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INDICE

Introduzione Pag. 3

Il G.P.F. e il Museo all’aperto Pag. 4

L’affioramento fossilifero dello Stirone Pag. 5

Generalità Pag. 5

Piano Tortoniano Pag. 8

Piano Messiniano Pag. 10

Piano Zancleano Pag. 11

Piano Piacenziano Pag. 12

Piano Gelasiano Pag. 13

Piano Calabriano Pag. 15

Le prime iniziative per lo Stirone Pag. 18

Salvaguardia Pag. 18

Museo all’aperto e Parco Naturale Pag. 19

Il Progetto G.P.F. del Museo all’aperto Pag. 19

Il Museo all’aperto di San Nicomede Pag. 20

Accesso Pag. 20

Le Cascatelle Pag. 21

Il Museo dei Fossili di Fidenza Pag. 23

Bibliografia Pag. 25

Indirizzi utili Pag. 27

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Introduzione

Questa edizione, riveduta ed aggiornata, esce col contributo

dell’Amministrazione Comunale di Fidenza, sensibile alla divulgazione, specialmente nelle scuole, dell’importanza scientifica del sito paleontologico del Torrente Stirone, per una più completa conoscenza del territorio.

Qui di seguito le principali novità di questa edizione. Si tiene conto del nuovo Limite Pliocene/Pleistocene che è stato fissato, nel

2009, all’inizio del Piano Gelasiano, cioè a 2,6 Ma (Milioni di anni fa). In precedenza tale Limite era fissato al termine del Piano Gelasiano, cioè a 1,8 Ma (vedere Fig. 3, aggiornata, a pag. 8).

E’ esposto nel Museo dei Fossili un frutto fossile (Eucommia europaea) unico in Italia per la sua completa conservazione (vedere Fig. 18).

E’ disponibile dal 2009, nel Museo dei Fossili, un’ampia Aula Didattica in cui le scolaresche possono toccare con mano i fossili imparando più facilmente l’ABC della Paleontologia.

L’affioramento del Torrente Stirone è più che mai oggetto di studio da parte di ricercatori di vari Paesi europei e Statunitensi, nonché argomento di ampia discussione in congressi e simposi internazionali.

Esso offre infatti, con la sua sezione ininterrotta, una fonte inesauribile di notizie per studi sempre più specializzati ed approfonditi relativi a macro e micro paleontologia, stratigrafia, palinologia, paleoecologia, paleobotanica (e in particolare semi, frutti, bacche), paleomagnetismo e altri.

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Il Gruppo Paleontofili Fidentini e il Museo all’aperto Il Gruppo Paleontofili Fidentini (G.P.F.) è un’Associazione culturale costituita

nel 1973 da appassionati di paleontologia, per lo studio, la valorizzazione e la protezione ambientale degli affioramenti fossiliferi locali.

Il debutto del Gruppo avvenne con la Prima mostra fidentina di fossili, allestita nell’ingresso del Teatro Magnani nell’ottobre 1974, con notevole partecipazione di visitatori e in particolare di scolaresche.

Da quel momento il Gruppo iniziò una intensa attività di valorizzazione dell’affioramento fossilifero di San Nicomede sul Torrente Stirone.

Venne utilizzata così ogni occasione (scuole, conferenze e manifestazioni varie e con grande risonanza a mezzo stampa) coinvolgendo anche gli Enti locali, la Regione e perfino il Ministero, per far conoscere a tutti questo importante sito paleontologico, già da alcuni anni frequentato e studiato da importanti Istituti universitari, anche stranieri, coordinati dall’Istituto di geologia dell’Università di Parma, che lo aveva studiato per primo già all’inizio degli anni ’60.

Nel 1975, “anno dello Stirone”, il G.P.F. ebbe l’idea e pose le prime basi per la realizzazione di un “Museo all’aperto” nella zona di San Nicomede.

Da quell’anno, inizialmente con la collaborazione di altre Associazioni locali (in primis Italia Nostra e Famiglia Fidentina), il G.P.F. fu sempre organo motore e trainante per innumerevoli iniziative di salvaguardia e valorizzazione del sito paleontologico, promuovendo anche la costituzione di un Parco Fluviale, più ampio, che raccogliesse nel suo interno il preziosissimo nucleo fossilifero del Museo all’aperto.

All’inizio degli anni ’80 le amministrazioni locali (Fidenza e Salsomaggiore), aderendo al movimento di opinione pubblica formatosi nel frattempo, passarono concretamente alla realizzazione ponendo le prime strutture fisse a San Nicomede, per facilitare le visite delle scolaresche che già affluivano numerose.

In quegli anni i Paleontofili di Fidenza divennero in breve tempo molto conosciuti, a livello regionale, e in ambito amatoriale anche nazionale, per l’instancabile e fattiva opera svolta per lo Stirone.

Nel 1984 fu costituito uno specifico Consorzio per il Parco e quello che dieci anni prima era solo un sogno nella mente di pochi, andava ad assumere la veste dell’ufficialità diventando una realtà operante, supportata da normative regionali e con la disponibilità di risorse pubbliche e di proprio personale per una vera e propria attività di Parco protetto.

Nel frattempo, nel 1980, il G.P.F. allestì nel settecentesco Palazzo Orsoline, in convenzione col Comune di Fidenza, un Museo di fossili in due ampie sale a supporto e completamento delle visite a San Nicomede.

Da allora almeno ventimila studenti, locali e anche di provincie e regioni limitrofe nonché stranieri, hanno potuto visitare il Museo accompagnati inizialmente dai soci del G.P.F. e in seguito da guide naturalistiche specializzate.

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Il Museo dei fossili è dunque una realtà culturale di cui Fidenza può beneficiare grazie al G.P.F.

L’affioramento fossilifero dello Stirone Generalità

La zona di Fidenza e del suo circondario, in epoche molto lontane nel tempo,

non era così come la vediamo ora, con le sue campagne e le sue colline: in epoche remote in queste zone c’era il mare, rimasto fino a poco meno di un milione di anni fa.

La prova di queste affermazioni ce la danno i fossili, testimonianze di esseri vissuti milioni di anni fa, che ci hanno lasciato, con la parte dura del loro corpo, importanti tracce della vita di allora.

Come noto, quando un mollusco muore, la sua parte tenera scompare rapidamente, mentre la conchiglia resta inalterata, o quasi, per lungo tempo, anche col passare di milioni di anni, diventando in tal modo un fossile.

Nella zona dello Stirone sono stati trovati, e si trovano ancora oggi in gran quantità, fossili di molluschi marini e il fatto denota chiaramente l’antica presenza del mare in queste zone.

Sui fondali di questo mare “padano” si deponevano, assieme a sabbia, limo e altri elementi di disgregazione delle terre emerse, portati al mare dai fiumi di allora, anche i residui organogeni delle associazioni faunistiche marine.

E via via che il tempo passava e si modificavano climi, temperatura dell’ambiente e caratteristiche dell’atmosfera, con conseguenti variazioni anche delle associazioni faunistiche presenti, anche i sedimenti che si formavano sul fondo marino assumevano caratteristiche tipiche e proprie dei periodi in cui si erano formati. Ai grandi cambiamenti verificatisi nell’ambito delle ere geologiche gli studiosi fanno corrispondere altrettanti periodi (Fig. 1).

Nell’ambito dei periodi, poi, si sono formati in momenti successivi anche terreni di costituzione diversa, sia come caratteristiche chimico fisiche, sia come contenuto fossilifero, a seconda delle situazioni geografiche o climatiche del momento e del luogo in cui si sono formati.

Tali terreni, chiamati Piani geologici, vengono poi identificati con denominazioni in genere derivate dalle località in cui sono stati istituiti i cosiddetti Stratotipi.

Uno stratotipo è un “modello” di terreno, individuato dagli stratigrafi come il più rappresentativo a livello mondiale, di un certo piano geologico, con caratteristiche specifiche particolari.

Può contenere ad esempio fossili caratteristici, oppure associazioni faunistiche o composizione fisico chimica particolari, ecc.

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Lo stratotipo rappresenta dunque lo “standard” di quel terreno, ne è il campione o modello geologico, nell’ambito internazionale.

Fig. 1 – La Scala del Tempo

Nelle nostre zone esiste uno stratotipo, che porta alla ribalta mondiale della

geologia un nome a noi familiare, il Piacenziano, situato a Castell’Arquato - Lugagnano (Piacenza).

E così in zona abbiamo lo Stratotipo Piacenziano, cioè il piano Piacenziano per eccellenza, mentre terreni geologici con identiche caratteristiche, sparsi nel mondo, sono pure essi chiamati Piani Piacenziani e fanno riferimento come modello proprio ai terreni Piacenziani della nostra zona.

Gli stratotipi sono dunque veri e propri gioielli geologici: patrimoni di valore inestimabile e da tutelare, come è stato fatto per le zone del Piacenziano dove è stata istituita con legge regionale una specifica riserva naturale geologica.

Recentemente la Riserva Piacenziana è stata accorpata con specifica legge al Parco dello Stirone a formare il Parco Regionale dello Stirone e del Piacenziano.

Nella Fig. 3 (a pag. 8) è indicata la serie dei piani presenti nella sezione geologica dello Stirone.

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Si nota che la zona è di formazione relativamente recente, dell’ordine di pochi milioni di anni di età, a confronto con le centinaia di milioni di anni di altre regioni (es. Dolomiti, più di 200 Ma – Periodo Triassico – Fig. 1).

Nello schema di Fig. 2 è indicata una caratteristica delle stratificazioni

sedimentarie dell’affioramento dello Stirone.

Fig. 2 – Schema dell’inclinazione degli strati.

Le inclinazioni sono esagerate per una migliore comprensione del fenomeno.

In A si notano sedimenti formatisi sul fondale marino con disposizione circa

orizzontale, così come si formavano nelle nostre zone sul fondo del Mare Padano. Successivamente, con l’innalzarsi della dorsale appenninica, si è verificata una

inclinazione di quegli strati, cosicchè tutto il “pacco” si trova attualmente inclinato di 7-8 gradi mediamente, con pendenze maggiori nelle zone più vicine all’Appennino e via via sempre minori di mano in mano che ci si avvicina alla pianura.

Gli strati nelle zone messe allo scoperto dall’erosione dello Stirone sono dunque nella disposizione del tipo B di Fig. 2, per cui è sufficiente camminare lungo il greto del torrente per poter osservare strati sempre diversi, dai più antichi a monte ai più recenti a valle.

E’ questa un’ulteriore caratteristica che facilita lo studio dell’affioramento dello Stirone: poter esaminare le stratificazioni successivamente formatesi, semplicemente camminando lungo il torrente, come passando in rassegna, in un museo, vetrine sistemate in ordine cronologico: a monte i reperti più antichi, a valle quelli più recenti.

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Fig. 3 – La Serie dello Stirone

La stratificazione dello Stirone è composta di numerosissimi livelli, a volte con

spessori molto ridotti, anche di pochi millimetri. Sono questi finissimi strati altrettante pagine del libro della Storia Geologica

della Terra, che danno allo studioso le informazioni necessarie per definire l’ambiente e il tipo di vita di quelle zone in tempi remoti.

L’insieme di queste “pagine” successive, con ben determinate caratteristiche, forma un “pacco di strati”, che può prendere il nome di Piano Geologico.

Piano Tortoniano Supponiamo ora di fare una passeggiata lungo l’alveo dello Stirone, partendo da

monte, dove, come detto, si trova la parte più antica dell’affioramento. In zona La Bocca, poco a monte di Scipione Ponte, si trovano i fossili più

antichi, in un terreno in parte sabbioso, in parte argilloso, a volte anche cementato. I fossili sono abbastanza radi, appartenenti al Piano Tortoniano, formatosi nel

periodo Miocene superiore (da 11 a 7 Ma). L’associazione della fauna fossile è stata studiata a fondo dall’Istituto di

Geologia dell’Università di Parma, che ne ha definito appunto l’appartenenza al piano Tortoniano, e lo ha caratterizzato come “alloctono”, cioè formatosi per sedimentazione in una zona diversa da quella in cui oggi lo ritroviamo.

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Dopo essersi formato sui fondali della Mare Tetide, in zona corrispondente all’attuale Tirreno, questa placca Tortoniana è successivamente traslata fino alle nostre zone, in seguito all’orogenesi appenninica.

Il Piano Tortoniano si estende per quasi un chilometro lungo il torrente, fino al ponte di Scipione Ponte, dove un banco conglomeratico, costituito da residui organogeni, individua il limite superiore del Tortoniano.

Questo banco, indurito dal fenomeno di “diagenesi” (che cementa nel tempo i depositi di sedimentazione), poggia sopra le ultime argille tortoniane, ed essendo esso di tipo “autoctono”, cioè formatosi esattamente là dove giace ora, è chiaro che le sottostanti argille tortoniane si sono spostate, dal luogo di origine fino alla zona attuale, prima che i nuovi sedimenti del banco si depositassero sul Tortoniano.

Tra i fossili caratteristici del Piano Tortoniano possiamo citare:

• Terebratula sinuosa (Brocchi) (Fig. 4), con esempio di classificazione. • Clavilithes klipsteini (Michelotti) (Fig. 5) • Pecten ugolinii (Deperet e Roman) (Fig. 5)

Le tre specie sono oggi estinte. Ricordiamo qui per inciso che nelle classificazioni delle specie fossili, così come

anche delle specie viventi, si usa far seguire, al nome del Genere e della Specie, entrambi scritti in latino, il nome dell’Autore, cioè dello studioso che per primo ha descritto e classificato la specie in esame.

Tale nome è poi racchiuso in parentesi se la denominazione originaria è stata in seguito modificata.

Nelle argille sabbiose degli strati del Piano Tortoniano è stato estratto alcuni anni or sono uno scheletro di balenottera, importante reperto oggi esposto nel Museo dei Fossili di Salsomaggiore.

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Fig. 4 – Terebratula sinuosa (Brocchi). Piano Tortoniano.

Con esempio di classificazione.

Fig. 5 – A sinistra, Clavilithes klipsteini (Michelotti);

a destra, Pecten ugolinii (Deperet & Roman). Piano Tortoniano.

Piano Messiniano Col banco conglomeratico inizia il Piano Messiniano e siamo a circa 7 Ma. Questo Piano, che ha una potenza (o spessore) di circa 60 metri e che si estende

orizzontalmente per circa 100 metri a valle del ponte, comprende sedimenti di acqua dolce - salmastra (come la foce di un antico fiume in mare), con rari fossili, e termina con un’antica linea di costa.

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Piano Zancleano A valle del Piano Messiniano, cioè successivamente in ordine di tempo, iniziano

i sedimenti del Piano Zancleano, argillosi, formati da un mare che col passare del tempo diventava sempre più profondo.

Il fatto denota un fenomeno di trasgressione marina verificatosi all’inizio del Pliocene (5,3 Ma): inizialmente in queste zone esisteva una costa, poi le stesse zone sono state invase dal mare che è diventato successivamente sempre più profondo.

Ecco dunque spiegato il fenomeno per cui in una stessa zona, abbastanza delimitata, si possono trovare, negli strati inferiori, depositi di costa (come residui organogeni derivati da materiale riportato principalmente da risacche), e, in quelli superiori, depositi di mare sempre più profondo.

Fig. 6 – A sinistra, Murex spinicosta Bronn;

a destra, Ficus ficoides (Brocchi). Piano Zancleano.

Fig. 7 – Gigantopecten latissimus. Piano Zancleano.

Ma come si può definire la profondità del mare in base ai fossili ritrovati? Poichè alcune specie marine vivono solo entro certi limiti di profondità, quando

i relativi fossili vengono ritrovati in qualche sedimento, si può dedurre approssimativamente la profondità del mare in cui quel sedimento si è formato.

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Queste informazioni vengono considerate valide in base all’ipotesi attualistica, per la quale i fenomeni naturali del passato si sarebbero svolti in modo analogo a quelli attuali, per cui è possibile, studiando i fossili contenuti in un certo sedimento e integrandone i risultati con ricerche di sedimentologia, dedurre le caratteristiche dell’ambiente originario in cui fossile e sedimento si sono depositati.

Ecco spiegato come il geologo riesce a definire a grandi linee i fattori chimico - fisici dell’antico ambiente, fra cui naturalmente anche la profondità del mare.

I depositi fangosi, che si estendono a valle di Scipione Ponte per un tratto di circa un chilometro, e si presentano come argille azzurre di mare profondo, sono dello stesso tipo di quelli di Tabiano Terme, cioè di Piano Zancleano: si dice allora che, sullo Stirone, in questo punto, siamo in presenza di un piano Zancleano.

Il Piano Zancleano di Tabiano Terme era già stato studiato dall’Università di Parma: esso presenta specie indicatrici di una profondità variabile fra i 150 e i 300 metri, un mare quindi abbastanza profondo, con le stesse caratteristiche presenti nello Stirone a valle di Scipione Ponte.

In questo piano dello Stirone sono presenti rari macrofossili (che sono ben più frequenti a Tabiano Terme), fra cui il Murex spinicosta Bronn e l’importante fossile guida Ficus ficoides (Brocchi) (Fig. 6).

Ricordiamo che un fossile è chiamato “guida” quando la sua presenza è indicatrice di determinati livelli (cioè in pratica fa da “guida” per lo studioso) nel senso che solo in tali livelli compare la specie in esame. Si tratta di individui originatisi per evoluzione in un certo periodo, ed estinti poi in quello successivo.

Fra i macrofossili del Piano Zancleano si ritrova, raramente, il Gigantopecten latissimus, nei depositi iniziali di mare ancora poco profondo (Fig. 7).

Piano Piacenziano Proseguendo il cammino verso valle, sempre lungo l’alveo del Torrente,

troviamo gli strati del Piano Piacenziano. Le differenze dei sedimenti, col loro contenuto fossile, rispetto al precedente Piano Zancleano, sono notevoli:

• aumentano i lamellibranchi (bivalvi), in prevalenza erbivori, rispetto ai gasteropodi (a spirale), in prevalenza carnivori, il che denota la presenza di bassi fondali con praterie di alghe;

• le conchiglie sono a struttura più robusta e originariamente a colori più vivaci (temperatura più elevata);

• il numero di specie presenti diventa molto elevato (temperatura più elevata e acque tranquille).

Era dunque un antico mare tranquillo che col passare del tempo diventava sempre meno profondo, con un clima più temperato: siamo dunque già in presenza, in quell’epoca lontana, di un progressivo ritiro del Mare Padano.

Fra i fossili del Piano Piacenziano ricordiamo: Xenophora infundibulum - (Fig. 8).

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Fig. 8 – Xenophora infundibulum. Piano Piacenziano.

Piano Gelasiano

A metà strada fra il ponte di Scipione Ponte e le Cascatelle di San Nicomede,

cioè circa alla confluenza del Rio Marabotto, da sinistra, troviamo il nuovo Limite Pliocene/Pleistocene (nella nuova Scala del Tempo fissata nel 2009), quello che veniva chiamato il passaggio dall’Era Terziaria all’Era Quaternaria.

Da qui fino alle Cascatelle di San Nicomede si estende il Piano Gelasiano, età in cui a livello planetario già si riscontravano i primi segnali di degradazione del clima, con la Calotta Glaciale Artica completamente formata.

Si giunge così alle Cascatelle di San Nicomede (Fig. 9), la zona più suggestiva di tutto l’affioramento.

Fig. 9 – Cascatelle di San Nicomede. 1985. Piano Gelasiano.

Il Piano Gelasiano termina con le Cascatelle di San Nicomede. La denominazione “Cascatelle” deriva dal fatto che nel corso degli anni ’70 gli

strati calcarenitici provocavano suggestivi salti d’acqua che col tempo sono

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scomparsi (vedere meglio le successive modifiche verificatesi negli anni ’70 e ’80 al capitolo Il Museo all’aperto di San Nicomede).

Fra i fossili del Piano Gelasiano ricordiamo: Pecten jacobaeus (Linné) (Fig. 10 Chlamys opercularis (Linné) (Fig. 11) Glycymeris inflatus (Brocchi) (Fig. 11) Tane indurite di callianasse, crostacei simili a gamberetti (sono icnofossili, cioè tracce lasciate da animali) (Fig 12)

Fig. 10 – Pecten jacobaeus (Linné). A sinistra, valva sinistra, piatta;

a destra, valva destra, concava. Piano Gelasiano.

Fig. 11 - A sinistra, Chlamys opercularis (Linné);

a destra, Glycymeris inflatus (Brocchi). Piano Gelasiano.

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Fig. 12 – Tane indurite di callianasse. Piano Gelasiano.

Piano Calabriano A valle degli strati cementati delle Cascatelle, e cioè sopra di essi in senso

geologico, sono presenti in abbondanza esemplari di Arctica islandica (Linné) (Fig. 13).

Si tratta di un importante fossile paleo-climatico, indicativo di un clima fresco. Il mollusco vive attualmente nell’Oceano Atlantico settentrionale, giungendo

alle basse latitudini fino al Golfo di Biscaglia: in tali zone la temperatura è sensibilmente inferiore a quella del Mediterraneo.

Fig. 13 – Arctica islandica (Linné). Piano Calabriano.

Alla fine del Gelasiano, essendosi verificata un’ulteriore degradazione climatica

che ha dato origine alla prima glaciazione del Pleistocene, l’Arctica islandica si era spostata, in forma larvale, fino al “Golfo Padano”, che lambiva appunto in quel periodo (1,8 Ma), le nostre zone.

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I fossili di Arctica islandica, nello Stirone, sono presenti in eccezionale abbondanza circa 100 metri a valle delle Cascatelle in un’ansa del torrente che da anni è denominata appunto “curva dell’Arctica”.

Iniziano qui gli strati del Piano Calabriano, caratterizzati da sedimenti di un mare più freddo.

La zona si presta molto bene a studi di datazione assoluta delle stratificazioni col paleomagnetismo: tali studi sono stati eseguiti in passato da ricercatori statunitensi, cecoslovacchi, giapponesi e tedeschi, e recentemente ancora da statunitensi.

La datazione col paleomagnetismo consiste nell’esame dell’orientamento magnetico delle particelle che compongono un sedimento.

Il polo magnetico terrestre non è sempre stato, in passato, nell’orientamento in cui si trova attualmente, e cioè nel polo Nord orientato con la Stella Polare.

Periodicamente infatti, con frequenze e durate variabili, il polo magnetico ha invertito il suo orientamento, durante le cosiddette fasi inverse, ritornando poi al Polo Nord nelle successive fasi positive, in un susseguirsi di innumerevoli cicli di inversioni magnetiche.

Le particelle di limo, calcare e altro, che lentamente si sedimentavano sui fondali marini, comportandosi come minuscoli aghi di una bussola data la presenza di particelle metalliche, si orientavano dunque ora in un senso ora nell’altro a seconda della ubicazione, in quel momento, del Polo Nord Magnetico.

La datazione viene poi fatta in laboratorio mediante l’individuazione, con strumenti molto sensibili, del verso magnetico dei sedimenti di un campione e con l’ausilio di tabelle cronologiche di riferimento generale, preparate con altri sistemi di datazione, in cui sono indicate anche le fasi di polarità positiva e negativa.

Questo metodo di datazione necessita di molte campionature, prelevate in punti precisi e ben individuati, in modo da poter riscontrare poi nell’affioramento una o più alternanze magnetiche.

Gli studi dedicati all’affioramento furono molteplici ed estremamente interessanti, come i lavori di paleobotanica dello studioso tedesco Dr. Hans-Joachim Gregor, che ha pubblicato diverse opere completamente dedicate allo Stirone, a seguito delle sue ricerche quarantennali sullo Stirone.

Riprendendo l’esame degli strati e scendendo dalle Cascatelle verso valle, la situazione passa prima a depositi di mare un poco più profondo e poi di acqua dolce, nella zona Millepioppi.

Sono presenti infatti in questa zona fossili caratteristici di lago. Successivamente si presentano sedimenti di laguna, di spiaggia, poi di nuovo

laguna salmastra e infine ancora spiaggia, costituita da sabbie giallo-ocra. Si giunge così alla zona di Laurano, dove si presentano in affioramento gli

ultimi depositi marini. Essi sono leggermente inclinati (1-2 gradi verso N-E) e quegli strati di fondo

marino sono presenti ancora a Fidenza ad una profondità di un centinaio di metri. Mentre presso le Cascatelle il numero di specie fossili è elevato, fra Millepioppi

e Laurano vi sono zone con poche specie presenti, ma con grande abbondanza di esemplari.

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Si ritrovano in grande abbondanza ad esempio: Glycymeris insubricus (Brocchi) – (Fig. 14) Venerupis senescens (Doderlein) – (Fig. 14) Cardium aedule (Linné) - (Fig. 14). In Fig. 15 altri fossili del Piano Calabriano. Interi tronchi d’albero e abbondanza di piccoli residui vegetali, che evidenziano

ancora oggi la situazione della spiaggia di quasi un milione di anni fa, chiudono la serie geologica marina, argillosa, di colore grigio.

Negli strati del Piano Calabriano, che si estendono dunque dalle Cascatelle fino a Laurano, per un tratto di circa 1,5 chilometri, sono molto numerose le specie fossili rinvenute: quasi un migliaio, contro le 400 del Piacenziano e Gelasiano, il centinaio dello Zancleano e le circa 70 del Tortoniano.

Naturalmente fra tutte le specie fossili presenti, numerose sono quelle oggi estinte: la percentuale delle estinte è variabile, come è logico, in funzione della distanza da noi nel tempo.

Si passa così dall’80 % di specie estinte del Piano Tortoniano, il più antico, al 10-15 % circa per gli strati del Piano Calabriano, il più recente.

Fig. 14 – In alto, Glycymeris insubricus (Brocchi);

al centro, Venerupis senescens (Doderlein); in basso, Cardium aedule (Linné).

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Fig. 15 – A sinistra, Aporrhais pespelecani (Linné);

a destra in alto, Cerithium vulgatum (Brug); a destra in basso, Hinia reticulata (Jeffr).

Piano Calabriano.

A Laurano, appena a valle delle argille grigie dell’ultimo deposito marino, si trovano sedimenti di laminazione litorale (sabbie giallo-ocra, con rari fossili marini).

Successiva al deposito giallo-ocra inizia una serie di stratificazioni di origine lacustre, argillose di colore verde, colore tipico del deposito di acqua dolce, che continuano praticamente fino a Fidenza.

Interessante a Laurano il succedersi di tre tipi nettamente diversi di sedimentazione, e anche tanto diversi nell’aspetto, nel breve tratto di un centinaio di metri, in questa sequenza da monte a valle:

� deposito marino, con argilla grigia; � deposito di laminazione litorale, con sabbia giallo-ocra; � deposito lacustre, con argilla verde.

Le prime iniziative per lo Stirone

Salvaguardia

Il 1975 è stato “l’anno dello Stirone”. Se ne è parlato molto, sulla stampa e nelle

emittenti locali, in conferenze e altre manifestazioni, tutte improntate a far meglio conoscere, a tutti i livelli, l’importanza scientifica dell’affioramento di San Nicomede e la necessità di tutela del territorio.

La zona geologica più importante, cioè fra le Cascatelle e Laurano, era frequentata abitualmente da comitive di raccoglitori di provenienza anche extra provincia, che saccheggiavano letteralmente l’affioramento.

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Sui conglomerati calcarenitici delle Cascatelle era un continuo scalpellio per estrarre i meravigliosi reperti di Pecten jabobaeus, mentre dagli strati argillosi si asportavano intere badilate di reperti, e il tutto per semplice collezione personale o per farne commercio.

La notorietà dell’affioramento si andava rapidamente estendendo anche fra i raccoglitori senza scrupoli, con conseguente rapido depauperamento degli strati fossiliferi.

Per porre un rimedio a questa situazione, il G.P.F. è intervenuto drasticamente nel marzo 1975.

Utilizzando la legge n. 1089 del 1° giugno 1939 denominata “Tutela delle cose di interesse artistico e storico”, sono stati sistemati appositi cartelli di divieto di raccolta di fossili.

Va infatti ricordato che la legge, spesso richiamata per l’archeologia ed il patrimonio artistico in genere, si occupa anche delle cose di interesse paleontologico.

A questo punto è doveroso sottolineare un aspetto qualitativo di rilievo: proprio i Paleontofili di Fidenza, a quel tempo unico gruppo del genere esistente in provincia, e cioè se vogliamo i più interessati alla raccolta dei fossili, pur di salvaguardare il patrimonio geologico della zona venivano ad imporre, per primi a loro stessi, l’impegno di non raccogliere reperti in quelle stratificazioni.

Coi cartelli si raggiunse in breve tempo lo scopo di ridurre sensibilmente le razzie.

Museo all’aperto e Parco naturale

Ancora nel 1975 era scattato un progetto veramente ambizioso: la realizzazione

di un Parco Naturale. Lo studio del progetto era stato avviato dall’Amministrazione Provinciale di Parma, per interessamento dell’Assessore ai lavori pubblici Arturo Cantini, con la collaborazione del G.P.F. e di altre Associazioni di Fidenza.

Da parte sua il G.P.F. aveva presentato alla Provincia un progetto di massima per la realizzazione del “Museo all’aperto” nell’ambito del Parco Naturale dello Stirone: una vecchia idea, quella del Museo all’aperto, che il G.P.F. aveva proposto fin dai primi anni ’70.

Le semplici linee guida per la realizzazione del Museo erano: • ripulire e tutelare la zona • valorizzarla. Per la tutela abbiamo già detto. Per la valorizzazione l’obiettivo era di istituire per tutta la zona del Piano

Calabriano, dalle Cascatelle fino a Laurano, un Museo all’aperto, prima iniziativa del genere in Italia, a vantaggio senz’altro di una migliore conoscenza del territorio.

Il progetto G.P.F. del Museo all’aperto Cosa intendeva il G.P.F. per Museo all’aperto?

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Poche cose, ma sufficienti per valorizzare un territorio così prezioso. L’affioramento era già, come dire, un museo naturale, con le sponde argillose

del torrente così nitidamente stratificate, così abbondanti di fossili, tali da illustrare la storia geologica forse meglio delle fredde vetrine di un chiuso museo tradizionale.

Così com’era, però, l’affioramento “parlava” solo ai cultori della Paleontologia: il progetto prevedeva la costruzione di un minimo di strutture tali da rendere la zona motivo di richiamo, di interesse e di valorizzazione anche per il visitatore non troppo addentro nella materia.

� Accessi per auto, con parcheggi lontani dall’alveo; � Un vialetto per soli pedoni lungo tutto l’alveo su entrambe le sponde, con

panchine e sentieri scendenti sul greto in corrispondenza delle stratificazioni più interessanti, per poter ammirare da vicino il patrimonio geologico;

� Zone attrezzate in modo ecologico; � Due passerelle sospese, per rendere possibile il periplo, a piedi, di tutto il

museo; � Bacheche idonee per l’esterno, disposte nelle zone di primaria importanza,

contenenti esemplari dei fossili più caratteristici presenti in quelle stesse zone, con brevi e semplici descrizioni e con pannelli illustrativi delle condizioni ambientali e del paesaggio antico;

� Pannelli esplicativi, schematici, negli accessi; � Uno chalet “centro parco” con servizi vari, indispensabile supporto di appoggio

per visitatori, turisti e studiosi; � Vaste zone rimboschite, come naturale e distensiva cornice verde al patrimonio

paleontologico. Il Museo all’aperto non richiedeva poi tanto per essere realizzato: era questa una

logica conseguenza del desiderio del G.P.F. di modificare il meno possibile l’ambiente naturale, e nel contempo rendere la zona protetta, pulita e valorizzata, quale patrimonio naturale a disposizione della comunità, per l’accrescimento culturale della gente.

Il Museo all’aperto di San Nicomede

Una prima parte dei lavori è stata eseguita nel gennaio 1983. Successivamente altre opere hanno completato l’attrezzatura di un primo tratto,

nella zona delle Cascatelle. Accesso Dalla strada statale Fidenza-Salsomaggiore, dopo Ponteghiara, prendere a destra

per S. Nicomede. Dopo un paio di chilometri, poco prima della millenaria Pieve, servirsi del

parcheggio predisposto per il Parco. Da lì uno stradello conduce, costeggiando il locale cimitero, ad un’area

attrezzata a livello del piano di campagna e poi direttamente giù alle Cascatelle.

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Sentieri, panchine, scalinate rustiche, ringhiere in legno, ponticelli, sono piccole e semplici attrezzature che rendono più agevole la visita.

Una buona e oculata pulizia della vegetazione sulla sponda e la particolare sistemazione di due aree attrezzate favoriscono anche la sosta per un sano relax.

Diversi sentieri di entrata in alveo facilitano l’osservazione da vicino degli strati fossiliferi.

Le Cascatelle Il pacco di strati calcarenitici della zona delle Cascatelle ha subito negli anni ’70

e ’80 una netta trasformazione (Fig. 16 - 17 - 20). Fino all’inizio degli anni ’70 quel pacco era ancora integro, non presentava cioè

alcun taglio, e l’acqua vi scorreva sopra. A valle di questo pacco il corso stava già scavando, da una ventina d’anni, un

vistoso canyon al di sotto del piano di campagna, con una erosione retrocedente verso monte, conseguenza di uno squilibrio idraulico provocato da massicce asportazioni di ghiaia, eseguite negli anni ’50 in località Laurano, destinata alla costruzione dell’Autostrada del Sole.

Fino a quel momento infatti il letto era ghiaioso e a livello del piano di campagna.

Con l’asportazione del manto protettivo di ghiaia, divenne rapidissima l’azione erosiva dell’acqua sugli strati argillosi teneri sottostanti.

Ad ogni piena il greto veniva tagliato con facilità e l’inalveamento procedeva a ritroso, lentamente, verso monte.

Questo processo raggiunse, all’inizio degli anni ’70, il pacco duro delle Cascatelle.

Per qualche tempo l’acqua continuò a scavalcare le dure stratificazioni ancora integre, provocando saltelli e rapide.

Poi, dopo qualche piena, essa riuscì a praticare piccoli tagli e fenditure nella parte terminale di valle del pacco di strati, dando origine alla prima cascatella.

Per oltre 10 anni l’erosione continuò inarrestabile, e ogni piena modificava ulteriormente la situazione.

Così il canale procedeva, a ritroso, e si allargava sempre più, spostando e modificando in continuazione anche le cascate d’acqua.

Fino a che nel 1983 tutto il pacco duro fu tagliato. Superata dunque tutta la parte dura, l’erosione riprese a sezionare nuovamente

gli strati teneri argillosi che si trovavano più a monte. Le Cascatelle ormai non esistevano più e il dislivello si era spostato più a monte,

dove un altro cordone duro aveva creato nuove rapide. Successivamente anche tali rapide scomparvero lasciando al loro posto un

canale. La zona in cui si poterono ammirare per una decina d’anni le famose cascatelle di San Nicomede mantiene tuttora la denominazione appunto di Cascatelle, pur non essendovi più, come detto, alcuna traccia di salti d’acqua.

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Un suggestivo percorso pedonale, che inizia dal vecchio ingresso del Museo (cioè un centinaio di metri a monte delle Cascatelle), conduce il visitatore fino alle

Cascatelle, salendo anche in quota sul livello del torrente, con doppia scalinata rustica in legno.

Alcuni punti panoramici permettono un ampio sguardo sull’alveo rettilineo sottostante, scavato nelle argille del Piano Gelasiano.

Zona Cascatelle – Cambiamenti degli ultimi decenni

Fig. 16 – Le Cascatelle. Anno 1975. Notare il dislivello fra monte e valle

Fig. 17 – Le Cascatelle. Anno 1990. Il dislivello non c'è più

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Una variante del sentiero scende in un vecchio canale per mulini, il Canale

Fogliani, da diversi decenni non più attivo, che viene percorso ora per una cinquantina di metri, raggiungendo infine le Cascatelle, dove è stata attrezzata un’area con panchine e acqua potabile.

Proseguendo verso valle per trecento metri, dove sorgeva un inceneritore, si possono ammirare sulla sponda sinistra, nei mesi estivi, colonie di gruccioni (uccelli dai colori vivaci) che nidificano sulle pareti sabbiose dei fiumi.

Il Museo è di libero accesso. Ovviamente il visitatore è tenuto al massimo rispetto dell’ambiente naturale, e

pertanto: • Non asporterà fossili e rispetterà scrupolosamente i regolamenti del Parco; • Non molesterà animali di alcun genere; • Non raccoglierà fiori o flora varia, né danneggerà piante; • Non deturperà l’ambiente con cartacce, plastica e rifiuti vari, bensì utilizzerà

gli appositi contenitori (o meglio ancora riporterà con sé i rifiuti); • Non arrecherà danni alle colture circostanti; • Si servirà correttamente delle attrezzature del Museo, senza danneggiarle in

alcun modo.

Il Museo dei Fossili di Fidenza La sede del G.P.F. era ubicata, dal 1977, nel settecentesco Palazzo Orsoline, su

Via Costa 6, a Fidenza, in ambienti messi a disposizione dall’Amministrazione Comunale.

Attiguo alla sede, il 9 ottobre 1980 è stato inaugurato il Museo dei Fossili di Fidenza, importante iniziativa stabile allestita dal G.P.F. per le scuole e la collettività.

Dal novembre 2002 il Nuovo Museo dei Fossili e la sede sono ubicati nell’ala Nord del Palazzo Orsoline, su Via Berenini 136.

Il Museo è dedicato principalmente ai fossili dello Stirone. Le vetrine sono disposte in tre sale e numerate secondo un percorso logico

consigliato. Accanto ad ogni vetrina una scheda descrive sinteticamente le caratteristiche dei reperti esposti.

Sala A - Stirone

� Vetrine A1 e A2 – Introduttive - Cosa è un fossile – Generalità, con reperti dal mondo. Notare alcuni trilobiti di oltre 500 milioni di anni fa.

� Vetrina A3 – Stirone – Piano Tortoniano, il più antico, con specie in gran parte estinte.

� Vetrina A4 – Stirone – Tutti i Piani, dal Tortoniano al Calabriano, disposti in ordine geografico e anche cronologico (inclinazione degli strati). Notare alcuni frammenti di Ficus ficoides nello Zancleano, esemplari ben conservati di Pecten jacobaeus nel Gelasiano, Arctica

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islandica, stelle marine, ofiure, pesci, rinoceronte (un dente e frammenti di cranio) nel Calabriano.

� Vetrina A5 – Stirone – Tronco fossile di circa 750.000 anni fa. � Vetrine A6 e A7 – Fossili di varie zone del circondario e del Veronese. � Vetrina A7.bis – Donazione Adelmo Sandon, con stelle marine ed

echinidi dallo Stirone.

Sala B - Paleobotanica � Vetrina B1 – Stirone – Una serie di bacche, semi e frutti recuperati e

identificati dal ricercatore tedesco dott. H. J. Gregor, che ha studiato lo Stirone per più di 40 anni. Vi è esposto un frutto di Eucommia europaea, unico reperto in Italia per la sua completa conservazione. (Fig. 18).

� Vetrina B2 – Germania – Fossili vegetali di vari periodi. � Vetrina B3 – Zone varie – Fossili vegetali dal mondo. � Vetrina B4 – Stirone e Lugagnano – Donazione Adelmo Sandon � Vetrina B5 – Stirone – Ginepro fossile. Prezioso reperto, lungo circa

un metro, di Juniperus (ginepro) costellato di balani e ostriche, recuperato e preparato per la conservazione dal dott. Gregor, esposto per la prima volta in ottobre 2003 – (Fig. 19).

� Plastico – Progetto del Museo all’aperto, elaborato dal G.P.F. nel 1976, e parzialmente realizzato in loco negli anni successivi.

Sala C - Minerali � Vetrina C1 – Minerali vari dal mondo. � Vetrine C2 e C3 – Piacenziano – Fossili vari da Castell’Arquato,

Lugagnano, Badagnano, ecc. � Vetrine C4 e C5 – Tutte le Ere - Fossili vari, dal mondo, delle quattro

ere geologiche. Notare una lastra di stelle marine accuratamente preparata dal ricercatore tedesco W. Ludwig.

Aula Didattica

Un’ampia Aula Didattica completa il percorso espositivo, con reperti a portata di mano delle scolaresche per poter apprendere più facilmente l’ABC della Paleontologia.

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Fig. 18 – Frutto di Eucommia europaea

Fig. 19 – Il ginepro fossile dello Stirone

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Fig. 20 – Le Cascatelle. Anno 1980.

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Indirizzi utili Il Museo dei Fossili di Fidenza

E’ gestito dal G.P.F. in convenzione col Comune di Fidenza

E’ ubicato in via Berenini 136 – Palazzo Orsoline – Fidenza

Recapito postale: via Costa 2 - 43036 Fidenza (PR)

Apertura al pubblico

Il 1° e il 3° venerdì di ogni mese dalle 21.00 alle 22.30 (premere il campanello), ad ingresso libero In Luglio e Agosto il Museo resta chiuso. Apertura a Scolaresche e Gruppi

Visite guidate su appuntamento, per tutto l’anno, anche per il Parco Regionale dello Stirone e del Piacenziano: prenotare al tel. 0524.576431 (anche fax) – 349.2473398

Info: tel. 0524.526326 – [email protected]

www.paleosito.it

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Altri indirizzi utili

Parco Regionale dello Stirone e del Piacenziano Sede operativa e Centro Recupero Animali Selvatici “Le Civette” – Loc. San Nicomede 29 - 43039 Salsomaggiore Terme (PR) - Tel. 0524.588683

Centro Visite e Museo Naturalistico Loc. Scipione Ponte 1 43039 Salsomaggiore Terme (PR) – Tel. 0524.588683 [email protected] Museo paleontologico “Il mare antico” Via Romagnosi 7 43039 Salsomaggiore Terme (PR) - Tel. 0524.580270 Museo Geologico “G. Cortesi” Via Sforza Caolzio (Ospedale “Santo Spirito”) – 29014 Castell’Arquato (PC) Tel. 0523.803822