TEORIE ORGANIZZATIVE - soci.il-cubo.it ORGANIZZATIVI.pdfOrigine delle teorie organizzative: Il...

22
SISTEMI ORGANIZZATIVI TEORIE ORGANIZZATIVE 1. Mappa delle teorie organizzative 2. Origine delle teorie organizzative 3. L’organizzazione scientifica del lavoro: Taylor 4. Il metodo MTM 5. Ford e il fordismo 6. Elementi comuni tra Ford e Taylor 7. Critiche all’OSL 8. Metodo ERGO-UAS 9. I principi di direzione 10. Weber e la burocrazia 11. Riepilogo delle Teorie Classiche e critiche 12. Le relazioni umane 13. Le teorie motivazionali 14. I sistemi sociotecnici 15. Il ruolo dell’informazione: Galbraith 16. Le nuove teorie manageriali 17. I costi di transazione e le reti 18. Identità e cultura aziendale Mappa delle teorie organizzative: Abbiamo 4 momenti storici principali nello sviluppo delle teorie organizzative: 1. Fino al ’40: nascita delle Teorie Classiche. Siamo durante la seconda Rivoluzione Industriale, si sta sviluppando l’industria di base e la produzione di massa. Teorie Organizzative: Organizzazione scientifica del lavoro Principi di direzione Teoria della burocrazia. 2. Anni ’50 – ’60: reazione alle Teorie Classiche, sviluppo delle teorie contingenti e decisionali. Per quanto riguarda il contesto socio-economico sta aumentando la complessità aziendale e l’incertezza/varietà dei prodotti/mercati. Teorie Organizzative: Relazioni umane e Teoria della motivazione Sistemi sociotecnici Informazione e organizzazione (Galbraith) 3. Anni ’70 – ’80: ampliamento delle prospettive teoriche. Momento di internazionalizzazione dei mercati e crescita della competizione; processi di outsourcing, sviluppo delle reti di fornitura. Teorie Organizzative: Cultura aziendale Economia dei costi di transazione Nuove teorie manageriali. 4. Anni ’90: nuove forme organizzative e ampliamento di nuovi temi. Momento di sviluppo dei servizi, delle tecnologie, della società dell’informazione; globalizzazione. Teorie Organizzative: Apprendimento organizzativo e gestione della conoscenza Nuove forme organizzative Change management.

Transcript of TEORIE ORGANIZZATIVE - soci.il-cubo.it ORGANIZZATIVI.pdfOrigine delle teorie organizzative: Il...

SISTEMI ORGANIZZATIVI

TEORIE ORGANIZZATIVE

1. Mappa delle teorie organizzative 2. Origine delle teorie organizzative 3. L’organizzazione  scientifica  del  lavoro:  Taylor 4. Il metodo MTM 5. Ford e il fordismo 6. Elementi comuni tra Ford e Taylor 7. Critiche  all’OSL 8. Metodo ERGO-UAS 9. I principi di direzione 10. Weber e la burocrazia 11. Riepilogo delle Teorie Classiche e critiche 12. Le relazioni umane 13. Le teorie motivazionali 14. I sistemi sociotecnici 15. Il  ruolo  dell’informazione:  Galbraith 16. Le nuove teorie manageriali 17. I costi di transazione e le reti 18. Identità e cultura aziendale

Mappa delle teorie organizzative:

Abbiamo 4 momenti storici principali nello sviluppo delle teorie organizzative:

1. Fino  al  ’40: nascita delle Teorie Classiche. Siamo durante la seconda Rivoluzione Industriale, si sta sviluppando   l’industria   di   base   e   la   produzione   di   massa.   Teorie Organizzative: Organizzazione scientifica del lavoro – Principi di direzione – Teoria della burocrazia.

2. Anni   ’50   – ’60: reazione alle Teorie Classiche, sviluppo delle teorie contingenti e decisionali. Per quanto riguarda il contesto socio-economico sta aumentando la complessità aziendale e l’incertezza/varietà   dei   prodotti/mercati.   Teorie Organizzative: Relazioni umane e Teoria della motivazione – Sistemi sociotecnici – Informazione e organizzazione (Galbraith)

3. Anni   ’70   – ’80: ampliamento delle prospettive teoriche. Momento di internazionalizzazione dei mercati e crescita della competizione; processi di outsourcing, sviluppo delle reti di fornitura. Teorie Organizzative: Cultura aziendale – Economia dei costi di transazione – Nuove teorie manageriali.

4. Anni  ’90: nuove forme organizzative e ampliamento di nuovi temi. Momento di sviluppo dei servizi, delle   tecnologie,   della   società   dell’informazione;   globalizzazione.   Teorie Organizzative: Apprendimento organizzativo e gestione della conoscenza – Nuove forme organizzative – Change management.

Origine delle teorie organizzative:

Il pensiero organizzativo nasce con la prima rivoluzione industriale (1760-1830) e vede una specializzazione dei compiti e standardizzazione dei componenti. Successivamente nella seconda rivoluzione industriale (fine ‘800  – inizio   ‘900)  vediamo  un  ingrandimento  delle   imprese,   l’introduzione  del  manager  e   la  nascita  delle  teoria organizzative moderne. Si sentiva l’esigenza   di   far combaciare le nuove potenzialità produttive e tecnologiche con i metodi di conduzione delle aziende. Quindi rendere efficienti le attività in stabilimento e la  gestione  d’impresa. Nasce  così  l’Organizzazione  Scientifica  del  Lavoro  con  i  suoi  rappresentati più di spicco, Taylor e Ford.

L’organizzazione  scientifica  del  lavoro:  Taylor

Taylor propose 4  principi  dell’OSL:

1. Studio scientifico dei metodi di lavorazione (osservazione dei movimenti degli operai) 2. Selezione ed addestramento scientifico della manodopera 3. Instaurazione di rapporti di stima e di collaborazione 4. Riorganizzazione della direzione aziendale (errore da parte di Taylor: usare un approccio scientifico

anche  per  la  parte  direttiva.  Un’elevata  specializzazione  porta  a  molti  capi  che  possono entrare in conflitto fra loro)

Taylor cercò  di  definire  la  “one-best-way”.  Era  necessaria  una  “rivoluzione  mentale”  che  prevedeva  di  porre  l’attenzione   sull’aumento  di   surplus,   accentrare/razionalizzare   la   gestione   dell’impresa  e   applicare   criteri  scientifici nell’organizzazione/gestione  d’impresa.

Il metodo MTM:

Gli studi di Taylor e dei Gilbreth portarono al metodo MTM (misurazione dei tempi e metodi). Con questo metodo si puntava al miglioramento della suddivisione del lavoro e al miglioramento della retribuzione degli operai in  relazione  alla  “quantità”  di lavoro svolto. Quest’approccio si sviluppa in 5 passi:

1. Analisi del lavoro e ricerca del modo più economico per eseguirlo 2. Normalizzazione e descrizione del procedimento da seguire 3. Determinazione del tempo di esecuzione standard 4. Addestramento degli operatori 5. Estensione e manutenzione

Il metodo MTM permise di riprogettare il lavoro aumentandone   l’efficienza   e   di   trovarne nuove tecniche/metodi di analisi.

Ford e il fordismo:

Un  altro  contributo  all’OSL  fu  la  catena di montaggio, attribuita a Ford nel 1913, anche se vi sono dubbi su questa affermazione, poiché già nel 1901 la catena di montaggio veniva utilizzata dalla Oldsmobile. Molto importante  fu  anche  il  nuovo  concetto  di  prodotto  introdotto  da  Ford:  l’imprenditore voleva creare un prodotto semplice  ed  affidabile,  standardizzato  e  utilizzabile  da  chiunque,  anche  dai  “non-addetti”  ai  lavori.  Inoltre iniziò ad utilizzare manodopera di basso livello con ritmi elevati, grazie al turnover e alla standardizzazione/meccanizzazione del lavoro; aumentò gli stipendi degli operai (5$ al giorno, il doppio della media del tempo) e riuscì a ridurre il prezzo delle auto del 58% dal 1908 al 1916. Nonostante tutte queste innovazioni, Ford non riuscì a contrastare la politica di mercato del suo primo competitor, Sloan, capo di General Motors. Al contrario della produzione di massa e della standardizzazione del processo,

Sloan  proponeva  una  differenziazione  dell’offerta  elevatissima,  grazie  al  fatto  di  aver  acquistato  diversi  produttori di auto. Il suo slogan era: “un’auto  per  ogni  scopo  e  per  ogni  portafoglio”. Con Sloan la quota di mercato della GM crebbe fino al 45% entro il 1940, mentre quella di Ford scese al 16%. Elementi comuni tra Ford e Taylor:

x Parcellizzazione del lavoro x Specializzazione del lavoro x Operatori come esecutori x Attenzione all'aspetto economico per influenzare il comportamento dei lavoratori x Cultura tecnica e gerarchica

Critiche  all’OSL: A partire dagli anni '30 - '40 venne messa in discussione l'organizzazione scientifica del lavoro. Si osservarono i seguenti effetti negativi:

x Peggioramento delle condizioni psico-fisiche  dell’operaio  con  successivo  peggioramento  del  comportamento sul posto di lavoro (casi di alienazione)

x Necessità di rivedere il rapporto tra lavoro/prestazione: quanto contava la leva economica in termini  di  prestazione  rispetto  alle  condizioni  di  vita/salute  dell’operaio?

x Mancanza  di  coinvolgimento  dell’operatore  nella  produzione  di  un  prodotto.  La  singola  attività  banale faceva calare la motivazione/efficienza  dell’operaio

x Netto distacco tra chi pensa/decide e chi fa (Mary Parker Follett sosteneva che fosse necessaria la collaborazione tra operatori e direttori)

x Critica alla scientificità: molti presupposti erano stati superati. Come lo studio della segmentazione dei movimenti

x Organizzazione scientifica del lavoro e Fordismo richiedevano costi ausiliari e di impostazione molto elevati

x Gli operatori sapevano eseguire solamente il singolo compito. Figura del lavoratore "stupido" che in caso di eccezioni/problemi non riesce a trovarne una soluzione

Dopo  gli  anni  ’70  cominciò  l’uscita  dalla  crisi,  crisi  dovuta  ad  un  cambio  di  preferenze  da  parte  dei  clienti,  che chiedevano prodotti di maggior qualità e ampiezza di gamma.  L’introduzione  dell’automazione  ridusse  di molto i costi di produzione e ridusse l’incidenza del lavoro diretto sui costi di produzione totali. Aumentò l’apporto  del  lavoratore per quanto riguarda la qualità dei prodotti e la flessibilità nelle lavorazioni. Gli studi di Taylor e Ford lasciarono di positivo una nuova visione del lavoro. Il lavoro non verrà più visto come frutto dell’esperienza  e  delle  abilità  del  singolo  operaio,  ma  come  materia  di  studio  alla  quale  sarà  possibile  applicare metodologie.

Metodo ERGO-UAS:

Sistema utilizzato per la progettazione e misurazione del lavoro per sistemi produttivi a lotti, in cui esiste una certa variabilità  di  metodo  nell’esecuzione  dei  compiti lavorativi assegnati. Esso assegna i tempi sulla base di un rendimento normativo medio, conosciuto nel mondo come rendimento 100 MTM (UAS =

Universal Analyzing System). Un secondo metodo è l’EAWS  (European Assembly Work-Sheet). Il metodo di analisi del carico biomeccanico comprende 4 sezioni:

- Sezione 1: Posture generali del corpo - Sezione 2: Azioni di forza - Sezione 3: Movimentazione Manuale

Carichi - Sezione 4: Movimenti ad alta frequenza

e basso carico degli arti superiori Calcolo di FMAGG:

Il tempo standard totale della postazione è calcolato sommando: − tempo base totale della postazione: sommatoria dei tempi delle operazioni assegnate; − fattore di maggiorazione (Fmagg) somma di: Fattore ergonomico: in funzione del carico biomeccanico (scala EAWS); con un minimo di 1% e un massimo di 13,5%; fattore tecnico-organizzativo (1%). − La maggiorazione dipende dalla posizione, mentre nel metodo utilizzato in precedenza si definiva una maggiorazione media valida per un numero ampio di posizioni.

− Vengono eliminate le posizioni più a rischio (area rossa e arancio). Per quelle in area gialla è prevista la rotazione. − Per alcune posizioni (area verde) si ha una riduzione della maggiorazione rispetto a prima, con aumento della saturazione, cioè del rapporto tra il tempo di ciclo (cadenza di linea) e il tempo standard. I principi di direzione: Taylor vedeva la direzione come "direzione di officina". La scuola dei principi di direzione la vedeva come direzione di azienda. Il capostipite di questa corrente fu Henri Fayol. L’ingegnere  minerario  si  pose come problema quello di individuare i compiti di un manager all'interno di un'azienda. Le linee guida di questa scuola  erano:  l’importanza  della  direzione,  la  necessità  di  teorizzare  la  direzione  di  impresa,  la  possibilità  di  insegnare e apprendere come fare direzione. Per prima cosa Fayol individuò 6 funzioni principali in azienda: tecnica, commerciale, finanziaria, di sicurezza, contabile e direttiva. Come si ripartivano i diversi ruoli aziendali  all’interno  di  queste  funzioni?

Secondo Fayol la funzione direttiva comprendeva 5 sotto-funzioni: 1. Pianificazione (su più orizzonti temporali) 2. Organizzazione 3. Comando 4. Controllo 5. Coordinamento

Fayol formulò anche 14 principi direttivi, di cui i 6 più importanti sono:

1. Divisione del lavoro = nei diversi livelli della mia struttura organizzativa individuo i compiti e le

responsabilità del singolo individuo (livello di specializzazione).

2. Unità di comando = 1 solo capo per ogni dipendente.

3. Unità di direzione = ho un responsabile (capo gerarchico) e un programma operativo per ciascuna unità organizzativa.

4. Principio scalare = ogni unità ha doveri e responsabilità proprie. Individuo le interdipendenze fra le varie unità organizzative. Solitamente si utilizza una logica chiamata "catena mezzi-fini". Individuo i flussi informativi e fisici (ascendenti e discendenti).

5. Ampiezza del controllo = quanti collaboratori riesce a controllare un responsabile? (Span of control). Numero di riporti. È in funzione della complessità delle relazioni che deve gestire, della carica di attenzione, della natura delle relazioni: dirette (tra capo e collaboratore) – incrociate (tra i vari collaboratori) - dirette di gruppo (tra il capo e il collaboratore in presenza degli altri collaboratori).

6. Line e staff = le line si occupano del core business aziendale (raggiungimento degli obiettivi primari); le funzioni di staff supportano il lavoro delle funzioni di line.

Delegare: il delegato si assume la responsabilità del lavoro a lui assegnato; deve possedere conoscenze e strumentazioni adeguate allo svolgimento del compito ottenuto.

Tutti  questi  principi  vanno  intesi  come  linee  guida  per  il  management  d’impresa.  Simon  parlerà  successivamente  di  “proverbi  organizzativi”  in  quanto  questi  principi  classici  all’interno  di  realtà  più  complesse (come aziende multinazionali) non sono molto di aiuto.

Weber e la burocrazia: Weber (1864-1920) cercava capire quali fossero le regole che portavano le persone ad agire in un modo o in un altro all'interno di un'azienda.

1) Chiavi di comportamento delle persone (agire sociale) 2) Organigramma --> relazione gerarchica --> relazione di potere (capacità di influenzare il

comportamento dei collaboratori (forme di potere) 3) Regole di funzionamento della burocrazia (teorie della burocrazia)

Weber cercò di spiegare in  modo  “oggettivo”  l’agire  sociale.   Secondo Taylor dietro un'organizzazione c'è un  criterio  di  razionalità  legato  all'obiettivo  finale.  È  molto  importante  la  “vision”  d'azienda  per  regolare  i  comportamenti dei dipendenti di conseguenza. Una persona secondo Weber può agire per scopi perseguiti, per un determinato valore, per impulsi emotivi o per abitudine. Razionalizzazione formale: regole e standardizzazioni che possono portare a comportamenti opposti, ovvero irrazionali. Tra le fonti/forme di potere Weber distingue tra potere o autorità e coercizione o dominio (intervento di un individuo che a prescindere dalla situazione impone il proprio volere). 3 modi di esercitare il potere legittimo: 1) CARISMATICO = il capo ha un ascendente sulle persone che coordina. 2) TRADIZIONALE = al ruolo del capo è riconosciuto, per storia pregressa, la capacità di governare. 3) LEGALE = ruolo del capo riconosciuto tramite sistema di regole.

1) Il potere carismatico ha un limite strutturale, è poco organizzato, non ha un apparato alle spalle che lo possa sostenere. Struttura forte ma vulnerabile.

2) Il potere tradizionale può avere problemi se ad esempio il successore (figlio) non ha le

competenze/caratteristiche per portare avanti l'azienda. La forza è l'inerzia della storia.

3) Potere legale dato dal consiglio di amministrazione. Regole che gestiscono il comportamento delle persone. Forma più diffusa al momento.

TEORIA DELLA BUROCRAZIA: La forma che sostiene in maniera ottimale il potere legale è la burocrazia. Weber identifica 5 principi della burocrazia:

1) All'interno di ogni unità organizzativa vengono definiti gli aspetti di competenza per questaÆdivisione del lavoro (PRINCIPIO DELLA COMPETENZA)

2) Le diverse unità organizzative sono in rapporto gerarchico fra loro, si creano relazioni di dipendenza, le superiori coordinano le inferiori (GERARCHIA DEGLI UFFICI).

3) Adottare un sistema di regole valide per tutte, che va dichiarato/esplicitato (SISTEMA DI REGOLE GENERALI)

4) Tutte le persone dell'organizzazione hanno pari diritto ad utilizzare i servizi erogati dall'azienda (IMPERSONALITA’  NELLA  GESTIONE).

5) La burocrazia non dorme mai (PROFESSIONE A TEMPO PIENO) La burocratizzazione è importante per raggiungere una buona organizzazione interna ed esterna. Ma non sempre funziona. Riduce la flessibilità.

LIMITI DELLA BUROCRAZIA:

Spesso col passare del tempo cambiano le problematiche. Quindi un sistema molto rigido di regole non si sposa con un ambiente variabile. Vado così in conflitto col cliente. Nuovi clienti portano nuove esigenze e di conseguenza nuovi problemi per una burocrazia rigida. Il burocrate per difendersi dalle lamentele dei clienti tende a specificare ancora di più le regole. Primo fenomeno vizioso: inversione mezzi fini; le regole dovrebbero permettere alle aziende di erogare servizi migliori ai clienti. Invece la regola diventa "fine a se stessa", e la struttura si giustifica coi clienti dicendo loro che sta semplicemente rispettando le regole, se non riesce ad erogare i servizi richiesti. Secondo fenomeno vizioso: circolo vizioso; aumenta la complessità della struttura. Necessità di responsabilizzare sul raggiungimento degli obiettivi (sul rispetto delle regole). Riconoscere che gli operatori hanno l'obbligo di mantenere una certa discrezionalità. Riepilogo delle Teorie Classiche e critiche: Le teorie classiche (OSL, fordismo, principi di direzione e teoria della burocrazia) condividono alcune caratteristiche:

x La ricerca di una risposta razionale x La formulazione di principi e di un modello organizzativo a validità generale x L’organizzazione  come  sistema  meccanico

Critica alle teorie classiche:

1. Si  basano  sul  presupposto  che  l’applicazione  di  teorie  di  ottimizzazione  porti  al  successo   2. Mancano di scientificità 3. Non  esiste  un’unica  strada  per  ottenere  i  risultati desiderati

Le  teorie  classiche  non  tenevano  conto  delle  relazioni  umane  all’interno  della  fabbrica  e  dell’operaio  in  quanto  “persona”. Le relazioni umane: Un  primo  elemento  di  appoggio  e  sostegno  all’organizzazione  scientifica  del  lavoro  fu  la psicologia industriale, assieme agli studi sulla fatica. Gli autori di riferimento per queste tematiche sono:

x Elton Mayo – studio del lavoratore/compiti/aspetti sociali x Douglas Mc Gregor – assunti sul comportamento lavorativo x Abraham Maslow e Frederick Herzberg – la motivazione

Tra il 1920 e il 1930 vennero fatti esperimenti in fabbrica per studiare il rapporto tra produttività e ambiente lavorativo. Tuttavia a parte casi estremi, come ad esempio scarsissima illuminazione, la produzione rimaneva più o meno la stessa. Mayo e Hawthorne fecero tre campagne di ricerca (1927-1932) dalle quali capirono che i fattori che influenzavano maggiormente il comportamento degli operai erano:

x Il clima lavorativo x La sollecitazione delle opinioni dei lavoratori (coinvolgimento da parte della direzione) x Il  gruppo  primario  e  le  norme  di  gruppo  (regole  “fai  da  te”  all’interno  dei  gruppi  di  lavoro  che  

migliorarono i rapporti interpersonali e la produttività) In una situazione in cui la direzione aziendale fa vedere che sta prendendo a cuore determinati problemi in fabbrica, gli operai rispondono positivamente, aumentano il loro impegno nelle fasi produttive. Tuttavia questo effetto vale nel breve periodo. (EFFETTO HAWTHORNE). La produttività viene influenzata dal contesto sociale, dal capo, dall'ambiente di lavoro, dal comportamento del singolo (nel gruppo con norme proprie e non), e dagli incentivi economici. Contributi di metodo: la visione di Taylor era "chiusa", Hawthorne amplia questa visione con l’analisi delle situazioni, delle interdisciplinarità, la generazione di teorie e loro successiva.

Le teorie motivazionali: Quali  sono  le  leve  a  disposizione  di  un’azienda  per  aumentare  la  voglia/motivazione  degli  operai  sul  posto  di lavoro? GERARCHIA DEI BISOGNI DI MASLOW: Primo approccio motivazionale ÆMaslow affronta la teoria della motivazione partendo dai bisogni. Stato in cui sonoÆstato che spero di raggiungere. Le persone cercano di colmare questo gap. La scala dei bisogni di Maslow è gerarchicaÆsoddisfatto un bisogno se ne apre un altro. 5 livelli di bisogni:

1. FISIOLOGICI = bisogni di base (immediati) 2. SICUREZZA = cosa mi accadrà nel tempo?

3. SOCIALI = buone relazioni, buona convivenza 4. EGO = essere apprezzato nel proprio ambiente di lavoro 5. AUTOREALIZZAZIONE = arricchimento della propria personalità in ambito professionale

Classi 1 2 3 sono i bisogni fondamentali. Classi 4 5 sono i bisogni superiori. I FATTORI DUALI DI HERZBERG (fu il primo ad utilizzare il job-enrichment): Herzberg ha messo a punto metodologie per intervistare le persone e ottenere risultati utili ai fini aziendali. Fattori motivanti: fanno riferimento al contenuto di lavoro e alla sua capacità di assicurare una crescita della personalità. Sono simili ai bisogni di alto livello di Maslow (ASSENZA DI SODDISFAZIONEÆSODDISFAZIONE); hanno natura diversa rispetto a quelli igienici: sono legati alle condizioni di lavoro, all’ambiente fisico, sociale e alla retribuzione (INSODDISFAZIONEÆASSENZA DI INSODDISFAZIONE). ((K.I.T.A. = kick in the ass. Fisico o psicologico; negativo o positivo. Il negativo porta a risultati immediati ma non a motivazione nel lungo periodo. Il positivo invece porta a risultati e motivazione (ma la motivazione deve essere generata dall'interno della persona)). I sistemi sociotecnici: La  teoria  dei  sistemi  sociotecnici  nasce  nel  periodo  in  cui  era  stata  messa  in  discussione  l’OSL  e  si  iniziava  a  vedere  l’organizzazione  come  sistema  aperto.  Le  prime  ricerche  vennero  fatte  dal Travistock Institute of Human Relations di Londra per quanto riguarda le miniere di carbone. Questi studi vennero applicati inizialmente alle industrie di processo e successivamente in molti altri settori. Le applicazioni dei principi dell’OSL  alle  miniere di carbone avevano portato a risultati insoddisfacenti, per questo erano state fatte delle analisi comparative con aziende che utilizzavano soluzioni organizzative diverse. Si riscontrarono 3 modelli organizzativi differenti:

ORGANIZZAZIONE TRADIZIONALE (pre-

Tayloristica)

ORGANIZZAZIONE CONVENZIONALE

(Tayloristica)

ORGANIZZAZIONE COMPOSITA (post-

Tayloristica) DESCRIZIONE x Tecnologie di

lavoro tradizionali (manuali per lo più)

x Fronti di scavo corti

x Lavoro di squadra x Obiettivi e

retribuzione negoziati

x Tecnologie meccanizzate di lavoro e movimentazione

x Fronte di scavo lungo

x Lavorazione di 24h su 3 turni

x Nuova organizzazione: gerarchica, mansioni differenziate e retribuite, organi di staff

x Tecnologie invariate

x Adeguamento alle vene delle miniere

x Revisione dell’organizzazione:  unità di dimensioni variabili, operatori multiskilled, retribuzione di squadra, gruppi autonomi di lavoro

PREGI

x Massima flessibilità

x Coerenza con meccanizzazione

x Coerenza con meccanizzazione

PREGI

x Imprevisti gestiti da squadra

x Coesione e fiducia tra i componenti della squadra

x Volumi di produzione elevati

x Flessibilità e gestione imprevisti

x Maggiore produttività

x Minor assenteismo x Migliori relazioni

LIMITI x Rivalità tra le squadre

x Capacità produttiva limitata

x Produttività inferiore alle attese

x Assenteismo e turnover elevati

x Critiche e scioperi

x Atteggiamenti e comportamenti degli operatori

x Posizione del management e dei sindacati

Nell’approccio  sociotecnico  l’organizzazione  viene  scelta,  non  decisa.  Si  cerca  di  ottimizzare  in  maniera  congiunta  le  dimensioni  tecniche  e  sociali,  adattandole  fra  loro.  L’analisi  viene  focalizzata  sul  primary  work  system e prevede i seguenti passi di riprogettazione:

1. Individuazione del work system e analisi del processo di lavoro 2. Individuazione delle ‘operazioni  unitarie’ 3. Analisi approfondita con rilevazione di compiti, variabili da controllare, informazioni, decisioni, ruoli

coinvolti, competenze necessarie 4. Analisi  delle  ‘varianze’ 5. Riprogettazione di attività, supporti tecnici, flussi informativi, compiti, ruoli e competenze con

l’obiettivo  di  trovare  una  soluzione soddisfacente in termini di prestazioni e di sistema sociale Le  modalità  di  intervento  sono  il  participant  desing  e  l’action research. L’unità  organizzativa  di  base  è  formata  dal  gruppo  di  lavoro  e  dal  work  system.  Nell’organizzazione  si  ha  regolamentazione  interna,  ridondanza e molteplicità di funzioni, riconoscimento della discrezionalità, complementarietà tra persone e macchine e aumento della varietà. PROGETTAZIONE DEL LAVORO:

NUOVO PARADIGMA ORGANIZZATIVO:

ESEMPIO DI UNA PROGETTAZIONE DI UN NUOVO IMPIANTO:

L’approccio  sociotecnico  è  stato  poco  utilizzato  e  anche  nei  pochi  casi  in  cui  è  stato  applicato  si sono riscontrati  problemi  come  la  troppa  responsabilizzazione  degli  operatori  e  l’alto  rischio  preso  dalle  aziende,  la reazione delle strutture gerarchiche e di staff.

Il  ruolo  dell’informazione:  Galbraith

Dal  secondo  dopoguerra  c’è  stato  un  progressivo  aumento  della  complessità  dell’ambiente  e  delle  organizzazioni, in parallelo allo sviluppo delle tecnologie di comunicazione e informazione. I sistemi informativi  sono  diventati  sempre  più  importanti  all’interno delle aziende.

Le  teorie  decisionali  approfondiscono  il  ruolo  dell’informazione  come  elemento  che  consente  di  fronteggiare  l’incertezza  e  la  complessità  ambientale  ed  è  necessario  per  i  meccanismi  di  coordinamento  e  controllo nel processo decisionale. Galbraith parla di come debbano essere organizzati gli scambi informativi  in  un’organizzazione  in  condizioni  di  crescente  incertezza  ambientale  e  propone  un  approccio  alla progettazione della struttura organizzativa basato sul trattamento delle informazioni.

Per svolgere un compito, più o meno incerto, sono necessarie informazioni. A parità di informazione posseduta  l’informazione  necessaria  varia  in  relazione  alla  diversità  degli  obiettivi  associati  agli  output,  alla  diversità degli input, alla difficoltà degli  obiettivi  di  prestazione.  L’informazione  necessaria  è  funzione  di  incertezza esterna/interna, numerosità di output e variabili interne, grado di connessione tra le variabili. Più aumenta il divario fra informazione necessaria e informazione posseduta più cresce la capacità elaborativa  =  “adeguatezza  di  un’organizzazione  nell’elaborare  le  informazioni  necessarie  per  realizzare  i  propri  obiettivi  in  interazione  con  il  contesto  in  cui  opera”.  È  propria  degli  individui,  dei  gruppi  e  delle  organizzazioni.

Per ridurre le esigenze informative è possibile  intervenire  sull’ambiente  riducendone  l’incertezza,  creare  risorse  di slack, creare unità organizzative autosufficienti. Per aumentare la capacità elaborativa è possibile potenziare i sistemi informativi verticali e fare collegamenti laterali (contatti diretti, ruoli di collegamento, task force, team, ruoli di integrazione, matrice organizzativa).

Le nuove teorie manageriali: In un contesto che vede la progressiva internazionalizzazione dei mercati e della concorrenza, la crescita dell’instabilità  dei  tassi  di  cambio,  la  saturazione  dei  mercati,  i  nuovi  comportamenti  da  parte  dei  consumatori,  l’accelerazione  dell’innovazione  tecnologica e la riduzione del ciclo di vita dei prodotti, si vanno formando nuove teorie per la gestione di impresa. Le aziende tendono a concentrarsi di più sul core business, de-verticalizzare la strutture e creare reti di imprese. Tra  il  ’70  e  il  ’90  emergono nuovi strumenti di gestione e organizzativi come il Just in Time, Total Quality Management,  Total  Productive  Maintenance,  Concurrent  Engineering,  Lean  production…e  le  vecchie  teorie  organizzative vengono riprese e tradotte in azioni operative.

TOTAL QUALITY MANAGEMENT

JUST IN TIME TOTAL PRODUCTIVE MAINTENANCE

Contesto x Anni  ’60,  pressione  al miglioramento della qualità, liberalizzazione dei mercati

x Anni  ’50,  Toyota,  pressioni competitive, crisi della produzione di massa

x Anni  ’70,  Nippondenso, aumento dell’automazione,  ricerca di nuove prestazioni

Principi guida x Soddisfacimento delle aspettative del cliente, ottica di processo, controllo difetti da parte degli operatori di linea, coinvolgimento e responsabilizzazione, miglioramento continuo di prodotti e processi

x Riduzione sprechi, continuità dei flussi produttivi, aumento produttività, migliorare servizio, ridurre le scorte, flessibilità, linea per operatori abili

x Aumentare l’efficienza  e  l’affidabilità  degli  impianti, auto-manutenzione, prevenire la manutenzione

Metodologie e tecniche

x Problem solving, lavoro di gruppo, attenzione ai costi

x Standardizzazione componenti, prodotti

x Manutenzione preventiva e condizionata,

Metodologie e tecniche

della qualità, valutazione fornitori…

modulari, layout a flusso, produzione a celle, riduzione set-up e lotti di produzione, kanban, flessibilità addetti, coinvolgimento e integrazione operatori

coinvolgimento di tutte le funzioni, gruppi di auto-ispezione, formazione e addestramento, strumenti di problem solving

World Class manufacturing e i suoi pilastri vedi slides 11 e 12 (III parte).

Le nuove teorie manageriali si basano su due logiche di fondo: la riduzione delle esigenze di integrazione/coordinamento  e  l’aumento  del  coinvolgimento  e  della  motivazione  degli  addetti.  Gli strumenti per raggiungere tali obiettivi sono la riprogettazione delle mansioni, il lavoro in team, la delega e la responsabilità verso i risultati, la flessibilità, la riduzione degli organi di staff e il nuovo ruolo dei manager, la misura e la visibilità dei risultati.

I costi di transazione e le reti:

La  teoria  dei  costi  di  transazione  assieme  all’economia  organizzativa  cercano  di  superare  il  distacco  che  finora  c’era  stato  tra  l’economia  generale  e  l’organizzazione  aziendale.  L’organizzazione  è  stata  pensata  solo come burocrazia/gerarchia.   Si   passa   al   concetto   di   organizzazione   come   “modello   stabile   di   rapporti   tra  persone/imprese”  (gerarchia  +  mercato  +  reti).  La  transazione  è  uno  scambio  di  beni  e  servizi,  regolato  da  qualche forma di contratto e può riguardare la scambio di beni e servizi con fornitori esterni, prestazioni di lavoro dipendente, prestazioni specifiche e temporanee. Le fasi di una transazione sono la RICERCA, la CONTRATTAZIONE, il CONTROLLO e la REGOLAZIONE e per ognuna di esse abbiamo dei costi associati. Questi costi  nascono  per  “l’attrito”  che  si  crea   in  fase  di  contratto  dovuto  a  RAZIONALITÀ LIMITATA (impossibile prevedere ogni eventualità nel contratto) ed OPPORTUNISMO degli agenti economici: auto-interesse che porta a frode ed inganno. Le due ipotesi comportamentali hanno come conseguenza quella di creare asimmetria informativa che può essere selezione avversa = prendere decisioni su un insieme limitato di informazioni o azzardo morale = azione opportunistica di uno o più attori in seguito alla negoziazione. I costi di transazione vengono determinati in base a 3 fattori: incertezza (ambientale o dovuta ad opportunismo), frequenza delle transazioni e grado di specificità delle risorse (luogo, beni fisici, risorse umane). All’aumentare  di  questi  3 fattori aumentano i costi di transazione.

Il governo delle transazioni serve a stabilire se sia meglio affidarsi al mercato o integrare verticalmente la produzione (gerarchia). CTM = C_transazione + C_produzione(mercato); CTG = C_coordinamento + C_produzione(gerarchia). Se CTM < CTG sceglierò il mercato e viceversa.

GOVERNO DELLE TRANSAZIONI:

L’informazione  risulta  centrale  nella  gestione  delle  transazioni.  L’antagonista  dell’informazione  è  l’incertezza  dovuta  all’ambiente  in  cui  si  opera  e  agli  attori  con  cui  si  opera  (opportunismo). Il mercato come meccanismo di coordinamento risulta molto più incerto rispetto che alla gerarchia. Galbraith sostiene che sia possibile ridurre le esigenze informative ed operare in contesti più incerti migliorando la capacità elaborativa. L’utilizzo  delle  ICT  permette  di  ridurre  i  costi  di  transazione,  rendendo  più  veloci,  regolari  ed  efficienti i flussi informativi e permette di ridurre i costi associati al processo di scambio, limitando l’opportunismo,  l’asimmetria  informativa,  le  cause  di fallimento di coordinamento di mercato. Le ICT inoltre

permettono di espandere i sistemi di mercato e  di  svilupparne  di  elettronici,  ridurre  l’integrazione  verticale  e la dimensione delle imprese, sviluppare reti di imprese.

Le  critiche  all’ECT  riguardano  essenzialmente  l’uso  del  solo  criterio  di  efficienza  per  comprendere  le  organizzazioni,  la  riduzione  dell’organizzazione  a  semplici  transazioni  senza  tener  conto  di  tutti  gli  altri  fattori di coordinamento. Ouchi teorizza che il clan sia una forma adeguata per governare le transazioni nel medio lungo termine perché evita i comportamenti opportunistici

Identità e cultura organizzativa:

A  partire  dagli  anni  ’70  ci  si  focalizza  sempre  di  più  sugli  aspetti  soft  delle  organizzazioni,  come  la  cultura.  Come posso rendere valori e obiettivi aziendali strumenti di integrazione e controllo? Il comportamento degli  attori  di  un’impresa,  il  clima  interno  alle  imprese  e  le  caratteristiche  dei  diversi  Paesi  industriali  diventano oggetto di studio. Si iniziano a fare ricerche di tipo qualitativo come lo studio di casi reali e la osservazione partecipata. I due principali studiosi del momento sono SCHEIN, il quale analizza le caratteristiche e le modalità di formazione della cultura aziendale e HOFSTEDE, che propone un modello interpretativo delle differenti culture nazionali ed aziendali.

La cultura organizzativa è il repertorio di comportamenti, atteggiamenti e valori condiviso dalle persone che operano  in  azienda.  I  comportamenti  di  successo  si  diffondo  e  diventano  un’abitudine, si creano così regole per agire nel modo giusto a seconda delle differenti situazioni in azienda. La cultura è anche un forte strumento  di  coordinamento,  infatti  aumenta  l’integrazione  fra  i  membri  di  un’azienda,  permette  di  coordinarsi nonostante  ci  sia  un’elevata  complessità  informativa  o  incertezza.  

Durante un cambiamento organizzativo è necessario avere ben chiari quali siano i valori di fondo di una cultura aziendale. Altrimenti si corre il rischio che questa possa frenare lo sviluppo/cambiamento.

Definizione  di  SCHEIN:  “La cultura organizzativa è l’insieme  coerente di assunti fondamentali che un dato gruppo ha inventato, scoperto o sviluppato imparando ad affrontare i suoi problemi di adattamento esterno e di integrazione interna e che hanno funzionato abbastanza bene da poter essere considerati validi e perciò tali da essere insegnati ai nuovi membri come il modo corretto di percepire, pensare e sentire in relazione a quei  problemi.” Punti chiave per Schein: tensione tra conservazione ed innovazione; ruolo del fondatore e dei leader nella formazione della cultura. Schein individua 3 livelli di manifestazione della cultura:

Per studiare la cultura aziendale si possono seguire 4 approcci:

1. Processo e contenuti della socializzazione dei nuovi membri 2. Risposte ad eventi critici 3. Credenze, valori e assunti del fondatore, dei leader e di chi ‘produce’  cultura 4. Anomalie e tratti sorprendenti caratteristici

Secondo Hofstede la cultura è “la  programmazione collettiva della mente che distingue i membri di un gruppo o di una categoria di persone da un altro” e si manifesta in simboli, eroi, rituali (che sono le pratiche) e valori.

PROCESSI:

1. Teorie organizzative e gestione per processi 2. Principi di gestione per processi

Negli ultimi  anni,  all’interno  delle  aziende  contemporanee,  è  cresciuta  l’attenzione  per  il  cliente  finale. Questo ha portato ad una nuova suddivisione ed organizzazione del lavoro. In particolare si è passati da una gestione gerarchica/strutturale ad una per processi, valorizzando il personale grazie anche ad una diffusione della conoscenza a livello globale con corsi di formazione che hanno migliorato la qualità dei dipendenti. Inoltre si è passati da lavori routinari a progetti che hanno incentivato e motivato maggiormente i lavoratori.

Che cosa si intende per PROCESSO? Il processo in senso lato individua una dinamica di comportamenti che racchiudono decisioni, comunicazioni e motivazioni. Noi ci occuperemo del processo in senso stretto, ovvero di tutte quelle attività  finalizzate  a  migliorare  il  business  di  un’azienda,  dagli  input  iniziali  al  soddisfacimento del cliente.

A  partire  dagli  anni  ’80  si  sono  sviluppate  tre  teorie  principali  riguardo  i  processi  aziendali:

1. Il filone delle operation e della gestione della qualità: progettare processi produttivi eliminando gli sprechi (JIT) in modo da produrre output di valore per il cliente (centrale). Migliorare in maniera sistemica e continua i processi aziendali, per mantenere e innalzare nel tempo i livelli di qualità di tutte le attività aziendali, al fine di ottenere soddisfacimento da parte del cliente (TQM – zero defect). Adottare la certificazione ISO 9000 e la Vision 2000 (documentazione e misurazione dei processi  aziendali).  Adottare  l’approccio  six  sigma,  volto a diffondere la cultura di processo e di controllo  e  di  miglioramento  della  qualità  fra  tutti  gli  addetti  dell’azienda.

2. Il filone strategico: ha il suo precursore nella catena del valore di Porter (1985). Il valore di un’impresa  viene  generato  dalle  attività primarie e dalle relative attività di supporto. Successivamente Rummler e Brache (1990) sottolineano la necessità di eliminare gli spazi bianchi negli organigrammi aziendali, ovvero quelle zone di passaggio di responsabilità nei processi dove si creano la maggior parte dei problemi. Inoltre i due hanno sviluppato una visione organizzativa tale per cui le diverse funzioni devono essere collegate tra loro tramite processi che abbiano obiettivi e risultati strettamente connessi a quelli strategici dell’azienda.  Nasce  il  BPR,  il  processo  aziendale  diventa  l’elemento  principale  di  analisi  per  il  miglioramento  delle  performance  aziendali  e  viene  sottolineata  l’importanza  di  un  approccio  sistemico  e  non  isolato  per  il  singolo  processo.  

3. Il  filone  dell’Information Technology: sviluppo di sistemi informativi e software orientati al processo,  come  ad  esempio  l’ERP  o  i  workflow  systems  (orientati  ad  automatizzare  lo  scambio  di  documenti  lungo  i  processi  aziendali).  L’utilizzo  dei  sistemi  informativi  ha  inoltre  permesso  di  creare reti di imprese e di migliorare la collaborazione con i fornitori esterni.

La visione per processi nasce dalla necessità di ridurre la frammentazione delle attività aziendali dovuta alla struttura organizzativa orientata alla singola unità. I processi evidenziano il legame tra le attività inter-funzionali e inter-organizzative e le performance aziendali, innanzitutto come soddisfazione del cliente finale poi come impatto sui risultati economico finanziari. Governare i processi significa ottimizzare le prestazioni in ottica globale. Sono quindi le strategie aziendali ad orientarsi verso una gestione per processi.

INTEGRAZIONE TRA I 3 FILONI:

Differenza tra processo e progetto: possiamo dire ci sia un continuum tra processo e progetto. Partendo da un processo ripetitivo, ovvero un processo che si ripeterà tante volte quante sono le istanze che ne richiedono  l’esecuzione,  passiamo  ad  una  situazione  intermedia,  di  progetto  ripetitivo  o  processo  personalizzato,  nel  quale  vediamo  l’unicità  dell’output  o  delle  fasi  ma  non  delle  competenze  richieste. Infine abbiamo il processo unico o progetto con forte novità, nel quale abbiamo unicità di output, fasi, competenze richieste.

LA GESTIONE PER PROCESSI:

Questo approccio innovativo si sviluppa a partire dagli anni '80, soprattutto in quelle aziende dove il cliente ha la possibilità di esprimere la sua opinione e farla pesare sui risultati di un'impresa. Quello che è importante è il risultato globale del processo. Non mi focalizzo sui singoli risultati funzionali. Le diverse unità aziendali si vedono come un insieme. Integro le attività e creo una visione di insieme. Devo ragionare per processi senza perdere i vantaggi di una solida struttura aziendale. La struttura è l'ambito dove vengono coltivate e sviluppate le risorse per la buona riuscita di un processo.

Schema di buona riuscita dei processi:

1. L'azienda deve “vedere” i processi: tipologie e caratteristiche 2. Quali sono le leve che mi permettono di gestire bene i processi? Principi organizzativi e gestionali 3. Necessario cambiare e riprogettare i processi.

I PRINCIPI DELLA GESTIONE PER PROCESSI:

x PRINCIPI CULTURALI: 1. Pervasività  dell’orientamento: devo fare in modo che le persone della mia azienda "vedano" e

"gestiscano" per processi. Devono avere chiaro il loro contributo al processo, a valle e a monte della loro attività. È necessario identificare i processi aziendali principali, abituarsi a valutarne il contributo alla generazione di valore, focalizzarne le prestazioni di processo e definirne obiettivi precisi. Tutto questo è semplificato grazie all’utilizzo  della  mappatura,  che  può  avvenire  tramite  catena del valore, framework, mappatura bottom-up (parto da come lavora la mia azienda e stilo la mappa).

2. Logica cliente-fornitore: i dipendenti della mia azienda devono capire che a valle hanno "clienti" interni della azienda e a monte "fornitori" interni. Gli elementi chiave di questa logica sono il deployment degli obiettivi (trasformare gli obiettivi del cliente finale in obiettivi per i clienti dei processi  intermedi)  e  l’attivazione  delle  catene  clienti-fornitori. Le leve sulle quali è possibile agire  sono  la  misurazione  delle  interfacce,  la  standardizzazione  dei  processi,  l’applicazione  della  logica  di  partnership.  L’obiettivo  è  quello  di  incrementare  la  velocità  di  risposta  ed  essere  più  efficaci nei confronti del cliente.

x PRINCIPI ORGANIZZATIVI: 1. Ownership dei processi: individuare un responsabile, il process-owner, che si faccia carico del

processo a livello globale e  ne  presidi  l’efficacia  e  l’efficienza. Il process-owner supporta l’integrazione tra  processi  e  strutture  organizzative  “tradizionali”,  questo  favorisce  il  raggiungimento degli obiettivi di processo e il miglioramento continuo del processo. È responsabile davanti al cliente, non è un capo, le sue competenze sono relazionali e di leadership, solitamente è una figura che svolge già un altro ruolo operativo o di responsabile ed è scelto dalla funzione più importante nel processo; rompe  il  dogma  dell’unicità  di  comando.

2. Ridisegno delle mansioni e dei ruoli: rivedere le scelte organizzative, in particolare per quanto riguarda gli operatori il loro grado di responsabilità e di specializzazione. Riprogettare le modalità  di  lavoro  nell’ottica  di  garantire  l’integrazione  di  processo.  Posso  far  leva  sul  job  re-design: job enlargement/enrichment, gruppi di lavoro. Aumentare la delega decisionale, ovvero responsabilizzare gli operatori rispetto il processo e aumentare le loro competenze. Questo porta alla riduzione del fabbisogno di integrazione/coordinamento lungo il processo e al coinvolgimento degli operatori.

x PRINCIPI GESTIONALI: 1. Documentazione dei processi: per gestire bene i processi questi devono essere documentati,

quindi formalizzati. Condivisione e diffusione dei processi tramite software di mappatura, intranet e repository. In questo modo posso raccogliere e codificare i dati, supportare la comprensione  dei  processi  e  l’identificazione  delle  opportunità  di  miglioramento  e  riconoscere le responsabilità.

2. Misurazione dei risultati: dal punto di vista del processo e da quello del cliente. Consente di stabilire dei riferimenti condivisi tra le diverse unità aziendali. Ai parametri funzionali devo aggiungere parametri di processo. Da un lato metto in evidenza le misurazioni di servizio per il cliente, dall'altro porto le funzioni a diventare consce del loro contributo sul risultato finale per il cliente. Alcuni  strumenti  utili  sono  la  BALANCE  SCOREBOARD  e  l’ALBERO  DELLE  PRESTAZIONI. Spesso si va incontro a problemi di trade-off tra la diverse prestazioni di processo. Sta alla fase di BPR migliorare il più possibile queste evenienze.

3. Ottimizzazione dei flussi di attività e bilanciamento tra logica pull e push: progettare un flusso e sequenze di attività in ottica di processo tramite un ridisegno del workflow (individuo le attività a valore aggiunto, linearizzo il processo, verifico la possibilità di parallelizzare o sovrapporre le attività del processo), ridefinendo le logiche e le procedure dello svolgimento delle attività (modifiche organizzative, riprogettazione dei controlli, standardizzare parti del processo), bilanciando  la  logica  pull  e  push  (individuare  il  punto  di  snodo  tra  le  2  logiche).  L’obiettivo  finale  è quello di creare valore per il cliente e rendere il processo efficace ed efficiente.

DIFFERENZE TRA PROCESS OWNER STRATEGICO E OPERATIVO:

IL PROCESS-OWNER STRATEGICO:

IL PROCESS-OWNER OPERATIVO:

Infine vi sono casi particolari, come la gestione dei processi di supporto, che vanno analizzati a parte. Bisogna instaurare anche in questi  processi  una  logica  di  “cultura  di  servizio”.  È  possibile  farlo  tramite  la  responsabilizzazione delle unità di staff, scorporando le attività critiche e accorpandole nei processi primari (esempio: manutenzione, attrezzaggio, controllo qualità), producendo informazione  all’interno  dei  processi  oppure esternalizzando i processi di supporto. Questo garantisce un miglioramento della tempestività di supporto ed evita casi di straniamento/autoreferenzialità dei processi di supporto.