Tesi Campanaro
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ALMA MATER STUDIORUM – UNIVERSITA’ DI
BOLOGNA
SCUOLA DI ECONOMIA, MANAGEMENT E STATISTICA
Corso di Laurea in Economia Aziendale
LA RESPONSABILITÀ SOCIALE D’IMPRESA (RSI) E LA
STRATEGIA DELL’OCEANO AZZURRO
(Strategia d’impresa)
Presentata da: Relatore:
Michele Campanaro Prof.ssa Vincenza Odorici
0000695111
APPELLO SETTEMBRE 2016
ANNO ACCADEMICO 2015 / 2016
1. Introduzione
2. La strategia dell’oceano azzurro
2.1. Oceani rossi e oceani azzurri.
2.2. Il movimento strategico come unità basica di analisi delle performance
aziendali.
2.3. La logica strategica dell’innovazione in valore.
2.4. I tre livelli di non-consumatori.
2.5. L’etica delle strategie di oceani azzurri.
3. La Responsabilità Sociale d’Impresa
3.1. L’etica impresariale come fattore di necessità
3.2. L’evoluzione storica delle compagnie e la crescente necessità d’imprese “con
causa”.
3.3. Il consumo cosciente ed il consumatore socialmente cosciente.
3.4. La RSI e la teoria degli stakeholder.
3.5. La sostenibilità della strategia di oceano azzurro basata sulla proposizione di
personale.
4. Conclusioni
Bibliografia
Ringraziamenti
2
La Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI) e la Strategia dell’Oceano Azzurro.
1. Introduzione
W. Chan Kim è riconosciuto come uno tra i più grandi economisti e pensatori del nostro
tempo.
I premi da lui vinti, le nomine ricevute, la lunga lista di articoli e libri pubblicati a suo
nome dalle più importanti case editrici e testate giornalistiche del mondo testimoniano
che le sue idee hanno lasciato da tempo la dimensione teoretica, che caratterizza le
correnti di pensiero rivoluzionarie di nuova formulazione, laddove per “rivoluzionarie” si
intende quelle che costituiscono una rottura netta e visibile tra la visione del mondo che si
aveva prima e quella che si è assunta successivamente per evolversi - in pratica - nel
nuovo e universalmente riconosciuto paradigma di mercato inteso come “oceano rosso”
in quanto macchiato dal sangue delle vittime (le imprese) della concorrenza.
Nel 2005, la condivisione di giudizi di valore condusse il Prof. Chan Kim e la Prof.ssa R.
Mauborgne verso la formulazione del paradigma di “oceano azzurro”, contrapposto a
quello di “oceano rosso” e riferito a quello spazio sconosciuto del mercato, in cui le
imprese operano al fine di soddisfare la domanda dei (c.d.) “non-consumatori” e,
soprattutto, operano senza competere l’una contro l’altra.
Le imprese intrappolate all’interno di oceani rossi, sostengono i due docenti della
INSTEAD nel loro best-seller “Strategia di oceano azzurro”, seguono un approccio
strategico convenzionale fondato sulla competitività, ossia sull’instaurazione di barriere
che permettano di sopravvivere e di mantenere la propria posizione competitiva
all’interno dell’industria esistente.
I creatori di oceani azzurri, viceversa, proseguono i due studiosi, sorprendono perché non
utilizzano la competizione come benchmark : essi applicano una logica strategica
differente denominata “innovazione in valore”, che si focalizza su un diverso sistema di
valori che, a sua volta, permette alla compagnia di incidere favorevolmente sia sulla
propria struttura di costo che sulla proposta di valore per i clienti.
In questo senso, la “innovazione in valore” permette il superamento di uno dei più
comuni dogmi accettati dai creatori di strategie di oceani rossi: il trade-off tra valore e
costo.
Al fine di valutare le performance di un’impresa che persegue la realizzazione di un
oceano azzurro, l’unità basica di analisi deve essere il movimento strategico, ossia il set
di decisioni e di azioni manageriali implementate al fine di migliorare ed aumentare il
3
market-offering dell’azienda e di realizzare un salto significativo nella domanda
soddisfatta dei non-consumatori, cioè di quei soggetti che detengono un elevato
potenziale di acquisto latente.
I due autori del libro, negli undici capitoli che lo compongono, esplicano in maniera
dettagliata e specifica come pianificare e implementare una strategia che consenta di
realizzare un oceano azzurro.
Lo scopo è ottenibile attraverso la pratica di fair process, ossia procedure che permettono
di migliorare la qualità e la consistenza dell’esecuzione delle strategie stesse e di definire
una logica strategica che abbraccia l’intero sistema che circonda la compagnia, la quale
necessita di implementare movimenti strategici orientati anche verso l’ambiente
circostante e l’insieme dei suoi stakeholder, al fine di soddisfare la domanda dei
consumatori potenziali e, allo stesso tempo, realizzare l’obiettivo principale di
un’impresa, sancito anche dal codice civile, ossia l’impegno nella creazione di valore.
In questo senso, una compagnia, intesa come sistema, può massimizzare il proprio valore
ponendosi come obiettivo la massimizzazione dei benefici collettivi.
D’altronde anche M. Porter, riferendosi al problema della “obsolescenza concettuale”
delle imprese che ancora focalizzano la propria strategia verso la competizione e il
profitto nel breve periodo, avanza una proposta per cui: << il principio di creazione di
valore implica creare valore economico (per l’impresa) in modo tale che si crei valore
anche per la società >>.
In conformità a quanto detto finora, la ratio della presente relazione finale è illustrare
teoricamente le ragioni per cui il movimento strategico che permetterebbe alle imprese di
pianificare ed eseguire una strategia di oceano azzurro al fine di ottenere un salto
qualitativo in valore, che combini il successo corporativo con il progresso sociale,
potrebbe essere la “Responsabilità Sociale di Impresa” (RSI), intesa come inclusione
degli interessi degli stakeholder nella fase di formulazione della propria strategia
aziendale e come attuazione di una pratica quotidiana di politiche sociali, rivolte anche al
personale dell’azienda, al fine di implementare una strategia che risulti essere sostenibile
nel tempo e quindi di difficile imitazione per potenziali concorrenti pronti a macchiare
l’oceano di rosso.
4
2. La strategia dell’oceano azzurro
2.1. Oceani rossi ed oceani azzurri.
<< L’unico modo per sconfiggere la concorrenza è smettere di provare a sconfiggere
la concorrenza. >> (W. Chan Kim & R. Mauborgne, “Blue Ocean Strategy”, pag.4).
Questa affermazione utilizzata dal docente sud coreano e dalla docente statunitense
già nelle prime pagine del loro libro è emblematica rispetto al tema centrale che
viene affrontato nei successivi undici capitoli che compongono il best-seller intitolato
“Blue Ocean Strategy – How to Create Uncontested Market Space and Make the
Competition Irrelevant” 1 , nel quale troviamo un’analisi funzionale per lo studio, la
ricerca e la realizzazione sistematici di oceani azzurri.
Il Prof. Chan Kim e la Prof.ssa R. Mauborgne utilizzano come oggetto della loro
analisi il caso del canadese Cirque du Soleil che, invece di competere con gli altri
storici colossi nel mercato del circo itinerante come Ringling Bros. e Barnum &
Baily, decise di creare un nuovo spazio nel mercato all’interno del quale la
competizione fosse irrilevante e la compagnia circense fosse in grado di raggiungere
una posizione di leader indiscusso, attraverso la soddisfazione di nuovi bisogni per
diversi gruppi di consumatori (non solamente rivolto al audience degli spettacoli
circensi, ma anche gli abituali spettatori di opere teatrali), non più disposti ad
assistere a spettacoli banali, pre-confezionati, che includessero, peraltro, lo
sfruttamento di animali e la loro carcerazione oltre al loro maltrattamento.
A significare questo cambiamento, una delle prime performance rappresentate dal
Cirque du Soleil fu intitolata “We reinvent the Circus” 2 .
Un presupposto per l’analisi condotta dai due docenti della INSEAD 3 è la
declinazione del significato di “oceano rosso”, che rappresenta tutti i settori di
industria oggi esistenti: oceani rossi sono, infatti, tutti gli spazi conosciuti del
mercato, delimitati da confini definiti ed universalmente accettati, nei quali le regole
della competizione sono, anch’esse, conosciute ed accettate.
All’interno di queste industrie, le compagnie provano a superare la concorrenza al
1 “Blue Ocean Strategy – How to Create Uncontested Market Space and Make the Competition Irrelevant”, W. Chan Kim & R. Mauborge, Harvard Business ReviewPress, 2005 2 “Reinventiamo il circo” 3 Institut Européen d'Administration des Affaire (Fontainebleau, Francia)
5
fine di ottenere un maggiore market-share e, quindi, di catturare una crescente
porzione della domanda esistente.
Il focus predominante delle strategie formulate durante gli ultimi trent’anni è sempre
stato indirizzato verso la competizione tra imprese e, per questo, possono essere
definite “strategie di oceani rossi”.
In questo modo, molte imprese si sono trovate a dover affrontare lo stesso paradosso:
più le compagnie focalizzavano le proprie strategie al fine di battere la competizione,
più le imprese, ironicamente, tendevano ad assomigliare l’un l’altra.
Quindi, la prospettiva di riduzione dei profitti e della crescita di valore delle imprese
che operano in mercati ormai saturi, nei quali i beni ed i servizi di consumo che
precedentemente erano considerati necessità sono ormai diventati commodities,
macchia i mercati di rosso come il sangue delle imprese decedute a causa della
incontenibile competizione.
Le performance strategiche diventano dei giochi a “somma zero” nei quali la vittoria
di una compagnia si costruisce sulla sconfitta di un'altra.
Le “strategie di oceani azzurri”, al contrario, sostengono i due docenti, permettono ad
un’impresa di modellare a proprio favore le dimensioni dell’industria esistente al fine
di creare un nuovo spazio all’interno del mercato che vada oltre i limiti esistenti.
Sono definiti “oceani azzurri”, infatti, tutti gli (c.d.) spazi sconosciuti di mercato, per
i quali i limiti e i confini non sono definiti e che, per questo, possono essere costruiti
sulla base delle azioni e delle volontà delle imprese, andando al di là dei confini
esistenti degli oceani rossi.
All’interno degli oceani azzurri la competizione è irrilevante perché le regole del
gioco sono da definire.
Per questo motivo, gli oceani azzurri sono caratterizzati da elevate opportunità sia in
termini di creazione di valore per le imprese e di nuova domanda da parte dei
consumatori, sia per quanto attiene la crescita dei profitti e la formulazione di
strategie che permettano di perfezionare in maniera sostenibile le performance
aziendali.
2.2. Il movimento strategico come unità basica di analisi delle performance
aziendali.
Anche se il termine “oceano azzurro” è di nuova formulazione, la sua esistenza non
lo è.
6
Rivolgendo l’attenzione verso il passato, è facile riconoscere una moltitudine di
nuove industrie che sono state create o business esistenti che sono stati riorganizzati
e/o rinnovati: e-commerce, biotecnologie, servizi telefonici, networking devices,
offerte per voli last-minute e compagnie di trasporti low-cost. Girando le lancette
dell’orologio indietro di soli trent’anni, nessuna di queste industrie era esistente.
Questo particolare storico risulta essere funzionale per definire le modalità attraverso
le quali un’impresa possa uscire definitivamente da un mercato macchiato di rosso
dalla competizione e creare un oceano azzurro, perché mina la credibilità della tesi
della letteratura contemporanea secondo cui la unità basica di analisi delle
performance di un’impresa sia l’impresa stessa.
Come illustrato nel libro “Creative Destruction” 4, una larga parte del successo delle
imprese negli ultimi trent’anni è il risultato di performance elevate dell’industria o
settore in cui queste operano, più che delle prestazioni della compagnia stessa.
Inoltre, l’assenza di imprese che abbiano un perpetuo ed elevato livello di risultati
dovuti alla loro attività caratteristica e la assenza di imprese che siano brillanti,
innovative e ben gestite in ogni istante della loro esistenza lascia intendere che la
compagnia, a causa della assenza di costanza strutturale, non possa essere
un’appropriata unità basica di analisi al fine di esplorare dalle radici le ragioni
attraverso le quali realizzare elevate prestazioni e raggiungere un oceano azzurro.
A ciò si aggiunga che, per quanto detto precedentemente, la storia mostra come le
industrie vengono create e sono costantemente in espansione, in quanto le condizioni
e i limiti di queste non possono essere date, ma vengono attualizzate
appropriatamente, in considerazione degli interessi in campo, dagli attori in gioco.
Coerentemente con le osservazioni esposte fino ad ora, lo studio degli oceani azzurri
condotto dal Prof. Chan Kim e dalla Prof.ssa Mauborgne individua l’unità basica di
analisi delle performance di un’impresa nel movimento strategico, ossia nel set di
decisioni strategiche e di azioni manageriali implementate al fine di migliorare ed
aumentare il market-offering dell’azienda e di realizzare un salto significativo nella
domanda soddisfatta.
Al fine di avvalorare ulteriormente tale tesi, la ricerca condotta dal docente sud
coreano e dalla docente statunitense, avente ad oggetto più di centocinquanta
movimenti strategici attuati tra il 1880 e il 2000 da aziende appartenenti a più di 4 “Creative Destruction: Why Companies That Are Built to Last Underperform the Market – And How To Successfully Transform Them”, Richard N. Foster & Sarah Kaplan, 2001
7
trenta industrie differenti, ha dimostrato che la creazione di oceani blu è stata
realizzata da aziende di piccole e grandi dimensioni, i cui manager erano
indistintamente giovani o esperti, a prescindere dal fatto che le imprese fossero,
anch’esse, giovani o antiche, operanti sia in industrie attrattive sia in industrie per cui
si registrava una perdita costante di appeal per i consumatori, operanti tanto nel
settore pubblico quanto in quello privato.
In senso stretto, tale ricerca ha portato alla luce il risultato secondo cui ciò che
distingue i vincitori dai perdenti - nella fase di creazione di oceani azzurri - è
l’approccio alla strategia e non le caratteristiche organizzative della impresa né
dell’industria.
2.3. La logica strategica dell’innovazione in valore.
Le imprese intrappolate all’interno di oceani rossi seguono un approccio strategico
convenzionale fondato sulla competitività, ossia sull’instaurazione di barriere che
permettano di sopravvivere e di mantenere la propria posizione competitiva
all’interno dell’industria esistente.
I creatori di oceani azzurri, viceversa, sorprendono perché non utilizzano la
competizione come benchmark: essi applicano una logica strategica differente
denominata “innovazione in valore”.
Innovazione in valore significa che l’insieme di decisioni strategiche e di azioni
manageriali non sono rivolte verso la competizione ma sono indirizzate a renderla
irrilevante, realizzando simultaneamente un salto in valore per i consumatori e per la
impresa.
La creazione di oceani azzurri, quindi, richiede l’allineamento dell’utilità, della
struttura dei prezzi e della struttura dei costi dell’impresa con l’utilità che i
consumatori realizzano attraverso la soddisfazione dei propri bisogni.
Il “valore” senza “innovazione” tende a focalizzarsi sulla creazione di valore per le
imprese attraverso l’incremento di economie di scala: l’aumento della scala di
produzione (correlata alla dimensione di un impianto) e la conseguente riduzione del
costo unitario di produzione non permettono, però, all’impresa di differenziare la
propria market-offering risultando, quindi, inefficace al fine di ridimensionare i
confini dei mercati concorrenziali e creare un oceano azzurro. D’altro canto, la
“innovazione” senza “valore” conduce l’impresa ad essere leader nelle tecnologie le
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quali, spesso, immesse nel mercato, risultano essere troppo futuristiche rispetto a
quanto i consumatori sono disposti ad accettare e pagare.
In questo senso, la “innovazione in valore”, che si realizza solamente quando le
compagnie allineano l’innovazione con l’utilità, il prezzo e il posizionamento di
costo, realizzando un salto in valore sia per l’impresa stessa sia per i consumatori,
permette il superamento di uno dei più comuni dogmi accettati dai creatori di
strategie di oceani rossi: il trade-off tra valore e costo.
Convenzionalmente si crede che un’impresa debba strategicamente eleggere se
creare grande valore per i consumatori ad un prezzo elevato oppure ridimensionare il
valore per i consumatori e, allo stesso tempo, ridurre i costi.
In contrasto con questa convenzione, coloro i quali si indirizzano verso la ricerca di
nuovi spazi all’interno del mercato e verso la creazione di oceani azzurri, per mezzo
della logica strategica della innovazione in valore, perseguono simultaneamente la
differenziazione e il basso costo.
2.4. I tre livelli di non-consumatori.
<< Affinché si abbia innovazione in valore – scrivono il Prof. Chan Kim e la
Prof.ssa Mauborgne a pagina 17-18 del best-seller “Blue Ocean Strategy” – le
compagnie devono indirizzare tutto il loro sistema verso l’obiettivo di realizzare un
salto qualitativo in valore tanto per i consumatori quanto per le imprese stesse >> .
La chiave di volta proposta dal Prof. Chan Kim e dalla Prof.ssa R. Mauborgne, al
fine di massimizzare le dimensioni dell’oceano azzurro che un’impresa cerca di
creare, è andare oltre la domanda esistente per concentrarsi sui bisogni dei non-
consumatori in modo, così facendo, da rivolgere la propria attenzione verso la ricerca
di validi punti in comune capaci di soddisfare i bisogni della massa di consumatori
“potenziali”, che altrimenti appare ridimensionata a causa della poca attenzione che
le imprese invischiate in oceani rossi rivolgono alla soddisfazione delle esigenze dei
non-consumatori, anche se l’universo di questi tipicamente offre enormi opportunità
di profitto.
Al fine di convertire questo trend e trasformare la domanda latente in nuovi
consumatori, è necessario distinguere tre diversi livelli di non-consumatori, che si
diversificano per la distanza relativa rispetto il mercato oggetto di analisi.
Il primo livello di non-consumatori (c.d. “soon-to-be noncustomers”) è il più vicino
al mercato. Vi fanno parte coloro i quali stagnano sul confine del mercato: sono
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consumatori ma comprano in quantità minime e indispensabili ciò che l’industria
offre e per questo motivo si considerano “mentalmente” non-consumatori del
mercato e, in considerazione di ciò, sono in attesa di abbandonarlo definitivamente
nel momento in cui una migliore opportunità si presenti. Comunque, se fosse loro
proposta un’innovazione in valore, non solo resterebbero ma diventerebbero
consumatori abituali, sbloccando il loro enorme e latente potenziale di acquisto.
Il secondo livello di non-consumatori (c.d. “refusing noncustomers”) comprende
tutti coloro i quali abbiano rifiutato l’offerta del mercato esistente al fine di
soddisfare i propri bisogni. Questi sono, generalmente, consumatori di beni e servizi
alternativi a quelli offerti, che coscientemente hanno valutato negativamente la
proposta dell’industria in considerazione.
Infine, il terzo livello di non-consumatori (c.d. “unexplored noncustomers”) è
costituito dai più lontani dal mercato in quanto, a causa della totale assenza di
un’offerta adeguata, da parte delle imprese, di beni e servizi efficaci a soddisfare i
loro bisogni, non hanno mai valutato la market-offering come un’opzione.
2.5. L’etica delle strategie di oceani azzurri.
I due autori del libro, negli undici capitoli che lo compongono, esplicano in maniera
dettagliata e specifica come pianificare e implementare una strategia che permetta di
realizzare un oceano azzurro: non si tratta del tipico “step-by-step model”, che
descrive gli specifici passi che un’impresa deve compiere al fine di formulare ed
eseguire una strategia per ottenere performance elevate; la teoria degli oceani azzurri
introduce un modello che mostra come le compagnie possano evitare il rischio di
cadere nella trappola della competizione e realizzare un’innovazione in valore,
facendo prendere coscienza alle imprese della loro latente abilità di creare
sistematicamente nuovi spazi all’interno del mercato.
Per fare ciò, le strategie di oceani azzurri congiungono l’analisi tecnica con il fattore
umano di un’impresa, ponendo attenzione verso l’allineamento della mente e del
cuore delle persone con la nuova strategia, affinché queste possano accoglierla di
proprio comune accordo e implementarla per mezzo di volontaria cooperazione.
Come la teoria degli oceani azzurri mostra, continuano il Prof. Chan Kim e la
Prof.ssa Mauborgne, le strategie devono essere implementate attraverso la pratica di
fair process, ossia procedure che permettono di migliorare la qualità e la consistenza
dell’esecuzione delle strategie e di definire una logica strategica che abbraccia
10
l’intero sistema che circonda la compagnia, la quale necessita di implementare
movimenti strategici orientati anche verso l’ambiente circostante e l’insieme dei suoi
stakeholder.
Al fine di implementare una strategia di oceano azzurro, quindi, non solamente è
richiesto il superamento del dogma sulla competitività come benchmark, ma è anche
richiesta l’attuazione di comportamenti etici come base fondamentale per
l’inclusione del capitale intangibile all’interno delle pratiche impresariali: la fiducia,
l’impegno e la cooperazione volontaria, infatti, non sono semplici attitudini o
comportamenti, ma permettono alle organizzazioni di implementare in maniera più
efficiente le strategie aziendali.
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3. La Responsabilità Sociale d’Impresa
3.1. L’etica impresariale come fattore di necessità
La necessità di maggior etica nel mondo cresce giorno dopo giorno.
Le scoperte scientifiche-tecnologiche hanno permesso un enorme salto negli ultimi
decenni.
I progressi in settori come quelli della nanotecnologia, la biotecnologia, la micro-
elettrica, l’informatica, la robotica, la genetica e molti altri hanno migliorato le
possibilità, le condizioni e le prospettive di vita future sul nostro pianeta ormai
abitato da oltre sette miliardi di persone. Ma non per tutti.
Il tanto auspicato salto qualitativo dello stile e delle condizioni di vita, tuttavia, a
livello globale, non è ancora avvenuto: un miliardo di persone soffrono la fame,
novecento milioni di persone non hanno acqua potabile, due miliardi e mezzo di
persone non hanno una copertura sanitaria, un miliardo e mezzo di persone non
hanno a disposizione la energia elettrica, e questi sono solo alcuni dei drammi che
l’umanità sta affrontando.
La OIL 5 afferma, in un rapporto pubblicato il 19/1/2016 a Ginevra, che il
rallentamento dell'economia ha generato un nuovo aumento della disoccupazione nel
mondo: nel 2015, colpiva 197 milioni di persone, quasi un milione in più rispetto
all'anno precedente e 27 milioni in più rispetto al periodo prima della crisi. Secondo
le ultime proiezioni - aggiunge - il numero di disoccupati nel mondo dovrebbe inoltre
aumentare di quasi 2,3 milioni nel 2016. Ulteriori 1,1 milioni di disoccupati si
aggiungeranno nel 2017.
La popolazione percepisce che una parte importante del divario - tra i tanto positivi
progressi della scienza e della tecnologia e la vita quotidiana - ha a che vedere con la
mancanza di etica.
La gente esige sempre più che i leader politici siano esempi di moralità, che le
politiche pubbliche apportino una maggiore attenzione verso la soluzione dei drammi
umani, che la corruzione venga eliminata e che aumenti la trasparenza riguardo le
dinamiche sociali. Oggi però, non si chiede etica solamente alla politica, ai Governi,
ma anche a un altro attore fondamentale dell’attuale sistema economico mondiale:
oggi si chiede etica all’impresa.
5 Organizzazione Internazionale del Lavoro
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Le ragioni di tale reclamo trovano le proprie radici nella realtà in cui, si stima, meno
di mille imprese detengano attualmente la metà di tutte le azioni (e quindi il valore)
dei mercati globali.
Con questo elevato livello di concentrazione oligarchico del potere economico, le
decisioni dei pochi risultano essere centrali per la determinazione delle condizioni di
vita di molti settori del genere umano; quindi, se queste decisioni fossero prese per
mezzo di criteri di responsabilità collettiva e di etica, il risultato sarebbe molto
distinto rispetto allo scenario, tutt’altro che inconsistente, in cui le decisioni si
prendono puntando solamente alla massimizzazione dei benefici di breve termine.
3.2. L’evoluzione storica delle compagnie e la crescente necessità d’imprese “con
causa”.
<< Un sistema che lavora per il beneficio collettivo – disse J. M. Keynes con circa
settanta anni di anticipo rispetto la pubblicazione della teoria degli oceani azzurri -
tende anche a massimizzare i benefici individuali >>.
Il significato di questa citazione è che una compagnia, intesa come sistema, può
massimizzare il proprio valore ponendosi come obiettivo la massimizzazione dei
benefici collettivi.
D’altronde anche M. Porter, riferendosi al problema della “obsolescenza concettuale”
delle imprese che ancora focalizzano la propria strategia sulla competizione ed il
profitto nel breve periodo, avanza una proposta per cui: << il principio di creazione
di valore implica creare valore economico (per l’impresa) in modo tale che si crei
valore anche per la società >>.
In conformità a quanto detto finora, il movimento strategico che permetterebbe alle
imprese di pianificare ed eseguire una strategia di oceano azzurro al fine di ottenere
un salto qualitativo in valore, che combini il successo corporativo con il progresso
sociale, potrebbe essere quindi la “Responsabilità Sociale di Impresa” (RSI) che,
come ricorda l’economista argentino B. Kliksberg a pagina 18 del suo libro intitolato
“Etica per impresari” 6 , << può essere un’operazione di marketing, ma può anche
essere una politica della impresa >>. Durante gli ultimi cinquant’anni c’è stata
un’evoluzione nel concetto d’impresa, nel quale è possibile distinguerne tre tappe
6 “Ética Para Empresarios : Por qué las empresas y los países ganan con la Responsabilidad Social Empresarial”, B. Kliksberg, Ediciones Etica y Economica, 2013
13
principali: quella “egoistica”, quella “filantropica” e quella “con elevata
responsabilità sociale”.
Nella maggior parte dei decenni passati, il predominio fu dell’impresa “egoista”. In
considerazione al pensiero allora predominante in tutto il mondo - di formulazione
del Prof. Friedman, docente fondatore della corrente di pensiero filo-economica della
“Scuola di Chicago” - la preoccupazione esclusiva dell’impesa era la
massimizzazione del profitto nella maniera più efficiente possibile; l’unica
responsabilità che le corrispondeva era, quindi, tenere conto degli interessi dei soli
azionisti (c.d. shareholder).
A causa di pressioni storiche-sociali, l’impresa subì un primo cambiamento con
riguardo agli interessi cui questa doveva tenere conto durante la fase di
pianificazione della propria strategia: assunse sempre più forza il concetto d’impresa
“filantropica” e crebbe sempre più il numero di compagnie con causa specifica nei
diversi settori sociali, il che portò anche alla formulazione della teoria degli
stakeholder. Si produsse un’inversione di marcia nel pensiero ormai diffusosi nei
decenni precedenti: l’impresa cominciava ad avere l’obbligazione morale di tenere
conto di tutti gli interessi coinvolti dalla propria attività produttiva e dalle azioni
derivanti da questa.
Oggi giorno, gli stessi attori che circondano l’impresa richiedono che questa vada
oltre la semplice distinzione tra impresa con o senza obbligo morale, chiedendo che
questa produca una reale rottura paradigmatica con la visione anteriore e che si
trasformi nell’impresa “con elevata responsabilità sociale”. Questa visione richiede
non solamente l’inclusione degli interessi degli stakeholder nella fase di
formulazione della propria strategia aziendale, ma anche: l’attuazione di una pratica
quotidiana di politiche del personale che ne rispettino i diritti e ne favoriscano lo
sviluppo; la realizzazione di trasparenza e buon governo corporativo; la garanzia di
correttezza nei confronti del consumatore; la protezione del medio ambiente e la
costante integrazione del “codice etico”. Il tutto al fine di volgere la propria
attenzione rispetto ai grandi temi sociali di attuale interesse e discussione.
3.3. Il consumo cosciente ed il consumatore socialmente cosciente.
L’evoluzione storica delle imprese lascia intendere che, nel tempo, il cambiamento
dei caratteri fondamentali e tipici delle compagnie sia stato voluto principalmente da
una necessità dei consumatori di responsabilità sociale da parte delle imprese, più
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che da necessità materiali: in un mondo ormai saturo di beni e servizi, nel quale i
mercati offrono tutto ciò di cui si ha bisogno al fine di soddisfare le necessità
correnti, una larga parte dei non-consumatori è tale, quindi, perché ciò di cui si
sentono ancora privi - il che li rende una forza di acquisto latente - è la inclusione, da
parte delle stesse imprese, di responsabilità rivolta a temi sociali.
È possibile, perciò, definire i “consumatori socialmente coscienti” alla stessa stregua
dei non-consumatori, così come descritti dal Prof. Chan Kim e la Prof.ssa
Mauborgne, e individuarli in uno dei tre livelli esistenti in considerazione della loro
distanza relativa al mercato di riferimento.
L’implicazione degli interessi degli impiegati, dei consumatori, dei clienti,
dell’opinione pubblica, del Governo, dei mass-media e della società civile - oltre a
quelli degli azionisti - permetterebbe, quindi, all’impresa socialmente responsabile di
ridimensionare i confini dei mercati nei quali le imprese sono occupate, uscendo
dagli oceani rossi in cui sono invischiate e creando oceani azzurri, con ciò
soddisfacendo la domanda latente dei consumatori socialmente coscienti.
Tale prospettiva è anche rafforzata dall’indagine 7 annualmente svolta dalla Nielsen
International che, attraverso la rete, raccoglie le opinioni di oltre trentamila persone
di sessanta paesi differenti, al fine di ottenere un quadro generale riguardo il livello
di importanza che i consumatori attribuiscono, nel momento dell’acquisto, alla
responsabilità sociale attuata dalle imprese.
Un dato molto confortante, che è risultato al termine della analisi dei dati raccolti
attraverso l’indagine svolta tra il 2013 ed il 2014, è il crescente numero di
“consumatori socialmente coscienti”.
Attraverso l’indagine, è stato chiesto ai consumatori se preferissero o meno
acquistare prodotti e servizi forniti da imprese che “devolvono” alla società: due terzi
- tra coloro i quali hanno risposto - hanno affermato che, effettivamente, lo
preferiscono.
Con la stessa indagine, è stata posta anche una seconda domanda, in grado di svelare
il livello di compromissione con il tema: è stato chiesto ai consumatori se fossero
disposti a pagare extra per questi prodotti. Nonostante la crisi economica
imperversante, una percentuale molto alta (55%) ha risposto di essere disposta a
farlo. Infatti, il 52% degli intervistati ha affermato di aver acquistato almeno un 7 I dati presi in considerazione risalgono all’indagine i cui risultati sono stati pubblicati in Luglio 2014.
15
prodotto offerto da un’impresa socialmente responsabile negli ultimi sei mesi; e
sempre il 52% degli intervistati, ha affermato, inoltre, di avere come abitudine quella
di controllare le etichette dei prodotti, per assicurarsi che i packaging siano in regola
con le norme di riciclaggio e impatto sostenibile sull’ambiente.
Sempre riguardo l’interesse ed il grado di compromissione rivolto alla RSI, il 67%
degli intervistati ha risposto di preferire di lavorare per un’impresa socialmente
responsabile e il 49% di questi ha evidenziato di essere già coinvolto, come volontari
o donatori, in organizzazioni che implementano programmi rivolti verso la
responsabilità sociale ed ambientale.
L’inchiesta svolta dalla Nielsen International rimarca un altro dato importante dal
punto di vista manageriale: il “consumo cosciente” predomina nettamente tra i
giovani. Il 63% degli intervistati che sono risultati corrispondenti al profilo del
consumatore socialmente cosciente aveva meno di 40 anni, a dimostrazione del fatto
che, implementare la responsabilità sociale d’impresa come movimento strategico al
fine di ottenere un oceano azzurro, non solamente permetterebbe di soddisfare la
attuale domanda latente dei consumatori socialmente coscienti, ma risulterebbe
efficace anche al fine di definire una strategia lungimirante, evadendo il rischio di
miopia della programmazione impresariale.
3.4. La RSI e la teoria degli stakeholder.
La creazione di un oceano azzurro non concerne solamente la soddisfazione della
domanda latente dei non-consumatori attraverso la creazione di valore per questi, per
mezzo della nuova e/o più ampia market-offering, ma riguarda anche la creazione di
valore per l’impresa stessa.
L’implementazione della responsabilità sociale come strategia per l’impresa permette
a questa di ottenere risultati tutti molto concreti attraverso la soddisfazione della
domanda latente, e le diverse dimensioni di RSI si ripercuotono favorevolmente
anche sulla gestione dell’azienda.
Obiettivo principale di un’impresa, sancito anche dal codice civile, è l’impegno nella
creazione di valore.
In molte imprese, gli imprenditori o i manager sono portati ad accrescere vendite e
profitti, guardando ad un orizzonte temporale breve. I sostenitori di tale approccio
argomentano che gran parte della ricerca condotta in economia e finanza mostra
come, in assenza di esternalità e monopoli (con tutti i beni che hanno un prezzo nei
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diversi Stati del mondo), il benessere sociale sia massimizzato quando
ciascun’impresa presente nel sistema economico massimizza il proprio valore di
mercato.
L’economista M. C. Jensen, nel suo articolo “Value Maximization, Stakeholder
Theory, and the Corporate Objective Function” 8 , per superare tale apparente
“inconciliabilità” tra interessi degli azionisti e quelli di tutti gli altri soggetti i cui
interessi sono coinvolti (più o meno direttamente) nei risultati dell’attività aziendale,
ha introdotto il concetto della (c.d.) “enlightened value maximization” e della
corrispondente “enlightened stakeholder theory”.
L’approccio proposto parte dalla preliminare considerazione che l’obiettivo sintetico
(e misurabile) di riferimento del management deve rimanere la massimizzazione del
valore di mercato di lungo periodo per l’impresa; la novità introdotta sta, invece,
nell’esplicito riconoscimento dell’importanza delle constituencies dell’impresa.
In particolare, si sottolinea come la massimizzazione della creazione di valore non
può essere ottenuta se si ignorano o si misurano in maniera inappropriata gli interessi
dei diversi stakeholder.
In tale quadro, perciò, investire parte delle risorse nelle relazioni con i portatori
d’interessi diviene condizione vincolante per garantire creazione di valore per
l’impresa nel suo complesso, e quindi anche per gli stessi azionisti, in un’ottica di
crescita sostenibile e rinnovabile nel tempo.
Si diffonde in questo modo quello che oggi viene chiamato uso “strumentale” della
responsabilità sociale d’impresa e della teoria degli stakeholder, con il conseguente
fenomeno di moltiplicazione delle definizioni.
È possibile affermare, in uno sforzo di semplificazione, che l’attuale molteplicità di
significati attribuiti al concetto di RSI dipenda in primo luogo dal fatto che viene
spesso impiegato secondo due punti di vista complementari, ma non coincidenti: per
alcuni commentatori, rispondere quale sia la responsabilità sociale dell’impresa
significa interrogarsi sulla natura e l’obiettivo dell’istituzione all’interno del sistema
economico; per altri, significa interrogarsi su quali siano gli atti specifici che
un’impresa deve compiere per essere “responsabile”.
8 “Value Maximization, Stakeholder Theory, and the Corporate Objective Function”, M. C. Jensen, Philosophy Documentation Center, 2012
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3.5. La sostenibilità della strategia di oceano azzurro basata sulla proposizione di
personale.
Nell’identificazione convenzionale degli atti specifici e dei comportamenti ritenuti
responsabili, che abbiano come conseguenza diretta una ripercussione positiva sulle
performance dell’impresa, rientra il coinvolgimento dei lavoratori all’interno dei
processi aziendali e il loro livello di compromissione nella realizzazione del fine
d’impresa, cosa che risulta essere, anche, un fattore fondamentale per la sostenibilità
nel tempo della strategia dell’impresa.
I risultati dell’indagine 9 comparativa svolta dalla Society for Human Resource
Management (SHRM), tra le imprese che avevano implementato programmi rivolti
alla responsabilità sociale con altre che non lo avevano fatto o che avevano
implementato strategie “deboli” dal punto di vista della sostenibilità, hanno
evidenziato che, nelle imprese con causa, il morale dell’ambiente lavorativo era il
55% superiore, i processi produttivi erano il 43% più efficienti, l’immagine pubblica
era il 43% migliore e la lealtà degli impiegati il 38% più elevata.
Secondo successive analisi e valutazioni, le imprese con personale altamente
compromesso con i fini aziendali sono in grado di realizzare un aumento del margine
operativo di tre volte superiore rispetto quanto realizzato dalle imprese per cui il
livello di compromissione sociale è basso o nullo.
La motivazione del personale di un’impresa, come sostenuto dal Prof. Chan Kim e
dalla Prof.ssa Mauborgne nelle pagine finali del loro best-seller, è anche un tassello
fondamentale al fine di formulare una strategia sostenibile di oceano azzurro.
L’attività tradizionale di un’impresa può essere ricondotta a tre proposizioni basiche
di valore, profitto e personale.
Affinché una strategia possa avere successo e possa essere sostenibile nel tempo,
quindi, un’organizzazione deve sviluppare un’offerta che attragga i consumatori,
deve creare un business model che risulti essere profittevole e deve motivare i
lavoratori affinché questi allineino i propri valori con quelli dell’azienda, al fine di
supportare ed eseguire correttamente la linea strategica scelta per l’impresa.
Mentre una buona strategia si basa su una convincente proposta di valore per i
consumatori e su una robusta proposta di profitto per l’impresa stessa, l’esecuzione
9 I dati presi in considerazione risalgono all’indagine svolta nel 2012.
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di una strategia che sia anche sostenibile si basa largamente sulla motivazione dei
lavoratori.
Specialmente per le imprese che ricorrono a strategie di oceano azzurro, la possibilità
di realizzare performance elevate e la capacità di mantenere il proprio oceano di
colore azzurro, e quindi libero dalla concorrenza, dipende largamente dalla capacità
di differenziazione, rispetto le altre imprese, nella proposta per i consumatori e dalla
capacità di realizzare il proprio fine in maniera efficiente, vale a dire a basso costo.
Il mantenimento dell’oceano azzurro, perciò, necessita dell’allineamento di tutte e tre
le proposizioni. Tuttavia, non va sottovalutato, che due di queste possono essere
facilmente imitate, con tutti i rischi che ne conseguono.
Infatti, la proposizione di valore e quella di profitto possono essere oggetto di
imitazione da parte delle altre imprese. Diversamente, la proposizione di personale,
che abbraccia la sfera delle relazioni umane che necessitano di tempo per essere
coltivate, non lo è.
Quindi, la corretta attuazione della pratica di coinvolgimento degli stakeholder
esterni all’impresa permette, tipicamente, un prolungamento dell’allineamento della
strategia e della sua sostenibilità nel tempo, rendendo più lungo e difficoltoso il
processo di imitazione da parte di potenziali concorrenti, pronti a macchiare l’oceano
di rosso.
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4. Conclusioni
Come affermato dagli autori del libro “Blue Ocean Strategy”, il principio strategico alla
base della creazione di oceani azzurri è utile come linea guida per tutte quelle imprese
che, operando in un mercato ormai saturo e iper-competitivo, vogliano porsi come
obiettivo quello di oltrepassare i limiti imposti dalla concorrenza, fondamentalmente
attraverso l’impiego di valori come la creatività, la condivisione delle conoscenze e la
cooperazione volontaria, al fine di realizzare un’innovazione in valore rispetto l’offerta di
mercato proposta precedentemente, per ottenere un salto qualitativo per l’impresa e tutti i
suoi stakeholder, riuscendo a cambiare e ridimensionare i confini del mercato esistente.
Ciò non significa che le compagnie terminano improvvisamente di competere tra loro.
Al contrario, la competizione tra le imprese continuerà ad aumentare e rimarrà un fattore
critico e fondamentale all’interno delle realtà dei mercati.
Tuttavia, dato che gli oceani azzurri e gli oceani rossi sono sempre coesistiti, e
considerato che le compagnie sono già bene informate e preparate riguardo il
funzionamento dei mercati competitivi, poiché il focus predominante delle strategie
formulate durante gli ultimi trent’anni è sempre stato indirizzato verso la competizione tra
imprese, si può ritenere che l’obiettivo di tale strategia di oceani azzurri sia quello di
illustrare le modalità attraverso le quali attuare una politica - realizzabile e sostenibile - al
fine di modificare i confini e le condizioni preesistenti del mercato, riuscendo a
mantenerlo di colore azzurro.
Se assumessimo per vero quanto affermato dallo scrittore e motivational speaker
statunitense Denis Waitley, secondo cui << ci sono due scelte fondamentali da fare nella
vita: accettare le condizioni preesistenti o accettare la responsabilità di cambiarle >> ,
potremmo concludere, allora, che il tanto auspicato cambiamento può essere attuato non
soltanto attraverso la consapevolezza nella assunzione delle responsabilità derivanti dai
propri comportamenti e attitudini, ma anche attraverso la necessità di inclusione e
accettazione della responsabilità come valore etico all’interno delle pratiche aziendali.
Questo è il compito prefissato dai sostenitori della responsabilità sociale come
movimento strategico per le imprese.
Resta inteso, però, che l’economia fa parte della famiglia delle scienze sociali, cioè di
quelle scienze caratterizzate in primis dall’assenza di un laboratorio, inteso come luogo
fisico all’interno del quale sviluppare e dimostrare le proprie tesi sulla base di fatti
inerenti alla realtà.
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Per questo motivo, come le altre scienze sociali, si caratterizza, in secondo luogo, anche
per il pluralismo teorico, ossia per la presenza di opinioni differenti riguardanti uno stesso
argomento, in quanto - e siamo nella terza caratteristica fondamentale delle scienze
sociali in generale e dell’economia in particolare - assumono rilevante importanza i
giudizi di valore e, quindi, le posizioni etiche e morali che ognuno può assumere riguardo
una determinata condizione o situazione, in considerazione di uno specifico sistema di
valori.
Ciò significa che, sicuramente, non tutti i manager sono e saranno mai disposti ad
includere i principi etici di responsabilità sociale all’interno del sistema di valori propri
dell’impresa per la quale operano, e questo anche se - come si è cercato di rappresentare
in questa relazione finale - le “imprese con causa” possono realizzare un oceano azzurro
impiegando la RSI come movimento strategico e possono ottenere risultati tutti molto
concreti, rompendo il dilemma tra massimizzazione dei benefici corporativi e dei benefici
sociali, riuscendo a realizzarli entrambi, attraverso la soddisfazione dei bisogni dei
consumatori socialmente coscienti (ossia dei compratori con elevato potenziale di
acquisto latente) e l’ aumento dell’efficienza dei processi produttivi aziendali, con una
conseguente riduzione dei costi di produzione, a sua volta ottenuto attraverso l’inclusione
di politiche rivolte al personale.
La responsabilità sociale d’impresa come movimento strategico al fine di realizzare un
oceano azzurro, quindi, è un’opportunità per le compagnie, che consente di definire
correttamente il “dove” e il “come” delle proprie strategie, rendendo le attività
filantropiche ed i vantaggi della non-competitività mutue opportunità per creare un
circolo virtuoso tra imprese di cui, peraltro, ne gioverebbe anche la società nella sua
totalità che, a prescindere dal sistema di valori cui si aderisce, dovrebbe essere la
condizione di benessere diffuso auspicabile da parte di tutti.
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Bibliografia
- “Blue Ocean Strategy – How to Create Uncontested Market Space and Make the Competition Irrelevant”, W. Chan Kim & R. Mauborge, Harvard Business ReviewPress, 2005
- “Creazione di valore per gli shareholders e gli stakeholders: una fondazione analitica
dei principali indicatori di valore”, R. Masera & G. Mazzoni
- “Doing well by doing good”, Nielsen International http://www.nielsen.com/content/dam/nielsenglobal/apac/docs/reports/2014/Nielsen-Global-Corporate-Social-Responsibility-Report-June-2014.pdf
- “Ética Para Empresarios : Por qué las empresas y los países ganan con la
Responsabilidad Social Empresarial”, B. Kliksberg, Ediciones Etica y Economica, 2013
- “HRM’s Role in Corporate Social and Environmental Sustainability”, SHRM Foundation’s Effective Practice Guidelines Series
- “La responsabilità sociale d’impresa ed il coinvolgimento degli Stakeholder”, M. Viviani
- “The Business Case for Corporate Social Responsibility: A Review of Concepts,
Research and Practice”, A. B. Carroll & K. M. Shabana, International Journal of Management Reviews, 2010
- “Value Maximization, Stakeholder Theory, and the Corporate Objective Function”, M. C. Jensen, Philosophy Documentation Center, 2012
- “What is strategy?”, M. Porter, Harvard Business ReviewPress, 2011
- “World Employment Social Outlook – Trend 2016”, International Labour Office
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Ringraziamenti dovuti ai “Ma sti cojoni”, a tutti i miei cuginetti,
ai vecchi pecioni bolognesi, al MioCuggino Team, a Laura.
A Bologna, al The Goodman’s Field Pub, alla Battersea Family
of London, ai travellers dell’Éire, a tutti i μαλάκες conosciuti
in Grecia e ai boludos incontrati in Argentina.
Alla mia famiglia.