2. kierkegaard 2 (1)

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  • 1. S ren Aabye Kierkegaard A cura di Stefano Ulliana

2. Panoramica

  • 1. Vita e opere.

3. 2. L'esistenza come possibilit e fede. 4. 3. Il rifiuto dell'hegelismo e la verit del . 5. 4. Gli stadi dell'esistenza. 6. 5. L'angoscia. 7. 6. Disperazione e fede. 8. 7. L'attimo e la storia: l'eterno nel tempo.S ren Aabye Kierkegaard 9. 1. Vita e opere.

  • S ren Aabye Kierkegaard(1813 1855 d.C.). Studiateologia presso l'universit diCopenaghen , dove incontra degli insegnanti influenzati dall'impostazione hegeliana. Dopo la laurea nel 1841-42 segue le lezioni berlinesi di Schelling, passando da un iniziale grande entusiasmo per l'impostazione del filosofo tedesco ad una profonda delusione per la nuova fase dogmatico-rivelativa della sua speculazione. Attraversa alcune esperienze negative il matrimonio annullato con Regina Olsen, una recensione negativa di un giornale satirico, l'opposizione ideologica dell'ambiente teologico dell'universit danese delle quali resta traccia nel suoDiariopersonale e che gli danno l'occasione per impostare la risoluzione dei propri problemi speculativi in un modo disperato e grandioso nello stesso tempo. Ossessionato da un senso di predestinazione negativo e crudele, che pare incombere come una minaccia terribile

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  • su di s e sulla propria famiglia, Kierkegaard rinuncia a tutti i propositi di vita attiva e di relazione il matrimonio, la predicazione come pastore per dedicarsi alla riflessione intima e profonda dei problemi dell'esistenza umana in generale. La stessa pubblicazione dei propri testi avverr in modo nascosto sotto pseudonimo per garantire a se stesso ed alla propria libert intellettuale un riparo dalle cattiverie e dalle incomprensioni del mondo (popolare, ma anche intellettuale ed accademico). Del periodo pi vicino alle lezioni berlinesi sono:Sul concetto dell'ironia(1841) eEnter-Eller( Aut-Aut ), di cui fa parte ilDiario di un seduttore(1843). Poi:Timore e tremore(1843),La ripresa(1843),Briciole di filosofia(1844),Il concetto dell'angoscia(1844). Quindi:Stadi sul cammino della vita(1845),Postilla conclusiva non scientifica(1846),Il punto di vista sulla mia attivit di scrittore(postumo),La malattia mortale(1849),L'esercizio del cristianesimo(1850). Importanti sono anche iDiscorsi religiosie la raccolta delle proprieCarte .

11. 2. L'esistenza come possibilit e fede.

  • La radice immediata e necessaria della vita e dell'esistenza con i suoi bisogni e le sue relazioni, i suoi scambi, le decisioni comuni o contrastanti costituisce il terreno di caccia e di esplorazione della riflessione kierkegaardiana, alla ricerca di un principio sufficientemente profondo e nel contempo cos elevato da costituire un vero ed autentico ausilio al tentativo dell'uomo di placare le proprie incertezze e le proprie angosce esistenziali. Contro quello che gli appariva un tentativo di anestetizzazione delle coscienze l'impostazione ideal-reale, separata ed astratta, della tradizione hegeliana o la torsione reazionaria del movimento culturale ed intellettuale romantico la riflessione di Kierkegaard cercher di far valere e di riesumare in modo diverso rispetto alla soluzione schopenhaueriana - la potenza e la valenza del pensiero, insieme creativo e doppiamente dialettico, dell'infinito.

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  • Per contrastare l'oggettivazione astratta e separata dell'orizzonte razionale e naturale hegeliano, causa della separazione dello Spirito universale e della subordinazione assoluta ed ideologica delle determinazioni soggettive naturali e razionali, Kierkegaard riesuma e rivitalizza dalla tradizione antica la radice di libert costituita dalla possibilit dell'essere-diverso. L'unit dell'essere, profondo e radicale, cos come d'orizzonte ideale, ora si ricostituisce nella riapertura di un rapporto insieme creativo e dialettico: l'universale possibilit dell'essere-diverso determina concretamente l'esistenza come singolarit contingente, individualit che ha di fronte a s sempre tutte le infinitamente possibili realizzazioni di se stessa. Di qui il carattere apparentemente paralizzante della categoria della possibilit e dunque la definizione del carattere della libert come impredeterminazione.

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  • Di fronte a questa impredeterminazione l'uomo si trova smarrito, sperduto. Appunto paralizzato. Quella potenza attiva ideale e determinante che Kant poneva come ragione di scopo dell'azione umana, ora riaprendosi al proprio infinito sembra togliere scopo determinato alla realizzazione dell'uomo, sembra annullare la sua spinta, far cadere i suoi desideri, annullare la sua stessa esistenza vitale. Non potendosi pi innalzare che questo equivarrebbe alla sua disintegrazione l'uomo precipita nel fondo abissale dal quale sembra provenire. Allora quell'orizzonte di libert viene vissuto come una minaccia a che il possibile necessariamente si determini, cos come procede a determinarsi e a realizzarsi per una propria e singolare volont. Questa minaccia la minaccia della propria nientificazione, come eventualmente voluta da un Dio superiore (cfr. il Dio terribile del Vecchio Testamento).

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  • Di fronte a questa negazione totale l'esistente singolo si sente schiacciato e comincia a provare un sentimento generale di angoscia di fronte alle possibilit dell'esistenza stessa: poter essere annientato per qualsiasi scelta determinata egli compia. Allora costui traballa nel proprio futuro e resta al punto di partenza (al punto zero). Aggrappato al presente, perch impossibilitato a decidere con una qualche ombra di speranza per la propria determinazione futura, l'esistente singolo finisce per di mancare la presa pure di se stesso: il suo stesso essere infatti nel procedere e, senza procedere, scompare. Scompare a se stesso. Il vuoto si apre sotto di lui: egli trova sotto di s l'abisso. Un nuovo nulla, ancora pi pauroso si apre, addirittura terribile ed orribile, spaventoso. Un non-essere che lo inghiotte e lo fa scomparire.

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  • Kierkegaard giunge cos alla medesima considerazione del principio come non-essere di Schopenhauer, addirittura accentuata dal carattere dell'infinito. L'essere singolo, l'esistenza singolare sembra come sospesa fra abisso ed aperto infinito: e vive in una condizione di estrema, profonda ed alta, instabilit ed indecisione. Di fronte per a questa condizione vi per una via di fuga e di risoluzione, che consiste nel rovesciare il negativo in positivo.la fede ad attuare questo rovesciamento: prima per di giungere a questo esito felice, anche se drammatico, Kierkegaard stabilisce la necessaria consequenzialit delle figure e delle immagini legate ad un processo di salvezza (la teoria degli stadi o momenti della vita nell'esistenza umana). Questo processo unir in successione prima il momento estetico, poi quello etico ed infine quello legato alla riscoperta della religiosit cristiana.

16. 3. Il rifiuto dell'hegelismo e la verit del .

  • L'orizzonte razionale caro al processo hegeliano di oggettivazione dello Spirito viene criticato per la sua astrattezza e per l'effetto di separazione di un finto Soggetto assoluto anche dalla riflessione kierkegaardiana. Esso viene infatti considerato come il luogo, la causa e l'origine della proiezione di un' immagine assoluta , che nella sua finta oggettivit e reale esteriorit considera e valuta tutte le esistenze singolari come veramente ed effettivamente contingenti ed indifferenti, rispetto alla processualit predeterminata dei propri scopi ed obiettivi (pseudo-concreti). Come principio di soggettivazione, orientamento e determinazione esso vale in realt come funzione di giustificazione della logica di dominio del potere tradizionale, di affermazione della sua identit e della sua volont di immedesimazione collettiva. La sua esteriorit permette poi a chi la accetta una vita ed un'esistenza comoda e piacevole, effettivamente spensierata e disimpegnata.

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  • La riduzione pseudo-dialettica all'orizzonte oggettivo di questo Soggetto assoluto il finto infinitismo hegeliano - non fa altro dunque che facilitare quella costruzione del mondo dall'alto che, insieme all'esteriorit ed alla conformazione animale, veicola il messaggio di una necessaria eradicazione e scompaginazione della soggettivit singola e concreta, del suo impegno nella radicalit delle proprie scelte personali, in relazione all'alternativa che in realt sempre si apre alla coscienza non obnubilata dai sogni delle metafisiche e delle religioni o delle mitologie popolari. Contro la riflessione ed il pensiero oggettivo di matrice e tradizione hegeliana Kierkegaard far valere una riflessione ed un pensiero della soggettivit reale e concreta, che non alieni lontano da se stessa il proprioin-seper-s . Solo cos essa si scoprir processualit in autodeterminazione, divenire libero e responsabile.in questo modo che l' esistenza singolaresi costituisce comeinteriorizzazione , autoriflessivit.

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  • Contro l'identificazione astratta di pensiero ed essere, che hegelianamente annichila il vero pensiero e la realt effettivamente concreta, riportando e riferendo il primo alla funzione astratta del dominio e del controllo pseudo-razionale e confinando il secondo entro i ferrei recinti del riconoscimento collettivo, Kierkegaard riconosce al pensiero non tanto la necessit di oggettivare la soggettivit opera compiuta da Schopenhauer con il principio della volont di vita quanto piuttosto di riportare la soggettivit stessa alla propria origine abissale ed al proprio orizzonte infinito. Alla propria creativit e libert. Alla riscoperta della partecipazione della singolarit esistente all'infinito reale. Questa scoperta sar progressivamente accertata attraverso il passaggio e l'alternativa fra due opposte modalit e stadi di esistenza: la vita estetica e la vita etica. Per essere realizzata alla fine nello stadio della vita religiosa.

19. 4. Gli stadi dell'esistenza.

  • L'immediatezza della fruizione delle gioie e delle felicit della vita pi facile ad imporsi ed a compiersi nella fase giovanile dell'esistenza: qui si forma l' abito estetico . In questa forma di vita completamente autonoma ed indipendente, chiusa e rivolta continuamente su se stessa, il singolo crea continuamente a se stesso un orizzonte di immaginazione, all'interno del quale ogni rapporto con gli oggetti o gli altri soggetti fonte di interesse e di piacere. La sensazione e la sensibilit operano quindi come fattori di replicazione e riproduzione di un rapporto intellettuale (selezionato) con la realt sempre nuovo ed elettrizzante, in una riflessivit continua, giocosa e piacevole (cfr.Aut-Aut ,Diario di un seduttore : la figura di Don Giovanni). La continua ripetizione del sempre diverso porta per l'esteta verso il progressivo affermarsi del sentimento dellanoiae verso quella ritrazione in se stesso che il primo passo verso il di-

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  • -stacco dal proprio originario atteggiamento. Essere ora privo in se stesso e nella propria intenzione di tutto ci che in precedenza lo soddisfaceva e gli dava godimento lo porta rapidamente alladisperazione . Ora la disperazione costringe l'esteta a saltare in un mondo completamente diverso ed opposto, rispetto al precedente, veramente ed autenticamente alternativo: la forma divita etica . La disperazione spinge l'esteta allasceltafra il rimanere all'interno di un mondo oramai riconosciuto come vuoto e fatuo, oppure l'aprirsi alrischiodi una nuova vita, particolarmente impegnativa, ma validata dal proprio rapporto con l'eterno (immutabile ed invariabile). Nella forma di vita etica il singolo supera il continuamente variabile a favore del continuamente stabile ed invariabile. Egli in questo modo deposita se stesso all'interno di un mondo nuovo e di una nuova apertura ideale, superiore.

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  • cos che egli riscopre l'orizzonte della moralit universale, all'interno e per effetto del quale risente e rivede la necessit dell'ideale, della sua spinta e della sua tensione alla realizzazione. La realizzazione dell'ideale tramite il dovere diventa cos l'affermazione di se stesso, della propria identit pi alta. Cos nell'eticit il singolo viene ad affermare la libert di ci che sceglie e diviene. Per questa ragione nella forma di vita etica il singolo entra in un processo di avvenimenti che regolano la propria esistenza, secondo un piano ed una scansione di riconoscibile normalit (possibilit comune). Il singolo cos si sposa e conserva se stesso e la propria famiglia attraverso il proprio lavoro, che diventa quel mondo comune all'interno del quale ogni singolarit pu essere riconosciuta nell'attivit da essa prescelta (in quanto personale vocazione). Attraverso il lavoro la singolarit etica soddisfa dunque se stessa e gli altri, come se tutto ci fosse il volere intelligente di Dio.

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  • La scelta della libert effettuata dalla singolarit etica pone dunque il singolo in rapporto diretto ed immediato con l'assoluto. Il suo stesso divenire nel mondo e nella storia dei propri rapporti con gli altri viene considerato come una processualit quasi divina, che gli impone un riconoscimento ed una giustificazione assoluta. Ogni momento della propria storia viene giustificato, in positivo o negativo. L'atto stesso del pentimento personale nei confronti degli atti compiuti negativamente nei confronti degli altri soggetti diventa il modo per riassumerli all'interno di un piano quasi provvidenziale. Cos solamente all'interno di un piano provvidenziale divino tutte le proprie determinazioni possono diventare determinazioni volute in relazione a Dio stesso. Atti posti alla condizione di poter essere riconosciuti e giustificati da Dio stesso. La nostra libert di singolarit etiche viene cos offerta in pegno a Dio stesso.

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  • In questo rapporto diagonale la potenza della bont del giudice divino, del suo riconoscimento e della sua giustificazione risultano tanto pi grandi e veri non finti e presupposti quanto pi negativo (peccatore e colpevole) si presenti l'offerente. Cos tanto pi la singolarit etica assumer su di s tutti i peccati della storia dei propri rapporti con il mondo, tanto pi quella divina potenza, intelligenza e bont saranno vere ed autentiche nel proprio giudicare ed eventualmente perdonare ed assolvere. La vita etica pertanto si realizza solamente nel momento stesso in cui si trascende e si capovolge interamente nella vita religiosa (scacco finale della vita etica).
  • potrebbe essere la negazione-affermazione che offre compiutamente il senso del capovolgimento e dell'alienazione che costituiscono l'apparente e reale determinazione dellavita religiosa . Questa si erge infatti come etero-determinazione divina (cfr.Timore e tremore , la figura di Abramo).

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  • Nello stadio o forma di vita religiosa la singolarit si annulla come autoaffermazione morale, perch deve affermare la vera ed autentica universalit della determinazione, che non la propria, ma quella divina. L'affermazione del principio religioso sospende interamente l'azione del principio morale. Non vi trapasso dall'uno all'altro, ma negazione e contro-affermazione originaria: dunque un vero e proprio capovolgimento, che non vale come l'antitesi hegeliana quale prolungamento del soggetto tetico e sua assoluta riaffermazione sintetica, ma come distacco, salto e separazione originaria dell'originario. In questo salto l'uomo di fede non presuppone pi la semplice ed universale riconoscibilit razionale del proprio gesto, ma anzi la contrasta, in nome della vera ed autentica determinazione prima, quella divina. In questo rapporto la singolarit sola di fronte al Solo, in un rapporto assoluto con l'Assoluto (cfr. l'influenza protestante).

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  • Ma l'eccezionalit della scelta religiosa giustificata? La risposta a tale domanda pu riposare solamente in Dio: la singolarit religiosa non avr mai la certezza in vita della giustezza del proprio atteggiamento e dei propri, relativi, conseguenti comportamenti. Questa mancanza di appoggio determina nella singolarit religiosa un senso totale di scoramento e di angoscia: essa non ha pi l'appoggio razionale della comunit umana, non avendo insieme nemmeno la certezza della giustezza della propria scelta. L'unica certezza che essa sembra avere e poter conservare quella del sentimento di angoscia che la pervade interamente. Ma proprio questa certezza a costituirsi come unit di contatto misteriosa con il divino: l'angoscia la prova reale e concreta del vero rapporto e contatto con Dio. Dio dona la preghiera, dona la fede e dona la pi alta e profonda angoscia come segno pi difficile del rapporto con Lui.

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  • La posizione pi totale dunque sembra essere giustificata in nome solamente della negazione pi totale: il divino che oscura interamente lo sguardo ed apparentemente l'azione stessa il divino che consente in realt la propria pi vera affermazione. Come Cristo, non riconosciuto, ma Dio: scandaloso perch negatore della morale comune, ma vittorioso proprio per l'affermazione di valori opposti (paradossali) alla morale comune.

27. L'uomo pu dunque apparentemente credere di scegliere liberamente se credere o non credere (questa l'appartenenza al suo piano morale), ma la sua scelta effettiva fatta in realt da Dio, nelle cui mani sta l'intera sua esistenza. Questocontrastoe questacontrapposizionecostituiscono dunque la struttura ineliminabile dell'esistenza umana, svolti e rivelati dalla religione cristiana. Una religione che deve essere intesa non tanto nei suoi dogmi pacificanti, quanto piuttosto nella sua forza onnicomprensiva, capace di comprendere e giustificare anche gli altri stadi dell'esistenza umana. 28. 5. L'angoscia.

  • Se il salto dalla volont etica dell'autodeterminazione alla volont religiosa della eterodeterminazione - fondata sulla volont, intelligenza e bont (misericordia) divine costituisce il trasferimento, l'alienazione e l'ingrandimento massimo della volont stessa quasi a prefigurare una sorta di volont di potenza esso nella riflessione kierkegaardiana rimane il fondamento e l'essenza della relazione di opposizione fra l'infinito propriamente detto e la singolarit nella propria determinazione. In questo rapporto tanto il primo resta all'orizzonte come mistero e ragione inspiegabile, quanto la seconda sembra precipitare se non sostenuta e rialzata - nell'abisso dell'indecisione.il peccato, che tocca ed interessa particolarmente Dio, a sostenere attraverso il suo sguardo giudicante e la sua decisione salvifica l'offerta del Cristo per noi - l'anima dell'uomo: in ci consiste l'assurdit

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  • e l'apparente paradossalit del rapporto con Dio, mentre la nostra esposizione negativa nei suoi confronti costituisce effettivamente il nostro scandalo.dunque attraverso il peccato che l'uomo scopre l'altezza e la misericordia divine. Come il Cristo si esposto negativamente nei confronti della Legge ebraica, cos l'uomo nella propria singolarit si espone attraverso il peccato ed il pentimento alla possibilit del giudizio e della salvezza divina.Che l'inferiore il pi umile dei suoi sudditi - si sia avvicinato al superiore e addirittura per effetto della stessa volont divina l'apparente ma reale scandalo della fede cristiana. Dio rimane dunque il punto d'onore e d'arrivo, l'esito ed il dovere finale dell'uomo, che deve essere compiuto senza poter essere compreso.
  • Nelle opere successive Il concetto dell'angoscia ,La malattia mortale Kierkegaard fonda questa necessit finale sul senso

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  • di un'apertura di possibilit che squaderna l'esistenza singola verso l'orizzonte di una libert infinita, apparentemente impredeterminata. Nel momento stesso in cui l'esistenza viene posta viene posta infatti nella propria assoluta situazione di singolarit (spazio-temporale, di conformazione, di condizione, di natura e di volont o desiderio). In questa situazione l'esistenza singolare avverte quell'orizzonte infinito come un pericolo per la propria sopravvivenza fisica e morale, un pericolo assolutamente incombente e preoccupante: vive e sente dentro di s un sentimento d'angoscia, per la possibilit della perdita totale del proprio essere (naturalmente o razionalmente determinato). Posso non-essere, perch cos vuole la natura; oppure posso non-essere, perch cos stabilisce una serie imprevedibile di fatti, di avvenimenti e di intrecciate volont e decisioni umane, potendo perdere persino il senso della propria autodeterminazione.

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  • In questa condizione sorge e si fissa un orizzonte complessivamente negativo: nulla in s (per natura) e per s (come ragione) l'essere umano sconta e paga il senso e la determinazione del proprio peccato originale. Aver voluto potere con Adamo, potendo per s in maniera ancora indeterminata (contro Dio) nella propria coscienza (mossa alla libert dal divieto). Lotta per l'affermazione e felicit momentanea sono dunque i due momenti fortemente ed essenzialmente squilibrati che l'uomo deve conseguentemente pagare, con una sofferenza in realt ineliminabile, una volta allontanatosi e distaccatosi con la propria libert dall'unit originaria con il divino. Con la successiva differenza fra bene e male l'uomo non fa poi che introdurre la relazione contrappositiva infinito-finito: l'assoluto della propria libert pu infatti essere finito nel tempo e dal tempo (nella natura e dagli uomini).

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  • Volont d'essere e tempo (cfr. Heidegger,Essere e tempo ) si dividono in tal modo le spoglie del possibile: il possibile che vuole essere e basta, vivere senza alcuna negazione (avvenire glorioso), e il possibile che pu realizzarsi, secondo le volont della natura comune agli esseri o le nature diverse della ragione comune agli esseri (avvenire incerto e soggetto alla possibilit della fine e della morte, fisica e morale). In un modo o nell'altro l'esistenza singolare (cfr. Heidegger, esserci) vive l'orizzonte temporale finalizzandolo al futuro, con esaltazione o con angoscia (infinito nella propria assoluta libert, o doppiamente finito, dalla natura e dalla ragione).poi solo la presenza continua e costante del futuro a rendere presente il passato che non pi tale, attraverso la sua possibilit di ripetizione.

33. dunque nella mediazione (coscienza) fra l'infinito (proprio dell'essere angelico) e il finito (proprio dell'essere bestiale) che 34.

  • il sentimento e la passione dell'angoscia si irradica nell'animo umano e si apre all'orizzonte d'infinito, attraverso il timore e tremore assoluto della perdita totale di se stessi nel futuro. Di fronte a questo tipo di orizzonte - interamente oscurato nel proprio essere negativo - cade come auto-illusione retorica ogni speranza nella positivit assoluta della possibilit: la possibilit rimane alta e diagonale come una possibilit solamente negativa, ben peggiore nella sua forza di devastazione e di annientamento totale della stessa pi cattiva delle realt. Per questa ragione l'uomo deve per non restare in balia del caso e delle avversit affrettarsi ad entrare nella nuova dimensione offerta dalla Provvidenza. La dimensione della fede e della grazia, nell'incontro fra l'offerta divina e quella umana. Ma sar solamente attraverso la disperazione pi totale, pi buia ed assoluta, che l'uomo potr trovare la possibilit della salvezza.

35. 6 . Disperazione e fede.

  • La negazione totale della possibilit positiva di vita, di un proprio divenire libero e spontaneo, sorretto dalla forza e dall'energia della natura e determinato solamente dalla propria volont, conduce l'uomo alladisperazione . Alla trasformazione in senso negativo di quel rapporto che l'uomo stesso intrattiene non solo con la vita esterna, ma anche con la propria stessa vita. Divenire positivo e libert vengono negati e la loro negazione combinata si riflette immediatamente sulla negazione che l'io compie su se stesso. L'io nega il volere come riflesso immediato alla negazione della propria esistenza: che dunque voglia o non voglia, esso risulta negato. All'incrocio ed la croce portata dall'uomo - di questa doppia negazione l'io sente e vive su di s la disperazione, vive la doppia morte di se stesso. Esso dunque rimane sofferente, malato della propria morte (disperazione comemalattia mortale ).

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  • L'io dunque continua a vivere il senso del proprio rapporto come interiorit: sia che voglia ed intenda essere se stesso pienamente, sia che non potendolo non voglia nemmeno se stesso. L'io non riesce dunque a negare se stesso come possibilit, anche se all'interno di un orizzonte e di un incrocio determinativo negativo: da un lato viene infatti negata la realizzazione del divenire consequenziale e naturale (necessario) di se stessi; dall'altro viene negata semplicemente la realizzazione della propria libert. Nel primo caso infatti l'io paga la dispersione nel mondo, la propria moltiplicazione e disintegrazione, vivendosi come un'entit continuamente tesa verso molteplici e sempre possibili realizzazioni (desiderio-aspirazione; speranza-timore-angoscia). Nel secondo caso invece l'io trova una fuoriuscita laterale dalla disperazione: approfondendo in se stesso il senso della possibilit trova una possibilit pi alta e stabile.

37.

  • Una possibilit che lo salva: la possibilit che Dio stesso intervenga per la nostra salvezza. Che sia esso stesso la nostra possibilit. Che la sua determinazione la riempia e la faccia reale comepossibilit , non gi determinata - non dunque come necessit quanto invece comedeterminante .dunque in questo modo attraverso l'accordo e l'alleanza fra Dio e l'umanit nella grazia della fede che l'uomo riconquista quellalibert , che sembrava perduta nella propria condizione e stato di disperazione. Allora questa condizione e questo stato apparentemente stabile, in realt solo immanente appaiono per ci che sono: la condizione e lo stato del peccato, la conseguenza del distacco da Dio (peccato d'origine). La disposizione trasversale ed opposta a questa, che reinnalza l'uomo al divino, invece quella speranza e fiducia nell'intervento della potenza, intelligenza e bont divina che lo solleva e salva alla sua volont.

38.

  • La propria volont determinante dunque in realt la Sua volont determinante.in questo modo che l'individuo, nella sua propria singolarit, si trova innalzato e disposto di fronte a Dio stesso ed alla sua volont (questo lo scandalo dell'inferiore posto di fronte al superiore). Qui ogni pensabilit e possibilit di comprensione scompare: la trascendenza divina l'infinito che rimane incommensurabile e inattingibile, mentre assolutamente separata ed oppostamente incomprensibile resta la condizione e lo stato del peccato individuale. In questa ridondanza reciproca ed opposizione resta infine mistero fra i misteri la volont di Dio di farsi carne e sangue umana, per vivere e morire per l'umanit stessa. Nella fede il paradosso di quella opposizione che separa pu essere ridotto ed annullato solo da un'assurdit ancora pi grande, da un non-dovuto, libero e gratuito, immenso. La fede costituisce dunque alla fine il capovolgimento del capovolgimento iniziale, della caduta del peccato originale.

39. 7. L'attimo e la storia: l'eterno nel tempo.

  • L'inserto puntuale ed immenso l'attimo d'infinito - che la disposizione della fede attua nella vita dell'uomo fa s che l'Assoluto si manifesti in modo strettamente personale, senza manifestazioni od apparenze presuntivamente e necessariamente oggettive (famiglia, societ civile, Stato). Nella verit solo per e nella fede, l'uomo fuori dalla verit, quando vive le normali relazioni della propria vita, forzate dall'interesse od illuse dalla speranza di una propria autonoma autoaffermazione. Il cristianesimo viene dunque opposto da Kierkegaard alla forma moderna dell'immanenza, alla ripresa del socratismo (neo-spinozismo). L'uomo deve infatti essere posto fuori-da-se-stesso, ricreato e cos rigenerato da una verit che giunge dal-di-fuori di se stesso (da Dio stesso, differenza assoluta). L'attimo pertanto il prorompere dell'assoluto e dell'infinito nel tempo, realizzato un volta e per sempre nella storia dal fatto concreto dell'incarnazione del Cristo.

40.

  • in relazione a questo fatto storico che ogni credente tale, in un rapporto personale, diretto ed immediato con il divino. Non esiste quindi alcuna tradizione storica di un'istituzione la Chiesa - che si sia fatta maestra di vita e di salvezza, al posto del vero, unico e reale Maestro: il Cristo. I primi discepoli non vissero alcuna priorit di vicinanza con il divino, rispetto a qualsiasi altro credente, in qualsiasi tempo e luogo sia vissuto o possa in futuro vivere.

S.Kierkegaard,Timore e tremore(1843).