Le traduzioni italiane di Shakespeare

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Le traduzioni italiane di Shakespeare Letteratura teatrale europea e americana | 2019 2020 Cristina Consiglio Università degli Studi di Bari Aldo Moro

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Le traduzioni italiane di Shakespeare

Letteratura teatrale europea e americana | 2019 2020

Cristina Consiglio

Università degli Studi di Bari Aldo Moro

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Storia delle traduzioni nel Settecento

1705 Ambleto. Melodramma di A. Zeno verseggiato dal P. Pariati con la musica di F. Gasperini, rappresentata al teatro San Casciano di Venezia

1756 Giulio Cesare tradotto da Domenico Valentini

1769 Amleto tradotto da Alessandro Verri, ma inedito

1777 Otello tradotto da Alessandro Verri, ma inedito

1798-1800 Otello, Macbeth e Coriolano tradotte da Giustina Renier Michiel e pubblicate nel volume Opere drammatiche di Shakespeare volgarizzate da una Donna Veneta

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I sommi attori italiani furono i veri divulgatori della letteratura e della cultura shakespeariana in Italia.

Costoro, con il loro ampio concetto dell’impegno dell’attore, si convincono del valore di un drammaturgo che, pur lodatissimo in altri paesi d’Europa, era ancora poco conosciuto ed in gran parte malvisto dal pubblico italiano.

Facendosi anziché interpreti, scopritori, critici, ed a volte addirittura traduttori, essi intrepidamente insistono, con le loro rappresentazioni, sul suo valore, portandolo, man mano che la sua fortuna si allarga, ad un pubblico sempre più vasto e più vario.

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Le prime rappresentazioni dell’Amleto in Italia

Nel 1774 Amleto viene rappresentato per nove sere consecutive a Venezia al teatro San Giovanni Grisostorno,su una traduzione di Francesco Gritti basata sull’adattamento francese di Ducis.

Il primo interprete italiano di Amleto è Antonio Morocchesi (1768-1838), autore delle rinomate Lezioni di declamazione d’arte teatrale (Firenze 1832), insegnante d’arte scenica all’Accademia di belle arti di Firenze e maggiore interprete del teatro alfieriano. Allestì a proprie spese l’Amleto nella riduzione francese di Ducis, riportando pieno successo. La tragedia nuovissima, mal tradotta e mal ridotta nei versi zoppicanti di Alessandro Verri (già pubblicata nel 1769) passò inosservata nel confronto diretto con le mille seduzioni del verso alfieriano.

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Alamanno Morelli (1812-1903) fu il primo a riprendere Amleto in un suo adattamento dalla nuova versione di Rusconi consigliatagli da Gustavo Modena e di lui si scrisse: «Amleto rivestiva con lui tutta la maestà della sventura e, nei momenti del delirio e dell’allucinazione, rivelava con lo sguardo, col gesto, col tono della voce l’interna lotta tra la paura di scoprire il vero e il disgusto di vedersi circondato dal falso».

Dopo Morocchesi e Morelli seguirà un lungo silenzio interrotto soltanto da una rappresentazione dell’Otello nel 1820 e una dell’Amleto nel 1850. Le due figure di spicco del XIX secolo saranno Ernesto Rossi (1827-1896) che porterà in scena Amleto nel 1857 al Teatro Re di Milano e Tommaso Salvini (1829-1915), entrambi interpreti di fama internazionale (Salvini recitò anche negli Stati Uniti).

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Madame de Stael «Sulla maniera e l’utilità delle traduzioni» (1816)

«Un letterato a Firenze ha fatto studi profondi sulla letteratura inglese, ed ha intrapresa una traduzione di tutto Shakespeare, poiché, cosa da non credere! non

esiste ancora una traduzione italiana di questo grand’uomo»

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«Vorrebbe madama che gl’italiani traducessero delle poesie straniere: ma, santo cielo! Come può ella pretendere che gl’italiani i quali hanno le orecchie

imbalsamate dal divino cantare d’un Tasso, d’un Petrarca, d’un Ariosto, d’un Dante, d’un Metastasio e di mille altri cigni sublimi, abbiano a trovar piacere in quelli! (…) Non vogliam dire che queste poesie straniere siano cattive; ma solamente che noi

non abbiamo nessun dovere né di conoscerle, né di tradurle»

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Storia delle traduzioni nell’Ottocento

1819-1822 Edizione in quattordici volumi delle tragedie di Shakespeare ad opera di Michele Leoni

Tra il 1829 e il 1831 altre dodici opere vengono tradotte ad opera di sei diversi traduttori

1839 Prima edizione delle Opere complete ad opera di Carlo Rusconi

1875-1882 Edizione in dodici volumi ad opera di Giulio Carcano

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Traduttori shakespeariani nel Novecento

Cesare Vico Lodovici (1885-1968)

Giuseppe Ungaretti (1888-1970) ed Eugenio Montale (1896-1981)

Gabriele Baldini (1919-1969)

Agostino Lombardo (1927-2005)

Cesare Garboli (1928-2004)

Alessandro Serpieri (1935-2017)

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Intorno al 1830 Ippolito Pindemonte, Vincenzo Monti, Vittorio Alfieri iniziano a interessarsi concretamente al teatro del ‘Grande barbaro del Nord’, così come

Foscolo e Manzoni.

In particolare Manzoni scrisse che «chiunque avesse voluto scrivere poesia avrebbe dovuto leggere e studiare Shakespeare il quale conosce tutti i sentimenti umani».

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«Il teatro è un’arte fatta da uomini per altri uomini e quindi quando parlo di recitabilità bisogna tener conto da un lato che questi attori sono uomini, che hanno degli strumenti di straordinaria efficacia, ma che sono limitati. (…) Devo usare una

lingua che sia recitabile e che nello stesso tempo possa essere compresa e recepita dal pubblico. Il teatro nasce da questo rapporto tra l’autore, o le parole dell’autore,

l’attore che le mette in scena, che le pronuncia, e il pubblico che le recepisce: questo è il teatro»

Agostino Lombardo

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Polonius: «Take this from this, if this be otherwise» Hamlet II, 2, 157

«Spiccatemi la testa da questo se sta in altro modo» (Serpieri)Nota: il gioco sui tre deittici this fa parte del suo gusto retorico

e rappresenta una gestualità scenica.

«Spiccate questa da questo / se le cose non stanno come dico io» (Montale)Nota: la battuta doveva essere accompagnata da un gesto: probabilmente

Polonio indicava prima la testa e poi il collo.

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Polonius: «Take this from this, if this be otherwise» Hamlet II, 2, 157

«Staccatemi la testa dal collo, se sta altrimenti» (Lombardo)

Nota: traduco così anche se letteralmente dovrebbe essere ‘prendete questa da questo’, con allusione forse al collare che è segno del suo ufficio.

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Polonius: «Take this from this, if this be otherwise» Hamlet II, 2, 157

«Mi gioco il collo se non è così» (Garboli)

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Queen: «Sweets to the sweet – farewell / I hope thou shouldst have been myHamlet’s wife. / I thought thy bride bed to have decked, sweet maid / And not

have strewed thy grave»

Hamlet V, 1, 246-249

«Dolcezze a chi è dolce! Addio! / Speravo che saresti stata la moglie / del mio Amleto. Pensavo che avrei, / dolce fanciulla, ricoperto di fiori / il tuo letto nuziale,

non la tua tomba» (Lombardo)

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Queen: «Sweets to the sweet – farewell / I hope thou shouldst have been my Hamlet’swife. / I thought thy bride bed to have decked, sweet maid / And not have strewed thy

grave»

Hamlet V, 1, 246-249

«Fiori su questo fiore. Addio. / Ti avevo immaginata la moglie del mio Amleto. / Li vedevo, i miei fiori, sul tuo letto di sposa, / cara, non su una fossa» (D’Agostino)

«Fiori al fiore. Addio. / Ti avrei voluto sposa del mio Amleto. / Tante volte ho pensato di adornare / il tuo letto di nozze con dei fiori, / con ghirlande e corone, non di spargerli / sulla

tua fossa» (Garboli)

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Queen: «Sweets to the sweet – farewell / I hope thou shouldst have been myHamlet’s wife. / I thought thy bride bed to have decked, sweet maid / And not

have strewed thy grave»

Hamlet V, 1, 246-249

«Dolci fiori alla dolce Ofelia: addio. / Io speravo che tu diventassi la sposa / del mio Amleto; pensavo che con questi / avrei adornato il tuo letto di sposa, / e non già

che avrei dovuto spargerli sulla tua tomba» (Montale)