The Economist - Raccolta traduzioni 2015

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The Economist Raccolta traduzioni 2015 Dr. Emilio Tagliaferri Professional Financial Planner BANCA GENERALI

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The EconomistRaccolta traduzioni 2015

Dr. Emilio TagliaferriProfessional Financial Planner

BANCA GENERALI

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Elenco articoli

1. The high cost of falling prices – Numero del 21/25/2015 – Pag. 3

2. Running on empty – Numero del 7 marzo 2015 – Pag. 7

3. Mario's miracle? - Numero del 14 marzo 2015 – Pag. 10

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The high cost of falling prices - 1

Per le banche centrali del mondo il 2% è un numero magico. Se i prezzi salgono a un tasso del 2% annuo, la maggior parte dei consumatori può, più o meno, ignorare la loro lenta ascesa, e un pizzico d'inflazione è di grande aiuto: consente ai datori di lavoro di penalizzare lavoratori improduttivi (un congelamento dello stipendio corrisponde, in queste condizioni, ad un taglio del 2%) e costituisce un incentivo a investire i propri profitti. Più importante ancora è il fatto che una tale crescita dei prezzi tenga le economie alla larga dalla deflazione e dalle deprimenti scelte – accumulare liquidità, rinviare gli acquisti – che prezzi in calo comportano; tuttavia, a dispetto della professata adesione al mantra del 2%, sul tavolo c'è un periodo di prezzi in diminuzione.

Tracce di deflazione si trovano ovunque; anche in America, Gran Bretagna e Canada – tutte in crescita di oltre il 2% - l'inflazione è ben al di sotto del target del 2%. I prezzi si stanno raffreddando in oriente, con l'inflazione cinese ad un risicato 0,8%. Il 2,4% del Giappone è destinato ad evaporare, dal momento che il paese sta scivolando nuovamente nella deflazione, la Thailandia è già in questo stato. Ma è l'eurozona ad impressionare maggiormente: il suo passato inflazionario – negli anni '80 i prezzi aumentavano dell'11% annuo in Italia e del 20% annuo in Grecia – è un lontano ricordo: oggi 15 dei 9 paesi membri dell'area sono in deflazione; il più alto tasso d'inflazione, in Austria, è dell'1%.

Il petrolio spiega parecchie cose. Un anno fa il prezzo di un barile di brent era di $110; oggi è di $60, e il calo di prezzo del 45% si sta ripercuotendo sulle economie. In Gran Bretagna dati rilasciati il 17 febbraio hanno mostrato che i prezzi dell'energia e dei trasporti in forte calo hanno contribuito a produrre un tasso d'inflazione dello 0,3% annuo a gennaio, uno dei più bassi delle serie storiche. In America il costo della benzina è crollato del 35% negli ultimi sei mesi, e anche i prezzi del gasolio per auto trazione e riscaldamento sono in ribasso.

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The high cost of falling prices - 2

Questo, di per sé, non è un fattore negativo. Dal momento che l'uso dell'energia in inverno è una necessità, i consumatori sono avvantaggiati dal taglio del prezzo del combustibile, e anche le aziende esultano; anche i costi di produzione, dalle bottiglie di plastica ai detergenti, sono in calo. Alcuni risparmi vengo trasferiti. Il cibo, che è costoso da trasportare e richiede un accurato confezionamento, sta diventando più economico: sono questi gli elementi caratteristici di uno shock positivo dell'offerta; il petrolio a buon mercato comporta che le economie possano fornire una maggior quantità di merci a prezzi inferiori. Nel settore dei servizi, che si basa molto meno sull'energia, sui trasporti e sui fattori produttivi basati sul petrolio, i prezzi sono ancora in crescita.

La deflazione sembra più preoccupante per coloro che vendono beni durevoli. Il prezzo delle nuove auto è stabile in Gran Bretagna, in lieve calo in Portogallo e in discesa libera in Grecia, dove un nuovo veicolo costa il 20% in meno del 2005.Per molti settori industriali, tuttavia, i prezzi in discesa non sono una novità ma una consuetudine. Nell'eurozona il prezzo di cellulari, computers e fotocamere è stato in calo per un decennio (in Spagna le apparecchiature telefoniche costano il 90% in meno rispetto a dieci anni fa), cosicché è improbabile che la deflazione turbi i consumatori; anche in Giappone, che ha assistito ad anni di prezzi in calo, non ci sono segni di rallentamento dei consumi.

La spinta al potere d'acquisto fornita da un breve periodo di prezzi in calo è benvenuta. Nei paesi sviluppati gli aumenti nelle retribuzioni sono stati rari, a dispetto di grandi miglioramenti nell'occupazione. Dal 2010 ad oggi più di 10 milioni di americani hanno trovato un lavoro, con la disoccupazione, che aveva raggiunto i 15 milioni di unità, in calo del 40%; il Giappone ha assistito ad un calo simile, da 3,6 milioni a 2,3. La Gran Bretagna ha fatto ancor meglio, tagliando i ranghi dei suoi disoccupati del 50%, a sole 800.000 unità. Anche la cagionevole eurozona ha aggiunto posti di lavoro; l'enigma consiste nel perché un'occupazione in crescita non abbia portato inflazione sotto forma di paghe più alte.

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I tassi di disoccupazione in America, Gran Bretagna e Giappone – tutti allo stesso livello o al di sotto dei minimi pre crisi – avrebbero, i precedenza, innescato aumenti nelle retribuzioni; tutti e tre i paesi, però, hanno visto crescere forme non stabili di occupazione: è aumentato il lavoro part-time, come sono aumentati i ranghi dei “sottoccupati”, che lavorerebbero più ore se potessero. Contratti più liberi hanno contribuito a creare forze di lavoro flessibili – dagli autisti di Uber ai lavoratori giornalieri in edilizia. Gli occupati possono essere aumentati, ma non lo è il potere di contrattazione del lavoratori.

I lati negativi di questi nuovi, flessibili mercati del lavoro stanno incominciando a provocare conseguenze politiche.Barack Obama ha esortato il Congresso ad aumentare il salario minimo da $ 7,25 a $ 10,10. In Gran Bretagna entrambi i principali partiti si ripromettono di chiarire le circostanze in cui gli insicuri contratti “ a zero ore” sono illegali. Shinzo Abe, il primo ministro giapponese, ha recentemente annunciato che ai lavoratori temporanei dovrebbero essere garantiti gli stessi diritti dei loro colleghi a tempo indeterminato.Nella misura in cui questi provvedimenti dovessero incrementare le paghe e i costi delle imprese, l'inflazione dovrebbe aumentare.

Ma anche se di breve durata, questo tipo di deflazione può indebolire un'economia. Con l'inflazione al 2% un imprenditore con liquidità disponibile ha una scelta chiara davanti a sé: investire in qualcosa che renda di più o restituirla agli azionisti sotto forma di dividendi. Entrambi i passi – incrementare gli investimenti o il reddito degli investitori – sono buone scelte.

Ma quando i prezzi sono stagnanti, gli imprenditori avversi al rischio possono giustificatamente mantenere la liquidità. Con un più alto tasso d'inflazione, la liquidità delle imprese – che ha raggiunto i 2 trilioni di dollari in America e i 2299 trilioni di Yen in Giappone nel 2014 – verrebbe più rapidamente impiegata.

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L'eurozona è una storia a parte. Al netto della Germania, i suoi membri hanno fatto poco per rendere il mercato del lavoro efficiente; in molto hanno masse di capacità produttiva in eccedenza. Alla fine del 2009 il tasso di disoccupazione era al limite del 10%, lo stesso dell'America. Ma da allora la disoccupazione è aumentata nell'area euro e adesso è all'11%. In Grecia è al 25%. Ci vorranno anni per superare questi squilibri: anche se la Spagna, lodata per il suo tasso di crescita al 2%, proseguisse a questo ritmo, ci vorrebbero otto anni per recuperare il suo tasso di disoccupazione pre crisi. Coloro che cercano paghe migliori hanno scarse prospettive; ciò rende il rischio di deflazione di lungo periodo un pericolo maggiore che altrove.

Se il calo dei prezzi dovesse proseguire allora i debiti, fissati in termini nominali, sarebbero più ardui da ripagare. Un recente studio della McKinsey, una società di consulenza, ha monitorato il debito totale – governativo, delle famiglie e delle imprese – tra il 2007 e il 2014. Le economie dell'eurozona guidano la classifica, con il debito aumentato di 55 punti di PIL o più in 5 dei paesi periferici e in tre dell'area “core”. Se i redditi dovessero ridursi in maniera consistente quei debiti potrebbero diventare impossibili da ripagare.

Le banche centrali alla fine stanno entrando in azione. La Banca Centrale Europea (BCE) è stata l'ultima ad aggregarsi al gioco del “quantitative easing” (QE), ma incomincerà a creare nuovo denaro per acquistare titoli pubblici in Marzo. La Banca del Giappone si è impegnata alla mole di Qe necessaria a riportare l'inflazione al 2%. Una nuova e radicale politica monetaria – tassi di interesse negativi – sta diventando di moda, con le banche centrali dei paesi nordici che stanno seguendo la BCE nell'adottarla.Se questi tentativi dovessero fallire, allora la soddisfazione pre il cibo e carburante a buon mercato avrà vita breve, con le economie oppresse da debiti che saranno costrette ad utilizzare tutti i risparmi derivanti dai prezzi in calo per tenere i creditori a bada.

Articolo originale: The high cost of falling prices

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Running on empty - 1

Alla fine di febbraio, mentre il nuovo primo ministro greco Alexis Tsipras ribaltava una fondamentale promessa elettorale, infuriando il suo partito di sinistra Syriza, nel chiedere un estensione di quattro mesi dell'odiato piano di salvataggio del paese, nel centro di Atene c'erano scarsi segni di crisi: i caffè erano affollati, le strade congestionate dal traffico.

L'impressione di normalità, tuttavia, era illusoria: il nuovo governo potrà anche aver fatto marcia indietro dall'incombente spaccatura con il fronte dei creditori, ma la sua prontezza ad andarvi così vicino ha danneggiato l'economia e portato lo stato sull'orlo della bancarotta.

Peggio ancora, c'è posto per ulteriori danni questa primavera, dal momento che nessun accordo è stato raggiunto tra il Governo greco, l'FMI, la BCE e la Commissione Europea (le istituzioni che rappresentano i creditori). Approfondire la breve lista di riforme presentate dal governo sinora è destinato ad essere un doloroso procedimento.

L'economia greca aveva finalmente ricominciato a crescere nel 2014, dopo che sei anni di recessione hanno tagliato via più di un quarto del PIL. La produzione era aumentata nei primi tre mesi dello scorso anno (se paragonata allo stesso periodo del 2013) e la crescita era continuata nel terzo trimestre, quando il PIL è cresciuto dello 0,7%, una delle migliori performances dell'area euro.

Tutto ciò, ora, sembra un lontano ricordo. Negli ultimi tre mesi del 2014, con le elezioni alle porte, la produzione è scesa dello 0,2%. Le turbolenze politiche hanno colpito l'economia e le finanze pubbliche in tre modi.

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Running on empty - 2

In primo luogo la preoccupazione per un'eventuale uscita dall'euro e per la conseguente conversione dei depositi in meno pregiate dracme ha causato un'ingente riduzione dei depositi stessi. Tra dicembre e gennaio le famiglie e le imprese greche hanno drenato oltre 17 miliardi di euro dal sistema bancario; incredibilmente le fuoruscite di denaro sono state maggiori rispetto a maggio e a giugno del 2012, quando incombevano due elezioni e la prospettiva di un abbandono dell'euro era rilevante. I prelevamenti sono continuati nelle prime settimane di febbraio, ad un ritmo settimanale compreso tra i due e i tre miliardi di euro.La perdita di depositi, che ha condotto la Grecia pericolosamente vicina all'introduzione di un controllo sui capitali, ha indebolito le banche, che hanno dovuto rivolgersi alla Banca Centrale Greca per ottenere liquidità di emergenza; dal momento che tale sostegno è tenuto a briglia stretta dalla BCE, le banche sono ancora altamente vulnerabili. Private delle loro fonti di finanziamento non possono più concedere finanziamenti, cosicché la mancanza di denaro per le banche sta ora colpendo l'economia nel suo complesso.

In secondo luogo, lo sconvolgimento politico ha creato nuove incertezze: con il posto della Grecia nell'euro di nuovo in discussione gli investitori domestici hanno congelato i loro progetti e quelli stranieri si sono tenuti alla larga; questa paralisi non verrà interrotta sino alla stipula di un accordo con i creditori che ripristini la fiducia in una permanenza della Grecia nell'euro. La rinuncia di Syriza ha guadagnato tempo ma non denaro da parte dei creditori, e non ve ne sarà fintanto che il governo non dimostri di essere sincero nel promettere che completerà le riforme ritenute necessarie per rafforzare l'economia e le finanze pubbliche; durante la campagna elettorale Syriza ha denunciato molte di tali riforme come intollerabili.Infine, la tempesta politica ha indotto una crisi nelle finanze pubbliche. Tagliato fuori dal mercato delle obbligazioni, e senza aiuto da finanziatori ufficiali, il governo greco sta stentando a ripagare i suoi debiti. Questo mese è particolarmente duro poiché deve trovare 1,5 miliardi di euro per ripagare una tranche del suo debito con l'FMI e altri 4,5 miliardi per rimborsare titoli del tesoro in scadenza.

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Running on empty - 3

Anche se i debiti verranno rifinanziati, la disponibilità di denaro rimarrà limitata poiché le entrare fiscali a gennaio-febbraio sono diminuite di 2 miliardi rispetto allo stesso periodo del 2014; molti contribuenti hanno semplicemente smesso di pagare le tasse nella speranza che il nuovo governo sarà più indulgente.Il peggioramento dell'economia comporterà anche un peggioramento delle finanze pubbliche. Il governo ha ottenuto dai creditori il permesso di mantenere un minor surpls primario di bilancio (cioè al netto del pagamento degli interessi) rispetto a quanto prima pattuito, ma una tale concessione potrebbe ora essere insignificante, e se si consentirà il crearsi di arretrati sui pagamenti per gli acquisti effettuati, come avvenuto in passato, saranno danneggiate le imprese che non verranno pagate.

In mezzo ad un tale cupo scenario vi è, tuttavia una buona notizia: il trambusto non sembra aver danneggiato le prenotazioni turistiche. La speranza è che il 2015 si riveli un'altra buona annata, dopo che il numero dei turisti ha raggiunto nel 2014 un record di 22 milioni, ma affinché la Grecia rispolveri la sua ripresa economica molte cose devono andare per il verso giusto. In particolare Tsipras dovrà infrangere altre promesse elettorali, ma anche se farà marcia indietro completamente non ci sarà modo di porre rimedio ai danni all'economia che gli eventi degli ultimi mesi hanno causato.

Articolo originale: Running on empty

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Mario's miracle? - 1

Ancora una volta Mario Draghi, il presidente della BCE, si è rivelato all'altezza del suo soprannome “Super Mario”.Nel 2012 ha stabilizzato i mercati con la sua promessa di fare “tutto il necessario” (“whatever it takes”, n.d.t.) per salvare l'euro; quest'anno ha messo a segno un trucco simile adottando il quantitative easing (QE) - stampando denaro per acquistare titoli. Questa settimana la BCE ha incominciato ad acquistare titoli governativi e ha già cominciato ad accumulare asset backed securities (sono strumenti finanziari, emessi a fronte di operazioni di cartolarizzazione, cioè cessione di attività o beni di una società, n.d.t.) e covered bonds (obbligazioni bancarie che garantiscono la restituzione di capitale ed interessi grazie al vincolo di una fetta dell'attivo patrimoniale della banca, n.d.t.).

L'annuncio del QE alla fine di gennaio ha contribuito a risollevare l'umore degli investitori dopo un inizio d'anno complicato. I mercati azionari internazionali sono saliti del 5,3% in febbraio, secondo Standard & Poor's, e quattro nell'euro zona (Austria, Grecia, Portogallo e Irlanda) hanno realizzato guadagni a doppia cifra.Una politica monetaria più espansiva non è l'unico fattore dietro il rally. Gli investitori si sono sentiti sollevati quando la Grecia e i suoi creditori hanno raggiunto un accordo sull'estensione di quattro mesi del suo programma di prestiti; ciò ha ridotto il rischio di un'uscita della Grecia dall'euro (benché la salute finanziaria della Grecia rimanga precaria).Il netto calo del costo del petrolio ha anche agito come una riduzione delle tasse per i consumatori europei, incrementando le speranze che l'economia continentale stia uscendo dalla depressione.L'indice Citigroup delle sorprese economiche per l'euro zona, che rileva se i dati hanno o meno battuto le aspettative, ha compiuto un balzo dal -57,3 di metà ottobre al +49,5 del 9 marzo. La BCE ha aumentato le sue previsioni di crescita per l'anno corrente dall'1% all1'5%; l'OCSE afferma di rilevare “segni preliminari di un cambiamento positivo del tasso di crescita nell'area euro”.

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Mario's miracle? - 2

Nessuno si aspetta il tipo di crescita che renderebbe invidiosi i cinesi, ma i recenti dati economici sono giunti in un contesto di anni di incessante pessimismo, quando gli investitori sembravano temere che la zona euro non sarebbe mai più cresciuta.

Ulteriori notizie positive sono giunte dal settore bancario europeo. Sin dal 2008 le banche si erano concentrate di più sul rafforzamento dei loro bilanci che sull'attività di erogazione alle imprese, e questa contrazione del credito ha danneggiato l'economia. Ma le cose stanno migliorando. L'indice M3, un'ampia unità di misura dell'offerta di denaro è cresciuto a gennaio del 4,1% rispetto allo scorso anno; 12 mesi prima il tasso di crescita era solo dell'1,2%. L'indice M1, un'unità di misura più ristretta, ha confermato l'andamento: la sua crescita ha fatto un balzo dal 6,2% al 9% nello stesso periodo.

Le grandi aziende hanno tratto vantaggio dai bassi rendimenti nel mercato europeo delle obbligazioni. Anche in questo caso la BCE ha giocato un ruolo centrale: gli investitori hanno anticipato il lancio del QE facendo scendere nettamente i rendimenti dei titoli di stato: quelli a due anni di Germania, Francia e Paesi Bassi, tra gli altri, sono negativi; i titoli tedeschi a dieci anni offrono appena lo 0,23%, il che significa che la Germania ha sostituito il Giappone quale debitore con il più basso costo di finanziamento al mondo.Tutto questo ha comportato che gli investitori, alla ricerca di guadagni, si siano indirizzati in massa verso le obbligazioni corporate: anche il rendimento sulle obbligazioni della Nestlé, un gruppo alimentare svizzero, è diventato negativo.Le aziende europee non sono state le sole ad avvantaggiarsi della situazione. Nei primi due mesi dell'anno le imprese americane hanno messo titoli denominati in euro per oltre 18 miliardi, un incremento del 160% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno; la sola Coca-Cola ha emesso obbligazioni per 8,5 miliardi di euro: gli investitori hanno presentato richieste di adesione per oltre 20 miliardi, anche se l'azienda offriva un rendimento solo dell'1,65% sul titolo ventennale.

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Il resto del mondo potrebbe però non essere così entusiasta di un'altra conseguenza dell'operato della BCE, il brusco calo dell'euro: l'11 marzo è sceso al di sotto di 1,06 dollari USA, il suo livello minimo dall'inizio del 2003. Ciò non è solo una conseguenza dell'euro debole; il dollaro è cresciuto anche nei confronti dello yen, con gli investitori che hanno previsto il primo incremento dei tassi dall'inizio della crisi da parte della FED verso la fine dell'anno: il dollaro è ora al suo picco dal 2003 nei confronti delle principali valute.

Tutto ciò ha un peso per gli esportatori statunitensi; benché il deficit commerciale americano stia ancora beneficiando dall'incremento della produzione domestica di shale oil e di gas, il deficit del settore non energetico è stato di circa 50 miliardi di dollari in gennaio, con un incremento di oltre 10 miliardi di dollari rispetto ad un anno prima, e i profitti delle aziende americane ne risentono quando i redditi esteri vengono convertiti in dollari: nei mesi recenti le stime sul tasso di crescita degli utili sono state riviste al ribasso quest'anno dal 9,1% al 2,1%.

Affinché il QE europeo risulti positivo per il mondo intero, piuttosto che solo per l'euro zona, dovrebbe rivitalizzare la domanda, non solo conquistare quote di mercato a favore degli esportatori. L'esempio del QE giapponese è abbastanza irregolare al proposito: tre degli ultimi cinque trimestri hanno visto una contrazione dell'attività economica (benché l'effetto sia stato occultato da un incremento nella tassazione dei consumi). Gli investitori, chiaramente, hanno fiducia che il piano di Super Mario funzionerà meglio.

Articolo completo: Mario's miracle?

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