LA FORMAZIONE E LO SVILUPPO DELLA CONTEMPLAZIONE...

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RVS 66 (2012)609-639 L a contemplazione è una realtà complessa, specialmen- te nella fase di formazione, che va dai primi inizi fino alla contemplazione propriamente “infusa”. Si tratta del perio- do più discusso e, allo stesso tempo, di quello teologicamente più importante, perché riguarda direttamente la relazione fra la santità e la contemplazione. È anche la ragione per occuparcene qui. La prima parte del lavoro, di carattere teoretico, illustra la dottrina della contemplazione dei principianti e ci introduce così adeguatamente nel nostro argomento. Dopo seguono le parti d’in- dole pratica, in quest’ordine: la prima fase di passaggio dalla medi- tazione alla contemplazione, il transito successivo della notte oscu- ra dei sensi e infine la consolidazione della contemplazione nello stato contemplativo. Josip Mužić LA FORMAZIONE E LO SVILUPPO DELLA CONTEMPLAZIONE SECONDO GABRIELE DI S. MARIA MADDALENA STUDI

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La contemplazione è una realtà complessa, specialmen-te nella fase di formazione, che va dai primi inizi fino alla contemplazione propriamente “infusa”. Si tratta del perio-

do più discusso e, allo stesso tempo, di quello teologicamente più importante, perché riguarda direttamente la relazione fra la santità e la contemplazione. È anche la ragione per occuparcene qui.

La prima parte del lavoro, di carattere teoretico, illustra la dottrina della contemplazione dei principianti e ci introduce così adeguatamente nel nostro argomento. Dopo seguono le parti d’in-dole pratica, in quest’ordine: la prima fase di passaggio dalla medi-tazione alla contemplazione, il transito successivo della notte oscu-ra dei sensi e infine la consolidazione della contemplazione nello stato contemplativo.

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LA FORMAZIONE E LO SVILUPPO DELLA

CONTEMPLAZIONESECONDO GABRIELE DI S. MARIA MADDALENA

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La contemplazione dei principianti

L’esperienza della contemplazione è strettamente connessa e accompagnata dalla sua sistematizzazione teologica. In parti-colare, ci interessa vedere ora l’importanza dell’ideale contem-plativo e quali sono le tappe principali attraverso le quali si è determinato dottrinalmente l’inizio della contemplazione.

L’ideale contemplativo

Il Carmelo, come sappiamo, riserva un posto privilegia-to, dottrinalmente e praticamente, all’orazione, e in particolare alla contemplazione. Infatti, S. Teresa dichiara categoricamente: «Noi tutte che portiamo questa sacra veste del Carmine, siamo chiamate all’orazione e alla contemplazione»1. È notevole che la Santa non preveda nessuna eccezione, ma che nella sua fami-glia religiosa affermi la chiamata di tutti niente meno che alla contemplazione.

Questa impostazione è rafforzata e istituzionalizzata in seguito, in modo che fin dalle prime Costituzioni si mostra la contemplazione come il «fine principale» dell’Ordine, mentre l’azione è solo il fine secondario2. Pertanto questo ideale, descrit-to ed elaborato dai due Riformatori che scrivono specialmen-te per propagarlo3, è il «centro» al quale convergono tanto la

1 Castello, Mans. 5, I, 2, cit., in La contemplazione acquisita, Ed. di “Vita Cristiana”, Firenze 1938, 28.

2 «Sa fin principale est la contemplation et l’amour des choses divines; la fin secondaire est l’action, sourtout celle qui regarde le salut du prochain» (Costituzioni del 1611; sulla contemplazione nello stesso senso cf anche il testo definitivo approvato nel 1631, cit., in “L’École d’Oraison Carmélitaine”, Études Carmélitaines, 17 (1932: vol. II), 4-5).

3 Così Quiroga presenta il suo maestro S. Giovanni della Croce come «pienamente compreso dell’ideale contemplativo dell’Ordine e tutto intento

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«educazione spirituale individuale» quanto la «organizzazione della vita comune»4.

Necessariamente, quindi, tutta la vita carmelitana, special-mente quella spirituale, riceve un orientamento caratteristico, come vita contemplativa5. Questo facilita la diffusione pratica della contemplazione, che a sua volta genera la rispettiva dottri-na necessaria per la direzione delle anime6. Per non restringere l’importanza di questo ideale solo a Carmelo o alla vita religiosa è bene tenere a mente che, come mostra debitamente P. Gabrie-le, la vita contemplativa non è esclusiva di alcuni ma è «ogni genere di vita spirituale che fa della ricerca dell’intimità divina la sua preoccupazione dominante»7. «In altre parole, si tratta della cosiddetta vita interiore che può e deve essere vissuta anche in mezzo al mondo, ed è indispensabile per qualsiasi anima che vuol tendere seriamente a Dio»8.

La formulazione della dottrina

L’ideale contemplativo in maniera particolare influisce sull’orazione mentale che è indicata come esercizio concreto per realizzare tale fine9. Anzi, la contemplazione è indicata come una delle parti integranti dell’orazione che s’insegna ai novizi, il che vuol dire che si considera accessibile e necessaria già per i principianti. Infatti, già la prima Istruzione dei Novizi pubblica-

a restaurarlo praticamente» (“Genesi della contemplazione”, Vita Cristiana 6 (1934), 90-91).

4 “L’École”, 4.5 Ibid., 4.6 La contemplazione acquisita, 27-28.7 Corso sullo Spirito Santo, dattiloscritto, Biblioteca del Monastero di S.

Giuseppe, Roma, 1949, 53.8 Ibid., 53.9 “L’École”, 4-5, cf Cost. del 1631.

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ta nel 1591 afferma che la formazione nel noviziato in materia della preghiera deve essere continuata e graduale e tra le sue sette parti è menzionata espressamente anche la contemplazio-ne10. Lo stesso ruolo è riservato alla contemplazione anche da P. Giovanni di Gesù-Maria Aravalles11, P. Girolamo Graziano della Madre di Dio12 e Madre Maria di San Giuseppe13; tutti testimoni diretti delle origini carmelitane. Da questi dati è chiaro che la preghiera contemplativa, come parte integrante del meto-do praticato nel Carmelo, s’insegnava già ai novizi e che questa era la dottrina comune agli inizi della Riforma14. Essa occupava un posto fisso tra le varie parti dell’orazione mentale. Gli autori della divisione settenaria la collocano immediatamente dopo la meditazione, ossia la identificano espressamente con quella parte che, come già sappiamo, S. Teresa di Gesù chiamava colloquio

10 «Nelle sue istruzioni, il Maestro parlerà dell’orazione in modo continuato, affinché, alla fine del noviziato, tutti i novizi siano bene istruiti. Egli la insegnerà loro esponendo a grado a grado le sette parti in cui la si divide comunemente, cioè: la preparazione, la lettura, la meditazione, la contemplazione, il ringraziamento, la domanda, l’epilogo» (Instrucción de Novicios Descalzos de la Virgen María del Monte Carmelo, Ed. P. Evaristo, Toledo, 1925, III, par. 4, 106, cit., in “Orazione e metodo” in La mistica teresiana, Ed. di “Vita Cristiana”, San Domenico di Fiesole – Firenze [1935], 56-57).

11 «Quant à moi, fidèle a la division que l’on m’enseigna au noviciat et que j’y ai toujours vu pratiquer, je la divise en sept parties: préparation, lecture, méditation, contemplation, action de graces, demande et épilogue. C’est pour plus de clarté que l’on distingue de cette façon les parties de l’oraison à l’usage des commençants...» (Tratado de Oración, Ed. P. Evariste, Toledo 1926, cit., in “L’École”, 12).

12 Precisamente in due delle sue opere che sono la Lámpara encendida (Madrid, 1603) e De la oración mental y de sus partes y condiciones (Bruselas, 1608). Cf “L’École”, 12-13 e “Orazione”, 59 che nella nota 40 riporta anche la citazione dell’ultima opera.

13 Libro de las recreaciones, Ed. Silverio, Burgos 1913, 54, cit., in “L’École”, 13 e “Orazione”, 60, n. 42.

14 “L’École”, 13.

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affettivo15. Di conseguenza, P. Graziano e P. Aravalles afferma-no che questa contemplazione iniziale deve avere la forma del colloquio, e l’ultimo arriva anche a darle una definizione, che P. Gabriele chiama «puramente affettiva»16.

Rispetto all’origine di questa dottrina s’impone una conclu-sione. Sembra molto probabile che P. Aravalles e P. Graziano avessero come maestro nel noviziato lo stesso S. Giovanni della Croce, con il quale pure M. Maria di S. Giuseppe ebbe frequenti rapporti17. Da questi dati il nostro autore deduce che l’inclusione della contemplazione come parte dell’orazione mentale dei prin-cipianti doveva essere opera direttamente del Dottore Mistico18. Questa conclusione, per lui, è rafforzata e confermata anche dal fatto che il Santo era uno dei consultori che approvarono la summenzionata Istruzione dei Novizi – che, come abbiamo visto, contiene la stessa dottrina – e che P. Quiroga, «il primo storico della Riforma», riferisce esplicitamente che insegnava ai novizi «come la loro meditazione doveva finire nella contemplazione»19. Del resto, la sua analisi e descrizione di quest’orazione non lascia adito a dubbi: per lui essa coincide con il colloquio20. Con tutta probabilità S. Giovanni della Croce è il primo che usa l’appella-tivo “contemplazione” per designare quest’orazione e «in ogni caso non si può mettere in dubbio che egli l’abbia approvata»21.

15 A riguardo sono espliciti tanto l’Istruzione dei novizi del 1590 (ibid., 19-20) quanto P. Aravalles e P. Graziano (“Orazione”, 66).

16 Ibid., 66.17 Ibid., 60; “L’École”, 12-13.18 “L’École”, 13.19 Vedi “Orazione”, 60-61.20 Cf “L’École”, 36-37.21 “Orazione”, 71; “L’École”, 37.

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La divergenza e la conciliazione

La scuola carmelitana, tuttavia, ha avuto nel suo seno anche un’altra corrente teologica che discrepava con questa tradizione e che s’ispirava a S. Teresa d’Avila. Infatti, dagli scritti della Santa è evidente che lei riservava il nome della contempla-zione solo «agli stati mistici nettamente caratterizzati»22, ossia alla «orazione propriamente mistica»23, ben distinta da quella dei principianti24.

A questa terminologia rimane fedele il Venerabile Giovan-ni di Gesù Maria in due sue opere, dove, enumerando le parti dell’orazione, le riduce a sei, omettendo proprio la contemplazio-ne25. Anzi, condanna espressamente la pretesa contraria di inclu-derla, ritenendola «un inciampo per i principianti». Il motivo è che «essi, sforzandosi di contemplare, perdono il tempo e spesso tutto il frutto dell’orazione»26, esponendosi anche alla presunzio-ne27. Così, seppure ammetta «l’esistenza di una contemplazione naturale», che è «un’orazione ancora propriamente meditativa», la vera contemplazione, secondo lui, è quell’infusa28 o mistica29, il che vuol dire che solo essa merita tale nome. Tale posizione si giustifica precisamente con la dipendenza del Venerabile da S.

22 “L’École”, 14.23 “Orazione”, 72.24 “L’École”, 14.25 In particolare lo fa in un’altra Istruzione dei novizi, scritta da lui per la

Congregazione italiana e pubblicata per la prima volta nell’anno 1607, e nella Schola de Oratione et Contemplatione (cf ibid., 13).

26 Schola de Oratione et Contemplatione, Florentiae, 1772, t. II, 509, cit., in “Orazione”, 72-73 e “L’École”, 13-14.

27 “Orazione”, 73.28 “L’École”, 14, n. 2.29 “Orazione”, 73.

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Teresa di Gesù30 e con la poca esperienza diretta dell’ambiente marcato dall’influenza di S. Giovanni della Croce31.

Insomma, rispetto alla contemplazione dei principianti, c’erano due correnti di pensiero nella tradizione primitiva: una che, appoggiandosi al Dottore Mistico, la ammetteva, e l’altra che, seguendo la Santa d’Avila, la negava almeno nominalmente. Gli autori posteriori nella Congregazione italiana, in cui si mani-festava questa diversa percezione della stessa realtà32, rendendo-si conto della situazione hanno cercato di riparare. Il merito in concreto dell’«accomodamento» cui si è pervenuto è di P. Filip-po della Trinità. Questi, da un lato, manteneva la divisione in sei parti, insegnata dal Venerabile Giovanni di Gesù Maria; dall’al-tro, introduceva la contemplazione come una suddivisione della meditazione33. Questo fu tanto più facile perché il disaccordo del Venerabile era più di natura formale che reale34. In altri termini, la differenza è solo terminologica e non merita tanta attenzione quanto l’accordo di fatto che si dà entro la tradizione primitiva35.

30 Ibid., 72.31 “L’École”, 14.32 Così P. Tommaso di Gesù, il contemporaneo del Venerabile e suo

collaboratore di prestigio in Italia, di fatto seguiva in pieno la posizione di Quiroga riguardo alla questione della contemplazione dei principianti (ibid., 14-15).

33 Vedi ibid., 15. Questa impostazione viene sostenuta anche dagli autori posteriori tra i quali nella seconda metà del XVII secolo spicca P. Antonio dello Spirito Santo (ibid., 30-31).

34 La sua descrizione della fase che corrisponde alla contemplazione nell’orazione dei principianti coincide, infatti, del tutto con autori più legati all’ambiente di S. Giovanni della Croce; in particolare l’affermazione della preminenza degli atti affettivi, la presentazione del semplice sguardo e del colloquio affettuoso (“L’École”, 24-25; “Orazione”, 74).

35 “Orazione”, 74; “L’École”, 24-25, 15.

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Le ragioni del termine “contemplazione”

Riassumendo la scuola carmelitana accettò come dottri-na comune l’esistenza della contemplazione dei principianti36. L’insegnamento di S. Giovanni della Croce su questa fase della preghiera completa l’esposizione di S. Teresa di Gesù37. Non stupisce pertanto che abbia ricevuto dagli autori dell’Ordine, in conformità coll’appellativo di Dottore Mistico, la «denominazione caratteristica» della contemplazione38. È una novità rispetto alla Santa, che P. Gabriele interpreta come normale, giacché lei non assegnava «un nome speciale» a questa fase della preghiera39.

In tutto due motivi, secondo lui, giustificano questa scelta. In primo luogo perché la semplificazione del lavoro dell’intelletto che si descrive nel colloquio affettivo corrisponde alla definizio-ne abituale della contemplazione come simplex intuitus veritatis40. In secondo luogo perché non si tratta di «una pura innovazio-ne» quanto piuttosto della «ripresa, sia pure con qualche adat-tamento, d’una terminologia già in uso nel Medioevo... del tutto giustificabile»41. Insomma non avviene nessun cambio notevo-le, ma piuttosto un approfondimento, in linea con la necessaria sistematizzazione dell’insegnamento dei due Riformatori, dottri-nalmente importante e perfettamente legittimo anche dal punto di vista pratico42.

36 “L’École”, 15, 32.37 Ibid., 37.38 “Orazione”, 71.39 Ibid., 65; “L’École”, 71.40 “Orazione”, 75.41 Ibid., 77; La contemplazione acquisita, 151.42 Infatti identificando il colloquio affettivo con la contemplazione si crea

la base per la dottrina della contemplazione acquisita (“Orazione”, 77-78).

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Lo sviluppo della contemplazione

L’evoluzione della contemplazione scopre le leggi e anche i fattori che compongono o determinano la sua natura. In seguito trattiamo rispettivamente la relazione della meditazione con la contemplazione, le divisioni di quest’ultima, la semplificazione progressiva attraverso la quale passa e la sua fase iniziale.

La meditazione e la contemplazione

La meditazione propriamente include la rappresentazio-ne e la riflessione43. A essa succede immediatamente la parte principale dell’orazione mentale, che è precisamente il colloquio affettivo, cioè la contemplazione dei principianti. Le relazioni reciproche tra queste due parti sono tanto strette che è difficile distinguerle l’una dall’altra44. Da un lato, la meditazione è subor-dinata alla contemplazione come al suo fine, dall’altro quest’ul-tima sorge dalla prima45. Anzi, secondo S. Giovanni e i primi autori della scuola carmelitana legati a lui, la contemplazione dei principianti è vista come un «effetto» e un «frutto» della meditazione, pure senza tralasciare di mostrare la cooperazio-ne dello Spirito Santo46. Infatti, anche nella preparazione stessa

43 Cf J. Mužić , “L’orazione e la meditazione secondo Gabriele di Santa Maria Maddalena”, Rivista di vita spirituale, 66, 2012, 157-196.

44 Così P. Aravalles afferma: «Ces deux parties sont à ce point unies qu’il est difficile de les distinguir; tandis qu’on croit s’occuper de l’une il est déjà souvent question de l’autre» (Tratado, VI, 28, cit. in “L’École”, 19).

45 Questo lo descrive bene M. Maria di S. Giuseppe paragonando la meditazione «à l’activité du feu dont la chaleur fait naître une vapeur délicate et suave, qui à mon avis est la contemplation…» (Libro de las recreaciones, 7a ed., Éd. Silverio, 54, cit. in “L’École”, 22).

46 Insieme con S. Giovanni della Croce vengono menzionati P. Aravalles, P. Graziano, M. Maria di S. Giuseppe e la Istruzione dei novizi del 1590

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alla contemplazione, «l’iniziativa divina si congiunge con quella dell’anima», non lasciandola mai sola47. Il rischio quindi di fare dipendere questa contemplazione solo dall’attività dell’anima rimane escluso.

Così entriamo già nel nucleo stesso della contemplazione, che è composto di un elemento divino e uno umano. Ossia, visto dalla prospettiva dell’anima, retto da un principio attivo, che dipende da essa, e da uno passivo, che essa subisce. La forma in cui avviene questo intercambio è quella del colloquio affettivo48, già prima trattata. Per evitare malintesi, bisogna aggiungere che la meditazione, per costituire la parte attiva, deve essere accom-pagnata anche da una «pratica seria della virtù», ossia dalla mortificazione49.

Le due forme della contemplazione acquisita

Il passaggio dalla meditazione alla contemplazione non avviene tutto in una volta, ma è un processo graduale, e come tale illustra bene la genesi di questa nuova forma d’orazione50. Reciprocamente, anche la contemplazione iniziale, nota come acquisita, si formerà non in maniera improvvisata e repentina, ma «progressivamente», secondo la descrizione di S. Giovanni della Croce51. Il che vuol dire che attraverserà fasi diverse e assu-merà varie forme.

(“Orazione”, 69, 77).47 Cf La contemplazione acquisita, 130-131. A proposito è citato S. Giovanni:

«Quando l’anima cerca Dio, molto più il suo amato Signore cerca lei» (Fiamma B, III, 28 (26), cit. in La contemplazione acquisita, 130).

48 Cf “Orazione”, 66.49 La contemplazione acquisita, 102.50 “Genesi della contemplazione”, 114-115.51 Ibid., 114.

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P. Gabriele, stando agli insegnamenti del Carmelo, la divi-de in due categorie fondamentali. La prima, dovuta principal-mente all’applicazione personale, è «una semplificazione del processo meditativo che si fa spontaneamente quando l’anima nell’orazione s’indugia più sull’esercizio dell’affetto che non nel ragionamento»52. In altre parole, è una conseguenza naturale dell’orazione mentale, fatta secondo la concezione di S. Teresa d’Avila, nella quale predomina l’attività dell’orante. La secon-da categoria invece è maggiormente passiva perché la mozione divina, benché incipiente, è più accentuata, ma richiede anch’es-sa l’applicazione dell’anima, in modo che si uniscono ancora l’elemento passivo e quello attivo53.

Ci sembra che a questi due stati, propriamente parlando, si possano applicare rispettivamente i nomi di contemplazione atti-va e mista, elogiati dal nostro autore e tradizionali nel Carmelo. La differenza tra di loro non è solo nell’ordine della successione, ma in sostanza si riduce al fatto che i principi costitutivi della contemplazione, tanto quello attivo come quello passivo, agisco-no in ciascun caso in misura diversa.

La semplificazione progressiva

Da parte dell’anima ciò si rifletterà in particolare sulla volontà e sull’intelligenza, che parallelamente a loro volta attra-verseranno una «lenta evoluzione»54. Così, rispetto all’intelli-genza, la contemplazione si distingue in due fasi: quell’inferio-

52 Corso sistematico penultimo pubblicato in Corso sistematico di teologia spirituale [secondo anno], offset, Collegio Internazionale dei Carmelitani Scalzi, Roma 1953, 115.

53 Corso sistematico di teologia spirituale in Corso sistematico di teologia spirituale /secondo anno, 115.

54 “Genesi della contemplazione”, 115.

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re, «affermativa o particolare», seguita da quella «negativa o generale»55. Dal canto suo, invece, la volontà passerà progressi-vamente «dalla molteplicità degli atti affettivi distinti ad atti più generali e continuati»56. Da parte di Dio, nella prima fase l’ani-ma riceverà «spesso... qualche illuminazione transitoria dello Spirito Santo» e, nella seconda, una «molto più abbondante»57.

Questo processo si svolge con ordine: prima tocca alla parte intellettuale e poi a quella affettiva58. Caratteristica comu-ne che si manifesta in ambedue le potenze è che, durante questa trasformazione, gradualmente semplificano sempre di più la loro attività ma senza arrivare a sospenderla59. Infatti, l’anima in ambedue le forme di contemplazione deve continuare ad appli-carsi, anche se in maniere diverse, e non c’è pericolo di pigrizia né di quietismo.

L’atto in cui si esprime questa «semplificazione», detta anche «spogliamento»60, per gli autori teresiani è uno sguardo che, in conformità con le due fasi, è duplice: prima «affermativo, positivo, concreto», e dopo «generale, negativo, indeterminato»61. Il nostro autore usa anche le denominazioni di «semplice sguar-do» e di «avvertenza generale ed amorosa a Dio»62. L’oggetto di contemplazione dei due sguardi sarà, secondo la sua evoluzio-

55 Ibid., 115. Per questa divisione P. Gabriele si richiama a Tratado breve e all’opera di tommaso di gesù, De la contemplation divine (cf La contemplazione acquisita, 156).

56 “Genesi della contemplazione”, 118.57 S. Giovanni della Croce, dottore dell’amore divino, Ed. di “Vita Cristiana”,

Firenze 19432, 79-80.58 “Genesi della contemplazione”, 118.59 Ibid., 118-119.60 Ibid., 115.61 La contemplazione acquisita, 156.62 “Genesi della contemplazione”, 115, e similmente anche La

contemplazione acquisita, 155-156.

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ne, nel primo caso l’umanità e nel secondo la divinità di Gesù Cristo63.

L’inizio della contemplazione

La prima forma della contemplazione iniziale o acquisita è quella affermativa. Essa consiste, come abbiamo visto, in uno sguardo contemplativo semplice, frutto prima dell’attività intel-lettuale particolare, e poi di quella affettiva, molteplice e distinta.

Questo sguardo è orientato chiaramente a favorire l’affet-tività, a diminuire il ragionamento e il suo guardare il Signore ha una connotazione precisa: è amoroso64. Tale amore, quando «si fa intenso, non sembra impossibile che, anch’esso, senza che si tratti ancora di amore passivo, possa aiutare a fissare in Dio lo sguardo dell’anima»65. La spiegazione è semplice: «In ogni amore intenso, infatti, vi è qualche cosa di sperimentale, almeno in senso improprio, cioè la persona sente nel cuore un’inclina-zione verso l’oggetto amato con cui spera potersi unire, e questo desiderio gliene dà una specie di esperienza “negativa” per cui potrà anche soffrire della sua assenza»66. Il che alla fine significa che i sentimenti naturali d’amore sono sufficienti per spiegare questo stato e pertanto non occorre chiamare in causa la mozio-ne infusa dei doni, seppure sia impossibile escluderla del tutto67.

Lo sguardo, in fondo, è un modo per comunicare con il Signore che esprime un «atteggiamento» dell’anima, e quindi può fare anche a meno delle parole68. L’oggetto dello sguardo

63 La contemplazione acquisita, 156-157.64 Corso sistematico di teologia spirituale, 115.65 Ibid., 115.66 Ibid.67 Ibid., 115-116.68 Ibid., 115.

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è fornito dall’intelligenza, ed è un concetto sintetico costruito con il lavoro discorsivo dell’immaginazione e della riflessione69; verte sull’umanità di Gesù proprio perché gli è accessibile. Si presenta come «generato» immediatamente dalla meditazione, nell’esercizio della quale l’anima acquista una predisposizione psicologica a praticarlo70 in modo spontaneo71. Bisogna però subito chiarire che «tutto non si riduce alla psicologia», perché facilmente interviene il Signore nei momenti di maggior racco-glimento, mandando «qualche» sua illuminazione o, come dice S. Giovanni della Croce, «bocconi di contemplazione»72.

Insomma, non si tratta di «un processo meccanico» ma della mutua collaborazione73, con la particolarità che l’anima si può rendere conto solo dell’impegno proprio e non dell’infusio-ne divina.

L’opera dell’intelligenza, in fin dei conti, avendo una funzione preparatoria, parte dalla meditazione e rimane nel suo ambito, di modo che il pensiero rimane sempre concettuale e distinto, pur compiendo un’evoluzione dall’analisi e dal discer-nimento allo sprofondamento nel mistero74.

In conclusione, questa è una contemplazione, «più diret-tamente attiva», che si raggiunge grazie allo stesso impegno dell’anima75, tanto dal punto di vista dell’intelligenza, quanto da quello dell’affetto. Pertanto con ragione è chiamata «acqui-

69 Corso sistematico di teologia spirituale /secondo anno/, cit., 76.70 La contemplazione acquisita, 155-156.71 Corso sistematico di teologia spirituale, 115.72 La contemplazione acquisita, 105-107, cf Salita II, XVII, 5 (XV, 4); Notte

oscura II, I, 1.73 La contemplazione acquisita, 130; 154.74 Corso sistematico di teologia spirituale, 116.75 Ibid., 115-116.

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sita», distinguendola così anche dalla contemplazione in senso proprio, che è aconcettuale nel suo modo di conoscere76.

Gli atti di questo sguardo semplice si caratterizzano come brevi e transitori, anziché continui e prolungati77. Giacché in tali momenti l’anima si dedica a guardare fissamente il Signore con amore, senza trattenersi in ragionamenti, ciò è sufficiente per denominare quest’orazione come contemplazione78. Se il nostro autore difendeva questa posizione, ancora fino agli ultimi anni della sua vita, invece nell’ultimo corso del 1953, rimasto interrot-to dalla morte, la cambia affermando che «non è che una forma dell’orazione affettiva», e poiché tale non riveste «nessun interesse speciale»79. Sembra così mettere in dubbio che si tratti di una contemplazione iniziale, e l’analisi da lui difesa in precedenza in buona parte cambia di significato.

Il transito

Il processo della trasformazione della contemplazione affermativa in negativa è di grandissima importanza per l’ani-ma, perché le permette di capire a quale cammino la porta il Signore e cosa deve fare. Le tappe costitutive di questo transito sono precisamente la notte oscura dei sensi, il suo discernimen-to attraverso i segni e la formazione dell’abito contemplativo. Partire dal tema della notte purgativa in generale ci permette di situare l’argomento nel suo logico contesto.

76 Ibid., 116.77 “Genesi della contemplazione”, 115; La contemplazione acquisita, 159.78 Corso sistematico di teologia spirituale, 116.79 Corso sistematico di teologia spirituale /secondo anno/, 76.

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La genesi oscura

Il passaggio dalla contemplazione affermativa a quella negativa, o l’inizio della contemplazione propriamente detta, segna anche l’abbandono definitivo della meditazione. Pertanto per l’anima è di un’importanza decisiva sapere come compor-tarsi in questo stato. S. Giovanni della Croce fu il primo a trat-tare l’argomento sistematicamente, completando così S. Tere-sa d’Avila80, grazie alla sua «intuizione geniale» che Dio agisce presto nelle anime che lo cercano con generosità81. Si rende conto che il transito alla contemplazione è un problema frequen-te e lo illustra tre volte «in modo diffuso»82 e sotto due fasi di sviluppo83, insegnando precisamente come riconoscere la grazia contemplativa e assecondarla84.

La genesi della contemplazione paradossalmente avvie-ne per l’anima proprio con una crisi spirituale, denominata dal Dottore Mistico «la notte oscura del senso», in cui l’anima s’in-contra in «uno stato d’impossibilità di meditare, cioè di forma-re ragionamenti ed insieme in una grande aridità affettiva»85. È causata direttamente da Dio, che attraverso l’attuazione dei doni purifica l’anima, comunicandole un nutrimento86 che «è principio di contemplazione oscura ed arida per il senso, occulta

80 La contemplazione acquisita, 86, 89.81 Ibid., 45.82 Concretamente in: “Salita II, 12-15; Notte oscura I, 8-14; Fiamma III, in

una lunga digressione” (cf Corso sistematico di teologia spirituale /secondo anno/, 76).83 P. Gabriele li chiama la contemplazione iniziale «in fieri» e «in facto esse»

esposte rispettivamente in Notte oscura I e Salita II (ibid., 76-77).84 La contemplazione acquisita, 45.85 Corso sistematico di teologia spirituale /secondo anno/, 76. Per la maestria con

cui il Santo descrive questo stato P. Gabriele gli assegna il titolo «il Dottore della Notte» (cf S. Giovanni, 133-139. Sulla aridità cf più diffusamente ibid., 109-111).

86 S. Giovanni, 133, 109; “Genesi della contemplazione”, 116.

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e segreta per quello stesso che la riceve»87. Secondo l’insegnamen-to di S. Giovanni della Croce, tale purificazione è necessaria per raggiungere l’unione con Dio88, e l’anima deve essere contenta di vedere che perde le operazioni delle sue potenze89. Questa crisi la maggior parte delle volte sopravviene improvvisamente90, può prolungarsi durante vari anni91 ed essere discontinua o continua; solo nell’ultimo caso conduce allo stato di contemplazione92. La sua intensità è subordinata «al grado d’unione d’amore che Iddio riserva all’anima» secondo il suo beneplacito93.

Il discernimento dell’aridità

L’aridità in questione, com’è inviata da Dio, dipende anche da Lui e per le caratteristiche che riveste, non è prevedi-bile. Inoltre, come sappiamo, può essere dovuta anche ad altre cause, dipendenti dall’anima. Proprio per discernere se è dovuta alla scomparsa di un elemento accidentale della devozione o alla distruzione della sua sostanza94, ossia per saperne la provenien-

87 Notte oscura I, IX, 6 (5), cit. in S. Giovanni, 113.88 Con questo, secondo P. Gabriele, si afferma di nuovo «la necessità

dell’intervento dei doni dello Spirito Santo nell’opera della nostra santificazione» (“Genesi della contemplazione”, 92-93).

89 S. Giovanni, 113.90 Corso sistematico di teologia spirituale, 116.91 La contemplazione acquisita, 49.92 S. Giovanni, 55-56.93 “Genesi della contemplazione”, 93.94 Il secondo caso è di valore negativo mentre il primo è positivo perché

«la scomparsa della devozione accidentale, cioè del gusto che l’anima trovava nel servizio di Dio» non impedisce la devozione sostanziale che consiste nella «sola prontezza della volontà con cui l’anima si consacra al servizio di Dio e agli esercizi della vita spirituale, che sia accompagnata o no dal gusto sensibile» (La contemplazione acquisita, 67).

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za, S. Giovanni della Croce fornisce tre segni distintivi95. Questi segni erano noti anche prima del Santo nella tradizione spiri-tuale, concretamente appaiono già nelle Istituzioni che si attribui- scono a Taulero, ma egli li «propone con più determinazione e manifesta tutto il loro profondo significato»96.

Il primo è la mancanza del conforto dell’anima tanto nelle cose divine, quanto in quelle create; il che permette di escludere l’infedeltà, ossia il ritorno colpevole alle creature, come causa dell’aridità. Il secondo segno si manifesta come ansietà che sente l’anima, preoccupata di non servire a Dio come prima: proprio questa sua sollecitudine dimostra che non si tratta di tiepidezza. Il terzo segno infine, che ha speciale importanza, consiste nel fatto che l’incapacità di meditare continua ad aumentare fino a stabilizzarsi, il che significa che non è dovuta a una causa fisi-ca, normalmente occasionale e passeggera97. In questo modo le cause più frequenti dell’aridità (infedeltà, tiepidezza, indispo-sizione fisica) sono eliminate e i tre segni insieme bastano per stabilire che Dio introduce l’anima alla contemplazione.

A questo punto S. Giovanni della Croce fornisce due consi-gli su come comportarsi: uno «negativo», di non forzarsi per tornare alla meditazione, e uno «positivo», di mantenersi nella «semplice attenzione amorosa di fede a Dio»98. Seguendoli si raggiunge lo stato contemplativo e si può abbandonare la medi-tazione99. Lo indicano di nuovo gli stessi tre segni, con l’unica

95 S. Giovanni, 111; La contemplazione acquisita, 67-68.96 S. Giovanni, 112; La contemplazione acquisita, 91.97 Su questi segni vedi La contemplazione acquisita, 68-77 e anche S. Giovanni,

112; Corso sistematico di teologia spirituale /secondo anno/, 76; Corso sistematico di teologia spirituale, 116-117.

98 Corso sistematico di teologia spirituale /secondo anno/, 77; Corso sistematico di teologia spirituale, 118; La contemplazione acquisita, 80.

99 Corso sistematico di teologia spirituale /secondo anno/, 77. Alcuni nella scuola teresiana parlano anche di un altro segno rispetto alla meditazione, ossia che

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differenza che l’ansietà dell’anima, il secondo segno che adesso è decisivo, si è gradualmente trasformata nel gusto di rimanere «in una semplice attenzione amorosa generale a Dio»100.

L’abito

Una volta superati i disagi della purificazione cui Dio l’aveva sottomessa, l’anima giunge allo stato contemplativo, in cui trova «uno stato di pace dove gode tranquillamente della sua nuova forma di orazione»101. Una delle ragioni è che durante la notte passiva del senso in essa si è andato costituendo l’abito della contemplazione, che adesso le permette di dedicarsi quan-do vuole e in maniera continua allo sguardo contemplativo102. Quest’abito che dà «in sostanza lo spirito della meditazione»103, e «in cui consiste la contemplazione»104, risulta dalla ripetizione dei singoli atti di attenzione amorosa, analogamente a quanto succede in qualsiasi altro campo105. È stato generato «in certo

«l’anima non può abbandonare interamente i concetti distinti fin che essi non spariscono da se stessi» (“Genesi della contemplazione”, 117).

100 I tre segni insomma nelle varie opere del Santo presentano sfumature diverse dipendenti dal contesto, specialmente secondo le due fasi del transito alla contemplazione, però in fondo coincidono (Corso sistematico di teologia spirituale, 116-117; Corso sistematico di teologia spirituale /secondo anno/, 77).

101 Corso sistematico di teologia spirituale /secondo anno/, 77. «Quindi avviene, dice S. Giovanni, che quando si mette in orazione (a guisa di colui che è giunto ad una fonte d’acque copiose e pure), beve senza fatica con tutta pace e soavità, senza che le divine acque debbano essergli derivate mediante i canali delle passate considerazioni, forme e figure» (Salita II, XIV, 2 cit. in “Genesi della contemplazione”, 94).

102 S. Giovanni, 117.103 Cf Salita, L. II, XIV, n. 2, cit. in “L’École”, 9, n. 1-3.104 La contemplazione acquisita, 154.105 «Il fine della meditazione e del discorso nelle cose divine è di ricavarne

qualche notizia e amor di Dio. Orbene, ogni volta che per la meditazione

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qual modo» e ciò in maniera progressiva dalla meditazione106. Il che vuol dire che in qualche modo, come si esprime S. Giovan-ni della Croce, anche senza negare la partecipazione divina, quest’abito si acquista107, benché ci siano anche i casi in cui viene «quasi “infuso” da Dio»108.

Nella pratica, proprio per la formazione progressiva dell’a-bito, la meditazione si dovrà lasciare gradualmente, riprenden-dola ogni volta che non si potrà persistere nello sguardo109. Si potrà infine abbandonarla del tutto solo quando già si possiede l’abito110, senza però disprezzarla111.

Paragonando le due forme di orazione il Dottore Mistico conclude: «La differenza che passa tra l’uno e l’altro esercizio, è quella che corre tra l’operare e il godere dell’opera fatta…»112.

Lo stato contemplativo

Una volta che si arriva allo stato contemplativo nella vita d’orazione si apre una nuova dimensione. Per illustrarla è neces-

l’anima ritrae quel vantaggio, fa un atto, e, come molti atti, in qualsivoglia ordine, vengono a generare abito nell’anima, così molti atti di notizie amorose che l’anima è andata mano a mano compiendo, col continuo ripetersi fanno sì che se ne formi l’abito in essa» (Salita II, XIV, 2 cit. in “Genesi della contemplazione”, 93-94. Cf anche “La contemplazione ‘acquisita’”, Rivista di vita spirituale, 3 (1949), 29).

106 “La contemplazione ‘acquisita’”, 30; La contemplazione acquisita, 154; S. Giovanni, 116-117. Certo la meditazione genera anteriormente, nel senso più proprio della parola, anche la contemplazione affermativa pertanto qui questo termine va inteso in maniera più attenuata.

107 “La contemplazione ‘acquisita’”, 28-30.108 La contemplazione acquisita, 120.109 “Genesi della contemplazione”, 117.110 Corso sistematico di teologia spirituale /secondo anno/, 77.111 La contemplazione acquisita, 122.112 Salita II, XIV, 2, cit. in “Genesi della contemplazione”, 94.

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sario determinare la sua natura, le espressioni e le conseguenze che provoca.

La contemplazione negativa

Questa contemplazione, come abbiamo visto, ha le caratte-ristiche di essere generale, negativa e indeterminata, come effet-to della semplificazione che ha subito l’attività delle sue potenze. In questo modo l’anima non si dedica più agli atti ed esercizi particolari e discorsivi ma solo a mantenersi in un atteggiamento quieto con il quale è attenta a Dio semplicemente facendoGli compagnia113. S. Giovanni della Croce compara questo compor-tamento dell’anima con «chi tiene gli occhi aperti, non facendo altro che tenerli aperti»114. In particolare, dal lato dell’intelligen-za si presta un’attenzione generale e da quello della volontà un amore, o meglio un desiderio di amore, anch’esso generale115. Ne risulta un’attenzione amorosa indeterminata e indistinta, benché non priva completamente degli atti particolari passeggeri, che sorgono spontaneamente senza che l’anima li avesse cercati116. Come dice il nome («attenzione»), comporta un’applicazione da parte dell’anima, perché altrimenti non si può creare il contatto con Dio e si rischia di cadere nel torpore e nell’oziosità117.

Anch’essa proviene dalla meditazione come suo «frutto connaturale»118. Questa è la ragione perché, seppure non tutte

113 “La contemplazione ‘acquisita’”, 24-25; Corso sistematico di teologia spirituale /secondo anno/, 77.

114 Salita II, XIV, 2 (XII, 2); XV, 2 (XIII, 2), cit. in La contemplazione acquisita, 106.

115 “La contemplazione ‘acquisita’”, 25; S. Giovanni, 116.116 “La contemplazione ‘acquisita’”, 25.117 La contemplazione acquisita, 82; “Genesi della contemplazione”, 101.118 S. Giovanni, 117.

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le anime che praticano la meditazione saranno portate allo stato contemplativo, la meditazione ben fatta è considerata «la via normale» che conduce alla contemplazione119. Sintetizzando, l’anima prima ha preparato questo stato, con l’esercizio perseve-rante della meditazione nel quale ha acquistato l’abito, e adesso si applica attivamente a mantenerlo. In questo modo si dispone in maniera giusta a ricevere debitamente la grazia che Dio le comunica120, e collabora con essa, principalmente in due modi: dedicandosi all’attenzione amorosa e non tornando alla medita-zione121.

L’incontro dei due elementi

All’impegno dell’anima risponde Dio122 col suo aiuto, infon-dendo passivamente all’intelletto la luce e alla volontà l’amore123, in modo che «così si uniscano notizia con notizia e amore con amore»124. Sono due elementi in tutto, uno attivo o acquisito e l’altro passivo o infuso, «la cui proporzione potrà variare secondo le diverse anime», ma che insieme formano uno stato di contem-plazione125. «Il primo elemento è un’attività semplificata dell’a-nima che consiste nell’attendere amorosamente alla presenza di

119 “La contemplazione ‘acquisita’”, 30.120 «È necessario, scrive S. Giovanni della Croce, che chi riceve si adatti

al modo di ciò che riceve e non in altra maniera, a fine di poterlo ricevere e ritenere come glielo danno; perché, come dicono i filosofi, qualunque cosa si riceve sta nel recipiente secondo il modo del medesimo» (Fiamma, IV, 32, cit. in Corso sistematico di teologia spirituale, 118).

121 P. Gabriele li chiama rispettivamente «cooperazione positiva» e «negativa» (S. Giovanni, 117).

122 La contemplazione acquisita, 106.123 S. Giovanni, 80.124 Fiamma, IV, 32, cit. in Corso sistematico di teologia spirituale, 118.125 S. Giovanni, 117-118; “Genesi della contemplazione”, 97.

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Dio con uno sguardo di fede oscura e generale, il secondo è un principio d’infusione divina, una certa attuazione dei doni dello Spirito Santo che viene ad aiutare l’attività semplice dell’anima per fissarla meglio in Dio»126.

Siccome l’elemento infuso «viene solo incontro» a quel-lo acquisito, e inoltre è preparato e accolto da quest’ultimo; è comprensibile che questa contemplazione sia chiamata attiva o acquisita127. Tanto più sapendo che questo è solo il principio dell’infusione così delicato, che non s’impone128 e non fissa l’ani-ma su Dio e pertanto essa non può avvertirlo129. Difatti, è una mozione ancora debole e pertanto nascosta e impercettibile, di modo che l’anima deve per forza cooperare perché altrimenti perderebbe ogni contatto con Dio130. Questa cooperazione, che consiste nella semplice avvertenza amorosa, è possibile, tanto positivamente quanto negativamente, e nello stesso tempo è utile131. Deve essere fatta con sollecitudine, senza la «preoccupa-zione» che farebbe solo ripiegare l’anima su se stessa132.

Insomma, si tratta sempre di una grazia «molto prezio-sa», ma che «il Signore concede facilmente, frequentemente, direi normalmente alle anime che si dispongono con sufficiente generosità»133. Certo, passando dalla contemplazione affermati-va a quella negativa l’attività diminuirà sempre di più e gradual-mente aumenterà la passività, il che porta il nostro autore a parlare rispettivamente di acquisizione diretta nella prima forma

126 S. Giovanni, 184. 127 Corso sistematico di teologia spirituale, 118-119.128 La contemplazione acquisita, 115.129 Ibid., 79, 83-84.130 Corso sistematico di teologia spirituale, 118-119.131 La contemplazione acquisita, 114-123.132 Ibid., 123.133 S. Giovanni, 107.

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e di acquisizione «almeno» indiretta nella seconda134. Pertanto, con il nome di «attiva» non si vuole negare il contributo divino, ma solamente affermare la necessità dell’applicazione da parte dell’anima, riservando invece il nome di «infusa» solo a quella contemplazione in cui si sperimenta l’azione di Dio135. Questa denominazione ha inoltre una sua giustificazione pratica, perché riflette l’esperienza dell’anima che «psicologicamente» speri-menta in un caso «la sua personale attività», e nell’altro «l’infusione divina»136.

Nel nuovo stato contemplativo, l’incontro dei due elemen-ti ha come risultato un cambiamento rilevante, particolarmen-te nella conoscenza e nell’amore dell’anima. L’intelligenza non conosce più mediante concetti distinti, maniera propria della meditazione, ma mediante la luce aconcettuale, molto tenue e perciò impercettibile, che riceve da Dio e «che perciò non comu-nica all’anima altro che un “senso” oscuro e generale di Dio»137. Questo permette all’anima di sentire «qualche cosa che potrà soddisfarla immensamente, benché non possa dire ancora di possedere ciò che sente»138. Anche la volontà, alla quale è infu-so l’amore passivo, ama in maniera nuova. È nell’insieme tutta un’esperienza affettiva nuova per l’anima che «in un modo suo proprio illumina l’intelligenza e la orienta in maniera più perfet-ta, benché oscura, verso Dio»139.

134 La contemplazione acquisita, 162-163.135 Corso sistematico di teologia spirituale, 119.136 La contemplazione acquisita, 163-164.137 Corso sistematico di teologia spirituale, 117.138 Ibid., 118.139 Ibid., 117.

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«Lo sguardo di fede amorosa»

Da parte dell’anima trovarsi in questa situazione richiede ancora un’applicazione attiva, questa volta con l’esercizio delle virtù teologali che purificano il suo spirito140, e specificamen-te le sue tre potenze che così allo stesso tempo si uniscono con Dio141. Con la fede l’intelligenza «si distacca da tutti i suoi lumi personali» per obbedire con umiltà; con la speranza la memoria «da tutto il creato», dedicandosi a cercare solo il suo Dio nel raccoglimento, e infine con la carità la volontà si purifica di «tutti gli affetti creati» dedicandosi ad amare con tutte le sue forze a Dio142. In sintesi però la contemplazione negativa è in modo speciale un’applicazione della fede e della carità143 e si esprime in uno sguardo proprio, diverso da quello della contemplazione affermativa, detto sguardo di fede amorosa144.

Adesso la fede, più forte e profonda che nello sguardo precedente, riveste un ruolo decisivo il quale ci permette di capi-re meglio la successione, ossia, come dice P. Gabriele, la «delicata teologia delle nostre operazioni spirituali» descritta dal Santo145.

Lo Spirito Santo, dice San Giovanni, illumina l’intelletto raccolto e lo illumina secondo il modo del suo raccoglimento. E poiché l’intellet-to non può trovare maggiore raccoglimento che nella fede, ne segue che lo Spirito Santo in nessun’altra cosa lo illuminerà maggiormente. Quanto più l’anima è pura nella perfezione della viva fede, tanto più s’accende la carità infusa da Dio; e quanta più carità possiede, tanto

140 La contemplazione acquisita, 131, 98.141 Ibid., 110.142 Ibid., 111-114.143 Ibid., 111, 131.144 Corso sistematico di teologia spirituale, 118.145 La contemplazione acquisita, 125.

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più lo Spirito Santo l’illumina e le elargisce i suoi doni, poiché la carità è la causa e il mezzo per cui vengono comunicati146.

Dunque la fede inizia in un certo modo il processo risve-gliando la carità che a sua volta provoca l’attuazione dei doni147. Visto dal punto di vista della carità, quella «attiva», che dipende dall’anima, «muove il Signore ad attirarla anche passivamente», il che infine serve per la mozione dei doni148. Bisogna notare anche, insieme con il nostro autore, che «sembra... che l’attualizzazione dei doni debba abitualmente accompagnare il semplice sguardo di fede pieno d’amore»149.

In conclusione, se nel complesso la contemplazione dipen-de dalla mozione divina, nella sostanza lo sguardo dell’anima «è un atto di fede informato dalla carità»150.

L’atto di fede contemplativo

Questo in particolare è l’atto più alto e più perfetto della virtù della fede, appunto perché mentre nella contemplazione precedente, quella affermativa, era ancora discorsivo e concet-tuale, adesso è aconcettuale e oscuro, e costituisce come tale la migliore disposizione per entrare in contatto intimo con Dio151. In questo modo l’anima «guarda direttamente, benché oscuramen-te, Dio tale quale è nella sua incomprensibile sopraeminenza»152.

146 Salita II, XXIX, 6 (XXVII, 5), cit. in S. Giovanni, 85-86.147 La contemplazione acquisita, 125.148 Ibid., 125.149 Questo per lui è l’insegnamento del Dottore Mistico e lo afferma

particolarmente sulla base del brano citato ma anche adducendo «la forza delle sue espressioni» e «l’insieme della sua dottrina» (“Genesi della contemplazione”, 96-97).

150 La contemplazione acquisita, 116.151 Ibid., 116-117.152 Corso sistematico di teologia spirituale, 118.

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Per comprenderlo di più conviene soffermarsi un poco sulla sua natura. L’atto di fede, spiega P. Gabriele, non è altro che un giudizio che si basa sui concetti umani ottenuti con l’espe-rienza153. L’infusione della luce divina fa sorpassare tali concetti, portando l’intelletto a Dio stesso: «è l’oggetto proprio e formale della fede... che trascende ogni potere intellettuale naturale. Il carattere “analogico” dei nostri concetti però ci permette, se non di “rappresentarla” adeguatamente, almeno di “significarla”»154. Questo vuol dire che alla base dei giudizi della fede avremmo sempre concetti naturali benché in maniere distinte; in confor-mità con ciò varierà anche l’applicazione dell’anima che potrà fissarsi o sui «giudizi “concettuali”», come nella meditazione, o sulla «sopraeminenza dell’Oggetto divino», come in questa contemplazione155. La scelta dell’oggetto insomma dipende dall’anima e determinerà rispettivamente uno dei due atti di fede, il più perfetto o il meno perfetto.

Da sola l’anima può, «almeno per qualche breve momen-to», realizzare il contatto puramente intellettuale della fede, ma giacché questo non può tenere occupata a lungo l’intelligenza, abituata a un altro modo di procedere, per perseverare è neces-sario che la mozione divina lo «venga a innalzare e rendere più intimo, per l’amore infuso»156. In conclusione, dipende dall’a-nima raggiungere l’atto di fede contemplativo e conservarsi in esso e questo è il «presupposto» indispensabile per la mozione divina157.

153 La contemplazione acquisita, 116.154 Ibid., 116.155 Ibid., 116-117.156 Ibid., 117-118.157 Ibid., 118.

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I vantaggi e la modalità

Nello stato di cui gode ora l’anima, dopo la notte oscu-ra, il vantaggio migliore consiste proprio nella nuova situazione, ossia nel fatto che riceve la contemplazione infusa158. Da questo seguono anche altri effetti: la volontà è rafforzata e l’anima si orienta più adeguatamente verso Dio, imparando a conoscere meglio e con più realismo se stessa e Lui159, crescendo nell’umiltà e nella riverenza160.

Le conseguenze sul terreno pratico sono immediate perché l’anima si «allontana così dai vizi e si sente portata verso le virtù e le pratica anzi nell’orazione stessa», vivendo e sperimentando in questo modo direttamente «quanto sia vero che l’operazione dei doni porti perfezionamento alle virtù»161. Infatti, l’attuazione divina dei doni ha tanto una finalità purificativa quanto illumi-nativa162.

Il comportamento dell’anima dunque cambia significati-vamente e quello che prima si presentava come il male adesso si vede in altra luce, di modo che, con S. Giovanni della Croce, l’anima può affermare: «Questa notte o purgazione dell’appetito è tanto felice per l’anima a motivo dei grandi beni e vantaggi che le apporta»163. Grazie, infatti, al transito doloroso, l’anima ha lasciato la via purgativa ed è entrata in quella illuminativa disponendosi alle grazie maggiori164.

158 Corso sistematico di teologia spirituale /secondo anno/, 77.159 Corso sistematico di teologia spirituale, 119-120.160 Corso sistematico di teologia spirituale /secondo anno/, 77.161 Corso sistematico di teologia spirituale, 120.162 “Genesi della contemplazione”, 93.163 Notte oscura I, XII, 1, cit. in Corso sistematico di teologia spirituale, 119.164 La contemplazione 1, 131-132; S. Giovanni, 119-120.

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Il passaggio alla contemplazione può essere fluttuante perché «non si compie in tutti... in maniera egualmente progres-siva», di modo che a volte avviene subito e a volte richiede l’aiuto della meditazione165. Insomma, il modo del transito non è uguale per tutti. A questo corrisponde «il carattere abbastanza fluttuan-te della contemplazione acquisita»166 come dell’attuazione dei doni, che con la loro intensità ne determinano la stabilità e la durata167.

È importante tener chiaro anche che non tutte le anime che si applicano con generosità, anzi neanche la metà, come specifica S. Giovanni della Croce, giungono effettivamente allo stato contemplativo, il quale, nonostante il ruolo attivo dell’ani-ma, dipende sempre dalla decisione di Dio168. Ciò non vuol dire che non siano chiamate alla santità o che «dovranno meno farsi sante»169. Tutti sono chiamati a questa meta e da tutti si chiedo-no l’impegno e la collaborazione per raggiungerla. Da parte sua il Signore concede a ognuno la grazia necessaria, ma in manie-ra diversa, quella più adatta per ciascuno170. Pertanto, nel caso concreto della contemplazione, se alcuni saranno portati allo stato contemplativo e, altri no, nonostante il loro fervore, questo non significa che riceveranno meno aiuto e meno illuminazione

165 Corso sistematico di teologia spirituale /secondo anno/, 77.166 Lo stesso si può dire anche dell’intelligenza (“Genesi della

contemplazione”, 117-118).167 Ibid., 98-99.168 «Dio non porta alla contemplazione tutte le anime che di proposito si

esercitano nel cammino spirituale, anzi neppure la metà, ed il motivo lo sa lui», Notte oscura I, 9, 9, cit. in Corso sistematico di teologia spirituale, 120.

169 Ibid., 120.170 «Dio ha mille modi, scrive P. Gabriele, per operare in noi e molto

meglio di noi egli sceglie per l’anima nostra il modo che più vantaggiosamente le conviene. Fidiamoci di lui!» (ibid., 121).

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da Dio171. Infatti «non v’è anima fedele che non venga confortata dalle illuminazioni e dalle ispirazioni dello Spirito Santo»172. Quello che cambia è solo la modalità dell’illuminazione, che nel secondo caso viene comunicata «maggiormente a briciole»173.

Conclusione

Il Carmelo ritiene la contemplazione come suo fine princi-pale e S. Teresa d’Avila afferma che tutti i suoi membri sono chia-mati alla contemplazione. P. Gabriele chiarisce poi che ciò vale pure per tutti coloro che fanno vita attiva, a condizione che cerchi-no anzitutto l’intimità divina. In particolare si precisa che la prima contemplazione, detta dei principianti, coincide nel Carmelo con quella richiesta dai novizi, ai quali è insegnata come parte inte-grante del metodo della preghiera. Essa segue alla meditazione, dove già agisce la grazia di Dio, e coincide con il colloquio affet-tivo. Dalla meditazione alla contemplazione iniziale, che si chia-ma anche acquisita, il passaggio avviene gradualmente e in esso si distinguono due fasi principali, quella attiva o affermativa e quella mista o negativa, che riguardano prima l’intelletto e poi la volon-tà e si esprimono rispettivamente in un duplice sguardo (quello semplice e quello di fede amorosa). L’arrivo alla contemplazione negativa è decisivo perché essa è la contemplazione, propriamente detta. Esso passa attraverso la purificazione della notte oscura del senso, causata direttamente da Dio, la quale quando è continua conduce a uno stato di contemplazione caratterizzato dall’abito, dallo sguardo contemplativo e abbandono della meditazione. La grazia della contemplazione infusa, debole e nascosta però essen-ziale, chiede ancora la cooperazione dell’anima che sarà sempre

171 Ibid., 121.172 Ibid., 121.173 Corso sistematico di teologia spirituale /secondo anno/, 77.

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più semplificata nelle sue operazioni e che si attuerà in particolare nell’esercizio delle virtù teologali alle quali corrisponderà l’attua-zione dei doni dello Spirito Santo.

Bisogna dire però che non tutte le anime sufficientemente generose dalla meditazione, come via normale, arrivano allo stato contemplativo. Anche il modo del transito per quelli che sono portati è variato e non uniforme. Tutti i cristiani senza distinzione sono chiamati alla santità e tutti quelli che s’impegnano ricevono la grazia necessaria a loro più adatta, che nel caso della contem-plazione significa che chi non è portato allo stato contempla-tivo riceverà l’illuminazione più a briciole. In conclusione il nostro autore, con la sua spiccata sensibilità pratica, nell’analisi della fase più delicata che è quella della nascita e sviluppo della contemplazione, in tutte le sue varie dimensioni, ci aiuta a vince-re le paure e darci generosamente all’orazione mettendo in chia-ro che il Signore anche se non ci porterà tutti alle vette mistiche e sarà esigente, alla fine non ci lascerà mai senza frutti secondo i bisogni di ciascuno. Ugualmente, in tutto questo riesce a rendere comprensibile la materia in sé ardua e insegna con chiarezza come assecondare l’azione di Dio per arrivare alla contempla-zione.