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Lateral Traning business edition, all rights reserved Numero 1, anno 2015 The C ircle L’invenzione del lavoro magazine di innovazione, comunicazione e marleting Le professioni digitali

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Lateral Traning business edition,all rights reserved

Numero 1, anno 2015

The CircleL’invenzione del lavoromagazine di innovazione, comunicazione e marleting

Le professioni digitali

Pochi spunti per lanciare il tema delle professioni, di come sono, di cosa stanno diventando, tra tecnologia, nuovi linguaggi e incredibili opportunità.

Perché The Circle?

Editoriale

Perché The Circle vuole continuare la sua avventura?

Non è facile dare una risposta. Potrei farlo in tanti modi. Perché, nonostante la nevrosi collettiva che spinge a fare e fare e fare e fare (a me torna sempre in mente il personaggio di Amanda Sandrelli in Non ci resta che piangere), il tempo va capitalizzato, speso con intelligenza, e non c’è modo migliore che fermarsi a fare il punto della situazione, fissare in una qualsiasi forma le conoscenze che quotidianamente stravolgono, in senso positi-vo, la nostra vita e guardare avanti con coraggio e curiosità.

Per me, per noi, The Circle è un’idea di comunicazione che serve come libreria di pensieri in movimento, tra ri-cerca e progetto, un qualcosa che ci serve per leggere il mondo e restare sulla cresta dell’onda a cavalcare il cambiamento.

Siamo al primo numero e già il layout è diverso dal numero 0. La ragione è che ci piace sperimentare, capire come evolve la forma della comunicazione, in che modo sfruttare al meglio le ipossibilità della creatività e della tecnologia. Buona lettura.

Il lavoro è cambiato. Definitivamente. Non c’è possibilità oggi di resistere allo stravolgimento su scala globale dei vecchi ruoli professionali. Si fanno strada modelli flessibili, veloci, prendono piede mestieri mai sentiti prima. Noi vi diamo qualche spunto.

di Davide Pellegrini

La reinvenzione del lavoro

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Il lavoro che non c’è più

Avevo circa poco più di trent’anni. Mi presentavo, in qualità di persona competente di tecnologia, a una casa di produzione ci-nematografica che mi aveva chiesto una consulenza per l’allora giovanissimo internet. Chi ricorda quei tempi, probabilmente, sta già sorridendo. Il web era più o meno sconosciuto e aveva su molti lo stesso fascino della conquista del pianeta Zork in una remota galassia.

Ricordo che il produttore, che non vantava alcuna dimestichez-za con la tecnologia, dopo avermi studiato di sguincio disse: ti piacciono gli ufo? Ecco, se dovessi parlare di lavoro in Italia, non parlerei di teorie, di letterature tecniche di settore, di filoso-fie etiche. Mi verrebbe più di raccontare una serie di aneddoti, di un mondo che si improvvisa in mille forme con assoluta crea-tività, un mondo che galleggia da sempre tra l’acuta percezione dei trend del momento e il mantenimento di un criterio goderec-cio e superficiale dello stile di vita. Quindi, le cose vanno fatte, ma anche così, anche tanto per.

Non sono sicuro che il lavoro che conoscevamo non esista più. Sono, viceversa, più che convinto che il grande equivoco del tempo odierno sia nell’interpretazione di una dimensione del la-voro che coincide con uno stato di diritto assistito e garantito, a prescindere da competenze, capacità e merito.

Questo non significa che non ci siano talenti o persone brave nel proprio lavoro. Anzi, sono assolutamente dell’idea che le ri-sorse caratteristiche di questo popolo rendono ognuno di noi straordinariamente dotato e creativo e, possibilmente, prepara-to ad affrontare ogni difficoltà e a rispondere con intelligenza e senso pratico.

Solo, non ce n’è mai stato davvero bisogno, e la pigrizia, quella strana sensazione dell’essere che si radica all’idea che nulla possa cambiare al punto da mettere in difficoltà certe sicurezze, ha trionfato fino a che ha potuto. Poi. Ha capitolato, lasciando molta gente disorientata, perduta in un mondo eccezionalmente veloce, spregiudicato, impietoso; li ha lasciati a rincorrere que-sto treno sparato a mille KM all’ora, cercando di risalire per non morire. Molti ce l’hanno fatta. E gli altri?

Per ritrovare una dimensione, prima di tutto occorre abbraccia-re l’idea del cambiamento come qualcosa di positivo e non aver-ne paura. Occorre, con umiltà, credere che sia possibile aggior-nare le proprie conoscenze e competenze, e che sia utile e ne-cessario farlo.

E allora. Parliamo della rivoluzione digitale.

Un breve excursus nel mondo delle nuove professioni digitali. Tra tendenze e comportamenti, si affermano le conoscenze e competenze del futuro, al punto da farci sembrare di essere dentro la trama di una storia di William Gibson o Philip Dick.

Le professioni digitali

Sommario

1. Il techno hipster non è un mestiere

2. Sono, quindi commercio

3. Il publishing ci seppellirà

4. L’internet marketer

5. The Webstar System

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Professioni digitali

Cosa pensavate fosse il mondo che cambia? Perché, ci chiedia-mo tutti, quando una grande trasformazione digerisce il pianeta, ci sorprende come fosse un qualcosa di molto più potente e di-stante da quello che ci aspettavamo.

Ora. Immaginiamo di guardare dalla finestra. In un unico punto, quello solo. E farlo per mesi e per giornate intere, focalizzando la nostra attenzione sulle mutazione di quell’unica scena. Bene. magari ab-biamo la sensazione del movi-mento, ma siamo immo-bili rispetto al grande cambiamen-to che avvol-ge il resto di quello che non vedia-mo. Ma, al-lora, cosa dovremmo fare? Ce lo chiediamo ogni giorno della

Le professioni digitali

Cosa fare e perché

Una scena di SMOKE di Jim Jarmush, 1995

4000 fotografie tutte uguali

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nostra vita. Non esiste un responso assoluto, ma chiudersi nel-la paura non serve. Forse, come racconta questa bella scena di Smoke, il segreto è concentrarsi su un proprio punto di vista, un proprio angolo prospettico, e da quello cercare di sentire, perce-pire e assecondare ogni minimo cambiamento che possa rac-contare o descrivere cosa accade nell’universo. In qualche modo, costruire una porzione di spazio che faccia da messagge-ro di quel che accade attorno a noi, anche rispetto a quello che non possiamo vedere o conoscere in prima persona.

Sento molte persone dire. Io di tecnologia non capisco nulla. A un ascolto superficiale ci sembra un atteggiamento di rinuncia e resistenza; in realtà, nasconde un senso di insicurezza profon-da che sottolinea il non essere in grado di apprendere qualcosa di nuovo, di innovativo. Non essere in grado di superare degli schemi ma, semmai, subirli passivamente facendoli passare per disinvoltura.

Bene. Siamo a un punto importante. Il primo nemico da battere è la sfiducia verso le nostre capacità che, a dire il vero, sono im-mense, talmente grandi e di ampia portata da non consentirci neppure minimamente di immaginarne il potenziale.

Credo che la capacità di varcare la soglia dell’abitudine, e di af-facciarsi a un mondo nuovo, fatto di stimoli e opportunità, possa essere alla portata di chiunque, anche se i primi passi sono cer-tamente difficili e possono dare instabilità e, in certi casi, senso di disorientamento.

Eppure, nonostante le difficoltà e le paure, una volta che ci si affaccia al mondo, una volta che si decide di guardare davvero cosa ci accade intorno, ci si potrà rendere conto che non c’è bi-

sogno di perdersi nell’accadere casuale cose, perché quelle che servono verranno spontaneamente, senza esasperazione, senza stress, senza angoscia, ma con un senso di assoluta pie-nezza e serenità. Basta imparare a dominarle.

Per conoscere le attività di Lateral Training, corsi motivazionali, progetti di crescita personale e professionale, puoi consultare il sito.

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Il techno hipster non è un mestieredi Pierpiero

Chi sono gli hipster? Quali sono le caratteristi-che di questa nuova generazione?

Si potrebbe, intanto, consultare Wikipedia che, con la sua saggezza collaborativa, ci aiuta a svi-luppare un’idea più o meno precisa. Wiki dice:

Hipster è un neologismo nato negli anni quaranta negli Stati Uniti per descrivere gli appassionati di jazz e in particolare di be-bop. Si trattava in genere di ragazzi bian-chi della classe media, che emulavano lo stile di vita dei jazzisti afroamericani.

Bene. Ma che c’entrano i giovani d’oggi con que-sta bizzarra definizione? Ho dovuto fare un ap-profondimento e, tra le pagine archiviate di Lin-kiesta, ho trovato questa bellissima definizione:

Bene. Una volta messo in chiaro di chi stiamo parlando, possiamo guardare le opportunità pro-

fessionali. Il fatto, cioè, dell’enorme produzione di contenuti, mode, oggetti, strumenti sul merca-to e dedicati a questa contro-cultura. Se ci pen-sate non è molto diverso da quello che è sem-pre successo. Nascono dei modi di essere? Il mercato li asseconda in ogni aspetto dello stile di vita. Volete approfondire, scriveteci?

L’hipster va in skate.

Hipster life style

È il ribelle, l’anticonformista, il capellone (o aspirante capellone), il beat, il bruciato, l’apocalittico degli anni ’50. È chi rifiuta l’inte-grazione nella società in cui vive”. Attual-mente, benché largamente diffuso soprattut-to in rete (nei social network in particolare Facebook), è presente soltanto nell’ultima edizione (2012) del Vocabolario Zingarelli che, oltre al significato originario, aggiunge la nuova accezione di ‘chi, in base a una cultura individualistica e insofferente delle regole, si rifà alla moda vintage della secon-da metà del Novecento, in particolare ai suoi aspetti più trasandati e anticonformisti.

Gli hipster sono un modo di essere. Vanno in bici-cletta e in skate, vestono in modo originale e volu-tamente eccentrico, ascoltano musica indie e ve-dono film impegnati, sono per l’ambiente e per la sostenibilità, detestano la cultura dell’iper-consu-mo, sono contro l’establishment, sono attenti al cibo e all’alimentazione, fanno gruppo e vivono di relazioni, credono nella grandi cause dell’umanità, leggono, si informano, credono e sostengono la cultura. Gli hipster, alla fine, sono una generazio-ne che si esprime in rapporto al contesto che li ha generati.

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bile.

Non ho citato a caso l’effetto mercatone. In un certo senso, la trasformazione più difficile per molti da ac-cettare è questa idea di diventare in qualche modo dei commercianti. Non tanto nel senso tradizionale del termine, ovvero il tipo che sta dietro al bancone del negozietto per scelta, o perché è un’impresa di famiglia, o ancora perché ha sempre avuto questa fissa; commercianti, nel seno che ognuno ora è al-l’improvviso chiamato alle armi nel grande caldero-ne dell’offerta di una sovrabbondanza di prodotti che non trovano pace. Ognuno, ripeto ognuno, per sopravvivere deve vendere qualcosa, e deve pensa-re che ci sia dall’altra parte qualcuno a cui serve il prodotto, il servizio, il contenuto che lui tratta e pro-muove. Il digitale, in questo, ci dà una mano. Nono-stante il digital divide sia un problema più che reale, oggi c’è la possibilità di apprendere velocemente le conoscenze necessarie a mettersi in proprio.

Sì, ma in che modo?

Cominciamo con il dire che l’e-commerce non è l’unica soluzione, ma una delle tante. Prima ancora di farsi travolgere dalla paura del commercio, cer-chiamo di mettere a fuoco dei punti che, magari, possono aiutarci a capire un po’ meglio il fenomeno.

1. Esistono diverse categorie di commercio ma, se partiamo dall’idea di non possedere mate-rialmente i prodotti, resta l’intermediazione, la promozione, la facilitazione all’acquisto di prodotti venduti da sellers online;

2. Oltre all’e-commerce, oggi esistono i mercati come il drop shipping, il crowdsourching (so-prattutto per quel che concerne professioni creative e prodotti semplici come i gadgets), e l’affiliate marketing nelle sue varie forme;

3. Chi pratica l’e-commerce e, nei casi più ag-gressivi, i tanti mercati per affiliati, deve cono-scere piuttosto bene come funziona il web in termini di nicchie di prodotto e comportamen-to dei consumatori, e di content marketing. Ogni scorciatoia è una gran perdita di tempo;

4. Nessuna di queste vie porta a guadagni in tempi brevi ma, più realisticamente, in periodi medio-lunghi possono davvero aiutare a co-struire ottimi sistemi di remunerazione. Ottimi vuol dire comprensibilmente vantaggiosi. La teoria della grande svolta è ormai superata perché non più credibile.

5. I professionisti del futuro saranno persone sempre più smart nell’uso del marketing.

Sono, quindi commerciodi Venanzio Antunes

L’avreste mai detto? Eppure siamo passati da un’epoca neorealista del lavoretto sicuro, spesa a timbrare cartellini e a sedersi tutta la vita sulla stessa sedia, a una fase in cui, all’improvviso, quelle sicurezze sono scomparse nel nulla co-smico... e ci siamo ritrovati nel post-fantozzi, di-geriti da meccanismi difficili anche solo da com-prendere, a cercare di galleggiare in un mare mosso da onde gigantesche.

Come, è presto detto. Una delle rivoluzione più significative del momento storico è il self promo-ting. Più in generale, il suffisso self è entrato nel-l’immaginario collettivo come condizione impre-scindibile di ricerca lavoro. In soldoni, dato che non ci sono più garanzie e il mondo ormai è un sistema aperto senza possibilità di calcolo a lun-go termine, si cerca di spingere le persone ad auto-organizzarsi. Attenti, non si parla del mordi e fuggi, semmai di come prepararsi alle tante e continue opportunità legate all’evolvere del mon-do web, un mondo che sempre meno accetta intermediazioni e che, di fatto, sta diventando un grande palcoscenico di prodotti, servizi, per-sonaggi e siparietti di ogni tipo. Come del resto Facebook aveva anticipato, e noi ancora non avevamo capito, il mondo è diventato un grande mercato pubblico in cui più o meno tutto è possi-

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Andiamo avanti su questo spinoso tema e cerchiamo qualche soluzione.

Il consiglio è comincia-re il prima possibile un training specifico di tipo tecni-co. Se in rete è anco-ra possibile trovare tuto-rial e video su YouTu-be che spie-gano cosa

e come fare, se non siete ancora veloci e disinvolti nell’uso di internet, allo-ra fatevi un corso di formazione serio, operativo, concreto, e vedrete che i primi risultati arriveranno.

In un bellissimo libro del giornalista scientifico americano Malcolm Glad-well, Avventure nella mente degli altri, un capitolo del libro viene dedicato al grande imbonitore televisivo Ron Popeil. Questo saggio, molto bel scrit-to (come è solito fare Gladwell) spiega esattamente come sia possibile di-ventare uno dei più sensazionali venditori della storia americana. Suggeri-mento: per capire l’essenza del marketing e sentirsi in pace con se stessi non c’è che da documentarsi e vedrete che alla fine non è così terribile.

L’evoluzione della specie in homo marketing può diventare un orizzonte che va oltre la semplice necessità di salvarsi in qualche modo, e magari dare qualche interessante soddisfazione. In fondo, e non lo abbiamo certo stabilito noi, è la naturale evoluzione del contesto con- temporaneo, quello di stabilire un com- portamento votato al-l’iper-consumo che va oltre dogmi, filosofie e modi di pensare e tocca, spesso, degli equi- libri che rasentano il grottesco. Accade, quindi, che anche te-mi come la soste- nibilità, l’innovazione, l’ecologia, l’am- biente, la salute, l’ali-mentazione, l’edu- cazione e chi più ne ha più ne metta, siano ingranaggi di una grande cate- na della domanda e dell’offerta che col- lega tutto a chi vende e chi compra.

Che è un po’ come dire: non è colpa nostra essere figli dell’era delle gran-di contraddizioni, ma in qualche modo dovremo pure difenderci.

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Il publishing ci seppelliràa cura di LT

Publishing. Un’altra parola anglofona nella no-stra vita. Noi fino a ieri parlavamo di editoria. Ma che c’azzecca? In realtà molto poco. Il pu-blishing si riferisce a un mo(n)do nuovo, che esi-ste in rete lontano da retaggi corporativi e inter-mediazioni di sorta. Il mondo di chi ha voglia di pubblicare e non accetta di sottostare al permes-so di nessuno.

Il digitale, in questo caso, è un vero e proprio paniere pieno di strumenti, ognuno di quali ci porta in una direzione specifica. Non ha nulla a che vedere con il dibattito sugli ebook, non ha nessuna parentela con il semplice trasporto di un formato cartaceo in digitale; il publishing si lega alle infinite possibilità di trattare il contenu-to sul web e sui nuovi media, come tablet e smart phone, tocca aspetti diversissimi tra loro, come il social media marketing e il video see-ding, si riferisce a competenze davvero eteroge-nee che vanno dall’editor e dal redattore fino al al content manager e al marketing manager. Nei casi più estremi, come ad esempio il content ar-ticle marketing, si arriva a mercati innovativi, co-me l’intermediazione (affiliate marketing) e l’info product selling che in questo momento, soprat-tutto in area anglosassone, stanno davvero cre-scendo a dismisura.

Approfondisci l’argomento.

Davide Pellegrini : Il publishing è un’opportunità.

Ma qual è il settore su cui davvero vale la pena in-vestire? Non abbiamo tempo di trattare tutti gli argo-menti, quindi ci limiteremo a indicare le strategie più concrete.

Punto primo: trattiamo il publishing al pieno delle sue potenzialità. Se ci consente di creare prodotti completi e multimediali, se con questi strumenti pos-siamo legare il contenuto al marketing, magari inse-rendo qualche link che ci permette di promuovere un’informazione di prodotto o un servizio, allora per-ché non farlo?

Punto secondo: cerchiamo di non fare le cose in modo superficiale. Il web si presta a un facile uso, ma è uno strumento serissimo, che ha bisogno di impegno, dedizione e molte competenze tecniche. Meglio perdere sei mesi a capire come funziona e a formarci per bene, che cadere nella trappola del fare le cose in modo facilone.

Punto tre: cerchiamo il nostro respiro, come fosse un’esercizio di yoga. Troviamo un equilibrio tra l’ag-giornamento (il web evolve con una velocità che fa davvero paura) e la pratica e la concretezza di obiettivi misurabili ed efficaci. Il marketing digitale dà i suoi frutti, ma ha bisogno di tempo. Non dobbia-mo avere fretta.

Se, invece, sei semplicemente un autore stanco della trafila tradizionale, se non hai più voglia di aspettare il responso dell’edi-tore, ma sei convinto di aver qualcosa da dire. Se vuoi che il pubblico sia l’unico tuo giudice, allora hai bisogno solo di qualcu-no che ti dia una mano a raggiun-

Abbiamo deciso di dedicare una sezione a parte per un motivo. Il brokeraggio sul web è una cosa davvero difficile da capire. Di solito il termine broker definisce una competenza molto specifica legata alla borsa, alla finanza. Ma se pensiamo alle nuove professioni sul web, quelle che ancora si conoscono poco, come l’internet marketer, ci rendiamo conto che le differenze sono davvero minime.

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Le domande prima del mestiere

Per fare un lavoro del genere, sia chiaro, bisogna avere una minima vocazione al marketing. Altrimenti, non c’è da scherzare, diventa una specie di croce. L’internet mar-keter ha una spiccata vocazione per i meccanismi che regolano la rete da un punto di vista commerciale. Per poter arrivare a risultati concreti, deve maturare una sen-sibilità quasi sociologica all’interpretazione del comporta-mento degli utenti. Questo, rispetto a chi si occupa di fi-nanza o di economia, è un vantaggio enorme perché, dietro il cinismo di una professione fatta di calcoli e con-teggi, controllo di funzioni e gestione di sistemi statistici (come sono, di fatto, gli strumenti analitici del web), si na-sconde un lato creativo, costituito dalla continua osserva-zione dei linguaggi creativi del web, dei trend e delle mo-de che spingono la rete da una parte piuttosto che da un’altra. Quali sono i prodotti o i servizi che tirano? Qua-le è la piattaforma del momento? Quali sono i software più usati? Su quale marketplace online comprano i con-sumatori? Come cambiano i social media e in che modo diventano utili a chi fa business?

Le professioni digitali

L’internet marketer

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Le basi del web marketingdi Davide Pellegrini

Se siete dell’idea che fare marketing sul web sia comunicare un prodotto siete davvero fuori strada. Il marketing è un approccio strategico in cui la comunicazione è davvero l’ultimo step.

Sul web la questione del marketing si lega a un problema molto specifico. Il raggiungimento di una massa critica interessata a comprare un nostro prodotto o servizio. Come dire. Il traffico è il Re, il resto importa poco.

Il traffico Risolvere il problema del traffico non è uno scherzo, ma non è neppure impossibile. Se consideriamo un calcolo percentuale da 10 a 1, se avessi-mo 10.000 utenti, 1.000 potrebbero essere interessati alla nostra promo-zione, 10 probabilmente comprerebbero qualcosa. La ricaduta effettiva, in termini di concreto comportamento d’acquisto, è piuttosto bassa. Ma co-me si fa a fare traffico? Trucchi ce ne sono a palate ma, come spesso suc-cede, sono più le formule e le ricette che le certezze. Vediamo, però, nel dettaglio, quali possono essere i punti fermi in un approccio vincente al marketing digitale.

1. scegliere la strategia partendo da una prima grande, importante valu-tazione. Si vuole produrre il contenuto o si vuole utilizzare il contenuto di qualcun altro? Sembra una cosa da nulla, ma è il punto di partenza decisivo. Se si intende produrre il contenuto, allora conviene puntare a una nicchia iper-specialistica, in modo da raggiungere una massa critica di utenti che giustifichi la promozione e vendita di eventuali pro-dotti o servizi. Da singoli, l’approccio generalista è severamente vieta-to, sia per l’eccessiva concorrenza, sia per la presenza sul mercato di

player iper-strutturati, con intere redazioni e marketing manager. Non realiz-zeremo mai, che so, un quotidiano che si occupa di cronaca, politica, eco-nomia, cultura, ecc. È molto più probabile e alla nostra portata costruire un blog dedicato a una categoria specifica, come ad esempio un canale verti-cale sul mondo delle biciclette o, ancora, su un certo tipo di cucina. Badate bene, il blog per essere frequentato non deve semplicemente raccogliere le divagazioni del suo autore, ma deve informare, trasmettere conoscenza, creare competenza ed essere molto concreto, perché il tempo delle perso-ne vale oro. Se, invece, si decide di utilizzare il contenuto prodotto da altri si può puntare a migliorare le proprie competenze di marketing e usare stru-menti di intermediazione come l’affiliazione. funziona, l’af-

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Come funziona il marketing di affiliazione

L’affiliate marketing è una novità. Sfrutta le grandi potenzialità della rete e, appropriandosi della filosofia di scambio e sharing di questi ultimi periodi, svi-luppa attività di intermediazione e arbitraggio tra venditori (sellers) e proprietari di contenuti (publishers). In due parole, ci si iscrive a una piattaforma di affiliazione, si chiede di aderire a un programma per promuovere dei prodotti, esempio libri o dischi. Una volta che la richiesta di adesione viene accettata dalla piattaforma, si ottengono i link e i banner collegati a un proprio ID che serve per tracciare le eventuali transazioni e ricevere le revenues (guadagni). Cosa fare con i link? Se si è in possesso di un proprio sito in wordpress si può inserire il codice dei link e dei banner che, a quel punto, saranno visibili agli utenti. Se, invece, non si dispone di un proprio canale di contenuto, si deve negoziare con chi il traffico ce lo ha e, quindi, offrirsi come internet marketer e riconoscere a chi ospita la pubblicità una percentuale oppure, ancora meglio, scegliere canali ancora più evoluti, come nel caso di YouTube. Ogni volta che un utente compra qualcosa passando da una nostra pubblicità, guadagna il seller, guadagna il marketer e guadagna il publisher.

Chiaramente questo è in due parole, ma se davvero si ha in mente di fare questo lavoro (che di per sé è molto remunerativo), conviene fare un buon cor-so.

Intanto, il consiglio è provare a vedere di che si tratta esplorando le piattaforme di affiliate marketing che gestiscono i programmi dei sellers. Una sicura-mente da conoscere è Zanox. Occorre registrarsi e, possibilmente, studiare la guida e le istruzioni di come funziona. Poi, se ci sono quesiti e curiosità più specifici, vale la pena consultare un internet marketer professionista.

La supervisione editoriale, l’editing e la correzione di bozze sono a cu-ra del service l’Edicoletta, di France-sca Fornari.

Editor in chief - Davide Pellegrini

Supervisione editoriale - France-sca Fornari

A cura di

L’artista, l’opinion maker, l’influencer. Quelli che contano e sparano in rete video in cui parlano del mondo, di loro stessi e delle loro idee, tra migliaia di fans e milioni di click.

Ecco come è cambiata la rete spettacolo. Ecco come si affaccia sullo scenario della contemporaneità una nuova professione: la web star.

The webstar system

Prin

ce E

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The influencers

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Prince EA - the braindi Cirano

Il mondo va a puttane e, come è sempre stato, la gente cerca esempi da seguire, cervelli da ammirare, idee su cui riflettere e personaggi ca-rismatici da seguire. Nulla di nuovo sul fronte occidentale. Da che mondo è mondo parlare al pubblico dà i suoi frutti. Dopo tutto, l’oratoria e la retorica erano delle scienze umanistiche, dal-le quali sono nate la politica, la religione e tanta altra roba. Nel marketing, ad esempio, i grandi televenditori erano quelli che a un certo punto mollavano il prodotto e cominciavano a correre sul crinale dei massimi sistemi, giocando con il pubblico in equilibrio su argomenti impegnativi come la vita, il benessere, la felicità, l’amore. Vengono in mente bei personaggi, tipo il fonda-tore di Scientology (fenomeno, quello dei predi-catori, molto seguito negli USA). Ora, capita che ci siano anche altri protagonisti, più smart e in linea coi tempi, che uniscono la propria profes-sione d’artista o da opinion maker a un carisma importante da spiritual star e da guru. Prince Ea, noto rapper è anche questo. I suoi video vanno così tanto che si è aperto un canale tutto suo. Il messaggio di Prince è piuttosto semplice e diretto. Salvare il mondo, lanciare un appello alle generazioni del futuro e migliorare l’univer-so. Vi pare poco?

Richard Williams, better known by his stage name Prince EA, is an American rapper, spo-ken word artist, music video director and rights activist from St Louis, Missouri. My goal for this channel is to make people laugh, cry, think, and love with the ultimate goal to evolve.

Spoken artist, quindi. Ecco sotto un esempio dei suoi straordinari interventi.

Un discorso suggestivo per le nuove genera-zioni. Una video-lettera di scusa per un piane-ta in crisi, violentato dalla mancanza di respon-sabilità di chi lo ha fino a ora governato.

Prince Ea. Dear future genera-tions: sorry

Se, da un lato, abbiamo gli evangelist, dall’altro si è imposto un fenomeno giovanile che vede, sulla scia del talent, il successo di molti giovanis-simi che, davanti alla webcam, si sono affermati a colpi di views. I contenuti sono solitamente go-liardici, comici, spesso irriverenti in modo de-menziale. Del resto,YouTube si presta moltissi-mo al divertimento immediato, poco impegnati-vo. Qualcosa che meraviglia e strappa un sorri-so. Va da sé che per molti è un trampolino di lan-cio. Un caso è quello di Frank Matano.

Grazie a un suo canale youtube, oggi è ospite e conduttore di programmi televisivi anche noti.

Frank Matano e gli scherzi al ci-tofono

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Quali scenari professionali si aprono, quindi, è facile intuire:

1. Si può puntare a diventare una webstar e, in quel caso, bisogna tirare fuori dal cilindo un personaggio e qualche copione azzeccato. Tipo un tormento-ne, uno stile, un qualche cosa che entri nella testa del pubblico e lo faccia divertire;

2. Si può fare web scouting e mettere su un’agenzia di management di talenti, una representative di youtuber e guadagnare dalla vendita e promozione dei personaggi in circuiti alternativi, come la comunicazione aziendale, gli eventi, la TV e altre cose del genere;

3. Si può semplicemente fare marketing digitale sugli stessi video e cimentarsi in un lavoro meticoloso di arbitraggio e brokeraggio web. Questa è luna delle soluzioni più sofisticate e in crescita, ma ci vuole pazienza, competenze e sangue freddo.

Qualsiasi sia la scelta, con questo secondo numero di The Circle, vogliamo documentare le trasformazioni in atto nell’universo dei media, raccogliere qual-che spunto interessante di riflessione e regalarlo ai lettori. Speriamo davvero di esserci riusciti.

Prossimo numero: Speciale Publishing