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RVS 67 (2013) 195-228 L’ audace espressione posta a titolo appartiene a Edith Stein in un contesto ben specifico: Forse, nel corso dei secoli, ci siamo assuefatti troppo a un nostro atteggiamento passivo nella Chiesa, concedendo qualche singola- re persona (Teresa di Gesù, Hildegard von Bingen, Caterina da Siena, ecc.), come “eccezione che conferma la regola”. Il XX seco- lo pretende di più! (F 299). Noi, donne (e uomini), che ci troviamo nel XXI secolo, possia- mo ancora riferirci a una figura testimoniale di indubbio valore storico ma ormai appartenente al secolo passato? Sia da un punto di vista teoretico, sia da quello esperienziale e sociale? L’asserzione Cristiana Dobner EDITH STEIN DONNA E LA DONNA ARTICOLI

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L’audace espressione posta a titolo appartiene a Edith Stein in un contesto ben specifico:

Forse, nel corso dei secoli, ci siamo assuefatti troppo a un nostro atteggiamento passivo nella Chiesa, concedendo qualche singola-re persona (Teresa di Gesù, Hildegard von Bingen, Caterina da Siena, ecc.), come “eccezione che conferma la regola”. Il XX seco-lo pretende di più! (F 299).

Noi, donne (e uomini), che ci troviamo nel XXI secolo, possia-mo ancora riferirci a una figura testimoniale di indubbio valore storico ma ormai appartenente al secolo passato? Sia da un punto di vista teoretico, sia da quello esperienziale e sociale? L’asserzione

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è ancora valida? Chi è questa donna che suscitava interrogativi ardui anche nella nipote Susan?

Zia Edith, ti conosciamo appena Chi sei in realtà? Un insieme di teologia e fenomenologia? Di antenati ebrei e di freddi ecclesiastici? Una discepola di dei stranieri? Che cosa ti ha condotto ad adorare l’ebreo sulla croce?1

Il padre spirituale della neoconvertita, abate Raphäel Walzer, ebbe a scrivere:

Non sappiamo quali siano i disegni della Provvidenza divina su coloro che ci hanno lasciato. Edith Stein sarà un giorno elevata agli altari o entrerà semplicemente nella storia come una perso-nalità ideale?… Una cosa resterà sempre vera: la sua immagine, la sua preghiera e il suo lavoro, il suo silenzio e la sua passione, il suo esodo verso l’Est non si cancelleranno più dalla memo-ria delle generazioni a venire. Questi ricordi non cesseranno di comunicare forza e di risvegliare un’aspirazione verso le profon-dità della fede, della speranza e dell’amore2.

Quale il volto di questa “personalità ideale”?Oggi chiediamo alla donna di essere pensante da se stes-

sa3, al femminile, avendo superata o trovandosi in fase di supera-

1 S. Batzdorff – Biberstein, Ricordo di mia zia Edith Stein, in W. Herb-strith, Edith Stein. Vita e testimonianze, Città Nuova, Roma 1987, p. 76.

2 W. Böhm, Édith Stein, à la lumière du Ressuscité, Médiaspaul, Paris 1985, p. 113.

3 K. Børresen, Le madri della chiesa, M. D’Auria, Napoli 1993, pp. 5-108; Id., A immagine di Dio. Modelli di genere nella tradizione giudaica e cristiana, Carrocci, Roma 2001; Id., Gender, Religion and Human Rights in Europe, Herder, Roma 2006; M. Perroni, Visibilità e invisibilità delle donne nella storia della teolo-

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mento dell’ipoteca androcentrica, peraltro già indicata da Stein stessa4.

Si apre allora un possibile ventaglio di riflessione:

– la donna Edith Stein;– il suo pensiero sulla donna;– la sua azione concreta per la donna;– oggi il “pianeta” donna.

La Donna Edith Stein

Edith Stein visse, in una vita «a zigzag» (LJF 459), dalla fine dell’Ottocento alla prima metà del Novecento, epoca che, nella sua prima fase di vita, «può essere convenzionalmente divi-sa in due periodi: l’epoca del potere di Bismarck e i decenni a

gia dall’età dei Padri alla nascita del femminismo, intervento svolto durante il VII Colloquio “Donna e teologia: bilancio di un secolo”, Roma 6-8 novembre 1996: «La loro percepibilità quali soggetti del vivere la fede e del riflettere sulla fede – i due poli sono inseparabili – è stata sin qui sempre filtrata al maschile»; per tutta la riflessione del «femminismo della differenza» cfr. C. Dobner, Fare Teresa fare Diotima? Donne pensanti pratiche XVI e XXI secolo, Edizioni OCD, Roma 2006.

4 Legenda per queste pagine: ESW: Edith Stein Werke, Herder, Freiburg-Basel- Wien; EE: Endliches und ewiges Sein. Versuch eines Aufstiegs zum Sinn des Seins, ESW 1986, Band II Essere finito e essere eterno. Per una elevazione al senso dell’essere, Città Nuova, Roma 1988; F: Die Frau. Ihre Aufgabe nach Natur und Gnade, ESW 1959, Band V; La donna. Il suo compito secondo la natura e la grazia, Città Nuova, Roma, 1968; LJF: Aus dem Leben einer Jüdischen Familie, ESW 1965, Band VII; ESGA 1, 2000: Dalla vita di una famiglia ebrea e altri scritti autobiografici, Città Nuova Edizioni OCD, Roma 2007; P: Positio super causae introductione, Roma 1983; SB: Selbstbildnis in Briefen. Erster Teil (1916-1933), ESW 1998, Band VIII; Selbstbildnis in Briefen. Zweiter Teil (1934-1942), ESW 1977, Band IX; WPH: Was ist Philosophie? Ein Gespräch zwischen Edmund Husserl und Thomas von Aquino, ESW1993, Band XV, pp. 5-47.

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cavallo del secolo fino alla prima guerra mondiale»5, mentre la seconda sarà interamente attraversata dalla furia nazista della Shoah.

La famiglia Stein presentava una fisionomia molto parti-colare, lo deduciamo da quanto afferma la sorella Erna:

[…] La nostra era una casa di ebrei ortodossi, in cui si osserva-vano scrupolosamente i digiuni e le feste. Mia madre credeva in Dio con tutto il cuore, ma aveva una mentalità aperta e in seguito non esercitò su di noi alcuna pressione6.

Con alcune specificazioni chiarificatrici essenziali:

A casa eravamo religiosi, nel senso che la nostra era una casa osservante della purità rituale riguardo al cibo (P II, 1, 220).

La piccola Edith amava molto la madre che riconosceva in lei l’ultimo frutto dell’amato consorte perito tragicamente:

Malgrado questo intimo legame, mia madre non era la mia confidente –, come nessun altro, del resto. A partire dalla prima infanzia, ebbi una strana doppia vita e agli occhi di un osser-vatore esterno io attraversavo trasformazioni incomprensibili e discontinue. Nei primi anni di vita avevo l’argento vivo addosso, sempre in movimento, traboccante di idee bizzarre, imperti-nente e saccente, invincibilmente ostinata e piena d’ira quando qualcosa andava contro la mia volontà (LJF 82).

Una descrizione in cui, a fatica si riconosce l’adulta padro-na di sé e anche piuttosto compassata.

5 R. Calimani, Capitali europee dell’ebraismo tra Ottocento e Novecento, Mondadori, Milano 1998, p. 160.

6 E. De Miribel, Edith Stein, Edizioni Paoline, Milano 1987, p. 19; lette-ra di Erna Biberstein, New York, 13-11-1952.

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La piccola però era anche molto percettiva e riflessiva:

Ma nel mio intimo c’era un mondo nascosto. Tutto ciò che vedevo e sentivo durante il giorno veniva trasformato interior-mente (LJF 83).

Il clima familiare talvolta era proprio burrascoso per il carattere irruente dei fratelli e delle sorelle:

Di tutte queste cose, per le quali soffrivo segretamente non face-vo parola con nessuno. Non mi veniva neppure in mente che se ne potesse parlare con qualcuno (LJF 83).

Era una bimbetta, e poi un’adolescente, molto rivol-ta all’interno che non si aprì neppure durante il soggiorno ad Amburgo presso la sorella maggiore:

La mia vita si svolgeva in una cerchia molto limitata ed io ero ancora più chiusa nel mio mondo interiore di quanto fossi a casa (LJF166).

Bambina che le sorelle maggiori avevano denominato «libro dai sette sigilli», educata secondo la Bildung, cioè lo stan-dard di comportamento codificato che allora andava sempre rispettato.

Bildung significava ottimistica fiducia nella cultura e nella vita, che plasmava il carattere, l’educazione morale, il primato della cultura e una credenza nell’umanità potenziale7

7 A.J. Peck, The German Jewish Legacy in America 1938-1988, Wayne State University Press/Detroit 1989, intr.; G.L. Mosse, Il dialogo ebraico-tedesco. Da Goethe a Hitler, Giuntina, Firenze 1988, p. 13.

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Questo patrimonio umano-culturale pervadeva i rapporti e ogni tedesco ebreo ne sentirà il sigillo, anche se costretto a lasciare la patria e a intraprendere la via dell’esilio, come Mosse:

In un certo modo quest’eredità tedesco-ebrea pervase la mia famiglia residente in Germania e in esilio, centrata com’era sulla cosiddetta “missione dell’ebraismo” con tutta la sua enfasi sulla Bildung come autocultura, cosmopolitismo ed atteggiamen-to razionale verso la vita8.

La prova del nove la si trova in coloro che emigrarono negli Stati Uniti d’America e che avevano forgiato una denomi-nazione particolare:

Si dicevano americani-ebrei e non ebrei-americani, uno spec-chio diretto del loro passato. Perché anche nella terra del Kaiser pure erano stati tedeschi-ebrei e non ebrei-tedeschi9.

La conferma di quanto Edith Stein ne sia impregnata la troviamo nelle prime pagine di presentazione a Storia di una fami-glia ebrea:

Negli ultimi mesi gli ebrei-tedeschi sono stati strappati alla tran-quilla ovvietà dell’esistenza e costretti a riflettere su se stessi, sulla loro natura e sul loro destino (LJF 23).

8 G.L. Mosse, The End is not Yet: A Personal Memoria of the German – Jewish Legacy in America, in A.J. Peck, The German-Jewish Legacy in America 1938-1988, cit.

9 W.G. Plaut, The Elusive German Jewish Heritage in America, A.J. Peck, The German Jewish Legacy in America 1938-1988, p. 87.

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Alcuni autori, come Wolfskehl10, nel 1933 pensavano che proprio nella Bildung si sarebbe potuto trovare il punto di incon-tro fra i tedeschi e gli ebrei:

[…] quella grande cultura tedesca “rappresenta il più nobi-le approccio a tutto ciò che è umano, ed è parte integrante dell’ebraicità”11.

Edith, facendosi adulta, si dimostrò una grande amica, capace di vive relazioni interpersonali e una donna dirompente per molti suoi atteggiamenti e scelte.

L’amica Rose Guttmann che ben ne conosceva l’intelli-genza e la mente perspicace per cui «ogni problema veniva così ricercato a lungo fino a quando la verità non veniva alla luce», la fece entrare nel gruppo pedagogico, formato prevalentemente da studenti appartenenti ai seminari di Stern.

La loro prassi prevedeva la visita, un paio di volte all’anno, di qualche istituto, guidati da qualche persona competente.

L’episodio avvenuto nella casa madre della contessa Thie-le–Winkler, nell’Alta Slesia, divenuta “Madre Eva”, è significati-vo per comprendere la mentalità e il giudizio sottile della giova-ne universitaria.

Grazie alla preghiera, sorella Frieda, aveva ricevuto in dono la macchina da cucire che le serviva. Il fatto suscitò stupore nei giovani perché tutti erano «liberi pensatori ma nessuno rise. Tutti chinammo il capo di fronte a tanta infantile fiducia» (LJF 220).

10 J. Bab, Kulturbund deutscher Juden, «Der Schild», 12, 14 settembre 1933, p. 148.

11 M. Sechi, Karl Wolfskehl «Exul immeritus», in M. Sechi (a cura di) Ritratti dell’altro. Figure di ebrei in esilio nella cultura occidentale, Giuntina, Firenze 1997, p. 111.

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A Breslavia, probabilmente nel 1912, ebbe luogo un festi-val dedicato a Bach, Edith acquistò un biglietto per ogni rappre-sentazione e, proprio nel corso di un’esecuzione, il suo animo si sollevò e ritrovò energia:

Non ricordo più che Oratorio venisse eseguito durante quella serata. So soltanto che a un certo punto udii l’inno di batta-glia di Lutero: “Ein feste Burg…”. Durante le funzioni scolastiche l’avevo sempre cantato volentieri con gli altri. E quando risuo-nò quella strofa in cui è espressa la felicità della lotta “E anche se il mondo fosse pieno di diavoli/ e volessero divorarci tutti,/ non avremmo mai più paura, dobbiamo pur riuscire…”, allora tutto il dolore e il pessimismo che mi pervadevano, scomparvero all’istante. Certo, il mondo può essere brutto, ma se adoperia-mo tutte le nostre forze – la piccola schiera di amici sui quali potevo contare ed io –, allora riusciremmo a spuntarla con tutti i “diavoli” (LJF 248-249).

Edith scriverà nel suo opus maius una riflessione che, velata-mente, è di grande sapore autobiografico:

L’insieme della nostra vita personale forse calza a pennello per dimostrare quanto si intende. Nel linguaggio corrente si distin-gue fra “il progettato” – vale nel contempo come “sensato” e “intelligibile” – e “casuale”, che in sé appare “non sensato” e “inintelligibile”. Ho in mente uno studio specifico e mi cercò perciò un’Università che corrisponda alla mia particolare richie-sta nel mio specifico campo. Questo è insieme più sensato e più intelligibile. Che io in quella città possa conoscere una persona che “casualmente” vi studi e un giorno “casualmente” venga a parlare con lei di problemi di concezione del mondo, non mi appare di primo acchito affatto un insieme intelligibile. Ma, quando dopo anni rifletto sulla mia vita, allora mi sarà chiaro che quel colloquio influì su di me decisivamente, forse fu “più essenziale” di tutto il mio studio e mi nasce il pensiero che forse “proprio per quello” “dovevo andare” in quella città. Quanto

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non era nel mio piano, era nel piano di Dio. E quanto più spesso ciò mi accade, tanto più vivo sarà il convincimento di fede che – considerato dal punto di vista di Dio – non c’è alcun caso, che la mia intera vita fino nei più minuti particolari è pre-indicata nel piano della Provvidenza divina ed è agli occhi onniveggenti di Dio un insieme di senso più compiuto (EE 152-153).

Ecco come ne gestiva la sua laboriosità:

Credo che chi non abbia lavorato, personalmente, a qualche cosa di filosoficamente creativo, se ne possa difficilmente fare un’idea. In quel caso, non ricordo di aver già provato un po’ di quella felicità profonda che in seguito mi sarebbe sempre acca-duto di sentire lavorando, una volta superate le prime e più dure fatiche. Non ero ancora arrivata a quel grado di chiarezza sul quale la mente può riposare nella fermezza di un’idea raggiun-ta, a partire da cui vede aprirsi nuove strade e progredisce con sicurezza. Andavo avanti a tastoni, come nella nebbia. Le cose che scrivevo, sembravano strane persino a me stessa e, se qual-cuno avesse dichiarato che erano tutte assurdità, gli avrei credu-to immediatamente. Da una difficoltà rimasi immune: non avevo bisogno quasi di cercare le parole. Le idee si traducevano come da se stesse in parole, in modo semplice e sicuro, restando, poi, sulla carta in modo tanto determinato e preciso che il lettore non trovava più alcuna traccia della sofferenza di quel parto della mente. Ogni ora che riuscivo a risparmiare la passavo alla mia piccola scrivania (LJF 332-333).

La sua attitudine creativa può finalmente esplicarsi e dimo-strare tutta la sua capacità abstractiva nel moto dell’intelligenza nella ricerca sull’Einfühlung, sull’empatia, termine che però crea alcuni problemi di traduzione e chi si sia cimentato nelle tradu-zioni delle opere della Stein non può ignorarli.

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Una grande amica

Rosa Bluhm, amica di Edith Stein fin dai banchi di scuola, afferma che «l’amicizia con lei è stato il più grande avvenimento della mia vita» (P IV, 253):

Aveva un grande amore del prossimo già prima della conversio-ne. Non l’ho mai vista astiosa. Non desiderava di parlare degli altri. Era incredibilmente benevola già da sempre. Ha visto nel nazionalsocialismo una strada sbagliata, ma non si è mai espressa con astio nei suoi riguardi. Esercitava verso gli altri una critica obiettiva e costruttiva. Non tollerava la critica falsa ed astiosa. Il suo giudizio era una ricerca della verità e della giusti-zia. Faceva sempre da mediatrice nelle discussioni. Era sempre piena di bontà e cordialità verso tutti (P IV 250).

Lo scoppio della I guerra mondiale colse di sorpresa la studentessa Edith Stein e i suoi compagni, immersi nelle loro riflessioni fenomenologiche che devono giocoforza abbandonare per essere reclutati e inviati al fronte.

La giovane ragazza ha una reazione che la pone vicina alle scelte dolorose impostesi allora e che la colloca sullo stesso piano dei suoi colleghi maschi:

Ora non ho più una vita personale, dissi a me stessa, tutte le mie forze appartengono a questo grande evento. Quando la guerra sarà finita, se sarò ancora viva, allora potrò pensare di nuovo alle mie faccende private (LJF 350).

Edith prese perciò la decisione di prestare servizio volon-tario invece di continuare gli studi, dovette però affrontare la madre e la di lei contrarietà:

“Col mio consenso non andrai”. Replicai a mia volta con la stes-sa determinazione: “Allora dovrò farlo senza il tuo consenso”.

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Questa brusca risposta fece addirittura trasalire le mie sorelle. Mia madre non era abituata ad una simile resistenza. Arno o Rosa le avevano detto spesso parole anche peggiori. Ma accade-va sempre durante un’esplosione di collera, mentre erano fuori di sé, e la cosa veniva presto dimenticata. Stavolta, invece, si faceva davvero muro contro muro (LJF 377).

E iniziò davvero il suo servizio da crocerossina in un lazza-retto per feriti e tifoidei, malgrado il mancato consenso materno cui oppose la sua inflessibile volontà.

Con la conoscente di Breslavia Suse Mugdan, ora anche lei crocerossina, a cui si sente vicina ed affine, Edith si espri-me ma conserva lo stile di educazione appreso, ritiene infatti di dover conservare il «lei»: «La goffa familiarità con la quale le altre infermiere si davano del “tu”, senza avere niente di profon-do in comune, ci portò a mantenere il “Lei” come segno di stima reciproca. Ciò accadde del tutto spontaneamente: non ci fu biso-gno di scambiarci neppure una parola in proposito» (LJF 403).

Un ambiente, quello del lazzaretto cui fu destinata, che non le confaceva, malgrado le sue scelte “laiche” ma rigorosa-mente etiche, come lo conferma una deposizione ai Processi:

Mi raccontò che una volta si era trovata in gran pericolo. Duran-te la prima guerra mondiale ella era in Moravia come croceros-sina. Un giorno i medici e le infermiere rientrarono brilli. Anda-rono nella stanza da letto di un medico, dove si fecero un grande schiamazzo e cose non belle. Ella non sapeva dove volgere gli occhi per non vedere ed aveva timore che qualcuno avvicinasse anche lei. Un medico vide il suo imbarazzo. Sebbene io credo che dovesse essere quello che le aveva chiesto la sua mano ed aveva ricevuto un rifiuto, egli la protesse. Il suo comportamento fece su tutti una grande impressione (P IX, 1, 417).

Margaretha Behrens ricorda altri tratti della personalità di «sorella Edith»:

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La sua gioia nelle passeggiate nella solitaria e bella regione dei Carpazi con la sua flora rara; il cordiale saluto quando incon-travamo qualche abitante del luogo; la sua tranquilla gentilezza verso il resto del personale – anche in situazioni difficili – la rendevano cara a tutti (P S, 1, 255).

La giovane si sentirà orgogliosa, forse anche ripagata, da quanto le ebbe a scrivere l’amato docente e amico A. Reinach dal fronte:

Cara sorella Edith! Ora noi siamo camerati di guerra… (LJF 432).

Conclusa la guerra, il rapporto con l’amato Maestro non tardò a rivelarsi difficile, il lavoro previsto infatti conosceva diverse tappe: Husserl le consegnava una pila di fogli stenogra-fati, «Dai corsi del 1913 e del 1915»12, da trascrivere in carat-teri normali, con un solo appunto di accompagnamento: «Mia elaborazione di base per la signorina Stein…».

Alla “segretaria” E. Stein spettava tutto il resto, cioè porta-re alla stampa, completa e conclusa, la ricerca in tutta la sua arcata architettonica… per ricevere un esemplare con dedica:

Alla signorina dott. Edith Stein, soccorrevole collaboratrice nel 1916-1917, con cordiali saluti. E. Husserl.

È ovvio pensare che una donna interessata alla ricerca non potesse relegarsi nell’ambito di un editing o di una redazione, Edith voleva un ruolo del tutto diverso ed essere considerata:

12 E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologi-ca, Libro terzo, La fenomenologia e i fondamenti delle scienze, Einaudi, Torino 1965, Apparato critico al testo, p. 962.

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Non solo come sua assistente per il lavoro… ma come collabo-ratrice nel lavoro (SB 13).

Una reazione solo “sociologica”, di importanza strategica? La giovane Stein racchiudeva in sé un principio ben più grani-tico:

Fondamentalmente non posso sopportare il pensiero di stare a disposizione di qualcuno. Posso stare a servizio di una cosa e per amore di una persona posso fare di tutto, ma stare a servizio di una persona, in breve, obbedire, questo non posso (SB 31).

Affermazione preziosa per la comprensione del suo tempe-ramento e del suo carattere ma anche per tutta la parabola di evoluzione e di spostamento d’ottica, che dovette intraprendere quando decise di sottomettere tutta la sua vita a una conversione cui impresse il voto di obbedienza all’interno della vita carme-litana.

Molto vicina e affine a Edith Stein fu Amelia Maria Jäger-schmid, sua allieva fin dal 1917, convertita nel 1921 al cattolice-simo e nel 1928 divenuta suor Adelgundis, benedettina a Santa Lioba.

Questa ex allieva di Husserl fu colei che lo assistette nell’ul-tima malattia e tenne sempre al corrente Edith Stein del decorso. Ecco come l’ex allieva coglie la donna Edith Stein:

Prima della sua conversione avevo visto la S.d.D. [Edith Stein] alle lezioni del prof. Husserl. Mi fece l’impressione di una donna poco moderna nell’abbigliamento, ma molto concentrata. Siccome sapevo che era assistente del prof. Husserl, l’ho osser-vata quando parlava con altri. Questo non le era evidentemente gradito. Conduceva sorridendo la conversazione con gli altri. […] Arava il terreno duro e arido del nostro spirito con grande

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abilità pedagogica e infinita pazienza, con tranquilla gentilezza e bontà inesauribile. Dava ascolto alle nostre domande e alle nostre obiezioni confuse e male espresse, sorridendo sempre con indulgenza, mai con ironia o con degnazione. Ci incoraggia-va incessantemente a fare piccoli passi e progressi nella severa scuola della disciplina intellettuale. Riscaldate dalla veramente sobria ebbrezza del suo spirito, ci lasciavamo con entusiasmo guidare da lei, cominciando a presentire una felicità del tutto nuova (P I, 203).

Ben altra è la reazione di Maria Elisabetta Offenberg che getta un’ombra che richiede di essere interpretata correttamente o, quanto meno, conosciuta. Il primo incontro avvenne nel 1917 all’apertura del seminario per i neofiti che avrebbero dovuto apprendere il metodo fenomenologico:

[…] questi [Husserl] mi indirizzò per discutere di filosofia dalla sua allieva Edith Stein. Eravamo un gruppo di 7 studentes-se che lavoravano e discutevano insieme con Edith Stein, ad esempio sul movimento come espressione. Ella richiamò la nostra attenzione sull’atteggiamento di preghiera dei monaci di Beuron. Edith Stein non toccava mai un argomento religioso, per non uscire dal tema. Che allora fosse ancora atea lo so da altri scritti su di lei. Edith Stein era a quel tempo, molto fredda e oggettiva… La consideravamo più che altro, come il portavo-ce di Husserl. Non irradiava nulla. Possedeva un sapere molto profondo (P X, 423-424)…

Non era ingiusta. Era una donna severa. Per questo non l’ab-biamo amata, né venerata. Sebbene fosse sempre vestita molto femminilmente, mancava in lei l’atteggiamento materno e di cameratismo verso di noi. C’era sempre, intorno a lei, un’atmo-sfera gelida (P X, 427).

Probabilmente Offenberg non entrava in sintonia con un temperamento e una postura come quella della Frau Doktor che,

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da parte sua, con molto umorismo, descrive questo gruppetto - 3 studentesse e 2 studenti, un benedettino e un parroco protestan-te – a R. Ingarden e lo denomina il suo Kindergarten…

Il distacco dimostrato, posto che sia stato proprio dimo-strato, era dovuto all’inesperienza della giovane docente alle prime armi? Oppure davvero ci troviamo dinnanzi a un’incom-patibilità naturale che impedisce la comprensione.

Raïssa e Jacques Maritain, vicini a tanti personaggi del mondo culturale e cristiano del loro secolo e persone dall’oc-chio critico nel valutare, incontrarono la Frau Doktor E. Stein nel corso delle giornate della Società Tomista a Juvisy promosse dall’editore du Cerf a Parigi nel 1931.

Un incontro breve ma intenso:

Come descrivere la purezza, la luce che irraggiavano da Edith Stein, la generosità totale che si indovinava in lei, e che doveva portare i suoi frutti nel martirio?… Raïssa ed io non abbiamo mai dimenticato quell’incontro e neppure l’ardore, l’intelligenza e la purezza che illuminavano il volto di Edith13.

Nel periodo in cui visse a Spira, le giovani studentesse del collegio delle domenicane ebbero modo di osservare quotidia-namente la loro insegnante e di comprendere la sua personalità; possediamo alcune testimonianze molto illuminanti a proposito:

[…] aveva molto temperamento e questo veniva fuori, benché sempre controllato (P I 64),

[…] aveva una personalità molto vivace ed era facile scoprire il suo atteggiamento interiore dal suo comportamento esteriore e dal suo volto (P I, 65).

13 J. Maritain, Cahiers Jacques Maritain, n. 25, dicembre 1952, p. 32.

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Edith Stein però non si rinchiudeva in un solo ambiente, quello scolastico o intellettuale, si apriva a chiunque con molta naturalezza e discrezione, senza preclusioni o difficoltà di sorta.

Ospite per il mese di luglio nella foresteria del Carmelo di Colonia, prima del suo ingresso nella comunità, ebbe molti quotidiani contatti con la giovane ragazza che serviva alla porti-neria e che ci lasciò una testimonianza chiara ai Processi:

Dal suo essere emanava qualche cosa di soprannaturale. Questo era palese sul suo volto in una espressione di serena contentezza nonostante i lineamenti dolorosi e si manifestava in un atteg-giamento pieno di pace, tanto che ho potuto prima dire che era come se un angelo si muovesse per la casa (P I, 126).

Gertrud von Le Fort che con il suo libro, La donna eterna, segnò una pietra miliare nell’elaborazione femminile nella vita e nella professione, l’ebbe come grande amica e confidente:

Nella mia vita ho visto solo due volte un volto umano che mi travolgesse: suor Teresa Benedetta della Croce, Edith Stein, e Papa Pio X14.

Tanto da conservarne sul suo scrittoio una fotografia del giorno della sua vestizione carmelitana e da ispirarsene durante la stesura del suo libro.

Grandezza che anche p. Přzywara colse:

14 G. von Le Fort, Sonderdruck zu Schule und Leben, Boppard, St. Carolus 1982, p. 47.

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Si può senza esitazione unire l’itinerario spirituale di Edith Stein a quello dei grandi pensatori ebrei, da Maimonide a Cohen e Husserl15.

Il suo pensiero sulla donna

Nel luglio del 1916 Edith Stein sarà l’«unica donna a passare il dottorato quell’anno in Germania»16, l’esito brillante, summa cum laude, lasciava sperare nella pubblicazione della disser-tazione nell’“Annuario” di Husserl. La realtà si dimostrò molto più dura: non ricevette nessuna proposta e il Maestro non «le offrì l’abilitazione»17.

Non fu il solo: nel corso degli anni ben quattro furono i rifiuti.

Edith Stein conferenziera

Edith Stein fu definita «la più grande donna del cielo dei filosofi tedeschi» (P VII, 332) dal prof. Dyroff, quando Maria Schweizer gli chiese a chi si sarebbe potuta riferire per la sua ricerca.

Ben presto Edith Stein fu chiamata a esporre il suo pensie-ro sulla donna. Nell’aprile del 1928, a Ludwigshafen, nel corso del grande Congresso dell’Unione delle Insegnanti Cattoliche di Baviera, ella tenne la sua prima conferenza pubblica: “Il valore tipico della donna, la sua importanza per la vita della nazione”.

15 E. Pryzwara, Edith Stein et Simone Weil, «Les Études philosophiques», 3 (1956), p. 458.

16 J. Bouflet, Edith Stein, Filosofa crocifissa, Paoline, Milano 1998, p. 108. 17 T. Wobbe, “Sollte die akademische Laufbahn für Damen geöffnet werde…”,

«Edith- Stein Jahrbuch 1996», Das weibliche, Echter 1996, p. 365. B. Schwarz in W. Herbstrith, Edith Stein, eine grosse Glaubenszeugin, Leben-Philosophie Neue-Dokumente, Plöger Verlag, Annweiler, Essen 1986, pp. 165-166.

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Wilhelmine Böhm fu teste oculare dell’aspettativa che vi regnava, mentre Balduin Schwarz, filosofo e marito di una giova-ne convertita dall’ebraismo, amica della conferenziera, sottolinea l’incedere della giovane donna: «Camminava come una persona raccolta ed insieme animata» e «nello sguardo allegro ed anche eccitato non dimenticava mai il suo spazio interiore»18.

Edith Stein, dal volto pallido e i capelli con la discrimina-tura raccolti sulla nuca, era piccola e modesta, abbigliata con semplicità e senza gioielli. Distinta e contenuta nella gestualità mentre con chiarezza esponeva il suo pensiero, emanava riserva-tezza e nascondimento ma anche forza e vigore.

Con espressioni, decisioni, proposte sempre innervate da un per e mai da un contro, con capacità di resistenza e di combat-tività, senza conoscere cedimenti ma pur sempre senza violenza e aggressività, toni e alterazioni che non le appartenevano e non le erano propri.

Fin dalle prime battute sottolineò il grande contrasto fra la folla del Congresso e il silenzio e la solitudine della Settimana santa trascorsa all’Abbazia di Beuron19.

Le conferenze si susseguirono, Josef Vierneisel in una di queste colse un aspetto diverso: «Mi parve una immagine di Maria» (P XXIII, 504), «accoglieva il successo delle sue magnifi-che conferenze senza compiacimento di sé» (P XXIII, 505).

La leva, del suo pensare e del suo agire, veniva poggiata su quanto consideriamo i «punti di silenzio, nelle antigrandezze del mondo»20, non disgregandosi in un atomismo impercettibile ma lasciando il segno luminoso e interiore di un campo gravitazio-

18 B. Schwarz in W. Herbstrith, Edith Stein, eine grosse Glaubenszeugin, Leben-Philosophie Neue-Dokumente, cit., pp. 165-166.

19 W. Böhm, Édith Stein, à la lumière du Ressuscité, Médiaspaul, cit., pp. 11-12.

20 E. Bloch, Il principio speranza, Garzanti, Milano 1994, vol. III, p. 1457.

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nale di domanda e risposta, di un’articolazione viva e vissuta fra natura e cultura, declinate al femminile.

Il prof. don Gunther Schulemann, che camminò con lei sulle vie dello Spirito, ai Processi depose:

Se penso ai suoi grandi occhi calmi e vorrei dire fiduciosi e pieni di attesa e al suo leggero e modesto sorriso in tanti incontri, e poi all’espressione seria delle sue ultime fotografie, sono certo che si sia operata in lei una continua ascesa verso una sempre maggiore perfezione, che ha condotto la sua vita su un percorso rettilineo e l’ha informata in maniera univoca (P 524).

La sua azione concreta per la donna

L’amica Rose Bluhm Guttmann, nella sua deposizione ai Processi, ne ricorda l’impegno politico-sociale:

Lavoravamo per il Partito democratico (non godevamo ancora del diritto di voto) e eravamo molto interessate a tutti gli inter-rogativi che riguardavano la donna che lavorava21.

La conferma si deve a Edith stessa quando scrive a Ingar-den il 30.11.1918:

Sono diventata membro del nuovo partito democratico tedesco […] il crollo del sistema mi ha convinto che era superato; chi ama il proprio popolo vuole contribuire a creargli una nuova forma di vita.

21 W. Herbstrith, Das wahre Gesicht Edith Steins, Kaffke, Aschaffenburg 1987, p. 38.

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Come riassumere questa donna poliedrica e diversa ma pur sempre se stessa?

P. Erich Přzywara, gesuita, maestro di H.U. von Balthasar, ci fa conoscere un altro aspetto dell’inizio della loro collabora-zione dal sapore “simbolico”:

Per la doppia modalità del suo essere spirituale: la più ampia ricettività femminile e la profonda compartecipazione e, pari-menti, una rude concretezza maschile (che poteva arrivare fino alla dura schermaglia e quasi fino, almeno all’apparenza, attra-verso essa a schermare la sua tenera femminilità)22.

Oggi il “pianeta donna”

Edith Stein e il “pianeta donna” oggi come si coordinano e si illuminano?

Il XXI secolo ha vissuto una grande svolta, una sorta di rivoluzione che, per i contenuti e la sua modalità, viene detta «epistemologica»23.

Le donne sono pensanti da se stesse e esigono una salvezza pasquale non defemminilizzata perché dipendente da un’ipoteca ideologica.

Edith Stein si palesa come un crocevia già tracciato perché aveva vissuto facendo propria un’attenzione sociale e politica di primo piano e quindi si può qualificare una donna che prese viva parte al Movimento femminista di fine secolo XIX e dei primi anni del secolo XX, con un accento tipicamente cattolico.

22 E. Přzywara, In und Gegen, Stellungnahmen zur Zeit, Glock und Luzt, Nürnberg 1955, p. 61.

23 Cfr. K.E. Børresen, introduzione di A immagine di Dio, Carocci, Roma 2001, p. 9.

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Era ben limpido per lei quanto oggi F.G. Brambilla espone in termini chiari: «La fenomenologia del corpo pone anzitut-to l’enfasi sul significato simbolico della corporeità in vista della costituzione dell’identità e della scoperta della verità»24.

La donna Edith Stein lo visse in pienezza, sia personal-mente, sia intellettualmente, consentendo di delineare alcune componenti euristiche peculiari:

– la capacità di afferrare i fenomeni;– la sensibilità alla loro varietà, ricchezza e specificità;– la tensione alla salvezza.

Se questa è la base su cui fondarsi, si comprenderà quale ne sia l’apertura, ricca di sensibilità che attraversa la realtà ma punta alla trascendenza.

Apertura attenta e silente che, grazie allo spostamento della sua autoreferenzialità, non riduce gli altri/le altre a oggetti ma li qualifica altamente come soggetti.

Categorie mentali quindi che devono essere nuove, per poter rispondere ai nodi teoretici che, altrimenti, invischierebbe-ro l’essere donna pensante da se stessa. Cadono alcuni schemi e barriere che fanno posto ad articolazioni diverse:

- la natura viene intrisa di libertà;- l’humanum nella sua interezza, nel dualismo maschile e

femminile, non viene coatto in una chiusura di genere di dispa-rità;

- l’egotropismo25 postula una felicità autentica perché si radica nella verità;

24 F.G. Brambilla, Antropologia teologica, Queriniana, Brescia 2005, p. 374.25 Egotropismo nella sua prospettiva positiva, in senso positivo, dono di

Dio nella tendenza naturale alla conservazione del proprio essere, all’inte-

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- il reale magnetizza l’essenzialità ma l’esistenza diventa esistenza metafisica, nella scoperta del senso che la fonda.

Solo così l’avventura femminile si spalanca alla divenien-za26, in un atto ecclesiale reso possibile, quale atto di fede che genera e insieme garantisce la presenza della donna nella società e nella Chiesa in piena visibilità.

Una modernità che si appella alla storia e al quotidiano, in nome di Edith Stein?

Ipotizzo un confronto serrato, indicando alcune donne, che oggi fanno scuola, con una breve sintesi:

– V. Wolf: la donna trova il suo luogo nell’intimità;– L. Irigaray: il femminile che non ha un luogo “proprio”

ma possiede la capacità di collocarsi, senza tuttavia smarrirsi, nei luoghi propri degli altri;

– J. Kristeva: si protende a una dimensione bifronte, al “discorso dell’eterogeneità”, con la donna dei due volti: parte-cipe ed estraneo;

– I. Murdoch: la donna trasuda amore e giunge alla scoper-ta della realtà attraverso l’arte e la morale;

– L. Cigarini: il contesto, detto dove esperienziale, costituisce il grembo del partire da sé.

Edith Stein regge? Può dare risposta? Anche se donna di decenni superati? Come contestualizzarla nell’oggi?

La sua proposta, fondata rigorosamente da un punto di vista filosofico razionale, ben si accorda con la postura, il conatus

grazione e realizzazione di se stessi. Questa è la strada delle ricerca felicità (Tommaso d’Aquino, Contra gentes II, 53).

26 K.E. Børresen, From Patristics to Matristics. Selected Articles on Gender Models, Øyvind Norderval, Katrine Lund Ore, Herder, Roma 2002.

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cognoscendi, che Papa Benedetto nel suo discorso a Regensburg27 ha definito «il coraggio di aprirsi all’ampiezza della ragione».

Il fenomenico viene così squarciato, intelligentemente squarciato, dilatandosi non disintegrandosi, su di un piano che tutto comprende e abbraccia, la donna così da Edith Stein viene qualificata dalla sua particolare ricettività per l’agire di Dio nell’anima.

L’essere ricevuto in dono e come dono si riversa su ogni ambito di vita e ne diviene radice costitutiva ed esistenza aperta simultaneamente a Dio e alla storia.

Attualmente ricorrono alcuni termini che si possono confrontare con l’esperienza di vita di Edith Stein, cui nessuno potrà negare o mettere in dubbio la qualifica sia di ragionante sia di senziente. Ne scelgo due:

– Il maternage: inteso come accento principale ed enfatico della custodia della casa come privilegio femminile. La rispo-sta steiniana si colloca sul piano dell’inclusione e non su quello dell’esclusione.

– L’etica civile: quale dimensione moderna in cui compiti e ruoli vengono «intesi come destino naturale»28, in cui professio-nalità, relazionalità, visibilità sociale sono intramate dall’annun-cio evangelico.

La citazione seguente lo dimostrerà ampiamente:

Così viene spezzata la norma anticotestamentaria, per la quale la donna può operare la sua salvezza solo generando figli. Ci si era allontanati, in alcuni casi, da questa norma, già nell’An-

27 Dalla lectio all’Università di Regensburg 12 settembre 2006.28 P. Gaiotti de Biase, Da una cittadinanza all’altra. Il duplice protagonismo

delle donne cattoliche, in G. Bonacchi – A. Groppi (a cura di), Il dilemma della cittadinanza. Diritti e doveri delle donne, Laterza, Bari 1993, p. 158.

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tico Patto, con la chiamata divina di alcune donne a compiere imprese straordinarie per il popolo di Dio (Deborah, Giuditta) (F 94).

Si delineano perciò alcuni ethoi che, simultaneamente, fondano e sollecitano la donna nel suo esistere:

- nell’apertura alla Parola di Dio che si incarna nella storia del proprio popolo e si riversa in servizio di fede e di sapienza vitale;

- nella razionalità coerente e vigile;- nella vita di ogni giorno che si articola in simboli religiosi; - nella via dell’esperienza o “teologia dei santi” che dimora

nell’universo mentale della donna e può diventare pensiero filo-sofico e sapienziale se coniugato con la ricerca della verità;

- nel contesto del vissuto e declinato avvertendo il sensibile come spirituale e il desiderio come molla dell’esistere;

- nel creare gesti inediti o antichi, espressi in un linguaggio nuovo, che non escluda le cure materne e quelle della generazio-ne, ma in queste trovi l’apertura al mondo;

- nel flusso ininterrotto di amore, pensiero, arte, linguag-gio, nel contesto culturale.

Edith Stein, che ha molto riflettuto e ponderato il sogget-to donna nelle sue manifestazioni e definizioni, risulta affine al sentire moderno del viaggio dell’anima sempre in perpetua creazione e (s)creazione sul cammino della vita, «sulle orme di quell’itinerario del pensiero che le filosofe esperiscono, nella ricerca inquieta della propria anima viandante»29.

29 M.I. Silvestre – A. Valerio (a cura di), Donne in viaggio, Laterza, Bari 1999, p. X.

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La sua ottica fu completamente polisemica: psicologica, filosofica, sociologica, religiosa. Prettamente teorica ma non avulsa dalla Lebensphilosohie di cui ebbe a dire:

Il nostro è un tempo che non si contenta più con considerazioni metodiche. Le persone non hanno un sostegno e lo cercano. Vogliono una verità che sia afferrabile e che concerna il conte-nuto, che dia buoni risultati nella vita, vogliono una “Lebensphilo-sophie”. La trovano in me. La mia filosofia è lontano come il cielo da quanto oggi corre sotto questo nome. Lo slancio ditirambico si cercherà invano in me (WPH 31).

Nulla però della sua riflessione rimaneva lettera morta, parola vuota, tutto trovava la modalità di postura e prassi quoti-diana.

In sintonia con V. Frankl nella ricerca della verità:

Non si può imporre la verità perché è impossibile. Infatti la veri-tà si impone per se stessa non appena sarà colta effettivamente come verità propria. La sua verità non è mai “una” verità, ma la verità, ossia la verità considerata dal suo punto di vista. È tale sua prospettiva a svelargli e schiudergli la verità. D’altra parte la mia prospettiva, influenzandolo, traviserebbe la verità. In questo modo l’unico assoluto che la verità consente all’uomo è l’unicità assoluta della prospettiva attraverso la quale la verità si manifesta ad ogni uomo. In questo modo il prospettivismo non sfocia nel relativismo30.

Quindi non imposizione ma annuncio reale e fattivo, perché promanante semplicemente da se stessa e dal proprio stile di vita, Edith Stein perciò donna testimoniale.

30 V. Frankl, Homo patiens. Soffrire con dignità, Queriniana, Brescia 1998, p. 24.

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La fenomenologa si era posta l’interrogativo, latente ma scorrente in tutto il suo lavoro sulla donna, sull’esistenza di una donna modello e della possibilità di tracciare una biografia di una donna ideale.

Una sorta di fessura in cui collocarsi per poter osservare la realtà e ritrovare Mirjam, la Theotokos, la portatrice di Dio, donna che appartiene al genio femminile in misura colma e perfetta di quanto oggi diciamo “mettere al mondo il mondo”31 e che consi-deriamo «legata alla storia d’Israele, alla linea delle matriarche, delle quattro Madri di Israele, delle sue eroine di Mirjam, Debo-ra, Giaele, Giuditta, Ester e della madre dei sette fratelli, ma anche restituita alla storia dell’Alleanza, Maria appare come la figura ultima della Sposa, fioritura e perfezione della santità pazientemente educata nel cuore d’Israele. In lei si compiono gli oracoli profetici che disegnano in anticipo i tratti della santa Sion»32.

In sintonia con il tempo dato da vivere a Edith Stein, H.M. Köster infatti scrive:

La mariologia, dalla metà del secolo scorso e ancor più dall’i-nizio di questo secolo, rappresenta l’aspetto intellettuale d’una nuova influenza spirituale, sulla Chiesa intera, da parte della persona della Madre di Gesù e del significato che essa riveste. Questo rinnovamento porta ad un approfondimento di pensie-

31 AA.VV., Diotima 1990, Mettere al mondo il mondo, La Tartaruga, Milano; L. Boella, Pensare liberamente, pensare il mondo, in Diotima 1990, Mettere al mondo il mondo, La Tartaruga, Milano, pp. 173-188; inoltre tutta la riflessione legata a Diotima e alle sue pubblicazioni: Il pensiero della differenza sessuale (1987); Mettere al mondo il mondo (1990); Il cielo stellato dentro di noi (1992); Oltre l’uguaglianza. Le radici femminili dell’autorità (1995); La sapienza di partire da sé (1996); Il profumo della maestra (1999); Approfittare dell’assenza (2002); La magica forza del negativo (2005); L’ombra della madre (2007).

32 A.M. Pellettier, Il Cristianesimo e le donne, Jaca Book, Milano 2001, p. 32.

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ro, restituendo il carattere di teologia autentica alla dottrina mariologica, or qua or là affidata in modo esagerato alle forze del sentimento33.

Mirjam intesa come icona, immagine densa di presenza, «tutta santa eppure totalmente umana, donna nella ricchezza della sua femminilità»34.

Colei che offre una sorta di sintassi di vita per tutte le perso-ne e che Edith Stein considerava come Urzelle, cellula primordia-le (F 260).

L’elaborazione steiniana, pur sempre rigorosa e fondata, non si apparenta però a una quaestio mariologica, quanto piutto-sto è vicina al grande convertito Newman di cui tradusse alcune opere e che visse guardando e pensando a Mirjam come «espres-sione di un cuore innamorato».

Mirjam è pensata e sentita come odegeta, colei che apre una via, un cammino, una persona concreta e reale e non una figu-rante nel contesto della storia.

Da questa comunione orante e pensante si può delineare la natura femminile secondo Edith Stein e il suo assoluto. Proce-do per annotazioni tratte dalle opere che connotano la donna e la rendono chiave di volta nella società e nella Chiesa.

L’asserzione, prima e privilegiata, è capitale:

Chi guarda a Lui [Cristo] e a Lui si dirige, ha davanti Dio, l’ar-chetipo di ogni personalità e il compendio di tutti i valori (F 284).

33 H.M. Köster, Mariologia nel XX secolo, in AA.VV., Bilancio della teologia del XX secolo, Città nuova, Roma 1973, vol 3, p. 137.

34 B. Forte, Maria, la donna icona del Mistero. Saggio di mariologia simbolico-narrativa, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 1989, p. 5.

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Punto capitale nella sua vita e nel suo pensiero da quando Lo incontrò:

Vivere la fenomenologia come via per questo incontro fu la genuina e originale vocazione di Edith Stein, la cifra del suo cammino, che essa seppe salvaguardare e difendere, con soave fermezza, anche di fronte all’autorità e grandezza, di cui essa ebbe peraltro piena coscienza, di Maestri come Husserl e Heidegger35.

Se ne deducono alcune posture che la donna vive comple-tamente nella sua vita interiore e nella sua prassi quotidiana:

Particolare ricettività per l’agire di Dio nell’anima e la consegna a Cristo:

Cerchiamo solo l’immagine di Dio in ogni persona e vogliamo soprattutto aiutarla a ottenere la libertà. Possiamo perciò solo dire: la peculiarità della donna consiste essenzialmente nella partico-lare ricettività per l’agire di Dio nell’anima, e giunge a sviluppo puro, quando ci abbandoniamo a questo agire con totale fiducia e senza resistenza (F 283-284).

Presuppone un ascolto libero rivolto dentro di sé e la capa-cità di distinguere gli stati d’animo per potere di conseguenza discernere l’irruzione dello Spirito e la sua azione.

35 C. Sini, introduzione a L. Vigone, Introduzione al pensiero filosofico di Edith Stein, Città Nuova 19912, 1973, p. 10.

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Lo stare di fronte:

[…] è chiamata di ogni cristiano ridestare e sollecitare la vita di fede nelle anime, sempre quando ce ne sia la possibilità. La donna però vi è chiamata in modo specifico, grazie alla sua posi-zione particolare verso il Signore, che le sta di fronte (F 260).

Il rimando è a quel momento che la Scrittura ci trasmette nel libro della Genesi: Adam viene colto dal tardemah, dal sonno, mentre JHWH crea la donna in una teofania che rimane nota a lei sola. Si fonda e si apre quindi un dialogo silente e misterioso e non è l’uomo che delinea e definisce la donna, ma JHWH stesso mentre la donna accoglie e accetta.

La donna riceve gli stessi doni dell’uomo:

Ella, secondo l’ordine originario, è data all’uomo come compa-gnia e aiuto. Le spetta quindi che gli stessi doni di lui siano anche suoi, per stare al suo fianco nella signoria sulla terra: rico-noscerne i doni, gustarli e plasmarli (F 83) … e la possibilità di svolgere lo stesso lavoro come lui – con lui, insieme, o al suo posto (F 117).

Il riconoscimento delle doti e dei doni e il loro esercizio nella costruzione della persona prima e della società intera poi. In piena simmetria e indipendenza, pur in correlazione viva.

La cura empatica:

La donna può penetrare con empatia e comprensione nel terri-torio di realtà che, in sé, le sono distanti e di cui mai si occupe-rebbe, se un interesse personale non la mettesse in rapporto. Questo dono è strettamente connesso con la disposizione a esse-re madre (F 52–53);

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Due doni che si intrecciano nella donna, che può renderli fecondi con una postura creatrice di nuove dinamiche e di aiuto sempre pronto.

Il desiderio naturale di dare interamente se stessa ad un altro:

[…] quando l’anima è vuota di se stessa e in se stessa raccolta. Certo, quando il proprio, rumoroso Sé viene messo da parte, allora chiaramente c’è spazio e tranquillità, e gli altri vi trovano posto e possono rendersi percepibili. Non proviene però dalla natura, sia dell’uomo sia della donna, «O Signore Dio, togli anche me a me stesso e dà tutto me intero a te solo», si dice in un’antica preghiera tedesca. Non possiamo farlo da noi, ma deve farlo Dio. Il pregarlo così però, per natura è più facile alla donna che all’uomo, perché in lei vive il desiderio naturale di dare se stessa interamente ad un altro (F 139).

Il desiderio naturale può slanciarsi, può liberarsi e suscita-re altri desideri di donazione. Il presupposto però non concede dubbi: svuotare se stessa è impresa lunga e dolorosa, processo di crescita e di maturazione che corre parallelo con il raccogliersi in se stessa. Non imbattendosi nel vuoto e quindi correndo il rischio della depressione ma incontrando il Dio sempre presente che attende appunto di essere incontrato.

La capacità corporea sessuata:

Nella donna prevalgono le capacità di proteggere, custodire e sollecitare nello sviluppo l’essere in divenire e in crescita: perciò possiede il dono di vivere strettamente legata con il corpo e di raccogliere in silenzio le forze; d’altra parte la capacità di sopportare le sofferenze, la privazione e di adattarsi; spiritual-mente ha la postura al concreto, all’individuale, al personale, la capacità di cogliere, nella propria individualità e di adattarvisi, il desiderio di aiutare nel proprio sviluppo (F 116-117).

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Dire donna è dire corpo, che può esprimere forze nasco-ste o imprevedibili, sempre pronte a intervenire quando ne sia colta l’urgenza. Una plasticità che, adattandosi, non si nega ma si rende sempre più trasparente.

La totalità e la determinazione:

Per la totalità e la determinazione, che è propria della natu-ra femminile più matura, sgorga da un convincimento di fede saldo e interiormente fondato, quasi naturalmente, il desiderio di vivere solo di fede, che significa, porsi del tutto al servizio del Signore (F 162-163).

Un desiderio che vuole trovare la sua concretizzazione vitale, non rimanere un vago aspirare. Il servizio del Signore richiede quella totalità e quella determinazione che la donna ritrova dentro di sé come sue peculiarità.

La purità assoluta:

Porre soprattutto l’amore di Cristo non solo nel convincimento teorico ma nel sentire del cuore e nella prassi dell’amore, signifi-ca essere liberi da ogni creatura, da un falso legame con se stesso e con gli altri: questo è il senso spirituale più intimo di purità (F 222-223).

Essere libera richiede un discernimento che promana sia dalla riflessione, dal pensiero, sia dal sentire profondo che si riversano nell’agire quotidiano. Nelle sue molteplici sfaccet-tature si presenta come purità, trasparenza senza macchie alla relazione con Colui che è Amore.

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L’obbedienza e il servizio:

Un’inclinazione naturale della donna, all’obbedienza e al servi-zio: nell’obbedienza sento la mia anima sempre libera al massi-mo (F 52-53).

Quell’obbedienza che la giovane ricercatrice ha rifiutato con energia e che interpretava come assoggettamento, come perdita, nella sua parabola di maturazione ci si palesa guadagno, come traguardo raggiunto.

La partecipazione alla vita professionale:

Maria alle nozze di Cana: il suo calmo sguardo scrutatore osserva tutto e scopre dove manca qualcosa. E, prima che qualcuno lo noti, prima ancora che subentri l’imbarazzo, ha già escogitato il suo aiuto. Trova mezzo e modi; offre le neces-sarie indicazioni, tutto assolutamente in silenzio, inosservata. Ecco il modello della donna nella vita professionale. Sempre dove sia assunta, essa adempie in silenzio ed obbedienza il suo servizio, senza richiedere attenzione e riconoscimento. Ed insieme, osserva con occhio vigile le situazioni, avverte dove c’è un vuoto, dove qualcuno abbia bisogno di aiuto, e intervie-ne a regolare, per quanto può, impercettibilmente. Così ella diffonde ovunque, come uno spirito buono, la benedizione (F 58).

Un atteggiamento sapienziale e ricco di dedizione assoluta che non pone se stessa al centro dell’attenzione ma sa stare al margine, pur essendo, in realtà, il perno di tutto.

Senza dimostrazioni o esternazioni, semplicemente nell’a-gire più corretto e vigilante.

La donna e l’uomo o l’uomo e la donna? Per Edith Stein l’interrogativo è illusorio, quando non meschino o mal posto.

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Vi è un’interezza nell’humanum che parla dell’origine e chiede, attraversando la storia, di esservi riportata con tutti gli eventi che l’hanno caratterizzata, con un solo balzo: «Nel ritorno ad un rapporto di figli verso Dio» (F 88).

Nel grande mosaico della storia della salvezza, ecco l’uo-mo e la donna, insieme, che ne sono i grandi ma non unici prota-gonisti:

Nel Nuovo Patto l’uomo ha parte nell’opera della redenzione attraverso il più stretto legame a Cristo: attraverso la fede, che lo fa aderire a Lui come via alla salvezza, e perciò alla verità da Lui rivelata e ai mezzi di salvezza da Lui offerti; attraverso la speran-za, che con ferma fiducia attende la vita da Lui promessa; attra-verso l’amore, che cerca in ogni possibile modo di avvicinarsi a Lui; cerca di conoscerLo sempre più da vicino con la medita-zione della Sua vita e la riflessione delle Sue parole, l’unione più intima con Lui l’anela nella santa Eucaristia, la continuazione mistica la vive attraverso la compartecipazione dell’anno litur-gico e la Liturgia della chiesa. Su questa via di salvezza non c’è nessuna differenza di sesso. Da qui viene la salvezza per entram-bi i sessi e per il loro reciproco rapporto (F 88).

L’intelligenza umana si ritrova agapica, fondata e fondan-te, ricevuta dal Creatore e sostenuta dal dono continuo e inesau-sto dello Spirito, per diventare sempre più simili al Figlio:

Appartenere a Dio nella più libera consegna dell’amore, e servi-re, non è solo la chiamata di alcuni eletti, ma di ogni cristiano: consacrato o non consacrato, uomo o donna, ciascuno è chiama-to alla sequela di Cristo. E, nella misura in cui avanza su questa via, diventerà più simile a Cristo e, poiché Cristo incarna l’ideale della perfezione umana, in cui sono eliminate tutte le unilateralità e tutti i difetti, unisce i tratti della natura maschile e femminile, le debolezze vengono eliminate, i suoi fedeli seguaci allora vengono innalzati sempre più al di là dei confini della natura (F 98).

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Edith Stein quindi, con la sua fenomenologia sapienzia-le della verità, anticipò ampiamente i tempi, oggi il suo atteg-giamento verrebbe detto «uscire in strada»36, nella declinazione di diversi movimenti: da laica prima, da credente poi, uscendo però dalla scena percepita entrando in monastero, prorompendo infine sulla brutale, ma universale, scena della Shoah e venendo proclamata Patrona d’Europa. Un’integrazione femminile nella polis del tutto completa, da monaca carmelitana dall’intelligenza agapica e da donna pulsante ragionante senziente.

36 L. Bruit Zaidman, Le figlie di Pandora. Donne e rituali nella città, in G. Duby – M. Perrot, Storia delle donne in Occidente, I, L’Antichità, a cura di P. Schmitt Pantel, Roma-Bari 1990, p. 375.