In ricordo di Madre Teresa di Calcutta -...

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In ricordo di Madre Teresa di Calcutta Madre Teresa chiedeva a Dio che "i poveri fossero la sua Comunità e la loro sicurezza fosse la sua; la loro salute la sua salute, la sua casa fosse la casa di quelli che tra i poveri sono i più poveri". - Così visse povera fra i poveri, fino all'estrema rinuncia di sé per amore loro. Mons, Angelo Comastri + Arcivescovo di Loreto Il segreto di una vita BIOGRAFIA Le Missionarie della Carità Una vita copiata dal Vangelo Io la ricordo così Teresa, mistica per eccellenza Madre teresa, una santa dei nostri giorni Madre Teresa di Calcutta di Dominique Lapierre Il suo sari bianco era sempre accanto ai malati Articolo scritto da Dominique Lapierre per la beatificazione di Madre Teresa di Calcutta (Piazza San Pietro 19 ottobre 2003) Il segreto di una vita Negli Archivi Vaticani esiste una cartellina invecchiata dal tempo: è la pratica 3650/48, diocesi di Calcutta. Dentro la cartella sono conservati tre foglietti scritti a mano; sono indirizzati al Cardinale Prefetto della Congregazione dei Religiosi e sono stati spediti da Calcutta il 7 febbraio 1948. In questi fogli c'è il segreto della vita di Madre Teresa di Calcutta. Ella scrive così: "... Chiedo che mi sia concesso di servire gli Indiani poveri vivendo come loro. Per questo mi è impossibile rimanere nell'Istituto dove sono entrata nell'ottobre 1928 e dove ho emesso i primi voti.Con tutta sincerità, credo di non possedere nessun merito specifico. Resta per me un mistero che Dio mi mandi questa Pagina 1 di 15 15/01/2011 http://www.parrocchie.it/calenzano/santamariadellegrazie/MadreTeresadiCalcutta.htm

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In ricordo di

Madre Teresa di Calcutta

Madre Teresa chiedeva a Dio che "i poveri fossero la sua Comunità e la loro sicurezza fosse la sua; la loro salute la sua salute, la sua casa fosse la casa di quelli che tra i poveri sono i più poveri". - Così visse povera fra i poveri, fino all'estrema rinuncia di sé per amore loro.   Mons, Angelo Comastri + Arcivescovo di Loreto  

Il segreto di una vita BIOGRAFIA Le Missionarie della Carità Una vita copiata dal Vangelo Io la ricordo così Teresa, mistica per eccellenza Madre teresa, una santa dei nostri giorni Madre Teresa di Calcutta di Dominique Lapierre Il suo sari bianco era sempre accanto ai malati Articolo scritto da Dominique Lapierre per la beatificazione di Madre Teresa di Calcutta (Piazza San Pietro 19 ottobre 2003)

Il segreto di una vita     Negli Archivi Vaticani esiste una cartellina invecchiata dal tempo: è la pratica 3650/48, diocesi di Calcutta. Dentro la cartella sono conservati tre foglietti scritti a mano; sono indirizzati al Cardinale Prefetto della Congregazione dei Religiosi e sono stati spediti da Calcutta il 7 febbraio 1948. In questi fogli c'è il segreto della vita di Madre Teresa di Calcutta. Ella scrive così:  "... Chiedo che mi sia concesso di servire gli  Indiani poveri vivendo come loro. Per questo mi è impossibile rimanere nell'Istituto dove sono entrata nell'ottobre 1928 e dove ho emesso i primi voti.Con tutta sincerità, credo di non possedere nessun merito specifico. Resta per me un mistero che Dio mi mandi questa

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chiamata. Durante tutti gli anni che ho trascorsi nell'Istituto, io sono stata felicissima e piena di allegria. Perciò mi è doloroso lasciare le Suore di Loreto; ma devo compiere questo passo in nome di Dio che mi chiede' un radicale cambiamento di vita. Voglio fare la sua volontà a ogni costo e raccogliere intorno a me anime disposte a cercare i poveri. Sono milioni i poveri che vivono qui in India in condizioni abominevoli, lontani alla grazia di Dio e di Cristo. Io sono una semplice suora e non so come esprimermi, ma chiedo il Vostro aiuto per poter obbedire alla mia chiamata".   La vita di Madre Teresa - a questo punto è chiarissimo! - non segue una logica umana, ma segue una chiamata che viene dall'Alto: si può non credere a questo, si può non condividere la sua scelta, si può non capire !a sua logica, ma non si può imporre alla vita di Madre Teresa un'altra griglia di lettura.   Racconta lei stessa: "Nel 1946, mentre ero in treno, diretta a Darjeeling per fare gli Esercizi Spirituali, sentii una chiamata a rinunciare a tutto e a seguire Cristo nei sobborghi, per servire i poveri più poveri. Compresi che Dio desiderava qualcosa da me... Era necessario un tetto per raccogliere gli abbandonati. Mi misi in moto per cercarlo... Camminai, camminai ininterrottamente, fino a non poterne più. Allora compresi meglio fino a che punto di sfinimento devono arrivare i veri poveri, sempre in cerca di un po’  di cibo, di medicine, di tutto. Il ricordo della tranquillità materiale di cui godevo nel Convento mi si presento allora come una tentazione. Pregai con: "Dio mio, per libera scelta e per amor Tuo, desidero restare qui e fare quello che la Tua volontà esige da me. No, non tornerò indietro. La mia Comunità sono i poveri. La loro sicurezza è la mia. La loro salute è la mia salute. La mia casa è la casa dei poveri: non dei poveri, ma di quelli che tra i poveri sono i più poveri. Di quelli ai quali la gente cerca di non avvicinarsi per paura del contagio e dei sudiciume, perché sono coperti di microbi e di insetti. Di quelli che non vanno a pregare, perché non possono uscire di casa nudi. Che non mangiano più perché non hanno nemmeno più la forza di mangiare. Che cadono per le strade, sapendo che stanno per morire e accanto ai quali i vivi passano senza prestare loro attenzione. Di quelli che non piangono più, perché non hanno più lacrime. Degli intoccabili".   Questa fu la preghiera di Madre Teresa di Calcutta, all'inizio della sua missione. E alle sue Suore, come in un solenne testamento, fece quest'ultima raccomandazione: "La nostra Congregazione avrà una vita lunga quanto l'esistenza di questa vera povertà. Le istituzioni in cui la povertà si pratica con fedeltà non hanno da temere nessun declino. Perciò, dobbiamo considerarci particolarmente fortunate per aver l'opportunità di praticare questa meravigliosa povertà... Dio ci liberi dai Conventi riccamente ammobiliali, dove i poveri avrebbero riguardo di entrare per timore che la loro miseria possa costituire un disonore... ". Alla luce di queste parole, e facile intuire dove sta una delle radici della crisi della vita 'religiosa'!       Mons. Angelo Comastri + Arcivescovo di Loreto    

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  Quanto avete fatto ad ognuno dei

miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me.

  Gesù di Nazareth      

Vedo Gesù in ogni persona che tocco perché Egli ha detto: "Ero

nudo, ero malato, ero sofferente, ero senza casa e voi mi avete accudito".

  Madre Teresa di Calcutta

   

Madre Teresa, il cui vero nome era Agnese Gonxha Bojaxhiu, nacque il 26-08-1910 a Skopje, capitale del Kosovo. I suoi genitori, di origine albanese, godevano di una buona condizione economica. Agnese aveva una sorella ed un fratello maggiori; la sua famiglia, da lei descritta come unita e felice, era solita praticare la carità, con donazioni ed ospitalità di poveri in casa. Nel 1919 perse il padre. A 12 anni Agnese sente la prima chiamata alla vita consacrata, ma sono i 17 anni che vedono nascere in lei l’interesse per le missioni. Nel 1928, nel santuario di Crna Goria, sente di confermare la sua vocazione missionaria. Avverte subito sua madre, che si chiude per un giorno intero in una stanza, ma che poi la incoraggia; avverte il fratello, con una lettera inviatagli per congratularsi per la sua promozione a tenente: ella gli scrive: “tu servirai un re di due milioni di persone, io servirò il re del mondo intero”. Il 12 ottobre 1928 viene ammessa come postulante nell’abbazia Loretana di Rathfarnahm; è l’ultimo giorno in cui vede i suoi familiari, che l’avevano accompagnata. Rimane lì 6 settimane, durante le quali inizia a studiare l’inglese, che sarebbe diventata la sua lingua corrente. A dicembre parte per l’India, per arrivare a Calcutta il 6 gennaio 1929. Il 23 maggio viene vestita con l’abito religioso a Darjeeling, a 650 Km a nord di Calcutta. Per due anni continua a studiare l’inglese e inizia ad imparare il bengali e l’hindi. Il 25 maggio 1931, nel convento di Darjeeling, fa la sua prima professione di fede come suora di Loreto, acquisendo il nome di Suor Teresa, in onore della protettrice Santa Teresa di Lisieux. Viene dunque trasferita a Entally, presso Calcutta, per insegnare storia, geografia e catechesi in una scuola per orfani. Il 24 maggio 1937, sempre a Darjeeling, fa la professione finale di fede, assumendo il nome di Madre Teresa. Torna immediatamente ad insegnare alla piccola scuola di Calcutta, della quale diventa direttrice nel 1944. Il 9 settembre di due anni dopo, la Madre parte in treno da Calcutta per Darjeeling, dove si recava per un ritiro. Il giorno dopo, ancora in viaggio,

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riceve ciò che lei definirà “la chiamata dentro la chiamata”, cioè la vocazione che avrebbe dato vita alla famiglia delle “Missionarie della Carità”, l’ordine da lei istituito. Da allora il 10 settembre è festeggiato dalle Missionarie come il “Giorno dell’Ispirazione”. Inizia dunque l’attività della Madre, descritta nella sezione “Le Missionarie della Carità”. Nel marzo del 1950 la Madre fa richiesta di cittadinanza indiana, che le viene conferita il 14 dicembre 1951. Il 12 aprile prende i voti finali di Missionaria della Carità mentre il primo gruppo di novizie fa la prima professione di fede. Per anni lavorerà duramente per la sua fondazione d’origine e per l’istituzione di altre ancora, non solo come direttrice ma mettendo a completa disposizione dei poveri gran parte del suo tempo e delle sue forze fisiche. Il 2 giugno del 1983 la Madre cade dal letto. Provando ancora dolore dopo alcuni giorni, viene ricoverata per oltre un mese, perché dal controllo generale si evidenzia un serio rischio d’infarto. Nel settembre '89 si reca nel paese dei suoi genitori, l’Albania, su invito del Presidente, per valutare la possibilità dell’apertura di una casa delle Missionarie. Durante il soggiorno, la Madre lamenta forti dolori allo stomaco ed al cuore, a causa di problemi cardiaci. Le viene applicato un pacemaker. Durante il ricovero, pregava spesso Gesù di farla sentire bene in modo da permetterle di portare i messaggi di salvezza cristiani anche in Albania. Nel ’90, sempre per motivi di salute, sente la necessità di dimettersi dal ruolo di superiora generale delle Missionarie della Carità; il Papa accetta le dimissioni ad aprile, ma a settembre viene rieletta: lei accetta perché convinta che quella sia la volontà di Dio. Nel ’91, mentre si trova in visita in Messico, contrae una polmonite virale. Le viene praticata un’angioplastica per problemi cardiaci provocateli dalla malattia alle vie respiratorie. Ad agosto del ’93, a Nuova Delhi, la Madre si ammala nuovamente: ha febbre e vomito. Torna a Calcutta, dove i medici devono intervenire per l’occlusione di una valvola cardiaca. Le sue condizioni di salute migliorano, e la sua attività continua: il 3 febbraio 1994 partecipa al National Prayer Breakfast a Washington, dove, alla presenza del Presidente Bill Clinton e della first lady Hillary, esprime la sua contrarietà all’aborto. Il 10 settembre del ’96, la Madre e l’intera famiglia festeggiano il 50° anniversario del Giorno dell’Ispirazione. Ma il '96 è anche l'anno in cui le sue condizioni peggiorano notevolmente, inducendola a delle definitive dimissioni. Il 13 marzo del ’97 suor Nirmala viene eletta superiora generale, non accettando l’appellativo di ‘Madre’ per rispetto verso la fondatrice. La suora riceverà l’assistenza di Madre Teresa nella guida e nell’amministrazione della congregazione, fino al giorno della sua morte, 5 settembre. La salma è rimasta un giorno intero nella casa madre per poi essere traslata nella chiesa di St Thomas, in attesa dei funerali di stato del 13 settembre, celebrati in uno stadio coperto, ai quali presenziarono decine di presidenti, ambasciatori, leaders politici. Infine, il corpo viene riportato alla casa madre per essere deposto in una semplice tomba il cui marmo riporta una delle frasi preferite da Madre Teresa: “amatevi come io vi ho amato”.  

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In seguito alla “chiamata dentro la chiamata” del 10 settembre 1946, nell’ottobre dello stesso anno Madre Teresa consegna le pagine con il racconto della sua ispirazione ad un padre gesuita da lei molto stimato. La Madre scrive: “…per saziare la sete infinita di Gesù sulla croce per l’amore delle anime, lavorando per la salvezza e la santificazione dei poveri…”.

  Le Missionarie della carità

  Il sacerdote, a dicembre, consegna gli scritti al vescovo di Calcutta, il quale, leggendo i progetti della Madre, decide che per almeno un anno nulla sarebbe dovuto realizzarsi. Egli ha però premura di mettersi in contatto con Roma per consultarsi con uno specialista di diritto canonico. Il consenso alla realizzazione dei suoi progetti arriva i primissimi giorni del 1948, e, il 6 gennaio, la Madre chiede alla superiora generale dell’ordine loretano di essere dimessa dallo stesso. La risposta positiva arriva a febbraio. Viene tempestivamente inviata a Roma la richiesta di secolarizzazione; il 12 aprile viene concesso un indulto di esclaustrazione, in seguito al quale, l’ 8 agosto, viene benedetto il nuovo abito: un sari bordato di blu, un rosario ed un crocifisso appuntato sulla spalla. Il 21 dicembre inizia il lavoro del nuovo ordine a Miti Jihl, un bassofondo di Calcutta. Il 2 febbraio 1949, vista la necessità di avere un posto nel quale svolgere la sua attività, la Madre si trasferisce in via Creek Lane n. 14. Inizia lì la stesura delle costituzioni delle Missionarie della Carità: ai tre consueti voti (castità, povertà ed obbedienza) viene aggiunto quello di “servizio sentito e libero ai più poveri tra i poveri”, caratteristico del nuovo istituto. Entusiasta per i lavori svolti dalla Madre e dalle sue accolite (che nel 1950 sono sette), il 7 ottobre 1950 l’arcivescovo di Calcutta riconosce ufficialmente la Congregazione delle Missionarie della Carità come istituto religioso. Nei mesi successivi comincia il noviziato per il gruppo di sorelle; continuano intanto ad arrivare nuove vocazioni dall’India e da altre parti del mondo. Nel 1952 la Madre chiede al Consiglio Municipale di Calcutta l'affidamento di un posto adeguato per raccogliere i moribondi senza dimora. Le viene messa a disposizione una casa che sarebbe stata chiamata “primo amore della Madre”. Nel 1953 si contano già molte nuove adesioni, e la casa di via Creek Lane non è più adeguata; l’arcivescovo si rende disponibile ad anticipare la cifra necessaria per comprarne una più grande; viene scelta quella situata al n. 54 della Lower Circular Road, che ancora oggi è la casa madre delle Missionarie, nella quale si trasferirono 28 suore. Viene immediatamente aperta la prima Shishu Bhavan (casa del bambini), al numero 78 della stessa via della casa madre. Qui vengono assistiti bambini orfani, malnutriti, ragazze madri e vengono inoltre contattate organizzazioni per l’adozione dei bambini. Nel settembre del 1957 si inaugura la prima clinica mobile per i lebbrosi, cioè un furgone attrezzato che gira per i bassifondi di Calcutta. Ma è al di là di questa città che la Madre vuole portare ed il suo aiuto ed il messaggio cristiano; purtroppo però, in quanto costituiscono congregazione diocesana, le Missionarie della Carità non si possono espandere oltre la diocesi d’appartenenza se non dopo 10 anni dalla fondazione. La prima casa

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missionaria fuori Calcutta viene aperta il 29 maggio 1959 a Ranchi, nello stato di Bihar; poco dopo ne nasce una a Delhi. Tra il 1960 ed il 1962 ne sorgono altre 6, tra cui quella di Bombay. Tutte le case sono spesso visitate dalla Madre, che viaggia in treno in terza classe e possibilmente di notte, per salvaguardare le ore lavorative diurne. Nel 1963, dopo varie riflessioni su lavori come l’assistenza dei ragazzi per strada, la Madre capisce che bisogna fondare un ramo maschile come unione pia, che chiamerà Fratelli Missionari della Carità. Il 1° febbraio 1965 Paolo VI concede il decreto di approvazione alle Missionarie della Carità, in modo che si possano estendere in altri paesi del mondo dei quali il primo che ne beneficerà sarà il Venezuela: il 26 luglio del 1965 viene fondata a Cocorite la prima fondazione delle Missionarie fuori dall’India. Nel 1968 la Madre inaugura due centri in due nuovi continenti: il primo a Tor Fiscale, un quartiere periferico di Roma, ed il secondo a Talora, in Tanzania. Nel ’69 si apre un centro in Australia, a Bourke, nel ’70 ad Amman, in Giordania; alla fine del ’72 il numero delle sorelle è 470, distribuite in 56 comunità. Dal ’73 in poi non nasceranno mai meno di 10 fondazioni all’anno. Nel '78 e ’79 saranno aperti nuovi centri in soccorso non solo della povertà materiale ma anche di quella spirituale: si contano 51 nuove fondazioni, il cui numero totale risulta essere 158. Nel settembre dell’80 viene aperta una fondazione a Berlino est, la prima in un territorio governato da un regime comunista. Nel 1981 viene approvata la creazione dei 'collaboratori preti', movimento internazionale di rinnovamento sacerdotale. Alla fine dell’84 si contano 270 case per un totale di 2440 suore. Il 24 dicembre del 1985 la Madre apre a New York la prima casa per malati di Aids. Nel dicembre del 1988, nasce la prima casa in Unione Sovietica. Nel 1990 vengono aperti tantissimi centri in paesi comunisti: Romania, Slovacchia, Repubblica Ceca, Ungheria, Siberia, Armenia, Georgia. Il 19 giugno del 1995 viene aperta a Washington una casa per ragazze madri: si realizza un desiderio che la Madre aveva espresso l’anno precedente ad Hillary Clinton durante una visita della capitale statunitense. Dal 13 marzo 1997 Suor Nirmala è la superiora generale delle Missionarie della Carità. Due mesi prima di morire, la Madre si recò a Roma per presentare a Karol Woityla la nuova superiora; alla fine dell'incontro gli disse scherzando: “…ora non ho più niente da fare…”; egli ribatté: “ proprio tu, fondatrice, non hai più niente da fare!”.    

MADRE TERESA DI CALCUTTA

Cordoglio in tutto il mondo per la morte dell'angelo dei poveri

MADRE TERESA, UNA VITA COPIATA DAL VANGELO

È vissuta per i poveri. Ma ora il mondo è diventato più povero da quando, la sera di venerdì 5 settembre, Madre Teresa non ha retto all'ennesimo attacco di cuore, ed è spirata nella casa che, a partire dagli anni Quaranta, accoglieva lei e le sue suore a Calcutta. Aveva 87 anni, e il suo volto - minuto come tutta la sua figura, solcato da rughe profonde - era diventato

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la rappresentazione stessa della carità e della totale donazione agli altri. Era chiamata la madre dei poveri. Ma anche tra le povertà Madre Teresa è riuscita a spingersi all'estremo, come estremo e totale è stato il suo amore per Cristo. Ha scelto di stare accanto agli ultimi tra gli ultimi e, in questa ricerca ha fatto leggere al mondo - credenti e non credenti - pagine di un Vangelo vivo, di un Vangelo all'opera tra le conquiste e le contraddizioni dei nostri tempi. La morte di Madre Teresa ha suscitato fortissima emozione e dolore in ogni angolo della terra. La sua carità ha lasciato tracce in ogni continente. Ma accanto al dolore, il sentimento che prevale è la serenità. Madre Teresa è andata a prendersi il posto che le spetta.

«Mi è caro, in questo momento di preghiera, ricordare la cara sorella, Madre Teresa di Calcutta... Missionaria della Carità. La sua missione cominciava ogni giorno, prima dell'alba, davanti all'Eucarestia. Nel silenzio della contemplazione, Madre Teresa di Calcutta sentiva risuonare il grido di Gesù sulla croce: "Ho sete". Questo grido, raccolto nel profondo del cuore, la spingeva sulle strade di Calcutta e di tutte le periferie del mondo, alla ricerca di Gesù nel povero, nell'abbandonato, nel moribondo. Carissimi Fratelli e Sorelle, questa Suora universalmente riconosciuta come Madre dei poveri, lascia un esempio eloquente per tutti, credenti e non credenti. Ci lascia la testimonianza dell'amore di Dio che, da lei accolto, ne ha trasformato la vita in un dono totale ai fratelli. Ci lascia la testimonianza della contemplazione che diventa amore, e dell'amore che diventa contemplazione. Le opere da lei compiute parlano da sé e manifestano agli uomini del nostro tempo quell'alto significato della vita che purtroppo sembra smarrirsi».

(Giovanni Paolo II all'Angelus di domenica 7 settembre)

 

IO LA RICORDO COSÌ...

Angelo Comastri

Mi guardò con due occhi limpidi e penetranti. Poi mi chiese: «Quante ore preghi ogni giorno?». Rimasi sorpreso da una simile domanda e provai a difendermi dicendo: «Madre, da lei mi aspettavo un richiamo alla carità, un invito ad amare di più i poveri. Perché mi chiede quante ore prego?». Madre Teresa mi prese le mani e le strinse tra le sue quasi per trasmettermi ciò che aveva nel cuore; poi mi confidò: «Figlio mio, senza Dio siamo troppo poveri per poter aiutare i poveri! Ricordati: io sono soltanto una povera donna che prega. Pregando, Dio mi mette il Suo Amore nel cuore e così posso amare i poveri. Pregando!»

Non ho più dimenticato questo incontro: il segreto di Madre Teresa sta tutto qui. Ci siamo rivisti tante altre volte (l'ultima il 22 maggio scorso), ma ogni azione e ogni decisione di Madre Teresa li ho trovati meravigliosamente coerenti con questa convinzione di fede: «Pregando, Dio mi mette il Suo Amore nel cuore, e così …».

Nel 1979 ricevette il Premio Nobel per la Pace: lo accolse stupendosi e restando quietamente piccola nelle mani di Dio. Andò a ritirare il premio con la corona del Santo Rosario stretta tra le grosse mani, abituate alla

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fatica del lavoro e alla dolcezza della carezza: nessuno osò rimproverarla per il suo affetto verso la Madonna, neppure in una terra rigidamente luterana!

Tornando da Oslo Madre Teresa fece tappa a Roma. Vari giornalisti si accalcarono nel cortile esterno della povera dimora delle Missionarie della Carità sul Monte Celio. Madre Teresa non si sottrasse ai giornalisti, ma li accolse come figli, mettendo nella mano di ciascuno una piccola medaglia dell'Immacolata. I giornalisti furono generosi in foto e domande; una domanda fu un po' birichina: «Madre, lei ha settanta anni! Quando lei morirà, il mondo sarà come prima. Che cosa è cambiato dopo tanta fatica?» Madre Teresa avrebbe potuto reagire con un po' di santo sdegno ed invece fece un sorriso luminoso, come se le avessero dato un bacio affettuosissimo. E aggiunse: «Vede, io non ho mai pensato di poter cambiare il mondo! Ho cercato soltanto di essere una goccia di acqua pulita, nella quale potesse brillare l'amore di Dio. Le pare poco?».

Il giornalista non riuscì a rispondere, mentre attorno alla Madre si era creato il silenzio dell'ascolto e della emozione. Madre Teresa riprese la parola e chiese al giornalista "sfacciatello": «Cerchi di essere anche lei una goccia pulita e così saremo in due. È sposato?». «Sì, Madre». «Lo dica anche a sua moglie e così saremo in tre. Ha dei figli?». «Tre figli, Madre». «Lo dica anche ai suoi figli e così saremo in sei …».

Non c'era bisogno di aggiungere altro: Madre Teresa aveva detto chiaramente che ognuno di noi ha in mano un piccolo, ma indispensabile capitale d'amore; è questo personale capitale d'amore che dobbiamo preoccuparci di investire: il resto è divagazione inutile o polemica sterile o maschera di disimpegno.

Nel 1988 venne a Porto Santo Stefano (GR), dove ero parroco: fu un dono immenso, inatteso, meraviglioso. Era il 18 maggio e il cielo, dopo una insolita burrasca, era tornato limpido e azzurro, confondendosi con il mare sorridente. Madre Teresa fissò come una bambina lo scenario unico del Monte Argentario e parlò così: «Come è bello questo luogo! In un luogo così bello, anche voi dovreste preoccuparvi di avere anime belle». Bastarono queste parole per far scattare una attenzione e una vibrazione del cuore di oltre ventimila persone. Madre Teresa, allora, con la coerenza della fede, aggiunse:

«La vita è il più grande dono di Dio. È per questo che è penoso vedere quanto accade oggi: la vita viene volontariamente distrutta dalle guerre, dalla violenza, dall'aborto. E noi siamo creati da Dio per cose più grandi: amare ed essere amati! Il più grande distruttore di pace nel mondo è l'aborto. Se una madre può uccidere il proprio figlio nella culla del suo grembo, chi potrà fermare me e te nell'ucciderci reciprocamente?».

Queste parole sembravano raggi luminosi lanciati nel cielo buio: ciascuno si sentiva scoperto e ogni briciola di egoismo bruciava e diventava salutare rimprovero. Al termine della Veglia di Preghiera accadde un fatto, che ho sempre vivo nella memoria, ricordandolo, ancora mi emoziono profondamente. Un ricco industriale mi aveva manifestato l'intenzione di regalare a Madre Teresa la sua villa per accogliere i malati di Aids ed

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aveva in mano le chiavi per consegnarle alla Madre. Riferii la proposta a Madre Teresa, che prontamente rispose: «Debbo pregare, debbo pensarci: non so se è cosa buona portare i malati di Aids in un luogo di grande turismo. E se fossero rifiutati? Soffrirebbero due volte!». Quale saggezza! Quale libertà interiore!

Però a tutti noi, uomini di poca fede, sembrava che Madre Teresa stesse per perdere una bella e rara occasione. Un distinto signore, che aveva assistito al dialogo, si sentì in dovere di consigliare: «Madre, intanto prenda la chiave e poi si vedrà…». Madre Teresa, senza alcuna esitazione, forse sentendosi ferita in ciò che aveva di più caro e di più prezioso, chiuse il discorso dicendo risolutamente: «No, signore! Perché ciò che non mi serve, mi pesa!»

Queste parole sono un capolavoro. Mi richiamarono alla memoria ciò che San Bonaventura scrisse riguardo a San Francesco: «Nessuno amò tanto la ricchezza, quanto Francesco amò la povertà!». Madre Teresa era così. Era un limpido fiume di fede che sbocciava in opere di carità: la fede, e soltanto la fede, stava alla sorgente del suo agire.

Nel 1991, sempre nel mese di maggio, venne a Massa Marittima (GR). Con mia grande sorpresa mi comunicò la decisione di aprire a Piombino una casa per le Suore Contemplative delle Missionarie della Carità: «Pregheranno davanti a Gesù nel Tabernacolo – mi disse – e così si diffonderà attorno la luce della bontà. Ci vogliono cuori puri per accogliere l'Amore! Cuori puri!».

Da Massa Marittima, in elicottero, andammo all'Isola d'Elba per un secondo incontro di preghiera. Durante il tragitto indicavo a Madre Teresa i vari luoghi della costa tirrenica, mentre lei inviava a tutti il regalo di un'Ave Maria. A un certo punto un uomo, che ci accompagnava nel volo, cadde in ginocchio accanto a me e, con voce tremante, mi disse: «Padre, io non so che cosa mi stia accadendo! Mi sembra che Dio, Dio stesso mi stia guardando attraverso gli occhi di quella donna».

Riferii subito alla Madre le parole appena ascoltate. Ella, con tranquillità disarmante, commentò: «Gli dica che Dio lo sta guardando da tanto tempo: era lui che non se ne accorgeva…! God is love: Dio è Amore!». E, rivolta all'uomo, gli strinse la mano con affetto e gli consegnò alcune medagliette della Madonna: sembravano baci, che portavano il profumo dell'amore di Dio. Madre Teresa era così: semplice, umile, limpida, evangelicamente trasparente.

Il 22 maggio scorso mi scrisse un messaggio per la VI Giornata Mondiale del Malato, che verrà celebrata a Loreto l'11 febbraio 1998. Il messaggio dice così: «Cari fratelli e sorelle che soffrite! Voi siete così vicini al cuore di Gesù Crocifisso che, senza staccarsi dalla Croce, egli può baciarvi e parteciparvi il Suo Amore. Siate Santi! Tutti per Gesù attraverso Maria». È il suo testamento: amare… amare! Lasciando però che sia Gesù, Volto e Presenza dell'Amore di Dio, a riempirci di Carità!  

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TERESA, MISTICA PER ECCELLENZA

Teresa, mistica per eccellenza, è, non meno, un'asceta di prima grandezza.   Digiuni, mortificazioni, preghiere vocali, isolamento, meditazioni, sofferenze abbracciate non solo con rassegnazione ma con gioia sono, per tutta la vita il suo esercizio quotidiano.   Come tutti i mistici, anche Teresa vede attuarsi l'unione tra anima e Dio per gradi, in scala ascendente. Essa paragona i gradi di chi, via via, si avvicina alla perfetta unione con Dio ai quattro modi con cui si può irrigare un giardino, il giardino dell'anima.   

Il primo è di attingere faticosamente, secchio dopo secchio, l'acqua da un pozzo.   Equivale alla via purgativa, cioè allo sradicamento delle passioni e delle male inclinazioni, dedicandosi alla contemplazione, all'orazione mentale, dove si medita su Dio infinito amore e sulla miseria che noi siamo.

Un secondo modo è di ricorrere a canali d'irrigazione: sistema meno faticoso. In campo spirituale corrisponde alla vita illuminativa, che consiste nell'orazione di raccoglimento o di quiete

Terzo modo di irrigare il giardino è derivare le acque, abbondanti, da un fiume o da un ruscello, con poca nostra fatica.    Siamo alla vita unitiva, l'anima è spalancata sulla realtà divina. Si ha l'orazione di unione ordinaria che assorbe l'anima in Dio. Si distingue un legame silenzioso, di tacita contemplazione amorosa, orante, di incontenibile effusione.    Il giardino, infine, senza alcuna nostra fatica, può impregnarsi d'acqua mediante la pioggia. La vita unitiva è ormai giunta alla compenetrazione perfetta. L'anima e il suo Dio sono tutt'uno: siamo al matrimonio o sposalizio spirituale. Questi sono i principali gradi della vita spirituale e l'orazione è l'alimento per coltivare le virtù.

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MADRE TERESA,UNA SANTA DEI NOSTRI GIORNI Un articolo di Mons. F. Follo per l'anniversario di Madre Teresa    

su Madre Teresa si può vedere anche la biografia, tratta dal libro cui si riferisce mons. Follo in questo contributo

« Molti quando parlano della Chiesa e della sua storia intendono quel succedersi di fatti collegati al Papa, ai Vescovi ed ai loro rapporti con i Responsabili più alti dei vari Stati.

La storia della Chiesa è pure la narrazione di quanto i santi e le sante, di quanto persone semplici o istruite hanno fatto per vivere la fede in Cristo, praticare la carità e rendere concreta la speranza.

In questa storia, che per la sua prossimità di tempo, dobbiamo ancora considerare come cronaca, ha certamente un posto di rilievo la persona di Madre Teresa di Calcutta, di cui -il 5 settembre 1998- ricorre il primo anniversario della morte, vale a dire del giorno in cui "Gesù riporta a casa con sé nostra Madre", come hanno scritto le sue Suore, le Missionarie della Carità, nel piccolo libro "Ti offro il mio cuore, o Signore".

Tale volumetto, edito dalla Casa Editrice Arnoldo Mondadori, è stato preparato dalle Suore di Madre Teresa di Calcutta (questo è il nome con cui sono familiarmente conosciute in tutto il mondo anche se - come ho sopra accennato - il loro nome ufficiale è "Missionarie della Carità") proprio per la celebrazione di questo anniversario.

Si tratta di una data importante, che se, da una parte, è venata di tristezza perché si ricorda la morte di una persona carissima a molti, è, dall'altra, carica di serenità. Infatti, con il suo ritorno alla Casa del Padre, questa piccola, grande Suora, che si definiva "la matita di Dio", ha testimoniato in modo particolarmente efficace che quanti vivono per amore di Dio e per rispondere alla Sua sete di amore e di anime, vivono per sempre. La tomba, quindi, non è tanto l'ultima definitiva stanza di una persona, ma l'ultima - anche se grandemente drammatica - soglia, per la quale si entra nella vita che non avrà mai fine.

La celebrazione del 5 settembre, quindi, è stata voluta come momento forte di ricordo, che nel suo significato etimologico (ri-cor-dare) vuol dire ridare al cuore il motivo per cui esso ha cominciato a battere per Dio.

Un cuore, che vuol continuare a imitare quello di Cristo, seguendo l'esempio di questa "matita di Dio". "Sapevo - scrive Madre Teresa - che era la sua volontà e che dovevo seguirlo verso coloro che, come Gesù, non avevano un luogo dove posare il capo ... il nudo, il disprezzato, l'abbandonato, il dimenticato, l'affranto ..." (pag.15 del libretto citato) il cui amore lo condusse al Getsemani e al Calvario, sulla Croce, dove ha detto: "Ho sete" e, da allora in poi, era il 10 settembre 1946, l'unico scopo di

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questa Madre fu di rispondere alla sete di Gesù, là dove Egli aveva maggiormente sete, tra i più poveri dei poveri.

Comunque non va dimenticato che Madre Teresa cominciò ad essere Missionaria della Carità non solo raccogliendo dalle strade i moribondi, ma adorando Cristo nell'Eucaristia.

Al riguardo, c'è un episodio significativo. Un giorno mentre Ella compiva quest'opera di carità soccorrendo chi stava per morire, era accanto a lei un giornalista che le disse: "Suora, non farei quello che fa lei neppure per mille dollari al giorno". Madre Teresa senza esitare replicò: "Neppure io". L'unica cosa che la muoveva era infatti l'amore di Dio. Come ella stessa dice in molte sue preghiere, ad esempio: "Gesù presente nel mio cuore, Ti adoro, Ti amo", "Nel nome di Gesù, e per amore di Gesù e perché ha detto 'qualunque cosa chiederete in nome mio vi sarà data ' dammi la grazia di amare solo Te, la grazia che il mio cuore sia come il cuore di Gesù, mite e umile, "Maria, madre amatissima, dammi il tuo cuore così bello, così puro, così immacolato, così pieno di amore e di umiltà, affinché io possa ricevere Gesù come tu hai fatto e andare con prontezza a donarlo agli altri"(o.c., p.45, 58-59). Con queste brevi righe, ho cercato di fare vedere come la vocazione di Madre Teresa di Calcutta e delle suore, che l'hanno seguita, è quella di rispondere alla sete di Cristo, con un amore che si dona a Lui ed ai fratelli in umanità, traendo forza dalla preghiera, che ha scandito la sua giornata vissuta per Dio ed a servizio dei più poveri dei poveri. Preghiera che continua a scandire le ore delle giornate di ogni Missionaria della Carità, perché "la preghiera genera amore e l'amore genera il servizio".

Spero, infine, che il tenere vivo il ricordo di Madre Teresa, anche celebrando il primo anniversario della morte, sia un modo efficace di contribuire a che la speranza suscitata da questa donna particolarissima conduca alla pienezza della gioia, che la sua azione a portato a tantissime persone in tutto il mondo.»

                                              Mons. Francesco Follo

   

Dominique Lapierre   MADRE TERESA DI CALCUTTA   Ho visto Madre Teresa di Calcutta pochi mesi prima della morte, durante una messa mattutina nella cappella del suo convento di Lower Circular Road. È uno stanzone utilizzato anche come dormitorio da centinaia di novizie e l'unica decorazione è un crocefisso con la scritta «Ho sete».       Osservando Madre Teresa quel mattino, piegata su se stessa, con le labbra tremanti per una preghiera che sembrava non avere fine, e guardando quelle ragazze venute dai quattro angoli dell'India per vestire il sari delle Missionarie della Carità, non ho potuto fare a meno di provare venerazione per una città come Calcutta che ha prodotto così tante sante.

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Ho seguito molte di loro nelle case della sofferenza, nei lebbrosari negli orfanotrofi e negli asili della Città della Gioia e di quasi tutte le città dell'India, oltre che a Beirut, Roma, Parigi, Sydney e nel Bronx. E ogni volta testimone dello stesso miracolo, come se loro annunciassero ai reietti del mondo: «Siamo qui, vi vogliamo bene, non abbiate più paura». Questo è stato il messaggio di Madre Teresa: proclamare all'umanità «che i poveri devono essere amati, perché sono stati creati dalla mano amorevole di Dio». Ha cominciato a diffondere il suo credo nel calderone di miseria, ingiustizia e violenza di Calcutta, dove l'aveva fatta approdare la vocazione di missionaria. Prima per 16 anni, aveva insegnato geografìa alle figlie della borghesia bengalese, poi, il 10 settembre 1946, durante un viaggio a Darjeeling rivoluzionò la sua tranquilla esistenza. Sentì una voce chiamarla: «Era un ordine», disse. «Dovevo abbandonare i comfort del mio convento, liberarmi di tutto e seguirlo per servire Lui, Gesù Cristo, attraverso i più poveri». Aveva 36 anni. Sette mesi più tardi ricevette dal Vaticano il permesso di fondare un ordine, la cui regola era «aiutare i malati e i morenti degli slums, educare i bambini di strada, prendersi cura dei barboni, dare un tetto a coloro che sono stati abbandonati». Così, sotto l'impulso di una sola suora, che sarebbe stata raggiunta da 10 novizie, nacque la congregazione delle Missionarie della Carità, un ordine che oggi conta 5 mila suore e 4 milioni di volontari laici. Pochi metri separano la clinica dov'è morta dal luogo dove cominciò la crociata. Le cataratte del monsone si erano spalancate su Calcutta in quell'estate del 1952: la donna che allora era Sorella Teresa camminava sotto il diluvio, quando inciampò in una donna morente. Si fermò, chiuse gli occhi, fece il segno della croce. «In questa città i cani sono trattati meglio degli esseri umani», disse con rabbia. Il giorno seguente si precipitò in Municipio. La sua testardaggine suscitò curiosità e uno dei segretari del sindaco accettò di riceverla. «È una vergogna che la gente muoia sui marciapiedi», si sfogò. «Trovatemi un posto dove possa raccogliere le persone morenti e possa aiutarle a presentarsi a Dio con dignità e soffuse d'amore». Qualche giorno dopo il consiglio comunale le mise a disposizione una stravagante costruzione che serviva come ospizio per i pellegrini hindù che visitavano il vicino tempio dedicato a Kalì. Madre Teresa ci vide lo zampino di Dio. Era intorno a quella zona che la maggior parte dei disperati si raccoglieva per morire, sperando di essere cremati sulle pire. L'arrivo della donna con un crocifisso sul sari destò sorpresa e di lì a poco gli indù ortodossi protestarono. Le voci erano che lei, e le sue suore, erano andate là per convertire i morenti. Scoppiarono molti incidenti. Un giorno una pioggia di pietre si abbatté sull'ambulanza e le suore furono insultate e minacciate. Madre Teresa si inginocchiò davanti alla folla: «Uccidetemi!», gridò, alzando le braccia come se stessero per crocifiggerla. «Così andrò più velocemente in paradiso!». Una delegazione si presentò alla polizia per chiedere che la suora straniera fosse allontanata. Il capo della polizia promise di intervenire, ma solo dopo aver condotto un'indagine. Fu allora che trovò Madre Teresa intenta a soccorrere un vecchio. Era esausto, scheletrito, incredibilmente sporco, con le gambe piagate da ulcere sanguinanti. «Mio Dio, come può sopportare tutto questo?», si chiese, attonito. Madre Teresa stava pulendo meticolosamente le ferite e parlava dolcemente al vecchio, ripetendogli che sarebbe stato meglio, che non

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avrebbe dovuto avere paura e che c'era chi lo amava. Una strana serenità si era dipinta sul suo volto. Il capo della polizia era commosso. «Vuole che le faccia visitare l'ospizio?», gli domandò Madre Teresa. «No, non si disturbi». Un gruppo di fanatici" lo aspettava fuori dal cancello. «Vi prometto di cacciare quella donna — disse — ma non prima che le vostre madri e sorelle siano venute qui a fare il lavoro che lei sta facendo». Pochi giorni dopo Madre Teresa vide una folla davanti al tempio. A terra c'era un uomo, pallido come un cadavere; era un sacerdote del tempio. Ma nessuno osava toccarlo: aveva il colera. Madre Teresa lo abbracciò e lo portò nel suo ospizio. Lo curò notte e giorno. «Per 30 anni ho venerato una Kalì di pietra. Ora è una Kalì di sangue e carne che venero», disse l'uomo. Da quel momento nessuno avrebbe più tirato pietre: la notizia della guarigione aveva fatto il giro di Calcutta. Il sindaco, molti giornalisti, e diverse personalità andarono a trovarla. Molte volontarie si offrirono di affiancare le suore. In 45 anni Madre Teresa avrebbe accolto più di 100 mila disperati. Ma assistere i morenti era solo il primo passo della sua crociata. C'erano anche i vivi e tra questi i più deboli, i neonati abbandonati nella spazzatura o davanti alle chiese. Il 15 febbraio 1953 la sua nuova istituzione - la «Sishu Bhavan», la «Casa dei Bambini» - aprì le porte al primo ospite, un bambino prematuro, trovato avvolto in un foglio di giornale. Era così debole che non riusciva a succhiare il latte, ma Madre Teresa si batté disperatamente per salvarlo e ci riuscì. Un po' alla volta, le culle diventarono decine. Come avrebbe nutrito tutti? «Ci penserà Dio», ripeteva. E Dio le diede ragione. I ricchi mandavano auto cariche di riso, verdura e pesce e Madre Teresa ordinava alle sue sorelle di dipingere grandi poster per annunciare che avrebbe accolto i bambini indesiderati. Ma oltre ai morenti e ai bambini, decise di rivolgere il suo sguardo anche ai più reietti, i lebbrosi. Ce n'erano migliaia a Calcutta. Costruì un rifugio per ospitare i casi peggiori. Li andava a trovare ogni giorno, portando cibo, curandoli, confortandoli con parole d'amore. Centinaia di persone devastate dalla malattia cominciarono ad affollare i cancelli di quell'oasi di speranza e Madre Teresa invitò gli abitanti di Calcutta a unirsi a lei con una raccolta di denaro. Come simbolo dell'iniziativa scelse una  campanella, simile a quella che i lebbrosi dell'antichità dovevano portare al collo, e inventò uno slogan che fu riprodotto sui giornali, affisso per le strade e incollato sulle auto: «Tocchiamo un lebbroso con compassione». Il risultato superò ogni aspettativa: fu in grado di costruire per i lebbrosi «Shanti Nagar», la «Città della Pace». L'impresa attrasse l'interesse dei media. Il giornalista e scrittore inglese Malcom Muggeridge girò un documentario per la BBC su questa suora e sulle sue sorelle che praticavano la carità in modo tanto rivoluzionario. Fu così colpito che si convertì al cristianesimo. Intanto, il film fece il giro del mondo e Madre Teresa diventò una star. Da molte città indiane e da tutti i continenti arrivarono richieste per aprire orfanotrofi o centri per i senzatetto. E tutte le volte che accettava, la prima stanza che faceva costruire era una cappella: per lei, nulla era possibile senza l'aiuto della preghiera e il sostegno della presenza divina dell'Eucaristia. «Abbiamo bisogno di un po' di silenzio ogni giorno per incontrare Dio»,

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ripeteva. «Non c'è ragione di arrendersi, fintanto che c'è un motivo per credere e sperare».   («La Stampa», 8 settembre 1997)    

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