Teramani n. 85
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mensile di informazione in distribuzione gratuita
LA VERITÀNON FA MALE
INFERNOCASTROGNO
QUO VADIS...PALLAMANO TERAMANA?
pag. 4
pag. 12
pag. 29
CHE DIOCE LA MANDIBUONA!
Febbraio 2013
n. 85
SOMM
ARIO 3 L’editoriale “Purè da noi”
4 La Verità non fa male
6 Teramo Culturale
8 Fabrizio Corona
9 La Resistenza nel Teramano
10 Letterati, Libri e Lettori
12 L’Inferno di Castrogno
13 Caritas o Supermercato
14 Confi ndustria Teramo
16 Il Braga
18 L’Oggetto del Desiderio
20 Musica
22 La Via dei Borghi
24 L’Uomo senza indirizzo
24 Note Linguistiche
25 Coldiretti Informa
26 Cinema
28 Calcio
29 Pallamano
30 Salute
Direttore Responsabile: Biagio TrimarelliRedattore Capo: Maurizio Di Biagio
Hanno collaborato: Mimmo Attanasii, Raffaello Betti,Luca Cialini, Maurizio Di Biagio, Maria Gabriella Di Flaviano, Carmine Goderecci, Carlo Manieri, Silvio Paolini Merlo, Antonio Parnanzone, Sirio Maria Pomante, Egidio Romano, Sergio Scacchia
Gli articoli fi rmati sono da intendersi come libera espressionedi chi scrive e non impegnano in alcun modo né la Redazionené l’Editore. Non è consentita la riproduzione, anche soloparziale, sia degli articoli che delle foto.
Ideazione grafi ca ed impaginazione: Antonio Campanella
Periodico Edito da “Teramani”, di Marisa Di MarcoVia Paladini, 41 - 64100 - Teramo - Tel 0861.250930per l’Associazione Culturale Project S. Gabriele
Organo Uffi ciale di informazionedell’Associazione Culturale Project S. GabrieleVia Paladini, 41 - 64100 - Teramo - Tel 0861.250930
Registro stampa Tribunale di Teramo n. 1/04 del 8.1.2004Stampa Bieffe - Recanati
Per la pubblicità: Tel. 0861 250930347.4338004 - 333.8298738
Teramani è distribuito in proprio
www.teramani.infoè possibile scaricare il pdf di questo e degli altri numeri dal sito web
n. 85
Sia chiaro, in primo piano ci sei tu. Una
regione che da sempre si distingue per
farsi riconoscere, sempre comunque
e ovunque. Con al centro il tuo candidato,
l’Abruzzo inizierà una rivoluzione civile
sfi dando il futuro senza paura, per contare
nell’Italia giusta. Quattro milioni di posti
di lavoro pronti per essere assegnati
ad altrettanti disoccupati. Tutte le tasse
versate sulla prima casa saranno restituite
presto e cash oppure con i buoni pasto,
a seconda delle esigenze. Verrà sconfi tto
per la seconda volta il cancro nonostante
le ostilità dei soliti franchi tiratori e pianisti
maldestri, che si sono assai prodigati affi nché
il nobile proposito naufragasse. E nulla sarà
dovuto ai dipartiti politici venuti a mancare
a causa di un male incurabile di cui essi
stessi hanno impedito la sconfi tta promessa
solennemente nella campagna elettorale
di cinque anni fa. La rinascita è alle soglie
di un futuro atteso. Dimezzamento del
numero dei parlamentari e solamente due
mandati, per dire fi nalmente basta ai politici
di professione. Un referendum sull’euro
e sulla Unione Europea. Sganciarsi dalla
Merkel per recuperare la sovranità politica,
in sprezzo alle sudditanze psicologiche
imposte impudentemente dai colossi della
fi nanza mondiale. Tornare a essere detentori
di unicità assolute conquistate con i sacrifi ci
dei nostri padri; dalla nobiltà delle loro
scelte politiche, spoglie di oscure manovre,
di clientelismo o di cinico opportunismo
oggi imperanti. Basta con i soprusi, avanti
con la meritocrazia con cui il territorio ha
imparato a familiarizzare grazie alla
Spin doctor di una rinnovata
Governance. Ognuno
vale uno. L’aria sta
cambiando. Solo un uomo
è in grado di mantenere
queste promesse. Pleonasmo
della mente sarebbe rammentarne
il nome. Ma la pulizia interiore, i valori
incontrovertibili dei portatori di validità,
innovazione, la ricongiunzione del dire con
il fare spetterà al potere sovrano esercitato
democraticamente dal popolo chiamato
alle urne. Dagli slogan agli assunti. Dalla
vanità di chi esibisce candidati con tre lauree
da mettere a contrappunto a chi invece
meschino vanta quattro avvisi di garanzia.
Un comico genovese ha lanciato una battuta
fulminante: “In mezzo a noi, quello più scemo
è ingegnere”. n
3L’Editoriale
Elezioni,purèda noi
diMimmoAttanasi
di clientelismo o di cinico opportunismo
oggi imperanti. Basta con i soprusi, avanti
con la meritocrazia con cui il territorio ha
imparato a familiarizzare grazie alla
queste promesse. Pleonasmo
della mente sarebbe rammentarne
Politica4diSilvioPaolini Merlo [email protected]
n.85
La veritànon fa maleAntipanegirico pre-elettorale
Che strana cosa. Il tragitto che ci sta portando alla terza repubblica è
stato scandito da eventi bizzarri, dove il nuovo è stato sbandierato
per dare maggiore credibilità all’usato sicuro. Dove il vecchissimo è
tornato ad accusare il mondo intero dopo esserne stato sfiduciato,
tronfio e lasciato libero per un ventennio da un’opposizione capace solo
di battere sul moralismo dell’italiano qualunque, procurandoci l’onta
suprema del commissariamento nazionale. Dove sono spuntati magistrati
a destra e a manca, e intanto una legge elettorale corsara permane a
garanzia degli antichi privilegi. Ma non c’è da lacerarsi le vesti: la logica
degli apparati è la sola regola che funzioni nel nostro paese. I giovani sono
troppo giovani in una popolazione ancora troppo vecchia, e non possono
fare altro che la figura degli sbruffoni o dei fessi. Le dinamiche dal basso,
quando arrivano, sono iperpopulistiche e finiscono col fare il gioco dei
peggiori. E se tutto questo si è ripresentato puntualmente nella storia
dell’Italia repubblicana ci sarà pure un perché. Che dal ’94 a oggi non
sia cambiato praticamente nulla credo sia sotto gli occhi di tutti, per lo
meno di tutti coloro che hanno ancora facoltà di vedere e d’intendere. Da
un parte abbiamo avuto i partiti padronali (quelli di Berlusconi, Bossi, Di
Pietro etc.), dall’altra i partiti-compromesso. Il risultato è stato ogni volta
una frantumazione di tipo pulviscolare delle rappresentanze, un rista-
gnare di lobby e di corporazioni, e non importa poi se degli Agnelli o dei
poteri occulti, dei notai o dei farmacisti, delle ARCI o delle ACLI, operaie
o padronali. Accusare il sistema bancario del fallimento dell’economia è
come accusare la zanzara della malaria. Scampare al peggio col meno
peggio è stato lo sport nazionale più diffuso e praticato, e continuerà
certamente ad esserlo fino a quando non avverrà una rivoluzione etica
e di pensiero. Qualcosa che è già in atto da qualche anno grazie anche
alla rete, ma che non sarebbe mai avvenuta spontaneamente dentro il
sistema partitico italiano, specchio fedele di una maggioranza che è ormai
da tempo l’accrocco improbabile di minoranze, se non ci fossimo trovati
di colpo di fronte a una grande muraglia, costruita mattone dopo mattone
da noi stessi: parlo del parassitismo sociale, del sistema del debito e della
conseguente entrata in crisi del sistema monetario internazionale. Colpa
del liberismo? Colpa dei sindacati? Credo sia inutile dire questo o quello,
perché il problema vero è che un fenomeno del tutto fisiologico, quale
di fatto è la contrazione che segue a un periodo di ingorda espansione,
sta tramutandosi in una sorta di apocalisse biblica, in cui a rimetterci
saremmo tutti ma ad avere colpe nessuno. E allora un dubbio sorge: è
mai esistita in Italia una politica “italiana”? Dopo imperi e regni, stati e
staterelli, ne abbiamo avuta una cavouriana filoinglese, una mussoliniana
filotedesca, una degasperiana filoamericana, e adesso una montiana
europeista. Serve a poco negarlo. Svegliarsi dal sonno cui ci siamo ada-
giati non è gradevole, d’accordo, ma ora c’è da rimboccarsi le maniche
e capire che le nuove riforme non consistono nel tornare indietro, nel
riavvolgere la storia come fosse un film girato male.
La verità è che i vecchi schemi sociali non valgono più, che i sondaggi
ne sono spesso lo strumento, che la lotta tra poveri è una lotta tra finti
ricchi, che tra i potenti e i deboli non c’è più capitale contro manodo-
pera ma borghesie che hanno di più e
borghesie che hanno di meno. La verità
è che il diritto del do ut des, diffuso per
decenni ovunque si sia svolto un lavoro, un
ruolo di responsabilità, di formazione o di
ricerca, ha preso l’antico posto del diritto
dinastico ereditato per volere divino, e che
nulla è cambiato in concreto dagli antichi
feudi alla cosiddetta società del terziario
avanzato. La verità è che questo paese per
cinquant’anni ha consumato dieci volte
più di quanto ha prodotto, che le tasse che
paghiamo oggi sono figlie di quegli sprechi
che nessuno - e sottolineo nessuno - ha
pagato fino all’altroieri, che il popolo italiano non ha mai ottenuto una
propria sovranità, che è diventato una democrazia troppo in fretta e sen-
za troppa convinzione, che tutte le fondamentali libertà avute se l’è viste
piovere addosso senza conquistarsele, senza comprenderle, malgrado
la lotta partigiana e tutto il resto, e che ognuno di noi - cittadini quanto
partiti - abbiamo mal tollerato le regole perché perpetrate sempre come
un’atavica, strutturale e programmatica spaccatura tra chi le ha stabilite e
chi avrebbe dovuto metterle in pratica. La verità è che questa cosiddetta
crisi andrebbe benedetta come la stagione secca per uno stagno fetido,
come la luce del sole dopo una lunga notte di tempesta. Perciò il buon
senso dice che è meglio occuparsi di democrazia e di libertà piuttosto
che di diritti da acquisire o salvaguardare, di redistribuzione del sapere e
della cultura più che di redistribuzione del reddito e del lavoro. C’è pur-
troppo ancora chi pensa, miopemente, che le prime di queste cose non
possano esistere senza le seconde. A me sembra certo il contrario. n
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Teramo culturale6diSilvioPaolini Merlo [email protected]
n.85
Aurelio Salicetie il mancato riformismo del Risorgimento italiano
Nel panorama dei “personaggi secon-
dari” del Risorgimento italiano, un sito
ministeriale ne conta oltre 250, Au-
relio Saliceti è certamente tra i meno
dibattuti e indagati. Se qualcosa per i 150
anni della scomparsa è stata fatta lo scorso
anno dalle parti di Ripattoni di Bellante, dove
Saliceti nasceva nel 1804, i ripetuti sforzi di
un’associazione come “Radici” di Mosciano
S. Angelo, e del suo presidente Giuseppe
Massi, non hanno certo sortito l’effetto di
riaprire un dibattito su scala nazionale. Si è
soliti indicare in Saliceti una figura incoe-
rente, oscillante tra simpatie monarchiche
bonapartismo e ideali repubblicani di schietta
ascendenza illuministica. Non si è tuttavia
visto con altrettanta puntualità che questa
linea di condotta ha avuto un nome preciso
nella storia dell’Europa moderna, e questo
nome è il liberalismo riformista. Condotta
dunque non infrequente, osservata tra gli altri
da Giuseppe Montanelli, fedele al Granducato
di Toscana ma anche agli ideali risorgimentali,
così come più tardi dal pronipote Indro, che dal fascismo dissidente
giungerà a una destra democratica e atlantista.
Nessuna contraddizione pertanto tra il Saliceti che non convive a
lungo nella Napoli dei Borbone, licenziato da Ferdinando II per avere
proposto al consiglio dei ministri, dove aveva assunto il dicastero di
grazia e giustizia, l’espulsione dei Gesuiti e il diritto a manifestare
in luoghi pubblici, e il Saliceti che si rende fautore dell’imperialismo
napoleonico e del murattismo, accolti l’uno e l’altro evidentemente
in senso antilealista e antigiacobino. Nulla di strano, insomma, che
egli abbia mostrato fedeltà ai garanti dell’ordine, i Borbone prima, i
bonapartisti dopo, Cavour infine, facendosi insieme fiero promotore
della sovranità popolare, affiliato tra i primi della Giovine Italia di
Mazzini, vigilato speciale della polizia borbonica. L’adesione al pro-
getto di una restaurazione dei Murat a Napoli ha peraltro almeno una
triplice valenza. Intanto, la rivincita nei confronti del “Principe” per
una ferita inflitta e mai rimarginata. Inoltre, il recupero di un progetto
incompiuto di laicismo istituzionale e di svecchiamento delle leggi di
retaggio feudale già iniziato nel 1808 da Gioacchino Murat, amato dal
popolo ma detestato dal clero a causa di politiche che ne limitavano
l’autorità. Il Murat insomma artefice di riforme decisive, estensore di
quel Codice Napoleonico che per la prima volta legalizzava il divorzio
e l’adozione. La terza componente ha a che vedere con il momento
forse culminante dell’attività politica di Saliceti, la partecipazione al
comitato esecutivo della cosiddetta Seconda Repubblica Romana del
1849, della quale fu triumviro e per la quale partecipò alla stesura
della carta costituzionale, prima del ritorno di Pio IX e del forzato
esilio in Francia e in Inghilterra, dal quale poté rientrare solo dopo
l’Unità.
Nella costituzione della Repubblica Romana, promulgata un anno
dopo lo Statuto Albertino, che pur anticipandone formalmente alcuni
punti risultava nella sua impostazione ancora di tipo sostanzialmen-
te assolutistico, e dove la sola religione
ammessa era quella cattolica apostolica
romana, i punti capitolari proponevano
princìpi della vita politica e civile che
sarebbero diventati realtà solo un secolo
dopo: la laicità dello stato, la libertà di culto,
l’abolizione della pena di morte e della tor-
tura, l’abolizione della censura, la libertà di
opinione, l’istituzione del matrimonio civile,
il suffragio universale, l’abolizione della
confisca dei beni, l’abrogazione della norma
pontificia che escludeva le donne e i loro
discendenti dalla successione famigliare, il
diritto alla casa tramite la requisizione dei
beni ecclesiastici, la divisione dei poteri,
l’abolizione della leva obbligatoria. Facile
capire perché la Repubblica resistette solo
cinque mesi. Idee talmente nuove, in
contrasto stridente con la cultura tradizio-
nalista e devozionale, non potevano trovare
spazio nella società italiana. Solo la Seconda
Guerra d’Indipendenza riaprirà il percorso
del faticoso processo di affrancamento dalle
sudditanze austriache e dinastiche, sancite
dal Congresso di Vienna, che porteranno, ben dodici anni dopo la
costituzione romana, alla nascita del Regno d’Italia.
Fatti dolorosi insomma, quelli del Risorgimento di Saliceti, che risot-
topongono dinanzi ai nostri occhi cosa l’Italia sia stata per secoli:
un corpo smembrato e senza volto, terra di conquista, dominazio-
ne di potenze straniere, scacchiere di intestine divisioni del tutto
inconciliabili, divenuta nazione libera e autonoma, basata su princìpi
democratici ed egualitari, solo dopo guerre civili e conflitti mondiali,
immani ecatombi generazionali, pressioni di minoranze occulte,
ripetuti compromessi quali l’accentramento monarchico sabaudo
e la piemontizzazione della penisola prima, l’autoritarismo fascista
poi, i Patti Lateranensi e annessa con-sovranità pontificia infine. In-
somma un’unificazione di tipo accentratore e centralistico, livellante
e conservatrice, diretta responsabile dello sgretolamento sociale e
istituzionale a cui stiamo assistendo. n
Saliceti - busto al Pincio
Storie italiane8n.85
Fabrizio Corona
diMaurizioDi Biagio www.mauriziodibiagio.blogspot.com
Corpo tatuato, postura rigida alla
Cristiano Ronaldo, sguardo fiero e
insolente, Fabrizio Corona ha trovato
la sua Lamerica nei salotti televisivi
di mezz’Italia, incarnando il bellimbusto
che nell’immaginario nazionale ha trovato
sempre una certa vigliacca indulgenza e
purtroppo latente ammirazione.
Alimentata da una certa visione cristiana
cattolica e romana del perdono che, a diffe-
renza di calvinisti e protestanti, è impregnata
di una tolleranza pragmatica insostenibile ai
fini di un’etica religiosa, il fenomeno Corona
è rimbalzato da una copertina all’altra, con la
velocità e forza di penetrazione di un gossip
mormorato in una città di provincia, sotto
la tutela di un prodotto che vende. E come
tutte quelle merci che fanno guadagnare,
non si bada tanto alle formalità, fors’anche
tollerando atteggiamenti istrionici svenevoli
e irriguardosi, al limite del sostenibile.
Corona appartiene a quella tribù del grugnito
(vedi Bobo Vieri, er Mutanda, Briatore, e altri)
che attraverso la propria doppia morale,
perlopiù accettata, sdogana il peggio di noi
Italiani, con quel pensiero di pancia, quello
facile, che rutta stili di vita e goffaggine. In lui
atti e gesti come abbandonare lungo l’asfalto
dell’autostrada bigliettoni da 100 euro,
perché inseguito dalla polizia, sono ascritti a
quella letteratura gigionesca che caratterizza
una buona parte della nostra gens.
Non è una figura picaresca, perché anche
se folcloristico non possiede il coraggio
degli ideali; non è un Nicola Myskin perché
l’ingenuità non gli appartiene; e non è un
Ignatius dunque (di Una banda di idioti)
perché è ben compenetrato nella realtà. È
invece un rapace e voluttuoso golden boy
che minaccia e ricatta il mondo circostante
perché altrimenti le sue semplici e basiche
armi non gli permetterebbero di avere
chance di esistenza e visibilità, e nel suo
mulinare incessante di arti di sopravvivenza
è costretto, se non condannato, a recitare la
parte di se stesso in un B-movie che gli sta
rovinando vita e reputazione.
È un uomo misero come tanti di noi. Ingigan-
tito solo dalla curiosità, o meglio dal voyeuri-
smo, degli altri e salvato dall’auto assoluzio-
ne dell’italiano medio che vede il lui quello
che in fondo vorrebbe essere almeno per un
po’. Un prototipo da usare in certi momenti
di libertà. Delle pantofole rintanate sotto il
letto alle due del pomeriggio. Eppure tutto
La pantofola degli Italiani.“Non ho pianto e denuncerò chi affermerà il contrario”.
il mondo fatto di carta stampata e di luci
rosse delle telecamere on air ci ha sfiancato
con una copertura della notizia assillante e
caparbia come in un reality della casa.
Come tutti i cattivi insegnamenti che in
genere fanno più presa nell’immaginario
collettivo, il Corona è stato ripreso dai mass
media nella sua fuga in 500 Fiat come in
genere si fa ossessivamente con i fuggiaschi
che in America fanno le fortune delle reti
televisive, alimentandone il falso mito e cre-
ando un personaggio perfino svincolato dal
suo effettivo reato: il ricatto. Sostenuto dal
popolo di Facebook, inseguito dai giornalisti,
il paparazzo abbronzato incarna la voglia di
riscatto sociale in taluni.
Certo non si può delegare l’educazione alla
tv è come pretendere che una gallina parli,
però evitare che esempi che comunemente
sono bollati come negativi strabordino, non
è chiedere la luna, e per di più non occorre
nessun tipo di codice di autoregolamentazio-
ne per riportare la situazione nei giusti binari.
Frattanto il fotografo figlio di giornalisti lancia
dal suo profilo Facebook la maglietta To be
free e s’incazza perché, come riferisce sem-
pre dal social network “assassini, delinquen-
ti, stupratori, sono a piede libero, io vado in
carcere per tre fotografie, i miei diritti sono
stati calpestati”.
E le tv stanno lì, accanto, come se annusas-
sero un affare che assolutamente non debba
scappare. Quelle televisioni che, per dirla
con le parole di Sergio Zavoli, posseggono
un ritmo errabondo, inseguendo se stesse
perché la velocità è tale per cui quello che
hanno appena detto è già smentito dal fatto
che sopravviene. n
La Casa della Cultura Carlo Levi, che nel 1975 aveva dato alle
stampe La Resistenza nel Teramano, si fa carico di un nuovo
impegno e ristampa, in anastatica, la prima edizione da tanto
tempo esaurita.
Grazie alla sensibilità e alla preziosa collaborazione di Giuliano Ra-sicci e Andrea Palandrani la pubblicazione si arricchisce di notizie
e di documenti che nel 1975 non erano conosciuti nemmeno da uno
studioso come Riccardo Cerulli con il quale, all’indomani della ce-
lebrazione del XXX anniversario della Liberazione, con la presenza del
Presidente della Camera On. Sandro Pertini, realizzammo il volume.
NeI 1977 lo scultore partigiano Augusto Murer, su proposta del
9Ringraziamentin.85
Comitato Antifascista, realizzò
un pregevole monumento alla
Resistenza teramana che fu inau-
gurato il 23 aprile. A beneficio delle
nuove e delle future generazioni
pubblichiamo i discorsi pronunciati
all’inaugurazione dal Sindaco di
Teramo Ferdinando Di Paola, dal
concittadino, ex Sindaco di Genova,
Sen. Gelasio Adamoli e dal
Presidente del Consiglio On. Giulio Andreotti.I nostri buoni propositi, con il desi-
derio di offrire ai giovani, ignari dei
sacrifici, dell’eroismo, del sangue
versato dai combattenti per la
libertà, sarebbero ovviamente rimasti solo buoni propositi se in nostro
aiuto non fossero intervenuti: la “Fondazione Pasquale Celommi Qnlus”
la Presidenza del B.I.M., e i Comuni di: Teramo, Montorio al Vomano,
Mosciano S. Angelo, S. Omero, Torricella Sicura, Tortoreto.
Il volume è in vendita presso la sede della Casa della Cultura, in via V.
Comi, 24 a Teramo al prezzo di 10,00 Euro. n
La Resistenza nel teramano
dallaRedazione [email protected]
Il titolo dell’opera di Luigi Ponziani, direttore
della biblioteca provinciale Delfico, edito da
Ricerche&Redazioni, recita: Letterati Libri e
Lettori nell’Abruzzo della Restaurazione. L’e-
strema chiarezza del titolo è la porta di accesso
a una ricerca complessa, condotta con rigore
filologico, trascritta snocciolando limpidamente
la successione degli eventi e le relazioni tra i personaggi, elementi che
concorrono a dipingere il panorama di un Abruzzo, e poi anche di un’Italia,
in un periodo turbinoso come quello che va dall’inizio dell’Ottocento
all’Unità, che trova nei libri la fonte e l’affermazione di una nuova temperie
civile e culturale. Il direttore ci ha accolti nel suo studio all’ultimo piano del
palazzo Delfico tra pile di libri, tele, cimeli e con la grande libreria che si
apre lungo la parete dietro la scrivania.
Direttore, nel sottotitolo che Lei ha scelto per il suo libro si legge:
“ornamento, erudizione, impegno civile”. Ci spiega cosa ha inteso
con questi termini? Qual è il loro valore nel panorama meridionale e
abruzzese negli anni turbolenti della Restaurazione borbonica?
Il libro nella sua materialità è stato visto nella storia anche come “orna-
mento” della facies collettiva e individuale di alcuni ceti, elemento tra i
caratteri morali della persona ma senza alcun tipo di accezione pratica e
funzionale. L’“erudizione” è quella tipica di parte della cultura settecente-
sca dominata da criteri quantitativi e repertoriali privi di un disegno che
ne guidi l’evoluzione, alla quale fa da contraltare l’“impegno civile” dove la
cultura libraria offre una koinè che mette in contatto pensatori apparente-
mente diversi e localizzati a latitudini lontane tra loro, ma accomunati dalla
necessità di avere dalla lettura un momento di costruzione di un’identità
comune d’intenti. E così sulle riviste abruzzesi del periodo si ritrovano
interventi connessi con quello che succede a Firenze con l’Archivio Storico
di Firenze e con la Società Storica napoletana ad esempio, che testimonia-
no la maturazione di un crescente interesse per il dibattito culturale nell’I-
talia tutta e che porterà alla diaspora degli intellettuali abruzzesi per i quali
sarà spesso impossibile un ritorno in una patria incapace di riaccoglierli.
Benché Napoli avesse le sue biblioteche pubbliche grazie alle politi-
che napoleoniche di soppressione degli enti ecclesiastici, nel resto
del regno sarà per prima Lucera nel 1831 ad aprire i battenti della
sua biblioteca. Nel nostro Abruzzo quali sono state le dinamiche che
hanno condotto alla formazione di raccolte librarie cittadine e a chi
dobbiamo la loro organizzazione istituzionale?
Indicativa a proposito è stata la scelta di riservare parte dello studio alla
costruzione dei luoghi fisici dove il sapere si sedimenta e si organizza. Si
deve tener conto di una realtà meridionale arretrata rispetto al resto della
penisola per varie ragioni, tra le quali spiccano certamente la presenza di
una monarchia accentratrice come quella borbonica e la mancanza di un
mecenatismo provinciale che motiva altrove la nascita delle biblioteche
pubbliche. Mentre nella capitale partenopea vengono fondate le due
grandi biblioteche nazionali durante la fase napoleonica, nelle province
le biblioteche sorgono collegate al sistema d’Istruzione nel regno. Una
nascita sofferta se si tiene conto che la carta stampata e tutto ciò che si
organizzava attorno ad essa, era vista dalla monarchia come elemento
di eccessiva libertà che andava comunque sorvegliato e controllato.
Importante è stato il ruolo dei privati cittadini. A proposito è emblematico
il gesto di Melchiorre Delfico che nel 1826 volle donare la sua collezione
alla biblioteca annessa al Real Collegio, con
la clausola fondamentale che la struttura
divenisse pubblica.
Le biblioteche pubbliche e la circola-
zione dei libri contribuirono dunque
alla formazione di “una coscienza
civile e sempre più politica” di quegli
uomini che faranno parte della classe
dirigente dello Stato unitario. Nell’Italia
repubblicana l’accesso alla Cultura da
parte di tutti i cittadini, senza distin-
zione di sorta, è garantito dall’articolo
3 della Costituzione e tuttavia gli
Istituti di Cultura navigano ancora nelle
incertezze normative e nella precarietà.
Molti teramani ricordano la Sua denuncia sui tagli profondi dei fondi
destinati alla vita della Biblioteca da parte dell’amministrazione
provinciale. A oggi qual è la situazione per la Delfico?
La biblioteca è il luogo della libera e organizzata fruizione delle fonti e
delle opportunità culturali. Deve essere sempre più considerata per la sua
importanza nella contemporaneità, in ragione del fatto che la grande di-
sponibilità di informazioni di oggi impone la necessità di essere sistemata
e riofferta all’utenza. La biblioteca ha poi un carattere primario legato al
territorio di riferimento, per il quale diventa luogo di raccolta delle testi-
monianze culturali non solo del passato ma anche attuali che altrimenti
andrebbero perdute per sempre.
Negli ultimi anni le difficoltà di carattere istituzionale e finanziario hanno
messo a dura prova il sistema bibliotecario regionale e davanti all’incertez-
za sulla fine delle provincie andiamo avanti senza poter mettere in campo
una vera “progettualità”. A riguardo mi sento di dire con Jacques Le Goff
che la statura della classe politico-amministrativa si misura in rapporto alle
modalità con le quali si rapporta alla conservazione e alla organizzazione
del Sapere che avviene negli archivi e nelle biblioteche. n
n.85
Letterati Libri e Lettori nell’Abruzzo della Restaurazione
diSirio MariaPomanteIl libro
Luigi Ponziani ci parladel suo ultimo libro e non solo
Carceri12n.85
InfernoCastrogno
diMaurizioDi Biagio www.mauriziodibiagio.blogspot.com
“Nei paesi nei quali gli uomini non
si sentono al sicuro in carcere,
non si sentono sicuri neppure in
libertà”. Nella casa circondariale
di Teramo si scoppia. I numeri del sovraffol-
lamento sono impietosi: su una capacità di
240 detenuti, Castrogno ne ospita 400. Le
celle di 9 mq, costruite per un solo detenuto
mentre ne ospitano tre, offrono ogni giorno
spaccati di vita inenarrabili in un ambiente
dove, si sa, la pena si somma alle condizioni
ambientali giudicate pessime da molti visita-
tori istituzionali. Le celle spesso sono senza
doccia e l’erogazione dell’acqua è razionata
con una sospensione di ore; l’acqua calda non
è assicurata nemmeno nei lunghi e rigidi mesi
invernali e la condizione dei materassini di
gommapiuma su cui sono costretti a dormire i
detenuti è pessima.
Alle finestre sono applicate, oltre alle normali
sbarre, reti a maglia stretta che ostacolano
la visuale esterna e limitano la circolazione
di aria e l’ingresso di luce naturale. Questo è
solo un estratto della relazione dell’onorevole
radicale Rita Bernardini redatta in occasione
del suo giro d’ispezione nella casa circonda-
riale teramana, documento che poi è stato
rimesso al Ministero della giustizia e a quello
della sanità. Ma i casi umani sono talvolta da
considerarsi imbarazzanti. G.D.S., ad esempio,
giovane detenuto, racconta commosso che
“dall’inizio dell’anno in questo carcere si
sono suicidati quattro di noi e non è stata
fatta nemmeno una messa per ricordarli, ci
sono rimasto male”.C’è chi è senza denti ma
nonostante ciò gli vengono serviti cibi solidi.
A M.F.L. non viene concesso il medicinale
Frontal, mentre GC. che soffre di apnee nottur-
ne ha bisogno di una macchina per respirare:
“il problema è che il filtro diventa nero dopo
4 giorni” dice. Un caso molto emblematico è
quello di una transessuale che lamenta il fatto
di non avere la possibilità di fare la doccia
da sola: “Non sono operata – dice - ho preso
ormoni; mi costringono a fare la doccia con gli
uomini, loro mi insultano, mi chiamano frocio,
si masturbano, io vorrei fare la doccia da
sola”. Vorrebbe essere trasferita nel carcere di
Rebibbia che è dotato di un apposito reparto.
Sempre secondo la relazione, il magistrato di
sorveglianza in alcuni casi non si vede da anni.
E.T., detenuto diabetico, cardiopatico e con 6
by-pass, afferma che da circa 20 giorni non gli
passano più il farmaco Folina. Un altro ospite
di Giulianova di 49 anni versa in condizioni di
estrema povertà e vorrebbe un sussidio per
acquistare generi di prima necessità: “Non
ho soldi – dice- sono solo, la mia famiglia è
morta tutta quanta, non ho soldi nemmeno
per fare la barba”. Alcuni lamentano carenze
nell’assistenza sanitaria: “Se stai male qui ti
danno la pillola che cura tutto”; un detenuto
della cella n. 36, racconta: “Sono stato male
per un’infezione alla prostata, avevo la febbre
a 40°, avevo il catetere con il sangue dentro
e la dottoressa nemmeno mi ha controlla-
to”. L’ubicazione della cabina telefonica non
garantisce la privacy e molti sottolineano
il deterioramento dei materassi: “Questi in
spugna sembrano colla, sono appiccicosi, non
li cambiano non da anni ma da decenni, sono
scaduti e strascaduti, c’è la forma della per-
sona”. Nella relazione viene messo in risalto
anche l’”inesistenza” di assistenza psichiatrica
e psicologica. Gli agenti penitenziari sono sul
piede di guerra e riportano di una situazione
disastrata dove si ha la benzina sufficiente
solo per due giorni. “Poi – commenta amaro il
vice segretario regionale del Sappe, Giuseppe
Pallini – non sapremo proprio cosa fare, a che
santo rivolgerci”. Loro devono ancora usufru-
ire mediamente dai 90 ai 100 giorni di ferie
ancora non godute perché altrimenti il servizio
non poteva essere assicurato.
Così come ancora non sono state godute
le 30 ore di straordinario che mediamente
toccherebbe a ciascuno dei quasi novecento
agenti abruzzesi impegnati nelle otto carceri
regionali. “Da Roma non arriva più un centesi-
mo – prosegue Pallini – tant’è che alcune ditte
che ci riforniscono hanno smesso di farlo per-
ché non rimborsate più dall’Amministrazione
centrale, per non parlare degli spettacoli che
sono tenuti in vita grazie all’aiuto esclusivo
di finanziamenti privati”. Ma la mannaia per
Pallini sarà rappresentata dalla chiusura dei
manicomi giudiziari che comporterà un’altra
bega per gli agenti, dal momento che essi
si dichiarano impreparati ad accogliere tale
tipologia di detenuti. n
Celle di 9 mq ospitano tre detenuti,diversi i suicidi, Polizia Penitenziaria senza più i soldi per la benzina e da Roma non arriva più un centesimo
13Satira
diMimmoAttanasi [email protected]
“Sei laureato in Giurisprudenza, ma non hai ancora ottenuto
l’abilitazione alla professione di avvocato? Diventa Abo-
gado in Spagna e convalida il titolo in Italia.” Oppure, “Hai
perso degli anni scolastici o ci sono delle materie che
non riesci a digerire? Con Grandi Scuole recuperi gli anni scolastici e
consegui il diploma per tutti gli indirizzi di studio.” A parte gli slogan,
il “2 in 1” è un proposito desiderato. Recuperare il tempo perso, fare
di tutti e 730 i giorni, un fascio in un anno. Poi, c’è chi preferisce
aumentarsi l’età per sembrare più autorevole. Così ha deciso di fare
una rivista di glamour cazzaro, alla politically correct.
Nelle difficoltà quotidiane di chi amministra una famiglia con la di-
sintegrazione salariale, di emolumenti da questua da cogliere al volo
come un frisbee, per trovare la risposta a un quesito esistenziale
di tale gravità bisognerebbe avere la forza di intercettare una corri-
n.85
spondenza rasserenante, affinità elettive in una frivolezza di Gioac-
chino Belli: “Li soprani der monno vecchio: io so’ io, e vvoi nun zete
un cazzo”. Il disorientamento delle affermazioni astratte. Il cilindro
magico della retorica si rivela carico di effetti placebo difficili da dige-
rire. Una accozzaglia di diversamente capaci di intendere e di volere
orientati verso una water closet literature. Non sarà impossibile fare
convergere interpretazioni sulle strumentalizzazioni di varia natura.
La logica per rimanere liberi. Passare da un argomento all’altro senza
apparente nesso in una divagazione vertiginosa. Ancora un’inchie-
sta sulla gestione di una delle tante società a capitale pubblico
sparse sul territorio. Sotto la lente d’ingrandimento della procura, le
assunzioni e i fondi europei percepiti. Le autorità hanno provveduto
al sequestro di ingenti somme di denaro al rappresentante legale
dell’azienda. A detta degli inquirenti, il provvedimento è collegato a
finanziamenti perce-
piti indebitamente.
Un ingiusto profitto
ottenuto ai danni
del Fondo Sociale
Europeo.
E sulla questione ha
imposto il proprio
verbo il taumaturgo
impresentabile,
coordinatore di un
partito prossimo alla polverizzazione: “Eh, quante storie! Neanche si
trattasse della Lehman Brothers”. Sarebbe utile legittimare le com-
petenza e le responsabilità assegnati ai professionisti della società
sotto accusa. La tutela della qualità delle prestazioni e i criteri seguiti
per il rispetto delle risorse umane. Intanto, la Caritas mette sul fuoco
la pentola per i poveri che busseranno alla porta delle divina provvi-
denza. Gli occhi bassi e la mano stretta dei figli. In fila con i pensieri,
orgogliosi di non avere dato via il culo per un ladro in cerca di con-
sensi come gli sciacalli delle carogne. I non osservanti, consumano il
loro pasto alla mensa di un altro signore.
Espropriano a morsi il cibo nei supermercati, nascosti nei camerini
per gli indumenti a fare finta di provarsi addosso un vestito che non
possono comprare. n
Caritas o Supermercato pranzoassicurato4 non è come 24 in 2
Confindustria Teramo14n.85
Salvatore Di Paolo bissa il suo mandato
diMaurizioDi Biagio www.mauriziodibiagio.blogspot.com
Il Di Paolo bis in Confindustria
è stato ufficializzato alla stam-
pa a fine Febbraio nella sede
di Sant’Atto. Al presidente è
stato rinnovato il mandato fino al
2015: nominati anche i vice pre-
sidenti Agostino Ballone, Ercole
Cordivari e Fabrizio Sorbi.
Il programma di Salvatore Di
Paolo per i prossimi anni si arti-
cola in 5 punti: in cima all’agenda
spicca la fusione di Confindustria
Teramo con quella dell’Aquila,
mossa anticipatrice del prossimo
accorpamento tra le due province.
Il Progetto sta andando avanti
in maniera spedita, secondo
le indicazioni di Confindustria
nazionale.
A breve si passerà alla fase operativa, con la costituzione unitaria
delle Sezioni e, man mano che arriveranno a scadenza le cariche
associative, queste verranno rinnovate congiuntamente. L’inte-
grazione totale delle due strutture non avverrà prima di 4-5 anni e
comunque le sedi di Confindustria Gran Sasso rimarranno nelle due
città di Teramo e L’Aquila. La presidenza e la sede si alterneranno tra
le due città, quello che soprattutto cambierà, sarà l’aspetto opera-
tivo nell’erogazione di servizi e la Governance che verrà rinnovata
tenendo conto degli equilibri delle due realtà.
Cambiano anche i rapporti con i sindacati. “Durante il mio primo
mandato – precisa Di Paolo, abbiamo sottoscritto con le Organizza-
zioni Sindacali e le altre Associazioni datoriali, un Protocollo d’In-
tesa, denominato “Il futuro è iniziato … ieri”. Quel protocollo, al di
là delle enunciazioni di principio, non ha sortito gli effetti sperati in
favore delle imprese, anzi, all’inizio anche la politica, non lo ha ben
compreso. Fortunatamente, poi, sono arrivati i chiarimenti. Con il
secondo mandato, voglio riprendere questo Protocollo ed integrarlo
in alcune parti. D’altronde, sono passati alcuni anni e, come avviene
in altri campi, bisogna adeguarlo al momento che sta attraversando
il nostro Paese. Sapete meglio di me che lo stato dell’economia e
dell’industria provinciale è preoccupante. Abbiamo toccato livelli
record di ricorso agli ammortizzatori sociali e credo che, se non
si intraprendono azioni concrete, nei prossimi mesi la situazione
potrebbe assumere contorni drammatici”.
Sullo sportello “internalizzazione” Di Paolo dichiara che è un Progetto
articolato che intende aiutare, soprattutto le piccole e medie impre-
se meno strutturate a fare un percorso, magari in forma aggregata,
per esportare i prodotti sui mercati internazionali. “Oggi, se le Im-
prese mantengono le posizioni, lo si deve proprio al fatto che, gran
parte dei prodotti viene esportata all’estero”.
Sul credito, Di Paolo vuole essere “molto netto e chiaro”. “Anche
qui – spiega - ho intenzione di convocare i maggiori Istituti di Credito
presenti nella nostra Provincia e con loro condividere un percorso
che, in qualche modo, rimetta in moto l’economia provinciale”. Non
si sente di dare delle ricette magiche, ma afferma che gran parte
delle industrie provinciali soffre
in questo momento per difficoltà
di accesso al credito. “Natural-
mente, le situazioni sono variega-
te, sono diverse l’una dall’altra
e non ritengo giusto fare delle
critiche superficiali. Oggi le
Banche centellinano il credito e,
soprattutto, privilegiano quelle
imprese che hanno una grande
capacità restitutoria del credito.
Credo che gli spazi per concede-
re prestiti a quelle imprese che
intendono impiegare il credito
per coprire altri buchi nei con-
fronti di altri istituti siano finiti.
Nessuna banca affida un’impresa
per coprire i debiti con altre
banche” .
Poi c’è l’apertura dello sportello sulla proprietà industriale: “Nel cor-
so di questi anni - prosegue Di Paolo - abbiamo verificato che moltis-
sime piccole imprese non danno la giusta importanza alla proprietà
industriale. Siamo convinti che avere un marchio, avere un brevetto,
significa dare maggior valore all’Impresa ed al complesso aziendale.
Nelle prossime settimane avvieremo questo Sportello sulla proprietà
industriale che vuole rappresentare un sostegno concreto, anche
in termini di finanziamenti per sviluppare nuovi Progetti in favore,
soprattutto, delle piccole imprese. Le Aziende interessate possono
rivolgersi agli Uffici di Confindustria Teramo per avere maggiori det-
tagli e incontrare lo staff di Professionisti, altamente qualificati, che
cureranno il Servizio.
Infine, nominati i componenti di giunta di Confindustria Teramo: sono
i consiglieri Ercole Cauti, Antonio De Dominicis, Gianni Dell’Orletta,
Luigi Di Carlantonio, Raffaele Di Gialluca, Giovanni Di Giosia, Marcello
Di Sante, Salvatore Loddo e Cesare Zippilli. n
Ecco la sua agenda
Cultura16n.85
L’IstitutoMusicaleGaetanoBragaNon imBragate i sogni
Se qui a Teramo dovessi indicare un posto non-posto, un luogo
non-luogo, fatato e misterioso, agghindato di zufolate di
oboe, lardellato di note riconcilianti di un piano che tenta di
emulare i grandi e talvolta anche di volgari strumenti come la
fisarmonica, quel sito è l’Istituto Musicale Gaetano Braga. E se
vi dovesse apparire un territorio ostico, solo perché non conoscete
Brahms o Beethoven, non vi direi di frequentarlo, di varcare la soglia
di Piazza Verdi, ma solo di circumnavigarlo un giorno, a testa bassa:
fate due passi per Via Stazio o per Via Cameli v’accorgerete che
l’essere umano può davvero dare il peggio di se stesso e il meglio
e divenire anche un dio. Nelle incombenze quotidiane che t’affilano
il volto grugnoso, una finestra aperta del Braga in primavera ti può
rilevare che l’uomo talvolta può redimersi da ogni tipo di malvagità,
solo apponendo le sue dita sopra ad un piano o su di una chitarra.
Io il Braga lo conosco così. Da una finestra spalancata in primavera,
all’odore pungente dei bouganville e alla melanconia di un ragazzo
con i lunghi pomeriggi d’estate in città davanti a sé, alla scoperta dei
suoi primi mondi. Ogni volta che passavo di lì, quel non-luogo m’ac-
carezzava il cuore: non sapevo che cos’era un Braga, non conoscevo
la musica, ma il sublime calpestio di note su un piano mi ottundeva
la vista e in me si spalancavano le porte dell’anima. Ora quel mondo
incantato fatto da uomini e musica sta per scomparire. “Mai come
ora sento che il Braga stia davvero vicino alla fine” riporta sconsolato
un docente di pianoforte. Molte volte è stata annunciato il the end
di quest’istituzione storica, dell’Istituto Superiore di Studi Musicali,
dell’Università teramana più importante, che esiste da ben 118 anni.
Il Braga è giunto ai giorni nostri con i docenti che non sono pagati
da Agosto e i finanziamenti per tirare avanti sono stati decurtati di
molto: la Provincia di Teramo dai 470 mila euro che versava a Piazza
Verdi è passata a 70 mila euro, la Regione ha dimezzato e il suo
contributo, da 500 a 250. Il presidente del Braga, Luciano D’Amico,
rende noto che finora del milione e 800 mila euro che l’istituto ha a
disposizione ogni anno, un milione e 700 mila se ne vanno per gli sti-
pendi dei docenti (21 di ruolo più i 5 supplenti): “Abbiamo già tagliato
tutto” ricorda. n
SOS BRAGATutti insieme per la MusicaGentilissimi,
chiediamo sostegno e collaborazione affinché questo Istituto soprav-
viva garantendo agli studenti il diritto alla Formazione.
In 118 Anni di Storia, in questa Istituzione, sono passati i più grandi
Docenti e Direttori d’Orchestra, anche grazie al Teatro Comunale
(distrutto nel 1959) dove vi era una florida attività operistica. In oltre
hanno studiato nel nostro Istituto moltissimi giovani che oggi sono
Musicisti apprezzati.
La situazione è gravissima: oltre ai fondi tagliati nel corso degli anni,
la Provincia ha deciso di ridurre il suo contributo annuo da 475.000€ a
soli 75.000€. Questo potrebbe rappresentare l’inizio della fine.
Nel nostro Istituto Superiore di Studi Musicali si trovano attualmente
463 iscritti (giovani, bambini e adulti) per soli 29 docenti, di cui 21
diMaurizioDi Biagio www.mauriziodibiagio.blogspot.com
17
a tempo indeterminato. Tuttavia, pur non
percependo lo stipendio da 5 mesi, essi
continuano a dare un contributo alla nostra
formazione. Essa è unica nel suo genere!!
In Musica la prima cosa che un ragazzo, un
bambino o un adulto scopre è il Fallimen-
to. La seconda cosa è il problema, ossia
se stesso. Il grande lavoro che inizia con
queste scoperte è il lavoro su se stessi. Si
scoprono i propri limiti, si scoprono le cose
che si devono fare per arrivare al termine
del proprio percorso che inizia insieme ai
docenti, insieme ai compagni. I sacrifici sono
tanti, non si può negare, però, la crescita poi
è straordinaria. Alla fine del percorso non
si creano solamente musicisti, ma persone
forti, persone veramente Uniche.
L’arrivo del Commissariato Didattico e di
questo Nuovo Presidente hanno portato
nuova energia, speranza e idee.
Questa battaglia per la sopravvivenza non
è solo locale, ma Nazionale: ci sono altri
18 Istituti Superiori di Studi Musicali che si
trovano nella nostra stessa situazione: ab-
biamo le stesse regole dei Conservatori, le
stesse regole di assunzione del personale, le
stesse regole di ammissione degli studenti,
stessi programmi didattici, MA a fronte di
zero contributi dallo Stato. In una situazione
economica così complessa e grave, si capi-
sce per bene quanto per gli enti finanziatori
sia difficile mantenere i costi di tali Istituti.
La nostra lotta proseguirà ad oltranza, in un
tentativo di coinvolgimento di tutta l’utenza
(che invitiamo a partecipare) fino a quando
non avremo notizie positive e concrete.
Ci imponiamo con forza in tutte le occasioni
in cui ci sia la possibilità di parlare di Noi e di
quello che facciamo.
Vi invitiamo a partecipare ad un evento
che riteniamo assolutamente originale nel
panorama italiano: “Incontriamoci al Braga!”
con concerti, lezioni aperte, conferenze,
discussioni, workshop.
Confidiamo nel vostro aiuto, di qualsiasi
genere esso sia.
I Ragazzi del Coordinamento Sos Braga
Lettera di una studentessaPer me il Braga è un luogo dove ho avuto
l’occasione di conoscere nuovi amici o di ri-
trovare persone che non vedevo da tempo.
Fin da quando ero piccola ho visto il Braga
come un luogo dove risiedono musica e
divertimento. Quando ho iniziato a suonare
ho cercato di convincere mamma a farmi
entrare e quando mi ha iscritto il cuore mi
scoppiava di gioia. Da quando sono entrata,
ogni volta che varco la soglia della scuola
mi sento parte di una famiglia e ho espres-
so ciò che provavo nella musica. Qualcuno
della mia età può pensare “uffa, che noia!
Altri compiti!”. Ma non sono compiti, sono
solo parti delle anime dei compositori
hanno riversato in ciò che scrivevano. Se il
Braga chiude io dove studierò musica ora
che vado al liceo? Non potrò più incontrare
i miei compagni dell’orchestra giovanile, né
suonare con loro. La mia vita senza musica
n.85
sarebbe grigia, triste, noiosa. Ma grazie al
Braga mi regala ogni giorno emozioni, colo-
ri, divertimento. È durante questa età che
ti avvicini di più alla musica, perché essa
può permetterti di esprimere tutte quelle
incertezze e quei pensieri che abbiamo noi
adolescenti. La musica ti dà una marcia
in più nella vita: ti rende più sensibile e ti
avvicina agli altri. Se il Braga chiude tutto
questo scomparirà dalla vita di ognuno di
noi. La musica è il cibo dell’anima, ma senza
il Braga a produrla, come possiamo cibarce-
ne? Non solo la musica è dentro di noi, ma
è intorno a noi,è tutto ciò che ci circonda,
ciò che da forma al nostro corpo. Senza di
essa non siamo altro che ombre vaganti,
senza una speranza o senza un sogno. La
musica è ciò che ci rende diversi da ogni
altro essere umano. È tutto ciò che di posi-
tivo e bello vediamo intorno a noi. Studiare
musica vuol dire mettersi in discussione,
essere alla continua ricerca di noi stessi.
Essa rappresenta una delle aspirazioni
massime a cui chiunque di noi può aspirare,
se solo decidesse di aprire la porta della
sua anima a una sinfonia qualunque. Non
importa se ti piace di più un compositore o
un cantante rispetto a un altro, perché sei
comunque riuscito ad aprirti e a trovare te
stesso dentro la musica. È questo ciò che
conta. Quando ognuno di noi torna alla sua
vita di sempre, indipendentemente dalle
scelte e dalle azioni, la musica ti avrà fatto
un regalo, che porterai per sempre con te,
nel tuo cuore.
Nicole Diamanti
L’Oggetto del Desiderio18 di Oro e Argento
n.85
Èpossibile credere che gli uomini,
quando sono veramente innamorati
regalano gioielli?
Il racconto che abbiamo scelto a
febbraio, il mese degli innamorati, ci inviata a
crederci. Ilo fatto che non tutti gli uomini di-
spongono di risorse economiche importanti
come quelle dei re e dei principi è decisa-
mente irrilevante. Una donna, altrettanto
innamorata del suo spasimante, desidera
ricevere in dono un qualsiasi gioiello, anche
se modesto, perché in esso sono custo-
diti significati affettivi (amore, passione,
progetti di vita) più importanti di qualsiasi
valore economico. Quindi, signori uomini di
tutto il mondo, basta un piccolo gioiello per
esprimere la vostra bollente passione alla
persona amata che a sua volta non avrà più
la forza di resistervi.
Pare si nutrisse d’amore e gioielli Wallis
Simpson, la duchessa di Windsor, tant’è che
la sua collezione di oggetti preziosi non ha
paragoni, non solo perché questi gioielli
furono scelti da un re che per amore aveva
rinunciato al trono, ma perché include alcuni
tra i più importanti esempi di arte e creativi-
tà della gioielleria mondiale.
La splendida collezione di gioielli che
Edoardo VII d’Inghilterra commissionò per
sua moglie durante tutta la durata del loro
matrimonio non è solo la testimonianza di
una delle passioni più intense del nostro
secolo, ma una straordinaria sintesi di
qualità ed arte orafa. Wallis, la Duchessa per
antonomasia, era riconosciuta in Europa e in
America come una delle donne più eleganti
del mondo.
Indossava esclusivamente abiti studiati
per accompagnare le parure regalatele dal
Gioielli, Amore e Fantasia
marito. I suoi gioielli, sempre innovativi, la
resero unica e fu una delle prime donne ad
indossare l’oro giallo, decretando il tramonto
definitivo del platino. Le grandi firme di
gioielli crearono oggetti esclusivi per lei, in
particolare divenne famosissima la serie di
pantere in oro e zaffiri, uno degli animali che
insieme a tigri,m serpenti, rane e fenicotteri
di altri gioiellieri lanciarono la colorata moda
dei “jungle jewels” (gioielli-giungla).
Senza eredi, la Duchessa di Windsor volle
rendere omaggio all’immensa generosità
del marito e ringraziare il popolo francese
che li aveva ospitati per così lungo tempo:
decise che alla sua morte , la collezione dei
suoi gioielli andasse all’asta da Sotheby’s a
Ginevra nel 1987 e il ricavato fosse devoluto
in beneficenza all’Istituto Pasteur di Parigi. n
La Duchessa
diCarmine Goderecci
Giunti a metà anni ’70, ecco che viene
alla luce un genere che segnerà
tutto il restante seventies, per poi
scemare agli inizi anni ’80.
Oltre ad essere un genere musicale esploso
nel 1975 con il massimo picco nel 1978, il
Punk è un movimento sociale ben distinto,
che reclutò orde di giovani dettando uno
stile di vita ben preciso.
Se da un lato nasce come espressione
musicale di ribellione verso stili e dogmi
della musica di quel tempo, dall’altro
emerge il lato selvaggio e anarchico della
sua filosofia, attitudini che si sposano alla
perfezione.
Se leggiamo su internet in disparati posti,
spesso incappiamo in falsi miti o storie,
come ad esempio che il Punk sia nato
dalle ceneri del Freakbeat, in realtà i
primi ad esplorare sonorità simili, furono
artisti come Iggy Pop, Question Mark &
the Mysterians. Le origini per quello che
possiamo “leggere” arrivano dal Garage
Rock (vedi articoli precedenti) di artisti
come Sonics, i Kingsmen e i Wailers. A mio
avviso, anche se Iggy Pop da sempre è
considerato il padrino del Punk, considero i
Sex Pistols pionieri e re assoluti del genere.
Sostanzialmente il Punk non ha regole,
ritmiche incredibili, assoli stratosferici e
quanto altro, nasce infatti come sound
grezzo e feroce, senza tecnica, libero e
sfrontato. Una band classica dell’epoca era
formata da una batteria, basso, chitarra e
voce, spesso anche in trio. Le canzoni sono
semplici e rispecchiavano il disagio sociale
che si viveva al tempo nella madre patria
Inghilterra.
Anche i testi erano di forte impatto sociale,
basti pensare ad esempio alla più blasonata
“god save the queen” - Sex Pistols, che
con ironia e rabbia esprimeva il disappunto
verso la “famiglia reale” ma anche verso il
Regno Unito in genere, le sue regole e i suoi
sprechi.
Dall’ombra del neo nascente Punk spuntano
nomi altro e tanto di grande successo come
i The Damned, The Clash, The Stranglers,
che dal Punk diretto e grezzo, si sposta-
rono verso una sonorità più “complessa”,
troviamo comunque artisti altro e tanto
ottimi come Siouxsie and the Banshees, X-
Ray Spex, The Slits, Subway Sect, Eater, The
Subversives Sham 69, ed altri ancora.
Non per questo, troviamo due realtà; il
British Punk e l’American Punk, che portò i
cosiddetti “addetti ai lavori” (giornalisti, pro-
duttori) a farsi guerra su chi o dove fosse
nato davvero il Punk.
Parliamo di una BandMC5Giusto per rimanere in tema, sia di genere
che di periodo, se non anni prima, parliamo
di un gruppo americano considerato da
molti come la prima band punk della storia.
Gli MC5 nascono a Lincon Park (patria
anche di Iggy Pop) nel 1964 da un’idea del
chitarrista Wayne Kramer, che mise su un
gruppetto di amici intenti a suonare del
rock’n roll.
La band però con il passare degli anni inizia
un percorso sonoro piuttosto rude, con
riff di chitarra secchi e ripetuti e una voce
sempre più irrequieta, quasi a trasformarsi
in una band di Freakbeat.
In realtà quel sound non era altro che
l’anticipazione di quello che sarebbe stato
più in là il Punk.
Il successo della band però è fuori le porte
della loro città, dedita a quel tempo al
Garage Rock.
La band è stata rivoluzionaria al tempo, stia-
mo parlando del periodo iniziale ’66 – ’69,
dove molte sperimentazioni sonore erano
ancora da scoprire. Infatti gli MC5 iniziarono
ad usare distorsioni sporche, feedback, e
dunque anche il sound si fece grezzo, diret-
to e con pochi riff.
Alla voce troviamo Rob Tyner, alla chitarra
ritmica/solista Fred Smith, alla batteria Den-
nis Thompson e al basso Michael Davis.
Con questa formazione la band incide
live “kick out the jams” , che non ebbe un
grosso impatto.
La band comunque prosegue il suo giro
suonando in svariati posti, è il ’70 che porta
buoni propositi.
Infatti con “back in USA” la band trova più
pubblico e più interesse, sia di stampa che
discograficamente.
Nel 1971 incidono “high time”.
Rimangono nei margini della scena, ma non
ostante ciò, lo stesso Iggy Pop li osanna e
gruppi come Sex Pistols, The Clash, trag-
gono una forte ispirazione da loro, per non
parlare del Punk americano.
Una band che ha scritto le prime righe del
Punk, e che se non avete mai ascoltato…
bhè fatelo! n
Parliamo di Musica20 [email protected]
n.85
diLucaCialini
Punk Rock una storia inglese
In giro22diSergioScacchia [email protected]
n.85
Dodici paesi in pochi chilometriUn’esaltante e facile passeggiata sulle colline teramane, tra cultura e natura
La viadei borghi
Quando l’inverno
non consente
lunghi itinerari e
le giornate sono
veramente corte, chi ama
trascorrere qualche ora
in ambiente, scopre itine-
rari vicini d’insospettabile
bellezza.
La “Via dei Borghi”, deno-
minata così dal Coordi-
namento delle Ciclabili Teramane, è un percorso adatto sia per chi ama
camminare sia per chi voglia utilizzare una mountain bike. In pochi ed
esaltanti chilometri, tra bei paesaggi collinari, l’itinerario collega diversi
borghi nei comuni di Teramo, Montorio al Vomano e Torricella Sicura.
Da quest’ultimo paese a sei chilometri dal capoluogo, il percorso è già
tabellato fino a Frondarola e presto le indicazioni arriveranno a Rapino
grazie ad un’associazione locale di salvaguardia del territorio.
Si parte da Teramo procedendo sulla Strada Provinciale 48 di Bosco
Martese fino a Torricella Sicura.
La strada è frequentata in tutte le stagioni, da camminatori di ogni età.
Giunti nella piazza principale, intitolata all’eroe della Resistenza
teramana, Mario Capuani, di fronte alla chiesa parrocchiale di San Paolo
si prosegue su strade secondarie, verso il quartiere Case Romani, costeg-
giando la sede del Museo e presepe etnografico “Le_genti della Laga” e
della Comunità Montana della Laga.
Poco più avanti si trova l’antica abitazione dei fratelli Giorgio e Saverio
Romani, valorosi patrioti morti durante la 1° Guerra Mondiale.
Dopo la breve discesa si risale verso il borgo di Piano Grande costeg-
giando la
Fonte Vecchia, recentemente restaurata. Ai margini del centro storico,
che meriterebbe una sosta, si svolta a sinistra, direzione Cavuccio. Dopo
un’ulteriore breve discesa-salita si costeggia la chiesetta di S. Nicola.
Si attraversa il borgo di Cavuccio e, in prossimità della croce, si svolta
a sinistra. Un tratto in terra battuta conduce al cimitero; superatolo, si
attraversa la strada provinciale e subito dopo il fosso Rio.
In breve si raggiunge Villa Tordinia. Qui si percorre un breve tratto di
strada provinciale verso monte, quindi, in prossimità del primo tornante
s’imbocca la via secondaria a sinistra. Volendo si può proseguire sulla
strada principale per visitare il borgo storico di Villa Ripa e poi ricon-
giungersi all’itinerario che conduce all’antica chiesa di S._Maria di Ponte
a Porto nell’agro di Frondarola.
La chiesetta sorge sull’argine sinistro del fiume Tordino, in un luogo, dove
vi era un antico passaggio sulle acque.
Nella piana adiacente si svolgeva l’ultima fiera d’estate delle greggi pri-
ma della transumanza verso le Puglie. La manifestazione negli anni ’20 si
spostò ai margini dell’abitato di Frondarola, dove mantenne la tradizione
fino agli anni ’60.
Ora si attraversa quello che doveva probabilmente essere, nei tempi an-
tichi, il ponte a pietre squadrate della Via Cecilia. Nella descrizione dello
storico Niccola Palma, la strada romana che si diramava dalla Salaria,
raggiungeva l’Interamnia (Teramo) proseguendo fino a Castrum Novum
(Giulianova). Quest’antica arteria è testimoniata anche dalla pietra miliare
indicante il miglio romano CXIIII, rinvenuta a Valle S. Giovanni nel 1993,
ora custodita nei depositi del Museo archeologico di Chieti.
Villa Ripa
Valle San Giovanni
Frondarola
23n.85
Attraversando il ponte sul Tordino si raggiunge
la provinciale, ai margini di Travazzano.
Si prosegue verso valle fino a raggiungere il bi-
vio di Frondarola, sede di un antico castello,
dal quale si gode un panorama quasi a 360°
verso la catena del Gran Sasso, la Maiella, La
Laga, i Monti Gemelli. Raggiungendo la vicina
Valle S. Giovanni si può imboccare la strada
bianca per Fonte Vecchia che sale sull’antico
tratturo per San Giorgio e Piano Roseto nel
cuore dei Monti della Laga.
La gita porta alla vicina Rocciano da dove è
possibile tornare direttamente verso Teramo
lungo un percorso in terra battuta, attraver-
sando il quartiere Mezzanotte.
Chi ha gambe forti può invece dirigersi verso
il minuscolo abitato di Rapino, procedendo
lungo la strada asfaltata.
È possibile scendere nella valle del Vomano
e poi, attraverso un antico tratturo lungo
l’argine sinistro del fiume, raggiungere Piane
di Collevecchio. Pochi sono a conoscenza
che in questa località, negli anni ‘80 sono state
rinvenute antiche cisterne romane. Gli storici
hanno ipotizzato la presenza delle terme.
Oggi la sorgente di acque sulfuree attende la
valorizzazione del comune di Montorio.
La strada asfaltata ora sale a Collevecchio.
Dopo averlo costeggiato, attraverso l’ex
statale (ora dismessa e con traffico nullo) è
possibile tornare a Frondarola e a Teramo,
attraverso Rocciano. n
(Consulenza e foto Lucio De Marcellis)
Torricella Sicura
Rocciano
Accade a Teramo24n.85
Il caso buffo dell’uomo senza indirizzo
diMaurizioDi Biagio www.mauriziodibiagio.blogspot.com
Il mistero buffo della via senza nome. Massimiliano è un cittadino
ormai in totale crisi d’identità: quando per caso i Carabinieri lo
bloccano per un controllo, passa ore e ore a giustificarsi che lui non
c’entra nulla, che ha le carte in regola ma qualcun altro no. Quando
ad esempio Enelgas gli chiede conto di qualcosa, di un allaccio o di
altro, lui riparte con la stessa solfa, “non è colpa mia, guardate”, mentre
per il recapito della posta importante ci pensa un suo amico a fargliela
recapitare, amici veri che usualmente non sbirciano dentro per vedere
se c’è qualcosa di sostanzioso tra la carta. Massimiliano è un uomo
senza più una Via da più di sette anni ormai: dal 2005. Tutti bene o male
ne possediamo una, bella o brutta che sia, con un nome arzigogolato,
famoso o breve, con un’arida toponomastica di città o con una più solare
o floreale, chi addirittura con una Piazza o con uno slargo. A Massimi-
liano invece gli hanno tolto proprio la Via. Più precisamente: una ce l’ha
ed è Via Giuseppe Caporale, con tanto di palo e segnaletica, erbaccia
ai lati e reticolato nei paraggi, come nelle migliori tradizioni delle prime
periferie di qualsiasi città. Ma all’anagrafe del Comune di Teramo non
risulta: la delibera istitutiva ancora non c’è, persa nei meandri di qualche
polveroso scaffale di Piazza Orsini, assieme a biciclette e oggetti smarriti
che nessuno reclama più. “Vorrei avere un indirizzo come tutti gli altri”
si sgola. Fa presente il suo caso anche al sindaco Brucchi su Facebook.
“Mi attiverò” è la sua risposta determinata, come al solito. Via Giuseppe
Caporale non risulta nemmeno sul navigatore: “E’ assurdo” si lamenta
ancora Massimiliano. Su Google map dopo aver digitato il nome t’appare
un algido “impossibile individuare l’indirizzo”, e se proprio insisti anche
tagliando il nome Giuseppe, spunta un nominativo simile in un paesino
chiamato Peschiolo dalle parti dell’Aquila. Nei documenti di Massimi-
liano è impreso il suo vecchio indirizzo: “Qui è un po’ troppo generico”
gli rinfacciano le forze dell’ordine, ogni volta che lo stoppano, e vai con
le spiegazioni sulla via senza indirizzo, che il Comune di Teramo, che le
pratiche, che e che… Nel 2005 apposero la segnaletica con il nome del
padre dell’ex direttore dell’Izs, Vincenzo Caporale, proprio nei pressi del
posto dove dovrà sorgere la nuova sede della struttura. “Il più grosso in-
vestimento che si farà nel comune di Teramo, in gran parte autofinanzia-
to” rimarcò soddisfatto nel Gennaio di quest’anno l’allora direttore del’Izs
nello svelare il plastico della nuova sede dell’Istituto che si sarebbe
dovuto realizzare a Colleatterrato Alto. Un cantiere di 60 milioni di euro
per un’area di 80 ettari che prevedeva un avveniristico edificio principale
di tre piani con tre prolungamenti a forma di terminal aeroportuale per
un totale calpestabile di circa 14 mila mq, cui si doveva aggiungere la
realizzazione della struttura Cifiv già in funzione, da completare con sale
conferenze, stalle e stabulari. “Finalmente avremo una sede adeguata,
un esempio di crescita” grugnì al suo solito il direttore, che non mancò
in quel frangente di accusare l’attuale Amministrazione comunale di
aver profuso poco impegno, senza aver contrassegnato come prioritaria
questa struttura, di fatto abbandonandola. “Doveva fare solo un’opera,
la strada – disse contrariato quel giorno Vincenzo Caporale - ma Brucchi,
al contrario delle intenzioni di Sperandio, non l’ha fatta”. Evidentemente
a Palazzo Orsini, sede del governo cittadino, tale specie di imprimatur
non è calata giù, e la vendetta, forse, è stata quella di non consegnare la
delibera perché quella Via, la Via del padre di Vincenzo Caporale, nei fatti
non esistesse. Questione di delimitazione di territori e di cani che fanno
la pipì agli alberi e alle gomme delle auto. n
Via Caporale da 7 anniancora non risulta all’anagrafe
Lo pseudonimo rientra nel vasto campo dei nomi e
significa infatti “falso nome”, cioè nome fittizio, che au-
tori, scrittori e oggi anche certi attori e cantanti usano
al posto del loro vero nome, come Aristarco Scannabue, il
cui vero nome era Giuseppe Baretti; Carlo Collodi,
ossia Carlo Lorenzini; Sophia Loren, che si chiama
anagraficamente Sofia Scicolone ed altri come Um-
berto Saba (Umberto Poli); Vincenzo Cardarelli (Na-
zareno Caldarellui); Trilussa (Carlo Alberto Salustri);
Alberto Moravia (Alberto Pincherle); Ignazio Silone
(Secondo Tranquilli) ecc… Anche i cosiddetti “nomi
di battaglia”usati per prudenza durante la guerra
partigiana: Tigre, Lupo, Saetta ed altri, erano pseu-
donimi. Lo pseudonimo è in sostanza un sopranno-
me, con la differenza che è scelto liberamente da
chi, per scopi leciti, vuole tenere nascosta la sua vera identità, mentre il
soprannome è imposto da latri che, spesso per scherzo o per malignità,
lo riferiscono a difetti fisici o ai vizi della persona, come ad esempio il
Guercino, famoso pittore emiliano, il cui nome era Giovan Francesco
Barbieri, così soprannominato perché guercio dall’occhio destro. n
Pseudonimie Soprannomi
Note linguistichedi Maria Gabriella
Di Flaviano
Sul podio delle rinunce dettate dalla recessione nel 2013 salgono
le spese per l’abbigliamento che quasi tre italiani su quattro sono
disposti a tagliare (74%), i divertimenti al quali il 72% è pronto a dire
addio e gli acquisti tecnologi che verranno ridotti da ben il 71% dei
cittadini. E’ quanto emerge da uno studio sull’impatto della recessione
economica prevista da Bankitalia nel 2013 sulla spesa dei cittadini.
25Coldiretti informa
diRaffaelloBetti Direttore Coldiretti Teramo
Gli effetti negativi si fanno sentire anche su altri settori dell’economia
come quello turistico con il 66% degli italiani che è pronto a rivedere le
proprie vacanze mentre solo il 51% è disposto a ridurre qualche spesa
alimentare o per la salute (49%) che si classificano come le voci più
difficili da tagliare. Si tratta di un risultato che è il frutto delle aspettative
negative sull’andamento del potere d’acquisto nel 2013 per il quale ben
il 48% dei consumatori italiani si considera preoccupato e mantiene una
visione negativa, mentre solo l’8% pensa che la propria capacità di spesa
migliorerà. A cambiare sono in generale i comportamenti di acquisto di
tutti i beni e servizi con i consumatori italiani che tendono sempre più
alla pianificazione d’acquisto basata sulla convenienza dei prodotti e dei
punti vendita. Torna la lista della spesa per evitare gli acquisti di impulso,
si ricorre alla ricerca su internet per confrontare prezzi e ricercare offerte
promozionali, si fa lo slalom tra le corsie dei supermercati e la spola tra
diversi punti vendita. Questa attenzione si traduce nel settore agroali-
mentare (che è la seconda voce di spesa familiare dopo l’abitazione) con
una maggiore propensione ai prodotti locali magari a chilometri zero
acquistati direttamente dagli agricoltori ed in generale al cibi Made in Italy
che garantiscono primati dal punto vi vista qualitativo ma anche dalla so-
stenibilità ambientale e sociale. Le produzioni italiane hanno il record del
99 per cento di campioni regolari di frutta, verdura, vino e olio, con residui
chimici al di sotto dei limiti di legge ma l’Italia ha anche il maggior numero
di imprese biologiche in Europa (quasi cinquantamila) che coltivano un
milione di ettari di superficie bio. L’agricoltura italiana, che ha scelto di
non coltivare Ogm, vanta anche la leadership nei prodotti tipici con 244
prodotti a denominazione o indicazione di origine protetti dall’Unione
Europea mentre sono 517 i vini Docg, Doc e Igt riconosciuti in Italia. n
n.85
Gli effetti della recessione sulla spesa dei cittadini e sull’economia reale
Crisi: abiti, svaghi e tecnosu podio rinuncedel 2013
Un movimento nel suo significato letterale di moto e spostamento
continuo, quello di Tropicália Musica, cinema, letteratura, televi-
sione, arte, jeito (modo di essere e di fare). «Era come un’isola,
una specie di territorio idealizzato, una specie di Utopia» dichiara
Gilberto Gil, uno dei protagonisti
del wild bunch tropicalista e
adesso guida-star, con l’alter
ego Caetano Veloso, di questa
mappa per l’isola/utopia del
tesoro. Un docu pop e insubordi-
nato come fu il movimento, che
arriva, colorato e arrabbiato, a 45
anni dalla nascita ufficiale dello
stesso, potente tropic thunder
che invade e finisce. Sfilano sullo
schermo, belli e d’annata, Gal
Costa e Nara Leão, Tom Zé e
Glauber Rocha, Jorge Mautner e
Rita Lee, Rogério Duarte e Jorge
Ben, José Celso Martinez Corrêa
e Hélio Oicitica. Gli stessi nomi,
tra i tanti, di cui aveva parlato
Veloso, in un prezioso libro (Verità
tropicale, edito in Italia da Feltrinelli) scritto in occasione del trentennale
della storica avventura pluridisciplinare.
Il regista Marcelo Machado, proveniente dalla televisione (TV Gazeta,
MTV Brasil), ha svolto un enorme lavoro (cinque anni) di copia e incolla
tra filmati d’epoca, scelti tra i meno noti, persino inediti, che sa riaccen-
dere come video-clip di un’era futura irraggiungibile eppure hic et nunc.
O congela in frames di splendore iconico warholiano, macchiandoli di
giallo e verde (i colori della bandiera brasiliana), azzurro e viola, rosso e
arancio. Lo schermo diventa una tela di tinte tropicaliste, omaggio alla
fotografia in Tropicolor dei film di quell’epoca di alegria, alegria po(p)
litica ritagliata nell’orrore della dittatura militare. Carmen Miranda balla
così tra i manganelli (piuttosto che le banane) dell’Atto Istituzionale n. 5,
assurdo provvedimento alla Kafka con cui si poteva essere arrestati, e
torturati, senza sapere perché. La produzione del Fernando Meirelles di
Cidade de Deus (2002) è in sintonia con il ritmo funky e reggae del mon-
Cinema
taggio, ma come rivisitati dall’hip hop, con graffi di contagioso wild style.
In questo modo, la lezione assorbitrice di quel movimento esplosivo e
tritatutto si rivela in pieno: vitalista e priva di saudade. Nessuna traccia di
nostalgia nemmeno quando, nel finale, Veloso e Gil si rivedono giovani (e
giovane, «in gran forma!», esclama il figlio, era anche la madre di Veloso,
Dona Canô, oggi centocinquenne), nel super8 della festa che li accolse a
Salvador de Bahia, di ritorno dall’esilio forzato a Londra. Lacrima pantera
con ruggito ulteriore, amazing grace.
Tre anni che cambiarono il Brasile, dal termine a quo 1967 a quello
ad quem, 1969, quando appunto i due musicisti furono arrestati e,
dopo quattro mesi di carcere, spediti all’estero. Attività sovversiva per
mezzo cultura, nello specifico canzone d’autore. Spaventosa in quanto
imbastardita di modelli stranieri, perlopiù anglosassoni, (quando il regime
era nazionalista nel senso più deleterio dell’espressione) e perché iper-
nazionalista (nel senso più alto dell’espressione) nel recuperare le obliate
mai obsolete radici musicali: maracatu nordestino, forró regionalista,
intercedere ipnotico e black della capoeira. Recupero anche della più
iconoclasta corrente letteraria del Paese, quella del modernismo anni
’20, turbinio divoratore di modernità altrui, futurismo tropicale furente al
suo diapason.
Un modo di fare genialmente
abbigliato con abiti e culture
extralocali, colonialiste o no,
come dirà giustamente il regista
Arnaldo Jabor: «…tutto ciò che è
approdato sulle nostre spiagge,
sia che provenisse dall’Europa,
sia dall’Africa o dagli Stati Uniti,
è stato debitamente deglutito ed
ha formato la nostra fantasia di
pensatori». In ossequio al mani-
festo antropofagico (divorare le
virtù del nemico e farle proprie)
di Oswald de Andrade, Veloso e
Gil psichedelizzarono samba ed
altro, resero elettriche sonorità
e spiagge, aggiunsero il gusto
Beatles e Stones in un contesto
apparentemente opposto, facendo partire, rumorosissimi e sfolgoranti, i
fuochi d’artificio tropicalisti.
Bisognava ri-percepire tutto attraverso l’amalgama impossibile. Solo
nell’interazione tra elementi discordanti si poteva compiere l’abbatti-
mento delle frontiere mentali e frontiere tout-court. Che determinavano
gli aborriti patriottismi e l’incomprensione della diversità, fosse quella di
uno straniero dalle diverse conformazioni fisiche oppure di un abitante
delle favelas povero e anarchico (il bandito Cara de Cavalo, ucciso da
un’organizzazione poliziesca clandestina, Scuderie Le Cocq). Nacque così
la predisposizione all’innesto di culture, espressioni, linguaggi. Violini più
percussioni brasiliane; macumba diventata bat-macumba; Michelangelo
e il rock adolescente americano alla base della Capela Sixteena, ritrovo
pop. E la poesia concreta (Augusto de Campos, Ferreira Gullar, Torquato
Neto, Haroldo de Campos) spalancata al linguaggio di giornali e tv, allo
26
Tropic Thunder
diLeonardoPersia [email protected]
n.85
I 45 anni di Tropicália nel film di Marcelo Machado
27
slogan politico omologato a quello pubblicita-
rio. Sulla scia del vecchio modernismo, ci fu un
tripudio di imbastardimenti, contaminazioni e
sperimentazioni da cui il Brasile non si libererà
mai piú. I poeti scrivevano canzoni, i cantanti
componevano poesie.
Un vero e proprio sperimentalismo di massa
che il poeta d’avanguardia Décio Pignatari
battezzò «produssumo» unendo in una sola
parola produzione (produção) e consumo
(consumo). Marcelo Machado ce lo ricorda.
Non ci dice però, almeno esplicitamente, che
lo stesso Pignatari creò il neologismo esquer-
dofrenicos, affibbiandolo ai denigratori del
movimento, legati ad una sinistra (esquêrda)
ortodossa, fanaticamente legata alle «chiare»
prese di posizioni ideologiche, incapace di di
comprendere gli intenti di un movimento ap-
parentemente interessato piú alla forma che
a formare o trasformare il mondo. E, come se
ciò non bastasse, pure pesantemente estero-
filo. Grandioso però, durante il III festival della
canzone di Rede Globo (15 settembre1968),
l’urlo che Veloso lancia dal palco ai denigratori
del nuovo sound: «Se vocês forem tão caretas
na política como são em estética nós estamos
feitos!» («Se siete così coglioni in politica
come lo siete nell’estetica, siamo fritti!»).
Questa nuova musica non consisteva quindi
solo nella musica. Era proclama politico
nell’essere anche altro, di più. Arte totale, pla-
stica e figurativa in primis, cinema. Secondo
le intenzioni di Gil, la canzone Domingo no
parque (eseguita, nel film, insieme al gruppo
rock Os Mutantes), col suo continuo intercala-
re coppie di aggettivi, anche opposti, doveva
creare nell’ascoltatore una terza immagine
sonora, secondo i dettami ejzenstenjani sul
montaggio. A sua volta, Alegria Alegria di
Veloso affrontava il testo «nello stile informale
e aperto di Godard», con una chitarra/came-
ra a mano, nouvelle vague di note Arriflex.
Parola di Augusto
Campos.
Il cinema,
d’altronde, è il
diretto ispiratore
del movimento,
attraverso un film
di Glauber Rocha
(Terra in trance,
1967), considera-
to dai tropicalisti
un manifesto.
«Quello era
Tropicália!» riferisce Veloso, appassionato
da sempre di cinema (pensava, prima di
diventare cantante, di fare il regista e nel 1986
realizzerà uno straordinario film, O Cinema
Falado). Per questo Machado incornicia i pezzi
di musica con pezzi di cinema. In Tropicália
ce ne sono tanti. I campionamenti di horror,
satira, eros, chanchada e post-moderno
marginal di Ivan Cardoso (il lungo in super-8
Nosferatu no Brasil, 1971), Maria Bethania
(sorella di Veloso) filmata dal cinemanovista
Saraceni (in O desafio, 1965) e dal post-novista
Julio Bressane (Bethânia Bem de Perto, 1966),
i deliri udigrudi (underground) mescolati alla
fantascienza di André Luis Oliveira (Meteoran-
go Kid, o heroi intergalatico, 1969) e di José
Agrippino de Paula (l’incredibile, radicalissimo
Hitler III Mundo, 1968). E ancora: Walter Hugo
Khouri, Walter Lima, jr., Rogério Sganzerla,
Carlos Diegues (Os herdeiros, 1969, dove
recita Veloso), lo stupefacente (in tutti i sensi)
Glauber Rocha di Câncer…
Proprio in quest’ultimo, appare l’artista
plastico Hélio Oicitica, che diede il nome
al movimento attraverso un’installazione
denominata appunto Tropicália (se ne vedono
le foto a colori d’epoca) consistente in un
labirinto posto tra le sabbie di una spiag-
gia che conduceva a un televisore acceso,
simbolo del futuro, già presente, del Paese. Al
punto che che, nel medesimo periodo, con lo
stesso spirito di provocazione, José Agrippino
de Paula, scrittore e cineasta fuori da tutti
gli schemi, incoronerà come personalità piú
importante del Brasile Chacrinha, un presenta-
tore televisivo populista. E Rogério Sganzerla
realizzerà un film, O bandito da luz vermelha
(1968), iniziatore del Cinema Marginal, tutto
visto con l’ottica dei mezzi di comunicazione
di massa, radio, giornali, televisione e cinema,
anche quando il punto di vista si spostava
sul monologo interiore del suo alienatissimo
protagonista.
n.85
Il Tropicalismo, come poi suo fratello gemello,
il Cinema Marginal, trangugiò la cultura di
massa per risputarla differente. Gli intellettua-
li odiavano Chachrinha, Rocha lo disprezzava
come «il re dell’evasione consumista». Invece
le testimonianze tropicaliste sul presentatore,
e nel film sono raccolte, appaiono di tutt’altro
segno, se ne parla come fosse un genio. Una
provocazione che bandiva la passività del fru-
itore, lo invitava a prendere posizione senza
imposizione. Doveva proprio percorrere un
labirinto, più metaforico che reale, per arriva-
re alla «verità». Richiesta, come direbbe Eco,
una competenza intertestuale, la capacità di
captare citazioni, rimandi, allusioni, si trattas-
se di dover giudicare un libro, una scultura,
un film o una canzone. Logo, locandina e
caratteri di questo stesso film si rifanno, per
esempio, all’artista Lygia Clark, un’altra musa
del movimento.
C’era pure la consapevolezza che attraverso i
media si potesse invertire il segno dominan-
te, da repressivo a libertario. Si considerava la
tv uno strumento in grado di ribaltare le cose
in fretta e in senso progressista, sogno di
un’Imagine… al potere. In ciò non mancava-
no gli influssi degli yippies, il non gruppo dello
Youth International Party facente capo a Jerry
Rubin. A differenza degli hippies, si distingue-
vano per una maggiore connotazione politica
e, come gli antropofagi tropical-modernisti,
non disdegnavano l’uso delle «armi» del
«nemico». «Per essere yippie devi guardare la
tv a colori almeno due ore al giorno» spiega
Jerry Rubin nel manifesto del gruppo.
Anche per questo, forse, e per la prove-
nienza culturale del suo autore, gran parte
di Tropicália film si compone di spezzoni
catodici, fatti interagire con quelli del coevo,
novo, cinema nazionale, un cinema divino
maravilhoso (definizione di Rocha, cfr. Vento
dell’Est, 1969, di Godard, mutuata dal titolo
di una trasmissione anarchico-tropicalista
di canzoni). Ce ne siamo dimenticati, ma
persino la tele poteva (può ancora) (in)dire la
rivoluzione. Non a caso, Machado apre con
una scheggia datata 4 agosto 1969, prove-
niente, reverse del colonialismo, dal program-
ma portoghese Zip Zip, alla vigilia del feroce
regime di Costa e Silva (difatti mostrato nella
scena successiva, dentro lo stesso televisore
che ne annuncia la sciagurata presidenza).
Divorare e risputare, appunto. Trasformando,
ricollocando.
Mentre l’apocalisse infuria(va).
Formidabili quegli anni! n
Qualcosa tanto desiderata, quando si tocca con mano finisce per
deludere. Non per il contenuto in sé, quanto per il venir meno
delle difficoltà immaginate insormontabili per conseguirlo, nella
realtà molto
meno impegnative.
E’ quello che prova il
Presidente del Teramo
Calcio Luciano Cam-
pitelli nel momento
in cui ha raggiunto
l’obiettivo accarezzato
per anni: il salto nei
professionisti. Tra di-
lettanti e professioni-
sti c’è poca differenza
per quanto attiene l’organizzazione interna del Teramo perché costruita
in prospettiva futura per l’obiettivo programmato. Se non fossero per
le ferree norme entro le quali agire, la gestione rientrerebbe nella
normalità. La vera differenza risiede nel maggior impegno economico e
non è cosa da poco in un momento di difficoltà economica generale.
Presidente,com’è stato l’impatto con il professionismo?“Come ogni novità, psicologicamente l’inizio riserva sempre un po’
di apprensione. Poi si scopre che non è come lo si era immaginato
e rientra nella normalità. Tutto sommato le maggiori difficoltà le ho
incontrate nei dilettanti con il peso di dover vincere sempre e ad ogni
costo. In quattro anni ho vinto tre campionati, cosa che non si riscontra
in realtà importanti non distanti da Teramo. Come in tutte le cose, se si
programma bene i risultati arrivano comunque, nei professionisti e nei
dilettanti”.
E il contatto con gli Organi Federali?“Molto bene. Rispetto all’ambiente dilettantistico, in Lega Pro c’è più
professionalità e lo spirito è molto diverso con manager importanti ai
vertici. Con questo non intendo assolutamente sminuire ciò che ho
trovato nei dilettanti. Le esigenze nei professionisti sono diverse e così è
man mano che si sale fino al massimo campionato nazionale. I contatti
sono molto frequenti ed anche il coinvolgimento è maggiore. Sono ve-
ramente soddisfatto della cordialità e quanto ho trovato in Lega Pro. Ho
ricevuto tanta considerazione nelle occasioni che si sono presentate,
sia quando è stato richiesto da me o quando sono stato invitato dagli
Organi Federali ”.
In generale, la differenza sostanziale tra dilettanti e professio-nisti.“L’aspetto economico è quello che risalta di più e forse è la vera dif-
ferenza sostanziale tra i due ambiti. Alla maggiore quantità di risorse
nei professionisti, seguono adempimenti formali e sostanziali ricorrenti
senza possibilità di deroghe. Altri aspetti , che investono principalmente
il settore amministrativo, costituiscono anch’essi novità importanti,
non tali da creare grosse difficoltà. Al maggior impegno economico, ho
riscontrato una minore collaborazione della città. Le due cose hanno
ampliato il gap e al momento è la vera differenza che non mi sarei
aspettato di dover affrontare”.
E le differenze gestionali?“Anche nella gestione prevale l’aspetto economico. Adempimenti
improrogabili e controlli periodici da parte degli organi federali, fanno
si che bisogna muoversi in uno stretto corridoio senza possibilità di
adeguamenti alle esigenze interne, pena forti sanzioni. Già da prima gli
impegni assunti dal Teramo Calcio venivano regolarmente soddisfatti,
per cui grossi stravolgimenti non ci sono stati. Anche nell’organizzazio-
ne generale è filato tutto liscio, grazie anche alle professionalità del D.G.
Massimo D’Aprile e dello staff”.
La stagione rispecchia i programmi iniziali?“Il mio sogno si sta avverando. Non esagero quando parlo di “sogno”
perché amo il calcio e se vado avanti è grazie anche a questa passio-
ne. Il programma iniziale è avviato sulla buona strada, anzi direi anche
meglio per come stanno procedendo le cose. C’è ancora tempo per
arrivare al termine della stagione, momento in cui fare il consuntivo,e
forse è ancora prematuro
azzardare qualcosa di
concreto. Inizialmente mi
accontentavo solo della sal-
vezza, ora che ci sto il mio
sogno è arrivare ai play-off.
A volte sognare non costa
niente perché, in fin dei
conti, una volta assicurato
l’obiettivo minimo, una
soddisfazione in più aiuta ad
andare avanti per superare
le difficoltà che indubbia-
mente ci sono”.
Le qualità di un Presi-dente per gestire una società professionistica.
“Non invento niente se dico che per gestire una società professioni-
stica c’è bisogno di Presidenti seri. Con questo intendo dire che non
è possibile promettere e non mantenere, anche perché si va contro
i regolamenti federali. Quindi, parsimonia, correttezza di gestione e
trasparenza. A tutto ciò vanno aggiunte le disponibilità che il massimo
dirigente deve avere in proprio o reperirle nelle attività collaterali con-
sentite. Il Presidente, inoltre, deve possedere anche qualità politiche e
in questo penso di essere un po’ carente. Sono schietto e a volte non
riesco a nascondere ciò che penso veramente”. n
Calcio28n.85
diAntonio Parnanzone [email protected]
Intervista aLucianoCampitelli
La stagione delle società teramane prosegue tra luci ed ombre.
Nella A 1 maschile la Teknoelettronica Teramo prosegue la
marcia di avvicinamento ai play off scudetto con la ormai quasi
certezza di conquistare la terza piazza utile per disputarli. Le
dirette concorrenti Noci e Fondi non sembrano in grado di porre
ostacolo alla squadra di Marcello Fonti, in particolare il Noci ha dichia-
ratamente ridimensionato i propri obiettivi, sfoltendo drasticamente il
proprio organico, continuando il campionato con elementi del vivaio
mentre il Fondi finora non ha dimostrato di poter competere con la
squadra teramana. Il campionato di A1 maschile girone C sta dicendo
che il solo Fasano ha una squadra di alto livello, Fasano che ha battu-
29Pallamano
diEgidio Romano [email protected]
to nettamente il Teramo (27 a 33 il risultato finale) sabato 9 febbraio
al Palacquaviva). Anche il Conversano, seconda in classifica, sembra
abbia ridimensionato i propri piani per i medesimi motivi (economici?):
E’ evidente che la crisi economica delle società non ha domicilio solo
a Teramo.
La medesima crisi attanaglia sempre più la squadra femminile della
nostra città. Prosegue infatti fra ombre sempre più minacciose il
cammino dell’H.C. Teramo. Sabato 9 febbraio è iniziata la seconda fase
del campionato di A 1 femminile che ha
visto l’H.C. uscire sconfitta dal campo
veneto del Mestrino, con il risultato
di 27 a 25 (13 – 16 il primo tempo). La
stagione prosegue ora con l’incontro
esterno di Conversano il 16 febbraio, e
il 23 febbraio e il 2 marzo con le gare
casalinghe con Sassari e Salerno, per
poi chiudere il 9 marzo a Nuoro. La per-
manenza della compagine di Serafino
La Brecciosa in serie A1 è fortemente
compromessa e resta solo un filo di
speranza, in caso di vittoria in una di
queste gare e soprattutto nello scontro
con il Nuoro. Il presidente Carnevale, no-
nostante il prodigarsi di Roberto Canzio e degli amici che lo sostengo-
no, sembra sempre più lontano dal voler assolvere agli impegni presi e
di conseguenza scongiurare la tombale crisi societaria.
Vedremo quale sarà la fine dell’H.C. Teramo. n
n.85
Quo vadis...pallamanoteramana?
Salute30n.85
Il PSA: questoconosciuto
diCarlo Manieri
L’incidenza del tumore della prosta-
ta è notevolmente cresciuta negli
ultimi anni, così da arrivare quasi ai
vertici della graduatoria dei tumori più
frequenti. Un ruolo decisivo nella diagnosi lo
ha sicuramente giocato la scoperta del PSA
(antigene prostato-specifico), ormai conosciu-
to da tutti i soggetti maschi non più giovani,
per molti dei quali rappresenta una pesante
croce da portare sulle proprie spalle.
Ma cosa è il PSA? E’ una sostanza dosabile
nel siero, che ha la caratteristica di essere
prodotta quasi esclusivamente dalla ghian-
dola prostatica, nel cui interno i livelli sono
particolarmente elevati rispetto a quelli ema-
tici circolanti. In presenza di un tumore (CaP)
le cellule ghiandolari prostatiche aumentano
sensibilmente la produzione di PSA, quindi il
suo passaggio nel circolo ematico. Tuttavia un
aumento del PSA non è sinonimo di tumore
della prostata: il suo incremento si può verifi-
care anche in presenza di una infiammazione
della prostata, in caso di incremento volume-
trico della ghiandola stessa nella patologia
benigna, ma anche, quasi inspiegabilmente, in
alcuni pazienti con volumi ghiandolari normali ed in assenza di processi
infiammatori. Infine bisogna sapere che un tumore della prostata si può
riscontrare fino al 7-8% in soggetti con valori bassi di PSA (< di 2 ng/ml).
La conclusione: il PSA non è un marker tumore-specifico.
Anche nel caso di PSA particolarmente elevato e dopo una visita urolo-
gica consistente in una esplorazione digitale transrettale della ghiandola
prostatica, il sospetto diagnostico di tumore necessita di una conferma
anatomo-patologica su prelievi bioptici.
L’indicazione alle biopsie prostatiche tiene conto però di altri numerosi
fattori, non da ultimi condizioni generali ed età del paziente. Soprattutto
dopo un primo set di biopsie prostatiche negative per tumore vengono
oggi proposte altre indagini, di laboratorio e per immagini, con lo scopo
di una migliore selezione dei pazienti cui proporre ulteriori biopsie.
Un classico esempio è la quota di PSA libero e quindi il rapporto PSA li-
bero/PSA totale: il PSA in circolo è legato ad altre proteine per il 70-95%
e la quota libera è risultata decisamente ridotta nei pazienti con tumore
della prostata. Per valori di PSA totale compreso tra 4 e 10 ng/ml il
rapporto percentuale tra PSA libero e totale migliora significativamente
la discriminazione tra CaP ed ipertrofia prostatica benigna; quando più il
rapporto è elevato tanto minore è il rischio di tumore. Più recentemente
il maggiore o minor rischio è stato studiato con il PCa3 ed una delle for-
ma di proPSA. I primi studi hanno mostrato una loro discreta specificità,
tuttavia ancora non entrano a peno titolo nella routine di tutti i labora-
tori, in quanto si è ritenuto giustamente opportuno verificare su numeri
elevati di casi il loro significato clinico e l’effettiva validità.
Il PCA3 (Prostate Cancer gene 3) è un gene specifico della prostata,
altamente sovraespresso dalle cellule tumorali. Da un rapporto fra
PCa3 e PSA si ricava un valore (Score); Un PCa3 Score alto indica un
più elevato rischio di tumore. Come si ottiene il valore del PCa3: dopo
un’esplorazione digitorettale, cellule tumorali
con elevati livelli di PCa3 si raccolgono nel
canale uretrale; il paziente viene poi invitato
ad urinare; il campione di urine del primo
getto viene inviato in laboratorio.
I pro PSA sono precursori del PSA libero,
che aumentano nel siero dei pazienti con
tumore della prostata. In particolare il [-2]
proPSA è quello cui sono state rivolte le
maggiori attenzioni, essendo stati riscontra-
ti valori significativamente più elevati nel
tessuto tumorale.
Da una relazione fra PSA totale, PSA libero
e [-2]proPSA viene ricavato l’indice di salute
prostatica phi (prostate health index). Un
semplice prelievo ematico aiuta anche in
questo caso l’urologo a prendere una decisio-
ne per la ripetizione delle biopsie.
Un’indagine strumentale che in quest’ultimo
periodo è emerso per il suo ruolo nell’indivi-
duazione, localizzazione e caratterizzazione
del tumore della prostata è la Risonanza
Magnetica Nucleare (RMN) con bobina
endorettale, esame condotto con tecnica
convenzionale, dopo somministrazione di
mezzo di contrasto o con studio spettrome-
trico. Anche questa è un’indagine di ampie prospettive nelle mani di
esperti Radiologi dedicati.
Quali conclusioni possiamo trarre: non esistono indagini certe che con-
sentano una diagnosi non invasiva di certezza di tumore della prostata;
gli esami più attuali hanno necessità di conferme e non rappresentano
altro che tessere di un mosaico che l’Urologo dovrà coniugare nel
migliore dei modi con la clinica, per arrivare alle decisione più corretta
per ciascun paziente.
Le più recenti indagini diagnostiche vengono effettuate solo in alcuni
laboratori e ospedali e spesso in strutture non convenzionate. Infine, la
diagnosi di tumore necessita sempre di un riscontro anatomo-patologi-
co e la diagnosi non è certa anche dopo più sets di biopsie prostatiche
negative per tumore. n