte mia posso ben

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comprendere Abramo ma insieme capisco che non ho ilcoraggio di parlare a questo modo, così come non ho ilcoraggio di agire come Abramo: senza per questo dire af_fatto che ciò sia cosa dappoco, anzi è l;uniia cosa proài_gtosa.

, F cosa pensarono i contemporanei dell,eroe tragico?

ch'era grande e I'ammirarono. E quella venerabile accol_ta di.nobili. i l giudizio che ogni generazione cosrituisce pergruorcare la generazione passata ha giudicato anche illostesso modo. Ma per Abramo non ci fu nessuno che lopotesse comprendere. E cosa mai egli riusci a ottenere?di rimanere fedele al suo amore. Ma l,uomo che ama Diononha bisogno di lagrime né di ammirazione; egti aimen-tica la sofferenza nell,amore: anzi l,ha così totairnèntè di_menticara che non ci sarebbe la minima rraccia di quel d;-lore se non fosse Dio stesso a riCórdarglielo, poiéhé-ó;y1f; n9l seerero (Mr. ,6,6t , conosce Iaiof l 'er i -u, .on,àle lagrime e dimentica tutto.

, All.ora au!-au:: o esiste il paradosso che il Singoto co_

me srngoto 5ta.rn un rapporto assoluto al l .Assoluto, op_pure Abramo è Derduto_

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EPILOGO

Quando una volta in Olanda il mercato delle spezie avevasubito una flessione norevole. imercanti fecero affonda-re in maie'rin paio di carichi per rialzarne i prezzi. Que-sto era un imbroglio perdonabile, forse necessario. Nonè di una mossa simile che noi abbiamo bisogno nel cam-pó deilo spirito? Siamo noi certi di avere raggiunlo la co-sa piìr alta così che non ci resti altro piamente da immagi-nare di non essere giunti tant'oltre così da avere qualcosadi che iiempire il tempo? È di una simile illusione che lapresente generazione ha bisogno? è questo il virtuosismoin cui dev'essere educata, oppure essa non si è perfezio-nata abbastanza nell'arte d'ingannare se stessa? Ciò di cuiessa abbisogna non è piuttosto invece una onesta serietàche senza lasciarsi spaventare o corrompere indichi i com-piti difendendoli amorevolmenle, che non metta in ango-scia gli uomini spaventandoli con la cosa suprema, mamantenendo i compiti giovani e belli e deliziosi da vederee affascinanti per tutti e insieme difficili ed entusiasmantiper le anime nobili, dato che le anime nobili si entusia-smano solo per le cose difficili? Checché possa una gene-razione imparare da un'altra, quel ch'è propriamente uma-no nessuna generazione I'impara dalla precedente. Riguar-do a questo ogni generazione comincia in modo origina-rio, non ha un compito diverso dalla precedente né va ol-tre di questa, a meno che Ia precedente non abbia traditoil compito e ingannato se stessa. Ciò ch'è propriamenteumano è la passione con la quale anche una generazione

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comprende I'altra e se stessa. Così nessuna generazioneinsegna a un'alra ad amare, nessuna comrncra da un pun_

l : : f : " - s ia. i l pr incipio: nessuna generazione posrer io_

re ha un compilo piu breve della precedenre e se àon uuo_le, come le prececlenti, fermarsi al traguardo d.Uu;;;.ma andare oltre, quesîo non sarà che un Oiscorso filvoioe sciocco.

Ma la passione suprema dell,uomo è la fed,e. Nessunagenerazione comincia qui da un punto diveisó dalla pre-cedente e ogni generazione comincia aa .upo; tu g.n!.u_zrone seguente non va più in là della precedente se questaè r imasra fedete al suo compiro e non I 'ha pian,u,oì" u i_so. La generazione non può dire ctre quesió (co_piroilaffaticante, poiché la generazion. la il iuo comp;to'e-nonha niente a che fare col fatto che la generazione prece_dente ha avuto.lo stesso compiîo _ a meno che la singolagenerazione o- ì Singoli nella generazione non pr"rurnìnodl occupare s lacciatamente i l posro che solo cómpete al loiprnto che governa i l mondo e che ha la pazienza di nonsîancarsi. Se una generazione vuol farlo è segno ch,è tra_ùata: che meraviglia allora che tutta l,esistenza sembri tra-viatal Infatti non c,è nessuno che abbia trovato l,esisten-:: !iÌ

trSviaj? di quel sarro il quale, secondo la favolaii,entrato in cielo ancor vivo, contemplava da quel puntodi osservazione l,universo. Appena una generazione sip:eoccupa soltanto del suo compito, chrè Itobiettìvo piùalto, n^on puÒ davvero stancarsi, poiihé il Compìtó è sem-pre sufficiente per la vita di un uomo. euand; i bambi;11 un siorno di vacanza prima che il campanile suoni iel2 hanno già esaur i ro tur t i i loro giochi . o i , gr iauno i rn_patzlenîr: non c'é nessuno che possa inventare quaJche nuo-vo-gioco? - questo dimostra forse che coteiti marmoc_chi sono più evoluti e progrediti dei bambini d.U; ;;;;

," ̂ 11,}:,': lll:ll tt.: o in paîadiso delle ^tndermorchcn

\..ravote ;n.ianùrr)) der frarel l i Crimm

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razione contemporanea o di quella passata che passava-no tutta la giornata con i giochi soliti? O ciò non dimo-stra piuttosto che quei primi bambini mancaqo di quellach'io vorrei chiamare la serietà amorosa con cui bisognasempre giocare?

Ia fede è la passione suprema di un uomo. Forse in ognigenerazione molti non ci arrivano neppure, ma nessunova oltre. Non tocca a me decidere se anche ai nostri giorni

molti non la scoprono; io oso sollanlo richiamarmi a mestesso come a chi non si nasconde che i suoi progetti sonoa lunga scadenza, senza per questo auspicare d'ingannarese stesso o il grande ideale riducendolo a qualcosa d'insignificante, a un gioco infantile di cui uno si sbarazza alpiu presto. Ma anche per colui che non è ancora giunto

alla fede la vita pone compiti sufficienti e, quando li. amaonestamente, la vila non è certamente sprecata: anche seciò non è comparabile alla vita di coloro che accolsero eafferrarono I'ideale piil alto. Ma colui ch'è giunto alla fe-de (non fa differenza, a questo proposito, se egli sia di ta-lenti notevoli o un uomo semplice), se egli non si fermassealla fede, certamente si ribellerebbe se qualcuno glielo rim-proverasse: come l'amante s'indignerebbe se qualcuno lorimproverasse perché si è fermato all'amore - egli infattirisponderebbe: io non mi son fermato 4!!411q' polclé è inquesto che consiste Ia mia vita. E neppure egli va oltre,non pqsa a qualcosa d'altro: poiché se scoprisse qualco-sa di altro, allora egli ha un'altra spiegazione.

<Bisogna andare oltre, bisogna andare oltre>' Questobisogno di andare oltre è antico nel mondo. L'oscuro Era-clito, che depose i suoi pensieri nei suoi scritti e i suoi scrittinel tempio di Diana (poiché quei pensieri erano stati lasua armatura nella vita e perciò li appese nel tempio delladea) ha detto: <Non ci si può bagnare due volte nello stessofiumer> *. L'oscuro Eraclito aveva un discepolo che non

' Kai rordsoù Èoi <intLxd€c,v td U,ra ).i1eL óq Di< èq ròv dùîòvt totcgòvoixàvigpai4t f . l a5.omigl iandoleco:euniver\eal lacof lente

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volle fermarsi a questo, ma andò oltre e aggiunse: <nonci si può bagnare neppure una volta> *. povero Eraclito:avere un discepolo s imi le l l l pr incipio di Eracl i to con oue-sto migl ioramento s i migl ioró al punro da divenlare unaproposizione elastica che nega il movimento: eppure quellovoleva essere soltanto un discepolo di Eraclito che inten-deva andare oltre, non tornare indietro a ciÒ òhe Eraclitoaveva abbandonato.

di un l iumeì due rolre. dice, in un mede,rmo f iume non r i porrebbe di..cenorre. l {ptafo. ( ' rurl tus 402 Ai Dielc I . 145. 28-9).' Cl i . Tenemann, Gesch. d. phtto:. , I Bd., p. 220.

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AUr-4ur

Dalle carte di A

Ad se ipsum

Grandeur, sayoir, renomméc_ Amitié, píoiririt'iiàí

^r out n.est que vent. que fumée:

rour mteux dire, lout n'est rient.

,,;,f;iàì''::;: l::[::x'",îif:1"i ix?ilJ,,&fl[,:t,fti,î:1,##i{'"':'1jJx'ft'"'. "trÉx", ;#'1,'r ramrna (crr. Lessing, ces.

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DIAPSALMATA

-Ch-g.gg!-'È-!ln pogta? Un uomo infelice che nasconde gra-vr pene nel suo cuore, ma le cui labbra sono conformatein lal modo che il sospiro e il grido all.uscirne le renJesqulllantl come una bella musica. La sua sorte è simile aquetla di quegli sciagurati che nel toro di Falarider furo_no tormentati a fuoco lento, e le cui grida non potevanogiungere all 'orecchio del riranno per turbarlo. giàcché perlur avevano ll suono di una dolce musica. Ora gli uominisi affollano

.in rorno al poela e gli dicono: nCanta presrodi nuovo, cioè che nuove sofferenze torturino Dresto lalua anima, e che le rue labbra seguirino a esseri confor_mate come prima, poiché le grida non farebbero che in_quietarci, ma la musica è soave>r. E i critici si accostanodicendo: <Va bene, così dev,essere secondo le regole del_I'estetica). Si capisce: un critico somiglia a un poeta co-me una goccia d,acqua a una goccia d'acqua, soltantoch'egli non ha le pene del cuore né la musica suile labbra.Ed ecco perché io vorrei piul.tosto essere porcaro ad Ana_geròro e farmi capire dai porci, che essere poeta e venirîrarnteso dagÌi uomini.

La prima questione che la pedagogia più semplice ed ele_mentare si pone è, com'è noto, la seguente: cosa avrà il

r,r j,:'ifi l;"l':f{!,: [:f :::Tti:.;:i";:ff ,ff.""T ;:ir:îJn :::tT,i'iÎi1:'.iltl"ili1ril','*?:îi: ;:',"r"rj.*"o't' iri i-".i*" ót,-

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bambino? La risposta è: chi lo sa? E con simili riflessionicomincia la vita, e tuttavia si nega il peccato originale. Echi deve allora il bambino rìngraziare per i primi sganas-soni se non i suoi genitori?

Preferisco parlare coi bambini: con essi si può almeno spe-rare che possano divenire in seguito esseri ragionevoli;mentre quelli che 1o sono già divenuti - Dio mio!

Gli uomini come sono incoerenti! Non approfittano maidelle libertà che hanno, ma reclamano quelle che non han-no: hanno la lib,ertà di pqrsarg, chfg{ono la libertèL di par-lare.

Non mi va di far nulla. Non mi va d'andare a cavallo,è un esercizio troppo violento; non mi va di camminare,mi stanca troppo; non mi va di sdraiarmi, perché, o biso-gna restare sdraiato, e questo non mi va, o bisognerebbealzarsi, e nemmeno questo mi va. Summa summarum: nonmi va di far nulla'?.

Come è noto vi sono degli insetti che muoiono nel mo-mento della fecondazione: Io stesso awiene per tutte Iegioie: il momento più alto e sfolgorante del godimento del-la vita è accompagnato dalla morte.

C-ONSIGLIO EFFICACE PER GLI SCRITTORI

Si buttano giìr alla buona di Dio le proprie riflessioni e

2 Un testo prec€dente del Diaùo (20lt)glio 1839) parla dello spleerche (...i mistici conoscono sotto il nome di momenti di torpore e (che)il Medioevo aveva conosciuto col nome di acedio). Segue la citazionedi s. Gregorio Magno daiMorctiq ín Job, Xlll: (Virum solitarium ubi-que comiîatur acedia... ut animi remissio, mentis enervatìo, neglectusreligiosae exercitationis, odium professionis, laudatrix rerum saecula-rium)) k(L'accidia accompagna ovunque I'uomo solitado... come tor-pore dell'animo, ianguore della mente, abbandono della pratica religio-sa, odio della professione, celebrazìone della vita secolare.))l (II A 484;tr. i t . , nr. 383, r. I , p.293).

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si mandano in tipografia: ecco che un po, alla volta, cor_reggendo le bozze, cominciano a spuntare un mucchio dieccellenti pensieri. perciò fatevi coraggio, voi che ancoranon osavate mandare qualcosa alle stampe: anche gli er_rori di stampa non sono da disprezzare e il diventar-e spi_ntosi, a causa degli errori di srampa, dev'essere ancoraconsiderato un modo decente per diventarlo.

In generale-l'irnperfezione di tutte le cose umane è che sol_tanto mediante il contrasto si possiede ciò che si desidera.Non parlerò di quella molteplicità di formazione che puòdar assai da fare allo psicologo (il malinconico oossiidesoprattutto il senso del comico, il sensua.le ha spesso e prin_cipalmente quello idillico, il debosciato ,p"rroìl ,"nro

-o_rale, e lo scettico spesso il senso religiosò); a me basta so_lo osservare che la brcatitudine non siintravvede che attra_vcrso. il peccato. ' -

Fuori del mio solito ambiente numeroso, io ho ancora unintimo confidente - la mia malinconia; in mezzo alla miagioia, in mezzo al mio lavoro, esso mi fa un cenno, mitirada parte-anche se il mio corpo resta sul posto.-La mia.D{ali.ncc$ie è l'4rna41e più fedete ch'io abbia conósciuto:che meraviglia allora ch'io roini àà-àmàrlàZ

E un ragionamento balordo quello che nella sua infinitàsta nello stesso rapporto al risultato come l,infinita seriedei re egiziani al loro prodotto storico.

I a vecchiaia realizza i sogni della gioventù: lo si vede inSwiftr che costruì in gioventù un manicomio e nella suavecchiaia vi fu ricoverato.

È angosciante il vedere con quale profonda ipocondria gli

,,..3_Jonathan Swift. celebre 5aririco ingese e aurcre der yiagei di Gul_/rver, mon ln marùcomio nel 1745_

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Iantichi inglesi hanno scoperto I'ambiguità che sta a fon-damento del ridicolo. Il Dr. Hartle/ ha osservato: che seil ridere si mostta arìzitutto nei bambini, così c'è un pian-to iniziale ch'è stimolato dal dolore owero un s€ntimen-to del dolore irnprowisamente impedito e ripetuto con in-tervalli molto brevi (cfr. Flògel, Geschichîe der comischenLiterutur,l. Bd., p. 50). Come tutto nel mondo è un ma-linteso, come in fondo il riso non è che un pianto!

Ci sono certe occasioni nelle quali si può provare un do-lore infinito nel vedere un uomo ch'è completamente so-lo al mondo. Così ieri ho visto una bambina povera re-carsi sola alla Chiesa per ricevere il sacramento della con-fermazione.

Cornelio Nepote racconra di un generale', che fu rinchiu-so in una foÍtezzà con una notevole cavalleria, il qualefaceva sferzare i cavalli tuili i giorni, perché la troppa ina-zione non fosse loro nociva - così anch'io vivo in questotempo come un assediato; ma perché questa eccessiva inat-tivita non mi porti danno, io piango fino a stancarmi.

plco del mio dolore ggme I'inglese i4la sla- casa: il miodolore is my castle. Molti uomini considerano il patir do-lore come una delle comodità della vita.

Io mi sento come dovrebbe sentirsi un pezzo del gioco discacchi quando I'awersario dice: questo pezzo non si puòtoccare,

<Aladino> è un racconto così fortificante, perché ha unardimento geniale e infantile nei desideri più strampalati.

Quanti nel nostro tempo oserebbero in verita desiderare,aspirare, apostrofare la natura né col <<prego, prego> di

a David Hartley (1705-57), medico e filosofo inglese.t Si tratta del generale macedone Eurnene (c. 5, 4 sgg.).

un bambino educato, né con la rabbia di un individuo tra_viato? Quanti hanno il sentimento di ciò di cui tanto sichiacchiera ai nostri giorni, cioè che l,uomo è creato a im-magine di Dìo loen., 1,26)? A quanri hanno Ia vera voceoet comandamento? Oppure non siamo noi come Nou_reddin, che ci sbracciamo in inchini e riverenze, con l,an_goscia di esigere troppo o troppo poco? Oppure ogni esi-genza grandiosa non è stata ridotta a poco a poco a unrifleltere morboso sul proprio io, a spostare i.esigenza sudr se, come I'esige anche la nostra educazione e forma_zione?

Spaurito come un Scheva, debole e rrascurato come unDagesch lene6, io mi trovo come una lettera stampata arovescio nella riga e tuttavia fiero come un pascià di trecode, geloso di me stesso e dei miei pensieri come la Ban_ca dei suoi biglietti, soprattutto cosi ripiegato in me stes_so come un pronomen reflexivum. Sì, vale per le disgra-zie e le pene ciò che vale per le azioni fatte ìn buonalo_scienza: che coloro che le fanno, hanno il loro premio _se questo vale per le pene, io sarò I'uomo piu felice delmondo, poiché io anticipo tutte le preoccupazioni e per_ciò esse restano dietro.

Ciò che mostra fra l,altro l,immensa forza poetica dellaletteratura popolare è questo, che essa ha un fotere di bra_ma.re. A confronto di essa la concupiscenza dei nostri gior-ni è peccaminosa a un tempo e noiosa, perché essa àesi_dera quello che appartiene al prossimo. euella sa benissi_mo che il prossimo, al pari di lei, non possiede quel cheessa cerca. E'se cede a qualche brama peccaminosa lo faln manlera tanto ributtante da far tremare l,uomo.

I freddi calcoli di probabilità di una intelligenza sobria

. 6,scheva e Dagesch sono segni per la letrura ctelle lelrere dell.aifabe-lo ebraico

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I

non approdano a nulla. Ancora oggi Don Giovanni tra-versa la scena colle sue 1003 amanti. Nessuno osa sorri-dere a causa del rispetto per la venerabilità della tradizio-ne. Se un poeta al giorno d'oggi l'avesse osato, sarebbestato deriso.

Che impressione di strana rnalinconia non ho avuto nelvedere trascinarsi per la via un pover'uomo coperto di unfrac verde chiaro tendente al giallo. Mi faceva pena; maciò che mi ha commosso di piii era il colore del suo fracche mi ricordava in modo impressionante i primi prodot-ti della mia infanzia nella nobile arte della pittura. Que-sto colore era infatti uno dei miei preferiti. Non è peròtriste che questo impasto di colori, ch'io ancora ricordocon tanta gioia, non si trovi in nessun luogo della vita?Tutto il mondo li trova crudi, eccentrici, buoni soltantoper le figurine di Norimberga. Se capita d'incontrarli qual-che volta, I'incontro sarà penoso come questa volta. Sitratterà sempre di un pazzo o di un povero disgraziato,in breve sempre di uno che si sente estraneo alla vita e cheil mondo sconfesserà. E io che sempre dipingevo i mieieroi con quella tinta di un giallo-verde indimenticabile!Non succede così con tutti gli impasti cromatici dell'in-fanzia? Lo splendore che allora aveva la vita, un po' allavolta diventa forte, troppo crudo per i nostri occhi.

Ahimè, la porta della felicità non si apre verso l'internocosì che a slanciarsi contro di essa non serve a nulla; maessa si apre r erso I'csterno e perciò non c'è nulLa da fare.

Io ho il coraggio, credo, di dubitare di tutto; ho il corag-gio, credo, di loirare contro tutto; ma non ho il coraggiodi ionosceré qi'ilcòsa, né il coraggio di avere, né di pos-sedere qualcosa. I più si lamentano che il mondo sia tan-to prosaico, che nella vita le cose non vanno come nel ro-manzo, dove I'occasione è sempre tanto favorevole; io mi

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lamento, perché nella vita le cose non vanno come nel ro-manzo, dove si ha da lottare contro i padri dal cuor duro,i coboldi e i nani, e da liberare le prin-ipesse st.egate. Co_sa sono tutti i nemici di questo genere in confionto deifantasmi norturni pallidi, esangui, allampanatì, coi qualiro combatto e a cui io stesso do vita ed esistenza?

Perché la mia anima e i miei pensieri sono così sterili, etutlavia sempre torturati da dolori senza contenuto, vo_luttuosi e penosi? La lingua del mio spirito non si scio_gtera mai in me, dovrà sempre balbettire? Io ho bisolnodi una voce penetrante come lo sguardo di una lince, ier_rjficanle come il sospiro di un giganre, persisrente comeu suono de a natura, mordente come il sibilo del ventogelido, sinistro come lo scherno impietoso dell'eco. di unagamma che va dal basso più profondo fino ai roni più te_neri, modulati a partùe dal bisbiglio sacro fino ali,ener-gia frenetica. È di questo ch'io hó bisogno per respirare,per esprimere ciò che tengo nell.anima, per icuotere le vi_scere sia dell'ira come della simpatia. Ma la mia voce èrauca come il grido del gabbiano o spenta come la bene-dizione sulle labbra di un muto.

Cos'accadrà? Cosa porterà il futuro? Non lo so, non neho presentimento aìcuno. euando il ragno da un puntofisso si lancia precipitandosi in basso con le sue conseeuen_ze, allora esso vede sempre uno spazio vuoto davinti asé nel quale non può îrovare un appoggio per quanto silanci. Così è con me; davanti a me c'è sémpie uno spaziovuoto; ciò che mi spinge fuori è una conseguenza che stadietro a me. Questa vita va a rovescio: è tremendo. in-sopportabile.

Il primo periodo dell'innamcramento è sempre il più bel-lo, poiché a ogni incontro ogni sguardo si porti a casaqualcosa di nuovo per allegrarsi.

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La mia concezione della vita è comoletamente senza sen-so. lo penso che uno spirito malignà mi ha messo sul na-so un paio di occhiali di cui una lente ingrandisce a dismi-sura mentre I'altra rimpicciolisce anch'essa a dismisura.

Il dubitante è un pep|ao.rr,1<opévog'; come una trottola sot-to i colpj della frusta egli per un tempo piìr o meno lungosi mantiene in piedi, tanto poco come la trottola.

Di tutte le cose ridicole che mi capitano la più ridicola èdi essere indaffarato in questo mondo, di essere un uomoche si affretta ad andare a mangiare, a compiere il suolavoro. Quando perciò io vedo una mosca posarsi nel mo-mento decisivo sul naso di un simile uomo d'affari o unavettura sorpassarlo a una velocità pirì grande, inzacche-randolo, o il ponte di Knippel sollevarsi davanti a lui ouna tegola cadergli in testa e ucciderlo, io rido con tuttoil cuore. E chi non scoppierebbe a ridere? Cosa possonocombinare di buono questi esagitati? Non succede a co-storo come a quella donna la quale nel trambusto per l'in-cendio della sua casa, pose in salvo le molle per attizzareil fuoco? Cosa salvano di più costoro dal grande incendiodella vita?

A me manca ín tutto e per tutto la pazienza di vivere. Nonposso vedere l'erba crescere, e poiché non lo posso, nonho voglia di guardarla. Le mie idee sono considerazionifugaci di uno (scolastico vagabondo)3 che percorre la vi-ta precipitosamente. Un proverbio dice: Il Nostro Signo-re fa che lo slomaco sia ripieno prima degli occhi. A menon pare: i miei occhi sono sazi e stufi di tutto e tuttavia!o hq fame.

l (Preso a t ruslafe. r l8 kierkegaard usa I'espressione tedesca di Goethe: îahrender Scho-

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Mi. interroghino pure su qualsiasi cosa, a patro che nonm rnterrogtuno sulle ragioni. Si perdona a una giovane ra_gazza ch'essa non possa dare ragioni, etfa uiù 1coÀe sidice)- di sentimento. Diversamente net _io "aro.

ìo g.n._rale io di ragioni ne ho così tante e fra loro

"ori "oiliii_stanti che per questa ragione mi è impossiUite portare ra-gÌoni. Anche per it rapporro di causa ed efferro a me sem_ora cne la sltuaz ione non quadri. Alle volte da cause enor_nn e podetosee viene un effetto minuscolo e senza impor_tanza, alle volte addirittura nulla;_al.le-voite "*

pi;;;l"causa produce un effetto colossale,

E ora Ie gioie innocenti della vita! Bisogna ammetterech'esse hanno solo un difetto, quello di eslsere innocenìi.l,r:l:...::"

devono essere godure con misura. euandor mto medlco mi prescrive una dieta, quesro si può capi_re; io po_sso astenermi per un certo tempo da certi deter_minati cibi;. ma-es.se,re dietetici nell,ossérvare ta Aieta _questo e veramente esigere troppo.

L_a-vita è diventala per me una pozione amara e tuttaviaessa va presa come le gocce, lentamente, contando.

Nessuno ritorna dai morti, nessuno è entrato in questomondo senza piangere; nessuno ci domanda q;;;;;:gliamo entrare, nersuno quando vogliamo il;;;."

Il tempo passa, la vita è un fiume, dice la gente ecc. Io:::-1"-r:"

av:erlire quesro, it tempo (per .ì1 ,ta fe._oe ro con esso. Tutri i piani ch'io progerro, ripiombano ca-l_.n9o

tu di me; quando voglio sputare, io mi sputo inlaccra.

Quando mi alzo al mattino, io torno subito a mettermi

I Gewaltige (iD tedesco nel testo).

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Page 85: Timore e tremore   Kierkegaard

a letto. È alla sera ch'io mi sento meglio, nel momentoche spengo la luce e mi tiro su il piumino sulla testa. An-cora una volta mi rialzo, con una gioia indescrivibile douno sguardo d'insieme alla stanza e poi, buona notte! egiir sotto le coperte.

Di cosa son capace? Di nessuna cosa e di nessun genere.È un'abilità rara; chissà se sara apprezzata nella vita? Diosa se trovano un posto le ragazze che cercano un impiegocome donne tuttofare o in mancanza di questo per farequalsiasi cosa.

Non è lecito essere enigmatico con gli altri, ma neppurecon se stesso, Io studio me stesso; quando sono stancodi questo, per passare il tempo accendo un sigaro e pen-so. Dio sa ciò che in fondo Nostro Signore ha voluto dame oppure ciò ch'egli vuole cavare da me.

Nessuna partoriente ha voglie più strane e piÌt impazientidelle mie. Esse riguardano a volte le cose più insignificanti,a volte le piir sublimi, ma tutte contengono in egual gra-do la passione momentanea dell'anima. Io desidero in que-sto momento un piatto di polenta di granturco. Ricordoche quando andavo a scuola, ogni mercoledì mangiava-mo sempre la polenta di granturco. Ricordo che la polen-ta di granturco era liscia e bianca: quanto il burro mi sor-rideva appetitoso, quanto la polenta sembrava calda davedere, quanto io ero affamato e impaziente di comincia-re! Un piatto di polenta di granturco! per averla, dareisubito il mio diritto di primogenituraro.

II mago Virgiliort si fece tagliare a pezzi e introdurre in!0 Allusione a Esau che vendette al fratelÌo Giacobbe il suo diritto

di pdmogenifura per un piatto di ienticchìe (Gen.,25,29 see.)." Virgilio ebbe nel Mcdioevo anche fama di mago. Per questa sto-

riella gli editori danesi danno Ìa citazion€: Zauberer yirgilius, in <<Diedeutschen Volksbùcher), ges. von Simrock, VI, p.363.

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una marmitta per farsi cuocere durante otto giorni e po-ter con questo procedimento ringiovanire. ngli incarìcòqualcuno perché sorvegliasse a che nes.uno gru;Ourra n"

"marmitta. Tuttavia il sorvegliante non poté resistere allatentazjone; era troppo presto, Virgilio ;vanì in figura dibambino con un grido. Anch,io hó senza dubbio lettatolo _sguardo troppo presto nella marmitta, nella marmittadella vita e dello sviluppo della stona, e non arriverò maia diventare più di un bambino.

<<Non bisogna mai perdersi di coraggio, quando le disgra-zie s'ammucchiano su qualcuno ,réilnojo pii rpuuriio_so, è allora che si vede nelle nubi una mano soccorritrice.r- cosl parlava il rev. Jesper Mortenr2 ai secondi vespri.Io sono abituato a camminare sotto il cielo aperto e nonho mai osservato nulla di sirnile. Alcuni giorni fa duranteuna passeggiata ho osseryato un fenomeno simile. Nonera propnamente una mano, ma come un braccio che spor_geva fuori dalle nubi. Mi sprofondai nella riflessione. Éen-sai: (Magari ci fosse ora qui Jesper Morten per deciderese era questo il fenomeno ch'egli intendeva!>. Mentre sta-vo immerso in questi pensieri, un passante mostrandomile nubi mi dice: (Vedete quella tromba d,acqua? si vedemolto di rado da queste parti; essa alle voltó spazza viacase intere). Buon Dio, pensai, è una tromba d,accua.e me la diedi a gambe come meglio porei_ Chissa cosaavrebbe fatto il signor pastore Jesper Morten al mio posto?

Lasciamo che gli altri si lamentino che i tempi sono catti_vi; io mi lamento che il nostro tempo è miseiabile, poichéè senza passioni. I pensieri degli uómini sono sorriti e fra_gili come merletti, essi stessi miseri come le ragazze chefanno.i merletti. I pensieri delle loro menti soÀ troppomeschini per essere peccaminosi. In un venne si potróie

12 Secondo gli editori danesi è un personaggio del poeta Baggesen.

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forse considerare corne un peccato l'avere tali pensieri, nonin un uomo, creato a immagine di Dio. I loro desideri so-no compassati e torpidi, le loro passioni sonnolente. Fan-no il loro dovere, queste anime da bottegai; ma si permet-tono però come gli ebrei di grattare un poco le monetecredendo che, per quanto il Signore sìa esatto nella suacontabilità., si possa sempre riuscire a truffarlo un tanti-no. Puah! Ed è per questo che la mia anima torna sempreall'Antico Testamento e a Shakespeare. Là si sente chequei che parlano sono uomini; la si odia, là si ama, si am-mazza il nemico, si maledice la sua stirpe per tutte le ge-nerazioni, là si pecca.

Io divido il mio tempo coqì: mg1à dormo e I'altra metàsogno. Quando dorrno 4o-n soglo, ed è un peccato poi-ché sognare è la slprema genialità.

L'ideale piÌr alto è di essere un uomo perfetto. In questomìmentò io hó i óati ai p'Grii: quesro è

-però sempre di

aruto.

Il risultato della mia vita sfuma in un nulla, in un'impres-sione,lnriri sòio cóiòre. ii mio risiilràao ha una somiglianzacon la pittuiaii quelltartista che doveva dipingere il pas-saggio degli ebrei del Mar Rosso e a questo scopo dipinsetutta la parete in rosso spiegando che gli ebrei erano giapassati e che gli egiziani erano tutti annegati.

La dignita umana è riconosciuta ancora dalla natura: poi-ché quando si vogliono cacciare gli uccelli dagli alberi, simette un fantoccio che assomiglia a un uomo e anche sesi tratta di una somiglianza lontana con I'uomo, qual èlo spaventapasseri, essa è sufficiente a incutere dspetto.

Quando l'amore deve significare qualcosa, nell'ora dellasua nascita dev'essere illuminato dalla luna. come il bue

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Api per essere un vero Api doveva essere illuminato dallaluna. La vacca che partorì Api dovette nel momento delcoDceplmento essere illuminata dalla luna.

La miglior prova della miseria dell,esistenza è ouella chesi ottiene dalla considerazione della sua rnugn-iG-i.

I piìr corrono con tanta foga alla ricerca del piacere chepassano oltre. Capita a essi come a quel nano che custo_diva nel suo castello una principessa ch,egli aveva rapita.un glorno egli faceva Ia siesta. Dopo un,ora si risveglia,ma la.principessa era fuggita. Subito s'infila le scu.p" íai'.sette leghe - con un solo passo egli I 'ha oltrepassata diun Det pezzo.

Quanto la vita è vuota e insulsa! _ Si fa il funerale diun uomo; lo si accompagna al cimitero, si gettano su dilui tre palate di terra; si torna a casa in carrozza; ci si con_sola col pensiero che ci resta ancora una lunga viia. euantianni fanno 7xl0? perché non finire unu u-oltu per-tuite,perché non rimanere laggiù e discendere nel sepoicro? per-clé non tirare a sorte a chi toccherà la disgraiia di essereI'ultimo vivente che getterà le ultime tre palàte di terra sugliultimi morti?

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Page 87: Timore e tremore   Kierkegaard

trovassi una che roCCC 1e4919, nl&13gi qgggqb,p9 p91 lasu4jeqtài4lng! mt_Ci_u!".t9!b" e "uqrq {elb !U"*rpe091 19!qp!i pgl!!é q lqfà qgqllle fedele e allora io saròvittima del mio zelo di sperimglr-r*q. pSiùg dovrò at-tenelql al.g!; 9pp_!lle_l-9-{lè'U.l,mofnento quando ell4 mipianterà e io avrò la vecchia storia.

Destino miserabile! È inutile che t'impiastricci il viso av-vizzito come una vecchia battona, è inutile che ti mettaa suonare i tuoi ciondoli da pagliaccio: tu mi annoi: è sem-pre la stessa mineslîa, eî idem per iden. Nessuna novità,sempre la stessa minestra riscaldata. Venite, sonno e mor-!e: .yer lgn llqlngttete nulla, voi chiedete tutto.

Questi due familiari colpi d'archetto di violino! Questidue colpi familiari d'archetto di violino, qui in questo mo-mento, in mezzo alla strada! Ho forse perduto la ragio-ne, è il mio orecchio che per amore alla musica di Mozartha cessato di udire, è una ricompensa che gli dei offronoa me, l'infelice, che siede come un pitocco alla porta deltempio, quella di darmi un orecchio che eseguisce per suoconto ciò che ascolta? Solo questi due colpi d'archetto,poiché ora non sento piÌr nulla. Òomé nèita Ouvenureimmortalers irrompono gli accordi profondi, così queidue colpi qui si aprono un passaggio attraverso il brusioe il chiasso della via con tutta la sorpresa di una rivelazio-ne. Dev'essere qui nella vicinanza, poiché io sento i suonileggeri di danza. * È dunque a voi, coppia infelice d,ar-te, che io devo questa gioia. - L'uno di essi poteva avere17 anni e indossava un soprabito verde di Kalmonk, congrandi bottoni di osso. Il frac era troppo grande per lui.Egli teneva il violino stretto sotto il mento, il berretto glicopriva gli occhi, la mano era coperta da un guanto senzadita, le dita erano rosse e blu per il freddo. L,altro era

13 Si tralta delÌa Ouverture del Don Gior,anni di Mozart,

174

lr: lnita.noj .pglava un mantello con collerto: erano tur_ir.

c.uye cr:c.n r..lJ n a ra+az/ela. che probabilmenre facevaroroda guidî, li precedeva cacciandò le mani i" ;;";.;pa. A poco a poco avevano fatto un capannello di ammi_rato_rì di questa musica, un postino col suo pacco al teiie_re, un ragazzo, _una domestica, un paio di vagabondi. Lecarrozze signorili.passar ano fragoroser r carrertr soverchia_vare n \uono der. due viol in i che si sent ivano a interval l i .,urcrce coppla 0r ar l is t i . non saDete voi che quest i suoninascondono in se t utre Ie magnificenze del monào? _ Nonera questo come un convegno d.amore?

Quale può ejsere il significaro di quesra rira? Se si djvi_

r?:["1i:li:ii",ifi iJi:,1i,'i",ìii;ìf ì?*ru*"lull^t]ilif1"t"

defia r ira non può essere que o diìavorare

i,#fiì;iiiT,l,'fl:X?,il,Xil:iff ff íflTiff ""f #iii :ìrxjili: :H',[: fl :îì Ti: ff :r;*"^i*,:.,*lTjlòjj# t?ii 5' TtÍ liii,l fi,._"# l*T,hi. .

iiI'iil,!ffi :xyL.i""ii'.ti:if ,1,,?ii,??ji;Tl,liiillf 1^!!rl,:;:l;i;:nt"-1,,'"Iì,1:9,'JJ:'"ftH311Dregiato del mondo, lo ticenzierei art,isianìe ;;;#ó;

Page 88: Timore e tremore   Kierkegaard

sce che il vero godimento non consiste in ciò che io godo,

ma nel riuscirè a fare Ia propria vólontà

Quindi non sono io il padrone della mia vita: io sono un

filo che dev'issere intessuto nella trama della vira! Bene,

se non so tessere qgno almeno capace di lagliare questo

filo.

Con la tranquillità si ottiene tutto e si divinizza nel silen-

zio. Non vale soltanto della nascita del figlio di Psiche che

tutto dipende dal silenzio di lei:

Nascera un bambino dìvino, se lu laceraj.ma sarà un semplice uomo se rivelerai il segretor'

Mi sembra di essere destinato a4 attraversare le sofferen-

ze di tutti gli stati d'animo pql f4lnq esperienza in tutte

le direzioni. A ogni momento mi trovo come un bamt'lno

iÍèìèvè ìmparare a nuotare, fuori nel mare aperto' Io

mi metto a gridare (l'ho imparato dai greci dai quali sipuò imparare ciò ch'è umano): poiché anche se io porto

una cintura alla vita, non vedo però la pertica che mí de-

ve sostenere. È un modo orrendo di fare esperienza'

È abbastanza strano che ci si faccia un'idea dell'eternitagrazie ai due contrasti più spaventosi. Se penso a quel di-

sgraziaro contabile, che impazzì per disperazione: per aver

calcolato che 7 + 6 fanno 14, aveva rovinato una Came-

ra di commercio; se me I'immagino giorno dopo giorno'

indifferente a qualsiasi altra cosa, ripetere a se stesso: 7

14 In ledesco nel testo: (Mit eínem Kind' das gòtllich' wenn Du

schwiiil - Doch menschlich, utenn Du das Geheimniss zeiesttt Kier'kesaaà ' isoira al le Veramorlosi di Apuleio secondo Ia Lradulione (e'

àr?l i Uio? ,ra prt"rPr di i . Kehrein' Cie'sen 1832 lcl f s Kierk€-gaards Bibtiolhek, nr. 1216, p. 75)

t76

+ 6 = 14, ecco che allora ho l,immagine dell'eternità.Se m'immagino in un harem una voluttuosa bellezza fem_minile adagiata con tutta la sua grazia sopra un divanosenza preoccuparsi di nulla al mondo, ecco ch,io ho un'al_tra immagine dell'eternitàr5.

Ciò che i filosofi dicono della realtà, è così deludente co_me la scritta che si legge da un antiquario: qui si stira _e se si ritorna col proprio vestito per farlo stirare, si restabuggerati. Era una scritta in vendita!

Per me non c'è nulla di piu pericoloso del ricordare. Ap-pena io ricordo una cosa della vita, la cosa stèsa cessa.Si dice che la separazione aiuta a rinfrescare I'amore. Èverissimo, ma lo rinfresca in modo puramente poetico. Vi_vere nel ricordo è il modo più perfetto di vita che si possaimmaginare. tl ricordo sazia piu di qualunque realra, e hauna sicurezza che nessuna realrà possiede. Una situaziJ_ne della vita ch'è stata ricordata è già entrata nell'eternitàe non ha piÌr nessùn interesse terreno.

Se qualcuno deve tenere un diario per venire un po, in soc-corso della sua memoria, costui dovrei essere io. Dopo unpo' di tempo mi accade spesso di aver dimenticato com_pletamente le ragioni che mi hanno spinto a questa o quellacosa, non soltanto quando si tratta d'inezie ma anche deipassi piìr importanti. Quando poi le ragioni mi ritornanoalla memoria, mi sembrano spesso cosi strane ch,io nonriesco a credere che fossero ragioni. euesto dubbio sva_nirebbe, se avessi qualcosa di scritto a cui attenermi. Unaragione è in generale una cosa strana: se io l,osservo contutta la mia passione, essd si gonfia fino a diventare un,e_norme necessità ch'è capace di muovere cielo e terra: se

_ 15 Altri eseTpi di_lla (immagine et€rna) sl trovano nel rrìarro (cfr.

trad. i t , , t . XII, p. 178).

t1'l

Page 89: Timore e tremore   Kierkegaard

io sono senza passione, allora la guardo con sdegno. A

lungo !o riflettuto sulla causa che m'ha spinto a rinun-

ciale q! pósio dli4sègnamento. Quando ci penso, capisco

cùequétta posizione era per me qualcosa (di solido). Oggi

mi è venuto un barlume di luce: la ragione è stata ch'io

non mi sentivo tagliato per quel posto. Se fossi rimasto

a quel posto, avrei avuto tutto da perdere e nulla da gua-

dignatè. fe. qo"sto ho giudicato bene di rinunziare al po-

sto e di farmi assumere in una comitiva di attori ambu-

lanti per la ragione che, sprowisto come sono di ogni ta-

l€nto artistico, ho perciÒ tutto da guadagnare.

È una grande ingenuità il credere che lo strillare o il gri-

dare nel mondo possano giovare, come se con ciò si po-

tesse cambiare il proprio destino' Tocca prenderlo come

viene ed evitare tutte le lungaggini. Nella mia giovenltl

quando entravo in un ristorante, dicevo al cameriere: da-

temi un buon pezzo di filetto, tn pezzo di spalla e non

troppo grasso. Il mio grido il cameriere lo sentiva appe-

na, egli vi prestava ancor meno attenzlone; meno ancora

la mia voce poteva giungere in cucina e sollecitare il cuo-

co e quand'anche ciò accadesse, allora non c'era forse unpezzo buono in tutto I'arrosto. Ora io non grido piit'

Le aspirazioni sociali e la bella simpatia che le accompa-gna si diffondono sempre di più' A Lipsia si è fondato

un comitato il quale per simpatia per la dolorosa fine dei

cavalli vecchi ha deciso di mangiarli.

Io ho solo un amico, è I'eco: e perqhé è qrlq amlqo? per-

clié io amo il mio dolore e I'eco non me lo toglie' Io ho

ul iól,o coniirlente, è il silenzio della nott€. E perché è il

mio confidente? Perché il silenzio tace.

Corne, secondo la leggendet, Parmenisco perse le facolta

del riso nell'antro trofonico ma la riebbe a Delo vedendo

178

un masso informe, che gli fu mostrato come I'immasinedella dea Lero, cosi è av\enuto a mer". euando ero piugiovane, dimenticai il riso nell,antro trofonico; più tardi,allorché aprii gli occhi e considerai la reahà. risi, e dopoquel tempo non ho piu smesso. Vidi che I'imporranza dellavita stava nel trovare un impiego, il suo scopo nel diven_tare consigliere di giustizia; che il desiderio potente del_I'amore era di trovare una ragazza ricca; che la beatitudi-ne del l 'amiciz ia sta\a nel l 'a iurarsi scambievolmente neiguai economicil che la sapienza non è se non ciò che ì oiucredono che sia; che I'enrusìasmo consisteva nej fare undiscorso; che il coraggio risiedeva nell,osare di beccarsiuna multa di_10 scudi; che la cordialità appariva nel dire:<(bu_on pro) dopo un pranzo; che il timor di Dio consiste_va nel fare la comunione una volta all'anno. Vidi questoe risi.

Cos'è che mi lega? Di cos,era fatta la catena che tenevalegato il lupo di Fenris?'? Del rumore delle zampe di gat-to quanto toccano terra, della barba delle donne, delle ra_dici delle rocce, dell'erba dell'orsot8, del respiro dei oe-sci e dello spirito degli uccelli. Anch'io sono iegato da unacatena ch'è formata d'immaginazioni tenebrose, di sogniangosciosi, di pensieri inquieti, di presentimenti timoro_si, di oscure angosce. Questa catena è (tanto sottile e mor-bida come un filo di seta, essa si presta alla massima ten-slone, ma non si spezza).

È abbastanza strano che siano sempre le stesse cose a oc-cuparcj in tutte le età della vita: non si fa un pasiò avanti,

_ ìó Parmenisco era un f i losofo piragorico e Ia leggenda è citata ,econ-

do AIeneo (Dipnotoph. XlV. 614). I anlro Ùofonico è in Beo,, ia. Ladea_Leto è la madre di Giove.

" I l - lupo di fenris nel la mi ologia.candinava è nemrco degli clei..

' L e.prer,rone.i troya nel la \ , l ologa norrl fua di Crùnd(vig pre,adagli fddoi ma si Èatrerebbe di un errore poiche vi i i parla oer " iendinidel l 'orso).

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Page 90: Timore e tremore   Kierkegaard

anzi si torna indietro. Quando avevo 15 anni e frequenta-vo le scuole medie, scrivevo con molta unzione sulle pro-

ve dell'esistenza di Dio e dell'immortalità dell'anima, sulconcetto di fede, sull'importanza del miracolo. Per I'esa-me di licenzale scrissi una dissertazione sull'immortalitàdell'anima che ottenne pieni voti e lode; piÌl tardi ottenniun premio con una dissertazione sulla stessa materia. Chicrederebbe che, dopo un inizio così solido e promettente,all'età di 25 anni io mi trovo ridotto a non essere più ca-pace di portare una sola prova dell'immortalità dell'ani-ma? Ricordo specialmente della mia carriera di studenteche una mia dissertazione sull'immortalità dell'anima ave-va ottenuto lodi sperticate, sia per il contenuto come per

la proprictà del linguaggio, dal professore che l'aveva an-che letta in classe. Ahimè, ahimè, ahimè! Io ho smarritoda molto tempo questa dissertazione' Che disgrazial Inessa forse la mia anima dubitante avrebbe potuto essereimbrigliata, sia dallo stile come dal contenuto. Allora nonmi resta che dare un consiglio ai genitori, ai superiori eai professori, di raccomandare ai ragazzi che sono loroaffidati perché conservino le dissertazioni che scrivono nelquindicesimo anno. E questo è il solo consiglio ch'io pos-

sa dare per il bene dell'umanità.

Alla conoscenza della veritÈL ci sono foîse aî vato (II Tim.,2, 4); certamente non alla beatitudine. Che cosa debbo fa-re? Agire néi mondo, rispondere agli uomini? Dovrei al-lora comunicare il mio dolore al mondo, contribuire a di-mostrare quanto tutto è triste e rneschino, forse scoprireuna nuova macchia nella vita umana che prima era rima-sta inoss€rvata? Così polrei ottenere la ricompensa mera-vigliosa di diventar celebre, come l'astÌonomo che scoprile macchie di Giovezo. Preferisco tacere.

19 Examen artíum,20 Le macchie di Giove furono scoperte dall'astronomo Cassini nel

r665.

180

Come la natura umana è sempre uguale a se stessa! Conquale genialità innata spesso un piccolo bambino non cimostra un'immagine vivente delle cose più grandi! Oggimi sono divertito molto col piccolo Luigi. Stava sedut-osul suo seggiolino; guardava attorno a sé con visibile sod_disfazione. Quand,ecco Maria, la bambinaia, attraversa_re la stanza. Maria! gridò il piccolo. Sì, Luigino, risposelei con la sua affabilità consuera e si awicinò a lui. Éelipiegò la sua grande tesra da una parre fissando su dj leicon una certa civetteria i suoi grandi occhi e disse con mol_ta flemma: non questa Maria, quell'altra. Cosa facciamonoi adulti? Noi invochiamo tutto il mondo, e quando que_sto ci viene affabilmente incontro, noi diciamo: non è que_sta Maria.

La mia vista è come una eterna notte; quando una buonayolla !nor!rò, allora porrò dire cgn Achille;

(O tu, veglia della mia €sistelza, sei finital>2r.

La mìa vira è completamente senza senso. euando consi_dero te sue varie epoche, la mia vir a allora assomielia allaparola: "Schnur> secondo il dizionario che ha pei primosìgnificato (cordone> e per secondo <.nuora>, Manca sol_tanto che (Schnur) abbia per terzo significato <cammel_Io> e per quarto (spolveraccio>

Io sono come ilporco di Lùneburg. Il mio pensiero è unapassione. Posso benissimo scovare i rartuii per gli altri,lo stesso non ne cavo nessun piacere. Tengo i problemiin bilico sul mio naso; ma non posso farne altro che but_tarmeli dietro la testa.

2r In tedesco nel testo: (Du bist yollbracht, Nachttltoche meines Da_

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Page 91: Timore e tremore   Kierkegaard

Io lotto invano. Il mio piede scivola' La mia vita sarà un'e-

sistenza di poe1a. Si può pensare qualcosa di piÌr infelice?

io sono prectestinatojil destino si ride di me, quando d'im-

nrowisó esso mi mostra come tutto quel ch'io faccio per

resistere diventa un momento di siffatta esistenza' Io posso

descrivere le speranza con lanra vivacità che ogni indivi-

duo colmo di iperanza si riconoscerà nella mia descrizio-

n.. e,uttuulu qu.sto non è che falsità, poiché menrre de-

scrivo la speranza, io penso aì ricordo'

C'è ancora una prova per l'esistenza di Dio ch'è stata fi

notu'tt^"otutu. nssa é portata da uno dei domestici nei

Csvalieri di Aristofane, w. 32 sgg':

Demostene. Altare? quale altare? Dimmi, pensi tu ch'esistanodei?Nicia: Si.Demoslenet Quatì ragioni Porti?Nicia: Perché mi perseguiLano ingiuslamente'Í)emostene', Volentieri mi trovo d'accordo con te'

Com'è orrenda la noia - orrendamente noiosa: non co-

not"o-uit.u .rpt.rsione più forte né piÌr vera' poiché ilsi-

miie si conoscì col simile2' Magari ci fosse un'espressio-

ne piu aha e piu forle, aìlora ci sarebbe ancora un (nuo-

no; -ouim.nio'

Io mi trovo distratto, inattivo; I'unica co-

sa che vedo è il vuoto, I'unica cosa di cui vivo è il vuoto'

;iJi;.ri;i À";uo é ìt uuoto. Né sófiro alcun dolore'

;il"il;;;"ttàuu ai attaccare a colpi di bèóèo il

fegato di Prometeo; il veleno stillava senza posa sopra

)2 È l .anl ico pr incipio del cono-cerc come ast imi la/ ionc. La-formxla

t* .1 '^, " i ' ; " r ' t

0" , ia ópr.oir ' tò i ipotov t i l ' imi lc ' ìconoscemeoranleI I

l iàìi."i l i , i" ' "

* nri iLoteìe applicata e'pressameqre ar pre\ocralici (p''l.l':"À)'"1 ioir, ii. ii,aDh. tòlob 6. Ór'.c w Miiuer. Gteichet zu

à["]"ll?, wi.trr"ó"" 1965, p. I )O M3 il pnncìpio at(r 'versa

I urla ìa stoìa

del pcn. iero e s i a i fcrma nel l 'epoia 'noderna con ' l

pr inclpru u(r ' du'v-

::Il# lil":m,;,';# ",xí:,: i, :'!'!{r,;'i'{';i;,i"'iH:i:iàr";i; ' ;pb; Èti iro- eiuriorf ' 'k óó a t 'eipris l9l2 ' pp 5 css l

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Loke23; anche se monotono, era comunque un diversivo,Lo stesso dolore ha perso per me ogni sollievo. Se mi of-frissero tutti gli splendori o tutti i tormenti del mondo,essi non mi comrnuoverebbero molto, non mi volterei dal-l'altro lato né per prenderli né per fuggirli. Io muoio lamorte (cfr. Gen.,2, 1'1). E cosa potrebbe distrarmi? Sì,se potessi avere una costanza capace di resistere a tuttele prove, un entusiasmo capace di sopportare tutto, unareoe cne sposlasse te montagne; se potessi concepire unpensiero che unisse iì finito e I'infinito. Ma ii dubbiò ve-nèfico detla mia anima dislrugge tutto. La mia anima ècome il Mar Mono sul quaìe nessun uccello può volare:appena è arrivato a merà cammino, esauito s,inabissa nellamorte e nella fine.

Strano! Con quale angoscia ambigua, di perderla e con-servarla, l'uomo si attacca a questa vita. Alle volte io hopensato di fare un passo decisivo, rispetto al quale tuttii rniei passi precedenti non erano che fanciulaggini - d'in-traprendere il grande viaggio della scoperta. Come una na-ve al varo è salutata con colpi di cannone quando lasciail cantiere, così vorrei salutare me stesso. Eppure! È il co-raggio che mi manca? Se una pietra mi cadesse addossoe mi ammazzasse, sarebbe una soluzione,

La taùtologia è e rimane il principio supremo, il principiosugrqmo del pensierou. Che meraviglia allora che la mag-gior parte degli uomini la usino? Essa poi non è così po-vera e può ben riempire tutta la vita" Essa ha una forzascherzosa. brillanie, diverrenre ch'è il giudizio infinito.Questa forma di tautologia è quella paradossaÌe e trascen-

._ 23 Loke era un mostro della mitologia scandinava, ùn gigante semi-

clro.

- 2a Secondo gli editori Kierkegaard neÌ suo eseúplare fúanda al f.ì-

losofo Stilpone il qua.le avrebbe tregato che (si possa ptedicare qualco-sa di qualcosa).

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dente. Essa ha forma seria, scientifica ed edificante. Laformula è perciò la seguente: se due grandezze sono cia-scuna uguali a una terza, allora esse sono eguali I'una conI'altra25. Questa è una conclusione quantitativa. Questaforma di tautologia è specialmente in uso sulle cattedree sui pulpiti, dove si deve parlare di molte cose.

La sproporzione del mio corpo è che le mie gallbe ante-riori sono troppo corte. Come ia lepre della Nuova Olan-da io ho le gambe anteriori troppo corte, ma infinitamen-te lunghe Ie posteriori. In generale io me ne sto completa-mente tranquillo; ma se faccio un movimento ecco ch'es-so diventa un salto enorme che spaventa tutti coloro aiquali io sono attaccato con i teneri legami d€l sangue edell'amicizia.

qp. gqaJev]i ve ne pentirete. Non sposarevr: ve ne pentlreteancora. O che vi sposiate, o che non vi sposiate, ve ne pen-tirete in ogni caso. Ridete pure delle sciocchezze del rnon-do: ve ne pentirete, piàngète su di esse e ve ne pentireteancora - o che ridiate delle sciocchezze del mondo o chepiangiate su di esse, ve ne pentirete in ogni caso. Fidatevidr una ragazza: ve ne pentirete. Non fidatevi di essa, véne pentirete. Non fidatevi di essa, ve ne pentirete ancora-- o clie vi fidiate di una ragazza o che non vi fidiate. vene pent i rete in ogni caso. lmpiccar i : te ne penr i ra i ! Nonimpiccarti. te ne penrirai ancora - o che r.impicchi o chenon t'impicchi, te ne pentirai in ogni caso. euesto, mieisignori, è il succo di tultala saggezza di vivere. Non è sol_lanto in un singolo momenro che io, come dice Spinoza,considero tuÍro aekrno modo. ma io sono remDre aeler_no !94o,u. Molti pensano anche di esserló poìché èssi.dopo aver fatro l'una o l'altra cosa, unifìcano ossia me_d!49_o qgeq1i opposti. Ma quèiió e un lnàtinièsó-oichéla vera eternità non segue questo aut-aut, ma Io precede.La Ioro erernìtà sarà perciò una doioiósà succes:ione tem_porale. poiché essi r ogliono eliminare il doppio penrimen_to. La mra saggezza allora è facile da capire. Doiche ioho un solo principio fondamenrale che non cosrirri... o"p_pure il mio punro di partenza. Si der e dirtinguere îra ìadralelrica seguente di aut-aut e quella ch rè qui indicara co_

26 Espressione spinoziana: cf. Ethica. V, 40 Scolion.

AUT.AUT.UN'ESPOSIZIONE ECSTATICA

25 È un principio della geometria di Euclide.

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me eterna. Quando così io dico qui ch'io non parto dalmió piilcipio fondamentale, il contrario di questo non èche si parte da esso, ma si tratta soltanto dell'espressionenegativa per indicare la mia tesi, con cui essa si compren-de in contrasto sia con la posizione di partire come conquella di non partire da esso. Io-no4 p,!e-4qo 1l plrnto.4ioanenza dal mio principio: se panissi da esso non me neóentirei. se non oanissi da esso mè ne pentirei ancora. Per-iiÒ se qualcuno cièi miei pregiati uditori trovasse qui inquel che ho detto, qualcosa che non va, questo dimostrasoltanto che la sua testa non è fatta per la filosofia. Seavesse l'impressione che c'è del movimento in quel che hodetto, questo allora dimostra la stessa cosa. Per gli udito-ri invece che sono in grado di seguirrni, benché io non fac-cia movimento alcuno, svilupperò ora questa verita eter-na con cui questa filosofia resta in se stessa e non la cedea nessun'altra più alta. Se io partissi dal mio principio,non potrei più fermarrni: poiché se mi fermassi, me ne pen-tirei e se non mi fermassi me ne pentirei egualmente ecc.Ora invece poiché io non parto mai' posso sempre fermar-mi. noiché la riria panenza eterna è la mia fermata eter-na. i-'esnerienza ha dimostrato che non è atfaîto difficileòer la filosofià il cóminciarè. Tu:atalirò: eiia comincia conil nulla e può quindi cominciare sempre. Ciò èhé inveceriesce àifficile ai fil,osofi e alla filoiolià è di fermarsi. An-che questa difficoha io I'ho eyr!!ìtat; poiché se qualcunodoveiie credere che io, pòiihé ora mi fermo. mi feimorealménte, loraèÀiimostra di non avere il concetto spe-cularivo. lnfatii io óra mi termó: ma io ho fermato il cam-minó che avevo cominciato. La mia filosofia ha perciò laprgpj$A jgl.vgtlaggio di. esser_e. brevè é diéilere irréfu-tabile; polche se qualcuno ml contraoolcesse, allora po-trei certamqnlq tlqiiqlo q4-pg41q Il filosofo è quindi sem-pre aeterno modo e non ha vissuto, come il venerandoSintenis2T, soltanto alcune ore per l'eternita.

27 chr, Fr. Sintenis. scrittore edificante tedesco, autore di un notohbro dt pietài Stundenlib die Ewí?keít 7eleb1 [<Ore vissut€ per I'etemi-1arl, B€rlin 1791.

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Perché io non sono nato a Nyboder28, perché non sonomorto quand'ero bambino? Allora mio padre mi avrebbemesso in una piccola bara, mi avrebbe preso sotto iì brac_cio, mi avrebbe portato la domenica mattina al seDolcroe avrebbe gettato le palate di terra sulla tomba dicendoa mezza voce un paio di parole che lui solo poteva capire.Solo l'antichità felice poteva pensare di far piangere ipic-coli bambini nei Campi Elisire perché erano mórti troo-po presto.

mai di fare torto a nessuno, ma ho sempre dato l,impres_sione che ogni uorno che mi s'allicinasse fosse da mi of_feso e danneggiato. Quando allora sento lodare sli altriper la loro fedelrà e reItitudine, io rido: poiché io disprez_zo gli uomini e mi vendico. Mai il mio cuore si è induritocontro chicchessia; ma sempie, e pióprió nelmòmènto incr.ri mi sentivo più commosso. ho dato l.impressione cheu fiuo cuore tosse ctuuso ed estraneo a ogni sentimenlo.Quandó àllóia sentó èsaltdie fltri pè;if f"- Uro,

"ro...li vedo amari per i loro senrimenri ricch.i e profondi. iórido: poiché io disprezzo gli uomini e mi vendico. euan_do io mi vedo male\erto, aborriro, odiato_per la miaied_dezza e mancanza di cuore, ió iido, allora la mia colleraè,iòit$!îa*à. Se infatti la gente perbene riuscisse realmentea dimostrare ch'io ho torto, che ho realmente fa o deltono - cerro, alJira io avrei perdutó-

jl rylO"-q:r i un quarriere popotare di Copenaghen.-- Lrr. vrrgrLro, Aen- Vl,426 sg9.

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Questa è la mia disgrazia: accanto a me c'è sempre un an-gelo sterminatore (Exod,, 12,23) e non è la porta degliEletti ch'io segno col sangue perché nessuno possa passa-re, no - ma è per la porta di costoro ch'egli appunto en-tra - poiché soltanto l'amore del ricordo è felice.

Il vino non scald4 piÌr il mio cuofgi C4 Èogq 4i virlg._!q!rende triste ::: !rolt!, r44lil!9-S!ic-o..-. La mia anima è spos-sata e priva di forze: invano io conficco nel suo fiancolo sperone del desiderio - essa non può più, essa non sierge pir) nel suo balzo regale.Io ho perso tutte le mie illu-sioni. Invano cerco di abbandonarmi all'infinità dellagioia, essa non può sollevarmi o piuttosto io non possosollevare me stesso. Prima, quando essa mi faceva soltantoun cenno, allora mi ergevo leggero, sano e intrepido.Quando cavaÌcavo lento nella foresta, era come se volas-si; quando ora il cavallo schiuma e sta quasi per abbatter-si, sembra allora ch'io non mi muova di un passo. Io so-no solo, lo sono stato sempre; abbaldorato, non dagliuomini - questo non mi addolorerebbe - ma dai felicigeni deìia gióiliquali in numèrosa schiera mi circonda-rqgo.,_qq!g1q!!9 t4eollfa]o 4!qt9r, !4pp-eJtu1t9 4i gffrivano l'occasione. Come un uomo sbronzo raccoglie at-tornó à iÈi-v-aloii-allegri della gioventi.r, così essi faceva-no ressa attorno a me, i geni della gioia, e il mio sorrisoera per loro.-La mia anima ha pelduto la possibihta30. Sedoleqqi delrqglarx plr ge _qq4lco,!q: _no9,y,o_rr9i 49g!94ao pgtery, p4 la pgq,qtql9-{e-ng_posjrbiti!4JCSc!.9 9_tt9 d.ep-pgltgtto etgllì44q4!9 glg.l rqgr et!!44llreqte brlcianltgr ve-de la possibilità. Il godimenlo delgd,e, .n1r4la possibilità.E quale vino è così frizzante, così profumato, così ine-briante !?

!à qoy"j raggi del.sole.non arrivano piir, gi.qggo1o pe1ò

l suoru. La mia anima è buia e retra, un alto muio iienequasÍ lonîana la luce del giorno. Ci dev'essere nel cortilevicino unmusicante ambulante. Che strumento suona? Lazampogna?... cosa sento.io? Il minuetfo del Don Gioyan_ni. Ma allora, voi suoni ricchi e gagliardi, tornate a Dor-tarmi via al cerchio delle ragazze, al piacere della danza.- Il farmacista pesta nel suo mortai o,la ragazzalavalasua pentola, il cavallaro striglia il cavallo e sbatte la stri_glia sul selciato: questi suoni suonano solo per me, essichiamano solo me. Grazie a te, chiunque tu sia, grazie!La mia anima è così ricca, così sana, così ebbra di gioia!

Il salmone è in sé un piatto molto delicato: ma quandose ne mangia troppo, è dannoso alla salute, poiché è uncibo indigesto. Una volta ad Amburgo in occasione diun'abbondante pesca di salmoni, la polizia proibì ai pa-droni di dare il salmone ai domestici piìr di una voÌta allasettimana. È auspicabile che la polizia prenda lo stessoprowedimento riguardo al sentimentalismo.

La mia pena è il mio castello signorile che sta ìassìr comeun nido d'aquila sulla cima dei monti, fra le nubii nessu_no può assalirlo. Di ta io prendo il volo per dìscendereverso la realta e ghermire la mia preda; ma non mi fermoglu, lo porto con me la mia preda _ questa preda è un,im_magine che io vado intessendo nelle tappezzerie del miocastello. Lì iogivo come un morto. Tutto ciò ch'io ho vis-suto, l'immergo nel battesimo dell,oblio per I'eternità delricordo. Tutto ciò ch'è finito e casuale, è dimenticato ec4!p!!letS. Allora come un vegtiaraì aai càpèiii Urizzoìa_ti me ne sro pensieroso e spiego le immagini a voce bassa.quasi sussurrando; a fianco siede un bambino in ascolto.benché - prima ancora che glielo racconti - egli ricorditutto.

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Il sole penetra bello e vivace nella mia caméra. la finestrapiù vicina è aperta; sulla via tutto è tranquillo, è il pome-riggio della domenica. Sento distintamente un,allodola chelancia i suoi trilli davanti a una finestra di una casa vicinadove abita una bella ragazza; molto più in là da un stradalontano sento le grida di un venditore di granchiolini; I'a-ria è molto calda e tutta la città è come morta. - Allorami viene in mente la mia giovinezza e il mio primo amo-re, quando ero pieno di nostalgia e ora ho soltanto no-stalgia della mia prima nostalgia. Cos'è la gioviuezza? Unsogno. Cos'è l'amore? Il contenuto del sogno.

Oggi mi è capitata una cosa meravigliosa. Sono stato sol..levato al seîtimo cielo. Ivi sedevano tutri glì'dei in assem-blea. Pei speóiale giàzia essi mi concessero il favore diesprimere un desiderio, (Vuoi tu - disse Mercurio - ave-re gìovinezza o bellezza o poGnza o una Iunga vltlrr o 14pjÈ bel!4 lqgajzlq ,o, gq4lqhe q.ltra magnificenza che noi te-niamo nelJa dispensa: alJora iòegli, ma_una cosa sola>. Ri-masi un momento sconcertato, poi mi rivolsi agli dei di-cendo: (Egregi contemporanei, io scelgo una cosa, di avereil riso al mio fianco>. Nessuno degfi dèi rispose, inveceiutti scòffiròno a 4d9I9.. Nq{é{SrltgtrS t4ìnia prègrriè-!a ela $4a eJqr,rSi!4 e ttqrq! 9h9- gJi lSi sry.eyqnq_eqprr-melq! con gusto. Non sarebbe stato fuori posto se mi avessero risposto con serietà: sei stato esaudito?

SoMMARTo

Introduzione di Cornelio FabroNota bibliografica

TIMoRE E TREMoRE

25 Prelazione

31 Stato d'animo36 Panegirico d'Abramo47 Problemata, espettorazione preliminare79 Problema I - Si dà una sospensione teleologica del_

l'etica?95 Problema II - Esiste un dovere assoluto verso Dio?

I I I Problema III - Dal punto di vista etico si può scusareil silenzio di Abramo con Sara, Eliezer, Isacco su.l suoprogetto?

154 Epi loeo

Appendice161 AUr-AUT161 Diapsalmata162 Consiglio efficace per gli scrittori185 Aut-Aut - Un'esposizione ecstatica

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