Terzo Millennio n - Licio Di Biase · 2014-01-27 · fa Don Luigi Sturzo fondò il Partito Popolare...

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1 Terzo Millennio – periodico on line per l’organizzazione dei moderati ANNO XX Terzo Millennio n.3 Lunedì 27 gennaio 2014 “Pescara Real Piazza” UNA MOSTRA PER CONOSCERE LA STORIA DELLA PIAZZAFORTE DI PESCARA Circolo Aternino (Corso Manthonè – Pescara) 27-31 gennaio 2014 (ore 9/13- ore 18/20) WWW.COMUNE.PESCARA.IT “Se vuoi essere universale, parla del tuo villaggio” (L. Tolstoj)

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Terzo Millennio – periodico on line per l’organizzazione dei moderati

ANNO XX Terzo Millennio n.3 – Lunedì 27 gennaio 2014

“Pescara Real Piazza”

UNA MOSTRA PER CONOSCERE LA STORIA DELLA PIAZZAFORTE DI PESCARA

Circolo Aternino (Corso Manthonè – Pescara) 27-31 gennaio 2014 (ore 9/13- ore 18/20)

WWW.COMUNE.PESCARA.IT

“Se vuoi essere universale, parla del tuo villaggio” (L. Tolstoj)

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Licio Di Biase Consigliere delegato al recupero e alla valorizzazione

del patrimonio storico della città di Pescara

Pescara è una città inconsapevole del proprio passato, spesso distratta e distaccata, dal sapore vagamente “meticcio” conferitogli da processi di forte contaminazione etnica e culturale che non sono stati dovutamente metabolizzati, a scapito delle proprie radici e della propria identità. Oggi, a fronte di una globalizzazione imperante, che tutto livella ed omologa culturalmente, abbiamo la necessità di articolare il confronto, parlando del nostro “villaggio”, come diceva, già oltre un secolo fa, Leone Tolstoj. Ma, come in ogni campo, prima di comunicare occorre conoscere, prima di valorizzare a livello pratico, occorre acquisire la consapevolezza della propria dimensione identitaria. È giunto il momento di far conoscere ai pescaresi e ai cittadini del “villaggio globale” la nostra storia, custode della nostra identità, della nostra cultura, dei nostri antenati e dei nostri personaggi, che hanno dato lustro, tra l’altro, alla cultura a cavallo tra l’Ottocento ed il Novecento e che, ancora oggi, costituiscono dei punti di riferimento nei loro rispettivi campi - e mi riferisco a Gabriele d’Annunzio, Ennio Flaiano ed alla Famiglia Cascella. Pescara, per circa tre secoli, è stata caratterizzata, anzi, racchiusa da una Piazzaforte - tra i più importanti del regno di Napoli, prima, e delle Due Sicilie, poi. Tale consapevolezza dovrebbe essere propria dei cittadini e sostenuta dalla riscoperta di una Piazzaforte che andrebbe rivissuta, in quei luoghi in cui la città ha già da tempo posto le basi della propria storicità ma che, spesso, rischiano di essere banalizzati come semplici spazi dediti al divertimento.L’iniziativa “Pescara Real Piazza”, il cui nome è preso dalle planimetrie del tempo, è un evento organizzato questa estate con una incredibile partecipazione di gente e oggi nuovamente riproposto soprattutto per le scuole, con l’obiettivo di far conoscere la storia di questa illustre struttura difensiva del nord del Regno delle Due Sicilie ed è un’occasione per rileggere il nucleo antico della città. E per fare questo l’Amministrazione Comunale si è avvalsa della collaborazione di Enti e Istituzioni che si sono prodigati nel sostenere l’idea e perciò vanno ringraziati. Fondamentalmente l’idea è di lavorare per il progetto di un “nuovo” Centro Storico, che non sarà più racchiuso soltanto tra le due Piazze e le tre Strade, com’è attualmente, ma che occuperà tutta l’area della vecchia Piazzaforte - un nuovo perimetro compreso tra Via Conte di Ruvo, Viale Marconi, Via Caduta del Forte, Ponte Risorgimento e l’attuale linea ferroviaria. Si andrà a concretizzare la possibilità di valorizzare il nostro patrimonio storico, culturale, ambientale, architettonico e, non ultimo, quello enogastronomico, che appartengono ad un mondo che, nel tempo, ha subito numerose contaminazioni, sia per la sua natura di luogo di scalo e di scambi commerciali, sia per la contaminazione che si è determinata all’interno della Piazzaforte, in tre secoli di continua occupazione da parte di truppe militari portatori di esperienze mescolatesi, in seguito, a quelle indigene, a causa di un’inevitabile promiscuità. Con questo evento vogliamo recuperare la nostra storia, ricca di un passato importante per creare una coscienza identitaria e un rinnovato spirito di appartenenza.

---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Comune di Pescara

Soprintendenza Regionale ai Beni Paesaggistici e Architettonici Soprintendenza ai Beni Storici……

Soprintendenza ai Beni arc Archivio di Stato diPescara

Dipartimento di Architettura Sez. Patrimonio Archit ettonico (Università “G. d’Annunzio” – Chieti/Pescara).

Museo delle Genti d’Abruzzo Archeoclub di Pescara

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l’onorevole d’annunzio

L’esperienza parlamentare di Gabriele D’Annunzio, tra destra e sinistra

(IANIERI EDITORE)

PRESENTAZIONE di Licio Di Biase La breve stagione parlamentare di Gabriele D’Annunzio, tra la fine del 1897 e la metà del 1900, merita

indubbiamente una lettura, oltre che di carattere biografico e letterario, anche di natura politica.

E’ evidente che un personaggio poliedrico come D’Annunzio non poteva vivere l’esperienza parlamentare come

un qualsiasi onorevole, per cui è di grande interesse approfondire la conoscenza di quei due anni e mezzo in cui è

stato sugli scranni della Camera dei Deputati. Le sue assenze sono state compensate da “coup de teatre”, come il

personaggio imponeva; pertanto non può essere ricordato per quei momenti legati alla normale attività

parlamentare con le prese di posizione su vicende di governo o proposte di legge, da cui peraltro fu

distrattamente “assente”, ma per alcuni messaggi che sono poi passati alla storia. Da “io sono al di là della destra

e della sinistra” a “vado verso la vita”: tra queste due citazioni ci sono da leggere la campagna elettorale

dell’agosto del 1897, quando fu eletto deputato, e quella del 1900, candidato con i socialisti come indipendente,

in cui venne battuto. Due campagne elettorali gestite da quello che è stato il grande comunicatore ante litteram. E

poi le attenzioni, anche clientelari, al suo territorio durante la campagna elettorale, per poi dimenticarsi di tutto.

D’Annunzio non poteva portare in Parlamento le esigenze e i bisogni del suo territorio. Un personaggio come lui

doveva segnare il suo passaggio con altro. Intanto, voleva portare in Parlamento l’attenzione per la Bellezza, cioè

di quella grande potenzialità di elementi storico-culturali di cui era (ed è) ricco il Paese, e di questo parlò anche

nel suo discorso più importante e che è rimasto nell’immaginario collettivo a catalogare la sua esperienza

politica, cioè “il discorso della siepe”. Ma c’è anche dell’altro.

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“COME ERAVAMO”

Pescara tra immagini e curiosità. Domenica 9 febbraio all’Aurum.

Pescara- Un salto nel passato pescarese tra immagini e curiosità. Questo è ciò che potrà realizzarsi nella sala Tosti dell’ex Aurum domenica 9 febbraio alle ore 17.30.

Nell’incontro “Come eravamo” verranno ripercorsi gli anni del ‘900 a Pescara, mettendo in luce tutte le trasformazioni architettoniche, antropologiche e sociali della nostra città, con la proiezione del video “ Pescara nella memoria” e altri video.

Le immagini riprese da Studio Luce e raccolte nei trenta minuti del film-documentario, prodotto grazie alla presidenza del Consiglio e realizzato da Stefano Falco, restituiranno uno spaccato della Pescara dagli anni ’30 ai ’60.

Non saranno ore dedicate alla sola storia dell’evoluzione della città, ma si parlerà anche delle feste più o meno popolari che hanno segnato la vita culturale del capoluogo adriatico, come La coppa Acerbo e il Trofeo Matteotti.

A ricreare l’atmosfera dei tempi andati e per respirarne appieno il sapore, Rossella Micolitti leggerà dei brani selezionate ad hoc da giornali e libri dell’epoca, a fotografare la Pescara dei tempi.

Una domenica particolare che si svolgerà in uno degli edifici che connotano fortemente la città, l’Aurum.

Chiara Marini

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Politica

A cura di Giampiero Di Biase

Non è un governo arrogante quello che sceglie delle priorità. E' irresponsabile

quello che non riesce a sceglierle. (Tony Blair)

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Sabato: Dove era in quei giorni Pietro Scoppola? Di BARTOLO CICCARDINI Sabato 18 gennaio Pierluigi Castagnetti ci ha invitato a ricordare la data del 18 gennaio, che fu, sì, il giorno in cui 94 anni fa Don Luigi Sturzo fondò il Partito Popolare Italiano, ma fu anche, e non a caso, il giorno in cui Mino Martinazzoli rifondò un nuovo Partito Popolare, esattamente venti anni fa, nel 1994, l’anno della grande crisi della Democrazia Cristiana. Quel giorno doveva essere drammatico perché Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica, aveva appena sciolto le Camere. E (come dice Gerardo Bianco) sorprese la DC in mezzo ad un drammatico guado. In quei due terribili anni era scoppiata “tangentopoli”; la DC era sotto accusa; la gerarchia aveva deciso di disconoscerla; e con essa, i potentati economici speranzosi di saccheggiare il grande tesoro delle partecipazioni statali. Segni con il suo movimento referendario aveva scosso alle radici il sistema dei partiti ed imposto un cambiamento del sistema elettorale; Scalfaro aveva negato la Presidenza del Consiglio a Craxi e scelto Amato, e poi aveva scelto, per sciogliere le camere un Presidente del Consiglio che non era democratico cristiano, Carlo Azeglio Ciampi, ex direttore della Banca d’Italia. In questa tempesta furiosa un Mino Martinazzoli disperato (così dice Franco Marini nel suo intervento) accetta la Segreteria del Partito buttandosi con coraggio a fare quei cambiamenti che la Democrazia Cristiana aveva lungamente studiato e mai realizzato. Il cambio del nome del Partito non è solo l’ostensione di una reliquia sacra in una stagione di peste, ma è la volontà precisa di ritornare all’onestà severa ed alla laicità sofferta di Luigi Sturzo del 1919. Una pagina di storia drammatica avvincente ed, appunto, disperata. All’ingresso dell’Istituto Sturzo mi sorprende un grande manifesto in cui è riprodotto il “Gonfalone”, la nuova bandiera “popolare” adottata da Mino Martinazzoli. Entro nell’aula dell’Istituto Sturzo e nell’angolo della sala dove c’è il bellissimo busto dedicato al primo fondatore del Partito Popolare, ci sono tre bandiere: quella europea, quella italiana ed il gonfalone. Per tutti sarà occasione di commozione. Dopo la lezione del professor, Malgeri, Rosetta, che fu Presidente del Partito, rivendica con orgoglio la grande impresa. Le nuove regole austere e severe, la grande intuizione di un nuovo programma ispirato all’antico, ma prevedente il futuro, la serie lunga e dimenticata dei provvedimenti messi in cantiere, la risposta orgogliosa e generosa della base del partito a quello che si stava preparando contro la DC. È questo il suo punto di memoria e d’onore: il popolarismo del 1994 fu un movimento di base. Parla Gerardo Bianco, che raccolse l’eredità della breve segreteria di Martinazzoli. Ha da poco scritto un libro su questa vicenda intitolato “La parabola dell'Ulivo 1994-2000” che è la continuazione di un altro libro intitolato “La Balena bianca. L’ultima battaglia 1990-1994”. Gerardo dice di non poter nascondere la furia e l’indignazione contro il giudizio storiografico corrente nei confronti di tutta l’opera storica della DC, compreso anche questo periodo, in cui i popolari condussero la loro ultima battaglia. Esprime rifiuto del giudizio storiografico malmostoso e impudente che offende il grande servizio che la DC ha reso al Paese. Ma anche furioso nei confronti dell’oblio gettato come un sudario sulla memoria di quegli anni. E rivendica la capacità di grande inteligenza del momento storico, di grande coraggio e fedeltà che riuscì a portare forze ancora fedeli sul fronte della battaglia. Quell’11% non era certo una vittoria, ma poteva rappresentare un risultato significativo e determinante per il futuro, se non ci fossero stati il tradimento, la scissione e l’opera corruttiva di Berlusconi. Gerardo non si dà pace e non si arrende, convinto come è che quel risultato non doveva andare disperso nella diaspora. Parla Marini,: ricorda l’alta figura di Mino, ma ricorda anche di non averlo perdonato. Parla con attenzione e rispetto di quell’orgoglio per cui Martinazzoli si dimise ed abbandonò la battaglia. E ne trova una spiegazione onorevole: in realtà era finita la DC. Dice Marini che la DC non era più nell’anima popolare, era già stata condannata dalla gerarchia cattolica, che aveva già fatto un’altra scelta, non era in grado di schierare in campo la sua grande opera passata oscurata dagli ultimi anni del cedimento a Craxi. La DC era finita e Mino Martinazzoli non lo ammetteva. Infine parla l’ultimo segretario del Partito Popolare, Castagnetti, che portò i superstiti di quella battaglia, lui dossettiano, nella nuova compagine del dossettiano Prodi, l’Ulivo, che nel ’96 sconfiggerà Berlusconi. Castagnetti ricorda tutto il positivo da rivendicare, ricorda l’attualità del proposito di Mino: “Rinnovamento senza rinnegamento”. E cerca di dare una spiegazione pacata di quell’11%: il Concilio, la società liquida, i cattolici diventati minoranza sociologica. Non ci sarebbe stato mai più in Italia quella soglia del 30% per i cattolici, né per nessun altro. Ma quell’11% non era da buttare. Dice Castagnetti: “Berlusconi fece a Mino Martinazzoli un’offerta disdicevole: offrì a Martinazzoli in cambio dal ritiro della lista del Partito Popolare dalle elezioni un seggio sicuro per lui. Niente di più di quello che avrebbe offerto ad una escort di seconda classe. Ma Martinazzoli con il suo orgoglio non rispose neppure. (Benedetto orgoglio, caro Franco Marini!). Castagnetti accenna anche ad un programma per il futuro: non un partito, non una formazione politica, ma un focolare dove resti accesa la fiamma del popolarismo. Forse è troppo poco e per ora basta così. ma non temere, dossettiano Pierluigi, i ragazzi che verranno ad accendere le loro torce a questo focolare sono già nati.

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P.S.: Una meditazione personale. Signori del Partito Popolare di Mino Martinazzoli, dove era Pietro Scoppola? Sappiamo tutti dove eravate voi, nel posto giusto, al momento giusto e con voi c’era Gabriele De Rosa e Leopoldo Elia. Fra le cause che hanno meritevolmente o improvvidamente scosso la DC ci sono stati anche i referendum popolari di Mario Segni a cui capitò di scuotere tutta l’opinione popolare, attorno ai destini dell’Italia. Voi foste colpiti, forse ingiustamente, da quel ciclone. Ma quel ciclone ci fu. In quei mesi Oscar Luigi Scalfaro studiò attentamente come neutralizzare i danni del ciclone. E soprattutto ad impedire la vittoria di Segni che non stimava e di cui non condivideva né il pensiero né le azioni. Fu Mino Martinazzoli a studiare l’operazione con Scalfaro. Dopo il no a Craxi e la grande crisi della Presidenza Amato, Scalfaro propose un Governo Prodi, con lo scopo di indebolire Segni. Prodi non accettò l’operazione (e sbagliammo tutti, perché avrebbe dovuto accettare per risolvere la crisi economica e portare con sé un Segni Ministro plenipotenziario per le riforme istituzionali, la cui battaglia aveva condiviso con Segni). Scalfaro promise Leopoldo Elia, presidente ad Occhetto perchè abbandonasse Segni ed Occhetto, che di Segni era geloso e che prevedeva una pericolosa emorragia dei comunisti verso Segni, accettò. Ma Scalfaro non gli fece trovare alle Consultazioni Elia, ma Ciampi. E la battaglia del 1994 si fece con i democratici cristiani, i popolari, i dossettiani, i segnani, fuori del governo. Operazione brillante che distrusse Segni, ma molti altri con lui. Come se questo non bastasse Segni entrò in un periodo poco felice. Circondato da una serie infinita di personaggi, come accade in Italia ai trionfatori, fu sottoposto a pressioni contrastanti in cui perse la bussola. Si ammalò di nuovismo e si dedicò con puntigliosa ed inutile cura a mettere veti, quasi fosse il direttore spirituale di un convento giovanile (incominciò quel lavoro, che poi sarà chiamato “rottamazione” e lo incominciò proprio con me, che ho imparato nella mia esperienza che è meglio essere rottamato dagli amici che dai nemici). Aveva fondato un Movimento dei Popolari della Riforma che poteva essere benissimo una rifondazione del Partito Popolare, ma poi preferì mettere l’accento su una sorta di pensiero liberaldemocratico che non ci appartiene. Rifiutò onorevolmente una proposta non ancora oscena di Berlusconi e cercò improvvidamente un accordo con Bossi, trattando con Maroni e prendendosi in faccia la porta sbattuta da quel brigante senza patria che avrebbe poi accettato la proposta sventurata di Berlusconi. In quel momento in cui i suoi conquistavano Roma con Rutelli, sorprese Pietro Scoppola con l’annuncio che si ritirava dalla grande alleanza di centro-sinistra e sciolse Alleanza Democratica. Ricordo ancora la sorpresa e la disperazione di Pietro Scoppola. Scelse infine di fare l’accordo, “il Patto”, con Mino Martinazzoli. Non fu un errore: fu qualcosa paragonabile soltanto alla tempesta che distrusse l’ Invincibile Armada nel Golfo di Biscaglia. Il Patto fra il Partito Popolare ed il Movimento dei Popolari della Riforma non prese l’11%, ma il 14%. E nella proporzionale il Partito Popolare che si era accodato a Segni prese più di lui, l’11% e Segni solo il 4%. Quindi è vero ciò che alcuni hanno detto, in primis Gerardo Bianco, che non fu una sconfitta. Quell’11% era non insignificante e poteva rappresentare la base di una importante azione politica. Il vero sconfitto fu Mario Segni, con il suo 4%. Ed, in definitiva, il disegno di Scalfaro, di Ciampi e di Martinazzoli registrò una vittoria completa. Il “pericoloso” Mario Segni fu eliminato dalla scena politica. E sostituito con Berlusconi. Esco dalla riunione commosso, coinvolto in una passione che è stata anche mia, ma nello stesso tempo colto da uno strano pensiero. Ma cos’è stato questa mattina? Un dramma psicologico? Una rimozione freudiana? Una damnatio memoriae? Una cancellazione delle persone dalle fotografie, di stile stalinista? Dove era Pietro Scoppola? Perché nessuno ha nominato Mario Segni? Forse Martinazzoli scrisse un telegramma improvvido, ma lo sconfitto non era lui, era Segni. A suo modo, poteva trattarsi di una grande vittoria. Per favore, parliamone!

Domenica: Come cambiare la situazione italiana in un batter d’occhio Una modesta utopia di Bartolo Ciccardini all’Assemblea dei democratici cristiani Domenica 19 gennaio 2014, Gianni Fontana, gentilissimo, ha deciso di fare l’assemblea federativa dei democratici cristiani, vicino casa mia. Lo ringrazio vivamente ed ho sentito il dovere di parteciparvi con attenzione e simpatia. Il tentativo di Gianni Fontana di federare tutte le sigle che si rifanno all’impegno politico dei cattolici merita di essere appoggiato ed aiutato, anche per lo stile, la moralità e la pazienza che Gianni vi dedica. Certo il compito non è facile e non solo a causa dei nostri inveterati difetti. Su ogni forma di aggregazione pesa una sorta di pregiudizio o di scelta finale: quanti dei presenti si schiereranno comunque con una formazione di destra in funzione “anticomunista” o per contrastare le unioni civili? E quanti si schiereranno comunque per un programma di sinistra, con alcuni punti indisponenti, ma tuttavia dalla parte dei più poveri e dei più colpiti dalla crisi? O in maniera più volgare, quanti sceglieranno ancora Berlusconi e quanti non ne possono più di Berlusconi? Comunque l’atmosfera è piena di memorie, di ricordi, di orgogliose rivendicazioni e di buoni sentimenti. Quindi avanti così, Gianni! La conseguenza pratica è che si sente una forte opposizione ai sistemi maggioritari ed una forte nostalgia per il metodo proporzionale. Si comprende benissimo che non può non essere così, anche se la realtà politica va in tutt’altra direzione: il bipartitismo esiste, la necessità di un governo stabile spinge comunque ad un premio di maggioranza, e l’unica soluzione non è il mugugno, ma è quella di diventare abbastanza forti da occupare con la forza dei voti lo spazio del centro-sinistra, prosciugando la destra o viceversa di proporre un proprio spazio di centro(-destra) prosciugando la sinistra. Ma per far questo bisognerebbe avere nei sondaggi una aspettativa di voto favorevole almeno superiore al 20%. Ascolto gli interventi ed i discorsi che hanno una tendenza a parlare di questo e di altri universi concentrandomi su questa difficoltà. Come riuscire a collegarsi fra l’11% del Partito Popolare di Martinazzoli, ed il 20% sperato da Monti e Riccardi

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difficoltà. Come riuscire a collegarsi fra l’11% del Partito Popolare di Martinazzoli, ed il 20% sperato da Monti e Riccardi ed ottenuto invece da Grillo? Quando sta per chiudere l’assemblea l’Onorevole Tassone che presiede, mi rivolge un caldo saluto. (Sto evidentemente diventando molto vecchio!). E’ molto tardi e penso di non far perdere tempo all’assemblea, ma Tassone insiste ed io, pregato di dire pochissime cose in pochi minuti, riassumo così il mio pensiero: “Non vi preoccupate per l’unità dei cattolici: esiste quando la si vuole veramente ed il conto viene comunque presentato ai democratici cristiani. Quindi non teorizzatela, fatela! Non si esce dal bipolarismo con i desideri, ma portandosi dietro il mondo cattolico, quelle che Pistelli chiamava “le fanterie cattoliche”, disprezzandole un poco, ma utilizzandole molto. L’occasione c’è. La minoranza sociologica dei cattolici in Italia è divisa su tutto ma è unita su una cosa: è l’unico gruppo che vuole, veramente, sinceramente e fortemente l’Europa, perché lo hanno scritto a tutte lettere tutti i Papi, sia quelli che erano democratici-cristiani, sia quelli che non lo erano. Su questo punto i cattolici sono tutti d’accordo e possono manifestare questa loro unità in polemica con tutti, leghisti, fascisti, euroscettici, banchieri e metalmeccanici, stupidi austriacanti o borbonici. Quindi l’unica cosa da fare rendere un utile servizio (e la politica è servizio)al mondo cattolico. Chiamarlo a fare le primarie per scegliere i suoi uomini di convinzioni federaliste europee da mandare in Europa. Questa iniziativa non tocca l’equilibrio politico italiano (per ora), non fa cadere il governo, non si arrende alla tattica antieuropea della destra o al sospetto antieuropeo della sinistra, non può essere criticata di ingerenza clericale, vaticana, o robe del genere, per l’evidente disinteresse della chiesa cattolica alle cose italiane. Possiamo fare finalmente una scelta libera senza ricatti Coinvolgere le associazioni, creare comitati parrocchiali, chiedere il permesso ai vescovi, e, fare le plenarie di tutti i cattolici per l’Europa. Chiedere ai vescovi di farle nelle parrocchie. E se non lo danno farle davanti alle parrocchie, sul sagrato Se questo si facesse, i cattolici conoscerebbero una piccola pausa di unità politica, l’Italia avrebbe una rappresentanza almeno europeista. E tutto diventerebbe diverso, in un batter d’occhio. Lunedì: Il pacchetto di Matteo Renzi Puntualmente, come annunciato da prima di Natale, lunedì 27 Gennaio la direzione del Partito Democratico vota a grande maggioranza un pacchetto di riforme che vanno dalla nuova legge elettorale all’abolizione costituzionale dello spericolato carnevale delle spese regionali ed all’abolizione delle provincie e del senato attuale. Colpo grosso di Matteo Renzi. Questa puntualità dà una scossa alla politica impaludata da venti anni. E tutti se ne accorgono. Naturalmente il pacchetto è un compromesso con gli altri partiti. Tutti, meno gli “zombetti” di Grillo: peggio per loro! Si guarda invece con poca attenzione al fatto che nel compromesso ci sia nel cambio una grossa conquista da non sottovalutare: il ballottaggio fra le prime due liste, se nessuna raggiungesse il 35%. Con, per di più, lo sbarramento per le piccole formazioni politiche, invocato da secoli e mai attuato. Comunque il compromesso viene giudicato abbastanza bene da tutti. L’obiezione che vi partecipa Berlusconi è stralunata: oggi l’opposizione vera a questo Governo è retta, comandata e blindata da Berlusconi. L’obiezione della mancanza delle preferenze è più seria ed è il vero cedimento concesso a Berlusconi per avere il “pacchetto”. Ma il problema è mal posto. Le preferenze sono un problema, perche hanno delle contro indicazioni. La vera soluzione è il collegio uninominale che permette scelte alternative. Ma se c’è una lista, l’unica soluzione è la preferenza, anche con i suoi difetti. Tuttavia un rimedio c’è ed è praticabilissimo. Già il PD ha dichiarato che l’ordine di lista dei suoi candidati sarà determinato con le primarie. È un gesto virtuoso e democratico importante. Senza sfasciare il “pacchetto” si può aggiungere una iniziativa parallela, che è una semplicissima legge di applicazione dell’art.49 della Costituzione, quello che sancisce che i partiti esistono “per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Vale a dire che devono dimostrare che la scelta dei candidati delle sue liste, atto principale dei partiti, è effettivamente democratico,ossia frutto della partecipazione dei suoi dirigenti, dei suoi iscritti e dei suoi elettori, cioè con le primarie. Sarebbe un’iniziativa non polemica, non contraddittoria al pacchetto proposto e persino necessaria per risvegliare l’art. 49, in sonno da 70 anni.. Il pacchetto è stato approvato dal PD a grande maggioranza senza voti contrari e con un fisiologico gruppo di astenuti. E questo è talmente bello da far temere che ci sia sotto qualcosa. Il primo sintomo è la strana suscettibilità, da signorine uscite dal collegio delle Orsoline, del gruppo degli oppositori a Renzi. Si dimettono con capriola drammatica, come fa Balotelli quando viene sfiorato da un terzino avversario. Effettivamente Matteo, con la sua franchezza, con la sua irrequietezza fiorentina da Giamburrasca è talvolta aspro e pungente. Ma le mammolette lo chiamavano fino a ieri “fascistoide”. Domani chissà! Tuttavia il pericolo che la battaglia per la preferenza democratica, che non era mai piaciuta così tanto alla sinistra del Pd, faccia saltare il pacchetto, esiste. Sorridendo pacatamente D’Alema ha detto: “Il pacchetto è un buon risultato. Che ovviamente sarà discusso, migliorato ed approvato dal Parlamento come avviene in una democrazia normale”. Questo avvertimento mi preoccupa. La funzione democratica normale del Parlamento, correttiva e migliorativa ha abbattuto Prodi due volte come Presidente del Consiglio, ed una volta come Presidente della Repubblica. E’ cosi, quando D’Alema sorride, scotendo sardonico la testa, come fa nella sua imitazione Sabina Guzzanti.

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IL SALUTO DI BARTOLO CICCARDINI

ALL’ASSEMBLEA DEI DEMOCRATICI CRISTIANI

Oggi rivolgiamo il nostro augurio all’Assemblea dei democratici cristiani ed di tutte le federazioni convocate il 18 e 19 gennaio da Gianni Fontana, per la quale accenniamo ad alcune modeste considerazioni politiche. Partiamo da un giudizio preoccupato. C’è una debolezza di fondo in queste iniziative dovuta alla influenza ed ai condizionamenti esterni. Molte delle difficoltà del mondo politico e dello stesso mondo cattolico si riflettono sul travaglio e sull’esito di ogni iniziativa. E non potrebbe essere altrimenti. *

Perché Todi è fallito? Il tentativo di rifondazione di una qualche unità ha il suo massimo esperimento nel Convegno di Todi, dove i protagonisti non erano le formazioni politiche, ma le formazioni sociali che erano la forza popolare (e la massa elettorale) della DC. Senza nasconderci dietro ad un dito, dobbiamo dirci che la dirigenza del mondo cattolico era troppo orientata a destra per permettere alle forze sociali e caritative di guidare l’operazione. Nell’impossibilità di trovare un chiarimento all’interno della gerarchia cattolica fra i vescovi presenti a Todi ed i Vescovi presenti a Norcia, questo tentativo di federazione cattolica pre-politica, che somigliava più all’opera dei Congressi od ai Comitati civici, che non alla DC , si è spento nella culla. Anche le vicende delle formazioni politiche condizionano il nostro giudizio. La crisi berlusconiana influenza una buona parte dei nostri propositi. Berlusconi ha fondato un partito dichiaratamente di destra: il suo miracolo è stato quello di essere riuscito a mettere assieme i separatisti leghisti con i nazionalisti fascisti, utilizzando come collante i cattolici “moderati” ed il Movimento ecclesiale di “Comunione e Liberazione”. Si può capire che si cerchi di recuperare i voti prestati a Berlusconi e di occupare quello spazio. Questa tendenza ora è divisa. Alcuni pensano di dare una direzione cattolica a Forza Italia e quindi operano all’interno del berlusconismo, utilizzando provvisoriamente lo stesso Berlusconi. Altri hanno fatto una scissione da Berlusconi con l’idea di costituire un gruppo autonomo che potrebbe allearsi con Berlusconi. Ed infine un terzo gruppo pensa ad una proiezione italiana del PPE senza Berlusconi. Queste soluzioni sono ingombranti in un processo federativo perché mirano a ricostituire una DC più affine al modello tedesco che al modello italiano. A questo punto si apre un problema: cosa è il Partito Popolare Europeo senza la componente democratico-cristiana italiana? Tutte queste soluzioni tendono ad escludere, non solo i cattolici democratici, ma anche tutti i nuovi fermenti sociali del cattolicesimo italiano. Ma anche il gruppo dei movimenti che si muovono con diverse sfumature nell’area del Partito Democratico viene condizionato da quelle scelte politiche. Ci sono i cattolici adulti che sono militanti del PD. Alcuni (come Renzi) ritengono addirittura non corretto usare l’aggettivo cattolico per qualificarsi in politica e preferiscono vantare origini scoutistiche. Ci sono cattolici che si sentono di appartenere alla tradizione democratico-cristiana da cui provengono e che non hanno mai rinnegato e che la vedono rispecchiarsi in un partito che ha una cultura plurale. Ci sono infine quelli che pur votando, per necessità, Partito Democratico, non si sentono a loro agio per un pregiudizio laicista tuttora molto vivo nelle formazioni di sinistra. Questo pregiudizio laicista non è simile a quello della prima parte del secolo scorso che era anticlericale, antipapale, anticristiano. È piuttosto una forma di autoreferenzialità in nome dei nuovi diritti civili che tende a trattare i cattolici come una specie minoritaria protetta da coltivare e rieducare nelle riserve indiane. L’unica soluzione immaginabile è che i cattolici orientati a sinistra possano trovarsi solo in una formula organizzativa propria orientata ad una alleanza con il PD, ma con la possibilità di esercitare politicamente l’obiezione di coscienza. Le differenze che oggi ci sono fra i cattolici sensibili al richiamo della destra ed i cattolici disposti a votare a sinistra, rendono difficile ogni discorso politico. Anzi le polemiche politiche fra i due blocchi riescono a tradursi in incompatibilità e veti reciproci fra associazioni e movimenti cattolici al punto da dare ragione a quelli che credono impossibile un progetto unitario. **

Eppure quelle differenze e quei dibattiti convivevano all’interno della DC. Tutti questi tentativi, sia quelli che restano entro i confini di una zona che è stata chiamata moderata, sia quelli

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che si muovono all’interno di una zona di centro-sinistra devono porsi una domanda: che cosa era l’unità politica che caratterizzava l’essenza profonda della Democrazia Cristiana?

Cosa vi si oppone oggi? Per prima cosa il bipolarismo: accettando il concetto di bipolarismo i cattolici che volessero far politica con un loro organismo autonomo dovrebbero per forza collocarsi o nel polo di destra o nel polo di sinistra. Ne consegue che la nascita di un organismo politico rappresentativo dei cattolici debba per forza muoversi o all’interno del blocco berlusconiano o all’interno del blocco di sinistra nato dall’Ulivo di Prodi. Bisogna liberarsi da questi schemi. Non è scritto da nessuna parte che il bipolarismo debba funzionare come se si trattasse di due blocchi intoccabili ed eterni. E dall’altra parte non bisogna sentirsi obbligati a ripetere l’esperienza del lungo conflitto tra berlusconiani ed antiberlusconiani. Anzi, tutta l’esperienza storica della Dc ci porta a pensare che in Italia abbia un particolare valore una formazione politica di grande spessore sociale e con un programma avanzato di pace e di giustizia nella politica estera e nella politica sociale, che abbia anche valori tradizionali da difendere e comportamenti capaci di mediazione (quelli che con un vocabolo sbagliato vengono chiamati valori ”moderati”). In fondo il riferimento all’esperienza storica della DC dovrebbe consistere non soltanto nella memoria dei risultati conseguiti, ma soprattutto nella scelta di quel metodo politico, che permetteva a quel partito di sviluppare un programma di sinistra con il contributo dei voti che altrimenti avrebbero avuto una collocazione di destra. E tutto questo si fondava su due pilastri: la capacita di unità tra diversi e la temperanza, vale a dire la desueta virtù cristiana di tenere insieme valori opposti. Non dico moderazione, dico temperanza. ***

Credo che sia intellettualmente importante verificare il giudizio storiografico sulla DC. L’attuale crisi politica italiana è tutta fondata su un giudizio storiografico non veritiero fondato sulla obliterazione, persino violenta, del merito storico del grande miracolo italiano. Una obliterazione in cui confluiscono sia il rifiuto del 18 Aprile come conseguenza logica e determinante della Resistenza e della Costituente, sia la rabbia conservatrice di aver dovuto sopportare e sostenere un partito progressista come male minore per evitare il comunismo. Ma per correggere il giudizio storiografico corrente dobbiamo essere estremamente coscienziosi e precisi nel ricordare cosa fosse veramente la DC. Partiamo da una constatazione che è difficile esprimere. I voti razzisti e dei separatisti che sono finiti nella Lega c’erano già nelle nostre valli alpine. Ma la DC con la sua presenza severamente educativa e con un controllo sociale accurato riusciva a trasformare quei voti in cioccolato. Anche allora esistevano nella mentalità popolare e familiare del nostro Meridione i voti che non chiamerò mafiosi, ma nei quali prevaleva lo spirito di clan o di campanile. Ma la DC con una capacità di giudizio colta ed appassionata riusciva a trasformarli in partecipazione democratica ed in speranza di riscatto del Mezzogiorno d’Italia. La riforma agraria e l’abbattimento della oltraggiosa borghesia agraria assenteista non è stata cosa da poco, anche se oggi è volutamente dimenticata. I voti fascistoidi, di un fascismo retrivo e persecutorio, che si cibava di barzellette della Domenica del Corriere, sul contadino stupido con la evidentissima pezza accuratamente cucita sul fondo dei pantaloni, memoria della mentalità squadristica, esistevano anche allora. Ma la Dc riusciva a trasformarli in un doveroso omaggio all’ordine democratico. È così che va reinterpretata e capita la funzione politica dell’unità dei cattolici, in questa capacità di tradurre gli antichi difetti italiani in virtù civili. Ed in questa DC c’era anche una sinistra democratico cristiana che svolgeva un compito di apertura e di mediazione. Non si capisce il contributo della DC all’Italia se non si ricorda quello che De Gasperi definiva “il partito di centro che guarda a sinistra”, se non si ricorda che il capolavoro di Fanfani e di Rumor fu “l’apertura a sinistra” ed il “Governo di centro-sinistra”: in pratica il recupero del socialismo italiano alla democrazia; se non si ricorda il tentativo di Moro di spostare l’attenzione ancora più a sinistra, nel periodo più scuro della nostra vita democratica, negli anni di piombo. Allora, in quei tempi, Antonio Segni poteva espropriare la terra non solo ai suoi elettori, ma persino ai suoi parenti stretti, senza permettere che questo desse spazio, non dico ad una rivolta armata, come nel 1921, ma neppure ad una agitata protesta familiare. Allora Nicola Pistelli poteva parlare con una certa supponenza delle “fanterie parrocchiali cattoliche”, che dovevano votare senza troppe proteste il programma di sinistra della DC. Ma erano quelle stesse fanterie cattoliche da cui mai si sarebbe distaccato e da cui mai avrebbe preso le distanze. Senza questo “miracolo politico” la DC non avrebbe portato a termine il miracolo economico e sociale.

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e sociale. Queste considerazioni non sono reliquie storiche, sono un necessario esame di coscienza nei confronti di quelli che pensano al PPE ed alla sua edizione conservativa come ad una ricetta valida per l’Italia. Il Partito Popolare Europeo sarebbe ben altra cosa se ci fosse in campo la Democrazia Cristiana di De Gasperi, di Fanfani, di Rumor e di Moro. Non un punto di riferimento, (punto di riferimento lo è piuttosto l’internazionale democratico-cristiana) ma un impegno a far tornare il Ppe al suo compito di realizzare il programma federalista democratico cristiano. Detto questo dobbiamo anche ricordare che le obiezioni alte e qualificate della destra democratico- cristiana non erano, nel partito, voci inconsistenti e secondarie. Non era solo un accigliato Ottaviani che inaugurava i “comunistelli di sacrestia”. Erano anche i discorsi di altissima finezza politica di Mario Scelba, le analisi di Guido Gonella, neppure lontanamente comparabili alla volgarità della nostra destra attuale. Erano la richiesta di coerenza morale democratica di uno Scalfaro giovane. Essi rappresentavano con dignità ed onore il pensiero “moderato” che in Italia aveva avuto una storia e che la Democrazia Cristiana sapeva accogliere come esigenza fondamentale della nostra società civile. Ripensare al valore dell’unità dei cattolici non significa dimenticare che questa unità era una virtù civile dolorosamente conquistata. Durante il periodo formativo della DC non c’erano soltanto i democratici-cristiani e diverse ipotesi si avanzavano perfino nelle stanze pontificie. C’erano anche i cristiano-sociali di Gerardo Bruni che coabitavano con De Gasperi nella Biblioteca Vaticana. C’erano anche i comunisti cattolici, a cui Monsignor De Luca dettò un nome diverso, battezzandoli “cattolici comunisti”, perché cattolico doveva essere il sostantivo e comunista doveva essere l’aggettivo. E fu Giulio Andreotti, facente funzione di Presidente della Fuci, in assenza del Presidente Aldo Moro, trattenuto dal sud perché non poteva superare la linea Gustav, a portare la notizia a Monsignor De Luca che non sarebbero stati essi i prescelti nella costruzione del grande partito nazionale e democratico. Sì, l’unità dei democratici cristiani aveva coscienza dell’esistenza di fratelli separati sulla sinistra. Ma che questo non fosse una incapacità di comunicare ce lo ricorda Augusto Del Noce quando racconta l’importanza che ebbero i comunisti cattolici, usciti dal Partito Comunista nel 1950, nella formazione della Terza Generazione della DC, e nella stessa gioventù di Azione Cattolica di quel periodo. Questa panorama della vitalità politica della Democrazia Cristiana non è un reperto archeologico e non è soltanto una memoria da coltivare. È un giudizio storiografico preciso da rivendicare e da coltivare perché necessario in questo momento, hic et nunc, per risolvere il problema della democrazia in Italia. C’è bisogno di sapienza aperta perché nasca una forza politica ispirata al cristianesimo illuminato degli ultimi Papi e legata alla volontà di pace e di crescita della grande maggioranza del popolo italiano. Non possiamo più andare avanti in maniera schizofrenica, sentendo prediche di sinistra in chiesa e proclami di destra in piazza. Certo! Vicino al giudizio storiografico è necessaria la coscienza dei grandi cambiamenti che ci sono stati nella società italiana e che bisogna affrontare e risolvere in maniera positiva. Ce lo ricorda con la forza straordinaria del racconto cinematografico, Pupi Avati nel suo ultimo film “Il matrimonio” in cui racconta la famiglia italiana dei suoi tempi, a confronto con la famiglia italiana di suo padre e di sua madre. Ed è una lezione profonda sul cambiamento dell’Italia. Anche nel nostro campo politico dobbiamo ricordare che in questo cambiamento va recuperato quel che c’è di positivo e va curato, se si può, quel che c’è di negativo. Tre generazioni (quella di Fogazzaro, quella di Murri e Sturzo, quella di Alcide De Gasperi) erano state formate in un’Associazione che aveva iscritto nel suo distintivo un motto stranissimo: “Preghiera, azione, sacrificio”. L’ultimo a portare in Italia, tutti i giorni, a tutte le ore, per ogni minuto, questo motto iscritto sul bavero della giacca fu il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, il notaio che registrò la crisi del sistema democratico italiano. Chi dirà oggi agli italiani che per pagare un debito sproporzionato che tuttavia bisognerà pagare, sarà necessario il sacrificio? Non il clamore osceno, non la rivolta irrazionale, non l’inseguimento di miti criminali, non il vittimismo di chi si sente perseguitato dall’Europa, niente di tutto questo! Ma il sacrificio, pensoso, responsabile ed accettato, sarà la medicina. E non solo l’immancabile sacrificio dei poveri che non fa mai scandalo. Chi ricorda il discorso di Giustino Fortunato sul sacrificio degli italiani, quando fu finalmente pagato il debito che avevamo contratto per portare a termine il Risorgimento? Chi si ricorda quante lacrime e quanto sudore costò la tassa sul macinato? Chi si ricorda cosa significa la parola sacrificio, vale a dire rendere sacro qualche cosa? Chi si ricorda che la libertà fu riconquistata con il sacrificio dei migliori? Ci ricordiamo i tempi in cui la stessa politica era sacrificio? Chi di noi porterebbe oggi la parola sacrificio all’occhiello della giacca? È forse questa la risposta al nostro vero interrogativo? Confesso che in questo momento io non lo so. Bartolo Ciccardini

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Cultura

La musica è la parte più inconscia della percezione dello spettatore

cinematografico.

(Nicola Piovani)

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AL CANTIERE TEATRALE PARTE IL CORSO DI TEATRO JUNIOR

PER RAGAZZI Dopo l’avvio dei corsi di dizione e clownerie, il Cantiere Teatrale Adriatico, la scuola di recitazione diretta da Milo

Vallone e patrocinata dal Comune di Pescara, si prepara ad ospitare una nuova iniziativa, rivolta esclusivamente ai ragazzi. Mercoledì 12 febbraio partirà, infatti, il Corso di Recitazione Junior per i ragazzi dagli 11 ai 14 anni.

Le discipline sono: rilassamento corporeo, educazione vocale, dizione, giocoleria, socializzazione, clownerie, improvvisazioni guidate e memorizzazione.

Gli incontri si terranno fino a metà giugno tutti i mercoledì presso il Cantiere Teatrale Adriatico, a Pescara, in via Sallustio n.19. A conclusione del corso sarà allestito un saggio- spettacolo.

Per informazioni ed iscrizioni, rivolgersi presso la segreteria del Cantiere Teatrale nei seguenti giorni: lunedì’, mercoledì e venerdì dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 16.00 alle 19.00. E’ possibile inoltre contattare la segreteria allo 085/4549249, oppuinviare un’e-mail all’ indirizzo: [email protected].

Via Sallustio 19 – 65127 PESCARA –Tel. e Fax: 085.45.49.2.49 Web site: www.tamtamcom.com – e-mail: [email protected]

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Costume

Il reale è quello che vede la maggioranza.

(Jorge Luis Borges)

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Direttore responsabile: Michele Del Castello Capo redattore: Alessandro Di Biase Redazione: Giampiero Di Biase, Chiara Marini Terzo Millennio News–on line Edizione scep services sas – via di sotto, 41 – 65100 – Pescara – Registrato presso il Tribunale di Pescara n.1/93 del 6 febbraio 1993 Iscrizione registro nazionale della stampa n. 4220 del 14 maggio 1993

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