TERRA - quotidiano del 06/03/2011

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© MALLA/AP/LAPRESSE La legge sul biotestamento e fi- ne vita approda all’aula di Mon- tecitorio; il voto definitivo è pre- visto a fine mese. Uno slittamento che, per il capogruppo del Pdl al- la Camera Cicchitto, non ha alcun «significato politico». è vero inve- ce il contrario: negli ultimi giorni, nel centrodestra, sono in molti ad aver espresso la loro insoddisfa- zione per il ddl Calabrò. L’ormai ex ministro Sandro Bondi in una lettera recapitata in casella ai de- putati, su carta intestata del Se- nato e non del ministero indica, in particolare, due “punti deboli”: gli articoli 3 (sulla dichiarazione an- ticipata di trattamento) e 7 (il ri- spetto delle decisioni del pazien- te espresse nella Dat). Dal segre- tario del Pd Bersani arriva l’invi- to, rivolto «ai più responsabili del centrodestra»: «Sospendiamo la discussione e riflettiamo ancora perché è un tema troppo delica- to per la vita degli italiani per ri- solverlo con norme troppo intru- sive». Uno dei nodi fondamenta- li della legge è quello dell’ultima parola riconosciuta ai medici, an- che in caso di presenza di un bio- testamento. In sostanza, non ci sarebbe obbligo di riconoscimen- to delle volontà del paziente. Non si tratta, come sostiene il ministro della Salute Ferruccio Fazio, di dare «fiducia ai medici e di lascia- re al medico la possibilità di fare il medico». La persona verrebbe espropriata del suo fondamentale diritto di dire l’ultima parola sulle cure cui deve essere sottoposto. La maggioranza di centrode- stra vuole imporre una legge che è inaccettabile perchè non lascia alcuna libertà di scelta all’indivi- duo su come essere curato. Così disegnato questo provvedimento viola l’articolo 32 della Costituzio- ne, voluto e scritto da Aldo Mo- ro, che dichiara: «Nessuno può essere obbligato a un determina- to trattamento sanitario contro la propria volontà». Una legge, inol- tre, contestata anche dal profes- sor Vincenzo Saraceni, presiden- te dell’Associazione dei medici cattolici italiani: nutrizione e idra- tazione artificiale, dice, non pos- sono essere imposte a nessun pa- ziente, né a chi è cosciente, né a chi è in stato di incoscienza. © CORAGGIO/LAPRESSE Sarà «riforma epocale» 9 7 7 2 0 3 6 4 4 3 0 0 7 1 0 3 0 6 Separazione delle carriere, parità tra accusa e difesa e modifiche al Csm sono i «tre principi cardine» dell’intervento di Alfano. Intanto l’avvocato Ghedini chiede la fissazione delle udienze del premier al lunedì. E Mediatrade slitta al 28 marzo Gelsomini finiti Ormai in Libia è guerra civile. Giornata di combattimenti a Zawiya e Ras Lanouf. Le vittime si contano a decine. Guterres (Unhcr) lancia l’allarme per le centinaia di migliaia di lavoratori africani Giustizia Così il premier Berlusconi ha annunciato la revisione costituzionale che presenterà giovedì in Consiglio dei ministri Conflitti Galano a pagina 2 Sped. in Abb. Post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1 DCB - Roma Anno VI - n. 55 - domenica 6 marzo 2011 - E 1,50 M. Antonietta Farina Coscioni deputata radicale co-presidente Ass. Luca Coscioni Questa legge, liberticida e incostituzionale Biotestamento Da mesi è calato il silenzio sul ca- so della Deepwater Horizon, la piattaforma di Bp che esplose il 20 maggio 2010, causando 11 morti e il riversamento di 5 milioni di ba- rili di petrolio nel Golfo del Mes- sico. Eppure sul destino ecologico dell’area non vi è ancora certezza. Lo dimostra una ricerca pubblica- ta dal giornale Geosciences, che ha rivelato come, contrariamente a quanto pensato fino ad oggi, dal pozzo di Macondo non fuoriuscì solo petrolio. Secondo lo studio il 40% di quanto si riversò in mare era gas, in prevalenza metano, per un ammontare stimato tra le 260 e le 540 mila tonnellate, l’equiva- lente combustibile di 1,6–3,1 mi- lioni di barili di petrolio. Emanuele Bompan Segue a pagina 4 Segue a pagina 5 Dal maledetto pozzo Bp non uscì solo petrolio Golfo del Messico Ambiente Cinema Incontri 5 «Salviamo quella collina». In Abruzzo la battaglia solitaria del consigliere regionale verde Walter Caporale. E arrivano i primi successi 6 A colloquio con Birol Unel. Il famoso attore turco- tedesco è in Italia, dove ha appena finito di girare Il grillo di Stefano Lorenzi 7 Fawzia Koofi è la prima donna ad essere eletta vice speaker del Parlamento afghano. Ci presenta il suo libro Lettere alle mie figlie Beni confiscati, una legge di civiltà che compie 15 anni Salandra a pagina 3 Mafie Gaetano Liardo aranno oltre 600 gli studenti di più di 40 scuole che da doma- ni andranno in visita ai beni confiscati alle mafie. L’occasione è quella dei 15 anni dall’approvazione della legge sul riutiliz- zo sociale dei beni confiscati. Era il 7 marzo del 1996 quando il Par- lamento varava la 109 grazie ad una grande mobilitazione. Un milio- ne di firme raccolte da Libera, l’associazione antimafia guidata da don Luigi Ciotti, e da Avviso Pubblico. Gli studenti potranno visitare la palazzina confiscata a Isola di Capo Rizzuto, che sarà adibita a co- lonia estiva. La villa confiscata al boss dei casalesi Pasquale Spierto a San Cipriano d’Aversa, diventata centro sociale per i giovani e comu- nità per pazienti psichiatrici. Si potrà visitare la Casa del Jazz a Roma, confiscata alla Banda della Magliana. S Segue a pagina 4 Il domenicale Mediterraneo di fuoco, il nuovo disco di Benvegnù, quelle note di Leopardi sull’Italia, Prometeo contemporaneo, il mistero di Voynich, l’arte della geisha

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la legge sul biotestamento e fi-ne vita approda all’aula di Mon-tecitorio; il voto definitivo è pre-visto a fine mese. Uno slittamento che, per il capogruppo del pdl al-la Camera Cicchitto, non ha alcun «significato politico». è vero inve-ce il contrario: negli ultimi giorni, nel centrodestra, sono in molti ad aver espresso la loro insoddisfa-zione per il ddl Calabrò. l’ormai ex ministro sandro Bondi in una lettera recapitata in casella ai de-putati, su carta intestata del se-nato e non del ministero indica, in particolare, due “punti deboli”: gli articoli 3 (sulla dichiarazione an-ticipata di trattamento) e 7 (il ri-spetto delle decisioni del pazien-te espresse nella Dat). Dal segre-tario del pd Bersani arriva l’invi-to, rivolto «ai più responsabili del centrodestra»: «sospendiamo la discussione e riflettiamo ancora perché è un tema troppo delica-to per la vita degli italiani per ri-solverlo con norme troppo intru-sive». Uno dei nodi fondamenta-li della legge è quello dell’ultima parola riconosciuta ai medici, an-che in caso di presenza di un bio-testamento. In sostanza, non ci sarebbe obbligo di riconoscimen-to delle volontà del paziente. Non si tratta, come sostiene il ministro della salute Ferruccio Fazio, di dare «fiducia ai medici e di lascia-re al medico la possibilità di fare il medico». la persona verrebbe espropriata del suo fondamentale diritto di dire l’ultima parola sulle cure cui deve essere sottoposto. la maggioranza di centrode-stra vuole imporre una legge che è inaccettabile perchè non lascia alcuna libertà di scelta all’indivi-duo su come essere curato. Così disegnato questo provvedimento viola l’articolo 32 della Costituzio-ne, voluto e scritto da aldo Mo-ro, che dichiara: «Nessuno può essere obbligato a un determina-to trattamento sanitario contro la propria volontà». Una legge, inol-tre, contestata anche dal profes-sor Vincenzo saraceni, presiden-te dell’associazione dei medici cattolici italiani: nutrizione e idra-tazione artificiale, dice, non pos-sono essere imposte a nessun pa-ziente, né a chi è cosciente, né a chi è in stato di incoscienza.

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Separazione delle carriere, parità tra accusa e difesa e modifiche al Csm sono i «tre principi cardine» dell’intervento di Alfano. Intanto l’avvocato Ghedini chiede la fissazione delle udienze del premier al lunedì. E Mediatrade slitta al 28 marzo

Gelsomini finiti

Ormai in Libia è guerra civile. Giornata di

combattimenti a Zawiya e Ras Lanouf. Le vittime si

contano a decine. Guterres (Unhcr) lancia l’allarme per

le centinaia di migliaia di lavoratori africani

Giustizia Così il premier Berlusconi ha annunciato la revisione costituzionale che presenterà giovedì in Consiglio dei ministri

Conflitti

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Anno VI - n. 55 - domenica 6 marzo 2011 - E 1,50

M. Antonietta Farina Coscioni deputata radicale co-presidente Ass. Luca Coscioni

Questa legge, liberticida e incostituzionale

Biotestamento

Da mesi è calato il silenzio sul ca-so della Deepwater Horizon, la piattaforma di Bp che esplose il 20 maggio 2010, causando 11 morti e il riversamento di 5 milioni di ba-rili di petrolio nel golfo del Mes-sico. eppure sul destino ecologico dell’area non vi è ancora certezza. lo dimostra una ricerca pubblica-ta dal giornale Geosciences, che ha rivelato come, contrariamente a quanto pensato fino ad oggi, dal pozzo di Macondo non fuoriuscì solo petrolio. secondo lo studio il 40% di quanto si riversò in mare era gas, in prevalenza metano, per un ammontare stimato tra le 260 e le 540 mila tonnellate, l’equiva-lente combustibile di 1,6–3,1 mi-lioni di barili di petrolio.

Emanuele Bompan

segue a pagina 4 segue a pagina 5

Dal maledetto pozzo Bp non uscì solo petrolio

Golfo del Messico Ambiente Cinema Incontri5«salviamo quella collina». In abruzzo la battaglia solitaria del consigliere regionale verde Walter Caporale. e arrivano i primi successi

6a colloquio con Birol Unel. Il famoso attore turco-tedesco è in Italia, dove ha appena finito di girare Il grillo di stefano lorenzi

7Fawzia Koofi è la prima donna ad essere eletta vice speaker del parlamento afghano. Ci presenta il suo libro Lettere alle mie figlie

Beni confiscati, una legge di civiltà che compie 15 anni

Salandra a pagina 3

MafieGaetano Liardo

aranno oltre 600 gli studenti di più di 40 scuole che da doma-ni andranno in visita ai beni confiscati alle mafie. l’occasione è quella dei 15 anni dall’approvazione della legge sul riutiliz-

zo sociale dei beni confiscati. era il 7 marzo del 1996 quando il par-lamento varava la 109 grazie ad una grande mobilitazione. Un milio-ne di firme raccolte da libera, l’associazione antimafia guidata da don luigi Ciotti, e da avviso pubblico. gli studenti potranno visitare la palazzina confiscata a Isola di Capo rizzuto, che sarà adibita a co-lonia estiva. la villa confiscata al boss dei casalesi pasquale spierto a san Cipriano d’aversa, diventata centro sociale per i giovani e comu-nità per pazienti psichiatrici. si potrà visitare la Casa del Jazz a roma, confiscata alla Banda della Magliana.

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Il domenicaleMediterraneo di fuoco, il nuovo disco di Benvegnù, quelle note di Leopardi sull’Italia, Prometeo contemporaneo, il mistero di Voynich, l’arte della geisha

domenica 6 marzo 20112

Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano.

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Giustizia

Maltempo

ta sull’indipendenza della ma-gistratura. nel corso del suo di-scorso al convegno “noi riforma-tori”, ieri ad Avezzano, Alfano ha speso poche parole per rinverdi-re idee già note. Primo: «Accu-sa e difesa devono essere alla pa-ri e quindi devono essere giudica-ti da un giudice imparziale». Se-condo: «Se un magistrato sbaglia, come per i medici e gli avvocati, deve esserne responsabile». Ter-zo: riformare il csm perché «se la magistratura deve essere autono-ma dai poteri, deve essere anche senza nessuna influenza interna e, quindi, devono essere giudica-ti da un organismo terzo». Pecca-to che, andando a toccare la car-ta, le nuove norme dovranno se-guire l’iter gravoso delle revisioni costituzionali. «Un lungo percor-so», ha ammesso ieri il Guardasi-gilli, che vedrà la luce «verso la fi-ne della legislatura». con buona pace delle malelingue che intra-vedono dietro il velo della riforma l’intenzione di convalidare l’im-munità giudiziaria del premier. Per Marina Sereni, vicepresidente del Pd, «l’obiettivo del è solo quel-lo di accendere un conflitto sem-pre più aspro con la magistratura, per puro calcolo politico e per pu-ra propaganda». Intanto, il pro-cesso Mediatrade è nuovamen-te slittato ieri al 28 marzo. cade di lunedì, giorno che, come ha as-sicurato niccolò Ghedini, vede la disponibilità di berlusconi ad es-sere presente in udienza.

on basta la modifica del-le leggi sulla prescrizio-ne, sul processo bre-ve e sulle intercettazio-

ni telefoniche. La maggioran-za persegue l’unico fine, quello di smantellare il sistema giudi-ziario, e per farlo non abbando-na l’ambizioso progetto di inter-venire sulla costituzione. I tan-ti tentativi di sottrar-re il premier ai quat-tro procedimenti in cui risulta coinvolto (Mediaset, Mediatra-de, Mills e ruby) non impediscono al Pdl di lavorare sulla «rifor-ma epocale della giu-stizia», come l’ha de-finita ieri lo stesso Silvio berlu-sconi. L’appuntamento è fissato per giovedì prossimo, quando in consiglio dei ministri il Guarda-sigilli illustrerà i dettagli del pro-getto costituzionale. Partecipando telefonicamente a due conferenze pidielline, il pre-

Una «riforma epocale» che riesuma vecchie ideeDina Galano

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Giustizia Pronta per il Consiglio dei ministri di giovedì la revisione costituzionale. Basata su «tre principi cardine» ripropone separazione delle carriere, parità tra accusa e difesa e modifiche al Csm

sidente del consiglio oltre a pre-annunciare la dimensione onni-comprensiva delle modifiche in cantiere per il settore giustizia, ha anche confermato l’unitarie-tà del sostegno della maggioran-za. «Prima, quando presentava-mo riforme sulla giustizia, aveva-

mo un no preliminare di Fini e dei suoi», ha motivato, «oggi questo non accade più, quindi pensiamo di poter portare avanti le rifor-me che per noi sono un impegno contrattuale con elettori». Forte di questo assunto, il ministro An-gelino Alfano ha confermato l’esi-

stenza del provvedimento di ri-forma che, ha spiegato, «contie-ne tre principi cardine»: si va dal-la separazione delle carriere alla parità tra accusa e difesa, passan-do per quella riconsiderazione dell’organismo del csm che pun-ta da tempo a ottenere una stret-

l freddo e la pioggia fanno ritorno al Sud, dopo ave-re provocato cinque vitti-me e milioni di euro di dan-

ni nelle regioni del centro-nord. In queste ore l’acqua sta crean-do disagi in Sicilia e calabria, e i vigili del fuoco hanno registra-to centinaia di interventi lun-go tutto il litorale ionico. Si sono verificate diverse frane e le stra-de risultano di difficile percor-renza nei pressi dei paesi sicilia-ni di Francavilla, Graniti, Santa

Alessio Nannini

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Sud, ancora emergenzaNon c’è difesa del suolo

Maltempo Difficile la situazione nel messinese, dove frane e smottamenti hanno costretto alla chiusura di alcune strade. Un allarme acuito dai continui tagli ai fondi contro il dissesto

Il Guardasigilli: «Entrerà in vigore tra anni. Nessuno potrà dire che serva per beneficiare Berlusconi»

Teresa riva, Motta camastra. In quest’ultimo acqua e fango han-no invaso una scuola, costrin-gendo il corpo insegnante e gli alunni ad abbandonare l’edificio. chiusa in entrambe le direzioni la Statale 185 di Sella Mandrazzi nel messinese, tra Fondaco Mot-ta e Gaggi, e tante le chiamate anche in campania a causa del-le continue precipitazioni. A na-poli le richieste di intervento ri-guardano soprattutto infiltrazio-ni d’acqua negli appartamenti a piano terra, e le cadute di corni-cioni. In Molise invece è tornata

la neve, abbondante e superiore il metro mezzo nelle località sci-istiche. La Protezione civile sta monitorando la situazione, ma il problema è, fuor di metafora, a monte. «In campania abbia-no situazioni critiche in molte zone – spiega il professor Fran-cesco russo, vice presidente dei geologi campani –. Solo nel no-stro territorio ci sono 26000 fra-ne censite, che possono portare a problemi seri».Seri e tristemente noti. A ogni emergenza meteorologica si fi-nisce a contare i morti, non solo

nel Mezzogiorno ma in tutta Ita-lia. «Il punto non è solo che non si investe, ma addirittura che ci si si permette di tagliare i fon-di destinati alla difesa suolo. In campania abbiamo un assesso-re che è anche un tecnico, e dun-que qualcosa si riesce ad argina-re, in questo senso. Ma altrove è un disastro».In ogni amministrazione comu-nale sono presenti un geometra e un ingegnere. Però manca un geologo, e questo è di estrema gravità perché il territorio italia-no è fragile e dunque ci sarebbe

la necessità di monitorarlo il più possibile. «non solo con costan-ti osservazioni – aggiunge russo – ma con cartografie e strumen-ti adeguati. Invece niente. nelle Marche, in Liguria, campania e Sicilia, ci sono una grande quan-tità di zone r4, cioè a rischio dis-sesto e inondazioni, e che cosa si fa? niente». oppure quel po-co che si fa, si fa male. Le pesan-ti piogge degli ultimi giorni han-no eroso una parte della spon-da destra del fiume Tordino, tra Giulianova e roseto in Abruzzo, distruggendo un sistema di sicu-rezza che separava il corso d’ac-qua dalla discarica di coste Lan-ciano di roseto. risultato, una massa di rifiuti è scesa a valle e finita nelle strade. e pensare che la zona era stata oggetto di un fenomeno identico nel giugno 2009, e che proprio per questo era stato realizzato quel sistema di sicurezza. A quanto pare, ina-deguato.

Due motovedette della guardia costiera ed un elicottero della Finan-za hanno soccorso un’imbarcazione di nove metri con circa 22 tu-nisini a bordo, sul punto di affondare vicino Lampedusa. Mentre so-no riprese sabato all’alba le ricerche dei due dispersi nel naufragio di un barcone lungo 9 metri avvenuto venerdì sera nel canale di Sicilia. Sull’imbarcazione, soccorsa dal motopesca mazarese Alcapa, viag-giavano 30 migranti. Finora, si contano oltre 6.500 arrivi sull’isola.

Ancora sbarchi. Si cercano i dispersi in mare

Per il premier «è l’unica alternativa»

Lampedusa Nucleare

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Nord Africa

Cina

stizia di Gheddafi e passato all’op-posizione quando sono scoppia-ti gli scontri. Complessivamen-te la situazione si fa sempre più preoccupante. i fronti si schiera-no con carri armati e milizie per una guerra che si annuncia lunga e sanguinosa. il risultato più im-mediato è che la masa dei pro-fughi cresce. secondo gli esperti Onu sono già 200 mila le persone in marcia per sfuggire agli scontri

e alla violenza. La mag-gioranza dei quali si sta ammassando al confi-ne con la tunisia. an-tonio Guterres, dell’alto commissariato Onu per i rifugiati, ha racconta-to ai microfoni di al Ja-zeera il problema dei la-voratori africani in Li-

bia: «sono centinaia di migliaia, e per ora ai confini ne sono arrivati pochissimi. abbiamo ricevuto te-lefonate disperate di gente chiu-sa in casa che ha paura di uscire e affrontare il viaggio. La comuni-tà africana in Libia ora è la nostro maggiore preoccupazione».

n Libia i gelsomini sono un ri-cordo lontano: ormai è guer-ra civile. Città per città, paese per paese, gli eserciti si schie-

rano e si scontrano in operazio-ni di guerriglia urbana. È finito il tempo delle manifestazioni e del-la pressione mediatica. Ghedda-fi non molla e contrattacca: ie-ri è stata battaglia dura ad az Za-wiyah, cittadina a ovest di tripo-li. all’alba i lealisti sono arrivati da est e da ovest. i testimoni raccon-tano una colonna di 40 macchine piene di militari e mercenari co-perti da carri armati e antiaerea. L’offensiva ha guadagnato presto la centrale piazza dei Martiri. Ma i ribelli hanno combattuto e re-spinto l’offensiva. Decine i mor-ti, soprattutto civili. al telefono con l’emittente araba al Jazeera un medico racconta: «È stato or-ribile. i mercenari hanno aperto il fuoco su chiunque osasse uscire di casa, anche sui bambini - ha af-fermato il medico chiedendo aiu-to - all’ospedale abbiamo bisogno di tutto». testimoni oculari han-no sottolineato che, nonostante il pesante assalto delle forze pro-regime, il centro della città è sot-to il controllo dei ribelli:«Ci sono state due offensive. il battaglione Khamis (normalmente coman-dato da uno dei figli di Ghedda-fi) ha fatto irruzione dall’est del-la città e il battaglione Hosban da ovest. i ribelli hanno fatto molte

Libia, niente gelsomini Infuria la guerra civile

Betta Salandra

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Nord Africa Combattimenti intensi ad az Zawiyah, cittadina a ovest di Tripoli controllata dai ribelli. I carri armati del Colonnello hanno lanciato l’attacco all’alba: decine i morti

vittime e catturato alcuni mem-bri delle forze nemiche» ha spie-gato il medico che si è detto in “stato di shock”. Nel pomeriggio però le milizie pro-Gheddafi han-no lanciato un altro attaco, gli esi-ti del quale sono tutt’ora incerti. Gli scontri sono proseguiti anche

a ras Lanuf, cittadina petrolifera a est di sirte, città natale e centro strategico per il clan del Colonnel-lo. i ribelli reclamano il controllo della città, strategico per l’assalto a sirte, ma i miliziani di Ghedda-fi sembrano intenzionati a ricon-quistarla. a Bengasi invece, sal-

damente in mano ai ribelli, l’au-to proclamatosi “Consiglio nazio-nale dell’opposizione” si è riunito per la prima volta, ha dichiarato uno dei portavoce Mustafa Ghe-riani. L’organo composto da 30 membri è presieduto da Mustafa abdel Jalil, già ministro della Giu-

rescita, armonia e am-biente. sono state queste le parole d’ordine lancia-te da Wen Jiabao all’aper-

tura dell’annuale Congresso na-zionale del popolo a pechino, l’as-semblea formata da quasi 3.000 delegati che nei prossimi dieci giorni approverà il nuovo piano di sviluppo del gigante asiatico. e gli occhi, ovviamente, erano tut-ti puntati sul discorso inaugurale di Jiabao che ha definito «un pro-blema serio» le diseguaglianze portate dalla crescita economica negli ultimi anni. Gli echi delle ri-volte nordafricane, ovviamente, fanno paura. il governo di pechi-no sta cercando di spegnere una possibile miccia e lo fa usando la scure sull’informazione. solo ne-gli ultimi giorni è stata oscurata la parola “Gelsomino” per evita-re qualsiasi richiamo alle som-mosse africane. a farne le spe-

Pierpaolo De Lauro

C Stabilità e crescita lontano dal Nord Africa

Cina Al Congresso del popolo, Wen Jiabao traccia la rotta per il Paese. Basta diseguaglianze tra città e campagne, aumento delle spese militari e attenzione all’ambiente. E sulle rivolte meglio tacere

L’Alto commissariato Onu per i rifugiati lancia l’allarme per i lavoratori africani

se anche il social network Lin-kedn e, addirittura, il presiden-te Hu Jintao che in un video in-tona la canzone “Ma che bel fiore il Gelsomino”. prima dell’apertu-ra del congresso, il Beijing Daily ha lanciato il suo attacco alle vo-ci di protesta in Cina, finora con-cretizzatesi solo in innocui lan-ci di fiori, prontamente blocca-ti dalla polizia. Dalle colonne del giornale il messaggio è stato chiaro: «Quelli che sono impe-gnati a trovare notizie dal Medio Oriente vedranno che i loro pia-ni non sortiranno alcun effetto».

Davanti ai delegati, però, il pre-mier non vi ha fatto nessun ac-cenno, la necessità è ridurre l’in-flazione e la crescita delle cam-pagne. «La priorità è la stabiliz-zazione dei prezzi», ha dichia-rato Wen Jiabao. e sui numeri è stato chiaro: fermare l’inflazione al 4% per il 2011 e raggiungere l’8 per cento come obiettivo di cre-scita. il deficit dello stato, inol-tre, deve essere mantenuto en-tro il 2% del pil. prioritario anche «lo sviluppo del mondo rurale e il miglioramento del livello della popolazione». Com’è noto, la Ci-

na punta a una crescita della do-manda interna per portare il pa-ese al pari delle altre potenze. Jia-bao ha ammesso «che i problemi fra la popolazione non sono sta-ti tutti risolti». Fra i motivi di di-sagio dei cinesi, ha indicato an-che «il sequestro illegale di terre e la demolizione illecita di case», e ancora la corruzione che dila-ga in ogni ambito. a far paura al-la potenze occidentali, invece, è l’aumento della spesa per la dife-sa. il premier ha dichiarato di vo-lere un «esercito potente» prean-nunciando che la spesa militare

cinese salirà di oltre 65 miliardi di euro nel 2011, con una crescita del 12,7%. Buone notizie, invece, sul fronte ambientale. Jiabao ha promesso che nei prossimi 5 an-ni verranno messi in campo tutti gli sforzi possibili per salvaguar-dare l’ambiente. «risponderemo attivamente ai cambiamenti cli-matici», ha detto il premier. sul-la carta è pronta una riduzione delle emissioni di CO2 del 17 per cento per unità di prodotto inter-no lordo in cinque anni e un ta-glio al consumo di energia del 16. si attendono i risultati.

La previsione per il 2011 confezionata dalla Cgia di Mestre è allarman-te: l’aumento dei prezzi rilevati nell’ultimo anno potrebbe far aumen-tare la spesa media delle famiglie italiane di 857,3 euro. a livello territo-riale il picco più elevato si potrebbe raggiungere al Nord, con un aggra-vio particolare per i lavoratori autonomi (artigiani e commercianti). Colpa dei combustibili, di energia e trasporti che, spiegano gli esperti «risentono della forte impennata dei prezzi dei prodotti petroliferi».

il presidente Berlusconi ieri si è lanciato in un chiaro messaggio pro atomo, alzando un coro di critiche. «per il premier solo il nucleare può competere e sostituire il petrolio e il gas? ecco il perché del duro attac-co alle fonti rinnovabili sferrato con il decreto romani», ha commen-tato Legambiente. Di «preciso disegno avventuristico messo in atto per privilegiare le lobbies delle fonti fossili e del nucleare», hanno par-lato invece i senatori pd roberto Della seta e Francesco Ferrante.

Stangata per le famiglie: +857 euro nel 2011

Carovita

un carro armato libico a dieci km ad est di Zawiya

domenica 6 marzo 20114

I campi di lavoro di Libera sui terreni confiscati alla camorra, a Casal di Principe (Ce)

Mafieto rose e fiori. Degli oltre 11 mi-la beni ritornati alla disponibili-tà dello Stato, 5.507 sono gli im-mobili destinati e consegnati, 2.900 sono ancora in gestione, 980 sono destinati ma non con-segnati. I tempi per giungere all’assegnazione di un bene per uso sociale possono essere mol-to lunghi, anche 15 anni. Perio-do nel quale il bene abbando-nato rischia di essere vandaliz-zato, gravemente danneggiato, oppure occupato abusivamen-te. Un altro problema che pesa sui beni confiscati è quello del-le ipoteche bancarie. «Ci sono zone d’ombra – ha recentemen-te dichiarato don Luigi Ciotti - perchè il 45% dei beni non so-no riutilizzati a causa di ipote-che bancarie». Secondo Piero Grasso, procuratore nazionale antimafie: «In molti casi è stata provata la malafede delle ban-che. In un solo colpo – ha di-chiarato – sono state annullate ipoteche per il valore di 13 mi-lioni di euro». La legge, oltre ad essere osteggiata dai boss, non ha avuto vita facile da parte dei politici. «Basti pensare – ricor-da Franco La Torre - all’emen-damento che prevede la vendi-ta del bene, anche se solo co-me extrema ratio». Tra piccoli e grandi successi, ostacoli e ral-lentamenti, la legge 109 com-pie 15 anni. Un passo impor-tante nella lotta per contrasta-re le mafie.

A Trapani la calcestruzzi Eri-cina Libera, mentre a Palermo la bottega di Libera, in piazza Castelnuovo. Alcuni dei nume-rosi beni sottratti ai boss in tut-ta la Penisola. Un passo in avan-ti per contrastare lo strapotere delle mafie, colpendole in ciò che hanno più a cuore: il patri-monio. Un’idea na-ta dall’intuizione di Pio La Torre, il po-litico siciliano uc-ciso da Cosa nostra nel 1982 che, pro-prio sul contrasto alle ricchezze dei boss, aveva svol-to un ruolo impor-tante. «Possiamo dire che po-liticamente il bilancio è positi-vo» commenta Franco La Tor-re, il figlio di Pio. «Questa legge – aggiunge - è uno strumento di straordinaria efficacia. La forza delle mafie è basata sull’accu-mulazione della ricchezza. Con questa legge si dà un doppio schiaffo ai boss, il primo quan-

do il bene viene sottratto, il se-condo quando viene restitui-to alla collettività». Dall’entrata in vigore della 109 al 1 novem-bre 2010, lo Stato ha confisca-to 11.152 beni. Palazzi, apparta-menti, terrene, aziende. La re-gione con il maggior numero di confische è la Sicilia con 4.971 beni. Seguono Campania, 1.679,

Calabria 1.544 e Lombardia con 957. Per Franco La Torre, la legge «ha dato frutti concreti». «Tut-tavia – aggiunge - siamo anco-ra in una situazione di grandi difficoltà». «Passa troppo tem-po – continua La Torre - tra il sequestro e la confisca definiti-va. Troppo tempo, inoltre, per l’assegnazione. Questa situazio-

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>>Primo piano>>

Beni confiscati, la leggecompie quindici anniLiardo dalla prima

Mafie Il 7 marzo 1996 il Parlamento approvava la 109. Da quel giorno lo Stato ha sottratto alle organizzazioni criminali 11.152 beni. L’associazione Libera festeggia una norma di civiltà

ne fa si che i beni si deteriori-no o vengano vandalizzati. Mol-ti beni confiscati, inoltre, sono bloccati da procedure burocra-tiche». Leggendo i dati riportati dall’Agenzia nazionale sui beni confiscati, istituita nel gennaio 2010 per gestire l’iter che va dal sequestro alla destinazione per uso sociale dei beni, non è tut-

Saraceno critica anche, senza mezzi termini, il passaggio del di-segno di legge sul biotestamento che esclude proprio alimentazio-ne e idratazione artificiale dagli interventi che il cittadino può ri-fiutare sul suo testamento biolo-gico. «Così come un paziente vi-gile può rifiutare una trasfusione, o l’amputazione di una gamba in cancrena, e anche ovviamente il sondino per l’alimentazione - di-ce Saraceni - così può farlo un pa-ziente incosciente, se ha lasciato indicazioni precise che vanno poi segnalate e rivendicate dal suo fi-duciario. Imporre a un paziente incosciente la Peg o il sondino na-sogastrico mi sembra francamen-te eccessivo». Perché dunque una parte della maggioranza di cen-trodestra si ostina a voler varare una legge che in modo così stri-

Farina Coscioni dalla prima dente va contro la volontà degli italiani? La spiegazione va indivi-duata nell’innegabile calo di con-senso nei confronti del presiden-te del Consiglio. Il tentativo, attra-verso questo modo maldestro di cavalcare i temi “eticamente sen-sibili”, è di riguadagnare la fidu-cia delle gerarchie cattoliche, che, al contrario, giorno dopo giorno, sembrano prendere le distanze da un Berlusconi sempre più in-vischiato nelle sue imbarazzanti vicende personali. Si spiega così l’offensiva berlusconiana di que-sti giorni: il pesantissimo attacco alle unioni di fatto; il no al matri-monio per le coppie gay; la politi-ca di ostruzionismo nei confron-ti della pillola del giorno dopo, fi-no ad avallare, con il pronuncia-mento del Comitato nazionale di bioetica (di nomina governativa) l’assurda possibilità di obiezione di coscienza da parte del farmaci-

sta; e il pesantissimo attacco alla scuola pubblica, “colpevole” di in-stillare negli studenti valori con-trari a quelli delle famiglie. I son-daggi parlano chiaro. L’ultimo, re-cente rapporto dell’Eurispes ci di-ce che anche su un tema certa-mente delicato e lacerante come l’eutanasia, il 66,2% degli italia-ni dice sì alla pratica della “dolce morte”; e a proposito di una leg-ge che istituisca in Italia il testa-mento biologico, che il governo e la maggioranza di centrodestra non vorrebbero tenere in alcun conto, la soglia dei favorevoli bal-za all’81,4%. Per quel che riguarda il testamento biologico, il 72,8% ritiene che la volontà della perso-na debba essere rispettata, e che il medico non possa e non debba ignorarla. nonostante ciò rischia-mo che venga varata una leg-ge sul fine vita e il biotestamen-to che, fatalmente, appena appro-

vata vedrà una quantità di ecce-zioni di costituzionalità. Occorre mobilitarsi, esigere per esempio il massimo di informazione e con-fronto possibile. Invece di proporre improbabi-li dosaggi e bilanciamenti a pro-posito delle conduzioni di pro-grammi di approfondimento po-litico, più utile sarebbe forse oc-cuparsi del perché certe temati-che, e certi esponenti politici so-no “vieti” e vietati. Piacerebbe, e sono certa che sa-rebbe accolto con favore dall’opi-nione pubblica, che il servizio pubblico radiotelevisivo assicu-rasse momenti di confronto e di-battito, per esempio, tra il mini-stro Maurizio Sacconi e Marco Pannella o tra Emma Bonino e Paola Binetti; o tra me ed Euge-nia Roccella. In un paese civile non ci sarebbe neppure bisogno di chiederlo.

Fermiamo questa legge sbagliata e liberticida

Diritti Arriva in aula lunedì, per essere votata entro fine mese, la norma su biotestamento e fine-vita. Un testo assurdo fatto solo per ingraziarsi il Vaticano, contro la volontà degli italiani

Oggi, in quindici Regioni, si svolgerà la IV Giornata na-zionale delle ferrovie dimen-ticate, un evento organizzato da Legambiente e Co.Mo.Do, la confederazione per la mo-bilità dolce, che quest’anno ha ricevuto anche il patroci-nio delle Ferrovie dello Stato. Le ex ferrovie, che si snodano lungo le zone più belle d’Italia e attraversano parchi o riser-ve naturali, sono un patrimo-nio da visitare e rivalutare. E tante sono le iniziative per far conoscere o riscoprire gli an-goli più remoti e spesso ricchi di storia e tradizioni, del Bel-paese.Si va dalle escursioni in bici-cletta sulle strade ferrate or-mai inutilizzate, alle visite di vecchi depositi e musei sto-rici, dal trekking sulle crema-gliere alle gite in treni turisti-ci che rifanno pezzi di vecchie tratte. «Le passeggiate e le at-tività organizzate per questa

Piero Capponi

Una giornata per le ferrovia dimenticate

Appuntamenti

Franco La Torre ricorda che passa ancora troppo tempo nell’iter che porta all’assegnazione per uso sociale del bene

domenica 6 marzo 2011 5

Usa

acque ultra profonde hanno la-sciato il Golfo per trasferirsi in altri paesi a causa della morato-ria sull’estrazione». L’offensiva di Big Oil, la lobby del petrolio, è ini-ziata. Se il settore estrattivo non se la passa male lo stesso non si può dire della pesca, che in Loui-siana copre un quarto dell’econo-mia. Nei mesi scorsi le aree di pe-sca sono state progressivamen-

te riaperte, ma il 71% dei consumato-ri ritiene ancora che gamberetti e gran-chi della zona non siano abbastanza si-curi. Il rischio rima-ne la contaminazio-ne da agenti chimi-ci come l’etilbenze-

ne, elementi cancerogeni presen-ti nel petrolio e attualmente nes-suno studio è in grado di predire gli effetti a lungo termine dell’as-sunzione moderata di questi ele-menti. Eppure anche in questo settore la ragion economica non vuole sentire scuse. Non impor-tano gli avvertimenti, bisogna an-dare avanti.

Inoltre l’impatto di questo gas non è del tutto conosciuto, anche se pare essere responsabile della creazione di zone anossiche, pri-ve cioè dell’ossigeno fondamen-tale per la vita marina. Secondo l’oceanografo Ian MacDonald il metano si sarebbe depositato sul fondo marino, con conseguenze potenzialmente distruttive per la catena alimentare sottomarina. Le preoccupazioni sono dovute al fatto che la fuoriuscita di metano, che è un gas serra 20 volte più for-te della CO2, ha costituito, secon-do gli esperti, ben il 2,6% del tota-le delle emissioni complessive an-nue. Una quantità molto elevata che sta venendo lentamente con-sumata da dei batteri che, una volta terminata la propria fonte di cibo, moriranno creando così zone anossiche e incidendo sulla biochimica degli organismi pre-senti nei fondali marini. Mentre la scienza si confronta sulle inde-cifrabili ramificazioni chimico or-ganiche del più grande disastro petrolifero nella storia, Bp, uscita quasi illesa dal disastro, ha riini-ziato a pagare i bonus ai suoi top manager e, mentre l’ex Ceo Tony Hayward e l’attuale capo Bob Du-dley non avrebbero ricevuto al-cun premio di produzione, il di-rettore finanziario Byron Grote, e il responsabile raffinazione Iain Conn, avrebbero incassato tutti gli extra (bonus e share) causan-

do l’ira degli ambientalisti così come degli azionisti Bp. Sebbene continui a pagare i danni causa-ti, Bp, accettate le nuove regola-mentazioni introdotte dall’ammi-nistrazione Obama, ha dato il via ai nuovi piani di espansione per l’estrazione petrolifera nel golfo del Messico. Ieri l’agenzia respon-sabile per la sicurezza ambienta-

le nel settore energetico off-shore, ha annunciato che il primo per-messo da quando è stata istitu-ita la moratoria, per una piatta-forma estrattiva lontano dalle co-ste della Louisiana. L’autorizza-zione a estrarre greggio verrà rila-sciata a Noble Energy, una com-pagnia minore, di cui Bp controlla il 46,5%. La notizia è stata saluta-

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>>Primo piano>>

Golfo del Messico, usciva anche metano dal pozzo

Bompan dalla prima

Usa Secondo uno studio 500mila tonnellate del potente gas serra sono finite sui fondali. Intanto una compagnia controllata da Bp ottiene il primo permesso per una piattaforma offshore

ta con favore dal governatore del-la Louisiana, il repubblicano Bob-by Jindall, rappresentante di uno degli Stati la cui economia è sta-ta severamente colpita dal disa-stro. «Dobbiamo creare il più ve-locemente possibile le condizio-ni per permettere all’industria del petrolio e del gas di tornare a ope-rare. a oggi sette piattaforme in

na battaglia solitaria, che sta trovando molte adesioni lungo la stra-da. È quella partita dal

consigliere regionale abruzze-se Walter Caporale (La Sinistra - Verdi) contro lo sbancamento per ragioni “di sicurezza” di un versante collinare nel comune di Silvi Marina, in provincia di Teramo, adiacente al complesso della Fiera adriatica e a un cen-tro commerciale. Un intervento inizialmente solitario, che in se-guito ha però riscosso l’adesio-ne dei partiti di centrosinistra e perfino una presa di posizione della regione targata pdl; e che, al di là del singolo episodio, rap-presenta per l’esponente ecolo-gista il simbolo di come si pen-si «di poter agire impunemente distruggendo il territorio abruz-

Filippo Pala

Uzese, da tempo si parla perfino di ridurre la riserva naturale re-gionale ed avviare nuove spe-culazioni, distruggendo defini-tivamente interi pezzi di costa adriatica».In quest’occasione si trattava di asportare 135mila metri cubi di terra da una scar-pata, lungo un fronte lineare di 50 metri, nel tentativo di rie-quilibrare un terreno che pro-babilmente è stato reso instabi-le proprio da precedenti sban-camenti, attuati per costruire, con interessi economici che in-zialmente hanno fatto paura a molti. Fino all’interrogazione che Caporale ha presentato al presidente della regione Gian-ni Chiodi, in cui si chiedeva se il progetto rispettasse «i vincoli ambientali, in particolare quel-lo idrogeologico, se abbia rice-vuto il parere della Commissio-ne Via e quale destinazione avrà

l’enorme quantità di materia-le asportato», ottenendo rispo-sta dall’assessore regionale alla programmazione sul territorio, Gianfranco Giuliante, secondo cui «i lavori non hanno le au-torizzazioni che per legge sono obbligatori e vincolanti», vale a dire la valutazione ambienta-le strategica (Vas) e la Via. L’in-tervento della regione non è pe-rò risolutivo, dovrebbe essere il comune a bloccare i lavori, e al momento non risultano prese di posizione del sindaco. per que-sto Caporale ha convocato una conferenza stampa per martedì in cui chiederà al primo cittadi-no di fermare le ruspe. Un’occa-sione per rilanciare la battaglia contro la distruzione del territo-rio che in abruzzo, denuncia il consigliere dei Verdi, «non è pa-trimonio solo della destra, ma spesso riguarda anche una par-

te di sinistra, che rimane insen-sibile sia alla green economy che alla consapevolezza che lo svi-luppo dell’abruzzo può nascere solo dal turismo legato alla ter-ra, al mare e al verde». In real-tà, si è provato a salvaguardare almeno gli ultimi 40 chilometri di costa adriatica rimasti invio-lati, creando un parco su quel-lo che una volta era il traccia-to ferroviario, racconta Capora-le, ma purtroppo «i nove comu-ni interessati continuano a non dare attuazione all’area protet-ta perché vogliono prima lottiz-zare tutto il possibile. È dovuto intervenire addrittura il decreto Milleproroghe a dire che entro il 30 settembre si deve concludere la procedura o verrà nominato un commissario» in una regio-ne dove, conclude amaramente l’esponente verde, si «specula e si distrugge ovunque».

Il consigliere non ci sta«Salviamo quella collina»

Il caso Walter Caporale ha avviato in Regione Abruzzo una lotta solitaria contro lo sbancamento di 135mila metri cubi di terra a Silvi Marina: «Sulla difesa dell’ambiente a sinistra molti sono distratti»

giornata - dice il presidente di Legambiente, Vittorio Coglia-ti Dezza - sono la dimostra-zione che i binari dismessi in tutta Italia, insieme alle tante strade arginali, possono facil-mente diventare, integrandoli con i servizi locali di trasporto pubblico, interessanti percor-si di mobilità dolce dedicati a pedoni, ciclisti ed escursioni-sti. Sarebbe un modo ulterio-re per sviluppare turismo so-stenibile, valorizzando il pa-esaggio e la natura che mol-te di queste vecchie vie ferra-te incrociano e attraversano». C’era un tempo in cui questi binari dismessi collegavano anche Comuni che oggi sono raggiungibili soltanto in auto-mobile. renderli riaccessibi-li significherebbe poter colle-gare più facilmente gran par-te dei borghi che custodisco-no storia, cultura, arte e tradi-zioni. Ma per realizzare que-sto progetto e farlo apprezza-re al pubblico, c’è bisogno in-nanzitutto che questi percorsi vengano conosciuti. per que-sto Legambiente e Co.Mo.Do. hanno organizzato numero-si appuntamenti lungo tutta la penisola. La vera ricchezza dell’Italia sulla quale dovrem-mo puntare per dare nuovo impulso all’economia.

Sebbene continui a pagare i danni provocati, Bp ha dato il via ai nuovi piani di espansione per l’estrazione petrolifera

domenica 6 marzo 20116

mentre i Paesi islamici erano poco svi-luppati e retrogradi. Oggi gli italiani si ritrovano con un premier “sultano” che fa le feste nell’harem, mentre in Magh-reb giovani arabi fanno una rivoluzio-ne non religiosa. La storia ha ribaltato le parti?Io non mi intendo di politica, non la pratico, non la seguo. A me Berlusconi sembra solo un boss, un moderno Al Capone. Ha potere e soldi oltre ogni limite ma non mi pare che faccia nulla per il Paese. I giovani arabi che si ribellano contro la dittatura fanno la cosa giusta. Speriamo finisca bene.

Si è sostenuto a lungo che Islam e de-mocrazia fossero incompatibili.Mi pare che in Libano diverse religioni con-vivano pacificamente. Lo scontro di civiltà è una bugia sostenuta da esseri cinici a cui interessa solo il business della guerra.

La Turchia in questo senso è sempre stata all’avanguardia.Non seguo la politica turca. So che loro mi amano, si vantano dei miei successi. Ma io non ho nessun interesse a diventare un eroe nazionale. Non voglio averci nulla a che fare. Sono solo un clochard.

Nelle sue interviste però sembra aver mantenuto un rapporto forte con alcu-ne figure della sua infanzia. In partico-lare sua nonna. Parliamo di persone mol-to anziane. Che lavorano la terra. Che so-no la terra del Paese. Dobbiamo salvarle. Io sento che vengo da lì.

>>Cinema>>

Sono solo un clochard

n operaio immigrato, assorto e di-stante dalle persone che lo circon-dano, lavora in uno scalo interna-zionale. Il suono lieve del frinire di

un grillo, imprigionato nella colonnina di cemento che sta costruendo, improvvisa-mente lo risveglia da un torpore ancestra-le e lo rimette in sintonia con quello che lo circonda ma soprattutto con un senti-re più profondo, di un innato desiderio di libertà. è questa la storia de Il grillo, l’ulti-mo lavoro che il regista toscano Stefano Lorenzi, ha appena finito di girare con un cast d’eccezione. Nei panni del protagoni-sta, infatti, c’è il famoso attore turco tede-sco Birol Unel, che abbiamo rivisto di re-cente nel ruolo di un burbero ed eccentri-co cuoco nell’ultimo film di Fatih Akin, Soul Kitchen e che abbiamo conosciu-to nel ben più dramma-tico La sposa turca, Or-so d’oro a Berlino 2005. Tra gli altri protagonisti anche Clemente Cecchi (Il commissario Manara, Le ragazze di San Fredia-

Alessia Mazzenga

U

IntervistaUn atto di ribellione da parte di un operaio immigrato che spezza la monotonia di gesti quotidiani ripetitivi. Questa la storia del corto Il grillo di Stefano Lorenzi con un attore d’eccezione come Birol Unel

no), in veste anche di co-produttore e il li-vornese Edoardo Gabbriellini (Ovosodo, Io sono l’amore), oltre al fatto che il cortome-traggio gode anche del valore aggiunto del lavoro di un direttore della fotografia come Daniele Ciprì. «Facendo fare al mio prota-gonista un improvviso gesto di libertà ri-spetto alla routine di gesti quotidiani e al monotono fluire del suo lavoro - ha spiega-to il regista, noto per i suoi film inerenti ai temi della globalizzazione e il degrado am-bientale, come Nunca máis e Firenze città aperta – volevo rappresentare la difesa da parte di una persona della propria inalie-nabile identità umana».

Birol Unel, è inusuale che attori famosi come lei si interessino al lavoro di regi-sti giovani? Non è importante il fatto che un regista

sia giovane o meno, quello che con-ta è condividere una visione insie-me e trovare la giusta alchimia. An-che Fatih Akin, quando girò La spo-sa turca non era ancora conosciuto. Io penso, però che l’intesa tra il re-

gista e l’attore e la storia che si vuo-le raccontare siano ancora più impor-

tanti dell’esperienza. Ho scelto di lavo-rare ne Il grillo, perché è un po’ difficile trovare un’idea così intensa e particola-

re. Inoltre mi aveva colpito che rac-chiudesse in sé un mistero.

In questo lavoro in-terpreta il ruolo di un immigrato e an-

che lei si è trasferito in Germania dalla Turchia all’età di 6 anni. Com’è stato il suo processo d’integrazione?I miei parenti non sono emigrati, sono sta-ti invitati da un datore di lavoro a trasferir-si in Germania. Per quanto mi riguarda, in-vece, mi considero solo un attore, non un migrante o un immigrato. Non mi interes-sa il tema. Sono un attore internazionale. Lavoro in tanti Paesi. Per me non è impor-tante il tema della nazionalità.

L’hanno definita il Klaus Kinski turco. Lei che ne pensa, trova delle affinità con il grande attore?Quando l’ho sentito la prima volta mi ha molto divertito. Di Kinski c’è n’è uno, lui è stato unico. Forse però condividiamo la stessa intensità e energia. Di lui dicevano che era una persona molto problematica ma alla fine ha fatto molti bei film e li ha portati tutti a termine meravigliosamente.

Terra è una testata ecologista. Quanto la riguardano le tematiche ambientali?Mi sento un ecologista ma non sono un verde. L’argomento è importante. Cer-co anche di contribuire in qualche modo all’ambiente. Per esempio faccio parte di un’iniziativa per la salvaguardia della “Val-le delle farfalle” vicino Fethiye in Turchia: sono diventato uno degli sponsor di que-sto posto magico dove vivono le “brown ti-gers”, un tipo di farfalle.

Noi occidentali siamo cresciuti con l’idea che eravamo portatori di civiltà

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trate nella provincia di Herat. La loro pre-senza è di grande utilità per la popolazione locale. Tuttavia credo che il governo italia-no dovrebbe fornire un addestramento più specifico ai suoi soldati e dotarli di un mag-gior numero di mezzi e attrezzature per fa-vorire i loro interventi umanitari.

Nel 2014 lei intende candidarsi alle ele-zioni presidenziali. Quali aspettative nutre a riguardo?Ho piena fiducia nella mia gente e credo che il mio popolo avrà fiducia in me. So-no già stata eletta due volte al parlamento, ogni volta con moltissimi voti. Il vero osta-colo è rappresentato da quei politici tradi-zionalisti che occupano la scena da molti anni e non vogliono condividere il loro po-tere con le donne. Io però ho una schiera di sostenitori molto ampia su cui so di poter contare.

>>Incontri>>

Fawzia Koofi una vita per le donne

are Shuhra e Shaharzad, og-gi andrò a Faizabad e Darwaz per un incontro politico. Spero di tornare presto e di rivedervi,

ma devo dirvi che potrebbe non succede-re. Ho ricevuto minacce di morte a causa di questo viaggio; forse stavolta quelle per-sone riusciranno nel loro intento. Essendo vostra madre, mi addolora moltissimo dir-vi questo. Ma, vi prego, sforzatevi di capi-re che sacrificherei di buon grado la mia vi-ta per un Afghanistan pacifico e un futuro migliore per i bambini di questo Paese”. È con una lettera rivolta alle sue figlie di 11 e 12 anni, che Fawzia Koofi, la prima donna afgana ad essere diventata vice speaker del Parlamento, ha deciso di aprire la sua auto-biografia. Una missiva tra le tante che dan-no il titolo al libro (Lettere alle mie figlie, edi-zioni Sperling e Kupfer, 313 pagine, 18 eu-ro) e che rappresenta insieme una doloro-sa confessione e una promessa di speranza per il loro avvenire. Nelle pagine il racconto di una vita dedicata all’impegno politico e alla lotta per l’affermazione dei diritti delle donne e dei deboli in un nazione precipita-ta nell’oscurantismo e lacerata da decenni di conflitti si accompagna continuamente a messaggi che l’autrice rivolge direttamen-te ai suoi familiari. Pensieri e parole per le bambine avute da un marito morto a cau-sa delle vessazione subite nelle carceri du-rante il regime talebano; per la madre ama-ta e scelta come modello di coraggio e ab-negazione (“Da te ho imparato il vero signi-ficato del sacrificio di sé”); per l’autoritario padre, parlamentare ucciso dai guerriglieri mujaheddin quando lei aveva 4 anni (“Più di trent’anni dopo la tua morte, guidi anco-ra me e la tua famiglia con il tuo esempio”). Con Fawzia Koofi, in Italia in questi giorni per presentare il suo libro, abbiamo parla-to del ruolo ricoperto oggi dalle donne nel-la politica afgana, delle sfide che il Paese si trova di fronte e della sua futura candidatu-ra alle elezioni presidenziali del 2014.

Il suo impegno, insieme a quello di altre donne afgane, ha cominciato negli ulti-mi anni a cambiare il volto della politi-ca nel suo Paese. Quali passi importan-ti sono stati compiuti e quali ancora re-stano da fare?Da quando sono stata eletta al Parlamen-to, nel 2005, ho concentrato i miei sforzi per portare un cambiamento nella menta-lità tradizionalista con la quale ancora og-gi molti uomini considerano le donne. In questi sei anni sono stati realizzati molti progressi e la fiducia nei confronti delle fi-gure politiche femminili è sicuramente au-mentata. Ciò è dovuto al loro coraggio e al-la capacità che hanno dimostrato nel por-tare avanti in modo onesto e corretto il lo-ro mandato, mantenendo le promesse fat-te ai propri elettori. Nonostante questo, c’è ancora molto da cambiare e sono consa-pevole che la strada che noi donne afga-

Paolo Tosatti

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L’intervista Ha 35 anni ed è stata la prima donna ad essere eletta vice speaker del Parlamento afgano. è in Italia per presentare il libro autobiografico Lettere alle mie figlie

ne abbiamo davanti è ancora molto lunga. Inoltre l’intero Paese ha bisogno di svilup-pare la sua economia, le sue infrastrutture, le sue scuole e i suoi ospedali. L’impegno di noi parlamentari deve andare in questa direzione.

Nella prima lettera che indirizza alle sue figlie, lei scrive che vorrebbe che in futuro loro potessero studiare all’estero e conoscere “i valori universali”. Qua-li sono secondo lei questi valori? Esiste la possibilità che si affermino in un mo-mento in cui si discute di riportare i ta-lebani al governo?Quello di cui io parlo è innanzitutto il ri-spetto per l’essere umano in quanto tale, senza distinzione tra uomini e donne. Ogni persona deve avere il diritto di manifesta-re il suo pensiero e di partecipare alla vita politica del suo Paese. Questa è la base del-la democrazia. Tendere la mano ai taleba-ni è un gesto che va esattamente nella di-rezione opposta. La loro volontà è quella di cambiare la Costituzione e io non cre-do che riusciranno a rispettare il significa-to della democrazia e condividere il pote-re con chi non abbraccia la loro visione del mondo. Rimettere il potere nelle mani dei talebani significherebbe distruggere tutti i progressi faticosamente raggiunti in que-sti anni.

In molte regioni afgane le donne vivo-no ancora in condizioni di arretratezza e totale subordinazione al potere ma-schile. Cosa può fare in concreto per lo-ro la politica?La politica è il principale strumento che noi donne abbiamo per favorire il cambiamen-to. Quando ci sono delle nuove leggi che devono essere approvate in parlamento, ogni volta che è possibile io mi preoccupo che siano formulate in modo tale che an-che le donne possano riceverne vantaggio. E se vengono votate norme discriminato-rie, noi parlamentari scendiamo in piazza e insieme alle nostre elettrici protestiamo.

Oggi uno dei grandi problemi che le don-ne del mio Paese si trovano a fronteggiare è quello dell’elevato tasso di mortalità du-rante la gravidanza, dovuto alla mancan-za di istruzione e di strutture mediche ade-guate. Noi politiche possiamo impegnar-ci per cambiare questa situazione, lottan-do per garantire a tutte un’assistenza sani-taria di base.

Lei è contraria al ritiro della Nato e del-la potenze occidentali dall’Afghanistan perché sostiene che “il loro lavoro non è ancora finito”. Quando secondo lei po-trà dirsi tale? Le truppe della Nato sono venute in Afgha-nistan per compiere una missione ben pre-cisa: sconfiggere i talebani e Al Qaeda e aiu-tare la popolazione nei suoi sforzi per la co-struzione di un Paese democratico e pacifi-co. Questa missione oggi non può dirsi an-cora compiuta. Lo sarà quando le persone potranno tornare a vivere in pace e a con-durre un’esistenza serena e dignitosa.

Pochi giorni fa un altro solda-to italiano ha perso la vita in Afghanistan. Cosa pensa del ruolo ricoperto og-gi dalle truppe italia-ne nel suo Paese?Le truppe italia-ne sono concen-

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Il conflitto tra ambiente e politica Idee Dal decreto sulle rinnovabili ai rifiuti, dal verde urbano al nucleare: sono tanti gli esempi di norme poco sostenibili

a discussione sul decre-to Romani, che pone una forte riduzione degli in-centivi sul fotovoltaico,

ha riportato alla ribalta il con-flitto sempre più forte tra politi-ca ed ambiente. Questa decisio-ne è in perfetta linea con l’inten-zione di riprendere la strada del nucleare, limitare quindi i picco-li impianti di produzione di ener-gia elettrica a tutto vantaggio di grandi impianti nucleari contro cui gli italiani avevano votato con il referendum del 1987. In genera-le, sembra esserci un tentativo di riportare i temi ambientali in un ambito di soluzione industriale e sempre meno come scelta cul-turale delle pubbliche ammini-strazioni e dei cittadini. Si assi-ste ad un ribaltamento della real-tà in cui le leggi a difesa della sa-lute come i controlli della quali-tà dell’aria o delle acque sono vi-sti come impedimenti alla cresci-ta e limiti all’economia. La priva-tizzazione dell’acqua viene inve-ce proposta come una possibili-tà di migliorare il servizio, nono-stante in Francia e Germania si stia riconsiderando questa scelta considerata antieconomica e pri-va di qualità per i cittadini. A Na-poli queste scelte di “ambientali-smo pragmatico” hanno portato ad installare, in un parco pubbli-co, il Parco Mascagna, 700 metri quadri di prato di plastica, consi-derato più comodo rispetto all’er-

Francesco Iacotucci

Lba tradizionale. Questo falso am-bientalismo, trova terreno ferti-le nella cattiva amministrazione, per cui un parco tenuto male la scelta dell’erba sintetica è visto come un discreto passo in avan-ti. Stesso discorso si può fare nel modo in cui si approccia ancora oggi il ciclo rifiuti in Campania. Mentre in tutta Europa si parla di tecnologie avanzate per la ri-duzione dei rifiuti e il recupero di materia, qui si pensa all’incene-rimento e alle discariche. Anche Pecorella, presidente della Com-missione parlamentare d’inchie-sta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, durante una vi-

sita in Germania ebbe a dire: «La nostra strategia con i rifiuti è su-perata: per il futuro si dovrà pun-tare sul riutilizzo dei materia-li, sviluppando la fase del recu-pero». In Campania si ostinano a perseguire la stessa strada an-che a costo di perdere centinaia di milioni di euro della Ue e di pa-gare le penali. Non è bastata né la crisi rifiuti né l’inquinamento del mare né gli sversamenti di rifiuti pericolosi in ogni buco disponibi-le, né gli studi internazionali che certificano la connessione tra i ri-fiuti pericolosi e la salute, conti-nuiamo a pensare che l’ambiente si curi con impianti da centina-

ia di milioni di euro e non con un cambio di mentalità e di politiche verdi diffuse. Mio figlio tornando dall’asilo mi ha detto: «Papà, lo sai che la carta si ricicla?». Per lui è una certezza, un modo giusto di fare, vorrei solo che non cambias-se idea tra qualche anno, vorrei solo che a lui, così come ad altri che credono nel rispetto della na-tura, venisse data la possibilità di fare la propria parte. Se la politica non ha intenzione di curare l’am-biente, non facciamo neanche più lezioni ecologiche ai bambini nelle scuole, così non li crescere-mo nell’illusione che il loro mon-do potrà essere migliore.

Terra Napoli A cura di Francesco Emilio BorrelliInfo: [email protected]

Luigi De Magistris, euro-parlamentare dell’Italia dei valori, è sceso ufficial-mente in campo per le ele-zioni comunali di Napoli. Lo ha fatto con la sua pri-ma manifestazione pubbli-ca e con alle spalle una li-sta civica. E al suo debutto ha precisato: «Non c’è mai stato gelo con il Pd e con gli altri partiti del centro-sinistra». Quindi l’auspicio: «Sono convinto che alla fi-ne ci sarà una convergenza importante tra i partiti del centrosinistra». L’europar-lamentare ha poi aggiunto: «Dopo il pantano delle pri-marie a Napoli, dalle qua-li il centrosinistra è usci-to più disastrato di prima, da parte della società civi-le è venuta una grande sol-lecitazione affinché potes-si rappresentare una sorta di uscita di emergenza de-mocratica». La decisione di De Magistris ha turba-to il Pd. Per il commissario provinciale del Pd di Napo-li, Andrea Orlando, la scel-ta dell’ex pm «rischia di la-cerare la coalizione».

De Magistris in campo

Elezioni

Servillo non Serve più? Il Secolo XIX distrugge (o quasi) Tony Servillo. Il nostro attore più luminoso e celebrato (nato ad Afragola e adottato da Caserta) viene liquidato con una serie di giudizi affrettati e feroci. Sospettiamo la solita invidia tutta italiana e in più quei modi arroganti e prepotenti di chi vuole sotto sotto lanciare avvertimenti. Come dire: Servillo attento, stai esagerando ad essere così bravo! Ma l’attore che con Sor-rentino e Garrone ha rilanciato tutto il ci-nema italiano e riportato quello napole-tano sul red-carpet mondiale ha o me-no il diritto di poter essere Tony Servil-lo? Gli attori (minori e maggiori) della cit-tà rispondo in coro: No! Servillo sta vera-mente esagerando. E aggiungono: Impo-ne di tutto, persino il direttore della foto-grafia…

Napoli scongela Rita ForteLa cantante lanciata dal Tappeto Volan-te di Rispoli e poi diventata la pianista da piano da bar di salotti televisivi ma anche dei salotti e basta, riappare magicamente proprio nella nostra città. Dopo anni che

non la si vedeva più sarà proprio lei la madrina della Festa della Donna organiz-zata da un centro commerciale della vici-na provincia. Che sia lei la donna che me-glio rappresenta quelle napoletane anti-Ruby? Cardinale Velina? Al concerto di Noa offerto dalla società Quick Parking in occasione dell’apertu-ra del suo nuovo Garage Morelli pubblico entusiasta (l’ingresso era su invito e com-pletamente gratuito) e tutto il meglio del-la Napoli bene. E’ arrivato anche il Cardi-nale Sepe accolto da applausi e fotogra-fi impazziti come quando avvistano una velina.

Dopo Gomorra i Sopranos Napo-letani?Matteo Garrone, regista di Gomorra, è sempre più spesso in città alla ricerca delle facce giuste per il suo nuovo atte-sissimo film. Questa volta, attraverso le avventure di una rocambolesca famiglia di camorristelli- furfantelli, vuole narra-re una Napoli meno Dark e più ironica. A

metà tra una sceneggiata napoletana e Il Padrino.Dai provini sono esclusi tutti gli attori già troppo famosi, troppo costosi e troppo convinti. Garrone sogna un cast di debuttanti o quasi capace di spazzar-li tutti via... Renzo Arbore e la “Cara” can-zone napoletanaUna Lady della Napoli bene sempre in prima linea quando si tratta di organiz-zare eventi de- luxe voleva Renzo Arbore e l’Orchestra Italiana per una convention di una nota azienda campana. Convinta che lo show- man foggiano da tempo de-dito a fare ‘O sudato ‘nammurato avesse deciso di abbassare il cachet (la crisi non perdona neanche la canzone napoletana) lo ha chiamato direttamente sul suo cel-lulare e senza peli sulla lingua gli ha det-to: Renzo ho quarantamila euro per te e la tua orchestra se vieni a suonare per 60 mi-nuti. Secca e infastidita la risposta di Ren-zo: Ma noi costiamo sempre centoventimi-la euro e se la location non mi piace nem-meno ci penso a venire. Insomma: una ri-sposta senza saldi sulla lingua.

Gossip

Al Cardinale piace NoaLa rubrica dello speaker di Radio Marte Stereo, autore del blog www.napospia.it di Gianni Simioli

Il Cardinale Sepe

© F

END

ERIC

O/L

APR

ESSE

LA TERZA DIMENSIONE DELLA CRONACA

Inserto del quotidiano Terra. Settimanale di Cultura, Spettacolo e Comunicazione. Ideato e

diretto da Giulio Gargia.Progetto grafico: Bottega Creattiva/Pippo

Dottorini. In redazione: Arianna L’Abbate. Webmaster: Filippo Martorana

domenica 5 marzo2011 anno 2 n. 9

A SCHERMI ALTERNI

CINEMAUn film su Simone Weil offre l’occasione per riaprire il dibattito sulle nuove for-me di partecipazione delle donne alla vita pubblica. Parla Luisa Muraro, teorica femminista, che rivendica una differenza basata su altrove e altrimenti.

SATIRAContinuano i corsi di pensiero filosofico della Libera Università di Arcore. In que-sta lezione, vi insegniamo come appro-priarsi di un bene pubblico senza farsi arrestare.

COMICSLa rivoluzione araba cerca un modello per la sua nuova democrazia e sceglie la Co-stituzione italiana. Ma i ragazzi di piazza Tahrir capiscono che è in pericolo. Fanta-sia? No, solo cronaca. A fumetti

www.3dnews.it - [email protected]

Che Butti momentidi Giulio Gargia

la Pan condicio

Vogliamo tutto. Ecco qual’è il vero pro-gramma TV del PdL . Non gli basta ave-re il controllo dei palinsesti di 5 reti su 6. Ora il tiro è spostato su quelle poche isole di resistenza al pensiero unico del-la Tv : i soliti Santoro, Floris, Dandini, Gabanelli.Più che abolire la “ par condicio”, voglio-no applicare la “ pan condicio ”: tutto a noi. Con supremo sprezzo del ridicolo, Ales-sio Butti , in commissione di vigilanza, vigila così sugli interessi del premier : “Tenuto conto dell’attuale distribuzio-ne, durante la settimana, delle diverse tipologie di trasmissioni che concentra-no nella prima serata del martedì e del giovedì i programmi più importanti di approfondimento politico, onde evitare il determinarsi di una evidente posizio-ne dominante da parte di alcuni opera-tori dell’informazione rispetto ad altri, la Rai valuti l’opportunità di sperimen-tare l’apertura di altri spazi informativi e/o di approfondimento

Il Cavaliere è morto. Politicamente vie-ne tenuto in vita dalla cerchia dei pro-fittatori e dei servi che lo circondano. Come quelli che ieri hanno bloccato il trailer del doc “ Silvo forever” in RAI, dove si vedeva Mamma Rosa che dice : “ Non vedrete mai il mio Silvio in foto con altre donne... “. C’è una piccola schiera di nostalgici, che forse un giorno andran-no in pellegrinaggio ad Arcore, come a Predappio. C’è chi crede che il capo non è morto, come pensano ancora molti rincoglioniti adoratori di Hitler, di Ho-neker, di Pinochet, di Ciausescu. Ma Berlusconi non è più tra noi. E’andato. Lo sanno tutti: i suoi figli che hanno re-centemente preso consistenti porzioni di dividendi, insomma di eredità. Lo sa Bossi, che tanto bene non sta bene man-co lui, ma che prima che il Trota, suo fi-gliolo, venga ributtato a fiume, cerca di portare a casa la pantomima di un fede-ralismo, che sempre di più assomiglia a un puntiglio più che a una cifra politica. Il polmone d’acciaio con cui si vorrebbe tenere ancora in vita Silvio Berlusconi è

una qualche prebenda, un poco di soldi, un favore da rivendicare nel futuro, in-certo sì, ma bisogna pur assicurarsi un futuro. E la televisione, il grande catino mediatico che fece la grandezza del pic-colo Silvio Berlusconi, buon anima, può essere, magari fino all’ultima goccia di successo un beverino, un rinfrescante, un aperitivo: presento l’idea della televi-sione a targhe alterne, un giorno tutta a destra, un giorno tutta a sinistra e vuoi che non faccio un carrierone? Magari Silvio mi dice: bravo. E io gli dico: che mi dai? Sai com’è, di questi tempi non si Butti niente. «Non vogliamo sopprimere nessuna voce, vorremmo che si parlasse un’altra lingua, che non fosse solo quella del centrosinistra. Perciò è opportuno aumentare gli spazi informativi e di ap-profondimento che si ispirino a quella vasta area culturale del Paese che non si riconosce in Floris, Santoro, Gabanelli, Fazio & Co.». Con codeste parole Butti si è buttato nel catino mediatico. Ma Sil-vio non c’è più, né con la testa, né con la politica. Sono Butti momenti.

alimentato dalla tv. Come per la famosa legge del contrappasso, la tv diventa il nemico pubblico (e che pubblico!) nu-mero uno dell’Impomatato di Arcore. L’ultima trovata, da uno di quei dispera-ti seguaci, che da un momento all’altro non saprebbero dove buttarsi, che infat-ti si chiama Butti è la conduzione televi-siva di programmi di approfondimento “a targhe alterne”. Che a uno vengono in mente miriadi di spunti per sbellicarsi dal ridere: una conduzione alternata del-la sua vita coniugale (con tutto il rispet-to della sua signora); una conduzione alternata al funzionamento dell’ascen-sore del suo appartamento: un giorno solo piani pari, un altro quello dispari; una conduzione alternata della sua vita: un giorno guadagni come senatore, l’al-tro come un precario. E via dicendo. Il Cavaliere è morto, ma nessuno dei suoi fedeli riesce a stare al passo con quelli che portano la bara sulle spalle. E quin-di la sparano più grossa possibile, per farsi notare, per mettersi in mostra, per cercare di scippare all’ultimo momento

VAMPIRI DEL CONSENSO

di Marco Ferri

continua a pagina 3

LA TERZA DIMENSIONE DELLA CRONACA Anno 2 Numero 9- marzo 2011

ara è stata colpita con al-meno sei coltellate.Ma pensate se ora viene fuori che non c’era asso-

lutamente nulla di morboso.Niente violenze incestuose o non, niente stupro necrofilo, niente pedofilia, niente rumeni mandrilli, niente.Solo, che so, immaginate maga-ri che ‘sta poveraccia stesse tor-nando a casa dalla palestra e un pinco pallo qualunque in fiat punto argento cinqueporte (ne-anche pirata, neanche ubria-co, neanche pippato di cocai-na), l’avesse messa sotto. Un at-timo di distrazione, magari una mosca nell’abitacolo, e lei che at-traversa la strada senza guarda-re a destra e a sinistra, e screee-eeech, bum.“Occazzo e mo’ che faccio. Ok, la nascondo. Cazzocazzocazzo.”Poi, dopo tre mesi, gli viene il ri-morso e la butta in un campo. Fi-ne.Niente assassino pazzo mania-co, niente zii nè cugine, nien-te bagagliai traboccanti di pez-zi di cadavere, niente complot-ti oscuri, niente branchi, niente di niente.Solo un anonimo di mezza età, magari stempiato e un po’ pre-sbite, buon padre di famiglia, im-piegato alle poste, cittadino mo-dello, uno che paga le multe e il canone, fa la differenziata, vota PD e saltuariamente si indigna, ma con moderazione.

Yara, i media e l’orrore della normalitàConduttori orfani di orde facebookiane improvvisamente private di candele bianche

é la stampa,bellezza

II

Y

Nemmeno la grazia di un ecces-so di velocità, il guizzo di un se-maforo rosso non rispettato.Pensate se il terribile omicida fosse stato medioman, e non l’avesse fatto minimamente ap-posta.Nessuna storia sordida da rac-contare, nessuna notizia da pompare.Nemmeno una faccia un po’ in-quietante, buona per fare ma-schere di carnevale.Roba che costringerebbe Stu-dio Aperto a mettere il servizio tra quello sui cuccioli di petau-ro salvati dalle fiamme di un in-cendio dovuto a un incidente a catena sulla A14, e la struggen-te testimonianza del chihuahua che tira a riva la padroncina an-negante ma con un bel culo in bikini brasiliano (chissenefrega che è inverno).Non prima di aver indagato sul-

la vita privata di medioman pe-rò, vuoi che non si trovi un vici-no disposto a dire che un gior-no l’ha visto guardare storto una vecchina che attraversava lentamente sulle strisce? Eh sì, sì, c’era in lui il germe del pira-ta della strada. Tutto torna. Poi, si sa, i vicini sono sempre un po’ stronzi, altro che “era una così brava persona”.E’ una così brava persona solo quello che schiatta.E gli inquirenti, gli inquirenti co-stretti a setacciare il computer del poveraccio in cerca di una fotina porno, una cronologia non cancellata, qualcosa, qua-lunque cosa, che so, un volanti-no delle BR!Niente.E infine l’ultima spiaggia – la te-lefonata a Feltri “A Vitto’, che ci inventeresti una fedina penale sporca per l’assassino meno in-

teressante della storia?”, ma Fel-tri no, Feltri è impegnato con le planimetrie di chissà quale casa altrui, e c’ha da fare, “Non rom-petemi i coglioni, e non potete chiedere a quel genio di Mattino 5, lì? Stavolta suggerisco le mu-tande. Sono sicuro che porta le mutande turchesi.”Ma niente, gli italiani sono di bocca buona, gli italiani voglio-no il romanzo e il sangue.E allora pensate i milioni di boc-che sbalordite. Senza niente a giustificare lacrime e mani sul cuore. Le uniche smorfie, di mal-celata delusione.I giornali, costretti a mettere in prima qualcosa di veramente in-teressante.Pensate le orde facebookiane im-provvisamente private di cande-le bianche da accendere e kondi-videre anke tu x l’angelo kn le ali tarpate ke è volato in cielo (co-

Come eliminare i gior-nalisti (senza finire in pri-ma pagina), il volume di Gabriele Bojano sarà pre-sentato giovedì 10 Marzo 2011, alle ore 18.00, presso la libreria La Feltrinelli di Napoli (via San Tommaso d’Aquino, 70).

Ad analizzare con l’Autore le cinquanta tipologie di giornalisti passate in ras-segna in questa stravagan-te antologia di comporta-menti bizzarri, deplorevoli o semplicemente... umani, e dei cinquanta modi, che è possibile definire incruenti, elaborati per sbarazzarse-ne, i giornalisti Marco De-marco, Ottavio Lucarelli e Antonello Velardi. Nel cor-so dell’incontro, lo speaker di “Radio Kiss Kiss”, Pippo Pelo, leggerà alcuni brani tratti dal volume.

News Analysis

L’ipotesi Medioman affossa la libidine dei programmi pomeridiani d’Infortaiment

di Benze

manuale di difesa contro i giornalisti comodi

ella jungla degli orrori mediatici, ogni tanto spunta un esploratore che si assegna il compito

di catalogare antropologicamente le varie specie di Vespe, di metter-li a Paragone e di indicare come fare a liberarsene, non senza qual-che Travaglio. Con questo spirito possiamo immaginare Gabriele Bojano, collega del Corriere del Mezzogiorno, con casco bianco e pantaloni corti arrivare al villaggio globale delle sorgenti dell’idiozia giornalistica per dire “ Doctor Li-vingstone, I suppose .. “ , alla fine della sua gustosa ma s’immagina defatigante immersione nel con-tinente delle diverse tribù giorna-listiche. Diamo qualche esempio : c’è il collega Everywhere, che DEVE essere invitato ad ogni ma-nifestazione del suo settore, pena messa all’indice dei colpevoli fino a pentimento pubblico, il giornali-sta Frasefattacapoha che parla per

Nluoghi comuni, genere raffigura-zione di Palombella Rossa, quella a cui Moretti inveisce ( “ Ma come parla ? Le parole sono importanti. Chi parla male, pensa male” ) c’è il Dottor Jekill e Mister Heidi, lo schizoide che si divide tra lo splat-ter dei pezzi di cronaca nerissima e l’insana passione per la poesia, che diventa letale soprattutto per chi per vari motivi è costretto a subirla ( Bondi docet ). Non può poi certo mancare il blogger, ri-battezzato Chattatio benevolen-tiae, convinto che col web si pos-sa anche fare il caffè con panna.

Le redazioni diventano i gironi di questa sorta di Divina Commedia del giornalismo, dove vengono descritti e collocati ansiosi e ca-gionevoli, boriosi e furiosi, cronisti e cronici, distratti e stracotti, evi-tati e svitati, furbetti e malandrini, parziali e imparziali, tecnologici e arretrati, trendy e tendenziosi. Ogni capitolo è strutturato attra-verso un ritratto del soggetto in questione, un dialogo che ne evi-denzia le caratteristiche moleste e una soluzione per sbarazzarsi di lui. E’ qui che la fantasia dell’auto-re, memore delle sue esperienze

A Napoli il libro di Gabriele Bojano, ironico catalogo sulla categoria

me, poi, senza ali luccicanti?), o di invocazioni nazionalpopolari alla pena di morte via impicca-gione testicolare per il barbaro orco mostro, naturalmente pre-via castrazione chimica e fisica.Pensate il piattume dei palinse-sti! Barbaredurso senza niente di cui contrirsi, Federichescia-relli senza annunci da dare in di-retta col faccino triste, Brunive-spa senza un plastico di un caz-zo di niente.Poveracci! Travolti dalla tragedia della normalità.Pensate all’insipida evidenza di una morte noiosa finita per sbaglio sotto riflettori carichi di aspettative.Brividi che corrono lungo la schiena del paese: la banalità, estremo orrore.Per questa volta siamo salvi.

Da scaricabile.it

di ufficio stampa, dà il meglio di sé escogitando con gusto nemmeno tanto malcelato i suggerimenti più pertinenti, dal tritolo all’ingaggio di un trans. Insomma, non stupi-sce che Maurizio Costanzo, il do-matore coi baffi del circo media-tico per eccellenza, abbia trovato il tempo per scrivere la prefazione . In cui coglie l’occasione per citare “ una presunta libertà di stampa minacciata “ . Il marito di Maria De Filippi dimentica però nel suo sforzo di “relativizzare” lo Zwim-bawe giornalistico citato da Masi, come e quando ci sia una differen-za tra la leggerezza all’approccio e lo slittamento corruttivo – tanto mentale quanto materiale – che il Mr. Barnum nostrano sta metten-do in atto alternando la seduzione e le minacce. Ecco forse quello che manca alla prefazione di Co-stanzo è rilevare questa carenza : l’autore non dice DAVVERO come eliminare i giornalisti scomodi. Altrimenti Mr. Barnum lo avrebbe già assunto.

di Riccardo Palmieri

Anno 2 Numero 9 - marzo 2011 LA TERZA DIMENSIONE DELLA CRONACA IIIFocus

Politica e nuova coscienza femminileLa filosofa Luisa Muraro parla di come le donne possono usare lo spazio pubblico

sce in questi giorni nelle sale italiane un film su un episodio particolare della vita della filosofa francese

Simone Weil. “Le stelle inquiete” è il titolo della pellicola realizza-ta da Emanuela Piovano. Stella inquieta e tra le più sfolgoranti nel nostro cielo boreale Simone Weil lo è senz’altro, per l’inten-sa partecipazione personale e non solo intellettuale agli eventi drammatici dell’Europa a caval-lo della I e II Guerra Mondiale. Roberto Rossellini in “Europa 51” si era inspirato proprio al pensiero e alla vicenda esisten-ziale di Simone Weil, morta ne-anche un decennio prima. La figura della filosofa, però, era già tornata prepotentemente al cen-tro dell’attenzione a seguito della polemica scatenatasi sui giornali sulla partecipazione o meno alla manifestazione delle donne del 13 febbraio scorso. La dichiara-zione contro la manifestazione che più ha colpito, infatti, è stata quella di Luisa Muraro, filosofa e storica femminista italiana, dagli anni ’70 promotrice di iniziative politiche, editoriali ed esperienze comunitarie. Luisa Muraro è an-che una delle maggiori studiose della Weil e proprio riferendosi a

di Riccardo Tavani

E

una frase di Simone inizia la sua argomentazione contro la mani-festazione in un articolo apparso sul Corriere della Sera del 10 feb-braio. Attacca, come vero incipit, la Muraro: “Sia chiaro però che non esiste pensiero collettivo: si pensa in prima persona o non si pensa. Le masse fatte di persone che non pensano in prima perso-na, sono cieche o manipolate ”. Dichiarando che sta citando la Weil aggiunge: “E pensare non

è reagire al detto di altri con un sì o con un no, ma situarsi con il proprio desiderio e interesse nei confronti di quello che accade”. Tutta la sua argomentazione, e non poteva essere diversamente, è molto profonda e tocca i nodi cruciali della vita, degli ambiti, degli interstizi quotidiani a cui le donne non possono rinunciare a dedicarsi e a cui la partecipa-zione a una manifestazione di massa non può adeguatamen-

te rispondere. È quell’aspetto meno appariscente del femmi-nismo che già negli anni ’70 ha agito molto più efficacemente che le manifestazioni pubbliche. Fondante la differenza politica femminile è essere “altrove e al-trimenti” rispetto a decisioni da stantio retrobottega prese da altri, da una classe maschile che non è stata capace di sbarrare a Berlusconi la strada al potere e oggi tenta di utilizzare il naturale

Un film e una polemica riportano l’attenzione sulla pensatrice francese Simone Weil

sentimento delle donne contro la prostituzione. Esserci tutti i gior-ni, in prima persona, con il pro-prio desiderio, creando relazioni di fiducia ed elevando la propria esistenza a una libera impresa: “Ci vai – conclude Muraro – per te. Non andarci contro qualcuno per conto di altri”. Ora è chiaro che un pensiero filosofico o criti-co non può che essere personale, ovvero consistere in una verifica e revoca in dubbio di qualsiasi asserzione, percezione, credo e convinzione. Senza questo sta-tuto critico fondato proprio su quella persona che “io sono” la filosofia, ad esempio, neanche si darebbe, sarebbe altro. Da dove, però, trae linfa questo pensiero o anche desiderio personale se non da quell’immensa stratifica-zione di significati collettivi, co-munitari che ogni lingua umana trascina con sé come deposito di sedimenti e sentimenti da cui si stacca anche la coscienza in-dividuale per elaborare una sua originale visione critica? Così il pensiero personale che è anche un dire, un agire non può che tornare a quello spazio “noi centrico”, collettivo dell’interre-lazione comunitaria. Non a caso fondante la filosofia è anche questo andare che è un tornare a quello spazio. Luisa Muraro, però, pone il tema della diffe-renza marcata dal femminismo sul come stare nello spazio pub-blico e su questo il suo ragiona-mento difficilmente può essere contestato. Solo che molte delle giovani donne di oggi, e Mura-ro lo ammette, se non nel web, non hanno mai sperimentato quello spazio, non hanno avuto esperienza di azione, di parola e di scambio proficuo in esso. Così, puoi anche legittimamen-te restare a casa ma non contro chi va o torna per la prima volta dove non era mai stata: nell’ago-rà della parola diretta e della vita attiva.

RAI, arrivano le nuove Sturmtruppen pronte a tutto

pazi -continua Butti - af-fidati ad altri conduttori, da posizionare negli stessi giorni (martedì e giovedì),

alla stessa ora (prima serata), sulle stesse reti e con le stesse

r i s o r s e esi-

Sstenti secondo una equilibrata alternanza settimanale ”. Sembra che la surreale proposta sia per ora sospesa, “ ma – dichia-ra Butti a Luca Telese - potevamo farla approvare, se volevamo “. Ora, ci troviamo fronte al solito dietro front del berluscone-tipo, che applica la tattica di Jannacci

in ” Vengo anch’io, no tu no “di “ vedere di nascosto l’effetto che

fa”. L’errore è di non prenderli sul serio. Certo, è difficile e

bisogna fare uno sforzo, ma qui c’è da capire che si ha a che fare con Sturmtruppen decise a tutto . Allora, aiutiamoli a realizzare la loro missione : basta pretendere coerenza. Va bene riequilibrare , ma perchè fermarsi al giovedì e martedì, e alla prima serata ? E soprattutto, perchè solo agli spazi d’informazione ? Forse che non c’è da riequilibrare anche nel dy time e in seconda serata ? Perciò , via con il palinsesto Butti : una settimana , “ Dome-nica In “ condotta da Barbara d’ Urso e l’altra “ Domenica Out “, condotta da Daniele Luttazzi, a

febbraio il “Festival di Sanremo “ condotto da Gianni Morandi e la settimana successiva , uno rock condotto da Caparezza, nel pomeriggio , un giorno L’Arena di Giletti e il giorno dopo Il Co-losseo con Roberto Saviano , e se per 3 serate Vespa continua il suo “ Porta a Porta” , che per altre 3 ci sia un “ Sedia a sedia “ condotto da Giulietto Chiesa, e se dopo il TG1 un giorno andrà Ferrara, vorremmo vedere la sera

dopo cosa ne pensa Massimo Ar-mellini dei fatti del giorno. E da chi potrebbe essere riequilibrata la furia di Sgarbi che su RAI Uno parlerà di patrimonio artistico se non da Travaglio che parli sem-pre di patrimonio, magari anche pubblico ? Ecco, se ci fosse un riequilibrio in effetti non sarebbe male. Una volta tanto, quei fazio-ni dell’opposizione dovrebbero convenire che Butti non ha tutti i torti. (g.g.)

continua dalla prima

Alessio Butti

Luisa MuraroUn’immagine del film “Stelle inquete”

LA TERZA DIMENSIONE DELLA CRONACA Anno 2 Numero 9- marzo 2011IV Il racconto

La rabbia corre sul web Dall’Egitto con furore

Il mondo dei media visto con gli occhi di un precario, poco meno che trentenne, sempre in cerca di lavoro come cameraman e/o fotografo

Treddì I fatti e i personaggi illustrati da questo racconto sono basati su notizie di cronaca. Le fonti sono

consultabili su www.3dnews.it

Secondo la Open

Net Initiative circa

36 governi nel mondo cercano di

controllare Internet

tramite pressioni

sui provider. E’ successo anche

durante le rivolte in

atto nel Maghreb.

In Egitto Google

ha messo on line i

numeri d’accesso

a operatori fuori

dalla giurisdizione

del governo che

tentava di bloccare

le connessioni.

Uno dei sistemi per sfuggire alle censure è Speak2tweet, un software che

registra e fa ascoltare messaggi

vocali inviati via telefono a Twitter.

Anno 2 Numero 9 - marzo 2011 LA TERZA DIMENSIONE DELLA CRONACA VIl racconto

www.scuolacomix.net

sceneggiatura: Tommaso Vitiellodisegni : Gianluca Testaverdecolore: Fiorenzo Torino

In Egitto il parlamento

esiste fin dal 1866 e

da allora è passato

attraverso 7 diversi

sistemi istituzionali. Più

volte è stato smantellato

e poi ripristinato fino a

raggiungere la forma

attuale.

La Costituzione italiana è considerata dai giuristi di tutto il

mondo una dei migliori esempi

di equilibrio tra diritti e doveri dei

cittadini.

Nel rapporto sulla

libertà di stampa 2010

di Freedom House,

l’Italia di Berlusconi

è al 72esimo posto,

considerata solo “

parzialmente libera”,

come l’Egitto di Mubarak.

LA TERZA DIMENSIONE DELLA CRONACA Anno 2 Numero 9- marzo 2011VI Satira

Come sottrarre un bene pubblicodi Eddie Settembrini

Oggi vi insegno come tenersi a vita un libro preso in prestito in biblioteca facendosi beffe delle

rimostranze dei bibliotecari. Il principio che sottende alla lezione fa capo ad un concetto talmen-te ovvio che mi secca le palle dover puntualizzare: se i libri della biblioteca sono di tutti sono

anche miei, dunque li tengo quanto cazzo mi pare e non può essere certo un bibliotecario – cioè uno che ha semplicemente vinto un concorso – a chiedermene conto. Via, è evidente. Ora venia-mo alla nostra lezione e passiamo ad un esempio concreto. Avete preso in prestito un libro, uno qualsiasi. A prestito scaduto potrebbe arrivarvi una email di questo tenore, da parte della soler-

te bibliotecaria: “Gentile utente, le rammento che da un giorno e alcune ore (cinque) è scaduto il prestito del libro in suo possesso. Nel pregarla di ottemperare quanto prima al suo dovere

di riconsegnarlo, vorrei ricordarle che il posseduto delle biblioteche pubbliche è a disposizio-ne della collettività tutta e, come tale, meritevole di maggiore considerazione da parte sua. In

attesa di un suo cortese riscontro la saluto digrignando i denti.” Ora, come rispondete a questa email? Ignorarla e dirottarla nello spam non servirebbe a niente, ci ho già provato. Le email dei

bibliotecari hanno il potere di ricicciar dal cestino a frequenze imprevedibili e nei momenti meno opportuni. (… ) Dovete trovare il modo di rispondere in maniera efficace, sor-prendente, spiazzante, così da prendere tempo quanto basta per appellarsi a cazzo

al diritto di usucapione (Art. 1158 del Codice Civile).Vi propongo cinque possibili messaggi di risposta.

1. PietosoGentile Dott.ssa,

scusi il ritardo con cui le rispondo ma in questo villaggio somalo, dove mi trovo per il volontariato, non ho molto

tempo per controllare la posta elettronica. Lei ha perfettamente ragione e sono certo che anche il piccolo Ahmed, che ha perso entrambe le gambe a causa di una

mina, capirà che non potrà più leggere il suo libro preferito perché il prestito è scaduto. Domani mattina attraverserò a piedi il campo minato per raggiungere il più vicino ufficio

postale (420 km) e restituire il libro. Mi scuso ancora con lei e con la collettività per il disturbo arrecatovi.

2. CollusivoCiao, stavo per contattarti io. Lo sapevi che il libro che ho preso vale un pacco di soldi? Mio zio mi

ha detto almeno 200-300 mila. Mi pare giusto che dividiamo. Non scrivermi più, però, mi faccio vivo io. Ciao.

3. FolleIo il libro lo vorrei restituire ma l’ho mangiato hihihihihi pagina dopo pagina gnam gnam gnam

l’indice che delizia gnam gnam gnam la copertina rigida crunch crunch crunch hihihihihi burp.4. Vigliacco

Gentile Dott.ssa,sono la moglie della persona che sta cercando. Purtroppo mio marito è perito in un incidento

aereo nel sud-est asiatico. Mi lasci il tempo di cercare il libro da restituire (sempre che non fosse con lui al momento dell’incidente, adorava leggere in volo), la ricontatterò dopo i funerali.

5. ControffensivoGentile Sig.ra Bibliotecaria,

premetto che sono un Testimone di Geova, quindi fra di noi ci intendiamo. Le faccio presente che la scheda-prestito da lei compilata contiene un grossolano errore di forma che – a mio avviso – inficia l’intera procedura di prestito e non le dà diritto di reclamare alcunché. La informo altresì

che sta per giungere la fine del mondo come previsto in Matteo 24:29. La invito pertanto a impie-gare in maniera più redditizia il poco tempo che le resta da vivere. Grazie.

Ecco, provate anche voi a elaborare altre risposte su questo stile. Purtroppo non potete eserci-tarvi con la biblioteca del nostro Ateneo perché non ne abbiamo una: abbiamo preferito desti-nare lo spazio al laboratorio di lap-dance. Voi direte che si può risolvere la questione alla base

evitando di frequentare un luogo inutile come la biblioteca. Certo, ma andiamo per gradi: “come trascorrere la vita senza leggere un libro” sarà l’oggetto di una futura lezione.

Porno 4 nobel Per Voi. Per i Vostri figli. Per un Futuro migliore.Il Porno porterà la pace nel mondo. O almeno, qualche attimo di serenità.Digitando “god” sulla barra di ricerca di Google si hanno seicento milioni di risultati, con “sex” un miliardo e du-cento milioni, solo sette milioni con “Audrey Hepburn” e questo non che può avere un solo significato: gli anziani non hanno ancora imparato ad utilizzare Explorer.Il Porno permette di trasmettere energia al mondo, il Por-no è un momento di luce, il Porno è come Dio. E nella vita ti ha mostrato molte più tette.Lo scorso anno Internet, candidato dalla rivista “Wired”, sfiorò il premio Nobel per la pace ed è arrivata l’ora che anche il più grande protagonista di Internet stesso possa ambire a tali riconoscimenti. E’ per questo che abbiamo deciso di attivare il comitato “Porno Nobel per la Pace 2011“. E’ stato quando abbiamo visto il nostro primo “Har-dcore Facefucking” che abbiamo capito.E’ stato quando siamo venuti a conoscenza di filmati “Han-dicap Sex” che abbiamo compreso.E’ stato quando siamo casualmente capitati in un video “Shemale&Woman” che abbiamo captato l’essenza estre-ma. Il Porno mette in comunicazione i cittadini del mondo. E ci permette di conoscere il coito alla giapponese.Il Porno contribuisce allo sviluppo economico e al pro-gresso sociale di ogni regione in cui si sviluppa, il porno sostiene la famiglia. Quanti pannolini sono stati acquistati con i ricavi dei filmati “Pregnant woman”?Il Porno è per una società multietnica aperta al pluralismo culturale. Il tag “Interracial” vale quanto mille campagne per combattere pregiudizi e intolleranze.Il Porno è contro ogni malattia venerea. Escluso Gianfranco Fisichella.Il Porno è contro ogni fondamentalismo religioso: Dio fulmina Onan, il Vangelo non contempla il trampling e 72 vergini non sono nulla quando ti sei appena masturbato su un’araba emo che si fa pisciare addosso da quattro metal-lari di Tel Aviv.Assegnare il Nobel per la Pace al Porno è un atto dovuto e in virtù di questo invitiamo la popolazione civile ad aderire all’appello.Per Voi. Per i Vostri figli. Per un Futuro migliore.

di essere disgustoso

Anno 2 Numero 9 - marzo 2011 LA TERZA DIMENSIONE DELLA CRONACA VII

2011, niente nuovi canali per un terzo dell’ItaliaVinti «Romani non è in grado di garantire una frequenza a ciascun tv locale»

uovi programmi e pro-poste creative: questo vorremmo vedere in tv e di questo vorremo

scrivere. Invece niente di niente. Il digitale televisivo non vuole pro-prio saperne di decollare. I tan-ti problemi della transizione so-no divenuti ormai evidenti anche al Governo che ha ufficialmente abbandonato l’idea di anticipare il passaggio al digitale in tutto il Paese entro la fine di quest’anno. La decisione è arrivata lo scorso primo marzo al termine della ri-unione del Comitato Nazionale Italia Digitale. La plenaria, che ri-unisce sotto la guida del Ministe-ro tutti i soggetti coinvolti, dal-le associazioni dei media a quel-le dei consumatori, avrebbe do-vuto definire il calendario dell’ar-rivo del digitale nelle varie regio-ni per il prossimo anno e invece si è conclusa con un nulla di fatto e cioè con un rinvio di 15 giorni. Dunque lo spegnimento dell’ana-logico resta ancora in bilico nel 30 per cento del Paese: cittadini, istituzioni e media di Liguria, To-scana, Umbria, Marche, Abruz-

Di Eugenio Bonanata

N

zo, Molise, Puglia, Basilicata, Ca-labria e Sicilia dovranno aspetta-re. Il Dicastero delle Comunica-zioni, comunque, ha proposto di chiudere la partita entro i primi sei mesi del 2012: con la promes-sa di ulteriori verifiche ha chiesto ad alcune regioni di anticipare il passaggio di un semestre rispet-to alla vecchia tabella di marcia. Umbria e Toscana hanno avverti-to da molto tempo che sarebbe il caos. “Romani non è in grado di garantire una frequenza a ciascu-na tv locale”, ci ha confidato l’as-sessore umbro alle Infrastruttu-re tecnologiche immateriali Ste-fano Vinti. Anche Aeranti Coral-

lo da settimane va ripetendo che bisogna tirare fuori le frequenze. Questo il pensiero dell’associa-zione delle locali: matematica-mente, nella gran parte delle re-gioni interessate, non c’è spazio per tutti e nessuno ha intenzione di compiere un salto nel vuoto. Un bel rompicapo per il Governo, che, secondo indiscrezioni, pensa di proporre - o imporre - alle loca-li strane forme di consorzio. Cer-tamente i piccoli editori dovran-no sloggiare da alcune frequen-ze che - legge di stabilità docet - saranno vendute alle compagnie telefoniche. Nello stesso tempo, dietro precisa richiesta dell’Eu-

ropa, l’esecutivo si appresta a di-stribuire gratis altre frequenze ad alcuni soggetti televisivi nazio-nali vecchi e nuovi (tra cui an-che Rai e Mediaset che stanno già utilizzando questi canali). Da qui la proposta delle locali: rica-vare da quest’ultimo bacino le ri-sorse da vendere ai telefonici in modo che il peso dell’operazio-ne gravi anche sulle spalle di Rai e Mediaset. La soluzione, però, è in aperto contrasto con i detta-mi dell’Ue: Bruxelles vuole a tut-ti i costi che quella distribuzione gratuita si faccia altrimenti ci sa-ranno pesanti sanzioni. Per evi-tarle il Ministero deve inviare a

Come il decoder ha messo in crisi le piccole tv

Media

breve il regolamento della gara. Gara che aprirà le porte all’arri-vo di Sky sul digitale: un duro col-po per l’espansione di Mediaset, nonostante l’aperta opposizione governativa che ormai si è sgre-tolata. In settimana, infatti, è ca-duto l’ultimo baluardo difensivo: il Consiglio di Stato ha dato il via libera alla partecipazione di Sky alla procedura. In particolare l’or-ganismo ha rigettato i dubbi sulla mancanza di reciprocità tra Stati in materia di radiodiffusione tele-visiva, sollevati dal ministro Ro-mani per via delle origini ameri-cane di Sky. In una nota il braccio italiano della corazzata di Mur-doch ricorda gli oltre 20 mila po-sti di lavoro creati in questi anni nel nostro paese e sottolinea l’in-tenzione di continuare ad inve-stire. “Stupisce – si legge – che il ministero dello Sviluppo Econo-mico, invece di incentivare inve-stimenti come quelli fatti da Sky Italia, sembri più interessato a ri-cercare con insistenza soluzioni che vanno nella direzione oppo-sta, proponendo barriere e vinco-li nei confronti di chi ha scelto di rischiare i propri capitali in im-prese italiane”.

l digitale ha messo in ginoc-chio le imprese televisive lo-cali. Non è pessimismo ma la realtà che si vive in Sarde-

gna, la prima area del paese digi-talizzata nel 2008. La regione gui-data da Cappellacci, con una de-libera datata 22 febbraio, ha rico-nosciuto lo stato di crisi del com-parto e ha avviato un tavolo con gli operatori e i sindacati per de-finire misure di sostegno straor-dinario a favore dell’occupazio-ne. Contributi per la cassa inte-grazione e per la riduzione degli oneri al fine di scongiurare licen-ziamenti: a rischio ci sono più di 200 posti di lavoro, compreso l’in-dotto, spalmati in una decina di imprese. Alcune a carattere cit-tadino, altre più strutturate co-me Sardegna 1 che è la seconda

tv dell’isola dietro la storica Vide-olina con i suoi oltre 50 assunti a tempo indeterminato. 5 Stelle, antenna attiva in Gallura, ha già fatto ricorso agli ammortizzato-ri sociali per gran parte dei suoi giornalisti. “Tutte le locali – affer-ma Carlo Ignazio Fantola presi-dente di Videolina – hanno biso-gno di aiuto”. A minare il sistema creato faticosamente in più di 30 anni è stata la riduzione media, per ciascun operatore, del 30% degli ascolti e del 20-25% dei fat-turati pubblicitari. La causa? Con l’arrivo del digitale le locali sono sparite dai primi 10 numeri del telecomando finendo su posizio-ni improbabili. I ricorsi pendenti al Tar del Lazio non serviranno a correggere l’effetto perverso del-la tardiva definizione delle rego-

le. Per troppi mesi ha regnato il caos: gli utenti hanno dovuto ri-organizzare quasi ogni giorno la propria lista dei canali, divenuti numerosi e ballerini. Intanto, in nome dell’aumento della concor-renza, sul mercato dell’isola sono arrivati anche altri operatori ex-traregionali. E’ il caso di Teletirre-no, capofila di un circuito di qual-che tv, giunto dalla Toscana a ro-sicchiare risorse scarse. La Regio-ne Sardegna, dal canto suo, mo-stra interesse per le imprese del territorio, tira in ballo la questio-ne della difesa del pluralismo e fa sapere che non ha problemi di fondi per gli interventi straordi-nari che – ribadisce - saranno di-retti esclusivamente ai lavorato-ri. “Il governo – sottolinea l’asses-sore al Lavoro, Franco Manca – di recente ci ha messo a disposi-zione ulteriori 30 milioni di euro per l’esercizio 2011”. Ora si tratta di quantificare, ma il danno è fat-to. “Verificheremo che i soldi sia-no finalizzati a mantenere stabili i livelli occupazionali” dice il pre-sidente di Assostampa Sardegna Francesco Birocchi. Il leader sin-dacale lamenta un certo ritardo nella risposta delle tv, a fronte di uno scenario previsto, in termini di nuova offerta. Critica respinta da Fantola. “Il meglio dell’infor-mazione locale e i programmi di cultura e tradizioni sarde – spiega

In Sardegna la Regione ha dichiarato lo stato di crisi per il comparto

I

10 regioni su 20 rimangono ancora ferme alla vecchia televisione analogica

- li facciamo noi da sempre: cosa possiamo fare di più?”. Il pericolo sono delle recenti leggi romane, che, tra l’altro, prevedono il divie-to di affittare canali per veicolare contenuti nazionali. Per Fantola “tolta questa possibilità le loca-li chiuderanno bottega . Questo significa mettere la banda che molliamo a disposizione dei soli-ti noti nazionali che faranno man bassa”. Non resta che consorziar-

si, cioè unirsi per sfruttare al me-glio le frequenze, come presto – pare - il governo tornerà a sugge-rire per superare l’empasse della mancanza di risorse. “Sarebbe il disastro per tutti noi” – dice con sarcasmo Fantola – che preferi-sce “non commentare troppo in profondità” l’idea di restituire al governo le frequenze “che secon-do loro non siamo in grado di uti-lizzare”.

Gli orizzonti del giornalismo nella rivoluzione dei media

Venerdì 11 marzo 2011 ore 9.30 Aula Giorgio Prodi, San Giovanni in Monte 2 Bologna

Scuola Superiore di Giornalismo Ilaria AlpiAlma Mater di Bologna Gli straordinari mutamenti provocati dalla rivoluzione tecnologica hanno sconvolto in particolare

il mondo dell’informazione. Occorre, dunque, ripensare alle radici il modo, i metodi e addirittura la filosofia della preparazione delle nuove generazioni di giornalisti. Con l’obbiettivo di formare operatori in grado di produrre informazioni di qualità che possa reggere la concorrenza in un mondo dove tutti, sul web, fanno e distribuiscono la merce-notizia. Quasi “imprenditori della notizia” che riescano ad utilizzare le nuove tecnologie come una estensione delle proprie attività di comunicazione, cogliendo l’opportunità di confrontarsi coi fatti, verificarli, analizzarli, spiegarli e diffonderli: cioè fare quello che nel “vecchio mondo” si riassumeva proprio con il termine “giornalismo”

9.30 Apertura dell’incontro, saluto del Magnifico Rettore Ivano Dionigi 9.45 Introduzione del Direttore della Scuola Superiore di Giornalismo “Ilaria Alpi” Angelo Varni 10.00 Relazione di Ferruccio De Bortoli, Direttore del Corriere della Sera Qualità, affidabilità e ruolo dell’Informazione 10.40 Comunicazioni Giulio Gargia > I new media e la redazione diffusa - prove tecniche di citizen journalism in Italia Luca Sofri > L’informazione tra blog e nuovo giornalismo Marco Roccetti > Le nuove frontiere dell’informazione in rete 12.30 Dibattito 13.30 Chiusura dell’incontro

In collaborazione con l’ordine dei giornalisti dell’Emilia-Romagna

Francesco Birocchi

LA TERZA DIMENSIONE DELLA CRONACA Anno 2 Numero 9- marzo 2011VIII LA TERZADIMENSIONEDELLACRONACA Anno 2Numero 1 - Gennaio 2011VIII schermi

CINEMA E FILOSOFIA

“Unknown”: l’identità smarrita del vecchio scontro bipolarePer Severino la lotta cruciale è oggi tra scienza e ideologia del profitto

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di Riccardo TavaniPuò un cosiddetto “film di genere”, un tipicoprodotto dell’industria culturale di massa,poniamo anche di serie B, evidenziare emettere sotto gli occhi del grande pubblicouna tendenza ancora in ombra eppure giàoperante del nostro tempo? Proviamo afarlo con questa pellicola, proprio perché ba-sata sui clichè narrativi del thriller psicolo-gico e d’azione, rivolto al pubblico di massa.Nella odierna Berlino, il pauroso incidentedi un taxi riduce in frammenti la memoriadi un uomo che proclama essere il bio-tec-nologo americano Martin Harris. Ricordabene solo alcune cose, tra le quali di esserenella capitale tedesca per partecipare a unimportante convegno di studi in cui unoscienziato tedesco annuncerà la messa apunto di una rivoluzionaria tecnologia agro-biologica che permetterà di migliorare la si-tuazione di molte popolazioni afflitte dalflagello della fame. L’assise internazionale èpresieduta da un principe arabo che è ancheil finanziatore di tutta la ricerca. Il sedicentebiologo Harris, però, non riesce in nessunmodo a dimostrare la sua identità, perchévede preso il suo posto da un altro professorHarris. Non solo nella lista dei convegnisti,ma anche nella suite del prestigioso HotelAldon accanto alla bellissima moglie Liz. Adaiutarlo nella disperata impresa sarà Gina,la taxista bosniaca che ha subito l’incidentee Jurgen, un vecchio agente della Stasi, la fa-migerata polizia segreta dell’ex Germaniadell’Est. Città confine per antonomasia, conil suo mitico Checkpoint Charlie, il critico

valico di frontiera nella guerra fredda tra Ested Ovest, luogo privilegiato dell’immagina-rio cinematografico per ogni traffico e in-treccio spionistico, oggi Berlino, proprio perqueste sue trascorse caratteristiche, è so-prattutto un confine tra passato e futuro. Se-condo il nostro filosofo contemporaneoEmanuele Severino lo scontro bipolare tra ledue super potenze Usa e Urss è stato decisoproprio dallo sviluppo scientifico e tecnolo-gico che si trasforma in un definitiva egemo-nia militare americana, sancita dalcosiddetto “scudo stellare” dell’epoca Rea-gan, per mezzo del quale si sarebbe bloccatoqualsiasi contrattacco distruttivo sovieticoa un eventuale attacco strategico ameri-cano. Per Severino, però, l’apparato scienti-fico-tecnologico ha già da tempo messo in

atto che una cosiddetta “eterogenesi deifini”. Ovvero da strumento, mezzo al seviziodel capitalismo si sta sviluppando come unfine a sé. Un fine che non solo non si subor-dina ad altro, ma che, al contrario, riducetutto il resto a mezzo, strumento al suo ser-vizio. Questo esito è insito nelle origini stessedel pensiero occidentale, il quale, nel corsodi tutta la sua storia, è riuscito a liberarsi diogni credenza, dogma, ideologia che osta-colasse il pieno e libero sviluppo del “dive-nire”. Il divenire, infatti, in opposizione allastabilità, verità ed eternità dell’essere, è l’es-senza stessa del nichilismo occidentale. Ilcapitalismo, la sua logica del profitto sonosoltanto l’ultima sopravvivenza ideologicache sottrae risorse economiche e intellet-tuali alle enormi potenzialità che la scienza

già oggi è in grado di attuare per affrontare igrandi problemi ambientali, sanitari, ener-getici della Terra. Non solo, ma l’ideologiadel profitto sta esponendo a un rischio letalela sopravvivenza del pianeta, sta segando ilramo su cui tutti siamo seduti, proprio nelmomento in cui la scienza può dispiegare ilmassimo della sua potenza inventiva e crea-tiva. Di qui, per Severino, l’inevitabilità delloscontro tra scienza e capitalismo. L’obsoletoscontro est-ovest, capitalismo-socialismo èben rappresentato nel film dall’abbracciosulla soglia della morte dei due vecchi agentidegli schieramenti opposti, il tedesco exorientale Jurgen e l’americano Cole, mentreil climax dell’azione e del conflitto reale siconcentra tutto nel momento più crucialedel convegno, quello del rivoluzionario an-nuncio scientifico da parte del bio-tecno-logo e del principe arabo. Film di genere,prodotto di massa, da profitto al box office,ma con una sua piccola, intrinseca eteroge-nesi dei fini. Forse per questo l’identità ditanta critica ideologicamente bipolare sismarrisce e lo rigetta.

Schermi

della domenicaIntervista

Paolo Benvegnù:«Il mio nuovo cd»

pag. 12

ArtePrometeo

contemporaneopag. 13

LibriQuegli italiani

di Leopardipag. 14

MemoriaIl manoscritto

di Voynichpag. 15

MondoVita da geisha

pag. 16

Un cambiamento politicofino a qualche mese fa inimmaginabile attraversa i Paesi del NordAfrica. L’Italia e l’Europa affrontano l’emergenza umanitaria, mentreNato e Washington minacciano l’intervento militare in Libia

Mediterraneodi fuoco

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10 domenica 6 marzo 2011 Mondo

Affari costituzionali di Camera e Senato, ha precisato che l’emergenza ha messo in crisi gli accordi per i rimpatri: «L’accordo con la Tunisia prevede il rimpatrio, ma le autorità di Tunisi accettano di accogliere solo quat-tro connazionali al giorno. Se si considera che in queste settimane sono arrivati circa 6mila tunisini, con questo ritmo ci vorreb-bero tre anni per rimpatriarli tutti». Il mini-stro degli Interni ha detto successivamente che il governo italiano sta negoziando con la Tunisia «per avere la possibilità di rimpa-tri più numerosi, che sarebbero un segnale importante anche verso i tunisini che han-no intenzione di partire».Perdono quota intanto le possibilità di un intervento militare degli Stati Uniti in Li-bia per creare una zona di interdizione dei voli aerei in modo da impedire raid da par-te delle truppe restate fedeli al colonnello Gheddafi che hanno ripreso a bombardare i rivoltosi. Gli esperti militari segnalano che servono tempi lunghi per neutralizzare le artiglierie, ma il problema oltre che tecnico è politico. Lega araba e Unione africana si sono infatti schierate decisamente contro un intervento militare straniero in Libia. I ministri degli Esteri della Lega araba, riuni-tisi mercoledì al Cairo, hanno ribadito che ciò che sta accadendo in Libia «è una que-stione interna al mondo arabo» e che «non è ipotizzabile alcun intervento straniero sul territorio di quel Paese». La Nato - ha dichiarato nel frattempo giovedì il segre-tario generale dell’Alleanza, Anders Fogh Rasmussen - non prevede di intervenire militarmente in Libia ma si prepara «a ogni eventualità». Il Patto atlantico segue la si-tuazione sul campo «attentamente» e «ha preso nota» degli appelli dell’opposizione a Bengasi, avanguardia della contestazio-ne anti-Gheddafi. Ma, ha sottolineato Ra-smussen, almeno al momento il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite non ha autorizzato l’uso della forza. Alcune navi statunitensi stazionano però minacciose a pochi chilometri dalle coste libiche.Sembra passato un secolo da quando la Li-bia di Gheddafi, ripudiando il terrorismo,

to antiche, aperte a tutti i venti della cultu-ra e del profitto che da secoli sorvegliano e consumano il mare. Le ultime notizie dalla Libia confermano la previsione del ministro Maroni. Sareb-bero infatti almeno 150 mila le persone che premono verso il confine con la Tu-nisia, mentre da quest’ultimo Paese si starebbe assistendo a un esodo senza pre-cedenti dal punto di vista numerico grazie anche all’azzeramento di qualsiasi forma di controllo alle frontiere. Maroni, riba-dendo l’esigenza di un impegno europeo, ha espresso anche allarme per il pericolo di infiltrazioni di Al Qaeda nella crisi libi-ca: «La mia preoccupazione è che quanto avviene in Libia possa portare a una si-tuazione simile a quella dell’Afghanistan o dalla Somalia».

Maroni e FrattiniIl ministro degli Esteri Franco Frattini ha intanto confermato gli aiuti italiani a Ben-gasi, seconda città libica. Si sta provveden-do ad allestire un campo profughi in Tu-nisia al confine con la Libia, occupandosi anche del rimpatrio di migliaia di cittadini egiziani. Frattini ha fornito i dettagli delle missioni: «Sono in grado di partire navi per allestire nella zona di Ras Ejder un campo di assistenza italiano con la collaborazione dell’Acnur (Alto commissariato Onu per i rifugiati) e dell’Oim (Organizzazione inter-nazionale migranti)». L’iniziativa italiana è stata sollecitata dai governi di Egitto e Tunisia. L’Egitto, in par-ticolare, ha chiesto all’Italia di fornire assi-stenza, cibo, cure mediche e un trasporto sicuro per riportare in patria gli egiziani fuggiti dalla Libia e che ora si trovano lungo il confine con la Tunisia. L’impegno italiano prevede il rimpatrio dei cittadini egiziani via nave ad Alessandria e via aerea al Cairo. Dal porto di Catania è partita una nave con destinazione Bengasi con a bordo generi di prima assistenza: derrate alimentari, strumentazione elettrica, medicinali e ma-teriali utili alle tendopoli. Maroni, nel suo intervento presso le commissioni Esteri e

barchi senza sosta a Lampedusa. Sono centinaia i migranti, qua-si tutti di nazionalità tunisina, che giungono quotidianamente

nell’isola. Cresce l’emergenza, come ha spiegato mercoledì scorso il ministro degli Interni Roberto Maroni nell’audizione pres-so le commissioni Esteri e Affari istituzio-nali di Camera e Senato: «Lo scenario peg-giore tra quelli possibili prevede movimenti di 200 mila persone in fuga dalla guerra in cerca di riparo laddove possibile. La chiu-sura del confine tra Libia e Tunisia accen-tua questo rischio. Il governo italiano si sta preparando a un impatto senza precedenti sulle nostre coste». Sono stati stanziati 5 milioni di euro dall’ultimo Consiglio dei ministri per far fronte all’emergenza e agli aiuti umanitari. Una somma che potrebbe esaurirsi in breve tempo. Da qui la richiesta che intervenga anche l’Unione europea. Quello che avviene nel Mare nostrum ci riguarda direttamente fin dai tempi degli antichi Romani. Come scrive lo storico francese Fernand Braudel, il Mediterraneo è mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre. Viaggiare nel Mediterraneo si-gnifica incontrare il mondo romano in Li-bano, la preistoria in Sardegna, le città gre-che in Sicilia, la presenza araba in Spagna, l’Islam turco nella ex Jugoslavia. Significa sprofondare nell’abisso dei secoli, fino alle costruzioni megalitiche di Malta e alle pi-ramidi d’Egitto. Significa incontrare realtà antichissime a fianco dell’ultramoderno: accanto a Venezia, nella sua falsa immobi-lità, l’imponente agglomerato industriale di Mestre; accanto alla barca del pescato-re, che è ancora quella di Ulisse, il pesche-reccio devastatore dei fondi marini o le enormi petroliere. Significa immergersi - continua Braudel - nell’arcaismo dei mon-di insulari e nello stesso tempo stupirsi di fronte all’estrema giovinezza di città mol-

Che ne saràdel Marenostrum?

era stata cancellata dalla lista degli “Stati canaglia” messa a punto da Washington. Il trattato di amicizia firmato il 30 ago-sto 2010 da Silvio Berlusconi e Muammar Gheddafi a Bengasi aveva inoltre chiuso il periodo del colonialismo con reciproca soddisfazione. Prima della crisi libica di queste settimane, Frattini ribadiva che l’Ita-lia considerava la Libia «un Paese affidabile e un partner eccezionale». Molto diverso il tono usato dallo stesso ministro mercole-dì 23 febbraio, quando si presenta nell’Aula di Montecitorio per riferire sulla crisi libi-ca: «Siamo molto preoccupati per i rischi di una guerra civile e di un’immigrazione verso l’Unione europea di dimensioni epo-cali». In Libia, per la verità, era già guerra civile da almeno settantadue ore mentre la comunità internazionale decideva di vara-re sanzioni economiche contro Gheddafi. Frattini si rivolgeva alla Camera in parti-colare all’opposizione: «È necessario una consultazione permanente di tutte le forze politiche, di maggioranza e di opposizione, che si renderanno disponibili. Sta a voi de-putati decidere le modalità di questa con-sultazione con il Parlamento». L’impegno è restato finora lettera morta. Malgrado il pathos, Frattini delude le Ca-mere. Non fa grandi ragionamenti sul fu-turo assetto politico del Maghreb. Non fa

Libia, Tunisia ed Egitto sono alle prese con un cambiamento politico epocale. Le iniziative del governo italiano e quelle dell’Europa per fare fronte alla possibile ondata di migranti, mentre cresce l’emergenza umanitaria lungo i confini libici. Gli Stati Uniti sono intanto tentatida un intervento militare contro Gheddafi che potrebbe avvenire sotto l’egida della Nato. Ma Lega araba e Unione africana avvertono: «Ciò che sta accadendo in Libia è una questione interna al mondo arabo. Non è ipotizzabile alcun intervento straniero sul territorio di quel Paese»

Aldo Garzia

S

11domenica 6 marzo 2011

analisi sul perché il nord Africa assomigli da qualche settimana a una polveriera. Non propone viaggi di Berlusconi a Ber-lino, Londra, Parigi per attivare un piano d’intervento europeo per il Mediterraneo. Siamo però lontani dalla dichiarazione di Berlusconi del 19 febbraio: «Non chiamo Gheddafi per non disturbarlo». Frase rive-latasi particolarmente infelice, corretta già il giorno dopo da Ignazio La Russa, mini-stro della Difesa, nella trasmissione televi-siva Che tempo che fa: «Non avrei usato la parola “disturbare”. Lo dico francamente, avrei usato un altro termine ma non ci si può impiccare alle parole». Un’ulteriore correzione all’attendismo ber-lusconiano era arrivata lunedì 21 febbraio dopo le 20, quando Palazzo Chigi diffonde-va un comunicato che allineava il governo italiano alle posizioni dell’Unione europea: “Il presidente del Consiglio segue con estre-ma preoccupazione l’evolversi della situa-zione in Libia e si tiene in stretto contatto con tutti i principali partner nazionali e internazionali. Il premier è allarmato per l’uso inaccettabile della violenza sulla po-polazione civile”. Martedì 22 finalmente la telefonata a Gheddafi. Veniva reso noto che il presidente del Consiglio aveva avuto un colloquio telefonico con il colonnello libico nel quale - rivelavano fonti di Palazzo Chigi

- ha ribadito l’auspicio di una soluzione pa-cifica della crisi in corso per evitare il rischio della guerra civile. Gheddafi avrebbe repli-cato sostenendo che la situazione in Libia è sotto controllo. Il ricevimento in pompa magna offerto al colonnello libico appena lo scorso agosto, con tanto di sfilata di cor-pi speciali militari a Roma, poi contraccam-biato a Berlusconi a Tripoli, è un incubo che il governo ha fretta di cancellare. Sulla crisi libica, e prima ancora con quanto è acca-duto in Tunisia ed Egitto, va infatti in fran-tumi la politica estera italiana fondata sui rapporti personali di Berlusconi e sul capo chino nei confronti della Casa Bianca (vedi i documenti sull’Italia diffusi da Wikileaks). C’è da avere nostalgia, almeno per quanto riguarda il protagonismo della politica nei confronti del Medio Oriente, si sussurra nei corridoi del Palazzo, per i governi di Giulio Andreotti e Bettino Craxi.

Andreotti e CraxiProprio Gheddafi deve ad Andreotti e Craxi la propria longevità fisica (e politica), per-ché nell’aprile del 1986 fu il governo italiano a salvargli la vita, avvertendolo in anticipo dell’imminente bombardamento america-no su Tripoli. Quella che era stata soltanto un’ipotesi ventilata dagli storici, ha infatti trovato conferma ufficiale nel corso di un

convegno organizzato dalla Farnesina nel 2008 sul Trattato italo-libico. Grazie alle testimonianze di due protagonisti dei fatti del 1986, il senatore a vita Andreotti, allora ministro degli Esteri del secondo governo Craxi, e il capo della diplomazia libica Ab-del-Rahman Shalgam, all’epoca ambascia-tore a Roma. È stato quest’ultimo a raccon-tare i fatti davanti a una platea di politici e imprenditori, e di fronte a Saif El-Islam, il figlio del colonnello. Gheddafi Il presiden-te americano Ronald Reagan decise il raid - pare - per punire Gheddafi dell’attentato alla discoteca La Belle di Berlino del 5 aprile 1986, frequentata da soldati statunitensi in Germania: bilancio 3 morti e 250 feriti. Nel-la notte fra il 14 e il 15 aprile, bombardieri F-111 decollati dalle basi di Lakenheat e Upper Heyford, in Gran Bretagna, colpiro-no Tripoli e alcune installazioni militari, la caserma Bab el Azizia, residenza di Ghed-dafi, e alcuni quartieri civili. Contempora-neamente, aerei della Sesta Flotta di stanza nel Mediterraneo attaccarono una caserma e una base militare a Bengasi. Nell’attacco furono uccise una ventina di persone, fra le quali la figlia adottiva del colonnello. Ma quest’ultimo scampò alla morte: si era na-scosto in un bunker perché sapeva di esse-re il bersaglio dell’attacco americano. «Due giorni prima dell’aggressione - ha raccon-

tato Shalgam - Craxi mi mandò un amico comune italiano (quasi certamente l’allora consigliere diplomatico del presidente del Consiglio, ambasciatore Antonio Badini ndr) per dirmi: «Attenti, il 14 o il 15 aprile ci sarà un raid americano contro di voi». In quell’occasione, ha aggiunto il ministro libico, gli Stati Uniti utilizzarono la base di Lampedusa, «ma contro la volontà del go-verno italiano, perché Roma era contraria all’uso dei cieli e dei mari nazionali per l’ag-gressione».Duro il giudizio di Andreotti espresso nel-la stessa occasione del 2008: l’operazione contro la Libia «è stata un’iniziativa del tutto impropria e un errore di carattere internazionale». Per questo il governo ita-liano mise in guardia Gheddafi. «Usò tutti i mezzi a sua disposizione per farlo», ha confermato Margherita Boniver, nel 1986 responsabile Esteri del Partito socialista. La risposta libica fu il lancio di due missi-li Scud su Lampedusa. «Ma contro la base americana, non certo contro l’Italia», ha sostenuto Shalgam. Anche se sull’isola non c’erano postazioni militari americane ma una semplice stazione civile di orientamen-to alla navigazione. Tutto questo fa ormai parte della storia delle relazioni tra Libia e Italia. L’attualità è tutt’altra. Gheddafi è in trincea a Tripoli e non si arrende.

Tunisia, Egitto, Giordania, Algeria, Marocco, Yemen, Bahrein, Libia, forse - speriamo - anche le teocrazie saudite e iraniane: l’anelito di democrazia, libertà, giustizia, irrompe abbattendo come bi-rilli longeve dittature e violenti satrapi. È una splendida notizia che fa piazza pulita della razzistica convinzione che la demo-crazia non sia adatta alle masse arabe. L’Europa abbozza attonita in un melli-fluo sostegno alle rivolte che però mal nasconde l’infinita preoccupazione: in realtà quei regimi sono anche figli nostri. Oltre a quella politica, vi è però un’altra pesante complicità che si è resa clamo-rosamente manifesta: la sudditanza, autocensura, ipocrisia e nullità deonto-logica della nostra “libera” informazione. Ormai è tutto un florilegio di “dittatura, stato di polizia, diritti umani calpestati, corruzione endemica, censura, fame ed oppressione, regime, mafioso clan famigliare, autocrati, satrapi, dinastie in farsa democratica”: è lo sdegnato lessico ora in auge nei media per parlare - ad esempio - dei trent’anni di imperio del faraone Mubarak in terra d’Egitto o del più che ventennale pugno di ferro dell’ex rais tunisino Ben Alì. Ora, perché sino a poche settimane fa ben altra era la terminologia usata nei loro confronti. Per l’intero apparato mediatico italico erano governi amici, Stati arabi moderati, esempio di democrazia per tutto il Medio Oriente, sicuri e preziosi alleati contro l’insorgenza islamica e bastione in difesa dell’occupazione israeliana dei territori palestinesi. Mubarak e Ben Alì erano di casa nel no-stro Paese, osannati e ben accetti, addita-ti come luminoso esempio di civile e sal-da democrazia nel Magreb, tra le nazioni arabe, nel mondo. Se aggiungiamo poi il “liberale” sovrano hascemita in Gior-dania, la “moderata” teocrazia assoluta

dell’Arabia saudita, la “moderna” casa reale marocchina e il “fratello”Gheddafi che fa per noi il lavoro sporco contro gli immigrati, il Bahrein con l’amata formula uno, avremo il quadro di come sino all’altro ieri queste nazioni venivano presentate e omaggiate dai nostri me-dia. Ovviamente in buona compagnia della classe politica (senza distinzione di destra o sinistra) e di tutta la dirigenza affaristica italiana.Eppure facilmente potevano prendere atto delle numerose denunce delle orga-nizzazioni internazionali e delle corag-giose voci interne che denunciavano la natura dittatoriale di quei regimi. Nulla, nessun servizio di approfondimento nelle reti televisive, nessun allarme, intervista, programma o talk show. Niente di niente. Un encomio a Karl Kraus che in uno dei suoi geniali aforismi sentenziò “Il giorna-lista è uno che, dopo, sapeva tutto prima”. In tutto questo, forse, nell’incredibile ultima difesa di Mubarak da parte di Berlusconi che ci ricorda come il presi-dente egiziano fosse il pupillo di tutta la dirigenza occidentale, vi è una non ipo-crisia che altri non hanno. Figuriamoci, purtroppo è tornato in auge pure quel Magdi Cristiano Allam noto per le sue forsennate contumelie contro il pericolo della sua ex religione ma silenzioso sugli “amici” dell’Occidente. Persino Bruno Vespa ha lasciato i plastici di delitti e pro-cessi e si è dedicato all’Egitto o, meglio, al pericolo islamista della transizione nelle terre del Nilo, sia per gli interessi occidentali sia per Israele. In queste preoccupazioni vi è il nocciolo duro della questione: abbiamo sempre puntellato corrotti regimi nella consapevolezza che con una vera democrazia e con libere ele-zioni nessuno sarebbe stato in piedi un giorno in più. Il prezzo della dittatura era ed è consapevolmente pagato in cambio di un violento argine all’islam militante e all’immigrazione clandestina.

Maghreb, la memoria corta dei mediaPaesi “amici” sono diventati di colpo “dittature guidate da satrapi crudeli”Gianpaolo Silvestri

Intervista12 domenica 6 marzo 2011

fece una conferenza stampa solo per annunciare l’inizio della sua andropausa e che quindi poteva dedicarsi interamente al cinema. Non è questo il senso del lavoro ma, in sostanza, sento di aver ri-solto tutta una prima parte della mia vita, legata alla ricerca di sé, e di aver individuato un deside-rio e, forse, la via per soddisfarlo.

Melville, Sartre, Miller. Tanti riferimenti letterari presen-ti nel disco. Qual è, per te, la missione dello scrittore e dell’artista?Mi capita spesso di rintracciare nelle letture un comune sentire. E il primo pensiero va a quante cazzate ho fatto nella mia vita. Per chiedermi, se avessi let-to questo o quell’autore, quale senso avrebbero avuto. Le avrei fatte uguale, ma le avrei vissute diversamente! Ecco cos’è il biso-

l precedente lavoro, Dis-solution, ha chiuso un ciclo e ad aprirne un al-

tro è ora Hermann, un nome proprio, come se quest’album fosse un figlio?In un certo senso, sì. Se fossi stato donna, avrei avuto a che fare con la creazione in manie-ra più naturale. Non essendolo, ma avendo una certa “assenza di maternità”, scrivo canzoni. Que-sto è il “naturale” per me. Ci ho messo 45 anni per capire l’amo-re, la mancanza, il desiderio e il dolore: ora che ho raggiunto una mia consapevolezza posso parlarne. E, come tanti cineasti, pittori o letterati, manifesto una “plenipotenziarietà”, che convive con la certezza del fallimento in-sita nell’uomo. Mi viene in men-te Buñuel che, quasi settantenne,

gno di sapere: i grandi scrittori, in maniera sana o malsana, vedi Céline, sono quelli che sanno trasmettere “avvisi ai naviganti”. Se leggi Moby Dick, non puoi non renderti conto dell’assurdità e dell’inutilità, per quanto geniale, dell’inseguimento di Achab. Non puoi non chiederti che senso abbia il desiderio, quando ti ac-corgi di accelerare verso l’abisso. Finché gli uomini non si rende-ranno conto che questa corsa all’avamposto, che facciamo dal tempo dei tirannosauri, è priva di significato, continueranno a sfracellarsi. E il mio desiderio è che qualcuno, ascoltando le mie canzoni, cambi di un microme-tro la propria prospettiva. Pensa-re di avere un ruolo mi interessa. E la mia idea è che il ruolo di chi fa il mio mestiere non è quello dell’aguzzino, ma di un avvisato-re, di un custode.

In Hermann sembra racchiu-so tutto lo scibile umano, dal-la notte dei tempi al futuro. La sensazione è di un’opera “fantascientifica”.Sono arrivato al punto di poter dare una mia visione del futuro, come negli ultimi brani, vedi Il mare bellissimo, in cui non si vede più niente e finalmente è l’alba. Se penso alla fantascienza, la pri-ma cosa che mi viene in mente è Cyrano de Bergerac, quando, nel-la sua assoluta utopia di arrivare sulla luna, pensa di raggiungerla attraverso delle sfere di vetro. O anche Jules Verne, che ha scritto cose che si sono poi avverate. Il sentore classico mi porta a cre-dere questo: che una maggiore povertà farà tornare l’uomo fe-lice e in linea con la propria ve-locità. Possiamo essere davvero

Diego Carmignani

«Inseguire la balena biancacon parole e musica»

più veloci della luce, magari tra 300 milioni di anni. Ma per ades-so proprio no.

Mi sembra che la tua visione dell’uomo di oggi sia critica. Ma che, a differenza di alcuni colleghi, non ti interessa la canzone impegnata o sociale.Quel genere di approccio, per me, manca di ricerca e di poe-tica. È facile dire: «Cattivo tu, signore della guerra!». Bella sco-perta. Come noto spesso, il pro-blema di cinema, letteratura e arte italiana è quello di dare un messaggio. Può essere capito o meno, ma il messaggio si ferma lì, in superficie. Bisogna andare sotto e, soprattutto, sopra. Spie-gando perché si fanno le guerre e quale sia la malattia che le ge-nera. Oltre la didascalia da foto-romanzo di molte canzoni “im-pegnate”, c’è da dire quali siano le radici profonde (sotto) e quale il desiderio per uscirne fuori a guardar le stelle (sopra). Se non si parla di questo, ho fatica ad avere interlocutori o a pensar-mi come interlocutore. Quando un falegname fa un tavolo e si dimentica che le persone ci de-vono mangiare sopra, ha fallito. Il pensiero è l’unica cosa che non può essere industrializzata e standardizzata.

In Hermann, ricorre spesso il vocabolo “dio”. Cosa intendi quando lo utilizzi?Premessa: per me non c’è, e se c’è si nasconde benissimo. Quando parlo di dio, intendo il sacro, nel senso pasoliniano: una forza che sento in me e in altre persone e che vedo nel miracolo assoluto, ateisticamente, dell’incontro tra uno spermatozoo e un ovu-

A colloquio con Paolo Benvegnù, uno dei

protagonisti assoluti della scena musicale

italiana. Tra prosa e poesia, Melville

e Sartre, preistoria e visioni futuribili,

nel nuovo lavoro Hermann affronta

un viaggio temerario per sfidare la bestia

più pericolosa: l’uomo moderno

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lo. La stessa vitalità osservabile nelle piante e che ti fa pensare a quanto valore di costruzione possediamo. La vera dannazione dell’uomo è non riuscire ad ac-corgersi e a meravigliarsi. La gen-te non sente più: in cento anni, abbiamo allungato la nostra vita e, oggi, non potremmo goderci quel che abbiamo intorno? tor-nando al cantautore impegnato di prima, che senso ha cantare di “quanto siamo veloci”, se non ci chiediamo: da cosa scappiamo, qual è l’identità del predatore che ci rincorre, qual è il confine tra bontà e cattiveria? A questo servono gli avvisatori: a raccon-tare la verità. Cosa che nessuno sembra fare.

Specie nell’Italia berlusco-niana...Ecco, Berlusconi è l’uomo del post-Novecento. A 75 anni vuole il totale controllo: conquistare e sedurre tutto quello che gli capita davanti. In maniera post-moder-na, fa della seduzione uno sport di massa. La sua è una malata e totale adesione all’amore inteso come a-mors, negazione della morte, un continuo tentativo di sfuggire al dolore. Almeno al mo-mento del trapasso, mi auguro che sia minimamente consape-vole di sé. Finché l’uomo non ca-pisce la sua totale impotenza da-vanti all’ineluttabile, è spacciato. Berlusconi è diverso da Achab? No, una volta che trovi la bale-na bianca e la uccidi che succe-de? Muori anche tu! La maggior parte delle persone che conosco ha paura del dolore e non vuole affrontare il fatto che il dolore esiste: è come la gioia, seppure di segno diverso. Fa male. Ma se non l’affronti non vivi.

Benvegnù e i suoi musicisti

I

orse il nome roberto Con-cina è sconosciuto ai più, ma è questa la vera iden-

tità di robert Miles, superstar dell’elettronica, nata nel 1969 in Svizzera, poi trasferitasi in Friuli e da lì, una volta scoperta la pas-sione per la musica, migrata nel resto del mondo, stabilendosi a Londra, Los Angeles, Berlino ed Ibiza, roccaforti di un genere in rapida ascesa negli anni Novanta,

Robert Milescambia scaffaleIl dj di culto della dance anni Novanta pubblica Thirteen, un’ambiziosa opera rock sperimentale che vede la partecipazione di Robert Fripp, Mike Patton e Lamb

propria etichetta indipendente, la S:alt records. È per quest’ultima che esce il nuovo ambizioso e magnetico lavoro Thirteen (come il numero delle tracce), capace di sorpren-dere nel rendere conto del co-stante aggiornamento del suono di Miles, ed essendo lui un faro più che attendibile, del suono contemporaneo in sé. uno spirito avanguardistico che si traduce in

un corposo prosieguo della lista di illustri inventori dei nostri tem-pi, di ogni provenienza e cifra sti-listica, incrociati in carriera: dopo gente come Bill Laswell, trilok Gurtu e Nitin Sawhney, il viag-gio in territori ignoti di Miles ha come compagni di ventura una ciurma con pochi pari: robert Fripp (King Crimson), Dave Oku-mu (The Invisible), Mike Patton e John Thorne (Lamb). Collabora-

tori di lusso che, a ogni esperto di musica e ai più saggi addetti ai la-vori, dovrebbe far alzare almeno un sopracciglio. La proposta del Nostro è dunque quanto mai inaspettata: un mix di influenze jazz e progressive, di voli improvvisati e atmosfere ci-nematografiche, di tecnica rock sopraffina e percussioni abbaci-nanti, di scivolamenti blues e di-gressioni ambient, di Pink Floyd e Vangelis. Partendo dalla base del beat che caratterizza il dna di Miles, il suono si stratifica in ma-niera esponenziale, declinando la grammatica dell’elettronica se-condo il linguaggio preferito degli artisti chiamati a raccolta. Senza dubbio, con l’opera di rock alter-nativo Thirteen, la stella mainstre-am robert Miles cambia di scaffa-le, spostandosi da personaggio di culto per gli abituè del dancefloor, al novero dei pensatori del suo-no di oggi, con lo sguardo rivolto dritto al futuro. d.c.

quella musica trance che ha fatto di Miles un colosso da quattordici milioni di copie vendute, cinque solo con il suo maggiore successo Children, tormentone uscito nel 1996 e grimaldello che ha con-sentito all’artista italiano di apri-re un numero infinito di porte, affermandosi come instancabile sperimentatore, collaborando con colleghi di ogni risma, e dan-do vita, a inizio millennio, a una

F

Edward Ruscha, Lion in Oil, 2002, Whitney Museum of American Art, New York; promised gift of the Fisher Landau Center for Art

Prometeocontemporaneo

13domenica 6 marzo 2011Arte

[email protected]

ignoto che nella roman-tica Mitteleuropea d’ini-zio 800 sfida e terrorizza

la Ragione illuminista è l’in-conscio dell’uomo: la cui bontà naturale - intuisce la scrittrice - è corrotta dall’odio e dal rifiuto della società borghese, che non accetta “il diverso” e ciò che esce fuori dagli schemi. L’esigenza delusa di amore e accettazione si trasforma in furia omicida nel Golem, tanto quanto la paura e il senso di colpa spingono Viktor a una vendicativa punizione. Così la figura del ricercatore di una conoscenza proibita diventa un moderno simbolo del terrore. Per comprendere il senso profondo che sottende il motivo iconografico della montagna, tanto frequente nelle Avanguardie d’inizio 900 (da Kandinsky all’architettura alpina di Bruno Taut), bisogna partire da qui. Scoperta nel 700 come metafora del Sublime, per la sua capacità di attrarre e respingere, esaltare ed impaurire, nell’800

a cura di Francesca Franco

la montagna è luogo di visiona-rietà fantastica, dove il reale si perde o si smaterializza in una dimensione mentale e psichica o, come la definirono gli arti-sti del tempo, “spirituale”, in sintonia con Nietzsche, che in Così parlò Zarathustra (1885) trattò della discesa del profeta dalla montagna per portare l’insegnamento all’umanità. Come spazio di una conoscenza non tanto superumana quanto “altra” rispetto alla morale comune del tempo, questa immagine torna nel romanzo di Thomas Mann La montagna incantata (1924), ambientata a Davos, in Svizzera, nel sanatorio del dottor Krokowski, dove la malattia non è solo disordine organico, ma trovano spazio il dialogo, la speculazione filoso-fica e le emozioni, in sintonia con una concezione olistica dell’uomo. Nella quiete di quel tempo sospeso Mann affronta i temi dell’amore, dell’amicizia, della morte e la contrapposizio-

Frankestein di Mary Shelley (1818) si apre con l’immagine di

una fuga disperata tra i ghiacciai perenni delle Alpi e della Giura. Diversamente dalla spedizione

del capitano Walton, tanto l’inseguimento di Viktor quanto il viaggio della sua creatura non

hanno nulla del piacere gratificante del rischio e della scoperta, ma tanto

della paura dell’ignoto.

Focus

Il nuovo rifugio del CAS Monte Rosa, che ora apre la sua attività turistica, nasce nel 2009 dalla collaborazio-ne tra il Politecnico federale di Zurigo e il Club Alpino Svizzero, per sostituire un ri-covero del 1895. Sorge sopra Zermatt (Svizzera), a 2.883 metri s.l.m. e, per l’innova-zione in campo architettoni-co, tecnologico, energetico e ambientale, ha ottenuto il Premio Solare 2010. Pannelli fotovoltaici integrati nella facciata sud dell’edificio assicurano il 90% dell’ener-gia che, stoccata in batterie, è poi usata all’occorrenza. Il restante 10% è fornito da una centrale termica alimentata con olio di colza. L’acqua, recuperata dallo scioglimento della neve, è immagazzinata in un ser-batoio sotterraneo. All’in-terno il rifugio conta 120 posti letto, servizi e sala da pranzo, mentre l’infrastrut-tura esterna del ristorante si affaccia sul ghiacciaio del Gorner e sulle vette delle Alpi vallesane (4000 m). L’ar-chitettura si compone di una complessa costruzione in le-gno di 5 piani, nascosta sotto ampie vetrate a nastro e un rivestimento d’alluminio, che riflette la luce e il paesaggio circostante, mimetizzandosi con i suoi profili. La forma, simile a un poliedro sfaccet-tato, spiega il soprannome di “cristallo alpino”, che riporta alla memoria l’utopica Alpi-ne Architektur di Bruno Taut. Nel libro omonimo pubbli-cato nel 1917, l’architetto te-desco immagina, infatti, una città improntata a un’ide-ale di bellezza trasparente, immateriale e in continua metamorfosi tra riverberi d’acqua e luce, contrappo-nendo questa visione di pacifico silenzio alla guerra che devastava l’Europa. Info: www.section-monte-rosa.ch/cabanes_4.htm

Architettura d’alta quota

Nata dalla collaborazione tra il Belvedere di Vienna e l’Austrian Cultural Forum New York e curata da Agnes Husslein, Andreas Stadler, e William Stover, la mostra Alpine Desire è aperta a New York fino all’8 maggio. Info: [email protected]. S’intitola Legacy la colletti-

va aperta fino al 1° maggio al Whitney Museum of Ame-rican Art di New York, che espone in anteprima 80 delle 400 opere della donazione Fischer-Landau.

La collezione documenta l’arte americana dal 1950 al 2006. Un’altra selezione delle opere della collezione sono esposte fino al 4 aprile nella mostra Unforgettable al Fisher Landau Center for Art di Long Island City, New York. Info: [email protected], whitney.org/Visit/BuyTickets; [email protected]

ne culturale allora dominante tra razionalismo illuminista e irrazionalismo religioso. Se la mostra del 2003 al Mart di Rovereto, Montagna arte scienza mito, ha indagato l’iconologia della montagna dal 500 ai nostri tempi, la collettiva Alpine Desire aperta all’Austrian Cultural Forum New York s’incentra specificamente sull’immagina-rio contemporaneo, per svelare sotto vedute da cartolina i rapporti più oscuri che l’uomo moderno intrattiene con questo simbolo del Sublime: categoria estetica che nel 1757 Edmund Burke inserì nel programma di elaborazione di una “scienza del-la natura umana” (David Hume). Berggipfel im Schnee (1907) dell’espressionista Kolo Moser (Vienna, 1868-1918) raffigura le cime innevate di una catena montuosa immerse nella luce cristallina del mattino. La stessa da cui Taut trae nel 1920 il nome della sua rivista, Frühlicht, per divulgare l’idea di un’architettura di vetro trasparente e luminosa, fantastica e utopistica. Sempre su Frühlicht Hermann Finsterlin pubblica con lo pseudonimo di Prometheus i suoi disegni e scritti, profetizzando la nascita di una nuova arte del costru-ire, il cui «motivo conduttore [ ] è l’intuizione, la creazione di figure plastiche» che siano «via di mezzo fra il cristallo e l’amorfo» (1920-22). L’immagine del cristallo sfaccettato sottende l’installazione ambientale della britannica Ellen Harvey (Farn-borough 1967), Room of Sublime Wallpaper II (2008): una stanza coperta da carta da parati a simulare una terrazza affaccia-ta su un panorama montano. Questo si rifrange e si scompone su una parete di specchi, che del paesaggio riflette frammenti più

o meno deformati, discontinui e vibratili al moto dell’aria. Pro-iettando davanti allo spettatore quel che sta alle sue spalle, l’opera crea un cortocircuito prospettico e temporale, che trasforma quella veduta di carta in un’immagine concettuale e sfuggente, piena di rimandi e virtuali profondità. Esposto al Whitney Museum of American Art di New York insieme ad altre 80 opere provenienti dalla col-lezione di Emily Fisher Landau, il dipinto Lion in oil (2002) di Ed Rusha (Omaha, Nebraska, 1937) parte da una figura raddoppiata e speculare come una macchia di Rorschach, per comporre una iperrealistica vetta innevata, su cui campeggia una frase a stencil simile a una segnaletica stradale o a uno slogan pubblicitario, per la dimensione dei caratteri tipografici e per il loro impatto iconico, prima che semanti-co. Il titanico enunciato è un palindromo sillabico, ossia una sequenza di caratteri che, letta al contrario, rimane identica. Simi-le a un indovinello da enigmista o a uno scioglilingua, quel motto estraneo rispetto all’immagine che gli fa da sfondo è un voluto nonsense non privo di ironia bef-farda, che nella sua concisione verbale doppia lo spazio illusorio e chiuso su se stesso dell’icona. Entrambi (testo e immagine) nascondono sotto la loro piatta evidenza una complessità sotti-le, in cui si celano punti oscuri per lo sguardo e incomprensibili alla ragione. Tanto più che l’in-terpretazione di “segni ambigui” sistematizzata da Rorschach nel 1921 è usata in psicometria per valutare la personalità di un individuo attraverso le sue risposte di fronte a stimoli nuovi ed indecifrabili.

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Koloman Moser, Berggipfel im Schnee, 1907

Ellen Harvey, Room of Sublime Wallpaper II, 2008, particolare. Courtesy l’artista, foto Jan Baracz

14 domenica 6 marzo 2011 Libri

Il giurista Franco Cordero propone la

rilettura di “Discorso sopra lo stato

presente dei costumi degl’italiani” scritto dal

poeta di Recanati a cui affianca le proprie

note “Pensieri di un italiano d’oggi”. È

l’utile contributo per capire un Paese che celebra i suoi primi centocinquant’anni

senza riuscire a liberarsi del berlusconismo

Nicola Mirenzi

Le anomalie italianeche irritavano Leopardi

i dice: in nessuno dei Paesi europei, un presidente del consiglio come Silvio Ber-

lusconi sarebbe rimasto in carica un giorno di più dopo quello che è stato svelato sul suo conto, bunga bunga e derivati. Invece in Italia, nell’eterna anomalia italiana, que-sto è accaduto. Ma perché è suc-cesso? Per quali ragioni profonde? Sono domande che occorre porsi per comprendere (e non solo se-gnalare) la differenza italiana. Alcuni rispondono dicendo che è il portentoso conflitto d’interes-si a spiegare l’eccezionalità della condizione italiana, essendo esso stesso un fatto senza eguali in Occidente. Il massiccio dominio mediatico berlusconiano - spiega-no questi - è capace di manipolare le opinioni delle persone, ormai ridotte a spettatori dell’eterno show del sultano, e a farle pende-re sempre dalla sua parte. Le sue televisioni hanno creato un im-maginario, l’hanno alimentato e cresciuto, con i programmi in pri-ma serata allestiti con donne ab-bondantemente svestite e ridotte quasi a cose. Lui ha incarnato il suo stesso prodotto, e ciò che ac-cade oggi è una prosecuzione con altri mezzi della promessa che egli stesso ha creato. Altri trovano le cause della stasi nell’infinita tran-sizione italiana. Dicono che sono le istituzioni che non funzionano. Che il sistema politico è rimasto bloccato, nonostante il passaggio dalla Prima alla Seconda Repub-blica. E che il conflitto tra i poteri dello Stato, quello giudiziario e quello esecutivo, è il vero domi-nus della scena. Secondo alcuni di questi interpreti, la magistratura, invece di svolgere la sua funzione

naturale, ha cercato di porsi in un ruolo di supplenza alla politica. E là dove manca un’opposizione credibile, incapace di incanalare il dissenso, i giudici cercano di prendere la sua parte, tentando di far cadere Berlusconi su questo o quel processo. Lui, legittimamen-te eletto, si difende, proteggendo, insieme a se stesso, la sovranità popolare.

Il contesto europeo Entrambe queste visioni sono schiacciate sulla storia recente del nostro Paese. Non hanno un respiro largo. Sono per lo più ar-gomenti di un discorso politico. Invece Franco Cordero, giurista e intellettuale italiano, propone una visione più radicata della questio-ne. Tornando addirittura sino a Giacomo Leopardi, uno dei poeti nazionali più importanti, per tro-vare una risposta. È per questo che ha scelto di ripubblicare il suo Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani: meno di cin-quanta pagine di pensieri sull’Ita-lia, accompagnati dalle riflessioni di un italiano d’oggi, cioè Cordero stesso (Bollati Boringhieri, 276 pagg., 15 euro). Lo fa nel centocin-quantesimo anniversario dell’uni-tà d’Italia, ricordando innanzitut-to che il nostro Paese ha una sto-ria e una cultura che lo tengono insieme fin da prima della sua di-chiarazione ufficiale di nascita. E che in quella precedenza, in quel terreno vivo del modo d’essere italiani, è possibile trovare le chia-vi per capire il Paese di oggi. Ma cosa può dire veramente Le-opardi sull’Italia di odierna? Ve-diamo. Il poeta apre il suo Discor-so tratteggiando il panorama di un’Europa nella quale le nazioni, vicendevolmente, s’interessano sempre di più dei costumi e dei modi di vivere degli altri Paesi. «Infiniti sono i volumi pubblicati in ciascuna nazione per informar-la delle cose dell’altre», scrive. E naturalmente «sono anche infi-niti quelli pubblicati dagli stranie-ri… sopra le cose d’Italia». I loro «inconvenienti» però sono due. Il primo è che «spesso errano, essendo impossibile a uno stra-niero il conoscere perfettamente un’altra nazione». Il secondo è che «dicendo o il falso, o anche il vero, che sia alcun poco sfavorevole a quelli di cui parlano… si concitano l’odio della nazione di cui scrivo-no». Questo vale soprattutto per gli italiani, dice Leopardi, anche se è una «cosa veramente stra-na, considerando il poco o niuno amor nazionale che vive tra noi». L’annotazione è abbastanza vali-da anche per l’oggi, dal momento che ogni volta che una copertina dell’Economist o del Time attacca l’Italia, molti si lamentano animo-

samente delle prese di posizione dei giornali stranieri, dicendo stizziti che non capiscono niente dell’Italia. Ma queste sono rispo-ste che guardano il dito, invece della luna che esso indica. E così Leopardi si propone, da italiano, di scrivere dei costumi degli italiani: non di attaccare chi ne parla. «Se io dirò alcune cose circa questi presenti costumi (te-nendomi al generale) colla since-rità e libertà con cui ne potrebbe scrivere uno straniero, non dovrò esserne ripreso dagli italiani, per-ché non lo potranno imputare a odio o emulazione nazionale, e forse si stimerà che le cose nostre sieno più note a un italiano che non sono e non sarebbero a uno straniero, e finalmente se que-sti non dee risparmiare il nostro amor proprio con danno della verità, perché dovrò io parlare in cerimonia alla mia propria nazio-ne, cioè quasi alla mia famiglia e a’ miei fratelli?».Leopardi sostiene che in tutti i Pa-esi d’Europa sono venuti a man-care i principi morali che prima reggevano le comunità sociali. Ma la cosa è particolarmente grave per l’Italia. Scrive: «Tutti sanno con Orazio che le leggi senza i co-stumi non bastano, e da altra par-te che i costumi dipendono e sono determinati e fondati principal-mente e garantiti dalle opinioni. In questa universale dissoluzione dei principi sociali, in questo caos che veramente spaventa il cuor di un filosofo… le altre nazioni civi-li, cioè principalmente la Francia, l’Inghilterra, la Germania, hanno un principio conservatore della morale e quindi della società, che benché paia minimo, e quasi vile rispetto ai grandi principii morali

e d’illusione che si sono perduti, pure è d’un grandissimo effet-to. Questo principio è la società stessa». La mancanza dell’Italia sarebbe appunto questa dimen-sione sociale. Che si accompagna a un’altra, più grave e significativa, nonché attuale, perché serve pro-prio a tenere unite le società: cioè la poca importanza che riveste l’opinione pubblica nella vita della nazione italiana, a differenza degli altri paesi. «Ma nel fatto e nella vita - scrive Leopardi - è certis-simo che nessuno di questi, non che degli altri francesi, dal tempo della origine della società france-se fino al presente, ha mai potuto impetrar da se stesso, non solo di non curar veramente l’opinione pubblica, ma neppure di non met-terla quanto all’effetto e quanto al fondo del suo animo, nella cime de’ suoi pensieri e de’ suoi fini, e di non volgere a quella il più delle sue azioni e delle sue omissioni. Questa stima della opinione pub-blica, così piccola com’ella è, è pur da tanto che quasi basta nelle det-te nazioni … a rimpiazzare i prin-cipii morali ugualmente perduti appresso di loro».

La storia nazionaleMa non solo l’opinione pubblica. Per Leopardi, «l’Italia in fatto di scienza filosofica e di cognizione matura e profonda dell’uomo e del mondo è incomparabilmente inferiore alla Francia, all’Inghilter-ra, alla Germania, considerando queste e quella generalmente». Ma nonostante ciò «è anche cer-tissimo, benché parrà un parados-so, che se le dette nazioni son più filosofe degl’ita-

S

liani nell’intelletto, gl’italiani nella pratica sono mille volte più filoso-fi del maggior filosofo che si trovi in qualunque delle dette nazioni». L’Italia e gli italiani sono un popolo di persone pratiche, votate all’in-teresse particolare, non orientate a una dimensione sociale più am-pia. È questa la sua natura pro-fonda, ieri come oggi. E «si vede dalle sopraddette cose - conclude Leopardi - che l’Italia è, in ordine alla morale, più sprovveduta di fondamenti che forse alcun’altra nazione europea e civile». Con questa bussola sull’anima dell’Italia, Cordero sviscera la storia nazionale e riflette sulla sua cultura, sulla politica, la so-cietà. Attraversa l’Unità, il Fa-scismo, Berlusconi. E ha giudizi nettissimi su quest’ultimo. Scri-ve: «Mussolini stava nel quadro della legalità fascista. Costui è l’Unico, fuori d’ogni regola». E ancora: «Legga Sade chi vuol intendere storie italiane 2010, dove la politica diventa gang, scorreria, variegato malaffare, e danno spettacolo visi, corpi, gesti eloquio». Quanto al pre-sidente del Consiglio, Cordero lo riassume così: «Sei verbi lo definiscono: falsifica, froda, pla-gia, corrompe, estorce; e riesce a meraviglia, favorito dalle tare italiane». L’altro punto su cui Cordero insiste è l’incapacità di Berlusconi, sedicente liberale, di accettare posizioni contrarie alla sua. Il suo argomento per stare in sella è sempre lo stesso. «Nes-suno v’impedisce il dissenso ma

opponetevi rispettosa-mente». Ed è qui che è scritta tutta la storia del-la rottura tra Gianfranco Fini e Berlusconi.Infine Cordero ricostru-isce bene l’ascesa berlu-sconiana: gli affari, i pro-cessi, gli uomini. Ne viene fuori uno spaccato in cui un uomo anomalo si pone alla guida di un Paese ano-malo. In fondo è questo il meccanismo che tiene tutto in piedi. Ecco perché

tornare «a Leopardi, nei cui Pen-sieri il mondo è società malavi-tosa; gli interessati a mantenerla lanciano invettive, ridono o sog-ghignano, e i Tartufi compatisco-no l’opinione pessimista: rabbia, riso, mistificazioni antimoniose stanno nel quadro», scrive Cor-dero. Per poi concludere dicendo: «Dobbiamo decidere: vita attiva, conforme alla prassi, o l’eremo? Né l’una né l’altro: che gli avveni-menti siano predeterminati non esclude scelte operose… Il disin-canto stimola dinamismi volitivi: non foss’altro, è questione esteti-ca; abitiamo un mondo sordido; ritocchiamolo in meglio». Giacomo Leopardi e la copertina del libro edito da Boringhieri

15domenica 6 marzo 2011Memoria

1912: il collegio gesuita di Villa Mondragone, vicino Frascati, versa

in pessime condizioni. Fu allora che uno

dei padri del santo edificio chiese a Wilfrid

Voynich di comprare alcuni volumi. Tra

questi, un libretto di 204 pagine diviso in quattro sezioni. Ma

il contenuto è ignoto, perché le linee di

inchiostro non seguono alcun alfabeto o

linguaggio conosciuto

Alessio Nannini

Alcune pagine del manoscritto Voynich, universalmente noto come il libro più misterioso del mondo

Gli affascinanti misteridel manoscritto di Voynich

ra i bibliofili e i medie-valisti il manoscritto di Voynich ha sempre go-

duto di un fascino unico, e non per caso è stato definito il libro più misterioso della storia: le sue immagini e la scrittura, redatta con un sistema crittografico an-cora non decifrato, hanno fatto sì che su di esso, sulla sua natura e sul significato, si facessero con-getture di ogni tipo, anche le più bizzarre. Vi fu chi, con evidente suggestione, addirittura lo intese come una mappa per ritrovare il mitico Giardino dell’Eden. Ma più che un itinerario questo stra-ordinario volume, grande quanto un moderno quaderno e compo-sto di 204 pagine scritte a mano su pergamena di vitellino, è un testo che ritrae quanto si sape-va del mondo all’epoca della sua vergatura. Le quattro sezioni di cui è fatto dicono di piante, stelle, corpi umani, nozioni di farma-cia. Tuttavia il contenuto è per l’appunto ignoto, giacché le linee di inchiostro non seguono alcun alfabeto o linguaggio conosciuto. E dunque: a chi poteva servire, e perché farne un segreto decifrabi-le da pochi?Questo è quanto si chiedono gli studiosi da circa un secolo, da quando cioè un commerciante russo di libri antichi, Wilfrid Voy-nich, ebbe la fortuna di trovarsi nel posto giusto al momento giusto. Correva l’anno 1912 e il collegio gesuita di Villa Mondragone, vi-cino Frascati, versava in pessime condizioni. Fu allora che uno dei padri del santo edificio, Giusep-pe Strickland, chiese al facoltoso

Voynich dell’opportunità di com-prare alcuni volumi. Un affare per entrambi: quella spesa sarebbe servita ai religiosi per il restauro della villa, e a Voynich per entrare nella storia della bibliologia, per-ché fra i trenta volumi presi vi era proprio il manoscritto che da egli prese poi il nome. Da allora fu una ridda di interpretazioni e ipotesi su chi, cosa, quando, e perché. Al-cuni documenti e annotazioni tra i fogli dettero indizi che, più che risolvere l’enigma, ingarbugliaro-no la matassa (per esempio, quel-le che sembrarono in un primo tempo delle note in greco antico si rivelarono in realtà delle crepe nella carta). Ma uno fu utile nel far capire almeno come arrivò a Roma il manoscritto. Un’epistola con data 19 agosto 1665 di Johan-nes Marcus Marci, rettore a Praga nella prima metà del Seicento, invitava Athanasius Kircher a de-cifrare quel contenuto. Quindi, se non boemo di nascita, il volume passò almeno per l’allora corte di Rodolfo II. Altre informazioni suggerirono una trama che molti anni dopo fece sua Umberto Eco per Il nome della rosa, laddove spiega come la storia di Adso da Melk fosse giun-ta a lui. Marci aveva ereditato il manoscritto da un alchimista, tale Georg Baresch, il quale lo ebbe nientemeno che dall’impe-ratore Rodolfo II, il quale a sua volta lo aveva comprato perché, credette, opera originale di Rug-gero Bacone. Tuttavia il sovrano, che aveva gran passione per l’al-chimia, non aveva pari acume per la filologia, perché il Doctor Mirabilis non ci risulta avere mai vergato alcuna di quelle pagine.

A proporre a Rodolfo l’acquisto del manoscritto si pensa siano stati John Dee ed Edward Kelley, entrambi inglesi ed entrambi ma-ghi. Il primo avrebbe introdotto il secondo nella corte di Praga, e questi, che era pure un eccellen-te falsario e glottoteta, redasse di giusto punto il volume per poi venderlo all’ingenuo imperatore per una cospicua somma. Fine del mistero? Macché. Indagini a infrarosso hanno permesso di evidenziare quello che all’occhio era finora sfuggito, ossia una fir-ma successivamente cancellata che recita «Jacobi a Tepenece», al secolo Jacobus Horcicki. Morto nel 1622, costui era alchimista a Praga quando Kelley era da tem-po passato a miglior vita. Quindi: o è falso che il manoscritto sia un falso messo a punto da Kelley, o Horcicki ha successivamente po-sto il suo nome in un documento non suo. Ci sarebbe anche una terza via: che entrambi abbiano messo l’inchiostro su lavori di altri. A partire da chi? Ancora da lui, Ruggero Bacone.

Un’eredità magicaBacone visse nel Duecento in Inghilterra, fu uomo dottissimo e ovunque ammirato. Studiò, come chiunque eccelse fra le arti nel Medioevo, la cultura e i testi arabi arricchendo le sue già pro-verbiali conoscenze di un sapere che a molti parve stregonesco, e infatti subì l’onta della prigionia. Ebbe però il merito di anticipa-re le trattazioni di astronomia e matematica, ottica, e addirittura ragionò su una polvere che sol-lecitata dal fuoco potesse esplo-dere. Una mente così elegante

Tneppure ignorava l’astrologia, credendo che i corpi celesti ab-biano la capacità di influenzare (ma non dirigere) le umane cose. Per Joseph Martin Feely, un av-vocato americano che nel 1943 pubblicò un saggio a riguardo, la paternità del manoscritto era del filosofo inglese, perché affini alle sue idee erano i contenuti e con-geniale alla sua dottrina la chiave per decifrarlo. Chiave che però egli non trovò, o per lo meno non convinse gli altri di averla trova-ta: il metodo di decifratura so-stitutiva impiegato per ottenere un testo con caratteri latini era incomprensibile. Altri tentativi furono fallimentari se non gof-fi: due anni dopo a Washington un gruppo di studiosi capeggiati dal professor William Friedman si riunì con l’unico scopo di ve-nire a capo del testo, scegliendo di trasporre i caratteri in segni convenzionali. Niente di fatto; a Yale la filosofia e la scienza si unirono nelle persone di Robert Brumbaugh e Gordon Rugg e si adoperarono in lunghe quanto infruttuose ricerche linguisti-che concludendo, come fece la volpe con l’uva, che l’opera era una burla ben studiata; William Ralph Bennett nel 1976 provò ad applicare la casistica a lettere e parole, senza tradurre niente ma capendo almeno la ripetitività e la semplicità lessicale: nel mano-scritto i vocaboli sono pochi e la linguistica basilare, le ripetizioni di sillabe sono frequenti e l’en-tropia bassissima (in alcuni pas-si le parole sono ripetute anche quattro volte consecutivamente) come soltanto nella lingua hawa-iana. Un parallelo interessante

ma che non facilitò le ricerche. Altre ipotesi: 1978, un filolo-go dilettante, John Stojko, vide nel Voynich i caratteri cirillici dell’ucraino privato delle voca-li. Nel 1987 invece il fisico Leo Levitov interpretò il testo come una miscellanea di antiche lin-gue centroeuropee, indicando nei catari i loro autori. Come a dire, a ciascuno il suo incisore. Di questi studi inefficaci rimangono almeno le note quantitative: sono state riconosciute in tutto tra le diciannove e le ventotto probabili lettere, prive di legami con alfabe-ti conosciuti e forse appartenenti a due complementari ma diversi. Assenti gli errori ortografici, zero le cancellature e le esitazioni nor-malmente presenti in altri codici. Misteri su misteri dunque, con un colpo di scena recente. Un gruppo di ricerca dell’universi-tà dell’Arizona, diretto da Greg Hodgins, ha asportato in feb-braio quattro campioni da un millimetro per sei dai margini di differenti pagine e ha proceduto ad analizzarli al radiocarbonio. La datazione risale a un perio-do compreso tra gli anni 1404 e 1438, ed esclude quindi le mani di Ruggero Bacone, di John Dee ed Edward Kelley, e del buon Horci-cki. Ma per una certezza acqui-sita ecco un nuovo enigma per il quale scervellarsi: se compilato nella prima metà del Quattro-cento, come poteva la sezione di botanica del Voynich contenere informazioni dettagliate su ciò che sembra effettivamente un girasole, pianta giunta in Europa dalle Americhe e quindi succes-sivamente al 1492? Diavolerie da mano sinistra.

Mondo16 domenica 6 marzo 2011

do i criteri della cultura nipponi-ca. Esse nacquero nel Giappone del diciottesimo secolo e venne-ro definite “intrattenitrici” o “ar-tiste”. La parola gei-sha significa letteralmente “persona dedicata alle arti”». Le vere geisha sono dunque artiste del tempo libero, professioniste dell’intratteni-mento, donne dai modi raffinati e di grande cultura che mai ap-proccerebbero clienti per strada con modi volgari da meretrice. Secondo quanto afferma la gui-da online japan-guide.com, si tratta di “intrattenitrici profes-sioniste che assistono i convitati duranti pasti, banchetti e altri eventi”. Dame eleganti e ricerca-te che non coltivano l’apparenza e associano la bellezza alla sem-plicità e alla modestia, in con-formità con gli ideali estetici del buddismo zen. Pochi particola-ri fondamentali le distinguono con esattezza dalle altre donne, rendendo impossibile ogni con-fusione. Una vera geisha non gesticola e accompagna ogni movimento con dolce mode-stia, non fa mai un passo troppo lungo che possa aprire le falde del kimono, non porta orecchi-ni, né orologi, né anelli. «Come una ballerina - afferma Lesley Downer - si assicura che ogni suo gesto sia eseguito con deli-catezza femminile». E tranquil-lamente guarda avanti a sé, sen-za agitare lo sguardo intorno. Il quartiere Gion, sul lato orien-tale del fiume Kamogawa che attraversa Kyoto, è forse l’ulti-mo santuario di questa rispet-tabilissima professione. Qui, in aprile, si celebra la festa del

er incontrare una gei-sha bisogna andare in Giappone. Ma dove esat-

tamente? Di certo non a Kabuki Cho, il quartiere a luci rosse di Tokyo dove, tra strip-bar e ca-mere a ore, sembra che tutto si muova solo secondo le leggi del-la mafia locale, la yakuza. E nem-meno all’equivalente Dotombori di Osaka, psichedelico e sfavil-lante con i suoi spettacoli di lap-dance e la sua centenaria tradi-zione di sesso a pagamento. In questi quartieri, o in altri simili, al turista occidentale potrà an-che capitare di incrociare giova-ni ragazze dal volto imbiancato che, dietro la maschera di un ki-mono colorato, promettono con lo sguardo e con i gesti incontri molto ravvicinati.

L’ultimo santuarioPurtroppo si tratta solo di falsi clamorosi. Perché, contraria-mente alla fama discutibile che le accompagna in Occidente, le geisha sono l’esatto opposto delle mercenarie che affollano le periferie europee e america-ne. E nemmeno somigliano alle escort di lusso che, preferite da sportivi e politici col portafogli gonfio, pur sempre prostitute rimangono. Le geisha, per dirla tutta, non hanno alcun legame col mestiere più antico del mon-do. «Fin dal principio della sua storia - racconta la scrittrice Lesley Downer in un saggio - la professione della geisha fu com-pletamente separata da quella delle cortigiane, almeno secon-

miyako-odori, la “danza dei ci-liegi in fiore”, una delle grandi attrazioni della città cui parte-cipano gruppi di maiko. Sono queste apprendiste danzatrici che studiano per diventare gei-ko, così come vengono chiamate le geisha nel dialetto locale. Nel resto dell’anno, tra architetture tradizionali e viuzze poco affol-late di quella che un tempo fu la residenza imperiale, non è raro incrociare queste giovani per strada, il kimono ben stretto e il volto imbiancato, mentre vanno a lezione di musica o danza. «In passato - scrive Juliet Winters Carpenter nel suo li-bro Seeing Kyoto - le apprendiste maiko erano adolescenti molto giovani, spesso vendute dalle fa-miglie povere che non potevano permettersi il lusso di nutrirle». Oggi invece le ragazze che intra-prendono questa strada lo fanno per scelta e vivono tutta la vita della propria buona reputazio-ne, fiere di perpetuare una tradi-zione plurisecolare che, bisogna ricordarlo, nacque nell’universo maschile. «Le prime geiko fu-rono uomini», racconta il sito JapanZone, di comune accordo con tutte le pubblicazioni spe-cializzate sul Sol levante.Secondo il sito Facts about Japan, «nel 1928 c’erano 80mila geisha in Giappone», delle quali varie migliaia solo a Kyoto. Oggi ne rimangono poche e per lo più anziane. Nell’antica capitale im-periale sopravvivono due hana-machi o comunità di geiko, Gion Kobu e Gion Higashi. Vi sono inoltre cinque scuole riconosciu-te, tra le quali il collegio femmi-

Bruno Picozzi da Kyoto nile Higashiyama che vanta ot-tant’anni di tradizione. Le ragaz-ze di solito vi entrano all’età di 15 anni, non senza essere state pre-sentate da persone fidate e aver passato un colloquio di selezio-ne. Dopo una formazione intro-duttiva e un esame, le giovani di talento diventano maiko e, dopo almeno cinque anni di istruzio-ne, solo le più brave potranno giustamente fregiarsi del titolo di geiko. In questo periodo impa-rano l’arte della conversazione e dell’ospitalità, dedicando la loro vita a raggiungere livelli di eccel-lenza in varie forme d’arte tradi-zionali giapponesi come il chado, la classica cerimonia del tè, la pittura sumi-e e l’ikebana, l’arte di sistemare i fiori. Ma soprat-tutto imparano a danzare e ad accompagnare il canto con stru-menti tradizionali quali il piccolo tamburo da spalla ko-tsuzumi o lo shamisen a tre corde.

Un lungo apprendistato«Seguono un rigidissimo pro-gramma di studio e prove, inten-so quanto quello di una prima ballerina, una pianista da con-certo o una cantante d’opera in Occidente», racconta Mineko Iwasaki in Vita di una geisha. Si allenano con continuità a leggere la mente degli uomini e a chiac-chierare amabilmente con gli ospiti, non smettendo mai di im-parare. Una vera professionista è un’abile e instancabile conversa-trice, spiritosa e discreta, capa-ce di creare attorno al visitatore un’atmosfera mirabilmente ele-gante e calorosa. Maiko e geiko vivono insieme in luoghi speciali

Contrariamente alla fama discutibile che

le accompagna in Occidente, chi sceglie

questo stile di vita è l’esatto opposto delle

mercenarie o delle escort che affollano le periferie europee

e americane. Secondo una secolare

tradizione giapponese, sono artiste del tempo

libero, professioniste dell’intrattenimento,

donne dai modi raffinati e di grande

cultura classica

chiamate okiya, concentrati in determinati quartieri, e si esi-biscono spesso nelle cosiddette ochaya, case da tè specializzate per clienti danarosi. Esse vestono con coloratissimi kimono di seta lunghi fino alle caviglie, maniche lunghissime e grosse fusciacche ad adornare la schiena. Gli zocco-li ai piedi sono chiamati pokkuri e i capelli portano un’acconciatu-ra vecchio stile ornata di spilloni dalle forme floreali. Il trucco con-siste di uno spesso cerone bianco che copre il viso e il collo, su cui risalta un forte colore rosso alle labbra. Per mettere insieme que-sta acconciatura ci vuole circa mezzora, poi un’assistente si oc-cupa di sistemare per bene il ki-mono. M. Teresa Trilla in 101via-jes spiega anche le sottili differen-ze che all’apparenza distinguono le apprendiste dalle professioni-ste. «Le maiko si caratterizzano nel vestire kimono molto ricchi di colori e ornamenti, dominati dal colore rosso. Le maniche del kimono di una maiko si allunga-no fino ad arrivare vari centime-tri al di sotto delle ginocchia. In tutte le tappe dell’apprendistato, la parte posteriore del collo del kimono sarà rossa, mentre sarà bianca per una geisha. Al contra-rio i colori del kimono da geisha sono più scuri ma in entrambi i casi seguono un disegno che di-pende dal mese dell’anno». Altre differenze notevoli sono nella complessità della pettinatura e nel tipo di sandali calzati.Per verificare tutto questo di per-sona basta prenotare una stan-za in uno dei numerosi ryokan sparsi in tutto l’arcipelago, pic-cole locande in stile tradizionale che una guida online del Giappo-ne descrive come «l’opportunità di sperimentare lo stile di vita tradizionale e l’ospitalità giap-ponese». In realtà il ryokan è lo specchio del modo di vivere dei benestanti nel periodo imperiale, di un’agiatezza non spocchiosa ma certamente al di sopra della media. Tra pavimenti ricoperti di tatami, spartani futon come letti e bagni tradizionali con va-sche in comune, il cliente può immergersi nella vita dell’aristo-crazia di un tempo, a prezzi che variano tra i 100 e i 250 euro a notte e includono un elaborato kaiseki, una cena in stile aristo-cratico costituita da una dozzina di portate servite secondo un cerimoniale assai rigido e com-plesso. Fioriscono a Kyoto picco-li ryokan a conduzione familiare, dove il viaggiatore può indossare il vestito tradizionale, chiacchie-rare col proprietario e magari go-dersi una serata molto particola-re in compagnia di intrattenitrici professioniste. Una serata deli-ziata da una geisha può costare anche un migliaio di euro ma “il suo ruolo - afferma la guida on-line - è quello di far sentire gli ospiti a proprio agio attraverso la conversazione, giochi allietati da vino e superalcolici e spettacoli di danza”. Di sesso non si parla e a nessuna di esse verrà mai in mente di offrirne. Perché “aprire il kimono” non è assolutamente un lavoro da geisha.

Un gruppo di geisha

P

Bellezza e semplicità,il vademecumdella geisha