Teramani 114

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n. 114 Febbraio 2016 mensile di informazione in distribuzione gratuita UNA RISATA VI SEPPELLIRÀ? L’EURO, ANZI L’EUROPA EDUCAZIONE CIVICA pag. 3 pag. 8 pag. 22 QUALE FUTURO PER NOI? QUALE FUTURO PER NOI?

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Periodico mensile, n. 114 di febbraio 2016

Transcript of Teramani 114

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n.114Febbraio 2016

mensile di informazione in distribuzione gratuita

UNA RISATAVI SEPPELLIRÀ?

L’EURo,ANzI L’EURoPA

EDUCAzIoNECIVICA

pag. 3 pag. 8 pag. 22

QUALE FUTURo PER NoI?QUALE FUTURo PER NoI?

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Località Grasciano (TE)GRASCIANOGRASCIANO

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Page 3: Teramani 114

Ma che politica è?SO

MMAR

IOn.

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Una risata vi seppellirà?

L’oggetto del desiderio

L’interprete migliore

Si prega la salute ai nonni... per la paghetta

L’Euro, anzi l’Europa: quale futuro?

Mimmo Luzii

In giro. Masseri

ortona 1943, intervista al Prof. NicolaDel Ciotto

Il libro del mese

Note linguistiche

Dura Lex Sed Lex

Musica

Educazione civica o Cittadinanzae Costituzione?

Il Duomo di Teramo

I giapponesi di Via Giulia

Puttanate tribali

Calcio

Pallamano

Direttore Responsabile: Biagio TrimarelliRedattore Capo: Maurizio Di Biagio

Hanno collaborato: Domenico Attanasii, Maurizio Carbone, Maria Gabriella Del Papa, Maurizio Di Biagio, Maria Gabriella Di Flaviano, Carmine Goderecci, Maria Cristina Marroni, Piero Natale, Orbilius, Antonio Parnanzone, Giovanni Piersanti, Rossella Scandurra, Sergio Scacchia.

Gli articoli firmati sono da intendersi come libera espressione di chi scrive e non impegnano in alcun modo né la Redazione né l’Editore. Non è consentita la riproduzione, anche solo parziale, sia degli articoli che delle foto.

Impaginazione: Imago ComunicazionePeriodico Edito da “Teramani”, di Marisa Di MarcoVia Paladini, 41 - 64100 - Teramo - Tel 0861.250930per l’Associazione Culturale Project S. GabrieleOrgano Ufficiale di informazionedell’Associazione Culturale Project S. GabrieleVia Paladini, 41 - 64100 - Teramo - Tel 0861.250930Registro stampa Tribunale di Teramo n. 1/04 del 8.1.2004Stampa: Gruppo Stampa AdriaticoPer la pubblicità: Tel. 0861 250930347.4338004 - 333.8298738Teramani è distribuito in proprio

è possibile scaricare il pdf di questo e degli altri numeri dal sito web

www.teramani.infoscriveteci a [email protected]

114diMaurizioDi BiagioUna risata

vi seppellirà?

Ah ah ah! Una risata vi seppellirà: Rag-giun-

ta la quadra, Brucchi raggiante. Ah ah ah.

C’è da essere irriverenti ma la boutade di

mesi di lunghi coltelli, di Soprattutto e qualcosa,

di presidenti che si accomodano fuori, di con-

siglieri già col sedere sullo scranno da assessò,

di sconquassi politici all’orizzonte, di incarichi,

di colonne e colonne di inchiostro versato

sulle pagine dei quotidiani locali, si è risolto il

tutto in un fuoco di paglia, nemmeno potrebbe

tornarci utile il motto la montagna ha partorito

il topolino perché nell’ultima giunta confermata

in toto dal sindaco di Teramo non è stata cam-

biata neanche una virgola, neanche dunque un

topolino. Tutto congelato. Abbiamo scherzato.

Ah ah ah. Quel mattacchione di un Brucchi,

senologo, tennista ma anche grande animatore,

o meglio inanimatore, delle serate pretuziane.

Ogni politico che si rispetti ha il proprio motto,

lo conia ex novo o lo ripete: il potere logora chi

non ce l’ha (Giulio Andreotti); la disinformazione

è il primo potere politico in Italia (Beppe Grillo);

e la nave va (Bettino Craxi); non ci sono cattivi

reggimenti ma solo colonnelli incapaci (Napole-

one Bonaparte); confermare la giunta allunga la

vita (Maurizio Brucchi). I pensatori della politica,

scriveva George Orwell, si dividono general-

mente in due categorie: gli utopisti con la testa

fra le nuvole, e i realisti con i piedi nel fango.

Ora ci sono pure i pareggisti, i congelatori, i

ho scherzato!, siete su candid camera, i prrrr!

Eppure per uno che passava per uomo del fare,

il ghe pens mi, l’uomo che si alzava alla cinque

del mattino per controllare i cantieri, partorire il

nulla è difficile da concepire, è arduo realizzare

che dopo tanti tuoni nemmeno una goccia è

caduta a Municipio. Dicono che il solito binomio

Tancredi-Gatti lo abbia tenuto per gli attributi,

per i gioielli di famiglia, e che alla fine dopo i

tanti sommovimenti previsti il Brucchi si sia do-

vuto mettere la coda tra le gambe e partorire...

un comunicato stampa. Comunicato stampa

che resta da leggere tra le righe (resta l’unico

suo sommovimento personale) come il “sono

assolutamente da evitare, in futuro, comporta-

menti troppo autoreferenziali, che non giovano

all’efficacia dell’attività amministrativa”, missile

lanciato a qualcuno che Soprattutto vuole uno

spazio al sole o a qualcuno che aveva preso

iniziativa autoeleggendosi re per una notte

tra gli scranni di Piazza Orsini. Poi prosegue

così: “Il rispetto verso il prossimo ha sempre

caratterizzato il mio modo di essere, ed in

particolare l’essere Sindaco; non sono mai stato

disponibile, né tantomeno costretto, a scen-

dere a compromessi, men che meno politici,

finalizzati al mantenimento e/o conseguimento

di privilegi personali”. Tancredi? Gatti? A loro

sono indirizzate queste righe di “fuoco”? E chi

doveva mantenere i privilegi personali? Coloro

che dovevano subentrare ai vari Romanelli, Lu-

cantoni, ecc.? Ah ah ah! La fantasia distruggerà

il potere e una risata vi seppellirà, dicevano gli

anarchici francesi.

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SUPERSTRADA TERAMO-MARE

Page 4: Teramani 114

4 L’oggetto del desiderion.114

di

Oro e Argento GioielleriaCarmineGoderecci

Rifulgentedi Gemme

San Michele come essere abbaglian-

te portatore di luce divina sulla terra,

ne sottolinea la natura angelica. È

infatti frequente nella letteratura

patristica il collegamento analogico

fra gemme preziose e angeli per

essere entrambi luminosi veicoli

del messaggio divino. L’arcangelo

Michele era un modello per la so-

cietà cavalleresca, che ravvisava nel suo ruolo centrale nel Giudizio universale

una sintesi dei valori morali e mistici del cavaliere. Già difensore del popolo

ebraico, Michele fu adottato dalla Chiesa cristiana come santo protettore

del cristiano militante. Vestito da cavaliere, indossa un’armatura rifulgente di

gemme. L’angelo nel Giudizio universale ha il compito di pesare le anime e la

croce gemmata, simbolo di spiritualità, è lo strumento del suo giudizio. I rubini

rimandano al martirio di Cristo, nel fermaglio da piviale, invece, le gemme si

riferiscono al compito angelico di portare sulla terra la luce divina.

iovane e bello con ali splendenti, egli indossa un’armatura, impugna

uno scudo e una spada o una lancia, e spesso è cinto da una corona,

attributi che lo presentano come vittorioso difensore del bene contro

il male.

Michele è il santo scelto da Dio per suonare la tromba della Resurrezione fina-

le ed è suo compito quello di accogliere le anime immortali dopo la morte e di

pesarle. Solitamente l’abbigliamento guerriero è arricchito di gemme dai colori

splendenti incastonate ad arte nel suo mantello. Tale espediente, presentando

G

Satira

di

[email protected]

L’interprete migliore

“Le l’evaporazione delle posizioni referenti

da sostegno al “cretinismo parlamentare” delle de-

mocrazie liberali attraverso i nuovi media amplificati

dai social network. “Ma d’altronde a cosa serve l’arte

contemporanea?” (Angela Vattese, giornalista). “...a

volte la superbia stava per darmi alla testa, ma sono

rimasto immune. Mi è sufficiente, per un istante,

pensare all’inutilità dell’arte in questo mondo umano

per raggelarmi” (L’ora del lupo - Vargtimmen, Ingmar

Bergman). Per quanto i mecenati avessero dovuto

interrompere il lavoro d’ufficio e ipocritamente se ne

lamentassero tuttavia sui volti di tutti si leggerebbe

ancora una sorta di assolvimento impartito dalla

consapevolezza di essere stati designati ad adem-

piere a un essenziale esercizio sociale. Se qualcuno

domandasse loro perché si

stimassero superiori agli altri,

non saprebbero rispondere, non

avendo mai dimostrato nella vita

di possedere meriti speciali. A

parte quelli dell’impiegato pub-

blico. Il fatto di sapere filmare in

Super 8 un vecchio che si ma-

sturba sulla tazza del cesso non

può di certo costituire un motivo

valido di superiorità. Eppure, di questa supremazia

pare che essi abbiano una coscienza profonda tanto

da offendersi se venisse loro meno. Il vecchio parla

poco del passato per non ripetersi; tace sul futuro

per non apparire ridicolo; ma è del presente che è

l’interprete migliore.

e cinque variazioni” (De fem ben-

spænd) è un film del 2003 diretto da

Lars von Trier nel quale il regista sotto-

mette l’amico e collega Jørgen Leth

a una forma di vessazione; lo obbliga a ricostruire

per cinque volte un suo vecchio documentario con

insolita impasse, in ogni cambiamento imposto,

nell’intendimento di fargli mettere a nudo l’umana fu-

gacità. Poco accorti si sarebbero dimostrati i mecena-

ti della cultura cittadina, una volta ritagliatisi porzioni

di momenti dagli impegni che il posto fisso impone,

come ai Postelegrafonici, nell’elevare alla cronaca

la protesta sulle assenze di sensibilità nei confronti

della Cultura Visiva Contemporanea. Sempre secondo

i mecenati vespertini, si starebbe per abbattere

sull’intelletto del popolo una sciagura incommensu-

rabile. L’incuria delle istituzioni a favorire miserie che

rileggono l’Arte Contemporanea come qualcosa di

non desiderabile dal pubblico incolto. E tutto questo

potrebbe accadere presto, se malauguratamente

non dovesse essere confermata l’ambita poltrona di

un eminente Storico dell’Arte, già presente ovunque

e sempre a inaugurare, presentare, argomentare,

sponsorizzare; soprattutto in compagnia di un

famoso personaggio televisivo, Vittorio Sgarbi, il quale

non si mette in moto senza prima avere concordato

un giusto e congruo ingaggio. Per

chi si presta a prescindere poi è

difficile riaversi indietro integro. Il

comunicato stampa comanda la

ricerca esclusiva di quella rispo-

sta che l’estensore dell’annuncio

vuole sentirsi dare a prescindere.

Anche se si è ostaggi di sottili pe-

culiarità percepibili, seppure non

implicite, più volte si ribadiscono

meno si presumono. Malgrado ciò, il mandante della

notizia non cede sulle proprie qualità di divulgatore.

Negli anni 30, Brecht incoraggiava la politicizzazione

dell’arte mentre l’orecchio teso del nazismo aggiusta-

va la propria tattica utilizzando il cinema come soap

opera di massa. Ancora oggi, la stessa strategia fa

Page 5: Teramani 114

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Page 6: Teramani 114

6 Come va l’Italian.114

di

www.mauriziodibiagio.blogspot.comMaurizioDi Biagio

Si prega la salute ai nonni...per la paghetta

Forse davvero un vero e reale affetto. Una carineria che

potrebbe sì gratificare i nostri cari ottantenni e novantenni.

In Italia, soprattutto al Centro e al Sud, le pensioni sono

diventate preziosissimi ammortizzatori sociali, quel reddito

di cittadinanza negato finora dallo Stato italiano, quando

invece sono presenti nella maggior parte degli stati europei.

Così studiano i nipoti all’università. Così hanno qualche

soldo per il jeans che tanto amano. Così le nipoti vanno

dalla parrucchiera e un cinquantino al sabato può salvare

una depressione da weekend, quando gli altri e le altre si

divertono, o fanno finta di divertirsi, e loro restano a casa

a beccarsi Maria De Filippi. Così i mutui riescono ad essere

pagati... e non è poco.

I pensionati sono diventati d’oro e contribuiscono con 6

miliardi di euro l’anno per mantenere il resto della famiglia

eppure queste riescono a risparmiare 24 miliardi di euro

all’anno grazie all’aiuto dei nonni baby-sitter. I pensionati

pagano di tasse 66 miliardi, fonte certa ed impossibile da

trasferire nei tanti paradisi fiscali, alcuni proprio dietro l’an-

golo. Ciò nonostante il nostro bel paese è l’unico al mondo

che non offre né sconti sulle tasse, né altri benefici di carat-

tere sociale. Così se il caro vita e un fisco cinico ed esoso

ammazzano le pensioni, non resta che andare ad abitare

all’estero (complessivamente per 6 mesi all’anno) in uno

dei tanti Paesi che non ti spellano vivo: Tunisia, Portogallo,

Spagna, Bulgaria ecc., la lista è lunga. In 500 mila sono già

fuggiti dall’Italia in 5 anni: chissà quanti nipoti ed anche figli

sono rimasti sen-

za il loro reddito

di cittadinanza!?

Gli italiani della

terza e quarta

età hanno subito

un attacco senza

precedenti al

loro potere di

acquisto: pensioni

ridotte al lumicino

(meno 30%),

drastico calo dei

consumi, pere-

quazione solo per

i poveracci, spese

vitali più costose,

boom delle tasse,

e in più la scure

della spending

review sulla sanità e sui livelli essenziali dell’assistenza.

Inoltre è da smitizzare un luogo comune: la favola degli

anziani sperperatori delle casse dello Stato è sbugiardata

dalla quadratura dei conti, perché le entrate contributive

di ben 190,4 miliardi coprirebbero in larga misura i costi

previdenziali.

Ma i nostri cari nonnetti sono da considerare, oltreché

ammortizzatori sociali, anche angeli custodi. Cinquanta

l reparto di cardiochirurgia del Mazzini di Teramo un

dottore inarca le sopracciglia. Rimette i ferri a posto,

si alza la benda e le prime parole che proferisce

sono di stupore misto ad amarezza: “Mi hanno

chiesto di operare quest’uomo di 85 anni in virtù della sua

pensione, fonte di reddito per diverse persone”. Ovvia-

mente resta scontato che l’affetto viene prima di tutto ma

in questi casi ci s’appella al chirurgo con un certo fervore

raccomandando-

gli una prudenza

maggiore del soli-

to, anche quando

l’intervento

potrebbe risultare

più pericoloso del

solito e sarebbe

da scongiurare.

Le attenzioni

sono maggiori

nei confronti di

ottantenni e no-

vantenni: cos’hai

mangiato questa

sera nonno? È la

domanda che si

formula per moni-

torare la salubrità

dei pasti giorna-

lieri. Li si trattengono sotto una campana di vetro per non

farli ammalare, non li si fanno uscire di casa per paura che

si raffreddino, li si guardano con occhi nuovi speranzosi e

cari. Li si tumulano in casa di fatto, sigillando pertugi da cui

potrebbero sortire refoli di umidità e correnti micidiali. Gli

si assestano cuscini sotto il capo davanti alla tv e i nonnetti

si chiedono il motivo di tutte queste cure: se davvero è solo

paura di perdere il reddito sicuro oppure se c’è dell’altro?

AI pensionati sono diventati veri e propri ammortizzatori sociali

Page 7: Teramani 114

a Pietracamela sono

il 56,5%, a Bisenti il

50,7%. Nel comune

capoluogo risiedono

3.792 ultraottanten-

ni e sono ben 97 gli

anziani che hanno

spento le 100 cande-

line: 24 di loro sono a

Teramo, 7 a Giulia-

nova, 7 a Campli, 5 a

Roseto.

“La disparità ancor

più drammatica -

riprende Oleandro - è

riconducibile alla con-

dizione di genere. Le

pensioni delle donne,

pur rappresentando il

59% del totale, hanno

un importo medio

mensile pari al 62% di quello perce-

pito dai pensionati uomini: 492 euro

delle donne contro i circa 800 euro

degli uomini. Questo perché le donne,

sono discriminate nei posti di lavoro

e hanno spesso lavorato con stipendi

più bassi rispetto agli uomini”.

Per quanto riguarda le pensioni di

reversibilità erogate dall’Inps di Tera-

mo (19.366) circa 17.000 sono “rosa”

e valgono mediamente 464 euro al

mese.

“La fotografia che emerge dai nu-

meri racconta di una realtà fatta di

estrema fragilità economica. Anche

per questo lo Spi chiede alla giunta

regionale e alle

amministrazioni co-

munali di non sotto-

valutare il potenziale

degli investimenti

dei fondi europei

2014-2020, segna-

tamente all’obiet-

tivo riguardante la

promozione dell’in-

clusione sociale e la

lotta alla povertà. Ci

attendiamo - conclu-

de Oleandro - una

programmazione,

in discontinuità con

quanto successo in

passato, vincolata,

esclusivamente, ai

bisogni delle persone

e dei contesti in cui

essi vivono”.

miliardi di euro sareb-

bero infatti necessari,

secondo uno studio

della Camera di com-

mercio di Milano, per

compensare nonni,

colf e babysitter che

si preoccupano, a

loro spese, di oltre

8 milioni e mezzo di

bambini con meno

di 14 anni. Nonni nel

doposcuola, nonni

per tenere i piccoli

quando si ammalano,

nonni che cucinano

tagliatelle cotolette

e che allungano le

vacanze a costo zero.

Sono più di 12 milioni

i nonni over 65, circa

il 20% della popolazione. Il 55% delle

donne che lavorano affida i propri figli

a genitori e suoceri, il primo asilo nido

sul territorio. Lasciati un nemico per

la vecchiaia, diceva Ennio Flaiano. In

questo caso l’antagonista che regala

la fiammella della voglia di vivere

ancora è sicuramente incarnata nello

Stato.

Qui da noi gli ammortizzatori sono

ancora meno ammortizzatori. Gli

anziani teramani sono infatti i più

poveri d’Abruzzo. Pensionati che non

arrivano a fine mese e che a volte

fanno fatica a mettere insieme pranzo

e cena. Il complesso delle pensioni

erogate dall’Inps di

Teramo sono 98.197 e

l’importo medio men-

sile è pari a 635 euro,

il più basso d’Abruzzo

(Chieti 645€, L’Aquila

686€ , Pescara 702€

). Gli importi medi

mensili più alti si re-

gistrano nel Comune

di Pietracamela (824

euro), quelli più bassi,

497 euro, nel Comune

di Bisenti.

Nella provincia di

Teramo nell’86% dei

casi (84.150) non su-

perano le mille euro

lorde. Il restante 11%

(11 mila), gli assegni

pensionistici sono

compresi tra i mille e

i duemila euro mentre 57 superano la

fascia dei 5.000 euro.

“Meglio morire con dieci anni di anti-

cipo che vivere una vecchiaia di sten-

ti” riferisce un proverbio cinese. Ma a

pagarne le conseguenze sarebbero i

nostri ragazzi, già messi a dura prova

dai tempi barbari che stiamo vivendo.

Dei 301.091 ultra 65enni abruzzesi,

68.338 risiedono nella Provincia di

Teramo: il comune con l’incidenza di

anziani più bassa è Castelli, dove gli

ultra 65enni rappresentano il 15,37%

della popolazione, Colledara la più

alta (40%).

Gli over 80 in provincia sono 21.668,

ovvero il 7% della popolazione totale:

7n.114

Page 8: Teramani 114

doppia recessione (2007/08 e 2012/13) e stasi del PIL reale,

che nel 2014 è risultato perfino inferiore a quello del 2008.

Tanto da far balenare in molti lo spettro della ‘stagnazione

secolare’ per l’eurozona. Alla fin fine, gli ingredienti di base ci

sono tutti: insufficiente domanda rispetto all’offerta di beni

che lo stato della tecnologia consente di produrre; riduzione

dei prezzi alla produzione e al consumo e dei salari; eredità

d’indebitamenti dalla crisi ancora in corso; invecchiamento

della popolazione.

Il totale fallimento e la nocività delle politiche di risanamento

improntate all’austerity, ideate con l’intento di migliorare

la competitività e la capacità produttiva dei paesi membri

(riforme strutturali) e risanare le finanze pubbliche (austerità

fiscale) - abilmente sintetizzata nello slogan “riforme per la

crescita”-, rende la ricerca di una strategia alternativa non

più uno sterile esercizio accademico ma una impellente

necessità. Una tale strategia, che per contrapposizione po-

tremmo sintetizzare con lo slogan “crescita per le riforme”, è

centrata su politiche monetarie e fiscali decisamente espan-

sive, volte a rilanciare la domanda aggregata, riaccendere il

motore della crescita e alleggerire il peso dell’indebitamento

pubblico. I dettagli che ne spiegano le ragioni e l’efficacia

sono sinteticamente illustrati qui di seguito, partendo dalla

politica fiscale.

Questa dovrebbe essere centra-

ta su un programma di rilancio

degli investimenti pubblici no-

tevolmente superiore a quanto

disposto dal misero piano Jun-

ker, che prevede un esborso di

315mld di euro, frutto della mol-

tiplicazione di una spesa iniziale

da parte dell’Unione europea di

21mld di euro e di una fanto-

matica leva (moltiplicatore) di

15. Per inciso, i miliardi conferiti

dalla Ue col piano Junker sono,

a conti fatti, soltanto 2, dato

che 6 sono spostamenti da altri

programmi già inclusi nel fondo

europeo per gli investimenti

strategici (EFSI), 8 sono presi

a prestito sul mercato sotto

garanzia Ue e 5 vengono dalle

riserve della banca europea

degli investimenti (Bei). In soldo-

ni, si pretende di attivare una

spesa di 315mld con un esborso

inziale di soli 2mld. Una vera presa in giro!

I benefici potenziali di maggiori investimenti pubblici non

si limitano solo al semplice incremento della domanda ag-

gregata e dell’occupazione, ma si estendono alla possibilità

di ripristinare infrastrutture fatiscenti, promuovere ricerca

e sviluppo, migliorare e potenziare il sistema del trasporto

pubblico, dell’ambiente, della comunicazione e il settore

a crisi dell’eurozona è tutt’altro che risolta a dispetto

delle massicce dosi di ottimismo profuse a più riprese

da autorità governative, commentatori economici e

mass media. Certamente, la combinazione di eventi

macro-economici favorevoli, congiuntamente alla poderosa

politica anti-deflazionista della BCE, ha contribuito non poco

a interrompere la insistente fase depressiva e creare le

condizioni per una ripresa delle economie dell’eurozona. Ma

il contesto macroeconomico delineato dal ritmo di crescita,

occupazione, dinamica dei prezzi, indebitamento pubblico

e solidità del sistema bancario

e finanziario, rimane tuttora

critico e pesantemente esposto

al rischio di ricadute recessive.

Debole è infatti la crescita che

nel 2015 arriverebbe all’1,3% e

nel 2016 all’1,6%, a fronte di un

2,6% e un 2,8% degli Usa e di

un 2.5% e 2.2% del Regno Unito

(UK). Alta è la disoccupazione

che nei due anni registra il

11,0% e il 10,6%, a fronte di un

5,4% e un 4,9% degli Usa e di

un 5.6% e 5.5% in UK. Perico-

losamente bassa è l’inflazione,

in caduta libera nel 2015 (0,2%)

e in fievole risalita (1.0%) nel

2016; mentre il barometro sulla

posizione debitoria degli stati

sovrani e la solidità del sistema

bancario e finanziario resta

minacciosamente orientato al

tempestoso.

Come sottolineato da molti

analisti indipendenti e diplomaticamente ribadito anche

nel recente G-20 economico, le ragioni di questa anemica

performance dell’eurozona sono da ricercare nelle incoerenti

e dannose politiche, note come politiche di austerity, messe

in campo dalle autorità europee per combattere la crisi

finanziaria del 2007/08. Frutto di una lettura errata dei fattori

di fondo della crisi, tali politiche hanno generato deflazione,

8n.114

L’Euro, anzi l’Europa: quale futuro?

L

EconomiaDocente di Economia e Finanza internazionaleFacoltà di Scienze Politiche, Università degli Studi di Teramo

Riforme per la crescita o crescita per le riforme? Il dilemma della zona euro.

diGiovanniPiersanti

Page 9: Teramani 114

stringenti requisiti patrimoniali imposti

dalla Ue, sono riluttanti a investire e

a concedere prestiti, a prescindere

dalle iniezioni di liquidità attuate dalle

banche centrali.

Solo se abbinata ad un energico stimo-

lo fiscale, la politica di Qe può avere

effetti positivi sull’economia, come

descritto dalla nostra strategia di

policy etichettata come “crescita per

le riforme”. Essa ha il grande vantaggio

di a) evitare l’aumento dei tassi di inte-

resse che il deficit e il debito pubblico

altrimenti occasionerebbe; b) finan-

ziare direttamente (eludendo il canale

bancario) la maggiore spesa pubblica

per investimenti

e/o riforme strut-

turali necessaria

per rilanciare la

domanda aggre-

gata e la crescita

dell’economia.

Senza un radi-

cale mutamento

della strategia di

policy - da riforme

per la crescita a

crescita per le

riforme (il boom e

non la recessione

è momento giusto

per l’austerity e i

mutamenti strut-

turali, ammoniva

Keynes) - i leader

europei rischiano

di trovarsi intrap-

polati in un ciclo

temporale inferna-

le caratterizzato

da una ripetizione

continua degli

stessi eventi (come

nel film Groundhog day (Ricomincio da

capo), dove un meteorologo (Bill Mur-

ray) si trova a vivere sempre la stessa

giornata), in cui la Ume è perenne-

mente bloccata in modalità crisi, salvo

timidi rialzi (2015?), e gli Stati membri

in iter miope, egoistico e conflittua-

le, opposto agli ideali e ai valori che

hanno ispirato la creazione dell’Unione

europea.

“Non c’è vento a favore per chi non

conosce il porto”, ammoniva Seneca.

La speranza è che ciò serva da monito

anche per chi è oggi alla guida dell’U-

nione europea.

energetico di tutti i paesi Ue.

Le obiezioni a una tale strategia sono

relative all’equilibrio fiscale e alla sta-

bilità economica dei singoli paesi. Ma

l’investimento pubblico è diverso da

altri tipi di spese ufficiali, come quelle

per stipendi, trasferimenti sociali e

altra spesa corrente. Gli investimenti

pubblici servono ad accumulare beni,

piuttosto che consumarli. Ovvero,

accrescono il capitale e la capacità

produttiva potenziale di un paese.

Inoltre, è difficile comprendere perché

i governi dell’eurozona insistono nella

folle decisione, presa nel 2010, di

ridurre gli investimenti (-25% da 2010)

se il costo del loro

finanziamento è

oggi insolitamente

basso e prossimo

allo zero. Fino a

quando il rendi-

mento supera il

costo del finanzia-

mento, gli inve-

stimenti pubblici

rafforzano e non

peggiorano il bilan-

cio dei governi.

I timori di un

ulteriore appro-

fondimento della

crisi debitoria in

tutta la zona-eu-

ro si dissolvono,

in ogni caso, se

l’aumento di spesa

è accompagnato

da una politica di

monetizzazione

del debito da parte

della banca centra-

le europea (Bce).

Questa, per essere

pienamente efficace, richiede che la

Bce i) acquisti direttamente dagli stati

sovrani i titoli di debito emessi per

finanziare il programma di espansione

degli investimenti; ii) trasformi i titoli

acquistati in prestito perpetuo a tasso

zero o simbolico (ad es. 0,1-0,2%) ma

prossimo allo zero. L’attivo e il passivo

della Bce aumenterebbero dello stesso

ammontare: i titoli diventano un asset

permanente della banca centrale,

mai ripagato salvo una improbabile

liquidazione della stessa; l’aumento

di base monetaria il corrispondente

costo (liability) della immissione di

nuova moneta nell’economia. Mentre

i debiti sovrani mostrerebbero nessun

segno di accelerazione poiché i titoli

emessi non hanno una scadenza e non

pagano interesse. In altri termini, non

costituiscono nemmeno più un debito.

La Bce ha già avviato, a partire da

marzo 2015, un analogo programma

di acquisti di titoli di stato noto come

quantitative easing (QE). Ma i risul-

tati ottenuti, in termini di maggiore

inflazione e rilancio della crescita

economica, sono stati finora opachi e

lontani da quelli sperati. La ragione è

semplice. Le operazioni di QE utilizza-

no il settore privato (le banche) per ac-

quistare prefissati ammontare di asset

finanziari con lo scopo di sostenerne i

prezzi e stimolare la domanda di beni

con maggiore immissione monetaria.

Quindi, non finanziano direttamente

i governi e la loro spesa (mercato

primario) ma il sistema bancario

(mercato secondario), spingendole a

fare più prestiti a famiglie e imprese e

creare così più spesa e più domanda.

Ma in un contesto in cui la domanda

e la crescita ristagnano - e dunque

le prospettive di guadagno offerte

dall’economia reale sono misere - le

banche, già sotto pressione per gli

9n.114

Page 10: Teramani 114

10 Il Personaggion.114

di

www.mauriziodibiagio.blogspot.comMaurizioDi Biagio

Mimmo Luziisuoi Yorkshire mentre col binocolo osservava la corsa: era interes-

sata a Lester Pigott, un po’ di meno a Principe Filippo che gli era

da un lato”. Poi seguirono donne e ristoranti, non si sa in quale or-

dine. Al Parco dei Principi la giornata non era delle migliori ma cor-

reva Ideal. “Ho sempre perso al gioco – ribadisce ancora una volta

in tono di ammonimento verso un ipotetico spettatore – però mi

sono sempre divertito”. Ritornò in Italia ma ancora con i cavalli

nella mente: stazionò a San Rossore di Pisa nel Prato degli Esuli,

poi a grandi falcate a Firenze all’ippodromo delle Muline, fino a

scartare di lato fin giù a Napoli all’Ippodromo di Agnano “dove

incontrai e conobbi perfino un camorrista che mi fece vincere una

corsa”. Ma la dritta la dovette ripagare con gli interessi un po’ di

tempo dopo dovendolo ospitare a casa sua perché braccato dalla

giustizia. Nel variopinto mondo dei cavalli non tutto è lindo. A San

Siro e alle Capannelle dove incontrò l’attore Gigi Priotetti spese

somme importanti, chiaramente restando sempre in passivo.

Rimpianti pochi: “Ognuno di noi alla nascita ha il suo destino;

quello mio era di scialacquare i soldi ed avere più di 700 donne,

le ho contate tutte cavolo! Ma al night club mai, io le femmine

le ho sempre conquistate” si vanta ancora. Sì perché, Mimmo è

considerato un grande amatore, molto virile, attorniato tuttora da

donne diverse ogni giorno. Dice di dedicarsi ancora alla pratica

dell’amore due volte alla settimana facendo uso dell’aiutino blu, il

Viagra: “Quello da 100 mg però una

volta sì e l’altra no”.

Mimmo è anche la mente e voce

pruriginosa di un paesone come il

nostro dove tutto si vede e tutto

si racconta: difatti riferisce di case

d’appuntamento sparse per la città

ed è sicuro che la città sia piena

di “casalinghe insoddisfatte”. Non

gli sfugge nulla tra coloro che si

stirano tra il Corso e la piazza e

i pettegolezzi, quelli che invec-

chiando diventano miti, corrono

sulle teste di ciascuno a casaccio

e senza criteri e rispetti. Parla della

“cioppa” che tanti anni fa praticava

il mestiere più antico del mondo in

pieno centro, di un magistrato che

trovò la moglie in questi ambienti

dal vago sapore caraibico (Le mie puttane tristi di Gabriel Garcia

Marquez), di storie annebbiate dal tempo e di risate crasse che in

genere si portano davanti a coppe di vino e selvaggina negli shire

d’Inghilterra.

Ma Mimmo è stato in passato un grande atleta che ha vinto

molto: nel ’69 conquistò il titolo regionale del salto triplo e a soli

15 anni era già campione allievi d’Abruzzo. Nel ’68 ottenne il titolo

nazionale con le Fiamme gialle: lasciò tutto a 31 anni. Racconta di

una gara di 4x100 quando all’improvviso durante l’ultimo tratto gli

si sfilò il pantaloncino fino ai piedi perché si ruppe l’elastico: “Non

mi diedi per vinto, con una mano li tirai su e con l’altra mantenevo

il testimone e continuai; il bello che quella gara la vincemmo”.

Ricorda con affetto suo cugino Pino Pecorale e le piste di terra

ro miliardario ma i soldi li ho sfrusciati al gioco e

alle donne”. L’attacco è bukowskiano, di quelli in cui

spunta la vita di tutti i giorni, cruda e violenta, di quelli

in cui l’atto quotidiano è poesia e merda. “La mia vita

forse sarà stata un fallimento però se tornassi indietro rifarei la

stessa cosa... e mi divertirei di più”. Tira un sospiro affranto Mim-

mo Luzii e rimira un punto indefinito di Piazza Martiri col baffone

spiovente che non gli ride più. “Perché la vita è una fregatura”

mastica amarezza e saggezza, un giorno plumbeo sotto nubi

basse e brezza gelida. “Un giorno quando andrò davanti a Dio lui

mi chiederà: cos’hai fatto giù sotto? Sono stato con tante donne,

ho mangiato bene, ho speso tutti i soldi. Lui mi dirà: bene! Quando

toccherà ad un altro gli dirà che ha accucchiato tutta la vita, che

avaro ha risparmiato tutto il tempo.

Lui gli dirà: bravo all’asino!”. Il Dio di

Mimmo è antropomorfo, indulgen-

te, umano troppo umano, tutto

suo, fatto su misura, in definitiva

degno di salire anche Lui sul carro

di quel variegato pantheon da cui

l’uomo però ha tratto il peggio tra

sangue e guerra, odio e vendetta.

Mimmo a 71 anni chiede solo che,

nella sua religione, venga abolito il

lunedì, giorno di grande scoramen-

to e mestizia “perché mi accorgo

che puntualmente ho perso tutte

le scommesse della domenica; il

banco, ragazzi, vince sempre: mi

raccomando non giocate!”. Lo dice

lui che dopo aver vinto 68 milioni

di lire li dissipò tra gli ippodromi

di Ascot e di Parigi, davanti a Sua Maestà la regina d’Inghilterra

e la nuvoletta a serpentina di fiato umido di Ideal du Gazeau che

tagliava il nastro, il cavallo da corsa francese nato nel ’74 e morto

nel ’98, una vera e propria leggenda allora. “Tornai a Teramo con la

Romanelli e con 8 milioni ma me l’ero goduta in lungo e largo per

l’Europa”.

La dritta per quella tris vinta sull’ippodromo di Pisa nell’agenzia

ippica di Via Irelli gliela diede un suo amico giornalista del Tirreno:

“Lo ricompensai con 20 chili di regali tra formaggio pecorino,

prosciutto e tanto di quel ben di Dio”. Festeggiò assieme ad una

ventina di suoi amici al ristorante Beccaceci, quei sodali che poi

sul tardi l’accompagnarono a prendere il treno direzione Londra,

o meglio Ippodromo di Ascot: “Lì scorsi la regina Elisabetta con i

“ELe donne, il gioco, il destino

Page 11: Teramani 114

lo abbandonò al suo destino amoroso ma

fece in tempo a sfornare tre meravigliosi

cuccioli (Veronica, Mario e Andrea). Mim-

mo conobbe quella che sarebbe stata la

sua dolce metà, e che sposo nel ’69, spac-

ciandosi, un giorno a Via Fonte Regina a

Teramo, per collezionista di francobolli: la

bloccò e con la sua solita faccia astuta e

trasognata la coinvolse nel suo progetto...

fino al lancio nel vuoto con la Zagato nera.

Tra le tante conoscenze anche una donna

bolognese bellissima ma cleptomane:“Mi

toccò ripagare tutto quello che rubava,

dovetti spendere una cifra a pagare tutti

i creditori che man mano si formavano”.

Tra le due torri fu lasciato scalzo e lì

comprese e scappò. “Ho fatto la vita da

atleta, da puttaniere, da giocatore ma è

arrivata l’età in cui si deve morire”. Il suo

è un lampo a ciel sereno in un momento

di mite consapevolezza. L’ultimo ricordo

va alla donna che ha amato intensamente

per alcuni anni e che se n’è andata per un

maledetto cancro. “Quella voleva bene a

me e io pure”.

Mimmo osserva lentamente lo sciabordio

degli uomini in fondo ad un angolo del

duomo: si muovono come tanti pinguini

su un’isola di ghiaccio, chiacchierano di

donne e di auto, di calcio e di pettego-

lezzi. In fondo le onde del mare rimbal-

zano, si accavallano, s’increspano e poi

ricadono, si rituffano, ma mai potranno

infrangere quell’amore che c’è stato e

che ciascuno di noi custodirà gelosamen-

te per questa ed altre vite.

“Quella voleva bene a me e io pure”.

battuta che rendeva ogni impresa più

epica del solito. A Roma, con le Fiamme

Gialle gareggiava assieme a Erminio Azza-

ro, compagno di stanza, e Adriano Buffon,

padre di Gigi il portierone della nazionale

e dei bianconeri: ancora sta aspettando

che gli presenti il numero uno, come da

promessa. Dice di non aver sfondato

perché un giorno maledetto si fracassò la

caviglia.

Da buon playboy e giocatore incallito ha

posseduto in vita molte auto:“Una Jaguar

E-type che Diabolik usava nelle scene dei

film, un’Alfa Duetto, una 1500 Vignale Fiat,

due Fulvia Zagato, una Lancia Delta, una

Mini Cooper, 4 Bmw, una Porsche Carrera

e ora una Fulvia Gt nera che non uso: e

chi la mantiene!?” avvampa stupefatto

nella sua terrea fisionomia che malgrado

tutto rivela ancora uno spirito indomito.

Mimmo alloggia in Hotel assieme a sepa-

rati, universitari, clochard e uomini toccati

da una vita che certe volte appare troppo

dura da blandire e vincere. I soldi sono

quelli che sono ma bastano per giocare

al calcio scommesse: spesso l’unico

capannello che si forma in piazza, dopo

quello chiaramente eterno dei tifosi del

diavolo biancorosso, è la ressa che nel bar

si forma attorno a lui che dispensa dritte

a chiunque. Lui assorto a capofitto tra i

fogli di giornali svolazzanti assume l’aria

di malia e sussiegosa del luminare quando

il tempo gira in tondo e le mattane delle

giornate quotidiane si rincorrono senza

requie fino al momento in cui la luna

rilascia i suoi colori di zinco agli angoli

della piazza. Ed è tempo di ritornare nella

sua stanzetta, da solo e coi ricordi che

corrono ancora in auto possenti piene di

umore e sesso e amore qualche volta.

Dice di essersi salvato per miracolo quan-

do con la sua Zagato nera volò dal ponte

in quella giornata fredda di lastroni ghiac-

ciati sulla strada:“Credo in San Gabriele

e basta”. Solo per pochi metri l’auto non

ricadde sopra il tetto di una casa ma solo

su piante che ammortizzarono il terribile

botto. Dice che ne parlarono i giornali. Ac-

canto a lui una dama. Da quel giorno sua

moglie, in un impeto di dignitosa collera,

11n.114

Page 12: Teramani 114

le città che andavano ingrandendosi, cause naturali, hanno

portato, progressivamente, allo svuotamento totale di alcuni

di questi borghi.

Le chiamano “Ghost cities”, quelle città o quei paesi abban-

donati a causa di eventi naturali, come alluvioni, terremoti

o perché la principale o unica fonte di reddito e di lavoro

scompare.

Sono famose le “ghost town del far west americano” o

quelle dell’entro terra australiane, ricche di un particolare

fascino, ma anche in Italia ce ne sono molte e alcune ammi-

nistrazioni, insieme a privati si stanno attivando per salvarle

o, addirittura, ridare loro nuova vita.

La più alta concentrazione di questi borghi la troviamo nel

sud del nostro paese, soprattutto in Basilicata ma anche nel-

le aree più interne delle Marche e della Toscana e in alcune

zone della Liguria. Bisogna dire che questo tipo di problema

non riguarda solo l’Italia: in Europa sono in particolare la

Spagna e L’Irlanda a far registrare un fenomeno simile.

Anche in Abruzzo e in particolare nel teramano, non manca-

no i paesi fantasma, semi dimenticati da una diffusa incuria

culturale e da profonde mutazioni sociali ed economiche per

intere comunità.

a storia del nostro paese è fatta di ricchezze dimenti-

cate o non valorizzate. Tra questi tesori paesaggistici e

culturali, ci sono sicuramente i borghi, molti dei quali in

abbandono.

Sono insediamenti abitativi risalenti al medioevo, che hanno

costituito la struttura portante della distribuzione demogra-

fica del nostro paese almeno fino agli anni immediatamente

successivi alla seconda guerra mondiale.

In quei tempi è cominciato, per vari motivi, il progressivo

svuotamento di alcuni piccoli abitati: la necessità di trovare

lavoro altrove, infrastrutture che privilegiavano sempre più

In giro

Le geografie dell’abbandono

MasseriL

12n.114

di

http://paesaggioteramano.blogspot.itSergioScacchia

Page 13: Teramani 114

gioniero in Libia, trattenuto in Inghil-

terra fino al 1946, quando conobbe,

tornando in paese il figlio che aveva

già sei anni. Era il padre di Sonia.

Allora, ricorda la nostra amica, erano

solamente diciotto le famiglie, prete

incluso aggiunge ridendo.

C’erano i Bianconi, i Baldassarri, i

bisnonni Paolizzi, i Pucci, i De Santis.

Molti si ricordano per i loro sopran-

nomi, perché, a quei tempi, tutti ne

avevano.

I De Santis erano i benestanti della

comunità.

Dalle mura di Masseri rimaste in

piedi, ancora si capisce l’antico fra-

zionamento in tre nuclei di case ben

distinte con le sue vie di accesso,

con la parte alta del paese, quella

“nuova” e la centrale e la bassa

sicuramente riconducibili a periodi

più remoti.

Sarebbe, credo, interessante predi-

sporre azioni che possano ridare vita a

questo luogo e ai tanti altri che hanno

avuto come fulcro la creazione di

comunità.

Grazie all’intervento di architetti

sensibili si potrebbero creare progetti

per il recupero e per ridare ossigeno

ai paesi, movimentare ma soprattut-

to trasformare questi borghi in veri

e propri “laboratori” integrati con il

territorio.

Potrebbe essere una sorta di valoriz-

zazione a fini di turismo consapevole.

Questo, non solo nelle remote zone

dei monti Gemelli o della Laga con

i vari Martese, Tavolero, Settecerri,

Laturo, Serra, ma anche in zone inso-

spettabili, molto vicine a insediamenti

cittadini.

È il caso, ad esempio, di Faraone

Vecchio non lontano dalla popolosa

Sant’Egidio alla Vibrata, di Frunti a po-

chi chilometri da Teramo, della parte

alta di Villa Brozzi a qualche passo da

Montorio al Vomano e di Masseri, sulla

collina sopra la città d’arte di Campli.

Di quest’ultimo borgo, rimangono

pochi monconi di case. È scomparsa

anche la sua storia peraltro interes-

sante, caratterizzata soprattutto dalla

presenza della facoltosa famiglia

Palma. La piccola chiesa, la scuola,

erano infatti di loro proprietà, lascito

antico del ricchissimo casato da cui

nacque il famoso storico teramano,

Niccola e il maggiore dell’Esercito,

Ottavio, che sulle montagne terama-

ne ha speso la sua vita nel dare la

caccia ai briganti.

Masseri, infatti, nella seconda parte

del 1500 aveva ospitato milizie spa-

gnole che si trovavano nella nostra

terra per combattere il dilagante

fenomeno del brigantaggio e visse

proprio nel periodo tra il ‘600 e il

‘700, un relativo benessere grazie ad

una intensa vita pastorale e agri-

cola dei suoi abitanti. Il luogo vide

pian piano già dall’800, un continuo

decadere a causa delle tante tasse

imposte dall’unione dei due comuni

grandi di Campli e Teramo.

Le case di Masseri vennero in gran

parte squarciate dal terremoto del

1950 ed ebbero il colpo di grazia in

una frana di pochi anni dopo che

decretò la fine del paese e la fuga dei

suoi abitanti.

Sonia Celii Jotterand è una bella

donna che oggi risiede in Svizzera.

Le sue origini, le sue radici più intime

risiedono nel ricordo di Masseri.

Il nonno andò a vivere in questo sper-

duto borgo teramano, per amore.

La suocera, Giovanna Romantini, si

era sposata lì vivendoci tutta la sua

esistenza.

Il giovane marito nel ’40 fu fatto pri-

13n.114

Page 14: Teramani 114

14 La nostra storia

Intervista al prof. Nicola Del CiottoPrima parte

n.114

di

[email protected]

ortona 1943parecchi da raccontare! Ma, forse, il motivo principale è che vorrei

liberarmi di tante immagini crudeli che tuttora stanno nella mia

mente là nascoste, che ogni tanto emergono come mostri e penso

che parlarne sia il modo migliore per buttarle via ma, purtroppo, non

è vero; anzi proprio così si rinnovano e si ingigantiscono come in un

effetto continuo di amplificazione.

Prima di quel 1943 come

era trascorsa la sua vita?

Benino. Io vivevo in Ancona

dove mio padre era Cara-

biniere presso la Legione.

La vita di un fanciullo senza

problemi era la mia: gioca-

vo, andavo all’asilo, poi a

scuola, la prima elementare,

la seconda... poi è finito

tutto. Nell’estate del ’43

tornammo, come tutti gli

anni, in vacanza dagli zii.

Avevamo già ascoltato

il lugubre ululato delle

sirene perciò quella volta

mio padre* ci allontanò da

Ancona e ci disse che era

più prudente rimanere ad

Ortona perché lì saremmo

stati più sicuri. E finimmo

nel tritacarne.

Per quanto nei suoi ricordi, c’era nel paese tra il 39 ed il 42 la

percezione della realtà della 2^ GM ?

Certo! Forse inconsapevolmente, ero molto attento ed osservavo

tutto quello che avveniva intorno a me, perciò ricordo bene come la

vita di tutti i giorni andava scadendo pian piano. Si passò lentamente

dalle grandi parate piene di gagliardetti e passi marziali, dai saluti al

duce, dagli “eia, eia, alalà” alla tessera annonaria, al taglio delle infer-

riate dei giardini, alle macchine con i tuboni nel posteriore, e poi alle

luci oscurate, alla vernice blu sulle finestre delle gradinate, alle stri-

sce di carta incollate ad X sui vetri, alla mancanza di cibo sufficiente

e così via... ormai in giro vi erano musi lunghi e poca allegria.

Inferriate, tuboni…che significano?

Un giorno vidi in Viale della Vittoria un autocarro parcheggiato sul

marciapiede carico di cancelli e pezzi di recinti in ferro battuto, men-

tre alcuni operai erano alle prese con il taglio di una bella inferriata

che circondava un giardino. La sera chiesi a mio padre il perché di

quello scempio e lui mi rispose che quel ferro serviva per costruire

i cannoni. Pur avendo solo sei anni ebbi l’impressione che qualcosa

non andava: c’era bisogno delle inferriate per fare i cannoni?

I tuboni! Io li chiamavo così.

Erano dei marchingegni pazzeschi, chiamati tecnicamente “gasoge-

ni”, che servivano per produrre il “gas povero” in sostituzione della

benzina. Insomma il ferro non l’avevamo, la benzina neppure; ma

non avevamo più nemmeno il pane, il vestiario, e tutto il resto.

uongiorno professore è

bello incontrarci di nuovo.

È sempre un piacere conver-

sare con Lei.

Vogliamo ripercorrere insieme

qualche momento della sua fan-

ciullezza bella e drammatica?

Facciamo pure.

Per cominciare... Quando è nata

l’idea di scrivere di quel 1943 e

dintorni?

L’idea è nata molti anni fa, nel

dicembre del 1986, quando allestii una mostra fotografica che met-

tesse insieme il passato e il presente della mia Ortona. Il successo

della mostra e il suo naturale smantellamento mi fecero pensare che

forse era il caso di non buttar via tutto e di farne un album fotogra-

fico. Ne venne fuori un libro di un centinaio di pagine dal titolo “Per

non dimenticare” pubblicato nel 1987 le cui copie andarono esaurite

in breve tempo.

Nel 2010 il ritrovamento di vecchie registrazioni, che feci nell’89

quando intervistai alcuni cittadini protagonisti e testimoni diretti

della battaglia, mi fece decidere di riprendere l’idea e di lavorarci un

po’: avevo molto materiale fotografico in più, avevo le testimonianze

e vedevo la mia cittadina cambiare rapidamente, perciò era il caso di

riproporre di nuovo un aggancio con il passato. Più in là sarebbe sta-

to forse troppo tardi. Ne venne fuori il libro “Ortona 43-44 - Ortona

oggi - Testimonianze”, più corposo e più dettagliato.

È possibile individuare una ragione particolare che l’abbia spin-

to a ricordare momenti certamente non lieti?

È indiscutibile che nel mio subconscio e nel profondo del mio animo

vi è sempre e tuttora lo sconquasso mentale che subii a soli otto

anni. I miei occhi ingenui hanno visto cose inconcepibili per un bam-

bino di oggi. Il modo di vivere o di sopravvivere, la fame, la mancanza

d’igiene, i pidocchi, la vita nelle grotte, il sibilo dei proiettili, la sensa-

zione continua del colpo definitivo, la morte dei conoscenti mi hanno

segnato per sempre. Finii la mia fanciullezza nell’inverno del ’43. Fui

costretto dagli eventi a crescere molto in fretta.

La ragione per cui sono spinto a ricordare? Ma penso che sia un

impulso naturale per chiunque raccontare ad altri qualche fatto

eccezionale che gli sia capitato. Ed io di fatti eccezionali ne ho avuti

B

Page 15: Teramani 114

fame è invece una cosa molto seria. Come

si fa a spiegarla oggi, come possiamo farla

recepire quando nessuno sa nemmeno

il suo significato? Che devo dire? Che io,

a otto anni, l’ho conosciuta, la

fame, quella vera? Che dopo

i primi crampi non si avverte

più nulla? Che pian piano ci si

abbandona? Che la testa non

si tiene più ritta sul collo? Che

ci invade l’inedia? Lasciamo

perdere.

Il piccolo Nicola? Il piccolo

Nicola viveva con il terrore al

suo fianco e guardava il viso

dei grandi per trovarci un po’ di

sicurezza ma le loro espressio-

ni erano cupe e impaurite. Mi

accorsi però della diversità del

loro comportamento di fronte

alla paura. Nella mia testolina

feci pian piano la cernita tra i

fanfaroni e gli uomini veri, quelli

con la U maiuscola.

Mio zio (che portava il mio stesso nome e

cognome) era un Uomo. Un “ragazzo del

’99” che aveva combattuto sul Grappa e

sul Piave, era l’unico che aveva le idee

chiare e subito divenne il nostro punto di

riferimento. Io lo consideravo il mio mitico

e coraggioso eroe. Consapevole di essere

l’unica persona valida, per la nostra salvez-

za era quello che rischiava

di più.

Quando il suo corpo cadde

a fianco a me colpito da una

fucilata di un soldato tedesco

vidi crollare il mio mito, rimasi

impietrito, non ebbi la forza

di dire una parola e mi rifugiai

in un silenzioso smarrimento.

Ma anche in quella situazione,

con una spalla trapassata da

una pallottola e con il sangue

che lo invadeva tutto, veden-

do la propria moglie gridare

disperata, riuscì a superare se

stesso dicendogli una frase

che ha dell’incredibile:”zitta

Maria, non è nulla: ho sentito

come una pizzicata di vespa”.

Doveva sminuire la situazione

per non creare panico nella

famiglia perché con lui abbattuto noi era-

vamo tutti perduti. Era il primo pomeriggio

del 29 dicembre 1943. Dopo pochi minuti

arrivarono i soldati canadesi.

Quella frase risuona

ancora nella mia mente,

Cosa cambiò nel paese - anche solo

come atmosfera - dopo l’8 settembre

1943(*)?

Teniamo sempre presente che ciò che

dico si riferisce alle sensazioni

di un bambino. Ricordo, chissà

perché, quella giornata settem-

brina, bellissima e luminosa, al

tramonto con il sole che calava

dietro il Gran Sasso. Io e mia zia

camminavamo sulla Nazionale

16 quando un uomo dall’altra

parte della strada disse:“Maria, è

scappato il Re!”. Ascoltai ma non

capii il significato.

Io, nel mio piccolo orizzonte,

ricordo gli sbandati sulla SS

16 che venivano da nord e

andavano verso sud, singoli o in

compagnia, laceri, malandati e

frettolosi, pronti ad imboscarsi

per qualsiasi motivo. Bussava-

no alle porte delle masserie e

chiedevano un po’ di pane e qualche abito.

Nei giorni immediatamente seguenti l’8

settembre ricordo anche le autocolonne te-

desche che andavano verso nord come se

scappassero. Ma dopo pochi giorni il flusso

tedesco si invertì e i soldati dalla terribile

divisa dilagarono, entrarono nelle case da

padroni facendo scempio e distruzione,

spesso senza motivo. Capimmo subito che

bisognava essere ubbidienti

e accondiscendenti: loro

avevano continuamente il

mitra puntato e gridavano

sempre, quanto gridavano!

È opinione comune che l’8

settembre sia tra le date più

buie della storia d’Italia. Per

noi ortonesi l’8 settembre

fu l’inizio di tutti i guai Per la

cronaca, il Re e la sua corte

si imbarcò nella notte del 10

settembre dal porto di Ortona

per fuggire verso il Sud.* Nel

libro ho riportato la testimo-

nianza del marinaio Tommaso

D’Antuono, imbarcato sul

peschereccio “Nicolina”, che

aiutò i reali a salire a bordo,

invitando la Regina a sedersi

su una cassetta del pesce.

Mentre quelle vicende belliche si rincor-

revano quali esperienze aveva il piccolo

Nicola ad esempio rispetto al senso di

sicurezza, al cibo, alle figure degli adulti

vicini?

La buriana della battaglia non arrivò im-

mediatamente. Perciò avemmo il tempo di

prepararci e di abituarci (è incredibile ma

ci si abitua!). Però il primo sibilo seguito da

un potente boato fu traumatico e da quel

momento il senso di sicurezza svanì e si

cominciò a vivere con l’impressione della

precarietà della vita. Questa impressio-

ne portò ad una radicale modifica del

concetto della vita in comune e si passò

ad concetto di sopravvivenza, “mors tua

vita mea”. E poi albergava in molti di noi

un pensierino sottile e pericoloso:“proprio

a me deve capitare?”. Alcuni, confidando

in questo pensierino, non furono attenti e

così lasciarono il mondo.

Il cibo? La fame! Oggi si ha un concetto tra-

visato del suo significato. Attualmente con

la parola fame intendiamo l’appetito. La

15n.114

segue a pag. 16

Page 16: Teramani 114

andare alla masseria e prendere qualcosa

da mettere sotto i denti. Mia madre (che

siano benedette tutte le mamme), vedendo-

mi deperire a vista d’occhio, diede fondo a

tutte le riserve strategiche, mi tirò su con il

braccio e mi disse all’orecchio:“Nicolino, ho

un pezzetto di pane ed una noce sbucciata;

mangiali ma non farti vedere da nessuno”.

Io le risposi:“Mà, dammi il pezzetto di pane.

La noce mettila da parte per domani, ché è

Natale” e mangiai quel pezzetto di pane non

più grande di tre dita, tutto “impelacchiato”,

ficcando la testa tra le spalle di mia madre

e la terra della grotta. La mattina di Natale,

all’alba, avendo passato la notte con la bra-

mosia di quella noce (perché quel pezzetto

di pane aveva risvegliato immediatamente

lo stomaco) dissi:”Mà, mangiamoci la noce”.

Dietro il mio invito cominciò a rovistare den-

tro le sue tasche. Cercò più e più volte, ma

non riuscì a trovare quella noce: era sparita!

Per farla breve, come già Le ho raccontato,

io tuttora penso a quella noce come ad

un grande desiderio non soddisfatto ed è

penoso per me parlarne perché al ricordo mi

prende sempre un nodo alla gola, ma ciò non

può essere capito oggi.

E allora concludiamo in bellezza perchè a Na-

tale mangiammo! Mio zio Nicola, vedendoci

ormai abbandonati a noi stessi, prese il co-

raggio che aveva ed uscì in mezzo al fragore

delle esplosioni per andare alla masseria a

cucinare qualcosa. Come lui poi ha raccon-

tato, dopo aver appeso il caldaio alla catena,

accese il fuoco e mise a bollire l’acqua per

cuocere delle “mezze maniche”. Quando sta-

va per preparare del condimento, la masseria

fu oggetto di una gragnuola di colpi dei quali

uno colpì il camino buttando all’aria il tetto

e mandando fuliggine e calcinacci dentro il

caldaio. Lui, miracolosamente indenne, prese

immediatamente quel piccolo caldaio con ciò

che c’era dentro e tornò di corsa alle grotte.

16n.114

allontanavano. In quel momento un vecchio

nella grotta a fianco perse la testa per il

gran frastuono di fucileria e si mise a sven-

tolare un panno bianco. Zio Nicola buttò

dentro la grotta il vecchio, ma lui rimase

fuori e l’ultimo dei soldati tedeschi si girò e

gli sparò.

Mentre lo fascia-

vano lo udii mor-

morare:“eppure

avevamo brindato

insieme”.

A proposito di

fame... mi raccon-

ta di quella noce

messa da parte ?

Lei vuole proprio

spingermi a parlare

dell’argomento

“fame” con annessi

e connessi! Cer-

cherò di acconten-

tarLa. Nella situazione che evolveva sempre

in peggio, dopo essere

stati sballottati dagli

eventi e dai tedeschi da

una parte all’altra, dentro

le gallerie ferroviarie, in

un casello della ferrovia,

in pratica il cibo era

diventato un “optional”.

Ma ritornati miracolosa-

mente dentro le nostre

grotte, dal 21 dicembre

non si mangiò più fino a

Natale per l’impossibilità

assoluta di poter uscire,

dopo oltre settantadue anni, potente e

drammatica.

Dove è successo... Dove eravate?

La nostra masseria è in contrada Schiavi un

po’ più a nord della città, lontana da essa

circa tre chilometri su strada.

Il 28 dicembre, dopo otto giorni di massa-

cro, Ortona fu definitivamente conquistata.

Nel primo pomeriggio del 29 con una velo-

ce avanzata i soldati del Princess Patricia

Rgt. raggiunsero il luogo dove ci nasconde-

vamo. Quindi noi in quei momenti eravamo

finiti nell’inferno della prima linea. Allora fu

ferito mio zio.

Il motivo del ferimento di zio Nicola è forse

interessante da raccontare. Alcuni giorni

prima, intorno a Natale, quattro soldati

tedeschi si piazzarono sulle nostre grotte

con una mitragliatrice per controllare tutta

la vallata frontale. Lei è stato con me e ha

visitato i luoghi della battaglia del 29 dicem-

bre perciò ha un’idea precisa di quanto sto

raccontando. Di giorno due di loro, a turno,

venivano a ficcarsi in mezzo a noi con

prepotenza mentre gli altri due rimanevano

alla postazione. Di notte erano addirittura in

tre, pretendendo con forza il posto migliore,

in fondo alla grotta.

Nel primo pomeriggio del 29, dopo aver

mitragliato tanto, abbandonarono la posta-

zione, ormai indifendibile, scendendo prima

alle grotte. Quello che sembrava il capo si

fermò a parlare con lo zio:“noi antare via,

noi non vetere più, noi morire”. Zio Nicola

si commosse e offrì da bere ai quattro. Loro

presero la strada verso Torre Mucchia e

mio zio era rimasto a guardarli mentre si

segue da pag. 15

Page 17: Teramani 114

fazzoletto al naso ebbero coraggio ed entra-

rono seguite da tutti noi col naso tappato.

Qualcuno accese un fiammifero e vedemmo

la porta al pian terreno aperta. Di fronte a noi

scorgemmo un uomo posto a squadra tra il

muro e il pavimento, con gli occhi dilatati ed

ormai marci, con una giacchetta azzurra ed

una camicia bianca, con una macchia rosso

scuro in mezzo al petto. Sul muro un buco

ad altezza d’uomo ed una striscia di sangue

verso il basso erano la testimonianza del fe-

rimento di questo poveretto, mentre andava

verso la morte, lasciando la traccia della sua

caduta. È un’immagine troppo forte che mi

scombussola tuttora la mente e l’anima.

Che si fa? Tutti sono d’accordo: buttiamo-

lo fuori. Alcuni uomini coraggiosi presero

questo misero uomo irrigidito a squadra e lo

buttarono fuori lanciandolo dall’altra parte

del vicolo. Ricadde rimbalzando e fermando-

si contro il muro di fronte con le gambe in

alto in una posizione assurda. Sembrava un

burattino abbandonato. Rimane il mistero del

perché in casa nostra, rimane il mistero del

suo nome. Certamente si rifugiò da noi per

salvarsi ed invece trovò la morte. Altro che

eroismo.

Noi poi completammo l’opera, ormai

abbrutiti, offendendo malamente il suo

povero corpo.

Mi rendo conto di averLe chiesto

molto... “ma per l’ultima volta” e la

ringrazio della disponibilità e del

gran regalo che ci sta facendo. Un

regalo preziosissimo per la soffe-

renza infinita che Le provoca il dover

ricordare quelle vicende e per il

messaggio di grande umanità che si

dipana nelle trame del racconto.

Un attimo di sosta per riordinare le

idee e poi ripartiremo per il nostro

viaggio nei meandri della memoria.

Segue seconda parte

Quindi a Natale pranzammo mangiando

“mezze maniche” condite al calcinaccio e

fuliggine. Quanto ci piacque!

Narrando a, volte, ha focalizzato il

ricordo sulle figure dei “morti” civili e

militari in battaglia. E’ come nei film

presente una aura eroica che possa

confermare l’espressione ...è bello e

degno di rispetto morire per la patria...

?

Ho la mente piena di scene drammatiche

che si accavallano, scompaiono e ritorna-

no. La morte? Un giorno, intorno a Natale,

un certo Rocco Ricci ebbe la infausta

idea di andare ad osservare dal terrazzo

della sua masseria la città di Ortona in

lontananza e partì, insieme ad altri due

incoscienti, lasciando la grotta. Furono

visti dai soldati tedeschi e furono presi a

mitragliate. Due riuscirono a ritornare alle

grotte e raccontarono. Rocco no. Ora invece

Le racconto quello che vidi io. Sentivo questo

gran mitragliare e per la curiosità non mi

trattenni. Uscii dalla grotta e salii il costo-

ne. Vidi Rocco, che correva verso di me a

saltelloni come se avesse inciampato. Cadde

poi dentro una cunetta e non si rialzò più.

Io pensai:”Perché non si rialza?”. Era morto

crivellato di colpi. Ebbene, la morte di “zio

Rocco” non mi fece alcuna impressione. Nei

film fanno gridare l’uomo, che muore. Nella

realtà che io ho vissuto, l’uomo, che muore,

non dice nulla. La morte vera non è teatrale,

perciò all’istante non ci sconvolge.

L’eroismo per la patria? Non posso rispon-

derLe che vagamente, perché è un concetto

troppo elevato che all’epoca io non com-

prendevo, anzi, non concepivo affatto, a soli

otto anni. Però consideravo mio zio come un

eroe, ma per noi non per la patria. Intorno a

me non vidi nulla che potesse farmi pensare

a qualcosa di nobile ma constatai solo tanta

paura, tante lacrime e tante preghiere. Erava-

mo povera gente indifesa, sballottata senza

meta in mezzo ad una tempesta assurda,

senza confini.

Sicuramente ci sono stati casi di eroismo,

che però io ho percepito dopo, quando ero

più grande, leggendo i libri della battaglia.

Al momento del rientro a casa dopo la

fuga dalle le grotte vide altri segni di

quella morte “non eroica”?

La morte della povera gente, della gente che

non c’entra nulla, mette scoramento. Ed io

così bambino ho visto troppa morte intorno

a me. Perciò questi ricordi mi distruggono

tuttora. Lei vuole che ne parli ancora e ne

parlerò, racconterò di un episodio tra i tanti e

nemmeno il peggiore, ma per l’ultima volta.

Dopo la fucilata a mio zio, che si salvò fortu-

natamente per l’aiuto fornito dai famigliari

e dai soldati canadesi, ormai “liberati” intra-

prendemmo la via del ritorno verso Ortona,

in mezzo a mille peripezie e pericoli. In ogni

modo riuscimmo ad arrivare alla nostra casa

in Via Acciaiuoli molto tardi ma finalmente

contenti di poter rientrare in una casa vera,

incredibilmente intatta. Eravamo in tanti

perché molti si erano accodati a noi avendo

appreso che la nostra casa era agibile.

Qui, prof. Natale, ci vuole un po’ di stomaco

per digerire quello che andrò a raccontare.

Quando mia zia Maria aprì il portone, uscì

una zaffata di fetore di morte da farci scap-

pare tutti. Ci fermammo a debita distanza ma

non si poteva rimaner lì, bisognava entrare.

Mia zia, mia madre ed altre donne, con un

17n.114

Page 18: Teramani 114

18n.114

oblomovI

Il libro del mese

di

[email protected] CristinaMarroni

Di Ivan A. Gonçarov

qualificarsi nella vita reale, pertanto egli può essere giudicato per

antitesi al suo contrario: l’uomo dinamico, operoso, tenace, che nel

romanzo corrisponde al personaggio di Stolz (parola che in tedesco

significa “orgoglio”), agente assicurativo e miglior amico del protago-

nista. “[Stolz] non faceva movimenti superflui. Se era seduto, sedeva

immobile; se era attivo, usava solo i gesti necessari. […] Sembrava

che controllasse le sue gioie e i suoi dispiaceri come controllava i

movimenti delle mani e dei piedi”.

Oblomov e Stolz rappresentano due poli opposti. “Lo spettro di

Oblomov è un virus nella macchina-Stolz” (V. Mazin). La storia che

li avvicina e poi li contrappone è semplice e assai lineare. Oblomov

è un proprietario di provincia, che vive nella completa apatia. Il suo

amico Stolz, per ridestarlo e rianimarlo da quella

“strana e complessa malattia che gli impedisce di

volere”, che lui chiama tautologicamente “oblomovi-

smo”, gli presenta la giovane Olga. I due si innamora-

no e provano un sentimento puro ed elevato. Allora

l’allegria e la forza vitale penetrano nella vita di Oblo-

mov, e lui si scopre diverso, “incipit vita nova” (Dante

Alighieri). Tuttavia a questo amore Oblomov non sa

dare un contenuto reale e “presto ripiombò nella sua

apatia. […] La sua “tenerezza di colomba” non riuscì

a sopportare l’amore, che lo abbandonò inerte, come

se non lo avesse mai visitato” (Pietro Citati).

Allora Olga sposerà Stolz e Oblomov, dopo il tracollo

economico, sposerà la sua padrona di casa, gros-

solana, rozza, ma affidabile e devota. Alla morte del

protagonista, sarà Stolz ad occuparsi di suo figlio.

Il fulcro del romanzo è rappresentato dal capitolo

intitolato “Il sogno”. Oblomov desidera Oblomovka,

una sorta di Valle dell’Eden o Arcadia pastorale. Qui

“Gonçarov propone un idillio accidioso radicalmente

antiromantico: un desiderio che è un ricordo, un sogno di antisogna-

tore, dove risuonano non i suoni sublimi degli usignoli, ma quelli goffi

delle quaglie” (S. Benvenuto).

l romanzo “Oblomov” di Gonçarov, pubblicato nel 1859, è

senz’altro uno dei capolavori della letteratura russa ottocente-

sca. Oblomov, protagonista del romanzo, deve essere collocato

tra i più riusciti personaggi della letteratura di

tutti i tempi. In lui l’autore volle rappresentare un

carattere universale dell’anima umana.

Il romanzo anticipa la modernità, infatti la trama è ri-

dotta all’essenziale, come poi avverrà in tanta prosa

novecentesca. Il nome del protagonista è però assai

evocativo: “oblom” in russo significa “essere spez-

zati”, “aver fallito”. Quindi Oblomov è “colui che ha

fallito” per infingardaggine, apatia, stanchezza men-

tale, vizi che tiranneggiano l’uomo che non ha più un

progetto concreto nella vita. Egli è anzi indifferente

alla vita e non si ribella neppure, né si rassegna, ma

arriva ad annullare completamente ogni pulsione.

“Eppure non è triste, non è lamentoso, ha per se

stesso una sorta di pietà vergognosa, infantile; ma

intorno a lui, chi lo ha caro è colto da disperazione,

e vuole, vorrebbe, fantastica di “salvarlo”. Salvarlo

da che?” (Giorgio Manganelli). Egli non è neppure in

pericolo di vita, perché ha perso ogni slancio vitale,

per questo l’ipotesi del suicidio non rientra tra i suoi

pensieri.

Ma a Oblomov non mancano le doti morali e intellettuali. Anzi, è

un gentiluomo. L’indolenza, però, gli impedisce ogni possibilità di

Note Linguistiche [email protected] GabriellaDi Flaviano

Fenomeni linguistici rari

O

di

ggi noi chiamiamo Lamone il fiume che bagna Faenza, nelle

vecchie carte geografiche, però, si legge ancora Amone.

Come mai? Per un fenomeno piuttosto raro e curioso l’arti-

colo si è attaccato alla parola a cui si accompagnava e così

l’Amone è diventato il Lamone. Altre parole hanno subito lo stesso lo

stesso fenomeno, come lastrico da l’astrico (da astracum = cocco) e

Iddio (da il Dio). In vari dialetti questo è avvenuto,

invece, con l’articolo indeterminativo: nabisso

per un abisso, ninferno per un inferno, ecc... Al

contrario l’abbadessa è diventata la badessa,

l’alesina per la lesina, il lusignolo l’usignolo,

l’Apulia la Puglia, l’aguglia la guglia, l’arena

la rena, ecc... Così da un narancio è venuto

un arancio, da ad Arimini è venuto a Rimini ecc...

Questi fenomeni si riscontrano in vari dialetti;

in quelli emiliani, ad esempio, l’amo da pesca è

diventato al lam.

Page 19: Teramani 114

pratico, risponde di tale reato il soggetto che

si introduca nella casa della moglie, dalla quale

vive separato, senza il suo consenso, per vedere

la figlia che era stata affidata alla moglie medesi-

ma (Cass. Pen. Sentenza n. 1309/1986).

Il 4° comma dell’art. 614 c.p. indica, quale

circostanza aggravante, la violenza sulle persone

o sulle cose, nel senso che la violenza ricorre

quando essa non venga usata inizialmente per

compiere l’introduzione, ma successivamente

per intrattenersi nel domicilio contro la volontà

dell’avente diritto.

La violenza sulle cose, da cui deriva la proce-

dibilità d’ufficio, ricorre non solo quando ven-

ga esercitata sulla cosa, ma anche quando la

violenza abbia causato la forzatura, la rottura,

il danneggiamento della cosa stessa o ne ab-

bia comunque alterato l’aspetto o la funzione.

Si può ritenere che sussista tale aggravante

nel caso in cui taluno, forzando con un calcio

la porta d’ingresso di un appartamento, ci si

introduca per compiere un altro tipo di reato.

In altre parole se si è vittime di questo

comportamento si deve sporgere querela

nel termine di tre mesi da quando si è avuta

notizia del reato, perché se non si sporge que-

rela il colpevole non potrà essere processato,

a meno che il fatto non sia stato commesso

con violenza sulle cose o alle persone o con

armi.

In quest’ultimo caso la Magistratura proce-

derà d’ufficio una volta informata della notizia

del reato.

econdo quanto stabilisce il codice

penale all’art. 614, 1° comma, “Chiunque

s’introduce nell’abitazione, o in un

altro luogo di privata dimora, o nelle

appartenenze di essi, contro la volontà espressa

o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, ovvero

s’introduce clandestinamente o con l’inganno, è

punito con la reclusione da sei mesi a tre anni”.

Dalle parole chiare e precise espresse dall’ar-

ticolo su menzionato, si evince che è dettato

a tutela della libertà del privato, del suo

interesse alla tranquillità e sicurezza nei luoghi

in cui esplica attività di vita privata, potendo

risultare tale, anche, un pubblico esercizio nelle

ore di chiusura.

Il presupposto su cui si fonda il concetto di viola-

zione di domicilio, costituendone il suo elemento

oggettivo, è l’abitazione e cioè il luogo adibito ad

uso domestico di una o più persone; di contro

non potrà esserlo l’appartamento non ancora

abitato dal proprietario, proprio perché manca il

requisito dell’attualità dell’uso domestico.

Per privata dimora s’intende qualsiasi luogo

ove taluno si soffermi per svolgervi una attività

inerente alla sua vita privata. È un concetto

più ampio di quello di abitazione in quanto

ricomprende ambienti in cui non si sviluppa una

vera e propria vita domestica; tale può essere lo

studio professionale o il locale di un’impresa.

Le appartenenze, da ultimo, sono costituite dai

luoghi che si presentano come accessori a quelli

di privata dimora in quanto predisposti per il loro

migliore godimento o servizio; tali possono esse-

re i giardini , i balconi o gli androni di un palazzo.

Per quanto riguarda, invece, l’elemento sogget-

tivo o psicologico del reato, esso consiste nel

dolo generico cioè nella coscienza e volontà,

di colui che agisce, di introdursi o trattenersi

nell’abitazione contro la volontà del titolare

del diritto di esclusione. Facendo un esempio

Violazione di domicilioS

19n.114

Dura Lex Sed Lex [email protected]

di

Page 20: Teramani 114

le violoncello, paradossalmente, la ‘sottrazione’ ha conferito

alle songs una veste essenziale, diretta, scarna, variegata...

affascinante. Nelle interviste rilasciate ai vari magazines mu-

sicali, ha riferito dell’importanza del dono paterno, le chitarre

elettriche hanno rinnovato la sua ‘sete’ musicale, le recenti

frequentazioni della West Coast Californiana hanno fatto il

resto, forti connotazioni emotive e tangibili, tanto da intaccar-

ne la sfera affettiva, esistenziale e artistica. I suoni di questa

release, si dispiegano in tutta la loro suggestiva bellezza, voce

e note che invitano l’ascoltatore a concentrarsi su queste

meraviglie che si diffondono dai solchi dell’amato vinile, a

proposito, l’edizione è sontuosa, dinamica, un nitore pazzesco,

come genere, possiamo azzardare la definizione di indie-rock?

Probabilmente riduttiva, recentemente accostata a... Joni

Mitchell, addirittura! Il Gatefold

del doppio vinile, una volta

aperto, ci rivela una delicata

cromia acquarellata, opera della

stessa Marling (anche provetta

pittrice?), tutte le composizioni

sono sue e, i testi sono riportati

nell’interno, come i credits e i

ringraziamenti, a questo punto,

dopo la lunga premessa, passia-

mo all’ascolto, finalmente! Apre

Warrior, affatto bellicosa, qui

la chitarra è ancora acustica,

arpeggi delicati, basso profon-

do, rumori di fondo e, ‘la voce’

(che voce), annuncia la seconda

traccia, la rivelazione: False

Hope, altro che falsa speranza,

l’intro di Laura all’elettrica è da

brividi, poi nervosa, dura, secca

e tagliente, entra con la voce

(incredibile) e, partono gli altri

strumenti, un tiro irresistibile, la

2^ chitarra, il basso poderoso

(bravo Nick) e il metronomo

Matt come un treno. Il vertice del long Playing? Perhaps, ma...

ci sono altre sorprese. I Feel Your Love conclude la A-side, de-

gnamente, il violoncello di Ruth

qui è im...prescindibile, è tutto

un crescendo, voce, chitarre,

basso e batteria, prima facciata

da favola che... continua. Walk

Alone, si può camminare da

solo ma, nelle orecchie (e

nella testa) risuonano gli echi

di Laura & Co. Segue Strange,

quasi un raga indiano, curioso e

atipico nel suo incedere. Il pic-

co si risolleva decisamente con

Don’t Let Me Bring You Down,

le chitarre si incrociano, il bas-

20 Write about... the records!

2015 2LP’s Virgin/Caroline distr. Universal

di

[email protected]

Laura MarlingShort Movie

T

n.114

eramani n° 96, febbraio

2014 (ndR). Ci eravamo

lasciati con un interroga-

tivo: cosa combinerà la

bionda inglesina dopo l’uscita

di “Once I Was an Eagle”, la-

sciando la metropoli britannica

(London) per la California? Ecco

la risposta: marzo 2015, ritorna

dall’esperienza americana con

molte armi (musicali) e pochi

bagagli, chiama a se il fidato

Matt Ingram (batteria), con

Nick Pini (basso ac/el), Tom

Hobden (chitarra) e Ruth de

Turberville (violoncello), si

chiudono nello Urchin Studios

di Londra, autoproducendosi

con lo stesso Ingram e Dan

Cox, licenziando il 5° full-len-

ght-album, danno vita ad

un’autentico capolavoro! OK,

è palese che ‘stravedo’ per la

26enne di Eversley (Hampshi-

re), Laura-Beatrice Marling (con 2 nomi di battesimo così,

non si può restare che estasiati da tanta ‘grazia’ musicale ed

estetica). La nostra eroina è

una provetta chitarrista (acusti-

ca), nel frattempo il papà (noto

Produttore), le regala un paio di

chitarre elettriche: una Gibson

335 e una Fender Jaguar, pren-

de confidenza soprattutto con

la 335 esercitandosi duramente

e quotidianamente e, vedremo,

appunto i risultati, incredibili.

Laura ha operato una significa-

tiva sintesi, ha ‘asciugato’ (per

così dire) i suoni, 2 chitarre,

basso, batteria e il prescindibi-

Page 21: Teramani 114

riapre le danze, se non

sono ‘ululati’ poco ci

manca, atmosfera molto

suggestiva, notturna,

cantato greve e intenso,

arriva la title-track,

Short Movie, il ‘cor-

tometraggio’ sonoro

parte lentamente per

‘salire’ inesorabilmente,

il crescendo è scandito

dal violoncello della Turberville, e, il

tutto si conclude ‘degnamente’ con

il categorico invito di Worship Me. La

lunga sessione d’ascolto è conclusa,

impegnativa, affascinante, disarmante

e, se avete un animo sensibile, potete

fare vostro il ‘film’ di questa benedetta,

giovane ragazza, sempre più bionda,

più bella e... brava, soprattutto. Il vinile

costa € 24,08 by Amazon (sp. sped.

comprese), comunque, si può rispar-

miare con il CD venduto a € 7,48 + 2,90

s.s. (by All Your Music – USA/Amazon).

NB: Se avete ancora qualche dubbio, un

consiglio, andate su YouTube e cliccate

in successione Laura Marling / Short

Movie - 3 video: le Short Session di Fal-

se Hope, I Feel Your Love e Gurdjieff’s

Daughter, live-versions fantastiche,

irresistibili, incantevoli, ancora più belle

del disco e, nella clip (no Short Session,

YouTube normale) della ‘figlia di Gur-

djieff’, rivela insospettate doti di attrice!

Time: 48:01 - Voto: 9

so pompa generoso e, la solita (solita?)

prestazione vocale

della disarmante

Laura, siamo ine-

betiti. Easy chiude

la B-side, con faci-

lità e nonchalance,

propedeutica per

la open track della

C-side: Gurdjieff’s

Daughter, allacciate

le cinture, signori si

parte, fortemente

autobiografica, Lau-

ra narra (canta) del

suo incontro in un

hotel, con la figlia di

Gurdjieff (appunto)

e, udite udite con

quel ‘pazzo scate-

nato’ di Alexander

Jodorowsky (La

Montagna Sacra, El Topo,

2 cult-movie su tutti),

mica male la ragazza,

come lo fa? Prestazione

vocale e musicale da br...

ividi, stupefacente, dimo-

stra come abbia assimila-

to (e bene), la lezione

di Mr. David Knopfler

(gloriosi Dire Straits!),

meravigliose e liquide

chitarre (ottimo anche Tom Hobden),

macchina ritmica perfetta, controtempi,

stop & go mozzafiato, e, ciliegina sulla

torta, il cantato di Laura

Marling, sensazionale,

strepitoso, pirotecnico,

ascoltate il finale per

credere, anzi... da non

credere! Dopo tanta

grazia ci vuole qual-

cosa di Divine, non è

facile per niente ma, ci

prova e... ci riesce, song

acustica, delicata e

gentile, intima, sussurra-

ta, splendida voce. How

Can I chiude il 3° tempo,

formula soft, ricordando

l’esperienza di viaggio

per Telluride (Colorado),

causa rottura del bus

e conseguente notte

trascorsa nel deserto,

cercando la luna. Howl

21n.114

Page 22: Teramani 114

22 Dove siamo diretti?

Definizioni simili ma, allo tesso tempo, diverse nella loro attuazione.

n.114

di

[email protected] GabriellaDel Papa

Educazione civica o Cittadinanza e Costituzione?

propri doveri verso il popolo e quindi, la nazione.

Incredibilmente, persino all’interno della Riforma Gelmini

stilata e messa in vigore fra il 2008 ed il 2009 per le scuole di

primo e secondo grado, vi fu un tentativo di reintroduzione

dell’ora di Educazione Civica - con altro nome però, come per

adeguarsi ai tempi “civili”, materia rinominata con “Cittadi-

nanza e Costituzione”. Nella realtà dei fatti però in qualsiasi

maniera la si voglia chiamare, la reintroduzione non attecchì,

proprio come l’innesto di un verde virgulto in un ramo ormai

del tutto rinsecchito.

Tornando all’Educazione Civica e al processo di debellamen-

to del senso civico in Italia, possiamo dire che tutto ciò cui

stiamo assistendo oggi, è anche frutto di questo diritto/do-

vere negato agli italiani che, inconsapevoli ormai di un senso

civico condiviso, non sono più

in grado da anni di avere netto

in mente il senso del bene e del

male. Questo, con la conseguen-

za aberrante che - la maggior

parte della popolazione - non è

più in grado di poter porre veti

a metodi e azioni che proprio

dalle istituzioni partono contro

la popolazione stessa che non

è stata così più in grado di

essere consapevole di cosa

sia concesso fare e cosa non

lo sia, rendendo possibile ogni

misfatto.

Ecco, l’Italiano medio è così. Ha

tutto a portata di mano, tutto

il meglio, ma non sa mai cosa

farsene. Getta alle ortiche la cultura, preferisce la “fede”

calcistica, oppure altri credi a quello verso il diritto di ognuno

di esistere dignitosamente.

Roberto Benigni ha definito la Costituzione «la più bella

del mondo», e nelle performance in piazza e in tv strappa

applausi ed emozione recitando gli articoli della nostra Carta

costituzionale, calandoli nella vita e nelle esperienze quotidia-

iversi anni fa in Italia, nelle scuole medie e superiori, vi

era l’obbligo di insegnare l’Educazione Civica, quest’o-

ra fu introdotta da Aldo Moro nel 1958 e fu soppressa

d’improvviso durante l’anno scolastico 1990/91.

Non fu l’effetto di una riforma della scuola statale, ma l’inizio

penoso dei tagli finanziari al comparto scolastico che - fino

al 1990 - poteva contare su una notevole fetta del bilancio

nazionale, pari al 10,3% del totale della spesa pubblica. Una

riforma scolastica ci fu, nel 1990, ma dedicata solo alla scuola

primaria.

Le motivazioni addotte all’epoca a supporto dell’eliminazione

dell’ora di Educazione Civica

furono veramente incoerenti o

comunque, prive di significato.

Si disse “semplicemente” che

nella società ormai “evoluta”,

tale insegnamento non era

prioritario.

Questo consentì di ridurre, da

un lato una parte della spesa

economica, ma dall’altro l’inizio

di una riduzione che per ovvie

ragioni di “evoluzione”, avrebbe

sistematicamente portato una

nazione civile verso la china,

verso una perdita di cultura

fondata sui valori.

Credo fermamente che, se la

popolazione non viene istruita

sul senso civico, la conseguenza diretta sarà di avere una

popolazione poco civica, con un basso senso del dovere e

con una scarsa conoscenza delle Istituzioni. Cosa atipica

in un regime Democratico, che invece dovrebbe sostenere

al massimo proprio la cultura e quindi la conoscenza della

Repubblica - nel nostro caso - allo scopo di creare generazio-

ni di persone consce dei propri diritti e - di conseguenza - dei

D

Page 23: Teramani 114

inclusa nella materia «Studi sociali»,

accanto alla Storia e alla Geografia. Nel

1996 (ministro Lombardi), la norma che

prevedeva l’insegnamento di un’ora

mensile di «Educazione civica e cultura

costituzionale» non entrò in vigore per

la caduta del governo Dini, mentre tro-

varono spazio le altre educazioni (alla

salute, all’ambiente, alla pace, all’in-

tercultura), esplose nella scuola come

risposte alle emergenze di fine secolo.

Il ministro Berlinguer (1998) varò lo

«Statuto delle studentesse e degli

studenti». La Moratti nel 2003 propose

l’«Educazione alla convivenza civile»

nella scuola primaria. La sistemazione

attuale fu voluta dal ministro Gelmini,

che con la legge 169 del 2008 tentò la

sintesi tra il termine internazionalmen-

te accreditato di «Cittadinanza» e i do-

cumenti del fondamento istitutivo della

Repubblica Italiana. Oggi non è una

«materia» (o «disciplina»,

in gergo ministeriale), con

un quadro orario definito,

ma «una sorta di filo rosso

che attraversa le disci-

pline, un insegnamento

rimesso a docenti di area

letterario - umanistica»,

spiega Carmela Palumbo,

a capo della Direzione ge-

nerale per gli ordinamenti

scolastici del Miur.

Nelle scuole potrebbe

essere occasione preziosa

per affrontare anche temi

come bullismo, violenza

domestica e questioni di genere, la

«formazione civile» dovrebbe educare

la personalità dei ragazzi in tutte le di-

mensioni. «Argomenti come il bullismo

vanno ricondotti a temi fondamentali,

da trattare in termini sociologici, ma

non è escluso che la scuola si apra

anche a un taglio pedagogico», dice

Palumbo. E se il confine tra cosa inse-

gnare e cosa tener fuori è difficile da

tracciare «è perché la nostra Costitu-

zione è un documento ampio e com-

pleto, tutela i nostri diritti e l’ambiente,

le istituzioni e la salute».

Oggi si fatica a prendere contatto con

il nostro Dna democratico, la Costitu-

zione non è un vecchio oggetto, ma

una meravigliosa «macchina d’epoca»,

di cui è fondamentale recuperare e

trasmettere ai giovani il valore storico

e la meraviglia.

ne. Ed è così che il fondamento della

Repubblica democratica andrebbe

trasmesso, spiegato, recitato, illustra-

to: emozionando. Così nelle scuole di

ogni ordine e grado andrebbe trattata

questa materia, ormai cenerentola

indiscutibile della cultura italiana.

Ne è convinto anche Luciano Corradini,

professore di Pedagogia generale all’U-

niversità di Roma Tre e sottosegretario

all’Istruzione in uno dei precedenti

governi, che della Costituzione nella

scuola ha fatto materia di insegnamen-

to, argomento di libri, tema di dibattito,

spunto per la formazione di docenti.

«Perché non basta il sapere - dice -

nella società secolarizzata, tecnologica

e globalizzata, ma bisogna apprende-

re e sviluppare anche personalità e

responsabilità sociale, sentimenti di

empatia, rispetto, appartenenza e par-

tecipazione. Una scuola vissuta come

comunità educativa non fa

solo imparare le scienze

e le tecniche, ma aiuta a

“crescere in umanità”».

Nonostante tutto, l’inse-

gnamento di Cittadinanza

e Costituzione è però

una materia-chimera, un

esperimento, con facce e

caratteristiche diverse a

seconda di chi la insegni.

Aldo Moro chiedeva di

«trovare senza indugio

un adeguato posto nel

quadro didattico della

scuola... al fine di rendere

consapevole la nuova generazione del-

le raggiunte conquiste morali e sociali

che costituiscono ormai sacro retaggio

del popolo italiano», e Luigi Sturzo

avvertiva:«Se (la Costituzione) cade dal

cuore del popolo... se non entra nella

coscienza nazionale, anche attraverso

l’insegnamento e l’educazione scolasti-

ca, verrà a mancare il terreno sul quale

sono fabbricate le nostre istituzioni e

ancorate le nostre libertà».

A chiarire il compito della scuola

in proposito è stato l’ex presidente

Giorgio Napolitano:«È importante che

la Carta Costituzionale venga sistema-

ticamente insegnata e analizzata nelle

scuole italiane, per offrire ai giovani un

quadro di riferimento indispensabile

per costruire il loro futuro di cittadi-

ni, consapevoli dei propri diritti e dei

propri doveri». In quell’anno (2008), al

ministero si stava lavorando a un dise-

gno di legge che assegnava a questo

compito un monte ore annuale pari a

33. Ma la previsione è poi scomparsa.

“ L’insegnamento di Cittadinanza e

Costituzione, voluto dalla Gelmini nel

2008, viene impartito dai Prof di storia

come un’appendice della materia: i

testi sono solo «consigliati»“.

Negli ultimi 50 anni, la materia si è

chiamata «Educazione civica», affidata

per due ore mensili al docente di

storia; nel 1979 lo studio della Costitu-

zione venne relegato alla terza classe

della scuola media. E poi: nel 1985 (mi-

nistro Falcucci) si chiamò «Educazione

alla convivenza democratica» e venne

23n.114

Page 24: Teramani 114

Loretello.

Eravamo nel 1153.

Si trattò di una missione punitiva di Guglielmo II, il re che voleva allargare i

confini del suo regno e trovava negli abitanti di “Interamnia”, resistenza e

disobbedienza.

Dopo questo avvenimento disastroso, iniziò una difficile e lenta rinascita del-

la città, grazie alle virtù politiche e diplomatiche di Guido II, che riuscì a farsi

benvolere dal re. La cattedrale, stando agli scritti degli storici Muzi e Palma,

fu ultimata nel 1174, con

le stesse misure plani-

metriche della vecchia

chiesa che insisteva

nell’area adiacente a

Sant’Anna de’ Pompetti,

zona Torre Bruciata.

Furono utilizzati molti

materiali di risulta e re-

cupero, pezzi di traverti-

no provenienti dal vicino

Anfiteatro Romano.

Grazie a questa opera di

recupero, non andarono

drammaticamente persi

monconi di colonne,

bassorilievi e pietre

secolari.

La pianta basilicale

odierna è del 1330 circa.

Era il tempo del vescovo

Niccolò Degli Arcioni

che si era reso conto

di come, essendo cre-

sciuta la popolazione, la

cattedrale fosse ormai

inadeguata ai bisogni dei

fedeli. Teramo, infatti, si andava espandendo oltre le antiche mura romane,

in nuovi quartieri riuniti sotto il nome di “Terra Nova”.

Molte abitazioni lambivano i due fiumi, Tordino e Vezzola e diverse decine

di case nacquero in luoghi che oggi possiamo identificare nella centrale

no dei monumenti più affascinanti della nostra regione è senza

dubbio il Duomo di Teramo.

La Cattedrale è il cuore cittadino, il punto di convergenza delle

principali vie del centro storico, delimitando i quattro antichissimi

quartieri, San Giorgio, Santo Spirito, Santa Maria a Bitetto e San Leonardo.

La cattedrale ha singolari vicende storiche e stranezze di ordine stilistico.

Rappresenta uno dei monumenti di architettura medievale più insigni del

centro Italia.

Tutta la vita religiosa,

dopo quella dell’antica

“Petrut” dei Pretuzi,

poi “Interamnia”, per

molti secoli ha avuto

come centro questo

imponente edificio, cui

faceva capo il Vescovo

e i Canonici del Capitolo

Aprutino.

Il Duomo, con la sua ma-

estosa grandiosità, con

le sue linee ardite, ha

anche lo svettante cam-

panile di 50 metri con la

sua parte terminale sor-

montata da un prisma

ottagonale, realizzato da

Antonio da Lodi, lo stes-

so che bissò il momento

artistico, nell’imperdibile

Cattedrale di Atri.

Il monumento sacro è

lo specchio di ciò che fu

ed è, ancora oggi, la vita

teramana sia ecclesiale

che civile. In questo grande tempio si fondono mirabilmente la Teramo me-

dievale, quella rinascimentale, la moderna e la contemporanea.

L’edificio fu costruito dal vescovo Guido II, all’indomani della triste vicenda

storica in cui Teramo fu rasa al suolo dal demoniaco conte di Bassavilla,

In giro

e la sua difficile storia.

Il Duomodi Teramo

U

24n.114

di

http://paesaggioteramano.blogspot.itSergioScacchia

Cattedrale dal balcone del Comune

Dopo la nevicata

Page 25: Teramani 114

drale alla fastosa residenza vescovile, costruito

nel settecento e passante per la parte inferiore

della torre campanaria.

Fu in questo periodo che, all’interno del mo-

numento sacro, si lavorò in maniera pesante

di stucchi che, pur impreziosendo l’insieme,

danneggiarono le decorazioni pittoriche dell’ala

costruita nel periodo di Niccolò Degli Arcioni.

Nel secolo XX la presunta riqualificazione del

Duomo determinò la demolizione di casupole e

botteghe, la distruzione degli stucchi barocchi

e l’abbattimento dell’arco detto di Monsignore,

interventi che gridano vendetta al cospetto della

storia e dell’arte.

All’interno andarono

perduti gran parte degli af-

piazza dei Martiri, dietro il Duomo, nel corso San

Giorgio e fino all’attuale piazza Garibaldi.

La basilica ebbe un allungamento considerevole

in quello che oggi è il grande presbiterio.

Fu nello stesso periodo che venne completata la

facciata e i teramani vollero adornarla con diver-

si leoni in pietra, a raffigurare la forza d’animo

degli aprutini.

In realtà le fiere di pietra, recuperate da edifici

demoliti, esorcizzavano come simboli apotro-

paici nuove incursioni nemiche e distruzioni che

potevano provenire dall’attuale corso vecchio

che arriva alla Porta Reale, ingresso importante

della città.

La facciata fu impreziosita da un ricchissimo

portale, con arco a tutto sesto e un timpano

triangolare di stile gotico-romano, opera di

Deodato de Urbe realizzata nel 1333.

Il profilo orizzontale, segno inconfondibile

dell’opera con i suoi particolari merli ghibellini in

testa, venne completato all’inizio del Quat-

trocento, quando furono gettate le basi per la

costruzione del bellissimo campanile odierno di

Antonio da Lodi. Il manufatto campanario venne

completato nel 1484. Due secoli dopo, il vescovo

Piccolomini fece trasferire nella cappella a lato

del presbiterio il corpo dell’amato Berardo,

co-protettore con Maria Vergine Assunta, della

città.

Era, evidentemente, una Teramo completamen-

te diversa da quella di oggi.

Addossate al Duomo insistevano diverse case

bottega, c’era anche un arco a unire la catte-

25n.114

segue a pag. 26Monumentale sacrestia

Il Duomo e il palazzo della Diocesi

Paliotto argenteo

Polittico nella Cappella di San Berardo

Page 26: Teramani 114

26n.114

freschi di varie epoche nella navata arcioniana,

alcuni dei quali dovevano essere stati realizzati

dal grande maestro esecutore del “Giudizio Uni-

versale” che impreziosisce la Madonna in Piano

di Loreto Aprutino, nel pescarese.

Abbiamo così perduto a Teramo dei cicli pittorici

che, probabilmente, non avevano nulla da

invidiare a quelli della cattedrale di Atri, opera

del grande De Litio.

Si trovano frammenti di pitture che dovrebbero

riguardare un Sant’Antonio Abate con accanto

la Madonna con Bimbo e Angeli a contorno di

Cristo benedicente.

L’interno del Duomo, nonostante tutto, custodi-

sce opere eccelse:

il Paliotto argenteo di Nicola da Guardiagrele, cu-

stodito sotto l’altare maggiore ed eseguito tra il

1433 e 1448 su commissione di Giosia d’Acqua-

viva; il Polittico di Iacobello del Fiore, nell’altare

della cappella di San Berardo, capolavoro del

pittore veneziano della prima metà del secolo

XV; un fantastico crocifisso ligneo trecentesco di

autore ignoto, la Madonna in Trono con Bambino

del secolo XI; il busto argenteo del patrono San

Berardo, rifacimento del secolo XV con il braccio

sempre in argento, rifacimento del secolo XVII.

Inoltre c’è un bellissimo pulpito e un candelabro

per il cero pasquale in pietra, bellissime pitture

su tele dell’esule Sebastiano Majewschi (1622) e

del pittore teramano Giuseppe Bonolis dell’otto-

cento, che arricchiscono anche la monumentale

sacrestia.

segue da pag. 25

Crocifisso ligneo del trecento

Page 27: Teramani 114

La scuola

I giapponesidi Via Giulia

I

[email protected]

ndelebile nella nostra mente l’episodio del soldato giapponese

ritrovato nella foresta delle Filippine, diversi anni dopo la fine

della 2ª guerra mondiale.

Al momento del suo incontro con una troupe di giornalisti, con

fiero cipiglio riaffermava la sua indomita fedeltà all’imperatore e la

sua granitica convinzione di continuare la guerra, ridotta ormai alla

sua guerra contro il mondo.

Eroe solitario, a ben vedere ammirabile nella sua intemerata fede

nella lotta agli imperialisti americani.

Non sappiamo cosa abbia potuto provare al

disvelamento della verità, quali siano stati il

suo stato d’animo, la sua emozione profonda

nell’apprendere della sconfitta e soprattutto

dell’inutilità della lotta da lui riaffermata per

anni, pur solitaria e senza nemici visibili.

Questo ormai memorabile episodio (si parva

licet magnis componere) ci è venuto in mente

leggendo le cronache giornalistiche delle ulti-

me settimane sulle occupazioni delle scuole

romane, anzi sull’occupazione per antonoma-

sia, dal momento che lo stanco rito occupa-

zionistico ha riguardato all’inizio pochi istituti

della nostra città, quasi immediatamente

liberati dai valorosi occupanti, resisi probabil-

mente conto dell’inutilità della loro impresa

guerresca.

Ma un manipolo di epigoni giapponesi a Via Giulia è rimasto a lungo

fedele alla consegna iniziale: occupare per occupare o, meglio, alla

Gertrude Stein, “un’occupazione è un’occupazione è un’occupazio-

ne!”.

A nulla sono serviti gli ammonimenti, gli inviti, le sollecitazioni dei

docenti, della stragrande maggioranza dei genitori e dei loro com-

pagni (ebbene sì, ancora una volta gli occupanti si sono rivelati una

minuscola minoranza!), della preside, una nostra valida, impegnata,

professionale collega.

Inutilmente la preside ha cercato di dialogare con loro, facendo

presente che la maggior parte delle loro richieste (forse sarebbe me-

glio definirle diktat) era campata in aria o da rivolgere alle autorità

cosiddette competenti, non essendo in potere della scuola poterle

esaudire.

Tutto ciò non è bastato. Resistere, resistere nella foresta dà soddisfa-

zione intrisa di narcisistico autocompiacimento. Una sorta di selfie

emotivo, nel quale risplende fotogenicamente il proprio io!

Trattandosi, però, di giovani, di adolescenti in formazione, alla

conclusione dell’occupazione del Liceo Virgilio, non vogliamo non

tentare un’ultima sollecitazione, riservandone una alle autorità

competenti.

Agli studenti che hanno occupato il Virgilio:

“Cari ragazzi, poiché ben sapete che la maggior parte delle vostre

richieste non poteva essere accolta, sia pure a medio termine,

trattandosi peraltro o di richieste bizzarre o di competenze esterne

alla scuola, se ritenete di essere stati pienamente nel giusto, vi

invito (in quanto magister plagosus: confido nella vs conoscenza

del latino che sicuramente starete approfondendo nei laboratori da

voi autonomamente organizzati) a riprendere l’occupazione dopo le

vacanze di natale.

Raggiungereste, questa volta sì, un ambito primato: la prima occu-

pazione da tempo immemorabile che va avanti anche in prossimità

della primavera.

Se, infatti, una lotta è giusta nelle sue motivazioni (almeno nella

mente dei lottatori) non può appassire ai primi brindisi natalizi e

sfiorire ai primi fuochi d’artificio che salutano il nuovo anno.

Così infatti è sempre stato, sempre!

E ciò ha convinto molti di noi seniores a ritenere l’occupazione una

sorta di rito... esantematico, come le malattie

infantili, che vanno “fatte”, accettate, altrimen-

ti da grandi sarebbe molto peggio. Inoltre il

loro ricordo ringiovanisce gli adulti, nostalgi-

camente ancorati ai bei ricordi adolescenziali

e alle imprese, di varia natura, perpetrate

nell’occupazione.

Se invece, come normalmente accaduto, dopo

Natale tutto torna come prima, saremmo lieti

che ne forniste una spiegazione plausibile, se

non altro ai giornalisti che nei giorni dell’oc-

cupazione vi hanno blandito con morbosa

attenzione mediatica.”

Alle Autorità competenti:

“Care Autorità, ancora una volta la scuola si è

sentita sola, abbandonata.

All’inizio molte affermazioni collaborative,

promesse di interventi sia pure calibrati alle difficoltà del momento e

funzionali ad un dialogo, poi... non succede quasi nulla!

Dichiarazioni generiche, un po’ involute, poco rafforzative del ruolo

strategico della formazione verso i valori del rispetto delle regole,

del civismo, dello spirito di collaborazione, improntati da senso di

solidarietà e, perché no?, di misericordia.

Ciononostante, vi garantiamo che chi crede nella missione educativa

della scuola non demorde... nonostante le incertezze di molti adulti

(poco sensibili) e gli impeti adolescenziali di molti giovani.”

P.S. Ancora ai giovani occupanti. Sapete spiegarci che fine hanno

fatto... il cervello, la mano ed altri modelli spariti

dal laboratorio di scienze?

27n.114

Ma potrebbero venire da qualsiasi altra parte del mondo

Page 28: Teramani 114

28n.114

Satira

di

[email protected]

Puttanatetribali

rimanere in silenzio il più possibile e

ascoltare. La parola migliore è quella

che non si dice. Il silenzio collettivo

si insinua in

una sorta

di ipnosi di

massa, tipici-

tà esclusiva

dei regimi

totalitari.

Non si può

cambiare

il mondo

scuotendo la

testa con un

sorriso amaro in bocca nella convin-

zione che la giustizia avrà sempre la

peggio sulla corruzione. Un vene-

fico timore che tutto ciò sia parte

essenziale del patrimonio nazionale.

“Quando Dio ti concede un dono, ti

consegna anche una frusta; e questa

frusta è predisposta unicamente

per l’autoflagellazione” (Truman

Capote). La sottomissione a un Dio è

una costante variabile nelle diverse

culture. Il sostantivo “Musulmano”

avrebbe una radice etimologica as-

sai suggestiva per una società laica,

cattocomunista, liberale, radical

chic:”Sottomesso (a Dio)”. Ed è in

virtù di questo solido asserto che si

nascerebbe conseguentemente tutti

musulmani. Ciò spiegherebbe pure il

sostantivo aggettivante di “Infedele”

utilizzato nei resoconti di una violen-

za offerta in sacrificio. Le turpitudini

inflitte alle donne la notte dell’ul-

timo dell’anno

in Germania

hanno sollevato

un interrogativo

dando vita ad

azioni restrittive

nei confronti

dei rifugiati e a

un inevitabile

tavolo tecnico di

dialogo. Put-

tanate dovute

all’astinenza

sessuale o atto tribale? “So solo che

più uomini uccido e più mi sento

lontano da casa” (Salvate il soldato

Ryan di Steven Spielberg).

aforisma “Paese che vai, usan-

za che trovi” è molto spesso

tradotto accuratamente male

nei dizionari bilingue, in cambio

di una locuzione che dagli inglesi

ha preso poco: “When in Rome, do

as the Romans do” (Quando siete a

Roma fate come i romani). Appunto,

il precetto dovrebbe promuovere

una assenza dal

presente per

risalire fino al

387 a.C. quan-

do a quei tempi

Sant’Ambrogio e

Sant’Agostino si

accomodarono

la discordanza

del digiuno al

sabato attraverso

una eloquente

dicitura:“Quando

sono a Roma, io digiuno di Sabato,

quando sono a Milano seguo la

consuetudine della Chiesa dove mi

trovo”. Questo santissimo assioma,

nel corso dei secoli, si è trasformato

in “Quando sei a Roma, comportati

come i romani”. L’implacabile spargi-

mento di scandali, la sprovvedutezza

e l’inefficacia di una società dinanzi

alla decadenza morale e corruzione

in stile mafioso riuscirebbero a fare

risorgere Bertrand Russell. Un filoso-

fo fantasma a scuotere catenacci e

attirare attenzione sull’iperbole de

“Il Principe” descritto alla maniera

di un manuale per i gangster. Il libro

più famoso di Niccolò Machiavelli

è stato a lungo per gli apprendisti

stregoni della politica una bibbia su

come acquisire, mantenere e sfrut-

tare il potere. Il fine che giustifica

i mezzi, oltre a insegnare il cinico

mancato rispetto per le considera-

zioni legali e

morali utili

al raggiungi-

mento degli

obiettivi si

integra come

i mattoncini

della “Lego”

al detto po-

polare “Biso-

gna sapere

essere volpe

e leone”. Complotti da smascherare

con furbizia e aggredire i cospiratori

come lupi. L’ossessione su schemi

e trame è difatti un tormentone

nazionale. Qualche tentativo di di-

sapprovazione si riscontra nei luoghi

comuni del “non si può generalizza-

re” piuttosto che

“tutto è relativo”

da parte dei non

iniziati, di quelli

non appartenenti

a caste protette

che riempiono

posizioni supe-

riori nei partiti

politici, la masso-

neria e la Chiesa

perpetuamente

inclini alle racco-

mandazioni su basi di criteri diversi

dal merito. La morale evangelica

comandata dal chi è senza peccato

scagli la prima

pietra è divenuta

un cosmetico

lessicale per

garantire il

riconoscimento

di potenziale

peccatore, ma

anche di non

esserlo. Critica e

innegabile la ca-

ratteristica degli

orrori italiani.

Una tragica peculiarità spazzata via

da ciarle consolatorie:“Tutto il Mon-

do è paese”. Destrezza sostanziale

è quella di mandare a memoria di

L’ma non sarà l’astinenza?

Page 29: Teramani 114

29n.114

Calcio [email protected]

Il TeramoL

in alto anche in trasferta, vero tallone di

Achille della prima parte del campionato. A

ben vedere il tecnico biancorosso pretende

migliore fortuna lontano dal Bonolis perché,

quanto a gioco, non ha mai visto soccombere

la sua squadra di fronte ad avversari anche

più blasonati. Lecito, quindi, chiedere il giusto

compenso dal campo e non accontentarsi

solamente di qualche briciola. Con la seconda

parte del campionato si entra nella fase cru-

ciale della stagione e spesso è il momento di

sintesi di tanti fattori, non ultimo quello dell’a-

spetto fisico. In questi ultimi anni il Teramo si

è distinto per continuità e freschezza atletica

proprio in questo periodo. Pochi infortuni e

condizione fisica di piena forma di tutta la

rosa, sono meriti che vanno attribuiti al prepa-

ratore atletico, figura indispensabile non solo

per la normativa federale, ma soprattutto per

preparare i muscoli degli atleti che in campo

devono sopportare fatica e logorio di un cam-

pionato lungo e difficile. Antonio Del Fosco, da

ben tre anni stretto collaboratore di Vivarini,

in silenzio lavora sul sintetico del Bonolis

con metodi di alta professionalità. I risultati

del Teramo passano anche attraverso le sue

capacità di ottimo professionista. Essere otti-

misti è d’obbligo, ma tenere i piedi ben saldi

a terra è sempre buona norma. E allora avanti

tutta, guardare sempre avanti, non acconten-

tarsi mai e pretendere sempre di più.

a programmazione e l’organizzazione

sono alla base di ogni attività. Coinvol-

gere tanti attori, come nel calcio, per

un obiettivo comune, spesso rende

la gestione problematica. Se si aggiungono

fattori imponderabili e imprevedibili, si può

facilmente comprendere quanto sia difficile

gestire un club sportivo. I problemi fanno

parte della vita di tutti i giorni e gioco forza

ci si deve abituare a risolverli affrontandoli di

petto. Per il Teramo, quella di quest’anno, è

un’annata che probabilmente non ha eguali,

né per il passato e forse neanche per il futuro.

Dalle stelle alle stalle e ora, pian piano, la lenta

risalita verso quell’ambito che la città e i tifosi

erano abituati a godersi da un po’ di tempo a

questa parte. C’è voluta tanta forza e deter-

minazione da parte di tutti (giocatori, tecnici,

società e tifosi) per uscire dall’empasse, con

la zavorra della penalizzazione come ostacolo

di non poco conto a frenare la voglia di conti-

nuare a credere che il Teramo è ancora forte.

La volontà di non mollare, prerogativa che il

Presidente non ha mai abbandonato anche

nei momenti di sofferenza, alla fine paga. Un

paio di ritocchi nel mercato di riparazione di

gennaio sono stati il toccasana per lasciare

alle spalle la negatività di un periodo non faci-

le da spiegare se non in parte con la classica

“sfortuna”. Rifugiarsi nella dea bendata non

è una razionale giustificazione, ma non si

può non riconoscere che tante partite hanno

premiato squadre avversarie per un episodio

casuale, senza il supporto di una migliore pre-

stazione. Dover consegnare il risultato pieno

all’avversario solo per un rimpallo favorevole

lascia il segno sul fisico e sul morale, dopo

aver tanto sudato in campo. Pur tra tanti

problemi, il Teramo tuttavia può vantare un

dato positivo, in coabitazione con pochi altri,

che va avanti dall’inizio del campionato e

cioè l’imbattibilità interna. Il “Bonolis” è terra

di conquista di nessuno e tutte le squadre

passate per il nostro stadio hanno lasciato

tutta o parte della posta in palio. La ritrovata

tranquillità è un valore aggiunto e proprio per

questo lo stesso Vivarini non si accontenta

di sopravvivere, bensì mira giustamente più

diAntonioParnanzone

Foto Vincenzo Ranalli

Page 30: Teramani 114

Marzo: Mestrino Vs. NHF Teramo e al Palacquaviva Gommeur

Vs. Nuoro. Dopo aver osservato una sosta di un mese per

impegni della Nazionale si ripartirà il 2 Aprile con le gare

NHF Teramo Vs. Nuoro e Schenna Vs. Gommeur Teramo. Il 9

aprile Gommeur Vs. Casalgrande e Schenna Vs. NHF Teramo.

Chiuderà la stagione il 16 aprile il derby tra le due squadre

teramane.

Si è disputata il 19, 20 e 21 febbraio al Palasannicolò di Tera-

mo la Final Eight di Coppa Italia la cui organizzazione è stata

affidata alla Gommeur Team Teramo che ha visto la parteci-

pazione delle prime otto

squadre classificate al

termine delle regular

season. Al termine di

tre giornate di incontri

che hanno fatto rivivere

un buon entusiasmo

nel numeroso pubblico

presente, non solo per

il risultato incerto fino

alla fine ma anche per il

buon livello tecnico ed

agonistico mostrati da

tutte le squadre parteci-

panti. La Manifestazione

è stata appannaggio

del Conversano che

ha sconfitto in finale

il Cassano Magnago,

ribadendo il successo

conseguito nella passata

stagione. Le squadre terama-

ne si sono classificate: la NHF

Teramo al quarto posto mentre

la Gommeur al sesto.

Nella serie B maschile si è

concluso il girone di andata con

la Lions al 1° posto seguita dalla

NHC Dimensione Suono Teramo

al 2°. La partita clou del girone

di andata è stata appannaggio

della Lions che con questa

vittoria ha potuto conseguire il

1° posto in classifica. In virtù di

quanto accaduto fino a questo

momento, possiamo affermare

con un certo grado di sicurezza

che le due squadre teramane

sono vicine alla promozione in

A2 in quanto tre sono le squa-

dre che saliranno di categoria. Il

girone di ritorno sancirà il nome

della vincitrice del campionato

tra Lions e NHC Teramo e il

nome della terza.

30n.114

Sport [email protected]

PallamanoN

dalla

el campionato di serie A1 femminile si è conclusa la

regular season che ha sancito le griglie di partenza dei

play off e dei play out. Nei play off le squadre classi-

ficate dal primo

al quarto posto sono

nell’ordine Conversano,

Campione d’Italia Uscen-

te, Salerno, Cassano

Magnago e Ferrara. Nei

play out giocheranno

per la permanenza in A1

Globo-Halmax-Bio Apta

Nhf Teramo, Gommeur

Team Teramo, Casal-

grande, Nuoro, Mestrino

e Schenna. Come si

evince da quanto sopra

è da rimarcare che le

squadre teramane non

sono riuscite a centrare

l’obiettivo di disputare i

play off. Questo risultato

sembrava a portata di

mano per almeno una

delle due società ma alcune

inopinate sconfitte subite nel

girone di ritorno da entrambe ne

hanno impedito il raggiungimen-

to. Le due squadre hanno ora

l’obbligo morale di riscattarsi

almeno in parte disputando dei

play out da protagonisti. Resta

da notare che nei play out si

partirà con una classifica di

merito quindi con l’attribuzione

di un punteggio iniziale in base

alla classifica ottenuta nella

regular season. La NHF partirà

con 10 punti, Gommeur con 8,

Casalgrande con 6, Nuoro con

4, Mestrino 2 e Schenna 0. Le

squadre teramane disputeranno

in un girone all’italiana con gli

incontri nel seguente ordine:

il 27 febbraio al Palasanni-

colò Gommeur Vs. Mestrino, a

seguire Globo-Halmax-BioApta

Teramo Vs. Casalgrande. Il 5

Franco Chionchio

Serafino La Brecciosa

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