Tesina- master

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Università degli Studi “La Sapienza” Facoltà di Giurisprudenza Istituto di Diritto Privato Master di II livello in Scienze Applicate del Lavoro e della Previdenza Sociale Anno 2006 Candidato: Alfonso Ferraioli Relatore: Prof. Giuseppe Santoro Passarelli "I limiti del potere di recesso del lavoratore : limiti legali e limiti convenzionali" 1

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Università degli Studi “La Sapienza”

Facoltà di Giurisprudenza

Istituto di Diritto Privato

Master di II livello in Scienze Applicate del Lavoro e della Previdenza Sociale

Anno 2006

Candidato:

Alfonso Ferraioli

Relatore:

Prof. Giuseppe Santoro Passarelli

"I limiti del potere di recesso del lavoratore : limiti legali e limiti convenzionali"

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1 INTRODUZIONE........................................................................................................................32 IL RECESSO DEL LAVORATORE...........................................................................................6

2.1 Nozione................................................................................................................................92.2 Recesso come negozio giuridico..........................................................................................92.3 Nullità e annullabilità del recesso del lavoratore...............................................................102.4 Forma del recesso...............................................................................................................12

3 IL PREAVVISO.........................................................................................................................133.1 Nozione..............................................................................................................................133.2 Efficacia reale o obbligatoria del preavviso.......................................................................143.3 Sospensione del decorso.....................................................................................................153.4 Norme derogatorie..............................................................................................................17

4 LIMITI CONVENZIONALI......................................................................................................194.1 Negoziabilità del diritto di recesso.....................................................................................194.2 Il prolungamento convenzionale del preavviso..................................................................244.3 La clausola di stabilità........................................................................................................284.4 Ipotesi bilaterale.................................................................................................................314.5 Ipotesi unilaterale...............................................................................................................324.6 Forma..................................................................................................................................344.7 Durata.................................................................................................................................344.8 Sanzioni..............................................................................................................................35

5 BIBLIOGRAFIA........................................................................................................................38

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1 INTRODUZIONE

Il diritto del lavoro nella sua accezione tradizionale si è sviluppato pressoché

esclusivamente come diritto di tutela, configurando un sistema di rapporti giuridici

caratterizzati da profondi elementi protezionistici a favore del prestatore di lavoro

subordinato.

L’aspirazione ad assicurare un bilanciamento delle posizioni contrattuali tra le parti

del rapporto di lavoro ha portato il legislatore a limitare la libera volontà dei soggetti

contrattuali mediante l’impiego della tecnica della inderogabilità in peius dei

trattamenti economico-normativi e delle condizioni di lavoro stabilite da disposizioni

di legge e di contratto collettivo.1

Questa accezione prende le mosse da una organizzazione del lavoro di stampo

taylorista dove il lavoratore, dotato di una professionalità elementare, è

completamente etero diretto nel suo lavoro dalla tecnologia inserita negli impianti

produttivi.

Il grado di fungibilità di questo lavoratore è molto elevato, e pertanto, è necessaria

una legislazione di tutela nei suoi confronti, finalizzata ad evitare che i datori di

lavoro possano troppo facilmente rompere il vincolo contrattuale.

1 Biagi, Russo, Problemi e prospettive nelle politiche di “fidelizzazione” del personale, 2001, 1

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Oggi, specialmente nel settore terziario, la situazione è molto diversa:

l’organizzazione del lavoro vede delle mansioni estremamente ricche ed articolate

dove intere fasi del processo produttivo sono concentrate su singoli individui.

La professionalità di questi lavoratori è talmente elevata che è stata elaborata dalla

teoria aziendalistica la figura del “Core Worker”: un lavoratore fondamentale per

l’impresa, destinatario di formazione, investimenti e dotato di professionalità

specialistica 2.

E’ di tutta evidenza che, in questo caso, il rapporto di forza o, se vogliamo, il grado di

dipendenza tra datore di lavoro e lavoratore è molto diverso rispetto al vecchio

modello ispirato alla teoria di Taylor: paradossalmente, diventa meritevole di tutela

anche il datore di lavoro rispetto al rischio di una rottura del vincolo contrattuale da

parte del lavoratore.

Per le ragioni predette si vanno diffondendo, nella pratica delle negoziazioni

concrete, una serie di strumenti contrattuali, denominati strumenti di fidelizzazione

vincolata, finalizzati a porre vincoli giuridici alla libertà contrattuale del lavoratore,

limitandone il potere di recesso e tutelando, quindi, le esigenza del datore di poter

contare per un certo lasso di tempo sull’apporto di determinate professionalità.

Gli strumenti in grado di creare vincoli giuridici al recesso del lavoratore possono

essere circoscritti al prolungamento del periodo di preavviso ed alla clausola di durata

minima garantita.3

2 ZOLI C., Clausole di fidelizzazione e rapporto di lavoro, in Riv. It. Dir. Lav., 2003, 4503 ZOLI C., Clausole di fidelizzazione e rapporto di lavoro, in Riv. It. Dir. Lav., 2003, 452

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Scopo della mia elaborazione è di esaminare brevemente il potere di recesso del

lavoratore, e cioè le dimissioni.

E’ a tal uopo necessario, anzitutto, ricostruire la disciplina del recesso ad nutum ex

art. 2118 c.c., avendo cura di evidenziare le ragioni e la funzione assolta dallo

strumento del preavviso.

Successivamente esaminerò gli strumenti giuridici esistenti in grado di limitare il

recesso, al fine di verificare se le clausole contrattuali utilizzate per limitare il potere

del lavoratore di rassegnare le dimissioni siano o meno compatibili con il contratto di

lavoro e con la disciplina, legale e collettiva, del rapporto di lavoro subordinato.

Infine procederò alla analisi di due strumenti contrattuali che predispongono dei

limiti convenzionali al potere di recesso del lavoratore: il prolungamento pattizio del

periodo di preavviso e la stipula di un patto di stabilità.

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2 IL RECESSO DEL LAVORATORE

Il rapporto di lavoro subordinato, sebbene il codice civile all’articolo 2094 individui

solo il prestatore di lavoro subordinato, si fa tipicamente originare dalla stipula di un

contratto tra datore di lavoro e lavoratore.

Una delle modalità di estinzione di questo contratto è il cosiddetto recesso unilaterale

o ad nutum trattato dall’articolo 2118 del codice civile.

Più specificamente, questo articolo tratta del recesso dal contratto a tempo

indeterminato e sancisce una sostanziale parità tra le parti, prevedendo libertà di

recesso dal contratto per entrambi i contraenti, fatto salvo l’obbligo di dare il

preavviso.

Il preavviso è quel periodo di tempo intercorrente tra la manifestazione della volontà

di estinguere il rapporto e la sua effettiva estinzione ed ha il fine di mettere chi

subisce il recesso nelle condizioni di porre in essere tutte quelle azioni volte a

minimizzare gli effetti dannosi dello stesso.

La durata del preavviso, recita l’articolo 2118, è prevista dagli usi o secondo equità,

ma va specificato che nella maggior parte dei casi è definita dai contratti collettivi

che possono anche differenziarla a seconda di chi sia la parte recedente.

Una prima lettura di questo articolo individua una prima area di esclusione da questa

disciplina: il contratto di lavoro subordinato a tempo determinato non prevede la

possibilità del recesso unilaterale, se non per giusta causa.

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La logica di questa esclusione è nella ratio dell’articolo 2118, e più in generale

dell’articolo 1373, che è quella di imporre un principio di temporaneità ad un

rapporto che, geneticamente, è illimitato.4

Essendo il termine, un elemento essenziale del contratto a tempo determinato, non

rientra nella logica dell’articolo 2118 e pertanto ne è escluso.

Una ulteriore norma che regola il recesso unilaterale si ha all’articolo successivo

(2119 del codice civile) dove si tratta del recesso per giusta causa, introducendo una

normativa derogatoria rispetto alla disciplina del preavviso.

La giusta causa del recesso è un evento di gravità tale da non consentire la

prosecuzione neanche temporanea del rapporto ed agisce anche per i contratti a

tempo determinato.

Sebbene si sia in presenza di due articoli distinti non si tratta di due negozi distinti di

recesso, bensì di un unico tipo di negozio rispetto al quale la giusta causa costituisce

solo un presupposto che esonera dal preavviso5.

Non solo, ma la sanzione di questo evento, laddove sia il lavoratore a recedere,

consiste anche nell’inversione del meccanismo del preavviso, con il conseguente

maggiore onere pecuniario. 6

Naturalmente, la disciplina codicistica del recesso del datore di lavoro, con la legge

604 del 1966 e successive modifiche, ha visto enormemente ridotta la sua valenza, al

contrario del recesso del lavoratore che è, sostanzialmente, regolamentato dalla

disciplina del 1942. 4 ROSELLI F., Il recesso dal contratto, in A. Cecchini, M. Costanza, M. Franzoni, A. Gentili, F. Roselli, G. Vettori, Effetti del contratto, Giappichelli editore, Torino, 2002, 6925 GHERA E., Diritto del lavoro, Cacucci editore, Bari, 2006, 1816 GIUDICI M., La risoluzione consensuale del rapporto, in Isper Edizioni 348, settembre 2006, 6

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La motivazione è che la legge - e, per essa, la contrattazione collettiva - interviene

per stabilire in via preventiva il contenuto necessario di molte parti del rapporto tra

lavoratore e datore di lavoro, sottraendole alla negoziazione individuale, soprattutto

al fine di garantire un minimo inderogabile a favore del lavoratore.

Nel caso del recesso del lavoratore, invece, tranne casi patologici, si lede un interesse

del datore di lavoro.

La motivazione è di natura prettamente politica ed origina dalla tipologia degli

interessi tutelati: mentre nel caso di recesso del datore di lavoro si configura un danno

alla persona del lavoratore, essendo il lavoratore normalmente dipendente

economicamente dal datore di lavoro, nel caso di recesso del lavoratore il danno per

il datore di lavoro è esclusivamente patrimoniale.7

Pertanto, le forme di tutela sono in larga parte le medesime previste dalla disciplina

civilistica dei negozi giuridici a contenuto patrimoniale.

Fatte salve queste norme, il recesso unilaterale del lavoratore, va letto, nei suoi aspetti

costituenti, prendendo in esame la disciplina generale dell’articolo 1373 del codice

civile.

2.1 Nozione

7 ZOLI C., Clausole di fidelizzazione e rapporto di lavoro, in Riv. It. Dir. Lav., 2003, 451;

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Il recesso unilaterale, ex art.1373 c.c., può essere definito come la manifestazione di

volontà con cui una delle parti produce lo scioglimento del rapporto giuridico di

origine contrattuale.

La causa di questo negozio è quindi principalmente estintiva e si applica, nel caso del

contratto di lavoro subordinato, in quanto contratto di durata, soltanto sulle

prestazioni non ancora eseguite, così come da comma 2 del predetto articolo 8.

La logica di questa norma, per i contratti di durata senza apposizione di un termine, è

quella di affermare un principio generale dell’ordinamento di temporaneità dei

rapporti, che renda più dinamica l’economia e che non vincoli eccessivamente i

contraenti.

2.2 Recesso come negozio giuridico

L’atto di manifestazione di volontà, precedentemente definito come recesso

unilaterale del lavoratore, è qualificato dalla dottrina come un negozio giuridico

unilaterale recettizio.

L’efficacia di questo negozio, essendo unilaterale, è, quindi, indipendente

dall’accettazione del datore di lavoro e decorre dal momento in cui questi sia posto

nelle condizioni di esserne a conoscenza.

8 ROSELLI F., Il recesso dal contratto, in A. Cecchini, M. Costanza, M. Franzoni, A. Gentili, F. Roselli, G. Vettori, Effetti del contratto, Giappichelli editore, Torino, 2002, 686.

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Infatti, qualificare questo negozio come recettizio ha una notevole rilevanza pratica

perché l’efficacia dello stesso è subordinata alla conoscenza effettiva o presunta di

esso dal destinatario così come da articoli 1334 e 1335 del codice civile.9

Gli effetti di questo negozio, così come previsto dal comma 2 articolo 1373 del

codice civile, non riguardano le prestazioni eseguite o in corso di esecuzione; questo

discende dal fatto che l’inefficacia sopravvenuta del contratto non incide sulle

prestazioni già eseguite, che perciò non debbono essere restituite. In particolare nei

contratti di durata la causa contrattuale è unica, ma si attua continuativamente onde la

cessazione del rapporto prima dell’adempimento totale trova già attuata la causa in

relazione al tempo per cui si è adempiuto e non può distruggere questo risultato.10

Infine, il recesso in quanto negozio unilaterale non è revocabile pertanto laddove

venga conosciuto dal destinatario, il contratto è estinto e si dovrà nuovamente far

incontrare la volontà delle parti per crearne uno nuovo.11

2.3 Nullità e annullabilità del recesso del lavoratore

Il recesso del lavoratore, come qualsiasi negozio giuridico, è una espressione

dell’autonomia privata, così come previsto dal combinato disposto dall’articolo 1322

e dall’articolo 1324 del codice civile.

Per la salvaguardia di irrinunciabili interessi, però, l’ordinamento pone dei limiti,

prefigura dei modelli astratti affidati a norme giuridiche assistite da sanzioni, che

9 GHERA E., Diritto del lavoro, Cacucci editore, Bari, 2006, 17910 ROSELLI F., Il recesso dal contratto, in A. Cecchini, M. Costanza, M. Franzoni, A. Gentili, F. Roselli, G. Vettori, Effetti del contratto, Giappichelli editore, Torino, 2002, 693.11 GIUDICI M., La risoluzione consensuale del rapporto, in Isper Edizioni 348, settembre 2006, 5

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colpiscono i consociati quando le violino. Fra le sanzioni previste, è l’invalidità dei

negozi giuridici- nelle due specie normative della nullità e dell’annullabilità.12

Laddove venga accertata l’invalidità del negozio, questi perde di efficacia e pertanto

non produce effetti nell’altrui sfera giuridica.

Le cause di nullità sono quelle previste dall’articolo 1418 del codice civile e quindi

contrarietà a norme imperative, mancanza dei requisiti essenziali così come da

articolo 1325 del codice civile, l’illiceità della causa o dei motivi oppure mancanza

dei requisiti minimi nell’oggetto.

A titolo esemplificativo, le dimissioni in bianco sono da considerarsi nulle perché

mancano i requisiti minimi nell’oggetto e perché in buona sostanza hanno lo scopo di

eludere le norme imperative previste dalla disciplina sui licenziamenti.13

La gravità delle cause che comportano la nullità del negozio, e l’esigenza di tutelare,

per suo tramite, interessi che trascendono le parti negoziali, giustificano l’ampia

legittimazione a promuoverne l’azione: la nullità può essere fatta valere da chiunque

ne abbia interesse e non è soggetta a prescrizione. 14

L’annullabilità si ha, invece quando la volontà dell’attore non può esprimersi

pienamente o per propria incapacità di intendere e di volere oppure per gravi vizi

quali l’errore il dolo o la violenza.

In questo caso è legittimato ad agire solo colui a favore del quale deve essere

riconosciuto l’annullamento e questa azione si prescrive in cinque anni.15

12 BONILINI G. in Istituzioni di Diritto Privato a cura di Mario Bessone, Giappichelli editore, Torino, 1996, 711.13 GIUDICI M., La risoluzione consensuale del rapporto, in Isper Edizioni 348, settembre 2006, 7.14 BONILINI G. in Istituzioni di Diritto Privato a cura di Mario Bessone, Giappichelli editore, Torino, 1996, 725.15 BONILINI G. in Istituzioni di Diritto Privato a cura di Mario Bessone, Giappichelli editore, Torino, 1996, 738.

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2.4 Forma del recesso

Tra i requisiti del contratto l’articolo 1325 del codice civile annovera anche la forma

quando risulta che è prescritta dalla legge a pena di nullità.

L’articolo 1350 enumera poi quali contratti o atti necessitano dell’atto scritto (atto

pubblico o scrittura privata) per essere validi.16

Al di fuori di queste previsioni e fatte salve diverse previsioni dei contratti collettivi,

non è prevista una forma particolare per il recesso del lavoratore né ad substantiam

né ad probationem.

Dal punto di vista della prova, soprattutto per i calcoli sull’efficacia temporale del

recesso e per la decorrenza del periodo di preavviso, appare comunque opportuna

l’adozione della forma scritta.17

16 DI MAIO A. in Istituzioni di Diritto Privato a cura di Mario Bessone, Giappichelli editore, Torino, 1996, 630.17 GIUDICI M., La risoluzione consensuale del rapporto, in Isper Edizioni 348, settembre 2006, 5.

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3 IL PREAVVISO

3.1 Nozione

L’articolo 2118 del codice civile prevede che le dimissioni in un contratto a tempo

indeterminato debbono essere caratterizzate dall’intimazione del preavviso ad

iniziativa della parte recedente.

Il preavviso assolve alla funzione di attenuare le conseguenze dannose

dell’improvvisa cessazione del rapporto per la parte che subisce l’iniziativa del

recesso.

Pertanto, l’interesse prioritario tutelato da questo istituto è quello della parte che

subisce il recesso, e cioè, nel nostro caso, del datore di lavoro, affinchè la sua

organizzazione del lavoro non sia lesa, consentendogli la sostituzione del lavoratore

dimissionario.18

La durata del preavviso non è determinata dall’articolo in questione, che rinvia agli

usi o all’equità, ma nella stragrande maggioranza dei casi dai contratti collettivi.

Il secondo comma dell’articolo 2118 prevede in mancanza di preavviso la necessità

di versare una indennità pari alla retribuzione mensile moltiplicata per il numero di

mesi previsti dalle norme sul preavviso.

18 GHERA E., Diritto del lavoro, Cacucci editore, Bari, 2006, 180.

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3.2 Efficacia reale o obbligatoria del preavviso

L’indennità di mancato preavviso ha una valenza risarcitoria legata al danno che il

lavoratore dimissionario cagiona al datore di lavoro nel momento in cui si rifiuta di

proseguire il rapporto nel periodo di preavviso.

A fronte di questa decisione del lavoratore assume grande rilevanza la natura reale

oppure obbligatoria del preavviso.

Laddove si ritenga che la natura del preavviso sia meramente obbligatoria, il

lavoratore può liberamente decidere se vincolarsi per il periodo di preavviso oppure

se versare la relativa indennità e terminare immediatamente il rapporto; laddove,

invece, si propenda per la natura reale del preavviso, sarà necessario l’accordo del

datore di lavoro per l’opzione pecuniaria a fronte dell’opzione reale.19

Questo non significa che il lavoratore non possa recedere ugualmente, anche in

assenza dell’accordo del datore di lavoro, ma sarà chiamato a risarcire il danno in una

misura ragionevolmente superiore rispetto all’indennità di preavviso.

Il dato letterale dell’articolo sembrerebbe propendere per la soluzione obbligatoria,

dal momento che si dice semplicemente che in mancanza di preavviso il recedente è

tenuto verso l’altra parte ad un’indennità equivalente all’importo della retribuzione

che sarebbe spettata per il periodo di preavviso.

Questa interpretazione stride, però, con la ratio del preavviso che deve, come

abbiamo già detto, consentire al datore di lavoro di avere il tempo necessario per

ricostruire l’organizzazione aziendale; il tempo serve, sia per reperire sul mercato le

19MEUCCI M., Il rapporto di lavoro nell’impresa, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1991, 188.

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professionalità necessarie, sia per consentire internamente un passaggio di consegne

per un tempo congruo a trasferire queste professionalità su di un altro lavoratore. 20

In assenza di questo tempo è ragionevole presumere che il danno sopportato sia

superiore rispetto al beneficio dato dall’acquisizione dell’indennità del mancato

preavviso.

3.3 Sospensione del decorso

Alcuni eventi, che incidono sullo svolgimento del periodo di preavviso, ne

sospendono il decorso.21

Va precisato che la gran parte di queste eccezioni nascono per la tutela del lavoratore

che subisce il recesso, e quindi non sempre estendono la loro validità anche al recesso

subito dal datore di lavoro.

Appartiene a questa categoria il caso della maternità fino al compimento di un anno

di età del bambino, così come da articolo 55 del D. leg.vo 151 del 2001, dove non

c’è l’obbligo del preavviso in caso di recesso del lavoratore e dove, quindi, è solo il

preavviso in caso di licenziamento già intervenuto che si sospende, in estensione alla

normativa che sospende il licenziamento stesso.

Altre eccezioni, invece, valgono in entrambi i casi, come per la malattia e le ferie.

L’articolo 2109 del codice civile all’ultimo comma prevede che non può essere

computato nelle ferie il periodo di preavviso.

20GHERA E., Diritto del lavoro, Cacucci editore, Bari, 2006, 180. 21 MEUCCI M., Il rapporto di lavoro nell’impresa, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1991, 193.

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Questa eccezione nasce dalla considerazione che il periodo di preavviso è un periodo

di lavoro effettivo, finalizzato al passaggio di consegne oppure alla ricerca esterna di

un sostituto.

Laddove si ammettesse la fruizione di ferie in sostituzione, e non in aggiunta, al

periodo di preavviso, si violerebbe questa logica.

Va aggiunto, inoltre, che in caso di recesso del datore di lavoro, c’è la volontà di

tutelare la parte debole, consentendole un periodo di tempo più lungo per la ricerca

di un altro lavoro oppure una liquidazione economica ulteriore.

Il caso della malattia o dell’infortunio è trattato dall’articolo 2110 del codice civile.

Questo articolo sancisce che il periodo di malattia deve essere coperto da un

trattamento economico ed assistenziale fino al termine della stessa.

Naturalmente questa previsione confliggerebbe con un recesso già intervenuto e

quindi con un periodo di preavviso che ha tempi diversi dal periodo di malattia.

Pertanto, anche in questo caso, il decorso del preavviso è sospeso e riprende il suo

corso solo in caso di guarigione oppure, nel caso di recesso del datore di lavoro, in

caso di termine del periodo di comporto.22

Naturalmente, vale anche nel caso della malattia il ragionamento della effettività del

periodo di lavoro finalizzato alla tutela dell’organizzazione aziendale.

22 MEUCCI M., Il rapporto di lavoro nell’impresa, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1991, 193.

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3.4 Norme derogatorie

Esiste una casistica speciale nella quale il normale funzionamento dell’istituto del

preavviso viene apparentemente rovesciato.

Come abbiamo visto il preavviso tutela la parte che subisce il recesso nell’ottica di

consentirle una riorganizzazione in un caso della propria vita privata, nell’altro della

struttura dell’azienda.

In alcuni casi, però, questo interesse viene subordinato ad un interesse superiore di

natura pubblicistica che rovescia le tutele, individuando nella parte che riceve il

recesso una responsabilità extracontrattuale, in alcuni casi reale, in altri presunta.

Una prima normativa derogatoria è individuata dall’articolo 2119 che prevede che le

parti possano recedere senza preavviso qualora si verifichino degli eventi di gravità

tale da non consentire la prosecuzione nemmeno temporanea del rapporto.23

Non esiste una definizione precisa di giusta causa, bensì è la giurisprudenza che ha

individuato una casistica che, a titolo esemplificativo e non esaustivo, va dalle

molestie sessuali del datore di lavoro (Pret. Milano 14.8.1991) alla richiesta di

comportamenti illeciti (Pret. Legnano 10.3.1989), dal comportamento ingiurioso del

datore di lavoro (Cassazione 5977 del 29.11.1985) al ritardo nel pagamento della

retribuzione (Cassazione 5146 del 23.5.1998). 24

23 GIUDICI M., La risoluzione consensuale del rapporto, in Isper Edizioni 348, settembre 2006, 6.

24 BONATI G.,GREMIGNI P., Guida pratica lavoro, Il Sole 24 Ore, Marzo 2006, 553.

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Si consideri, però, che l’accertamento della giusta causa è sempre suscettibile di

diversa interpretazione da parte del giudice; esemplificativo è il caso di Cass., 22

dicembre 1987, n. 9589 dove, a fronte di una difforme interpretazione della

sussistenza della giusta causa di recesso, il lavoratore è stato considerato dalla corte

inadempiente per non aver onorato il preavviso e pertanto condannato al risarcimento

del danno dovuto all’ingiustificata mancata prestazione.25

Nel recesso del lavoratore per giusta causa, come si vedrà anche per gli altri casi, non

solo non agisce il meccanismo del preavviso, ma vengono individuate delle

responsabilità suscettibili di risarcimento, un risarcimento quantificato dal legislatore

nella misura dell’indennità di mancato preavviso.

Un’altra normativa derogatoria riguarda le lavoratrici e i lavoratori in caso di

maternità e paternità nel periodo di gravidanza o fino ad un anno di età del bambino

(articolo 55 D.leg.vo 151/2001).26

In questo caso, in deroga all’articolo 2118, il recesso del lavoratore non è libero,

essendo l’efficacia dello stesso condizionata da una convalida da effettuarsi presso il

servizio ispettivo del ministero del lavoro.

Inoltre, analogamente al recesso per giusta causa, non solo non c’è l’obbligo del

preavviso, bensì c’è l’obbligo in capo al datore di lavoro di corrispondere a titolo

risarcitorio di un fatto illecito presunto un ammontare pari all’indennità di mancato

preavviso.

25 GRANATO M., Sul diritto di recesso del lavoratore ex art. 2119 c.c. (Nota a Cass., 22 dicembre 1987, n. 9589, Sanna c. Fall. soc. ed. sarda), in Giur. it., 1989, I, 1, 181;

26 GIUDICI M., La risoluzione consensuale del rapporto, in Isper Edizioni 348, settembre 2006, 8.

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4 LIMITI CONVENZIONALI

4.1 Negoziabilità del diritto di recesso

Questione preliminare da affrontare, prima di esaminare le fattispecie relative alla

limitazione convenzionale del diritto di recesso, è quella dell’eventuale conflitto di

questi patti con le norme inderogabili ovvero dell’area di negoziabilità su queste

materie.

Non esiste una definizione legislativa di norma inderogabile, ma le sue caratteristiche

si possono evincere tramite il confronto tra norma inderogabile e norma derogabile.

E’ detta derogabile la norma che si applica ove i suoi destinatari non abbiano

altrimenti disposto, o più pianamente, la norma è derogabile se presuppone

l’attribuzione di un potere di deroga al destinatario.27

Si denomina, invece come inderogabile quella norma che, esprimendo un comando

che non consente deroghe, limita un potere che, in sua assenza, sarebbe liberamente

esercitabile.28

La caratteristica fondamentale di queste norme è quella di limitare un potere; affinché

questo effetto limitativo possa esercitarsi, è necessario che si abbia un precetto,

destinato ad uno o più soggetti, ed una sanzione, intesa come conseguenza giuridica

sfavorevole tesa a stabilire la prevalenza della norma sulla deroga. 27 NOVELLA M., Considerazioni sul regime giuridico della norma inderogabile nel diritto del lavoro, in Arg. Dir. Lav., 2003, 509;28 NOVELLA M., Considerazioni sul regime giuridico della norma inderogabile nel diritto del lavoro, in Arg. Dir. Lav., 2003, pp. 511;

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La individuazione della sanzione non è legata, però, alla costruzione della norma

inderogabile, bensì è questione di diritto positivo; essa è spesso una norma, espressa o

inespressa, che abbia il contenuto di norma sanzionatoria in quanto applicabile alla

fattispecie costituita dalla violazione di una norma inderogabile.29

Nel diritto del lavoro il collegamento tra precetto e sanzione, laddove non

esplicitamente dettato dalla norma, è avvenuto facendo leva sulla funzione della

norma , attraverso un’interpretazione basata sulla ratio legis.

La individuazione della maggior parte delle norme inderogabili è stata ricondotta alla

funzione di tutela della parte debole del rapporto di lavoro, mentre la sanzione

ritenuta più idonea a garantire questa funzione protettiva è stata individuata nel

combinato disposto degli articoli 1418 e 1419 del codice civile sulla cause di nullità e

sulla nullità parziale e dell’articolo 1339 sulla inserzione automatica di clausole.30

Così, quando la previsione difforme sia contenuta in un distinto atto o patto

derogatorio, la nullità ex articolo 1418 risulta idonea a conseguire il risultato della

prevalenza della norma sull’atto difforme. Quando, invece, la clausola difforme sia

contenuta all’interno del contratto di lavoro, la conseguenza sanzionatoria ideale

rispetto ai fini protettivi della norma, è individuata nel meccanismo di sostituzione

automatica di clausole – articolo 1339 del codice civile – accompagnata dalla

contestuale salvezza del contratto rettificato – articolo 1419 secondo comma del

codice civile. 31

29 NOVELLA M., Considerazioni sul regime giuridico della norma inderogabile nel diritto del lavoro, in Arg. Dir. Lav., 2003, 514;30 NOVELLA M., Considerazioni sul regime giuridico della norma inderogabile nel diritto del lavoro, in Arg. Dir. Lav., 2003, 515;31 NOVELLA M., Considerazioni sul regime giuridico della norma inderogabile nel diritto del lavoro, in Arg. Dir. Lav., 2003, 516;

20

Page 21: Tesina- master

Questo criterio di salvaguardia del contratto e di sostituzione delle clausole difformi

discende dalla volontà di non rimettere in atto la negoziazione, che presumibilmente

favorirebbe la parte forte a scapito della parte debole, bensì di perfezionare quelle

parti volute difformi, presumibilmente, proprio dalla parte forte della negoziazione.

Infine, va evidenziato come l’operatività dei meccanismi di nullità e sostituzione

automatica delle clausole è limitata alle fattispecie in cui il contenuto del contratto

stipulato sia peggiorativo per il lavoratore rispetto al contenuto del precetto legale –

cosiddetta inderogabilità unidirezionale.

La costruzione di questa unidirezionalità è anch’essa frutto della funzione protettiva

di questa inderogabilità, e quindi mira ad ottenere una tutela minimale dell’interesse

del lavoratore.32

In questa ottica va letto l’articolo 2118, che tratta del recesso dal contratto a tempo

indeterminato, a fronte di ipotesi negoziali che limitino il diritto di recesso del

lavoratore.

Una prima considerazione da fare è se questa norma è una norma di tutela e se

contiene un precetto al suo interno che vincoli il potere derogatorio delle parti.

La risposta a questa questione deve essere positiva sia per la prima parte, che sancisce

la libera recedibilità, sia per quanto riguarda la parte dell’articolo che impone o

l’obbligo del preavviso in capo alla parte recedente, o, in mancanza dello stesso,

l’obbligo della relativa indennità.

32 NOVELLA M., Considerazioni sul regime giuridico della norma inderogabile nel diritto del lavoro, in Arg. Dir. Lav., 2003, 519;

21

Page 22: Tesina- master

L’interesse del lavoratore-parte debole, tutelato da queste norme, è quello di poter

cogliere diverse opportunità professionali, laddove queste dovessero manifestarsi,

senza subire un onere eccessivo in termini di risarcimento nel caso in cui non ci sia la

possibilità di prestare il preavviso.33

In questo frangente, il datore di lavoro ha un interesse opposto che è quello di avere

il massimo tempo possibile per fronteggiare la decisione unilaterale della

controparte.34

Pertanto, qualsiasi pattuizione limitante il diritto di recesso del lavoratore deve

garantire a questi la libertà di recesso a dei costi che non siano tali da far supporre

una prevaricazione della parte forte nei confronti della parte debole.35

Derimente, al fine di interpretare la ragionevolezza del vincolo, è la misura del

corrispettivo che il datore di lavoro si obbliga a dare, a fronte di questo sacrificio, in

aggiunta alle normali obbligazioni scaturenti dal rapporto di lavoro.

Al di fuori di queste condizioni, l’assetto degli interessi si pone, per il lavoratore,

come trattamento in pejus, posizionato al di sotto della soglia di tutela minima

inderogabile.36

Questa tesi oltre che in dottrina, ha trovato conferma nella più recente giurisprudenza

(Cass., sez. lav., 11 febbraio 1998, n. 1435) dove si dice che “il lavoratore

33 RUSSO A., Problemi e prospettive nelle politiche di fidelizzazione del personale, Giuffrè editore, Milano, 2004, 111;34 VALLEBONA A., Preavviso di dimissioni e accordi individuali, in Lav.Giur., 2001, 1120;35 FEDERICI A., Vincoli convenzionali alla libertà di recesso del lavoratore e condizioni di ammissibilità delle clausole di durata minima del rapporto di lavoro (Nota a Cass., sez. lav., 7 settembre 2005, n. 17817, Soc. Air Vallée c. Ronc), in Riv. giur. lav., 2006, I, 280;

36FEDERICI A., Vincoli convenzionali alla libertà di recesso del lavoratore e condizioni di ammissibilità delle clausole di durata minima del rapporto di lavoro (Nota a Cass., sez. lav., 7 settembre 2005, n. 17817, Soc. Air Vallée c. Ronc), in Riv. giur. lav., 2006, I, 283;

22

Page 23: Tesina- master

subordinato può validamente disporre della propria facoltà di recesso dal rapporto,

come nell’ipotesi di una garanzia di durata minima dello stesso. Non contrasta,

pertanto, con alcuna norma o principio dell’ordinamento giuridico la clausola con cui

si prevedano limiti all’esercizio di detta facoltà, stabilendosi a carico del lavoratore

un obbligo risarcitorio per l’ipotesi di dimissioni anticipate rispetto ad un periodo di

durata minima”. 37

Le medesime tesi vengono richiamate in T. Venezia, 23 ottobre 2003 dove si

specifica che il diritto di recesso resta libero ed impregiudicato dall’accordo di durata

minima garantita, e dove si ribadisce che le parti, e nello specifico il lavoratore,

possono disporre dello stesso, anche pattuendo una durata minima triennale, salvo il

pagamento di una penale come nel caso trattato.38

Infine Cass., sez. lav., 7 settembre 2005, n. 17817 dove, negando la lesione di diritti

indisponibili da parte di un accordo di durata minima garantita, la corte ripete,

citandole, le medesime motivazioni della sua sentenza del 1998.39

4.2 Il prolungamento convenzionale del preavviso

37 BANO F., Clausola di durata minima e costo dell’addestramento,( Nota a Cass., sez. lav., 11 febbraio 1998, n. 1435, Soc. Air Europe c. Heiss), in Riv. it. dir. lav., 1998, II, 539;

38 BARRACO E., Libertà di dimissioni e strumenti di fidelizzazione del lavoratore: la clausola di durata minima garantita, Nota a T. Venezia, 23 ottobre 2003, Costantini c. Soc. Alpi Eagles, in Lavoro giur., 2004, 692;

39 MENEGATTI E., La corte di cassazione torna a pronunciarsi sulla legittimità delle clausole di durata minima garantita (Nota a Cass., sez. lav., 7 settembre 2005, n. 17817, Soc. Air Vallee c. Ronc), in Argomenti dir. lav., 2006, 229;

23

Page 24: Tesina- master

Un primo strumento convenzionale di limitazione del diritto di recesso è quello del

prolungamento del periodo di preavviso.

Durante il decorso del preavviso, il rapporto continua ad essere assoggettato alla

medesima disciplina ad esso applicata prima che venisse esercitata la facoltà di

recesso.40

Inoltre, si applica in questo periodo la disciplina sospensiva prevista dall’articolo

2110 del codice civile.

Prima di esaminare questo strumento, va fatta una precisazione: a differenza della

clausola di durata minima, il preavviso è un istituto tipico dell’ordinamento, che ha

meccanismi di tutela molto forti, ma che nasce con finalità distinte da quelle aziendali

di retention dei dipendenti.

Pertanto la strategia aziendale deve orientarsi non a trattenere al suo interno il

dipendente bensì a trattenere il livello professionale di cui esso è portatore.

Ne consegue, in termini pratici, che l’estensione temporale non può eccedere una

soglia di ragionevolezza tale da incidere in modo rilevante la libertà di recesso del

lavoratore. 41

Un’altra specificità di questo istituto è che la durata del preavviso è, normalmente,

individuata dai contratti collettivi e pertanto, come recita l’articolo 2077 del codice

civile, i patti che derogano a previsioni dei contratti collettivi sono nulli e sostituiti di

40 ROTONDI F., Il contratto di lavoro subordinato ed i patti aggiuntivi: opportunità e vincoli, in Isper Edizioni 301, ottobre 2002, 22;

41 RUSSO A., Problemi e prospettive nelle politiche di fidelizzazione del personale, Giuffrè editore, Milano, 2004, 111;

24

Page 25: Tesina- master

diritto dalle previsioni degli stessi a meno che non siano migliorativi per il prestatore

di lavoro.

Pertanto, le caratteristiche di questo strumento vanno esaminate nel rapporto con

l’inderogabilità in peius dell’articolo 2118.

Una prima limitazione nell’uso di questo strumento si può individuare nell’illiceità di

patti individuali che riducano o addirittura eliminino ex ante il periodo di preavviso a

tutela del prestatore di lavoro.

Questa limitazione discende dalla lettera dell’articolo 2118 c.c. che indica l’obbligo

del periodo di preavviso, così come definito normalmente dai contratti collettivi, e dal

fatto che tutte le deroghe restrittive di questo obbligo sono precisamente individuate

con norme con forza di legge che hanno anch’esse forza imperativa.

Senza addentrarci in considerazioni già fatte, si presume una prevaricazione della

parte forte nella pattuizione, in violazione alla logica di tutela che l’istituto del

preavviso incorpora.

Correlato col limite predetto, c’è anche la non sostituibilità pattizia ex ante del

periodo di preavviso con la relativa indennità, soprattutto se si ammette la natura

reale del preavviso; mentre l’articolo 2118 prevede una sostituibilità delle due voci

legata all’accordo tra le parti, appare di dubbia legittimità, in quanto potenzialmente

peggiorativo, un patto che aprioristicamente riduca o addirittura elimini il periodo di

preavviso a vantaggio dell’indennità, trattandosi di una disposizione di diritti futuri,

25

Page 26: Tesina- master

ad esempio rinnovi contrattuali, di impossibile conoscenza al momento della stipula

del patto.42

Alla luce di quanto detto, nel caso in cui si tratti di patti che, invece, prolunghino il

periodo di preavviso non appare dubbia la liceità, purché ci sia un vantaggio per il

lavoratore.

La valutazione di questo favor non è, però, cosa semplice ed, a questo proposito, è

utile distinguere l’ipotesi di limitazione bilaterale del diritto di recesso da quella

unilaterale nei confronti del lavoratore.

In particolare, qualora la maggior durata del preavviso impegni entrambe le parti

contraenti, il prestatore di lavoro rimane beneficiario del computo del periodo di

preavviso per l’indennità di anzianità, per eventuali miglioramenti retributivi o di

carriera, nonché della possibilità di sospendere il periodo di preavviso nei casi

previsti dalla legge.

Laddove il termine di preavviso sia, invece, prolungato esclusivamente nei confronti

del lavoratore, dovrà essere contemplata nel patto una forma di compensazione

specifica a fronte del sacrificio legato alla compressione del diritto di recesso.

La durata di questo prolungamento deve comunque avere un limite ragionevole,

prevedendo comunque una compressione di un diritto, e quindi deve essere

commisurata alla forza contrattuale e alla professionalità del lavoratore o comunque

42 ROTONDI F., Il contratto di lavoro subordinato ed i patti aggiuntivi: opportunità e vincoli, in Isper Edizioni 301, ottobre 2002, 23;

26

Page 27: Tesina- master

alla sua possibilità di ottenere specifici vantaggi in costanza di rapporto in termini di

iter professionale o di trattamento economico.43

Anche in questo caso alcuni autori negano la legittimità di questi accordi, laddove

mantengano il meccanismo sanzionatorio dell’articolo 2118 c.c. anche per la parte di

preavviso eccedente la previsione dei contratti collettivi, perché in questo modo si

avrebbe un disincentivo all’utilizzo del diritto di recesso da parte del lavoratore tale

da conculcare la libertà personale.44

In effetti, essendo la sanzione il pagamento di un numero di mensilità retributive pari

al periodo di mancato preavviso, si evince chiaramente che l’impatto patrimoniale sul

lavoratore recedente può essere tale da precludergli questa possibilità.

Una possibile soluzione è stata individuata nel superamento del meccanismo

sanzionatorio dell’indennità di mancato preavviso, sostituendolo con un discorso di

compenso superminimale a fronte del maggiore periodo di preavviso da prestare.

In questo caso la sanzione del mancato rispetto di questo ulteriore periodo di

preavviso è, in realtà, il mancato guadagno del compenso aggiuntivo, e pertanto non è

pregiudizievole della situazione patrimoniale già acquisita dal lavoratore.45

Una quantificazione esatta del limite di durata di questo patto è ardua perché non

esiste una norma esplicita che indichi dei limiti, ma, data la peculiarità dello

strumento che non consente di sapere il periodo soggetto a vincolo se non nel

43 ZOLI C., Clausole di fidelizzazione e rapporto di lavoro, in Riv. It. Dir. Lav., 2003, 452;44 VALLEBONA A., Preavviso di dimissioni e accordi individuali, in Lav.Giur., 2001, 1120;

45 VALLEBONA A., Preavviso di dimissioni e accordi individuali, in Lav.Giur., 2001, 1120;

27

Page 28: Tesina- master

momento in cui il recesso viene intimato, non appare, comunque, possibile applicare

il prolungamento del preavviso per periodi eccessivamente lunghi 46.

Il regio decreto 1825/1924, contenente disposizioni relative al contratto d’impiego

privato, individua in quattro mesi, per gli impiegati direttivi con più di dieci anni di

anzianità il periodo massimo di preavviso, mentre i contratti collettivi individuano

diversi tempi di preavviso, anch’essi in funzione dell’anzianità aziendale e del livello

inquadramentale (E. g. il contratto del trasporto aereo prevede un massimo di 8 mesi

di preavviso per il personale impiegatizio di livello massimo e con un’anzianità

superiore ai ventiquattro anni), pertanto, essendo lo scopo del prolungamento del

periodo di preavviso quello di tutelare la professionalità incorporata nella posizione

ricoperta, appare corretto valutare la congruità del maggiore periodo di preavviso

previsto in conformità con i tempi di preavviso previsti per le figure di contenuto

professionale massimo.

Nulla è previsto per la forma di questo patto e pertanto, essendo un numero chiuso i

casi individuati dall’ordinamento dove la forma è richiesta o ad substantiam o ad

probationem, possiamo concludere che non è richiesta una forma particolare.

4.3 La clausola di stabilità

La clausola di stabilità è quella clausola apposta al contratto di lavoro subordinato a

tempo indeterminato, in forza della quale entrambe le parti contraenti, o una di esse,

46 ZOLI C., Clausole di fidelizzazione e rapporto di lavoro, in Riv. It. Dir. Lav., 2003, 453;

28

Page 29: Tesina- master

si obbligano per un determinato periodo di tempo a non recedere dal rapporto, fatta

salva l’ipotesi della giusta causa.47

Va indicato che esiste una giurisprudenza, Cassazione civile sez. Lavoro 20-04-1995

n 4437, che estende la possibilità di recedere anche alle ipotesi previste dalle norme

generali sulla risoluzione di contratti a prestazioni corrispettive.

In particolare nelle ipotesi di impossibilità sopravvenuta, laddove non vi sia la

possibilità di una proficua utilizzazione, è possibile per il datore di lavoro il recesso

anche in presenza di clausola di stabilità.48

Alcuni autori distinguono tra clausola di stabilità in senso stretto e clausola di durata

minima: la prima prevede un periodo di moratoria nell’esercizio del diritto di recesso

fino ad un certo termine, decorso il quale il rapporto si estingue (normalmente con il

raggiungimento di un certo limite di età); la seconda invece prevede sempre una

moratoria nell’esercizio del diritto di recesso fino ad un certo termine, decorso il

quale, però, il rapporto prosegue come un normale contratto a tempo indeterminato.49

Ai fini di questa trattazione si parlerà di clausola di stabilità, intendendola come

clausola di durata minima garantita.

Dal punto di vista fenomenologico la clausola di stabilità, laddove vincoli entrambe

le parti, può essere assimilata all’apposizione di un termine al contratto di lavoro,

così come da Decreto Legislativo 368 del 2001, perché si limita la possibilità di

47 FOSSATI C. e MORPURGO C., Un modo per personalizzare il contratto di lavoro - Gli interventi sul fattore «durata» e le c.d. «clausole di durata minima», in Dir. e pratica lav., 2001, inserto n. 18, 10;48 Notiz. Giur.lav. 1995, 559;49 RUSSO A., Problemi e prospettive nelle politiche di fidelizzazione del personale, Giuffrè editore, Milano, 2004, 94;

29

Page 30: Tesina- master

recesso alla giusta causa e si prevede il risarcimento del danno in caso di recesso nel

periodo contemplato.

Le analogie, però, non devono andare oltre perché le tutele del lavoratore sono

comunque quelle del contratto a tempo indeterminato, né appare corretto paragonare

la giusta rigidità della forma, della durata e delle causali del contratto a termine con

gli adempimenti previsti per la clausola di stabilità.50

Nel passato si è negata la legittimità di questa clausola laddove vincolava anche il

lavoratore, argomentando che l’apposizione di una durata minima fosse un modo

surrettizio del datore di lavoro di avere alcuni dei benefici della normativa dei

contratti a termine, e cioè il vincolo del lavoratore per la durata del periodo previsto,

al di fuori della casistica tassativa prevista dalla legge sui contratti a termine

(All’epoca Legge 230 del 1962).51

Il convincimento alla base di questi ragionamenti è quello che la limitazione della

libertà di recesso prevista dall’articolo 2118 c.c. non è mai una modifica migliorativa

per il lavoratore, e che soltanto l’istituto del contratto a termine, per la sua

eccezionalità, può ottenere questa limitazione bilaterale.

Rimandando alle considerazioni fatte nel capitolo sulla negoziabilità del diritto di

recesso, mi interessa sottolineare come questa interpretazione rigida, da una parte

svuota di significato la clausola di stabilità, non tutelando minimamente l’interesse

del datore di lavoro nel trattenere le risorse pregiate, dall’altra giunge a dei risultati

50 FOSSATI C. e MORPURGO C., Un modo per personalizzare il contratto di lavoro - Gli interventi sul fattore «durata» e le c.d. «clausole di durata minima», in Dir. e pratica lav., 2001, inserto n. 18, 10;

51 ISENBURG L., Recenti sviluppi giurisprudenziali in tema di clausole di durata minima (Nota a Cass., 12 aprile 1980, n. 2365, Amodeo c. De Santo), in Riv. giur. lav., 1981, II, 136;

30

Page 31: Tesina- master

paradossali dal momento che incentiva il datore di lavoro, per trattenere le risorse,

seppure per un tempo minimo ma certo, a stipulare un meno favorevole per il

lavoratore contratto a termine piuttosto che un contratto a tempo indeterminato.

Fatte salve queste considerazioni, il giudizio sulla legittimità di questa clausola è

stato, analogamente a quello sul patto di prolungamento del preavviso, molto

dibattuto e per ripercorrerlo appare utile distinguere le due ipotesi di clausola di

stabilità: quella bilaterale e quella unilaterale.

4.4 Ipotesi bilaterale

Nell’ipotesi bilaterale di clausola di stabilità sia il datore di lavoro che il lavoratore si

vincolano per un certo periodo di tempo a non recedere dal contratto di lavoro.

Nell’ipotesi di derogabilità migliorativa dell’articolo 2118, questa fattispecie

salvaguarda le esigenze di entrambe le parti ed è quindi senz’altro legittima perché se

il datore di lavoro ha un periodo di certezza per poter utilizzare una certa prestazione

lavorativa, il lavoratore può contare su un uguale periodo di certezza della

prestazione retributiva e tutto questo in aggiunta alla disciplina del preavviso che

rimane comunque valida, scaduto il termine della clausola.52

52 FOSSATI C. e MORPURGO C., Un modo per personalizzare il contratto di lavoro - Gli interventi sul fattore «durata» e le c.d. «clausole di durata minima», in Dir. e pratica lav., 2001, inserto n. 18, 11; ZOLI C., Clausole di fidelizzazione e rapporto di lavoro, in Riv. It. Dir. Lav., 2003, 454;

31

Page 32: Tesina- master

4.5 Ipotesi unilaterale

Nell’ipotesi unilaterale di clausola di stabilità o solo il lavoratore o solo il datore di

lavoro si vincolano per un certo periodo di tempo a non recedere dal contratto di

lavoro.

Nell’ipotesi in cui sia il datore di lavoro a vincolarsi non è mai sorto dubbio alcuno

sulla legittimità di questa clausola perché il principio del favore nei confronti della

parte debole del rapporto di lavoro ha, da tempo, fatto prevalere una interpretazione

di derogabilità in tal senso dell’articolo 2118, lasciando quindi la facoltà al datore di

lavoro di rinunciare al diritto di recesso per un periodo discrezionale.53

A tal proposito, la giurisprudenza tranne rari casi ha confermato questa tesi: uno di

questi casi è T. Palermo, 24 aprile 2001, il quale nega la validità di una clausola di

stabilità unilaterale a favore del lavoratore in quanto atto di liberalità, e pertanto

estraneo all’oggetto sociale dell’impresa.

In realtà, come osservato nella nota a commento di questa sentenza, anche in questo

caso è riscontrabile un interesse aziendale patrimoniale nell’offrire, come benefit ad

un dirigente, un periodo di stabilità in deroga alla libertà di recesso prevista per

questa categoria di lavoratori.54

53 CARINI F. M., La clausola di durata minima garantita, (Nota a T. Palermo, 24 aprile 2001, Di Prima c. Banca Mercantile it.), Dir. lav., 2002, II, 12; ISENBURG L., Recenti sviluppi giurisprudenziali in tema di clausole di durata minima (Nota a Cass., 12 aprile 1980, n. 2365, Amodeo c. De Santo), in Riv. giur. lav., 1981, II, 137;

54 CARINI F. M., La clausola di durata minima garantita, (Nota a T. Palermo, 24 aprile 2001, Di Prima c. Banca Mercantile it.), Dir. lav., 2002, II, 14;

32

Page 33: Tesina- master

Più problematica l’altra ipotesi unilaterale, laddove sia il lavoratore a vincolarsi,

perché appare di più difficile prova il miglioramento rispetto alla disciplina

codicistica e soprattutto perché appare più plausibile una forzatura da parte del datore

di lavoro nei confronti del più debole lavoratore.

Decisiva, per classificare come migliorativo questo patto, è la contropartita relativa a

questa rinuncia.

Nella giurisprudenza più recente appare vincente una clausola unilaterale a favore del

datore di lavoro, laddove sia precisamente quantificabile una utilità in capo al

lavoratore (Cass., sez. lav., 11 febbraio 1998, n. 1435; Cass., sez. lav., 7 settembre

2005, n. 17817). Questa utilità può essere un corso di formazione con relativa

abilitazione oppure una somma di denaro e deve essere proporzionale al periodo di

durata della clausola stessa.55

In sintesi, l’assunzione di un obbligo di durata minima garantita o comunque di una

certa continuità nel rapporto, per avere una sua giustificazione causale, da una parte

deve rispondere ad un interesse giuridicamente apprezzabile dell’impresa e dall’altra

deve trovare, nell’ottica del lavoratore, qualche contropartita e limiti ragionevoli tali

da non ledere i diritti fondamentali al lavoro ed alla libertà professionale.56

55 BANO F., Clausola di durata minima e costo dell’addestramento (Nota a Cass., sez. lav., 11 febbraio 1998, n. 1435, Soc. Air Europe c. Heiss, in Riv. it. dir. lav., 1998, II, 540; MENEGATTI E., La corte di cassazione torna a pronunciarsi sulla legittimità delle clausole di durata minima garantita (Nota a Cass., sez. lav., 7 settembre 2005, n. 17817, Soc. Air Vallee c. Ronc), in Argomenti dir. lav., 2006, 233;

56 FEDERICI A., Vincoli convenzionali alla libertà di recesso del lavoratore e condizioni di ammissibilità delle clausole di durata minima del rapporto di lavoro (Nota a Cass., sez. lav., 7 settembre 2005, n. 17817, Soc. Air Vallée c. Ronc), in Riv. giur. lav., 2006, I, 280;

33

Page 34: Tesina- master

4.6 Forma

Come per il prolungamento del periodo di preavviso ed a differenza della normativa

sui contratti a termine e sul patto di non concorrenza, nulla è previsto per la forma di

questo patto e pertanto, essendo un numero chiuso i casi individuati dall’ordinamento

dove la forma è richiesta o ad substantiam o ad probationem, possiamo concludere

che non è richiesta una forma particolare.57

La giurisprudenza ha dibattuto, però, sulla possibilità di includere la clausola di

stabilità tra le clausole cosiddette vessatorie così come previsto dall’articolo 1341

codice civile, negando, però, questa possibilità, si veda T. Venezia, 23 ottobre 2003,

non potendosi applicare l’analogia ad una fattispecie che prevede la libera recedibilità

di una delle parti - colui che propone il contratto - e cioè l’esatto opposto della

clausola di stabilità.58

4.7 Durata

In materia di durata della clausola di stabilità, non abbiamo un dato certo che

imponga dei limiti al di fuori di un discorso di proporzionalità tra prestazione –

rinuncia al diritto di recesso ex 2118 per un certo tempo- e controprestazione -

rinuncia al diritto di recesso ex 2118 oppure altra tipologia di utilità.

57 FOSSATI C. e MORPURGO C., Un modo per personalizzare il contratto di lavoro - Gli interventi sul fattore «durata» e le c.d. «clausole di durata minima», in Dir. e pratica lav., 2001, inserto n. 18, 11;

58 BARRACO E., Libertà di dimissioni e strumenti di fidelizzazione del lavoratore: la clausola di durata minima garantita, Nota a T. Venezia, 23 ottobre 2003, Costantini c. Soc. Alpi Eagles, in Lavoro giur., 2004, 695;

34

Page 35: Tesina- master

Esistono, però, dei limiti nell’ordinamento che per analogia potrebbero essere

utilizzati dal magistrato come metro per una valutazione di equità che sono: la durata

massima del patto di non concorrenza di cinque anni per i dirigenti e tre per gli altri

così come da articolo 2125 del codice civile oppure i tre anni di prorogabilità

massima dei contratti a termine così come da D.leg.vo 368/2001.59

Va detto anche che l’analogia non è pienamente estendibile perché le logiche dei

limiti temporali soprarichiamati sono relative ad interessi diversi, e quindi deve

essere prevalente un discorso di corrispettività tra durata del vincolo ed utilità

economica offerta in termini monetari, formativi o di garanzia di un percorso

professionale e di carriera.

4.8 Sanzioni

Nel periodo di validità della clausola di stabilità una delle due parti o entrambe

rinuncia al diritto di recedere, fatte salve le eccezioni dell’articolo 2119 codice civile.

Laddove ci sia una violazione di detta clausola si configura un inadempimento

contrattuale assoluto – la prestazione non potrà più essere riconosciuta – e quindi

nasce l’obbligo della parte recedente di risarcire il danno alla parte che lo subisce.

Nel caso in cui sia il lavoratore a recedere, questi sarà chiamato a risarcire il danno al

datore di lavoro secondo le regole del codice civile che all’articolo 1223 prevedono

59 ZOLI C., Clausole di fidelizzazione e rapporto di lavoro, in Riv. It. Dir. Lav., 2003, 457; RUSSO A., Problemi e prospettive nelle politiche di fidelizzazione del personale, Giuffrè editore, Milano, 2004, 97

35

Page 36: Tesina- master

che sia riconosciuto a chi subisce l’inadempimento sia il danno emergente che il lucro

cessante, purché siano immediata conseguenza dell’inadempimento.60

Mentre nel caso della compravendita di un quantitativo di beni la quantificazione del

danno appare relativamente semplice, è di tutta evidenza che nel caso del recesso del

lavoratore questa quantificazione sia molto più complessa.

Un criterio ragionevole per la quantificazione del danno potrebbe essere il calcolo dei

costi di selezione e formazione necessari per sostituire il lavoratore, e quindi per

reintegrare l’organizzazione aziendale, chiaramente riproporzionati sulla percentuale

di periodo di stabilità già garantito.61

Va detto, però, che c’è una certa dose ineliminabile di discrezionalità nella

quantificazione del danno che espone le parti, ma soprattutto chi subisce il recesso

che ha l’onere della prova del danno subito, ad un giudizio non sempre in grado di

soddisfare le diverse esigenze.

Al fine di evitare questa alea, spesso nella redazione di queste clausole si inserisce

una clausola penale, così come da articolo 1382 del codice civile, che pattiziamente

quantifichi il danno legato all’evento inadempimento.

In questo caso la parte che subisce l’inadempimento non deve provare di aver subito

il danno, bensì deve richiedere semplicemente il pagamento della clausola penale.

Peraltro, resta ferma la facoltà del giudice di ridurre l’entità della penale ex articolo

1384 del codice civile se l’ammontare della penale è manifestamente eccessivo.

60 INZITARI B. in Istituzioni di Diritto Privato a cura di Mario Bessone, Giappichelli editore, Torino, 1996, 486;

61 ROTONDI F., Il contratto di lavoro subordinato ed i patti aggiuntivi: opportunità e vincoli, in Isper Edizioni 301, ottobre 2002, 22;

36

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In questo caso il giudice valuta sia l’interesse effettivo del creditore, sia l’effettiva

incidenza del recesso tenuto conto della delicatezza dell’incarico, della rilevanza

complessiva del compenso e della non agevole sostituzione del lavoratore.62

Naturalmente esula da un discorso sanzionatorio una risoluzione consensuale,

Cass.,sez. lav., 11 Giugno 1999, n. 5791, dal momento che non esiste un danno

legato ad un recesso unilaterale.63

62 ZOLI C., Clausole di fidelizzazione e rapporto di lavoro, in Riv. It. Dir. Lav., 2003, 458;63 Notiz. Giur. Lav., 1999, 640;

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