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Introduzione N ell’estate 2010 si tenne all’Università della Mistica di Avila il I Congresso Internazionale Teresiano, dedicato al Libro della Vita di santa Teresa di Gesù. Alcune delle relazioni tenute in quel consesso e pubblicate l’anno successivo nel volume degli atti del convegno favoriscono un opportuno avvicinamento al nostro tema 1 . 1 Si veda: F.J. SANCHO FERMÍN; R. CUARTAS LONDOÑO, ed., El Libro de la Vida de santa Teresa de Jesús. Actas del I Congreso Internacional Teresiano, Monte Carmelo – Universidad de la Mística – Cites, Burgos 2011. Roberto Fornara TERESA DI GESÙ RACCONTA SE STESSA STUDI RVS 66 (2012) 457-484

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Introduzione

Nell’estate 2010 si tenne all’Università della Mistica di Avila il I Congresso Internazionale Teresiano, dedicato al Libro della Vita di santa Teresa di Gesù. Alcune delle relazioni

tenute in quel consesso e pubblicate l’anno successivo nel volume degli atti del convegno favoriscono un opportuno avvicinamento al nostro tema1.

1 Si veda: F.J. Sancho Fermín; r. cuartaS londoño, ed., El Libro de la Vida de santa Teresa de Jesús. Actas del I Congreso Internacional Teresiano, Monte Carmelo – Universidad de la Mística – Cites, Burgos 2011.

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Mons. Ricardo Blázquez Pérez, arcivescovo di Valladolid, considera il testo teresiano «un esempio di teologia narrativa», «una narrazione singolare di una vita straordinaria». Mettendo a confronto la narrazione teresiana con la narrazione biblica e sottolineandone fortemente la dimensione cristocentrica, mons. Blázquez Pérez enfatizza il ruolo pragmatico del racconto: chi se ne lascia conquistare, dopo aver superato le difficoltà legate alla distanza storica e culturale, viene guidato e quasi “afferrato” dalla forza della narrazione2.

Toccano più direttamente il problema del linguaggio altri contributi, in modo particolare quello di Juan Antonio Marcos, già autore di un’originale tesi sulle «strategie retoriche del discorso mistico»3. Marcos è colui che studia in modo più approfondi-to il circolo ermeneutico vita-linguaggio (come già aveva fatto nel volume Mistica e sovversiva). La sua relazione è dedicata ad analizzare linguaggio e autoimplicazione (soprattutto quelli che egli chiama «particolari egocentrici»), linguaggio e significati-vità (il “mantra” teresiano «per sempre, sempre, sempre» produce un particolare effetto letterario, grazie al quale sembra che si dilati anche il tempo) e non-significatività (particolare, nel linguaggio di Teresa, l’uso del verbo reirse; la santa “se ne ride” dei formali-smi sociali, del denaro, del demonio, dell’Inquisizione, ma anche di se stessa e del proprio linguaggio…: sono tutte realtà che hanno perso significatività in conseguenza della sua esperienza mistica), linguaggio e performatività4.

2 Si veda il suo contributo nel Proemio dell’opera: r. blázquez pérez, «El Libro de la Vida: un ejemplo de teología narrativa», in F.J. Sancho Fermín; r. cuartaS londoño, ed., El Libro de la Vida, cit., 17-32.

3 Traduzione italiana in: J.a. marcoS, Mistica e sovversiva: Teresa di Gesù. Le strategie retoriche del discorso mistico della Santa di Avila, Edizioni OCD, Roma 2006.

4 Cf J.a. marcoS, «“Concertar esta mi desbaratada vida”. (El círculo hermenéutico vida-lenguaje)», in F.J. Sancho Fermín; r. cuartaS londoño,

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François Gramusset studia gli aspetti letterari, sottolineando i qui e ora che rendono presente l’esperienza e la aprono al lettore5.

Tocca a Francisco Javier Sancho Fermín, uno dei due cura-tori degli atti del convegno, il compito di rintracciare obiettivi e intenzionalità del libro, riconducibili fondamentalmente – secondo l’autore – a tre: uno scopo teologico (mostrare il vero volto di Dio così come traspare dalla propria esperienza: il Dio delle misericordie), uno di carattere apostolico (engolosinar, cioè mostrare la propria esperienza come appetibile, desiderabile, in modo da renderla contagiosa) e infine uno apologetico (la difesa dell’orazione)6.

Dora Castenetto («un libro che converte») si ripropone di cercare nell’opera teresiana quelli che definisce «indizi di conversione», individuando particolarmente i seguenti aspet-ti: la conoscenza di sé in relazione alla bontà misericordiosa di Dio, la ricerca della verità come nostalgia di Dio, a fronte della provvisorietà delle cose, la comunione con Dio, imparata in un itinerario di preghiera7.

ed., El Libro de la Vida, cit., 159-177. Questo contributo permette di compiere un passo ulteriore rispetto a quello di mons. Blázquez Pérez: secondo Marcos, Teresa non scrive semplicemente per raccontare, al livello di una teologia narrativa. Il suo scrivere è in un certo senso una forma di autoterapia, un eser-cizio prolungato di conoscenza di sé, allo scopo di prendere coscienza di un’e-sperienza e di strutturare la propria vita, che definisce “desbaratada” (V 40,24).

5 Cf F. GramuSSet, «“¿Qué era la oración que yo tenía?”. Literariedad o santidad de la escritura teresiana en el Libro de la Vida», in F.J. Sancho Fermín; r. cuartaS londoño, ed., El Libro de la Vida, cit., 179-201.

6 F.J. Sancho Fermín, «Objetivos e intencionalidades del Libro de la Vida», in F.J. Sancho Fermín; r. cuartaS londoño, ed., El Libro de la Vida, cit., 241-253.

7 Cf d. caStenetto, «Vida, un libro que convierte», in F.J. Sancho Fermín; r. cuartaS londoño, ed., El Libro de la Vida, cit., 295-312.

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L’esperienza mistica di Teresa è oggetto anche dell’anali-si di Luis Aróstegui Gamboa8. E Gabriel Amengual Coll propone una lettura in chiave filosofico-teologica di tale esperienza. L’espe-rienza è in primo luogo l’oggetto della narrazione, ma è anche fonte e autorità della sua conoscenza. Amengual Coll sottolinea l’uso del termine pasar nel lessico teresiano per indicare il valore dell’esperienza: esso non indica semplicemente un lasciare che accadano gli eventi, ma anche il fatto di “soffrirli”, di passare attraverso una prova, per cui l’esperienza per la santa di Avila è soprattutto un lungo processo di dolore e di lotta9.

Il dovere di parlare di sé

Teresa scrive il libro della Vita per obbedienza ai suoi confessori, soprattutto dietro l’impulso del padre García de Tole-do. L’obbedienza rappresenta uno dei criteri ermeneutici fonda-mentali del libro per diversi motivi:

– l’opera non presenta i caratteri della fredda relazione storica e all’autrice non interessano in primo luogo i fatti nella loro concatenazione (di fatto Vida è un libro dottrinale, oltre che biografico). Più che un’autobiografia, si tratta di una relazione spirituale10. Uno dei brani conclusivi della sezione 1-10 è, da questo punto di vista, significativo: «E così, ciò che può esservi in più del semplice racconto della mia vita, la signoria vostra lo

8 l. aróSteGui Gamboa, «Un aparecer de lo divino en la subjetividad: la experiencia mística de santa Teresa», in F.J. Sancho Fermín; r. cuartaS londoño, ed., El Libro de la Vida, cit., 313-344.

9 Cf i numerosi spunti di riflessione e le indicazioni di percorso lungo tutto l’articolo: G. amenGual coll, «La experiencia en el Libro de la Vida. Una lectura en clave filosófico-teológica», in F.J. Sancho Fermín; r. cuartaS londoño, ed., El Libro de la Vida, cit., 367-395.

10 Cf t. álvarez, Comentarios a las Obras de santa Teresa. Libro de la Vida, Camino de Perfección, Castillo interior, Monte Carmelo, Burgos 2005, 9.

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tenga per sé, visto che ha tanto insistito perché manifestassi in qual-che modo le grazie che Dio mi fa nell’orazione, se sarà conforme alle verità della nostra santa fede cattolica… Dirò quello che sperimento affinché, se conforme alla fede, possa recare alla signoria vostra qualche vantaggio» (V 10,8)11. Questo è lo scopo dell’atto di scri-vere: manifestare le grazie che Dio le fa nell’orazione e dire ciò che sperimenta (lo que pasa por mi). Manifestare le grazie di Dio ha una portata teologica notevole, che riguarda la natura di Dio (il Dio di Teresa è dunque il Dio delle misericordie), la sua iniziati-va in una storia di salvezza personale, l’orazione come luogo di incontro con questo Dio personale, inteso non come oggetto di riflessione ma come protagonista12;

– Vida porta il sigillo dell’essenzialità, della semplicità del racconto e soprattutto della sincerità (non necessariamente e sempre della verità oggettiva13, ma almeno della sincerità di coscienza soggettiva). Teresa non scrive secondo il genere lette-rario agiografico del Flos sanctorum, (i “fumetti” dell’epoca, secon-do Tomás Álvarez), che pure ha letto abbondantemente. Nell’a-giografia che ha assorbito, i santi sono eroi che si convertono in modo radicale una volta per tutte, lei ha fatto esperienza di cade-re molte volte, di rialzarsi, lottare e tornare a cadere). Però scri-ve con claridad y verdad (V, prologo)14. Il prologo dell’autobiografia

11 Il tema del libro, del resto, è chiaro fin dalle prime righe del prologo: «…descrivere il mio modo di orazione e le grazie che il Signore mi ha fatto».

12 Cf e. punda, La fede in Teresa d’Avila, Pontificia Università Gregoria-na, Roma 2011, 39.

13 La madre Teresa appare, ad esempio, talvolta imprecisa nella crono-logia e omette i dettagli di riferimenti a eventi o persone. È interessante notare i numerosi silenzi del racconto: nel primo capitolo, ad esempio, l’autrice – presentando l’ambiente familiare – tace il fatto che i fratelli si sono allontanati da Avila e sono partiti quasi tutti per le Indie, come pure passa sotto silenzio il processo di hidalguía.

14 Cf t. álvarez, Comentarios a las Obras de santa Teresa, cit., 16-17.

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testimonia la coscienza che una maggiore conoscenza della sua povertà aiuterà i confessori a rafforzare la sua debolezza:

Vorrei che, come mi hanno ordinato e concesso ampia facoltà di descrivere il mio modo di orazione e le grazie che il Signore mi ha fatto, mi avessero dato anche la libertà di parlare molto minutamente e con chiarezza dei miei grandi peccati e della mia spregevole vita: mi sarebbe stato di grande conforto; ma non l’hanno voluto, anzi mi hanno imposto molte restrizioni a questo riguardo. Chiedo, perciò, per amore del Signore, che chi leggerà questo scritto della mia vita tenga presente che essa è stata così miserabile che non ho trovato un santo, tra quelli che si convertirono a Dio, con cui consolarmi, perché vedo che, dopo la chiamata del Signore, essi non tornavano ad offenderlo. Io, invece, non solo diventavo peggiore, ma sembrava che facessi ogni sforzo per respingere le grazie che Sua Maestà mi faceva, come colei che si vede-va obbligata, poi, a servirlo in maggior grado, e capiva di non poter pagare neanche la minima parte di ciò che gli doveva. Sia sempre benedetto, per avermi aspettato tanto, colui che con tutto il mio cuore supplico di darmi la grazia di fare con assoluta chiarezza e verità questa esposizione che i miei confessori mi hanno ordinato (anche il Signore io so che lo vuole da molto tempo, senonché finora non ho osato tanto); il mio scritto sia a gloria e lode sua e giovi a me, perché d’ora innanzi i miei superiori, conoscendomi meglio, aiutino la mia debolezza, così che io possa soddisfare in parte, con i miei servigi, il mio debito verso il Signore, cui sia sempre resa lode da tutte le creature. Amen.

– La santa ha la necessità evidente di raccontare l’esperien-za15: gli incontri, gli avvenimenti, le relazioni affettive, le scelte volontarie, i fenomeni soprannaturali di cui era stata investita… È ovvio che la possibilità di raccontare ciò che ha vissuto o sta vivendo offre a Teresa l’opportunità di chiarire meglio prima di tutto a se stessa il contenuto dell’esperienza. Le diviene chiaro,

15 Sull’esperienza mistica come luogo teologico si veda: G. Strzelczyk, L’esperienza mistica come locus theologicus. Status quaestionis, Lugano 2005.

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di fronte al dovere di parlare di sé16, in modo particolare il filo conduttore che lega i vari avvenimenti.

– Il passaggio dalla vita al racconto stimola anche la capa-cità di spiegare e di comunicare il vissuto. Si tratta di un carisma che fa appello alla maturità umana (quando Teresa scrive ha 47 anni, 50 quando stende la redazione definitiva)17 e spirituale: «Allora non potevo comprendere me stessa come ora, per poter-mi spiegare; solo più tardi Dio mi ha concesso di poter inten-

16 È difficile parlare di sé è il titolo di un volume di Natalia Ginzburg, pubblicato da Einaudi nel 1999. Nella primavera del 1991, Natalia Ginzburg fu intervistata da Marino Sinibaldi per Radio 3, e in quell’occasione ebbe modo di ripercorrere il cammino della sua vita e della sua opera. Questo libro ricostruisce quel percorso in cui continuamente si intrecciano, inseparabili, vita pubblica e vita privata. L’obbedienza come criterio ermeneutico, intesa come dovere di parlare di sé significa, nel caso di Teresa di Gesù, una chiarez-za maggiore, non semplicemente perché il dover parlare vince un certo pudo-re o una certa ritrosia, ma anche perché l’impegno a ri-formulare il vissuto produce nuova coscienza di sé e della propria esperienza.

17 Sul processo redazionale del libro, cf e. llamaS, «Libro della Vita», in a. barrientoS, ed., Introduzione alla lettura di santa Teresa di Gesù. Ambiente stori-co e letteratura teresiana, Edizioni OCD, Roma 2004, 279-290. È curioso notare che, prima di raccontare la propria esperienza, la riformatrice del Carmelo si ritrovò nell’esperienza altrui. Desiderando far conoscere al teologo Daza lo stato della propria anima negli anni 1554-1555, si servì di una copia della Salita del monte Sion del francescano Bernardino de Laredo, sottolineando in rosso i passaggi in cui si riconosceva perfettamente (cf V 23,8). Con il gesuita Diego de Cetina cominciò più tardi a stendere una relazione della propria vita (cf V 23,15). Anche per il domenicano Pedro Ibáñez dovette stendere una relazione delle visioni da lei sperimentate (cf V 33,5). «Altre relazioni scritte da Teresa per i suoi confessori e consiglieri sono andate perdute. È certo che, prima di iniziare il compito di mettere per iscritto la storia della sua vita, aveva già steso diverse relazioni frammentarie esercitandosi nello stile biogra-fico. Quelle relazioni sarebbero poi state incorporate, quanto al contenuto, nella redazione definitiva» (e. llamaS, «Libro della Vita», 283). Fu però per l’altro domenicano García de Toledo che concluse, nel giugno del 1562, la prima stesura definitiva del libro autobiografico. La seconda redazione, stilata negli anni immediatamente successivi, obbedì a una richiesta dell’inquisitore Soto ed era destinata alla supervisione di Giovanni d’Avila.

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dere e riferire le grazie che egli mi fa, ed era quindi necessario esser passati attraverso quell’esperienza per capirmi in pieno e per spiegarmi di che si trattava. (…) Io non riuscivo a capire di che cosa si trattasse, ma mi sembrava che nemmeno in quelle che vedevo con gli occhi dell’anima capivo come avvenissero, perché, come ho detto, credevo che si dovesse dare importanza solo a quelle che si vedono con gli occhi del corpo, e di queste non ne avevo» (V 30,4).

L’esperienza è il contenuto del libro

Teresa stessa (V 17,5) distingue infatti tre livelli (l’esperien-za, la comprensione dell’esperienza vissuta e la relativa comuni-cazione): «una cosa è che il Signore ci dia la grazia, un’altra è intendere che favore e che grazia sia, un’altra ancora saper dire e far capire come sia…». La santa è interiormente convinta di questa grazia: «Non dirò nulla che non abbia lungamente speri-mentato. È vero che, quando cominciai a scrivere di quest’ultima acqua, mi sembrava impossibile saperne trattare, più difficile che parlare in greco, talmente mi appariva irto di difficoltà. Pertanto, deposta l’idea, andai a comunicarmi. Sia benedetto il Signore che così favorisce gli ignoranti! Oh, virtù dell’obbedienza che tutto puoi! Dio illuminò la mia mente alcune volte con le parole e altre offrendomi il modo in cui dovevo dirle, perché, come già nella precedente orazione, sembra che Sua Maestà voglia dire anche qui quello che non posso né so dire» (V 18,8).

In definitiva, l’esperienza è il contenuto fondamentale e la finalità della redazione del libro: «quello che definisce questo libro – scrive Enrique Llamas – è un’esperienza spirituale, fatta insegnamento e norma per le anime»18. Il testo, un vero e proprio trattato di orazione e di vita mistica, è opera di un’esperta

18 e. llamaS, «Libro della Vita», 292.

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di preghiera, non nel senso di un arido e distaccato insegnamen-to teorico, ma nel senso della testimonianza di un’esperienza che, in quanto tale, si sofferma su eventi dettagliati e su applicazioni concrete che assumono un valore universale. Quanto più l’espe-rienza è radicata nel particolare, tanto più vasta è la sua portata universale. In tal senso si comprende la molteplicità delle occa-sioni in cui il racconto della propria esperienza assume la natura di “consiglio” o di “avviso” per coloro che si vengono a trova-re in situazioni simili, sperimentano le stesse difficoltà, nutrono gli stessi desideri o condividono la stessa vocazione. Teresa è cosciente della portata magisteriale della sua parola: «Certo, io vorrei avere grande autorità per essere creduta a tale riguardo e supplico il Signore che me la dia» (V 19,4). La verità e la forza dell’esperienza – aggiungeremmo noi – trasforma l’autorità in autorevolezza.

Si può dire di più: la tentazione opera nella direzione di sradicare dall’esperienza: «Il demonio mi insinuava, per dissua-dermi, l’impossibilità di sopportare i disagi della vita religiosa, delicata com’ero. Da ciò mi difendevo ricordando le pene soffer-te da Cristo, di fronte alle quali non era gran cosa che io soffrissi un poco per lui. Dovevo certo anche pensare – ma di quest’ul-tima riflessione non mi ricordo – ch’egli mi avrebbe aiutato a sopportare tali pene. In quei giorni fui assalita da molte tentazio-ni» (3,6). Il demonio pone teorie, prospetta dubbi e paure.

La sezione di Vida 1-10

Il nostro tentativo di analisi riguarda la portata teologica e antropologica del racconto di tale esperienza e le relative carat-teristiche. Per praticità di analisi, siamo costretti a concentrar-ci su una porzione limitata del testo, che delimitiamo ai primi dieci capitoli dell’opera nella stesura definitiva. La scelta si impo-ne per il fatto che fra il cap. 10 e il cap. 11 si nota una cesura abbastanza netta: quanto precede è un contenuto di carattere

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prevalentemente biografico, mentre i capitoli seguenti si caratte-rizzano per il genere didattico. Parlando di prevalenza di genere, intendiamo affermare che i due generi si intrecciano e si richia-mano a vicenda, anziché escludersi. Se, per esempio, si conside-ra la lunga digressione sull’orazione dei capp. 11ss, questa sezio-ne – oltre ad essere un’importante parentesi dottrinale – ha una valenza biografica notevole, perché dice il posto della preghiera nella vita dell’autrice e rivela in sottofondo l’esperienza orante di decenni19.

Esperienza e dottrina costituiscono, pertanto, i due fuochi di un’ellisse: lungi dal contrapporsi, si illuminano reciprocamen-te, poiché l’esperienza assume valore paradigmatico e la dottrina rivela il sostrato esperienziale. Dal momento, però, che i primi dieci capitoli si caratterizzano come un blocco omogeneo in cui il dato autobiografico risulta predominante, li riteniamo un campione adeguato per la nostra analisi.

Osservando più da vicino il contenuto del libro, possiamo notare che i primi dieci capitoli raccontano le premesse della vita mistica, fino alla conversione e all’inizio di una vita nuova (dall’infanzia fino a 39 anni): svelano, cioè, quella che l’autrice chiama mi ruin vida. Ma l’epoca di composizione di tali racconti è quella della maturità della santa. L’interesse di un’analisi di questa sezione concerne, dunque, il modo in cui l’esperienza mistica guarda all’indietro, rileggendo l’esperienza precedente (il periodo di lotte e di peccato)20.

19 «L’orazione è tutto nel suo libro perché fu tutto nella sua vita» (e. llamaS, «Libro della Vita», 295). Sottolineiamo in tal senso il primato logico e cronologico dell’esperienza.

20 L’altra fase è alternativa a questo primo periodo e si può condensare nella formula sintetica conclusiva: «In questo modo ora io vivo…» (40,23).

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La parola ricevuta

Si potrebbero citare molti esempi di come la parola sulla propria esperienza scaturisca in molti casi (ma con sfumature ed esiti diversi) dalla parola ascoltata. In primo luogo dalla Parola di Dio, meditata personalmente o recepita attraverso la predicazio-ne. Il Dio che alla fine del racconto autobiografico le si rivelerà come il Libro vivo, già in queste prime fasi del cammino era presente come Colui che parla, che entra in relazione con Tere-sa. Si potrebbe dire che già a questo livello prevalga il primato dell’esperienza sulla parola. Significativa è la relazione sull’in-contro con María de Briceño nel capitolo terzo (Teresa è poco più che sedicenne): «Cominciando, così, a gustare la buona e santa compagnia di questa monaca, godevo di sentirla parlare così bene di Dio, perché era una grande santa, molto saggia; credo che la gioia di ascoltare tali discorsi non mi sia mai venuta meno. Prese a raccontarmi come ella fosse giunta a farsi monaca soltanto per aver letto ciò che dice il Vangelo: Molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti» (V 3,1).

Poco oltre, al paragrafo n. 5, riconosce: «Anche se i giorni in cui mi trattenni lì furono pochi, in virtù di quanto operavano nel mio cuore le parole di Dio, lette o ascoltate, e la buona compagnia, riuscii man mano a capire la verità delle cose che mi colpivano da bambina, cioè il nulla del tutto, la vanità del mondo, la brevità della vita, e a temere, se fossi morta, di andare a finire nell’inferno». A parte l’ingenuità delle motivazioni e un certo timore servile, appare chiara la portata teologica di questo brano: l’iniziativa di Dio nel parlare, l’efficacia stessa della Parola ascoltata e il bisogno di una “buona compagnia”, cioè di qualcuno che le parli le parole divine passate attraverso il filtro dell’esperienza. L’esperienza è la chiave ermeneutica anche del suo confronto personale con la Parola di Dio. Quando racconta la conversione, nel capitolo nono, è l’esperienza di Maria Maddalena più che una singola parola del vangelo il termine di confronto.

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Un’altra conversione importante le serve per parlare di sé. Leggendo le Confessioni di sant’Agostino, a Teresa sembra quasi di vedersi rispecchiata in quell’esperienza raccontata. È la simpa-tia (nel senso etimologico del termine) con Agostino, è la condi-visione dell’esperienza che le permette di avere un criterio di verità della propria esperienza21. Già nei capitoli precedenti altre letture erano state importanti per il cammino spirituale dell’ado-lescente e della giovane: si notino semplicemente il ricordo vivo della lettura di vite di santi nell’infanzia (cap. 1), l’importanza della lettura nella solitudine di Hortigosa e di Castellanos de la Cañada (cap. 4) e l’accenno ai Moralia di san Gregorio Magno nel cap. 5.

In un’epoca in cui per una monaca di clausura risulta estre-mamente difficile accedere direttamente al testo biblico, anche la predicazione è una mediazione importante per il contatto con la Parola. Santa Teresa si sofferma spesso sui predicatori del suo tempo, nei confronti dei quali ha giudizi particolarmente severi. Afferma senza mezzi termini di non ricavarne alcun vantaggio (cf V 8,12), soprattutto perché hanno troppa prudenza umana e non bruciano del fuoco dell’amore e dell’esperienza (cf V 16,7). È una conferma ulteriore dell’importanza e del ruolo dell’espe-rienza per la mistica di Avila: avere o non aver sperimentato di persona la realtà di cui si parla è criterio ermeneutico discrimi-nante.

Tecniche narrative al servizio della finalità

Teresa, dunque, racconta soprattutto ciò che ha sperimen-tato personalmente. Della propria esperienza, mentre scrive, ha una coscienza nuova, e soprattutto sa che quanto comunica

21 È lo stesso processo che porterà Edith Stein a scoprire la verità contenuta nell’autobiografia teresiana.

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può diventare paradigmatico anche per il lettore potenziale. È interessante notare come le tecniche narrative utilizzate siano al servizio di tale enfatizzazione del contenuto esperienziale. Ci limitiamo a segnalare le principali tecniche.

Uso del paradosso

Il linguaggio mistico ricorre spesso al paradosso, all’ossi-moro, alle possibilità estreme che la lingua consente, perché tali artifici retorici sono quelli che garantiscono il maggior grado di approssimazione possibile nel tentativo di dire l’indicibile. Più del linguaggio apofatico, è il linguaggio paradossale il vero stru-mento a disposizione del mistico: se il primo esprime la rinuncia a parlare di Dio, nella consapevolezza che il silenzio è la parola più adatta a dire il mistero, il secondo riesce a dire una parola su Dio, pur salvaguardando la trascendenza del mistero22.

L’opera teresiana è colma di esempi simili, anche al livello più elementare: «Me ne estasiavo a tal punto che, se non avevo un libro nuovo, non mi sembrava di avere alcuna gioia» (V 2,1). Il fenomeno diviene più significativo quando vibrano le corde affettive dell’esperienza vissuta, come nel caso del racconto della propria vocazione:

Nel tempo in cui maturavo queste decisioni, avevo persuaso un mio fratello a farsi religioso, parlandogli della vanità del mondo, ed entrambi ci accordammo d’andare un giorno, di buon mattino, al monastero dove stava quella mia amica che io amavo molto. Riguardo a quest’ultima determinazione, mi sentivo così decisa che sarei andata in qualunque monastero ove pensassi di servire meglio Dio o dove mio

22 Per un approfondimento teorico del tema e un’esemplificazione pratica, limitatamente alla narrativa veterotestamentaria, ci permettiamo di rinviare a r. Fornara, La visione contraddetta. La dialettica fra visibilità e non-visibilità divina nella Bibbia ebraica, An Bib 155, Pontificio Istituto Biblico, Roma 2004.

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padre l’avesse voluto, perché ormai non davo alcuna importanza al mio benessere, ma miravo soprattutto alla salvezza della mia anima. Ricordo bene, a dire il vero, che quando uscii dalla casa di mio padre, provai tanto dolore che non credo di sentirlo maggiore in punto di morte: mi sembrava che tutte le ossa mi si slogassero (cada hueso se me apartaba por sí) (V 4,1).

Certe espressioni sembrano esagerazioni o generalizzazio-ni improprie a un lettore superficiale: «Sembra, mio Dio, che io non facessi altro se non promettervi di non mantener nulla di ciò che vi avevo promesso, anche se allora non era questa la mia intenzione» (V 4,3). Non è affatto così. L’espressione para-dossale (Teresa promette di non mantenere alcuna promessa) si comprende alla luce di un duplice punto di vista: quello della giovinezza che vive l’esperienza e quello della maturità che la rilegge e la racconta23. Sulla base di un’altra esperienza, quella della conversione, la santa può dare un giudizio di valore sulla prima esperienza, che appare ora quasi come tempo sprecato, tanto da non meritare alcuna giustificazione (cf 4,4). L’esperienza giovanile si comprende meglio grazie all’esperienza della matu-rità, e la possibilità di raccontarla offre l’occasione di approfon-dirla, di chiarirla meglio a se stessa, pervenendo – tra l’altro – a una nuova coscienza di peccato (quantitativamente più profonda e qualitativamente più legata al piano relazionale)24.

Uso del superlativo

Strettamente connessa alla precedente è la tecnica del ricorso frequente ai superlativi e alle espressioni di totalità. Sarà

23 Tutto il racconto dell’esperienza vissuta ha il sapore di questo giudi-zio a posteriori: «mi sembra che» (1,7); «ora vedo» (2,2); ecc.

24 Sul linguaggio paradossale e sull’accentuazione degli estremi si veda-no, ad esempio, anche V 2,3; 2,4; 2,9; 3,3; 4,4.

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sufficiente riferirsi, a titolo esemplificativo, al capitolo ottavo, dedicato all’orazione quale chiave di volta della sua vita25. L’ora-zione è per Teresa un tratar, un parlare, un ascoltare, un relazio-narsi, un’esperienza affettiva intensa (la si confronti con gli altri tratos dei capitoli precedenti).

La traiettoria del capitolo parte dall’esperienza personale per arrivare a un messaggio valido universalmente: è la signifi-catività di un’esperienza particolare che diventa parenesi univer-sale. Da questo punto di vista, è significativo già nel titolo del capitolo l’uso di superlativi e di espressioni di totalità: «Tratta del grande bene che le fece non allontanarsi completamente (del todo) dall’orazione, per non perdere del tutto la sua anima, e di quale valido (excelente) aiuto essa sia per riconquistare ciò che si è perdu-to. Esorta (Persuade) tutti a praticarla. Dice quanto giovi (como es tan gran ganancia) e come, anche se si torni a lasciarla, sia una grande fortuna servirsi per qualche tempo di un così prezioso bene».

Tutte le espressioni in corsivo hanno un’evidente funzio-ne retorica, ma anche pragmatica. Quanto più l’esperienza personale è profonda, vera, autentica, bella, “superlativa”, tanto più obbedisce alla sua funzione di engolosinar, di attrarre, sedur-re, convincere. Solo l’esperienza autentica possiede una forza “superlativa” di attrazione. L’essersi arresa a Cristo, abbando-nandosi docilmente a lui, è l’arma che permette a Teresa di esse-re veramente contagiosa (e la capacità di rileggere con questa chiave di lettura anche l’esperienza precedente è un valore aggiunto): Teresa con-vinta diviene con-vincente.

D’altra parte, non si può dimenticare che il discorso misti-co della santa di Avila parte da una condizione di assoluta pover-tà di parola: chi scrive è donna, figlia della società e della cultu-ra abulense del XVI secolo, carente di formazione letteraria e

25 Sulla struttura e l’ermeneutica di questo capitolo, cf t. álvarez, Comentarios a las Obras de santa Teresa, cit., 54ss.

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teologica, impossibilitata per le contingenze storiche ad accedere direttamente alla lettura e allo studio di molti testi che le sareb-bero necessari per il suo discorso26. Questa apparente povertà, anziché rivelarsi un limite, si risolve in una possibilità ulteriore: Teresa, priva di mezzi culturali e di strumenti retorici, si affida al valore paradigmatico dell’esperienza.

Questo passaggio traspare particolarmente nel capitolo decimo, che funge da cerniera con la sezione seguente. In esso, introducendo il discorso sulla «teologia mistica» (creo lo llaman mística teología), la scrittrice preferisce chiamarla «las mercedes que la hace el Señor»27: al linguaggio razionale, arido e distaccato della scienza sostituisce il linguaggio affettivo, coinvolgente e persona-le dell’esperienza.

Memoria dei sentimenti e delle emozioni

Il racconto dell’esperienza non è un resoconto analitico freddo e distaccato, ma la coscienza del proprio coinvolgimento in quell’esperienza. Teresa non tace le reazioni prodotte in lei dagli incontri, dalle letture, dalle prese di coscienza, dagli even-ti vissuti. La memoria dei sentimenti e delle emozioni rende il racconto più vivo, più personale e coinvolgente. Perciò riteniamo più utile lasciare spazio alla narrazione teresiana, anziché dilun-garci in tentativi di sintesi.

26 Cf t. eGido, «Santa Teresa e la sua condizione di donna», in a. barrientoS (a cura di), Introduzione alla lettura di santa Teresa di Gesù. Ambiente storico e letteratura teresiana, Edizioni OCD, Roma 2004, 81-97.

27 L’espressione, con leggere varianti, ricorre ben tre volte nel titolo del capitolo: «Comincia a esporre le grazie che il Signore le concedeva nell’orazione e ciò a cui possiamo contribuire con i nostri sforzi; sottolinea, inoltre, quanto sia importante conoscere le grazie che il Signore ci fa. Supplica colui al quale invia questo scritto di mantenere segreto quanto scriverà da qui in avanti, visto che le hanno ordinato di descrivere così minutamente le grazie ricevute dal Signore».

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Scegliamo a questo proposito alcune porzioni significative del capitolo 4 (precedute dal relativo numero di paragrafo), che riteniamo paradigmatico al riguardo, evidenziando le espressioni maggiormente utili a comunicare il vissuto emozionale di Teresa.

1. Riguardo a quest’ultima determinazione, mi sentivo così decisa che sarei andata in qualunque monastero ove pensassi di servire meglio Dio o dove mio padre l’avesse voluto, perché ormai non davo alcuna importanza al mio benessere, ma miravo soprattutto alla salvezza della mia anima. Ricordo bene, a dire il vero, che quando uscii dalla casa di mio padre, provai tanto dolore che non credo di sentirlo maggiore in punto di morte: mi sembrava che tutte le ossa mi si slogassero.

2. Subito fui così felice d’aver abbracciato la vita monastica, che tale gioia non mi è mai venuta meno fino ad oggi, perché Dio cambiò l’aridità della mia anima in grandissima tenerezza. Mi davano molta gioia tutte le pratiche della vita religiosa; è bensì vero che a volte mi accadeva di spazzare in ore che prima ero solita occupare nel fare sfoggio di ornamenti, ma appunto ricordandomi che ero ormai libera da tutto ciò, provavo una gioia sconosciuta tale che me ne stupivo e non riuscivo a capire da dove provenisse. Quando ripenso a questo, non c’è cosa che mi si possa presentare, per quanto difficile sia, che esiterei ad affrontare.

3. Non so come proseguire, quando ricordo la cerimonia della mia professione, l’estrema decisione e la gioia con cui la celebrai e lo sposalizio che contrassi con voi. Non posso dirlo senza lacrime, e dovrebbero essere lacrime di sangue, e il cuore mi si dovrebbe spezzare, né sarebbe troppo dolore di fronte alle offese che in seguito vi recai. E, in verità, molte volte il dolore per le mie grandi colpe è temperato dalla gioia che mi dà il pensiero che si possa conoscere la vostra infinita misericordia.

5. Il cambiamento di vita e di cibi mi fece male alla salute, e anche se la mia gioia era molta, ciò non fu una sufficiente difesa. Cominciarono ad aumentare gli svenimenti, e fui colta da un così violento mal di cuore da fare spavento a chi assisteva agli attacchi, con l’aggiunta di molti altri mali.

6. Rimasi lì quasi un anno, e per tre mesi soffrendo enormi tormenti a causa delle cure cui venni sottoposta, cure così forti che io non so come riuscii a sopportarle.

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7. Poiché il Signore mi aveva ormai dato il dono delle lacrime e mi piaceva leggere, cominciai a raccogliermi un po’ in solitudine, a confessarmi spesso, e a indirizzarmi per quel cammino. È vero che l’orazione di unione durava ben poco, non so se appena un’Ave Maria, ma ne resta-vano in me così grandi effetti che, pur non avendo in quel tempo neppure vent’anni, mi sembrava di tenere il mondo sotto i piedi.

9. In tutto questo tempo, a meno che non fosse dopo la comunione, io non osavo mai cominciare l’orazione senza un libro, giacché la mia anima temeva di farlo priva di tale aiuto, come se dovesse combattere contro molti nemici esterni. Con questo rimedio, che era come una compagnia o uno scudo in cui avrei ricevuto i colpi dei molti importu-ni pensieri, mi sentivo rincuorata, perché l’aridità non era il mio stato ordinario, ma sopravveniva sempre quando mi mancava un libro. Allora, l’anima restava subito sconvolta e i pensieri si disperdevano: con la lettura li raccoglie-vo di nuovo e mi sentivo l’anima come accarezzata.

10. Molte volte, pensando, piena di ammirazione, alla infinita bontà di Dio, la mia anima si dilettava di vedere la sua magnificenza e misericordia.

Caratteristiche principali

Individuate le tecniche narrative più strettamente connes-se con il racconto dell’esperienza personale di santa Teresa, è possibile riscontrare nella lettura dei primi dieci capitoli anche le caratteristiche principali che la narrazione riveste28.

Ricerca delle motivazioni

Una prima constatazione si impone: il racconto non è semplicemente una concatenazione di eventi osservati da una spettatrice distaccata; esso diventa piuttosto l’occasione di un’a-nalisi introspettiva che getta una luce particolare sul vissuto. In questa analisi si nota un tentativo di andare in profondità alla ricer-

28 L’elenco che segue è da considerarsi puramente esemplificativo.

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ca delle motivazioni dell’agire. Si potrebbe dire che la narrazione – anziché essere un racconto degli avvenimenti – è piuttosto un “racconto del cuore” di Teresa (ovviamente intendendo “cuore” nell’accezione biblica e non con connotazioni sentimentalistiche):

Se mi fosse concesso dar consigli, direi ai genitori di fare molta atten-zione, in questa età, alle persone che trattano con i loro figli, perché è un momento assai pericoloso, in cui la nostra natura è più portata al peggio che al meglio. Così accadde a me che avevo una sorella molto più grande di età, dalla cui bontà e onestà – che era molta – non impa-ravo nulla, mentre appresi tutto il male possibile da una parente che frequentava assiduamente la nostra casa. Era di un comportamento così leggero che mia madre aveva fatto di tutto per allontanarla, quasi presagisse il male che doveva venirmi da lei, ma disponeva di tante occasioni per introdursi da noi, che non v’era potuta riuscire. Affezio-natami a questa parente, con lei si svolgevano la mia conversazione e le mie chiacchiere, perché non solo mi assecondava in tutti i passatem-pi che io desideravo, ma mi ci spingeva lei stessa, mettendomi anche a parte delle sue relazioni e vanità. Fino a quando cominciai a trattar-la, che fu all’età di quattordici anni, o forse anche di più (voglio dire quando strinse con me tale amicizia che mi rese partecipe delle sue confidenze), non mi sembra che io avessi mai abbandonato il Signore per grave colpa, né perduto il timor di Dio, benché fosse più forte in me quello di mancare all’onore. Ciò, in verità, ebbe il potere di non farmi perdere del tutto l’onore, né mi sembra che in questo per nessu-na cosa al mondo avrei potuto cambiare, né che ci fosse alcun amore umano che potesse indurmi a capitolare. Magari avessi avuto tanta forza per non andare contro l’onore di Dio quanta me ne dava il mio istinto per non perdere quello che credevo fosse l’onore del mondo! E non consideravo che lo perdevo per molte altre vie (V 2,3)29.

Chiarezza sulle finalità

Un altro elemento che caratterizza soggettivamente la narrazione teresiana è la sorprendente chiarezza e lucidità che

29 Cf inoltre V 3,2.

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l’autrice dimostra riguardo alle finalità del proprio raccontare se stessa. Senza dilungarci inutilmente, basterà riferirci al seguente testo (già citato) di V 4,3 per averne un esempio significativo: «Sembra, mio Dio, che io non facessi altro se non promettervi di non mantener nulla di ciò che vi avevo promesso, anche se allora non era questa la mia intenzione; ma le mie azioni erano poi tali che non so più quali fossero le mie intenzioni, e da questo si vede meglio chi siete voi, mio Sposo, e chi sono io».

«Da questo si vede meglio chi siete voi, mio Sposo, e chi sono io». Chi è familiarizzato minimamente con la dottrina tere-siana sa quanto simili espressioni siano importanti, anche per la pedagogia dell’orazione. Ci si potrebbe chiedere se sia più opportuno parlare di “finalità del racconto” o non piuttosto di “conseguenze” del racconto, nel senso che Teresa, riprendendo in mano il proprio vissuto, “impara” a conoscere meglio Dio e se stessa. A partire, poi, dalla “scuola dell’esperienza”, nel momen-to di riformularla e trasmetterla ad altri è ben cosciente delle finalità per cui scrive, in modo particolare far conoscere il volto di Dio. E il vero volto di Dio emerge soltanto dall’umanità di chi lo ha sperimentato.

Coscienza della dinamica progressiva del bene e del male

Tra gli effetti della rilettura esperienziale va annoverata, nella maturità di chi scrive, la coscienza della gradualità del cammino umano e spirituale, tanto nei suoi aspetti positivi, quanto in quelli negativi.

In V 2,2 la carmelitana racconta in questi termini alcune tappe del suo percorso adolescenziale:

Cominciai a portare abiti di lusso e a desiderare di piacere, cercando di far bella figura; a curare molto le mani e i capelli, a usare profumi e a far ricorso a tutte le possibili vanità, che erano molte, essendo io molto raffinata. Non avevo cattiva intenzione, perché non avrei voluto che mai nessuno offendesse Dio per causa mia. Ebbi per molti anni esagerata

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cura della mia persona e di altre ricercatezze nelle quali non scorgevo alcuna colpa. Ora so quanto nocive dovevano essere.

Il cedimento alla vanità implica un «cominciare» a indul-gere a certi moti, che si traducono in atteggiamenti esterni, «per molti anni». Se queste inclinazioni hanno un inizio, anche il processo di conversione conosce un punto di partenza e un dina-mismo graduale: «la mia anima cominciò a riprendere le buone abitudini della mia prima età» (V 2,8).

L’inizio del capitolo 3, poi, si presenta come una vera e propria litania ritmata dal verbo «cominciare»:

Cominciando, così, a gustare la buona e santa compagnia di questa monaca, godevo di sentirla parlare così bene di Dio, perché era una grande santa, molto saggia; credo che la gioia di ascoltare tali discorsi non mi sia mai venuta meno. Prese a raccontarmi (comenzóme a contar) come ella fosse giunta a farsi monaca soltanto per aver letto ciò che dice il Vangelo (…). Questa buona compagnia cominciò a sradicare da me le abitudini create dalle cattive compagnie, a ricondurre il mio pensiero a desideri di cose eterne e ad annullare in parte la grande avversione che avevo per la vita del chiostro, divenuta, anzi, grandissi-ma. (…) Stetti un anno e mezzo in questo monastero, migliorandomi molto. Cominciai a recitare non poche orazioni vocali (V 3,1-2).

Il punto di approdo è la presa di coscienza, che nel testo originale spagnolo manifesta ancora un carattere dinamico e di gradualità: vine a ir entendiendo la verdad de cuando niña (V 3,5). Se questo è un punto di arrivo, è però in realtà un nuovo punto di partenza, perché lo scopo e la dimensione costante di chi ama Dio è una crescita quotidiana, di bene in meglio: ir creciendo en su servicio (V 4,2)30.

30 Cf anche, fra i numerosi esempi possibili: V 3,6; 4,4; 4,7.

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Il racconto diventa occasione di riflessione sapienziale e/o di preghiera

Un’altra caratteristica consiste nel fatto che il racconto conosce diverse interruzioni, fondamentalmente di due tipi. Da una parte, Teresa si sofferma a meditare sul proprio vissuto o a ricavarne insegnamenti validi universalmente. Dall’altra (come viene abitualmente notato dai commentatori), la santa inter-rompe il filo della narrazione, per rivolgersi direttamente a Dio, generalmente per ringraziare o per lodare. In entrambi i casi, il racconto dell’esperienza appare come la base che permette la riflessione sapienziale o la preghiera31.

Sono molte le parentesi riflessive che partono dall’espe-rienza personale per diventare criterio generale di discernimen-to; ad esempio: «Alle persone che si trovano in questa condi-zione è necessaria una maggiore purezza di coscienza che non a quelle capaci di usare l’intelletto» (V 4,8). Le parentesi oranti sono ancor più numerose.

Talvolta – come nel caso della digressione di V 2,7 – i due generi letterari appaiono uniti:

Oh, mio Dio, quale danno reca al mondo non dare a questa riflessione la dovuta importanza e pensare che possa rimanere segreta una cosa che sia contro di voi! Sono sicura che si eviterebbero grandi mali se si capisse che quel che importa non è il guardarci dagli uomini, ma il guardarci dal dispiacere a voi.

31 Non parliamo qui del racconto dell’esperienza come “luogo teolo-gico” in senso proprio, ma intendiamo comunque sottolinearne l’importan-za e la significatività, come condizione che rende possibile la riflessione e la preghiera. Le numerose parentesi oranti, che apparentemente interrompo-no e disturbano la linearità del discorso, in realtà lo indirizzano verso il suo centro, se consideriamo l’aggettivo teologico non solo quale discorso su Dio, ma anche quale apertura a Dio, riconducendo a lui tutto il vissuto.

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Corollari teologici del racconto dell’esperienza

Uno dei primi, evidenti caratteri del racconto teresiano è la coscienza del primato e della grazia di Dio32. Costretta a raccontare il proprio vissuto, fosse anche la storia travagliata della propria vocazione, Teresa non lascia trasparire la risposta, ma la chiamata. È ben cosciente del primato dell’agire di Dio, che sta alle porte e bussa anche quando – è il caso degli eventi narrati nei primi dieci capitoli – la coscienza del soggetto umano è ancora assopita. Basterebbe leggere il titolo del primo capitolo per rendersene conto: «…come il Signore cominciò a indirizzare la sua anima alla virtù fin dall’infanzia». Ricordiamo che i primi dieci capitoli narrano gli eventi antecedenti la conversione riletti e raccontati da una convertita. E la conversione, quale traspare nel nono capitolo, significa non porre più fiducia in se stessi, ma nell’agire di Dio a cui ci si abbandona: «avevo perduto ogni fidu-cia in me e confidavo unicamente in Dio» (V 9,3).

Il racconto dell’esperienza nella maturità della fede le permette di scorgere un filo conduttore (la Provvidenza di Dio), prima invisibile. Questa rilettura di fede la porta, ad esempio, a guardare positivamente eventi negativi, quali la decisione paterna di rinchiuderla in collegio («…i primi otto giorni soffrii molto…: V 2,8). Non solo, ma Teresa riesce a riconoscere l’agire di Dio quale causa prima e ad accorgersi anche della tenerez-za paterna nelle modalità con cui la decisione unilaterale venne resa operativa. Allo stesso modo, è sempre il Signore che provve-de a non farle trovare esito alle sue ricerche (cf V 4,9).

La coscienza del primato dell’iniziativa divina è quasi un ritornello costante del racconto: «Godevamo di ripetere molte volte: sempre, sempre, sempre! Nel pronunciare a lungo tale parola, piacque al Signore che mi restasse impresso nell’anima,

32 Cf t. álvarez, Comentarios a las Obras de santa Teresa, cit., 10.

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fin dall’infanzia, il cammino della verità» (V 1,4); «ora mi sento piena di devozione pensando come Dio mi avesse concesso così presto ciò che ebbi poi a perdere per colpa mia» (1,6); «Oh, mio Signore!, poiché sembra che abbiate deciso che io mi salvi, piac-cia alla Maestà Vostra che sia così; ma, avendomi elargito tante grazie come avete fatto, perché non ritenete conveniente – non per mio profitto, ma per vostra gloria – che non si macchiasse tanto la casa in cui di continuo dovevate dimorare? Mi affligge, Signore, anche dire ciò, perché so che la colpa fu tutta mia, in quanto non mi sembra, in realtà, che abbiate tralasciato di far nulla affinché io, fin da questa età, fossi totalmente vostra» (1,8); «Me ne liberò Dio [dai pericoli] in modo che si vide bene come si adoperasse contro la mia volontà perché non mi perdessi del tutto» (2,6); «Mi sembra che Sua Maestà andasse pensando e ripensando (andaba… mirando y remirando) per quale via potesse volgermi a sé» (2,8); «Nel frattempo, sebbene io non trascuras-si di prendere le mie medicine, il Signore, il cui vivo desiderio (andaba más ganoso…) di dispormi allo stato che più a me si conve-niva aveva più potere d’ogni medicina, mi mandò una così grave malattia che dovetti tornare a casa di mio padre» (3,3); «Oh, Dio mio! per quali vie Sua Maestà mi andava disponendo allo stato in cui desiderava servirsi di me, tali che, senza che io volessi, mi costrinse a vincere me stessa33! Sia benedetto per sempre!» (3,4).

33 Me forzó a que me hiciese fuerza. Nei capitoli 3 e 4 ricorre una dozzina di volte la parola “determinazione”. Vocazione e orazione non riguardano il sentimento, ma la capacità di lottare e di decidere. L’espressione parallela (me andaba… disponiendo), usata qui a proposito di Teresa, è utilizzata nel contesto anche a proposito dello zio paterno: è l’immagine di un Dio che dispone persone ed eventi per il suo progetto di salvezza. Testi come V 4,1 (a propo-sito del racconto della vocazione) sembrano un commento esperienziale alle parole di Gesù («senza di me non potete far nulla»): «Quando uscii dalla casa di mio padre, provai tanto dolore che non credo di sentirlo maggiore in punto di morte: mi sembrava che tutte le ossa mi si slogassero perché, non avendo ancora raggiunto un amor di Dio capace di rimuovermi dall’amore del padre

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Il testo forse più significativo da questo punto di vista è quello dei paragrafi conclusivi del capitolo 4, che vale la pena di riportare per intero:

Molte volte, pensando, piena di ammirazione, alla infinita bontà di Dio (espantada de la gran bondad de Dios), la mia anima si dilettava di vedere la sua magnificenza e misericordia. Sia egli sempre benedet-to, avendo io costatato chiaramente che non tralascia di premiare, anche in questa vita, ogni mio buon desiderio. Per quanto meschi-ne e imperfette fossero le mie opere, questo mio Signore le andava migliorando, perfezionando e avvalorando, e subito occultava colpe e peccati. Permette anche, Sua Maestà, che si accechino coloro che me li hanno visti commettere e glieli toglie dalla memoria; indora le colpe; fa risplendere una virtù che egli stesso pone in me, quasi costrin-gendomi (casi haciéndome fuerza) a mantenerla. Ma voglio ritornare a quanto mi è stato comandato di scrivere, tanto più che, se volessi dire minutamente come il Signore agiva con me in quest’inizio, sarebbe necessaria un’intelligenza ben diversa dalla mia per esaltare ciò che gli devo a tale riguardo e mettere in evidenza la mia profonda indegnità e ingratitudine nell’averlo dimenticato completamente. Sia egli sempre benedetto per avermi tanto sopportata! Amen (4,10-11).

Il volto di Dio che emerge qui passa attraverso una forte connotazione simbolica, orientata a mettere in luce la Provviden-za e la misericordia divina: fra le metafore più originali, certa-mente vi è quella di un Dio “indoratore” che, oltre alla poten-za dell’amore divino espressa nella storia personale di salvezza, mette in risalto anche la bellezza e la ricchezza di tale storia.

e dei parenti, dovevo far solo ricorso a una forza così grande che, se il Signore non mi avesse aiutato, le mie considerazioni non sarebbero bastate a farmi andare avanti. In quel momento egli mi diede forza per vincere me stessa (aquí me dio ánimo contra mí) in modo che potei realizzare il mio progetto».

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Conclusione

Pur fermandoci a rapidi cenni esemplificativi e pur limitan-do la nostra analisi a una porzione limitata del testo teresiano, è apparso chiaro che Teresa parla solo per esperienza, come affer-ma lei stessa in più di un’occasione: «Posso dire soltanto quel-lo di cui ho fatto esperienza» (8,5); «…lo dico perché lo so per esperienza» (11,13); «Non dirò nulla che non abbia lungamente sperimentato (que no la haya experimentado mucho)» (18,8); «Quello che io so e ho visto per esperienza…» (20,23). E l’esperienza è per lei qualcosa di «impresso» (cf 1,5; 7,6; 20,7; 26,6; 28,9; 37,4; 38,4), «impresso nel cuore» (cf 22,7.14) o «nell’anima» (cf 23,16; 40,4.9). È qualcosa di viscerale: imprimido en las entrañas. Oppure qualcosa che «rimane scolpito» (cf 40,3), «scolpito nell’intellet-to» (27,5) o «nell’immaginazione» (38,17).

Leggiamo al capitolo 40, nella relazione dell’esperienza di Cristo-Verità: «Intesi altissime verità circa questa verità, meglio che se me l’avessero insegnato molti dotti. Non credo, infatti, che costoro in nessun modo avrebbero potuto imprimermele così profondamente nell’anima, né darmi una così chiara convinzione della vanità di questo mondo» (40,4).

Ha letto libri di mistica, ma non li ha capiti. Uno dei suoi problemi è come mai i libri ne parlino così poco e chi li legge né capisce né è toccato sul vivo34. Una cosa è capire dai libri, altra vedere con l’esperienza: «Siccome io ho sofferto molto, mi fa pena chi comincia a darsi all’orazione solo con l’aiuto di libri, essendo incredibile quanto sia diverso quello che si capisce dai libri da quello che poi si vede con l’esperienza (de lo que después de experimentado se ve)» (V 13,12).

34 Cf T. álvarez, «Santa Teresa di Gesù mistica», in Vita cristiana ed esperienza mistica, Roma 1982, 209.

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La grazia di comprendere e contemporaneamente di comunicare l’esperienza diventa un mezzo per conoscere meglio Dio e amarlo di più35.

È abbastanza comune considerare l’esperienza come luogo teologico, ma è possibile spingersi oltre? È possibile, cioè, affermare che anche il racconto è un ulteriore luogo teologico? Forse una risposta si trova in V 14,8: se il Signore dà la grazia, è facile comunicare l’esperienza; se no è peggio che parlare in arabo.

Vorrei che m’aiutasse lui, perché quando il Signore ispira (da espíritu), si scrive più facilmente e con maggior chiarezza, come se si avesse davanti un modello e si dovesse far solo il lavoro di ricopiarlo. Ma se manca l’ispirazione, adattare un linguaggio a queste cose è più difficile che l’esprimersi in arabo, per così dire, anche se si sia praticata per molti anni l’orazione.

Il racconto dell’esperienza è un luogo teologico perché non è Teresa a parlare, ma Dio parla attraverso di lei. Se possi-bile, oseremmo dire che parla doppiamente: dapprima nella vita di Teresa, guidandola col suo Spirito; successivamente ispiran-done il linguaggio. È lui che – mediante lo stesso Spirito – dona la comprensione del vissuto e la capacità di comunicarlo con semplicità e verità. Il racconto dell’esperienza è un lenguaje de espíritu: Teresa di Gesù vede chiaramente che non è lei a parlare.

Se per Edvard Punda «l’esperienza mistica è quel locus dove il Mistero diventa vissuto»36, il racconto è un locus ulteriore in cui quel Mistero viene ri-vissuto (ampliandolo) e rivelato, per engolosinar le anime.

Teresa sa esprimere con «nuove parole» l’esperienza della fede. A differenza di un teologo non elabora tale esperienza

35 Cf e. punda, La fede in Teresa d’Avila, cit., 75.36 Ibid., 81.

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attraverso un metodo e un linguaggio tecnico. «In tal modo – scrive Otger Steggink – dimostra che l’esperienza mistica può essere anche l’istanza critica della teologia»37.

Il linguaggio mistico della santa di Avila non è una tecni-ca, ma l’atto che permette di interpretare e di custodire l’espe-rienza. Mentre scrive, la mistica manifesta più volte l’esigenza e la coscienza di estar en ello, cioè di rivivere, di essere presente a ciò che descrive, ma con una coscienza nuova, sotto la guida dello Spirito. Se nei suoi scritti c’è la sua anima, è attraverso i suoi scritti che la possiamo raggiungere. Se è lo Spirito di Dio a nutrire la sua esperienza, a illuminarle la mente e il cuore per comprenderla, a ispirarla nell’atto di scrivere, dobbiamo acco-gliere il racconto della sua esperienza come un vero e proprio luogo teologico.

37 «De este modo ella demuestra que la experiencia mística puede ser también la instancia crítica de la teología». Cf la «Introducción» di O. Steg-gink all’edizione del Libro de la Vida, Castalia, Madrid 1986, 37-39 (la cita-zione riportata è a pag. 39). Steggink ritiene il libro un dialogo costante fra esperienza e teologia. Nella sua teologia, secondo Punda, viene superato il divorzio tra esperienza e riflessione mediante la confessio fidei, testimonianza e mistagogia (cf e. punda, La fede in Teresa d’Avila, cit., 80).