Tesina emissione acustica

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Politecnico di Torino I Facoltà di Ingegneria Corso di Plasticità e Frattura A.A. 2011/12

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Tesina del Corso di Plasticità e Frattura sulla tecnica delle Emissioni acustiche

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Politecnico di Torino

I Facoltà di Ingegneria

Corso di Plasticità e Frattura

A.A. 2011/12

Introduzione

Quando un solido è soggetto ad uno stress di una certa intensità, onde elastiche

impulsive sono generate al suo interno e possono essere rilevate attraverso un

trasduttore posto in contatto col solido stesso. Tale fenomeno, chiamato Emissione

Acustica (AcousticEmission - AE) o in alternativa onde di ”stress”, interessa una vasta

gamma di materiali come il metallo, la ceramica, la plastica ma anche cemento, vetro e

legno. Le onde elastiche generate coprono uno spettro in frequenza molto ampio, che va

dagli infrasuoni agli ultrasuoni. Un esempio familiare in cui il fenomeno può essere

udito anche dall’orecchio umano è il ”crack” del legname causato da tensioni interne,

o quando esso è soggetto a carichi ingenti che ne provocano la rottura. L’insorgenza di

tale fenomeno si riscontra in situazioni di svariata natura: deformazioni meccaniche e

fratture, trasformazioni di fase, corrosione, attrito, così come in processi di natura

magnetica.

L’analisi dell’emissione acustica come mezzo diagnostico per la caratterizzazione

dei materiali soggetti a sollecitazioni meccaniche ebbe un forte impulso durante gli

anni ’60, quando la disponibilità di idonea strumentazione scientifica e di trasduttori

sufficientemente sensibili permisero l’applicazione su larga scala di tali tecniche. Da

quel momento tali onde elastiche sono state ampiamente osservate in numerose

applicazioni, ed al termine Emissione Acustica è stato associato una normativa da parte

dell’ American Society for Testing and Materials (ASTM E 1316-99, ANSI/ASTM E

610-77).

Joseph Kaiser con i suoi collaboratori, nei primi anni ’50, è generalmente

accreditato di aver iniziato in modo sistematico la comprensione del fenomeno di AE;

sua è, ad esempio, l’osservazione che l’attività di AE non si ripresenta durante i

successivi cicli di carico di un materiale, fin quando non venga superata la precedente

soglia (effetto Kaiser).

1. Emissione acustica

La tecnica dell’Emissione Acustica appartiene al più generale ambito delle

diagnostiche non distruttive (NDT), ed è per questo che il termine Emissione Acustica o

AcousticEmission (AE), è generalmente utilizzato sia per ilfenomeno fisico, che per la

tecnica da esso derivata.Se all’interno di un solido si ha un repentino rilascio energetico,

a causa peresempio della crescita di una frattura, parte di tale energia viaggia sotto

forma di onde elastiche che si propagano nel solido verso la superficie. Qui esse

vengono rilevate da sensori posti sulla superficie del solido, ovvero trasduttori in grado

di convertire le onde elastiche in onde elettriche mediante dei cristalli piezoelettrici

posti al loro interno. Eventi rapidi e localizzati generano segnali acustici con spettro di

frequenza nel campodegli ultrasuoni, che possono essere misurati da trasduttori

elettromeccaniciposti sulla superficie del solido, a patto che il segnale sia di intensità

sufficiente. L’applicazione di questa tecnica è assai ampia, e riguarda tutti i sistemi che

simodificano nel tempo a causa di vari meccanismi, come crescita di difetti,diffusione di

fratture, usura, corrosione, deformazioni plastiche e inclusioni,oppure nei processi

meccanici di taglio come tornitura, fresatura, foraturaecc.Questa tecnica di indagine è

quindi candidata nelle applicazioni di monitoraggio di processi chimici o chimico-

fisici, oppure nel controllo dello stato distrutture edili, nel campo minerario e geologico,

in quello geofisico per lo studio della sismicità, nonchè nel controllo di qualità dei

processi di lavorazioneindustriali, oggetto della presente dissertazione, prova ne sia

l’impressionantemole di articoli scientifici su questo argomenti.

2. Sensori Piezoelettrici (PZT)

La maggior parte dei sensori utilizzati nelle misurazioni AE sono fatti di materiali

come la ceramica piezoelettrica. Questo tipo di sensore è risonante e quindi molto

sensibile alla sua frequenza di risonanza. Le ceramiche piezoelettriche sono i

responsabili dieffetti piezoelettrici diretti e inversi. Se i materiali sono sottoposti a forze

meccaniche, essi sviluppano cariche elettriche sulla loro superficie (effetto

piezoelettrico diretto); viceversa, se sottoposti ad un campo elettrico, esibiscono una

deformazione meccanica (effetto piezoelettrico inverso).I materiali piezoelettrici,

qualisale Rochellee il quarzo, sono da tempo noti come piezoelettrici monocristallini.

Tuttavia, queste sostanze hanno avuto una gamma di applicazioni relativamente limitata

dovuto principalmente alla scarsa stabilità dei cristalli di sale di Rochelle ed il limitato

grado di libertà delle caratteristiche del quarzo. Successivamente, l’utilizzo del titanato

di bario (BaTiO3) come ceramica piezoelettricaampliò il campo di

applicazionepertrasduttori ad ultrasuoni. Più recentemente l’avvento del piombo titanato

e lo zirconato di piombo (PbTiO3 PbZrO3), ha comportato un’elevata efficienza e

stabilità della trasformazione elettromeccanica (caratteristiche termiche incluse), di gran

lunga superiore alle sostanze esistenti. Questo ha notevolmente ampliato la gamma delle

applicazioni delle ceramiche piezoelettriche. Se confrontaticon altre sostanze

piezoelettriche, come BaTiO3 e PbTiO3 PbZrO3, queste presentano i seguenti

vantaggi:

- elevata efficienza di trasformazione elettromeccanica;

- elevata lavorabilità,

- elevato grado di libertà in caratteristiche di progettazione;

- elevata stabilità;

- economico, adatto alla produzione di massa.

3. Proprietà delle ceramiche piezoelettriche

La ceramica piezoelettricaè un dielettrico policristallino con costante dielettrica

elevata; questa viene formata da due processi: prima si ha una cottura ad alta

temperatura,dopo cottura, questo presenta la struttura caratteristica cristallina mostrato

nella fig. 1 (a), ma non presenta ancora le proprietà piezoelettriche perché i dipoli

elettrici interni ai cristalli sono orientati in modo casuale e il complessivo momento dei

dipoli viene annullato. Per fargli acquisire proprietà piezoelettriche il materiale

dev’essere polarizzato. Un campo elettrico in corrente continua di diversi kV/mm viene

applicato al pezzo di ceramica per allineare i dipoli elettrici interni secondo un unico

orientamento (vedi fig. 1 (b)). A causa delle forti proprietà dielettriche della ceramica, il

momento di dipolo rimane invariato dopo che il campo elettrico viene rimosso, e la

ceramica così esibisce una forte proprietà piezoelettrica (vedi fig. 1 (c)). Quando un

segnale in corrente alternata viene applicata allaceramica piezoelettricain una frequenza

corrispondente alla frequenza specifica elastica della ceramica (che dipende dalla forma

della materiale), la ceramica mostra risonanza. Poiché la ceramica possiede una elevata

efficienzaalla trasformazione elettromeccanica al punto di risonanza, molte applicazioni

vengono usate al punto di risonanza.

Inoltre, quando questa viene modellata in determinate forme, può avere più di un punto

di risonanza a seconda della modalità di vibrazione.

Le applicazioni dei prodotti dei piezoelettrici ceramici sono i seguenti :

- fonti di energia meccanica ( trasduttori elettrici- meccanici);

- sensori ( trasduttori elettrici- meccanici);

- componenti di circuiti elettrici (trasduttori).

4. Frequenza di risonanza e modi di vibrazione

Se una tensione alternata di frequenza variabile viene applicata ad una ceramica

piezoelettrica di una certa forma, si può vedere che vi è una specifica frequenza alla

quale la ceramica produce una vibrazione molto forte. Questa frequenza viene chiamato

la frequenza di risonanza,fr, e dipende dalla frequenza di vibrazione specifica elastica

della ceramica (risonanza), che è in funzione della forma del materiale. Le ceramiche

piezoelettriche presentano vari modi di vibrazione (modi di risonanza), che dipendono

dalla loro forma, orientamento di polarizzazione e la direzione del campo elettrico.

Ciascuno di questi modi di vibrazione ha un’ unica frequenza di risonanza.InFig. 2 sono

mostrati dei modi di vibrazione tipici in relazione alla Forme di materiali ceramici, la

frequenza di risonanza a ciascun modo di vibrazione, ed i simboli delle costanti del

materiale.

In Fig. 2, i simboli delle costanti piezoelettriche dei materiali hanno i seguenti

significati:

N: Costante di Frequenza

d: Costante di distorsione dielettrica

g: Coefficiente di tensione in uscita

k: Coefficiente di accoppiamento elettromeccanico

YE: Modulo di Young

εT: Costante dielettrica

5. Caratteristiche delle ceramiche piezoelettriche

Quando un materiale piezoelettrico viene sottoposto a delle sollecitazioni

meccaniche T, produce una polarizzazione P che è funzione lineare di T stessa:

P = dT

con d: costante di sforzo piezoelettrico.

Questo effetto è chiamato effetto piezoelettricodiretto.

Al contrario, quando ad un materiale piezoelettrico viene applicato un campo

elettrico attraverso i suoi elettrodi, produce una deformazione S che è, a sua volta,

funzione lineare di il campo elettrico:

S = dE

Questo effetto è chiamato effetto piezoelettrico inverso.

Per un materiale elastico, la relazione tra la deformazione S e la sollecitazione T è

data dunque da:

S = SET;

per materiale dielettrico, la relazione tra gli spostamenti elettrici D e l’intensità del

campo elettrico è data da:

D = eE.

Per una ceramica piezoelettrica, queste relazioni sono date dalle seguenti equazioni,

essendo entrambe associate alle costanti deformazione piezoelettrica:

Queste equazioni sono chiamate equazioni piezoelettriche di base (type d), dove il

campo elettrico E e lo spostamento elettrico D sono rappresentati come grandezze

vettoriali, laddove la sollecitazione T e la deformazione S sono dati in grandezze

tensoriali simmetriche. Quando la simmetria del cristallo viene presa in conto,

l’equazione 1 si semplifica poiché alcune costanti dell’equazione si annullano, mentre

altre diventano pari ad un terzo insieme di costanti.

Con le ceramiche piezoelettriche, quando gli assi di polarizzazione si trovano lungo

l’asse z (3) e due assi ortogonali arbitrari (i quali sono anche ortogonali all’asse z e

scelti come asse x (1) e y (2)), la struttura cristallina della ceramica può essere

rappresentata come quella di cristalli da 6mm, nel caso in cui gli unici coefficienti non-

nulli sono le dieci costanti seguenti:

Per esempio, le equazioni piezoelettriche di base per le vibrazioni longitudinali di

una striscia rettangolare di ceramica sono date dalle seguenti equazioni:

Una ceramica piezoelettrica può essere rappresentata attraverso un circuito

equivalente derivato dalle equazioni piezoelettriche di base rappresentando il suo

comportamento vibrante. Il circuito è chiamato circuito equivalente di Maison. Più in

generale, il circuito equivalente, così come è mostrato in Fig. 3, può essere utilizzato per

rappresentare una ceramica piezoelettrica.

In questo circuito equivalente, la frequenza di risonanza in serie fs, e la frequenza di

risonanza parallele fp sono date dalle seguenti equazioni:

Le costanti fs e fp sono necessarie per determinare il coefficiente di accoppiamento

elettromeccanico k.

A rigore, la frequenza di risonanza può essere definita nei tre modi seguenti:

1) La frequenza di risonanza in serie fs è quella del circuitoequivalente in serie

equivalente per un trasduttore ceramico piezoelettrico.

2) La più bassa frequenza di risonanza fr, la minore delle due frequenze,

quando l’ammettenza dell’elettrodo del trasduttore ceramico piezoelettrico è

in una fase nulla.

3) La massima frequenza di ammettenza fm dove l’ammettenza dell’elettrodo

del trasduttore ceramico piezoelettrico è massimizzata (impedenza

minimizzata).

Tuttavia, la differenza tra le tre frequenze, fs,fr, e fm, è così piccola da essere

considerata trascurabile. Nei casi pratici, pertanto, quando misuriamo la frequenza fm,

questa può essere chiamata frequenza di risonanza fr. Inoltre, la frequenza di

ammettenza minima fn può essere chiamata frequenza di antirisonanzafa.

La frequenza di risonanza fr può essere misurata con uno dei due circuiti seguenti

(vedi Fig. 4 e Fig. 5).

6. Metodo di misura attraverso un circuito a tensione

costante

Il circuito di misura di fr a tensione costante è illustrato in Fig. 4.

L’oscillatore Osc ed i resistori in entrata R1 ed R2 vengono utilizzati per applicare

un segnale a tensione costante al trasduttore ceramico piezoelettrico. Il passaggio di

corrente attraverso il trasduttore è misurato attraverso il resistore in uscita R2.

Se l’impedenza della ceramica piezoelettrica è molto più grande di R2, la lettura del

voltmetro è proporzionale all’ammettenza della stessa ceramica piezoelettrica. La

frequenza per cui la lettura del voltmetro è massima è la frequenza di risonanza fr, e la

frequenza per cui la lettura è minima è la frequenza di antirisonanzafa.

I resistori variabili Rv sono utilizzati per determinare la resistenza di risonanza R1,

necessaria per calcolare il Qm meccanico.

7. Metodo di misura attraverso un circuito a corrente

costante

Il circuito di misura di fr a tensione costante è illustrato in Fig. 5.

Il resistore R3 regola il passaggio di corrente attraverso la ceramica piezoelettrica.

Se R3 è molto più grande dell’impedenza del trasduttore, la lettura del voltmetro è

proporzionale all’impedenza della ceramica piezoelettrica. La frequenza per cui la

lettura del voltmetro è minima è la frequenza di risonanza fr, mentre la frequenza per

cui la lettura è massima è la frequenza di antirisonanza.

8. Localizzazione dei difetti tramite AE

La propagazione di una fessura viene considerata come un susseguirsi di step nei quali

si creano di volta in volta superfici di frattura molto limitate. Ogni avanzamento della

fessura è immaginato come una sorgente di AE che si può considerare puntiforme in

virtù dell’esigua estensione delle superfici di frattura ad ogni passo.

Nel processo di propagazione delle onde elastiche rilevate dai sensori, il solido viene

visto come un mezzo omogeneo e isotropo, da cui segue una propagazione rettilinea dei

fronti d’onda a velocità costante. Quest’ultima è stimata in modo ragionevole

considerando ad esempio che la formazione di fessure nel calcestruzzo è accompagnata

da onde meccaniche ultrasonore che viaggiano ad una velocità di 3500÷4500 m/s.

Le suddette considerazioni permettono di considerare i fronti d’onda come superfici

sferiche.

A seconda del solido preso in considerazione la tipologia di localizzazione dei difetti

può rivelarsi più o meno complessa e richiedere l’utilizzo di due o più sensori.

Localizzazione con due sensori:

La localizzazione di una sorgente mediante l’utilizzo di due sensori si rivela possibile

qualora il solido in esame presenti una dimensione dominante rispetto alle altre,

permettendo così di schematizzare il problema a unidimensionale. I sensori e la sorgente

verranno perciò immaginati come appartenenti allo stesso asse, coincidente con quello

del solido e il segnale emesso si muoverà lungo lo stesso alla velocità costante v.

Affinché la sorgente venga rilevata è altresì necessario che i sensori vengano posizionati

alle estremità del solido in modo che la sorgente sia sicuramente compresa tra le

posizioni degli stessi. In questo modo il problema è completamente risolto conoscendo

gli istanti di rilevamento del segnale da parte dei due sensori (t1 e t2) e le loro posizioni

(x1 e x2).

Scrivendo le equazioni del moto si ha infatti:

x – x1 = v (t1 – t0)

x2 – x = v (t2 – t0)

con t0 istante di emissione.

Risolvendo:

x = 0,5 (x2 + x1) – 0,5v (t2 – t1)

posizione della sorgente.

Se la sorgente non si trovasse al centro dei due sensori la sua posizione risulterebbe

funzione anche dell’istante di emissione t0 e la soluzione sarebbe di fatto indeterminata.

x – x2 = v (t2 – t0)

x – x1 = v (t1 – t0)

da cui

2x = 2( t1 + t2 – 2t0) + (x1 + x2)

Localizzazione con tre sensori:

Se il solido in questione è una lastra sottile piana, è possibile analizzare il problema in

due dimensioni. Si immaginano i sensori e la sorgente come appartenenti ad uno stesso

piano, entro il quale il segnale si propaga. La posizione di S è individuata da due

incognite. Per poter scrivere perciò due equazioni fra loro indipendenti è necessario

disporre di tre sensori. In tal modo si otterranno due informazioni di natura temporale,

ossia i ritardi relativi di due sensori rispetto al terzo preso come riferimento.

Il problema è impostato in coordinate polari (r,θ).

Considerando il triangolo S S1 S2:

r1 = (t1 – t0) v

r2 = (t2 – t0) v

e quindi

r2 – r1 = (t2 – t1) v = t21 v

con t21 differenza fra gli istanti di rilevamento dei sensori 1 e 2.

z = r1 sen(θ – θ 2)

Il triangolo rettangolo di lati z, r2 e r1 cos(θ – θ 2):

z2 = r2

2 – [r21 – r1 cos(θ – θ 2)]

2

r12 = r2

2 – r21

2 + r21 r1 cos (θ – θ 2)

sostituendo r2 = t21 v + r1

r1 = (r212 – t21

2 v

2) / 2 ( t21 v + r21 cos(θ – θ 2))

In modo analogo, considerando il triangolo S S1 S3

r3 – r1 = (t3 – t1) v = t31 v

r1 = (r312 – t31

2 v

2) / 2 ( t31 v + r31 cos(θ3 – θ))

Le due equazioni trovate nelle incognite r1 e , messe a sistema, consentono di

localizzare S.

Dal punto di vista geometrico la sorgente rappresenta l’intersezione tra due iperboli la

prima con fuochi in S1 e S2 e la seconda in S1 e S3.

Si ha infatti che è costante la differenza delle distanze di due sensori S1 e S2 da una

sorgente qualsiasi. Se al posto della sorgente S considerata pocanzi, si prendesse in

considerazione un’altra sorgente S’ si avrebbe:

r1’ = (t1 – t0’) v

r2’ = (t2 – t0’) v

con t0’ istante di emissione della sorgente S’.

Quindi:

r2’ – r1’ = (t2 – t1) v = t21 v = r2 – r1

Poiché l’iperbole è il luogo geometrico dei punti per i quali è costante la differenza delle

distanze da due punti fissi detti fuochi, ne consegue che i sensori rappresentano i fuochi

e la sorgente si troverà sicuramente nel ramo d’iperbole individuato dagli stessi.

Quindi all’atto pratico due sensori non risultano sufficienti a localizzarla ma solo ad

individuare il luogo geometrico dei punti cui appartiene.

E’ necessario posizionare un altro sensore S3 così da trovare un altro ramo d’iperbole

con fuochi in S1 e S3. L’intersezione dei due rami fornirà la posizione esatta di S.

Vi è inoltre la possibilità che l’iperbole sia doppia. In questo caso l’intersezione non è

unica e il problema va affrontato caso per caso in base alla geometria del sistema.

Localizzazione con quattro sensori:

Avendo a disposizione quattro sensori è possibile localizzare la sorgente nello spazio

tridimensionale. La posizione di S è individuata quindi da tre incognite x, y,z.

Si consideri la terna S S1 S2, si ha che:

d(S,S2) – d(S,S1) = r2 – r1 = v(t2 – t0) – v(t1 – t0) = v t21

ripetendo il ragionamento per le terne S S1 S3 e S S1 S4 e usando un sistema di

riferimento cartesiano le coordinate di S (x,y,z) sono soluzione del sistema:

– = v t21

= v t31

– = v t41

Dal sistema di tre equazioni si ricavano le tre incognite x,y e z.

Grazie alla linearità delle equazioni rispetto al caso precedente, la posizione di S è

determinata in modo univoco.

Localizzazione con cinque sensori:

Nell’ipotesi che una AE avvenuta in S all’istante t0 abbia colpito i cinque sensori, si

deducono le seguenti equazioni (ponendo ti = ti – t0, con i = 1,…,5)

v2( t1)

2 =

v2( t2)

2 =

v2( t3)

2 =

v2( t4)

2 =

v2( t5)

2 =

da cui, svolgendo i quadrati e sottraendo la prima dalle altre, si arriva ad un sistema

lineare nelle quattro incognite x,y,z e t1.

=

Con bj = (xj2 + yj

2 + zj

2) – (x1

2 – y1

2 – z1

2) – v

2 (tj – t1)

2, con j = 2,..,5.

Il sistema risolto determina la posizione (x,y,z) e l’istante di emissione t0 di S.

Per avere una soluzione univocamente determinata bisogna evitare di allineare tre

sensori o disporli in maniera complanare. Infatti se fossero ad esempio disposti tutti alla

medesima z, si avrebbe la terza colonna nulla e il sistema sarebbe soddisfatto per ogni

valore di quest’ultima.

Limiti del modello:

Il modello omogeneo e isotropo è un’approssimazione poiché nella realtà i fronti d’onda

non si propagano lungo raggi perfettamente rettilinei. Il cammino del raggio dalla

sorgente reale Sreale si discosta di conseguenza da quello del modello e non è quindi

possibile determinare l’esatta posizione della sorgente.

Questo approccio inoltre come visto, considera la velocità come una costante, fissata in

modo ragionevole all’inizio del problema. Una stima errata di come le onde si

propagano nel materiale può portare ad errori considerevoli.

Se anche poi fosse stata stimata correttamente, il modello ha comunque il limite di non

tenere conto in alcun modo di eventuali gradienti locali della velocità delle onde.

9. Localizzazione con il metodo dei minimi quadrati

Il metodo dei minimi quadrati è usato quando il numero di dati sperimentali non è

quello necessario e sufficiente per determinare geometricamente la soluzione del

problema, al crescere del numero dei dati cresce l’attendibilità della soluzione trovata.

Il tempo di arrivo ti di un’onda nel sito del sensore Si è pari allo somma dell’istante di

emissione to, il “tempo di volo” effettivo t e il contributo introdotto dagli errori di

misura. Il tempo ti è esprimibile mediante la seguente relazione:

dove si ricorda che s è la variabile curvilinea lungo la traiettoria effettiva del

raggio,generalmente non rettilinea.

Sia Ti il corrispettivo tempo di arrivo teorico dell’onda in Si; esso dipenderà di

parametri utilizzati dal modello teorico per descrivere il mezzo. Questo è espresso da :

dove è il tempo di volo teorico previsto dal modello.

In questa relazione, per descrivere la propagazione delle onde viene adottato il modello

teorico più semplice possibile, che è quello fondato sulle ipotesi di omogeneità e

isotropia del solido. In questo modello i parametri sono soltanto le coordinate della

sorgente di EA e la velocità di propagazione di EA. Quindi adesso è

e:

per adesso non sono noti:essi sono le incognite del problema.

Nel caso ideale, cioè in assenza di errori da cui sono affette le misure e se il modello

omogeneo e isotropo descrivesse esattamente la realtà,sarebbe e quindi da

quanto visto prima si ritroverebbe la relazione che lega le distanze

e le differenza fra i tempi di rilevamento

dove:

A causa degli inevitabili errori di natura sperimentale e di modellazione, ci sarà un

residuo,o errore, ei fra i valori rilevati sperimentalmente e i corrispondenti valori

teorici .

Il residuo è definito nel seguente modo:

dove N è il numero di sensori che hanno rilevato l’emissione della sorgente S.

La scelta che vien fatta è di stimare i parametri del modello con i valori che

minimizzano la somma dei quadrati dei residui ei, estesa agli N sensori che hanno

rilevato l’evento. L’ideo di minimizzare la somma dei quadrati dei residui sembra che

abbia avuto origine con L. Geiger attorno al 1910 allo scopo di localizzare gli ipocentri

dei terremoti). Quindi, prima di tutto, si esegue la somma:

La quantità ottenuta viene considerata come una funzione delle quattro variabili

. Dopodichè viene imposta la condizione di minimo per :

[2.9]

la soluzione contiene una stima non solo delle coordinate della sorgente

ma anche la velocità con cui le onde si sono propagate dalla sorgente ai sensori: questa

stima più realistica della velocità consenti di ridurre l’errore nella localizzazione Sreale

che comunque continua ad essere incognita.

In sostanza con questo metodo si continua a considerare il solido come localmente

omogeneo e isotropo, caratterizzato da un valore v che in qualche modo media le

proprietà del solido nella regione compresa fra i sensori e la sorgente. Quindi, in

generale, i valori trovati delle velocità relativi a sorgenti localizzate in punti differenti

del solido non sono gli stessi e possono essere utilizzati per caratterizzare il materiale

(zone caratterizzate da valori maggiori di v sono presumibilmente più compatte di

altre); la dispersione dei valori delle velocità così ottenuti può essere considerata una

misura di quanto il solido reale (in cui il campo della velocità ha evidentemente

gradiente ) si discosta dal modello omogeneo e isotropo.

La [2.9] rappresenta in forma compatta il seguente sistema di equazioni:

Questo sistema di equazioni può essere risolta impiegando metodi numerici, come il

metodo seguente, che può essere considerato l’estensione a funzioni di più variabili del

metodo delle tangenti (o di Newton) per trovare una radice di un’equazione non lineare.

Sia l’approssimazione iniziale della soluzione del problema, e si consideri lo

sviluppo di Taylor al primo ordine centrato in di

:

Lo sviluppo rappresenta la parte lineare di

in (in una direzione si parlerebbe

di retta tangente). A questo punto, si prende come nuova (e migliore) approssimazione

di il punto in cui si annulla. Quando si ha:

Risolto questo sistema lineare nelle quattro incognite (

), si trova così lo zero

di . Si riparte poi dal nuovo punto

, con la retta tangente, e si determina il

punto in cui essa si annulla;e così via.

Alla i-esima iterazione, il sistema consente di trovare le incognite utilizzando i valori

di

noti dalla iterazione precedente. In sostanza, ad ogni iterazione si linearizza

localmente il problema dei minimi quadrati: piuttosto che considerare la funzione

completa

, in cui le variabili compaiono in forma non lineare,si considera ad ogni

iterazione la funzione nella forma linearizzata. In questo modo si converge alla

soluzione di [2.9].

Si sottolinea ancora l’importanza delle scelta delle condizioni iniziali : il rischio è

quello di convergere su un minimo locale della funzione . Una scelta possibile,

peraltro non se ne conoscono di più ragionevoli, è quella di usare i valori ottenuti con

una delle tecniche descritte precedentemente.

Una difficoltà di natura numerica può nascere dal fatto che spesso la matrice (hessiana)

dei coefficienti del sistema [2.13] è quasi singolare, e il calcolo della sua inversa

potrebbe quindi non essere accurato. Un modo per risolvere questa difficoltà è scegliere

opportunamente le unità di misura delle grandezze in gioco (tempi e velocità);

effettuando cosi un rescaling degli elementi della matrice H, si può migliorare il numero

di condizionamento, che rappresenta la distanza relativa di H dall’insieme di tutte le

matrici singolari di ordine 4.

Un’altra strategia è quella di mantenere fissate ad ogni iterazione alcune componenti di

, ad esempio si potrebbe risolvere il sistema mantenendo fissa la velocità, e quindi

eliminare la quarta equazione. Ovviamente bisogna conoscere con buona stima la

velocità delle onde del materiale.

Un ulteriore strategia, alternativa al metodo di Newton, è il metodo di Cauchy, detto

anche di massima pendenza, che corrisponde alla scelta

La convergenza di questo metodo è più lenta, rilevante ai fini di una analisi dei dati che

deve essere eseguita in tempo reale. In compenso, esso è interpretabile come il metodo

di Newton in cui l’hessiana è sostituita dalla matrice identità I, la quale non crea

evidentemente i problemi che si possono verificare nel calcolo di H-1

.

10. Valutazione della fessurazione usando l’analisi del

b-value

10.1 La magnitudo

La magnitudo è la prima misura quantitativa dell’intensità di un terremoto. Sulla base

delle teorie sismiche per lo studio dei terremoti (Richter,1958), la magnitudine in

termini di tecniche di emissioni acustiche è definita in tal modo:

(eq. 1)

Dove:

- è l’ampiezza in microvolts

- è un fattore correttivo che tiene conto della diminuzione dell’ampiezza in

funzione della distanza r tra la sorgente e il sensore

La magnitudo è così un numero che caratterizza i fenomeni di emissione acustica ed è

indipendente dalla posizione dei sensori di registrazione.

Andando in particolare a considerare il calcestruzzo, in esso le attenuazioni di emissione

acustiche sono dovute alla dissipazione di energia di deformazione dovuti a processi di

natura irreversibile all’interno del materiale stesso e considerando una propagazione di

onde sferiche si può concludere nel ne fattore correttivo ci sono anche contributi

geometrici.

In accordo con Uomoto (1987), per strutture di grandi dimensioni, questo fattore

correttivo può essere assunto pari a , dove è una misura in metri e è

uguale a cinque magnitudo per metro.

10.2 Relazione frequenza – magnitudo

In sisimica, i terremoti di grande magnitudo si verificano meno frequentemente rispetto

quelli di piccola magnitudo. Questo può essere quantificato con una relazione

frequenza-amgnitudo, proposta in maniera sperimentale da Gutenberg e Richter (1958):

in alternativa (eq. 2)

Dove:

- N: numero di terremoti di magnitudo maggiore o uguale ad , in una area e in

un tempo specifici

- b e a: sono costanti positive

La precedente relazione ci dice che eventi di magnitudo sono volte più

frequenti di eventi di magnitudo , qualunque sia m. Tale proprietà della

relazione di Gutenberg-Richter è chiamata invarianza di scala.

Questa relazione di Gutenberg e Richter è stata testata successivamente al campo delle

emissioni acustiche (Sammonds et al.1994,Colombo et al.2003), che hanno confermato

la somiglianza tra la zona di processo in una struttura e l’attività sismica in una zona

della terra, allo stesso tempo, da un’ampia caratterizzazione dell’universalità della

relazione stessa.

In base a quanto detto, è possibile realizzare un diagramma che mette in relazione il

numero cumulativo di eventi di emissione acustica con magnitudo maggiore di m in

funzione di m; la lettura di un singolo sensore è trovata usando l’eq 1.

Assumendo che la magnitudo di un evento di emissione acustica e la fessura da cui ha

origine siano proporzionali, la pendenza negativa della distribuzione dell’ampiezza è

coerente con il modo in cui avviene il processo di fessurazione: formazione di molte

micro fessure, inizialmente distribuite e che si accumulano nella zona dove si formerà la

frattura, e ci sarà la propagazione della macrofessura. In accordo con le precedenti

assunzioni, la formazione di microfessure distribuite genera un largo numero di eventi

di piccola magnitudo, mentre la propagazione di macrofessure genera meno eventi ma

di maggiore magnitudo.

Queste osservazioni hanno suggerito ad alcuni autori (Colombo et al. Sammonds et al.)

un criterio per valutare i danni basato sull’analisi del b-value: quando il danno è

interamente caratterizzato dalla formazioni di microfessure, ci si aspetta un b-value alto,

mentre per la propagazione di macrofessure il b-value si prevede essere basso.

Da dei test eseguiti da Carpinteri et al. ,si vede una variazione del b-value sulla base

delle seguenti relazioni:

o

Dove D=2 per superfici, D=3 per volumi.

Questi risultati sono leggermente differenti da quelli ottenuti dai test eseguiti da

Colombo su travi in calcestruzzo armato che mostravano un sistematica variazione del

b-value con i diversi intervalli di crescita del danno:

- b>1.7 microfessure sono dominanti;

- 1.2<b<1.7 iniziano a formarsi le macrofessure;

- 1<b<1.2 le macrofessure tendono a creare la rottura.

In conclusione, questi test sul calcestruzzo hanno confermato che il b-value è correlato

con i livelli di localizzazione della frattura.

La tecnica di emissione acustica ha la potenzialità di effettuare un effettivo

monitoraggio dell’integrità di strutture di grande dimensione, per mezzo di un limitato

numero di sensori. Inoltre in aggiunta alla localizzazione della frattura, durante la fase

di carico del test è stato inoltre quantifica l’ammontare del danno nella struttura usando

la tecnica del b-value ,che è ben nota in sismica.