Teoria dell’invalidità dell’atto amministrativo e art. 21...

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Fabrizio Fracchia - Massimo Occhiena Università commerciale Luigi Bocconi di Milano Teoria dell’invalidità dell’atto amministrativo e art. 21-octies, l. 241/1990: quando il legislatore non può e non deve (*) SOMMARIO: 1. Premessa. — 2. Formalismo e antiformalismo nella teoria dell’attività ammini- strativa tra Stato liberale e Stato pluralista. — 3. La valutazione dell’attività amministra- tiva in prospettiva teorica: i vizi di legittimità nell’ottica della concezione formale e di quella sostanziale del diritto. — 4. La forma giuridica del procedimento nella legge n. 241/1990 e l’atteggiamento interpretativo antiformalista. — 5. L’irregolarità come isti- tuto di natura formale. — 6. La riforma della legge 241/1990: l’art. 21-octies e la incerta definizione delle forme di invalidità del provvedimento. — 7. Il significato dell’espressione « provvedimento non annullabile ». — 8. L’atto non annullabile nasce legittimo o viene sanato? — 9. Irregolarità e situazioni giuridiche soggettive: i problemi di compatibilità con l’art. 113 Cost. — 10. Il provvedimento come elemento che sana il procedimento illegittimo e la rottura della « catena » della invalidità derivata. — 11. Art. 21-octies, certezza del diritto e studio del diritto amministrativo: disincentivi per i cittadini, potenziamento del ruolo del giudice e riduzione dell’area di attività ammini- strativa sindacabile. — 12. Il campo di applicazione della norma di cui all’art. 21-octies, comma 2, primo alinea e il doppio « statuto » dell’attività amministrativa. — 13. Una prospettiva di sintesi: il giudice amministrativo come giudice della corretta funzionaliz- zazione dell’attività. — 14. I problemi applicativi dell’art. 21-octies, l’accentuazione della semplificazione procedimentale e i procedimenti a « geometria variabile ». — 15. L’incompatibilità della norma di cui all’art. 21-octies, l. 241/1990, con il diritto interna- zionale e con quello comunitario. — 16. Le norme procedimentali relative a provvedi- menti vincolati come « affare dell’amministrazione ». — 17. Il caso del provvedimento amministrativo non annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimen- to. — 18. Osservazioni conclusive: la tutela del cittadino tra giudice della « funzionaliz- zazione dell’attività » e amministrazione « scrupolosa ». L’esigenza di intima coerenza della l. 241/1990 e del suo rispetto dei principi costituzionali in quanto « legge forte ». 1. Premessa. Uno dei tratti evolutivi peculiari del regime dell’attività amministrativa è solitamente individuato nella tendenza a valutare l’agire degli enti pubblici se- condo la concezione antiformalista. In tal senso, l’apprezzamento della bontà del- le decisioni degli enti pubblici avviene con riguardo più alla « congruità del “ri- sultato” ottenuto » (1) che al rispetto delle regole sottese alla formazione di que- ste ultime. (*) Il presente lavoro è frutto di riflessioni comuni e riprende, approfondendoli e at- tualizzandoli, alcuni spunti contenuti nei seguenti lavori: F. FRACCHIA, Vizi formali, semplifica- zione procedimentale, silenzio-assenso e irregolarità, in Dir. economia, 2002, 429 ss.; M. OC-

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Fabrizio Fracchia - Massimo Occhiena

Università commerciale Luigi Bocconi di Milano

Teoria dell’invalidità dell’atto amministrativo e art. 21-octies, l. 241/1990: quando il legislatore non può e non deve (*)

SOMMARIO: 1. Premessa. — 2. Formalismo e antiformalismo nella teoria dell’attività ammini-strativa tra Stato liberale e Stato pluralista. — 3. La valutazione dell’attività amministra-tiva in prospettiva teorica: i vizi di legittimità nell’ottica della concezione formale e di quella sostanziale del diritto. — 4. La forma giuridica del procedimento nella legge n. 241/1990 e l’atteggiamento interpretativo antiformalista. — 5. L’irregolarità come isti-tuto di natura formale. — 6. La riforma della legge 241/1990: l’art. 21-octies e la incerta definizione delle forme di invalidità del provvedimento. — 7. Il significato dell’espressione « provvedimento non annullabile ». — 8. L’atto non annullabile nasce legittimo o viene sanato? — 9. Irregolarità e situazioni giuridiche soggettive: i problemi di compatibilità con l’art. 113 Cost. — 10. Il provvedimento come elemento che sana il procedimento illegittimo e la rottura della « catena » della invalidità derivata. — 11. Art. 21-octies, certezza del diritto e studio del diritto amministrativo: disincentivi per i cittadini, potenziamento del ruolo del giudice e riduzione dell’area di attività ammini-strativa sindacabile. — 12. Il campo di applicazione della norma di cui all’art. 21-octies, comma 2, primo alinea e il doppio « statuto » dell’attività amministrativa. — 13. Una prospettiva di sintesi: il giudice amministrativo come giudice della corretta funzionaliz-zazione dell’attività. — 14. I problemi applicativi dell’art. 21-octies, l’accentuazione della semplificazione procedimentale e i procedimenti a « geometria variabile ». — 15. L’incompatibilità della norma di cui all’art. 21-octies, l. 241/1990, con il diritto interna-zionale e con quello comunitario. — 16. Le norme procedimentali relative a provvedi-menti vincolati come « affare dell’amministrazione ». — 17. Il caso del provvedimento amministrativo non annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimen-to. — 18. Osservazioni conclusive: la tutela del cittadino tra giudice della « funzionaliz-zazione dell’attività » e amministrazione « scrupolosa ». L’esigenza di intima coerenza della l. 241/1990 e del suo rispetto dei principi costituzionali in quanto « legge forte ».

1. Premessa. Uno dei tratti evolutivi peculiari del regime dell’attività amministrativa è

solitamente individuato nella tendenza a valutare l’agire degli enti pubblici se-condo la concezione antiformalista. In tal senso, l’apprezzamento della bontà del-le decisioni degli enti pubblici avviene con riguardo più alla « congruità del “ri-sultato” ottenuto » (1) che al rispetto delle regole sottese alla formazione di que-ste ultime.

(*) Il presente lavoro è frutto di riflessioni comuni e riprende, approfondendoli e at-tualizzandoli, alcuni spunti contenuti nei seguenti lavori: F. FRACCHIA, Vizi formali, semplifica-zione procedimentale, silenzio-assenso e irregolarità, in Dir. economia, 2002, 429 ss.; M. OC-

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Questa impostazione generale è assecondata dall’ampliamento dell’irregolarità, cui si contrappone la riduzione dell’illegittimità. L’attuale sen-sibilità giuridica tende a consentire che, seppur difforme dal diritto, l’atto ammi-nistrativo dispieghi gli effetti che gli sono propri allorché realizzi una corretta sintesi degli interessi coinvolti dall’episodio di esercizio del potere. In virtù di questa concezione comunemente ritenuta di matrice sostanzialista, si « derubri-cano » le violazioni della legge dall’illegittimità all’irregolarità: ciò consente di qualificare quel medesimo atto come legittimo, mettendolo così al riparo da qual-siasi rischio di rimozione (2).

In questo scritto si vorrebbe dimostrare come l’attenuazione dell’illegittimità a favore dell’irregolarità consegua ad una concezione generale del diritto di carattere formalista e non già antiformalista. Infatti, secondo il mo-dello ricostruttivo che si intende proporre, il richiamo all’irregolarità è sintomati-co di un approccio al fenomeno amministrativo che, rivalutando l’inderogabilità delle norme, è volto a superare e a combattere le degenerazioni particolariste conseguenti all’applicazione dell’antiformalismo alle società pluraliste.

Questa impostazione pare invece rifiutata dalla recente riforma.

2. Formalismo e antiformalismo nella teoria dell’attività amministrativa tra Stato liberale e Stato pluralista. Limitandoci agli aspetti che maggiormente rilevano ai fini

dell’impostazione generale della presente analisi, occorre in primis definire i ca-ratteri principali delle concezioni formaliste ed antiformaliste dell’attività ammi-nistrativa (3).

L’antiformalismo tende a qualificare come irrilevanti dal punto di vista dell’efficacia giuridica del provvedimento le ipotesi di formazione di quest’ultimo a seguito di violazioni di regole procedimentali o sulla forma degli atti che non abbiano tuttavia compromesso il soddisfacimento del pubblico inte-resse. In altre parole, si ritiene che debba essere priva di conseguenze giuridiche la mancata osservanza di una norma sulle modalità di esercizio del potere o

CHIENA, Formalismo e sostanzialismo nella teoria dell’attività amministrativa, comunicazione al Convegno di studi di Copanello del 5-6 luglio 2002.

(1) A. ROMANO TASSONE, Sulla formula « amministrazione per risultati », in Scrit-ti in onore di Elio Casetta, Napoli, 2001, 818.

(2) Sull’irregolarità, in generale, E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2004, 498 ss.

(3) In materia, v. le ampie riflessioni di G. PASTORI, Il procedimento amministrati-vo tra vincoli formali e regole sostanziali, in AA.VV., Diritto amministrativo e giustizia ammi-nistrativa nel bilancio di un decennio di giurisprudenza, a cura di U. ALLEGRETTI, A. ORSI BATTAGLINI, D. SORACE, Rimini, 1987, II, 234; ID., La disciplina generale del procedimento amministrativo. Considerazioni introduttive, in AA. VV., La disciplina generale del procedi-mento amministrativo, Atti del XXXII Convegno di studi di scienza dell’amministrazione, Va-renna 18-20 settembre 1986, Milano, 1989, 29 ss.

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sull’aspetto formale dell’atto quando quest’ultimo abbia comunque prodotto un risultato qualitativamente (e quantitativamente: si pensi alle ipotesi di semplifica-zione procedimentale) (4) accettabile dalla collettività.

Tale concezione attribuisce prevalenza alla sostanza sulla forma e finisce con il qualificare la giuridicità delle regole di diritto a seconda dell’aderenza ai valori socialmente rilevanti siccome emergenti sul piano operativo (e, dunque, a prescindere dalle enunciazioni contenute nelle proposizioni legali). Nella rico-struzione della valutazione dell’azione degli enti pubblici, l’antiformalismo si e-splicita nella c.d. « logica del risultato » (5) che è solitamente riassunta nella formula, in cui si riflette, « raggiungimento dello scopo della norma ».

Il collegamento diretto tra interessi e applicazione delle regole di diritto che tale concezione predica (finendo in pratica con il risolvere in esso il contenu-to stesso della « giuridicità ») (6), unitamente all’insofferenza largamente condi-visa presso gli operatori del diritto per le conseguenze degenerative (perdite di tempo, dispendio di risorse umane e finanziarie, burocratizzazione delle attività private) della pedissequa osservanza delle disposizioni di regolazione dei proces-si decisionali hanno determinato la prevalenza di questa concezione su quella, contrapposta, del formalismo.

Quest’ultima condiziona l’efficacia della decisione amministrativa al ri-spetto delle regole dettate per la sua formazione: l’applicazione dei canoni legali dell’agire amministrativo è il parametro di riferimento nella valutazione dell’operato degli enti pubblici. Questa impostazione ispira la c.d. « logica della legalità », che consente di valutare l’atto amministrativo secondo moduli di pre-vedibilità astratta, giacché svincola il giudizio di validità giuridica da qualsiasi momento volto a sintetizzare il bene comune fissato dalla norma e raggiunto nell’ipotesi reale. Sul piano dell’efficacia giuridica, intesa in senso stretto la logi-ca della legalità implica che l’atto amministrativo dispieghi i propri effetti soltan-to se conforme alla legge: è cioè richiesta la coincidenza della forma dell’atto e dell’iter di formazione dello stesso con la forma e l’iter individuati dalla norma.

(4) Sul punto, v. F. FRACCHIA, Vizi formali, semplificazione procedimentale, silen-

zio-assenso e irregolarità, cit. (5) Su queste problematiche, cfr. le osservazioni e il quadro ricostruttivo offerto da

F. SAITTA, Garanzie partecipative ed « ansia » del provvedere, intervento al Convegno Il ruolo dei privati nelle nuove amministrazioni: verso l’emersione di una « cittadinanza amministrativa »?, Torino, 14-15 giugno 2002.

(6) In tal senso si può cogliere lo stretto legame tra le concezioni sostanziali del di-ritto e quelle realistiche che, non importa se nella loro accezione soggettivistica od oggettivisti-ca, tendono a prospettare il problema dei rapporti tra la sostanza reale e quella astratta-formale del diritto. Come osservato da A. FALZEA, Introduzione alle scienze giuridiche. I. Il concetto del diritto, Milano, 1996, 245, il realismo risolve tale dicotomia problematica nella ricerca del mo-mento di congiunzione tra due fattori: « l’uno formale, esemplificato soprattutto dalla forma simbolica del linguaggio legislativo; l’altro sostanziale, costituito dalla situazione reale a cui la regola giuridica fa riferimento ». Sul realismo giuridico v. G. ORRÙ, voce « Giurisprudenza dei concetti », in Dig. disc. civ., IX, Torino, 1993, 176 ss.; ID., voce « Giurisprudenza degli interessi », ibidem, 171 ss.; G. TARELLO, Il realismo giuridico americano, Milano, 1962.

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Un aspetto che appare di grande importanza ai fini di questa analisi è l’antitetico corollario che deriva dalle due contrapposte concezioni e « logiche ».

Il formalismo comporta l’indisponibilità dell’interesse pubblico nella defi-nizione della fattispecie concreta, almeno con riferimento a quei segmenti dell’attività già disciplinati in via generale e astratta. Infatti, esso si fonda sull’assioma che l’interesse della collettività sia definito dalla norma di legge, che lo fissa e sintetizza, prevedendo per la sua individuazione e determinazione in concreto modalità operative che la pubblica amministrazione è chiamata ad applicare rigorosamente.

Il sostanzialismo parte dal presupposto inverso, ossia che l’interesse pub-blico debba essere desunto ed interpretato in concreto e che la legge non possa individuarlo prevedendo, una volta per tutte, quali siano le modalità d’azione che gli enti pubblici debbano seguire al fine di coordinare la realtà concreta con la fattispecie generale ed astratta. In tal modo, l’interesse della collettività è in un certo qual senso reso « disponibile » all’interprete.

Il collegamento con l’interesse pubblico pare consentire un ulteriore pas-saggio descrittivo (7).

Esaltando la concezione del diritto quale garanzia, il formalismo richiama alla mente le costruzioni liberali del diritto pubblico, calate in un tessuto sociale in cui tra amministrazione e cittadino correva un rapporto di parità/esclusione (8). I momenti di contatto erano segnati dalla necessità di assicurare al privato la massima protezione e difesa dalle possibili ingerenze degli enti pubblici che po-tevano avvenire a patto della pedissequa osservanza di schemi e moduli legali di esercizio del potere. In questa prospettiva, il rispetto da parte dell’amministrazione delle regole (soprattutto norme di relazione, in linea di massima inderogabili) era intimamente collegato alla tutela dell’individuo. Inol-tre, l’osservanza al dettato di legge era connessa al perseguimento e alla realizza-zione dell’interesse della collettività siccome precisato dalla norma giuridica. Po-sto che, riferito all’epoca in esame, il concetto di « collettività » è da intendersi in senso assai diverso da quello attuale (9), è evidente che la legge riuscisse a sinte-tizzare e precisare gli interessi di un nucleo ristretto di soggetti. In particolare, dei componenti di quella che è stata definita alla stregua di « oligarchia democratica

(7) Dal punto di vista dell’impianto teorico, si è fatto riferimento a R. FERRARA, In-

troduzione al diritto amministrativo, Bari, 2002, spec. 16 ss. (8) Sul punto, si vedano le considerazioni svolte da F.G. SCOCA, I vizi formali nel

sistema delle invalidità dei provvedimenti amministrativi, in AA.VV., Vizi formali, procedimen-to e processo amministrativo, a cura di V. PARISIO, Milano, 2004, 57.

(9) Nell’ordinamento giuridico del Regno d’Italia, a seconda delle diverse leggi e-lettorali succedutesi nel tempo, gli elettori con diritto di voto corrispondevano a circa il 2% de-gli abitanti residenti fino al 1880, percentuale cresciuta successivamente e oscillante tra il 6,6% e il 9,4% nel periodo 1882-1909, e quindi attestatasi tra il 23,2% e il 29% nel periodo 1913-1934 (C. GHISALBERTI, Storia costituzionale d’Italia, Bari, 1986, appendice, tav. II). V. altresì P. POMBENI, La rappresentanza politica, in R. ROMANELLI (a cura di), Storia dello Stato italia-no dall’Unità ad oggi, Roma, 2001.

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» (10) che aveva accesso al governo della cosa pubblica. Conseguentemente, l’applicazione del canone legale di svolgimento del potere pubblico consentiva ex se il perseguimento dell’interesse di quella limitata cerchia di soggetti, legit-timando la sottomissione degli interessi individuali e quindi secondari.

L’antiformalismo e la collegata « logica del risultato » evocano invece rappresentazioni storicamente successive del diritto amministrativo. Emancipata-si dalle rigidità peculiari del rispetto meramente formale della regola giuridica, l’amministrazione è posta al servizio della società al fine di realizzare l’interesse pubblico, che non si forma a seguito del rispetto del dettato normativo, bensì all’adeguamento dello stesso ai diversi interessi volta a volta implicati e emer-genti sul piano normativo anche a seguito della progressiva pubblicizzazione di istanze private conseguenti soprattutto all’estensione del suffragio elettorale. Si assiste così ad una sorta di compensazione delle limitazioni e restrizioni che ine-vitabilmente conseguono alla fissazione di parametri giuridici sulle modalità di azione, riconoscendo agli enti pubblici la possibilità di adeguare la regola genera-le ed astratta alla fattispecie reale.

Emergono, quindi, le difficoltà di precisare in un precetto normativo, sin-tetizzandole in un ben evidente « interesse pubblico », le diverse istanze ed esi-genze sociali derivanti dall’ampliamento alla moltitudine dei cittadini della par-tecipazione al governo della cosa pubblica, così determinandosi il necessario im-piego di tecniche compromissorie nell’elaborazione della fattispecie legale, i cui valori ispiratori risultano via via sempre più sfumati e sfuggenti. Tutto ciò com-porta, a livello di prassi applicativa, l’esercizio di complessi metodi di contempe-razione degli interessi: l’amministrazione è chiamata all’acquisizione e composi-zione degli interessi in gioco al fine di sintetizzare quelli prevalenti e come tali destinati ad essere perseguiti e realizzati. Al di là del contenuto formale delle re-gole, è la valutazione in concreto del loro scopo che consente di far emergere sul piano operativo i valori sociali siccome espressi dai soggetti privati interessati dall’attività degli enti pubblici.

Naturalmente il discorso non può essere portato alle estreme conseguenze di ritenere che la fissazione di regole sull’agire amministrativo sia del tutto estra-nea alla logica antiformalistica. L’antiformalismo non deve essere confuso con visioni anarchiche del diritto. Dal punto di vista della teoria generale, occorre e-videnziare che la visione non formale del diritto richiede la « dotazione di un si-stema normativo rispettabile…, in quanto non straripante in dimensioni di pratica inconoscibilità e non pregiudicato nella sua pratica attuabilità da vizi di disartico-lazione, contingenza, ambiguità », la cui ottemperanza è tuttavia indispensabile, in quanto i pochi canoni esistenti rispecchiano « fedelmente tutte e sole le esi-

(10) Così S. CASSESE, Relazione introduttiva alla tavola rotonda, intervento al Con-

vegno Il ruolo dei privati nelle nuove amministrazioni: verso l’emersione di una « cittadinanza amministrativa »?, Torino, 14-15 giugno 2002.

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genze emergenti della realtà sociale » di cui costituiscono il « baluardo » e la cui osservanza assicura pertanto la « tenuta » dell’ordinamento giuridico (11).

Nell’ottica propria delle modalità di esercizio del potere amministrativo, l’antiformalismo si concilia dunque con la previsione di « forme » dell’attività degli enti pubblici — ossia di « forme procedimentali » — che siano numerica-mente contenute e certe quanto alla loro applicazione. Limitate ipotesi, che pre-vedano oneri a carico dell’amministrazione coessenziali alla corretta determina-zione dell’interesse pubblico, assicurando al contempo al cittadino coinvolto dal potere un parametro di riferimento al fine di potersi difendere.

Poche — ma, per così dire, « forti » — regole procedimentali non pongo-no il problema di indebolire la tensione efficientistica dell’azione amministrativa. È questo, a ben vedere, lo spirito che ha animato la legge 7 agosto 1990 n. 241, volto soprattutto a fissare norme a carattere organizzativo e circoscrivendo a li-mitate ipotesi le formalità dirette a guidare le modalità di esercizio del potere amministrativo. L’idea di predisporre una serie limitata di « ipotesi tipiche di combinazioni organizzative » in quanto « sola possibilità che esista di predispor-re una legge valida per una realtà amministrativa fortemente differenziata e mu-tevole, senza cadere nella previsione di uno schema rigido e astratto o nella gene-ricità di una mera fissazione di principi » (12) è restituita in modo chiaro e indi-scutibile dall’articolato della l. 241/1990 secondo il suo disegno originario. E quest’ultimo non può certamente ricondursi ad una visione formalistica del dirit-to, proprio perché prevede poche formalità la cui inderogabilità discende dalla visione antiformalistica che le anima e con cui esse vanno interpretate ed applica-te.

Al fine di completare l’illustrazione del materiale descrittivo che verrà in questa sede utilizzato, dal punto di vista della regolazione dell’azione ammini-strativa, si osserva come la logica della legalità si colleghi ad una visione formale del procedimento amministrativo, inteso come modulo di ordinazione degli atti e fatti « collegati fra loro da un ordine logico o legale nel tempo », diretti alla pro-duzione di un unico effetto giuridico (13). La concezione formale dell’agire dell’amministrazione e, dunque, della procedura applicata ai fini dell’elaborazione della decisione, si impone non a caso proprio nei primi quaran-ta-cinquanta anni del Novecento (che maggiormente risentirono delle influenze delle dottrine liberali) e ha quale presupposto teorico-sistematico la separazione tra la fattispecie — i cui elementi risultavano fissati dalla legge e che erano giu-dicati idonei a produrre effetti giuridici (in particolare, la produzione di vicende giuridiche, id est la costituzione, modificazione, estinzione di situazioni giuridi-

(11) A. FALZEA, Forma e sostanza nel sistema culturale del diritto, in Ricerche di teoria generale del diritto e di dogmatica giuridica. I. Teoria generale del diritto, Milano, 1999, spec. 184 ss. V. altresì L. MONTESANO, Questioni attuali su formalismo, antiformalismo e ga-rantismo, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1990, 1 e ss.

(12) M. NIGRO, Procedimento amministrativo e tutela giurisdizionale contro la pub-blica amministrazione (il problema di una legge generale sul procedimento amministrativo), in ID., Scritti giuridici, Milano, III, 1996, 1450.

(13) F. CAMMEO, Corso di diritto amministrativo, Padova, 1960, 501 s.

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che soggettive) — e le modalità di emersione della fattispecie. Il procedimento amministrativo, infatti, era concepito come momento eminentemente formale: la scansione meccanica delle sue fasi consentiva di riconoscere nel mondo reale la sussistenza degli elementi tipici della fattispecie astratta, la cui forza innovativa dell’ordinamento era rappresentata dall’atto conclusivo della procedura (il prov-vedimento finale) il cui contenuto precisava, appunto, la fattispecie (14).

All’opposto, la logica del risultato si collega ad una concezione sostanzia-le del procedimento. A partire dalla prima metà degli anni Sessanta del secolo scorso molteplici fattori portarono alla lenta ma inarrestabile ricusazione delle concezioni formalistiche dell’agire amministrativo. Si pensi, ad esempio, alla cri-si del concetto di rappresentanza (15); alla sfiducia nella legge come momento di selezione e ordinazione degli interessi coinvolti dall’azione amministrativa; alla costruzione « in positivo » del potere di apprezzamento degli enti pubblici nella valutazione degli interessi (16); alla concezione del potere amministrativo come « funzionalizzato » e dunque percepito nel suo intimo collegamento con l’interesse della collettività (17). Se il procedimento diventa il modulo del « farsi » dell’azione amministrativa e se la decisione — sempre più pluristrutturata dal punto di vista dell’organizzazione amministrativa — è a « formazione graduale », nonché il prodotto di tutta una serie di « scelte parziali » che devono essere oggetto di puntuale e conoscibile predeterminazione (18), ne consegue che la scala di valori fissata nella norma deve essere volta a volta individuata secondo parametri di ricerca variabili e adattati alla realtà operativa. L’individuazione del-la fattispecie concreta cui la legge riconduce la produzione di effetti giuridici non

(14) A.M. SANDULLI, Il procedimento amministrativo, Milano, 1959 (ma prima ed.,

1940), 38. Già presente nei primi scorci del secolo scorso (v. F. CAMMEO, Corso di diritto am-ministrativo, Padova, 1960, 501, ma l’edizione anastatica originale, in tre volumi, risale al 1914), la concezione formale del provvedimento conobbe la più completa formulazione proprio ad opera di A.M. SANDULLI, Il procedimento amministrativo, cit. ed ebbe pressoché unanime seguito fino almeno agli anni Sessanta, quando iniziò ad imporsi quella funzionale elaborata da F. BENVENUTI, Funzione amministrativa, procedimento, processo, in Riv. trim. dir. pubbl. 1952, 118 ss. Sulla ricostruzione del procedimento amministrativo nel pensiero di Sandulli, v. G. MORBIDELLI, Il procedimento amministrativo, in AA.VV., Diritto amministrativo, a cura di L. MAZZAROLLI, G. PERICU, A. ROMANO, F.A. ROVERSI MONACO, F.G. SCOCA, I, Bologna, 2005, 539; M.E. SCHINAIA, Aldo M. Sandulli: il procedimento amministrativo, in AA.VV., Aldo M. Sandulli (1915-1984): attualità del pensiero giuridico del Maestro, a cura di M.A. Sandulli, Milano, Giuffrè, 2004, 331 ss.

(15) A. ROMANO TASSONE, Note sul concetto di potere giuridico, in Annali Facoltà di Economia e Commercio di Messina, Catania, 1981, 453 ss.

(16) Secondo la concezione di M.S. GIANNINI, Il potere discrezionale, Milano, 1939, spec. 72 ss., sulla cui teoria cfr. F.G. SCOCA, La discrezionalità nel pensiero di Giannini e nella dottrina successiva, in Riv. trim. dir. pubbl. 2000, 1059 ss. e L. BENVENUTI, La discrezionalità amministrativa, Padova, 1986, spec. 103 ss.

(17) F. BENVENUTI, Funzione amministrativa, procedimento, processo, in Riv. trim. dir. pubbl., cit.; G. PASTORI, Introduzione generale, in AA.VV., La procedura amministrativa, a cura di G. PASTORI, Vicenza, 1964, 7 ss

(18) Sul punto, v. A. POLICE, La predeterminazione delle decisioni amministrative, Napoli, 1997, 77 ss.

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può pertanto avvenire consegnando all’amministrazione il mero compito di se-guire gli automatismi tipici dei momenti procedurali: ad essa, invece, si richiede di precisare l’interesse pubblico alla luce dei tratti mutevoli della realtà, svolgen-do la funzione della comparazione degli interessi che nell’ambito procedimentale hanno trovato censimento ed evidenziazione. 3. La valutazione dell’attività amministrativa in prospettiva teorica: i vizi di

legittimità nell’ottica della concezione formale e di quella sostanziale del diritto. Definiti i caratteri peculiari del formalismo e dell’antiformalismo, si in-

tende ora entrare nel vivo della proposta teorica che si vorrebbe avanzare per rappresentare il regime dell’invalidità degli atti amministrativi (19).

Collocandoci nella prospettiva del sindacato dell’azione amministrativa, i vizi di legittimità che paiono segnalarsi come maggiormente affini alla « logica della legalità » sono la violazione di legge e l’incompetenza (che « è evidente-mente una forma di violazione di legge ») (20), che consentono di censurare se-condo parametri automatici la decisione amministrativa. Quest’ultima è conside-rata illegittima qualora si formi a seguito della mancata o erronea applicazione delle norme sulle modalità di esercizio del potere e di distribuzione delle compe-tenze all’interno delle amministrazioni.

L’ottica della « logica del risultato » pone invece la necessità di rimuovere gli effetti del provvedimento soprattutto in caso di violazione delle prescrizioni di logicità-congruità nello svolgimento della funzione amministrativa, quando cioè la composizione degli interessi effettuata dall’amministrazione diverge dal siste-ma dei valori socialmente rilevanti (21). Il vizio peculiare della concezione so-stanzialista, dunque, pare essere l’eccesso di potere, con cui si controlla in manie-ra variabile ed elastica che nel processo di formazione e di attuazione delle scelte amministrative « non vi siano circostanze che dimostrino, o inducano a ritenere, che l’interesse pubblico non è stato completamente raggiunto » (22).

Approfondendo il discorso (soprattutto collocandosi per ora nella prospet-tiva eminentemente teorica e tralasciando le considerazioni, che seguiranno, sul possibile significato della riforma introdotta dalla l. 15/2005), si osserva come le correlazioni formalismo-violazione di legge e incompetenza, da un lato, sostan-

(19) Per la teoria dell’invalidità dell’azione amministrativa, cfr. G. CORSO, voce «

Validità. c) Diritto amministrativo », in Enc. dir., XLVI, 1993, 84 ss. (20) Così B.G. MATTARELLA, Il provvedimento, in Trattato di diritto amministrati-

vo. Diritto amministrativo generale, a cura di S. CASSESE, Milano, 2000, I, 885 ss. (21) La ricostruzione dell’eccesso di potere come vizio connesso alle violazioni delle

prescrizioni di logicità-congruità è operata da E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, cit., 477 s.

(22) B.G. MATTARELLA, Il provvedimento, cit., I, 872.

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zialismo-eccesso di potere, dal lato opposto, corrispondano, sul piano descrittivo, alle peculiarità stesse dei tre vizi di legittimità (23).

A. La violazione di legge e l’incompetenza conseguono tutte alla in-

frazione di norme di azione « formali » la cui caratteristica principale pare essere quella di precisare il contenuto del provvedimento sulla base dell’individuazione dell’interesse pubblico astratto siccome definito dalla norma di relazione. In al-cuni casi, poi, esse determinano altresì in maniera puntuale le modalità di svol-gimento del potere amministrativo.

Si tratta di norme che disciplinano con completezza l’esercizio del potere attribuito dalla legge all’amministrazione quanto all’aspetto contenutistico, co-sicché l’ente procedente sarà vincolato rispetto al risultato che dovrà raggiungere e non potrà scegliere tra un ventaglio di possibili comportamenti e decisioni. Al fine di perseguire l’interesse pubblico, l’amministrazione titolare del potere non deve fare altro che riscontrare in concreto la sussistenza dei requisiti e presuppo-sti previsti in astratto dalla norma, alla cui presenza il legislatore ha ritenuto rea-lizzarsi l’interesse della collettività. Qualora la fattispecie concreta sia conforme a quella astratta, l’ente procedente adotterà il provvedimento corrispondente al potere esercitato, secondo il contenuto prestabilito dalla norma. In caso contrario, esso non adotterà l’atto o ne adotterà uno di diniego.

B. A sua volta, l’eccesso di potere pare potersi definire come il vizio

conseguente alla violazione delle norme di azione sostanziali che, rilevanti in quanto l’ordinamento non riesce a definire in via generale e astratta l’interesse pubblico, consegnano all’amministrazione alcuni criteri di svolgimento del pote-re — rimettendo a quest’ultima la scelta sull’an, sul quid, sul quando e sul quo-modo esercitarlo — al fine di realizzare nel concreto episodio della vita l’interesse della collettività. Peculiarità distintiva di queste norme è di non fissare il contenuto del provvedimento, che varierà a seconda del multiforme modo di presentarsi dell’interesse pubblico specifico. In proposito, si nota come, a seguito dell’entrata in vigore della legge 241/1990, la discrezionalità si risolva oggi più che altro nella discrezionalità nel quid e nel quomodo, ossia proprio negli aspetti contenutistici del provvedimento (24). Infatti, ad oggi gli spazi di scelta sull’an e sul quando risultano notevolmente ridotti, sia per il numero di procedimenti ad iniziativa di parte, sia alla luce della disciplina dell’art. 2 della legge 241/1990 (rafforzata dal nuovo comma 4-bis, introdotto dalla l. 15/2005), che richiede la conclusione del procedimento « mediante l’adozione di un provvedimento e-

(23) Ampie considerazioni in materia sono condotte da A. POLICE, La predetermina-

zione delle decisioni amministrative, cit., 330 ss. (24) Sul fatto che la discrezionalità e quindi l’eccesso di potere si appuntino soprat-

tutto sull’aspetto contenutistico del provvedimento v. A. ROMANO, Commento all’art. 26 t.u. Cons. St (r.d. 26 giugno 1924, n. 1054), in A. ROMANO, Commentario breve alle leggi sulla giustizia amministrativa, Padova, 2001, 283.

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spresso » entro il termine prefissato dall’ente pubblico (o dalla legge in via su-bordinata).

La delicatezza della materia impone di puntualizzare che, nell’elaborazione del modello ricostruttivo dell’attività vincolata, ci si è soffer-mati all’aspetto contenutistico del provvedimento pur nella consapevolezza che vi siano altri momenti in cui la legge non lascia all’amministrazione margini di scelta. Ciò accade, ad esempio, quando si richiede all’ente procedente la pedisse-qua osservanza di adempimenti procedurali, a volte scanditi anche nel tempo, o quando si prevede il rispetto di determinati doveri (dovere di assumere un parere, di motivare, di concludere il procedimento…). È altresì possibile che in un con-testo generale di esercizio discrezionale del potere si inseriscano momenti di vin-colatezza, alcuni dei quali potrebbero persino reagire comprimendo la stessa di-screzionalità decisionale (si pensi al regime dei pareri conformi). Tanto precisato, la scelta di concentrare l’attenzione sul contenuto della decisione deriva dal fatto che non c’è dubbio che sia proprio quest’ultimo a riguardare il momento centrale nella definizione del rapporto autorità-libertà: il che pare confermato dalla recen-te riforma della legge n. 241/1990 che, come si vedrà (cfr. infra, par. 7), fa rife-rimento proprio al « contenuto » provvedimentale.

Non può d’altra parte sfuggire come, nella valutazione complessiva di una certa attività amministrativa, per quanto siano certamente importanti i diversi momenti di esercizio vincolato del potere, la loro inosservanza non determini ne-cessariamente un contenuto decisionale diverso da quello legale: così opinando, infatti, si ricadrebbe, in una visione « meccanicistica » dell’attività amministrati-va, intrisa di un determinismo legislativo che esorbitava persino la stessa acce-zione originaria della concezione formale del procedimento amministrativo (25). Piuttosto vale probabilmente il contrario, nel senso che se il contenuto è prestabi-lito, il relativo procedimento risulta vincolato, escludendosi che alcuni passaggi procedurali possano generare dissonanze rispetto al contenuto siccome predeter-minato.

Date le caratteristiche della tipologia di norme d’azione qui in discussione, è evidente che il sindacato sul prodotto dell’esercizio del potere, ossia il provve-dimento, debba essere condotto in concreto. La validità di quest’ultimo non con-seguirà, infatti, al pedissequo rispetto di specifiche regole sulla determinazione del suo contenuto, bensì all’osservanza di tutta una serie di criteri sul corretto sviluppo della formazione di tale contenuto decisorio — ricavabili a contrario dalle diverse ipotesi di figure sintomatiche dell’eccesso di potere (26) — che, an-che tenendo conto della motivazione con cui l’amministrazione ha corredato la decisione, manifesti la realizzazione dell’interesse pubblico.

(25) Sul punto, v. la ricostruzione della teoria generale del procedimento e le osser-

vazioni di A. SANDULLI, Il procedimento, in Trattato di diritto amministrativo. Diritto ammini-strativo generale, a cura di S. CASSESE, cit., II, 936 ss.

(26) A. ROMANO, Commento all’art. 26 t.u. Cons. St (r.d. 26 giugno 1924, n. 1054), in A. ROMANO, Commentario breve alle leggi sulla giustizia amministrativa, cit., spec. 290 ss.

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Queste norme d’azione, che potremmo definire « sostanziali », implicano la possibilità per l’amministrazione di operare scelte per l’individuazione dell’interesse prevalente nel caso concreto al fine di soddisfare l’interesse della collettività. Pertanto, il loro rispetto deve essere verificato, appunto, in concreto, analizzando la fattispecie come è stata regolata dalla decisione dell’amministrazione, a seconda del modo con cui quest’ultima si sarà formata. Analisi che sfugge a valutazioni condotte su parametri meramente formali, per-ché la norma d’azione generale e astratta ha lasciato all’ente titolare del potere l’individuazione sostanziale della soluzione al « problema amministrativo » di adottare la migliore soluzione praticabile in vista dell’interesse pubblico e tenen-do conto degli interessi implicati (27).

L’apprezzamento dell’illegittimità del provvedimento amministrativo per violazione di questa tipologia di norme sull’esercizio della discrezionalità passa perciò dal confronto dell’atto con l’osservanza in concreto dei parametri legali di esercizio del potere amministrativo. A questo proposito, si osserva che non è un caso che l’eccesso di potere si colga mediante l’impiego delle c.d. « figure sin-tomatiche », ormai concepite dalla giurisprudenza come autonome figure di sviamento che implicano l’annullamento del provvedimento (sul punto cfr. infra, par. 12), ossia mediante l’impiego di tecniche di controllo che segnalano — in concreto — l’inosservanza dei canoni che presidiano il corretto esercizio del po-tere in relazione ad un certo contenuto decisionale (logicità, congruità, giustizia manifesta, parità di trattamento, coerenza, corretta valutazione dei fatti, motiva-zione completa ed esauriente, razionalità, completezza dell’istruttoria…).

4. La forma giuridica del procedimento nella legge n. 241/1990 e l’atteggiamento interpretativo antiformalista. Così precisate in linea generale le peculiarità proprie delle norme d’azione

che, qualora violate, cagionano, a seconda dei casi, uno dei tre vizi di legittimità, occorre tuttavia ribadire il valore meramente descrittivo della distinzione qui proposta tra le norme d’azione formale e quelle d’azione sostanziale. Con queste locuzioni si è inteso unicamente rappresentare il diverso modo con cui queste norme stabiliscono che il potere amministrativo debba essere svolto aprioristica-mente (in via vincolata o discrezionale) al fine di adottare una decisione dal con-tenuto determinato o indeterminato. Si tratta comunque di una distinzione utile al fine di rappresentare nei termini tradizionali la teoria dell’invalidità dell’atto amministrativo, su cui, come si dirà, occorre forse una rimeditazione alla luce della disciplina introdotta dalla l. 15/2005.

Dal punto di vista della ricostruzione teorica del regime dell’invalidità procurata dai vizi di legittimità conseguenti alla violazione di tali norme, sembra

(27) Si ripropone in tal modo l’irrisolto discrimine tra le valutazioni di merito e il ri-spetto dello schema legale, su cui v. A. PUBUSA, voce « Merito e discrezionalità amministrativa », in Dig. disc. pubbl., IX, Torino, 1994, 406 ss.

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davvero insuperabile la notazione secondo cui (almeno, si ripete, fino alla recente riforma legislativa) i vizi di legittimità comportano l’annullamento del provve-dimento che ne è affetto (28). Pertanto, sul piano dell’invalidità dell’atto, scaturi-scono effetti sostanziali — l’annullamento — anche dai vizi che abbiamo per semplicità definito come formali di legittimità (violazione di legge e incompe-tenza).

Si osserva, a questo riguardo, che qualora la legge preveda che nell’esercizio del potere l’amministrazione sia tenuta al rispetto di determinati adempimenti procedimentali affinché il provvedimento abbia un certo contenuto, quand’anche volesse attribuire prevalenza alla sostanza l’interprete non potrà che accertare la difformità tra la fattispecie reale e quella astratta.

Proseguendo nel discorso ricostruttivo, si rileva che al cospetto dei pro-fondi mutamenti apportati all’azione e all’organizzazione degli enti pubblici dalla formalizzazione delle modalità di esercizio del potere conseguenti all’entrata in vigore della legge 241/1990, la comunemente condivisa impostazione antiforma-lista ha suggerito un’analisi interpretativa delle nuove regole procedimentali che consentisse la prevalenza della sostanza sulla forma. Concependo il procedimen-to amministrativo come la sede in cui si dà adeguata evidenza agli interessi coin-volti dall’esercizio del potere, al fine di determinare il contenuto della decisione che deve rappresentare il momento di compromesso tra le esigenze della colletti-vità e quelle dei singoli individui, il sostanzialismo non poteva che originare un diffuso senso di disagio a fronte della formalizzazione delle scansioni procedurali (29).

Al di là del rispetto delle regole giuridiche, si è dunque tentato di interpre-tare in modo elastico i canoni dettati dalla legge 241/1990, avvertendo come « valore » non la loro applicazione, bensì l’adozione di una decisione capace di mettere ordine e razionalità agli interessi pubblici e privati come in concreto — dunque nella sostanza — si manifestano. L’atteggiamento che ne è scaturito si è dunque indirizzato nel senso di interpretare i « vizi puramente e irriducibilmente formali degli atti amministrativi » alla stregua di « mere condizioni di regolarità dell’atto amministrativo » affinché la loro violazione non conducesse « all’invalidità dell’atto stesso » (30).

E qui entra in gioco l’irregolarità, che in dottrina e giurisprudenza è sem-brato potesse salvaguardare i provvedimenti e gli atti procedimentali dai contenu-ti formali della legge 241/1990. Infatti, tale istituto parrebbe funzionale alla con-cezione sostanzialista. In quanto riduttiva delle ipotesi di rilevanza giuridica delle violazioni meramente formali, essa sembrerebbe consentire di evitare conseguen-ze invalidanti per gli atti « errati » nella forma ma « corretti » nella sostanza. A-

(28) F.G. SCOCA, Risarcibilità e interesse legittimo, in Dir. pubbl., 2000, 26. (29) Sul punto, v. F. SAITTA, L’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento:

profili sostanziali e processuali, in Dir. ammin., 2000, 449 ss. (30) A. ROMANO TASSONE, Contributo sul tema dell’irregolarità degli atti ammini-

strativi, Torino, 1993, spec. 100 ss. Cfr. anche A. ZITO, L’integrazione in giudizio della motiva-zione del provvedimento: una questione ancora aperta, in Dir. proc. ammin., 1994, 588.

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vendo il testo originario della legge 241/1990 riportato nell’alveo della violazio-ne di legge ipotesi di illegittimità prima ricadenti nell’ambito di applicazione dell’eccesso di potere (31), il recupero del formalismo che ciò ha implicato si è pensato potesse essere efficacemente contrastato dall’irregolarità che, in conside-razione dell’annotata concezione antiformalista del diritto amministrativo preval-sa negli ultimi decenni, si è recentemente imposta all’attenzione della dottrina e della giurisprudenza.

L’irregolarità è stata insomma utilizzata perché ritenuta strumentale ad una applicazione non meramente formale delle disposizioni della legge 241/1990. Quest’ultima ha riportato nell’alveo della violazione di legge ipotesi di illegittimità prima ricadenti nell’ambito di applicazione dell’eccesso di potere e che, come tali, consentivano un sindacato sulla validità del provvedimento più ar-ticolato e comunque non ancorato alla applicazione tipicamente sillogistica del vizio di violazione di legge. Cosicché, a fronte della necessità di conciliare istan-ze di garanzia con tensione all’efficienza amministrativa (oggi esplicitamente ri-conosciuta quale criterio-guida dell’attività amministrativa ad opera dell’art. 3-bis della l. 241/1990), parte della dottrina e della giurisprudenza « anziché prose-guire nel tentativo defatigante della loro conciliazione, sembra aver inteso segna-lare la necessità di curare hic et nunc l’efficienza, aspettando tempi diversi e mi-gliori per curare la garanzia » (32). In una prospettiva di sintesi, l’irregolarità co-stituirebbe la « via di fuga » dalla formalizzazione dell’esercizio del potere am-ministrativo che consegue all’entrata in vigore della legge sul procedimento: al-lorché il mancato rispetto di una delle regole sulla formazione della decisione non abbia inciso sul contenuto dell’atto, quest’ultimo sarebbe meramente irrego-lare e non già illegittimo. In altre parole: se l’atto raggiunge lo scopo della norma sarebbe comunque idoneo a dispiegare i suoi effetti giuridici (33).

Per evitare l’irrigidimento del sistema di individuazione dell’interesse pubblico provocato dalla legge 241/1990, questa soluzione non è però riuscita a fornire una risposta antiformalista che possa prescindere dalla descrizione del ca-so concreto. Essa, infatti, è priva di qualsiasi affidabilità in astratto, non offrendo la possibilità di individuare la regola generale per distinguere l’atto illegittimo dall’atto irregolare; discriminazione che, in tal modo, è rimessa alla valutazione caso per caso dell’interprete e, più specificamente, del giudice. Il quale ultimo, chiamato dall’ordinamento a risolvere in primo luogo controversie, si è varia-

(31) Secondo un andamento peraltro assai frequente nella ricostruzione

dell’invalidità dell’azione amministrativa a seguito dell’opera legislativa di classificazione e ri-classificazione delle fattispecie tra eccesso di potere e violazione di legge: così A. POLICE, La predeterminazione delle decisioni amministrative, cit., spec. 331 s. Sul punto, v. F.G. SCOCA, I vizi formali nel sistema delle invalidità dei provvedimenti amministrativi, in AA.VV., Vizi for-mali, procedimento e processo amministrativo, a cura di V. PARISIO, cit., 58 ss.

(32) Come dimostrato da F. SAITTA, Garanzie partecipative ed « ansia » del provve-dere, intervento al Convegno Il ruolo dei privati nelle nuove amministrazioni: verso l’emersione di una « cittadinanza amministrativa »?, cit.

(33) Per la definizione di irregolarità, v. A.M. SANDULLI, Manuale di diritto ammi-nistrativo, Napoli, 1989, I, 711 s.

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mente pronunciato sul punto, senza delimitare con esattezza i caratteri distintivi della violazione delle regole procedimentali che comporta illegittimità e di quella che comporta irregolarità.

Uno dei motivi per cui l’irregolarità non ha offerto i risultati attesi pare potersi individuare nel fatto che, contrariamente alle apparenze, essa non è stru-mentale all’antiformalismo.

5. L’irregolarità come istituto di natura formale. Per avallare la congruità tra sostanzialismo ed irregolarità, bisognerebbe

riuscire ad affermare che quest’ultima consegua ad un’interpretazione finalistica dell’atto amministrativo, ossia che essa sia funzionale alla dimostrazione del rag-giungimento dello scopo della norma che giustifica la tenuta in vita dell’atto no-nostante la carenza di conformità rispetto ai parametri legali. Un tale ragiona-mento implica tuttavia che l’atto sia ritenuto invalido ex ante e che venga a sa-narsi in quanto, ex post, si dimostri integrato il τέλoς della regola giuridica, dal momento che l’invalidità è il presupposto teorico indispensabile per l’applicazione dell’istituto del raggiungimento dello scopo. Quest’ultimo, infatti, per fini economici, consente la conservazione degli effetti (o di parte degli effet-ti) propri di un atto che, si per sé, non potrebbe produrli perché perfezionatosi difformemente rispetto al canone legale.

Nel caso dell’irregolarità, invece, come è stato dimostrato, sussiste una va-lutazione « preventiva e aprioristica dell’importanza della formalità considerata », il cui eventuale mancato rispetto non incide sull’efficacia dell’atto. Essa consi-ste in un vizio derivante da una vera e propria violazione che però si ritiene « a priori ed in astratto, insuscettibile di influire sul contenuto dispositivo del prov-vedimento » e che attiene ad « un elemento necessario a garantire la legittima-zione politica della decisione », sicché non si ripercuote sul provvedimento, che appare pertanto quale « legittima manifestazione dell’autorità » (34).

Per maggior precisione, occorre puntualizzare che l’irregolarità si integra quando sussiste un provvedimento che, pur essendo stato adottato a seguito di una violazione di una norma sulle modalità di esercizio del potere, va esente da conseguenze cassatorie. A questo proposito, è stata individuata una differenza tra clausola del raggiungimento dello scopo in diritto amministrativo e in diritto pro-cessuale, laddove quest’ultimo, facendo leva sull’art. 156, cod. proc. civ., conce-pisce l’atto irregolare come « invalido sanato ex post », mentre il provvedimento amministrativo affetto da vizio formale è « un atto ab origine meramente irrego-lare » (35).

(34) A. ROMANO TASSONE, Contributo sul tema dell’irregolarità degli atti ammini-

strativi, cit., 85 s. (35) Così G. MORBIDELLI, Invalidità e irregolarità, in Annuario dell’Associazione

italiana dei professori di diritto amministrativo 2002, Milano, 2003, 88.

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Sempre su questa linea di pensiero, si rileva comunque come anche la dot-trina civilistica e quella processualista chiariscano che, per evitare il paradosso di ritenere che un atto giuridico imperfetto (recte, difforme dal paradigma legale) possa avere la stessa rilevanza giuridica di uno perfetto, occorra distinguere tra gli elementi marginali o « utili » e quelli essenziali della fattispecie (36). In parti-colare, in ipotesi di inosservanza di questi ultimi si avrà vera e propria imperfe-zione e dunque invalidità dell’atto. Il mancato rispetto degli elementi marginali, invece, « non influirà in nessun modo sugli effetti tipici dell’atto », perché non si tratta di un’imperfezione, bensì di « una irregolarità nel compimento dell’atto, dato che la previsione di una circostanza “utile” si risolve al massimo dell’imposizione di un obbligo alla persona che compie l’atto: non adempiendo all’obbligo, l’autore dell’atto andrà incontro alla relativa responsabilità, ma l’efficacia tipica dell’atto rimarrà impregiudicata » (37).

Quanto appena riportato consente di ulteriormente suffragare il dato per cui l’irregolarità è collegata ad una classificazione, condotta a priori, dei requisiti di validità e di quelli di regolarità dell’atto giuridico. La qualificazione di un atto amministrativo alla stregua di irregolare è dunque scevra da qualsiasi componen-te sostanzialista (38). L’irregolarità consegue alla stessa maniera dell’illegittimità per vizio di violazione di legge o di incompetenza: esclusivamente a seguito della trasgressione di una prescrizione giuridica.

Ontologicamente, quindi, questi tre vizi sono formali, perché si acclarano tutti a seguito della mancata osservanza di una regola giuridica e a prescindere dagli aspetti applicativi del provvedimento (il che deve essere tenuto distinto sia dalle modalità di verifica del vizio dell’atto — posto che in tutte le ipotesi la dif-formità di quest’ultimo dal paradigma legale deve essere riscontrata in concreto —, sia dai riflessi sostanziali derivanti da tali vizi).

Recependo la dottrina che ha chiarito come nei casi in cui il mancato ri-spetto di una norma sulla formazione della decisione importi l’irregolarità si rea-lizzi comunque l’interesse pubblico (con la conseguenza che l’atto irregolare non può essere annullato in via di autotutela per « eccesso di interesse pubblico ») (39), pare di potere affermare che così come, formalmente, nelle ipotesi di viola-

(36) E. BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, Torino, 1943, 9 ss.; 294 ss.; A. FALZEA, La condizione e gli elementi dell’atto giuridico, Milano, 1941, 25 ss. F. CARNELUTTI, Istituzioni del nuovo processo civile italiano, I, Roma, 1951, 358, specifica che la perfezione e l’imperfezione sono concetti statici, perché riguardano « l’essere dell’atto », mentre l’efficacia è concetto dinamico, inerendo al momento operativo dell’atto perfetto.

(37) Così G. CONSO, Il concetto e le specie di invalidità. Introduzione alla teoria dei vizi degli atti processuali penali, Milano, 1955, 24.

(38) F. MANGANARO, Principio di legalità e semplificazione dell’attività ammini-strativa, Napoli, 2000; F. SAITTA, L’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento: profili sostanziali e processuali, cit., 449 ss.; A. ROMANO TASSONE, voce « Situazioni giuridiche sog-gettive », in Enc. dir., agg., Milano, 1998, 966 ss.; ID., I problemi di un problema. Spunti in te-ma di risarcibilità degli interessi legittimi, in Dir. ammin., 1997, 83.

(39) E. CASETTA, Le trasformazioni del processo amministrativo, in Riv. it. dir. pubbl. comunitario, 1999, 689. Le conseguenze della violazione delle norme da cui scaturisce l’irregolarità dovranno piuttosto ricercarsi sul piano dell’ordinamento speciale

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zione di legge e di incompetenza si ritiene che l’interesse pubblico non sia stato realizzato e, quindi, che l’atto debba essere rimosso, altrettanto formalmente si ammette sempre realizzato l’interesse pubblico nelle fattispecie di irregolarità.

6. La riforma della legge 241/1990: l’art. 21-octies e la incerta definizione delle forme di invalidità del provvedimento. In questo contesto teorico sembra potersi comprendere meglio la « svolta

epocale » che il regime di invalidità dell’azione amministrativa ha subito a segui-to dell’entrata in vigore della l. 15/2005. Perseguendo il palese obiettivo di conci-liare gli aspetti formali con quelli sostanziali nella applicazione delle regole pro-cedimentali, l’art. 21-octies della legge n. 241/1990 così dispone: « Non è annul-labile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in con-creto adottato ».

La nuova disciplina si iscrive nel più ampio disegno di regolamentazione del tema della invalidità dei provvedimenti amministrativi, che comporta l’introduzione, all’interno della legge sul procedimento, di importanti articoli che, a ben vedere, attengono ad un momento successivo al farsi dell’azione am-ministrativa, anche se ad esso strettamente collegato.

Per limitare il discorso all’annullabilità, dunque, la disciplina della invali-dità non è più unicamente ricavabile dalle disposizioni processuali, in particolare dall’art. 45, r.d. n. 1054/1924 (t.u. Cons. Stato), ai sensi del quale il giudice am-ministrativo, « Se accoglie il ricorso per motivi di incompetenza annulla l’atto e rimette l’affare all’autorità competente. Se accoglie il ricorso per altri motivi, nei casi previsti dall’art. 26 e dai nn. 1, 6 e 7, dell’art. 29, annulla l’atto o provvedi-mento, salvo gli ulteriori provvedimenti dell’autorità amministrativa; e negli altri casi, ove non dichiari inammissibile il ricorso, decide anche nel merito ». Anzi, al riguardo, l’art. 45 testé citato risulta abrogato in parte, nel senso che la violazione di legge non comporta necessariamente l’annullamento dell’atto, anche se il comma 1 dell’art. 21-octies, l. 241/1990 esordisce in modo perentorio, ribadendo che « è annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato per eccesso di potere o da incompetenza », per introdurre però, immediatamente dopo, la regola della non annullabilità che qui viene esaminata.

Si è parlato di « atto » con riferimento all’art. 45, t.u. Cons. Stato. Invero, dall’esame della novellata disciplina è possibile ricavare una prima osservazione che attiene al fatto che la legge si disinteressa del regime di validità degli atti amministrativi considerati nel loro complesso, per occuparsi unicamente di quelli

dell’amministrazione: si tratterà di individuare e sanzionare le responsabilità disciplinari e am-ministrative (così E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, cit., 485; A. ROMANO TAS-SONE, Contributo sul tema dell’irregolarità degli atti amministrativi, cit., 91; A.M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, cit., I, 712).

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provvedimentali e, cioè, degli atti che sono destinati a produrre effetti sul piano dell’ordinamento giuridico generale (efficaci, come è dato desumere dagli artt. 21-bis e seguenti).

Un accenno agli « atti » si rinviene soltanto nella parte in cui si parla di « forma degli atti ». Il passaggio pare tuttavia frutto di un refuso, o, al più, forzan-do un poco l’interpretazione, potrebbe essere considerata espressione della regola per cui pure il mancato rispetto di una norma sulla forma di un atto endoproce-dimentale non ridonda in invalidità derivata del provvedimento finale ove ricor-rano le condizioni indicate dall’art. 21-octies.

Come ancora si dirà (par. 9), la disposizione non può essere riferita ai vizi di forma che generano addirittura nullità ai sensi dell’art. 21-septies. Già fin d’ora va rilevata la scarsa chiarezza della disciplina nel suo complesso, che può ingenerare dubbi e difficoltà interpretative, anche perché, al momento di definire la nullità, che costituisce la forma più grave di invalidità, la legge fa cenno a « elementi essenziali » che da nessuna parte si premura di elencare (40), frustrando così — anche sotto questo profilo — il bisogno di certezza che ci si poteva atten-dere da una fonte chiamata a stabilire le « regole del gioco » nel rapporto tra amministrazione e cittadini.

La disposizione, infine, non fa cenno agli accordi sostitutivi di provvedi-mento, che la riforma mira a rafforzare eliminando la regola che subordinava la possibilità di stipularli alla espressa previsione legislativa (cfr. il nuovo comma 1 dell’art. 11, l. 241/1990).

Stante la sua natura derogatoria rispetto alla regola generale dell’annullabilità degli atti non conformi a paradigma normativo, potrebbe opi-narsi nel senso che il comma 2 dell’art. 21-octies, cit., sia norma di stretta inter-pretazione, sicché gli accordi sostitutivi adottati a seguito di un procedimento vi-ziato ai sensi della prescrizione in esame resterebbero illegittimi. Il rilievo non è particolarmente significativo per quanto attiene alla posizione del privato che ha stipulato l’accordo (egli, in linea di principio, al di là dell’inquadramento teorico della situazione, non è incline — o è impossibilitato — ad impugnare l’atto patti-zio), mentre potrebbe risultare importante per il terzo intenzionato a contestarlo (si pensi al caso della omessa comunicazione di avvio del procedimento) (41). In altri termini, a seguire la tesi qui delineata la circostanza che lo strumento patti-zio sia dotato di un grado di stabilità inferiore rispetto al corrispondente provve-dimento (in quanto non opera il meccanismo di recupero delle illegittimità pro-cedimentali) potrebbe disincentivare l’amministrazione a farvi ricorso.

Disincentivo che nella prassi parrebbe andarsi a coniugare con quello con-seguente al fatto che nei casi di conclusione di accordi (anche quelli sostitutivi di provvedimento) spetterà al dirigente adottare una determinazione con cui si as-

(40) In questo senso v. anche F. SATTA, La riforma della l. 241/90: dubbi e perples-

sità, in questo Forum. (41) Sulle problematiche relative al terzo nel procedimento amministrativo, v. R.

FERRARA, Il procedimento amministrativo visto dal « terzo », in Dir. proc. ammin., 2003, 1024 ss.

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sume la responsabilità che il ricorso allo strumento convenzionale anziché a quel-lo provvedimentale avviene nel rispetto « dell’imparzialità e del buon andamento dell’azione amministrativa ». Responsabilità assai gravosa, che anche alla luce delle sofferenze applicative riscontrate in questi anni dall’istituto degli accordi endoprocedimentali, parrebbero invero costituire un freno all’applicazione della riforma dell’art. 11, l. 241/1990 (42).

7. Il significato dell’espressione « provvedimento non annullabile ». L’art. 21-octies introduce la figura del provvedimento non annullabile al-

lorché ricorrano alcune condizioni. Uno dei principali nodi problematici che la nuova disposizione solleverà è

suscettibile di essere visivamente rappresentato da una sorta di pendolarismo tra due opposte concezioni ricostruttive: quella che sostiene la sua qualificazione come norma processuale e quella incline ad attribuirle valenza anche sostanziale. In altri termini, ci si può domandare se, sancendo la non annullabilità del provve-dimento, la legge abbia inteso escludere la possibilità che esso (comunque illegit-timo) ed i suoi effetti vengano eliminati dal giudice amministrativo, ovvero si sia spinta a concludere nel senso che l’atto non sarebbe più qualificabile, sul piano sostanziale, come annullabile.

Accedendo alla prima opzione ricostruttiva, si dovrebbe ammettere che l’atto — ricorrendone i requisiti — possa essere annullato d’ufficio, in sede di controllo o disapplicato dal giudice ordinario. Non mancano supporti a sostegno di siffatta interpretazione: la seconda parte del comma 2 dell’art. 21-octies, cit., dispone che « Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto esse-re diverso da quello in concreto adottato ». Qui la norma fa chiaramente riferi-mento al giudizio, evitando di richiamare altre sedi giustiziali o l’ambito dell’annullamento d’ufficio. Peraltro, essa si riferisce ad un caso specifico (atto viziato per violazione della norma sull’obbligo della comunicazione) e, comun-que, potrebbe essere interpretata in via estensiva o analogica (sulla questione si tornerà comunque infra, par. 9).

A favore della opposta tesi militano alcune ragioni: in primo luogo, la col-locazione della norma che, appunto, è ospitata in una legge di valenza indubbia-mente sostanziale; in secondo luogo, l’interpretazione sistematica (ancorché non agevole e non priva di incertezze). A tale ultimo riguardo, va osservato che la ri-sposta al quesito sopra posto sembra suscettibile di essere rinvenuta non già

(42) Su cui, in generale, cfr. G. TULUMELLO, Il nuovo regime di atipicità degli ac-

cordi sostitutivi: forma di Stato e limiti all’amministrazione per accordi, in questo Forum.

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all’interno dell’art. 21-octies, ma in forza della lettura dell’art. 21-nonies, che ha ad oggetto l’annullamento d’ufficio (43).

Questa disposizione esordisce affermando che « il provvedimento illegit-timo ai sensi dell’art. 21-octies può essere annullato d’ufficio ». Ora, l’art. 21-octies, come già anticipato, prevede due categorie di provvedimenti:

a) quelli annullabili, compresi nella categoria generale degli atti difformi dal paradigma normativo e oggetto della disciplina che pare munita della dignità di « regola »;

b) quelli difformi dal paradigma normativo e ciononostante — secondo una disciplina che si configura come l’ « eccezione » — non annullabili (e, si no-ti, da ritenere non annullabili in assoluto, atteso che non vi è alcuna specificazio-ne) in ragione della inesistenza di un’alternativa di contenuto dispositivo rispetto a quello concretizzato.

Per il principio di non contraddizione (o, meglio, per la sua articolazione costituita dal « terzo escluso »), un provvedimento non può essere al tempo stes-so annullabile d’ufficio perché illegittimo (ex art. 21-nonies) e non annullabile tout court (in forza dell’art. 21-octies, comma 2): pertanto si deve concludere che i provvedimenti non annullabili in forza dell’art. 21-octies siano quelli non ille-gittimi sul piano sostanziale.

Vero è che l’art. 21-nonies si occupa di una tipologia specifica di annulla-bilità (d’ufficio) e introduce un’ulteriore categoria, non ricompresa nell’art. 21-octies, e, cioè, l’illegittimità (44). Si potrebbe quindi immaginare che, per esclu-sione, l’art. 21-octies abbia ad oggetto quell’area di annullamento non riducibile all’annullamento d’ufficio: l’annullamento giurisdizionale, appunto. Tuttavia, la formula (certo, non felicissima) (45) secondo cui un provvedimento illegittimo può essere annullato sembra poter essere tradotta nel senso (d’altro canto con-forme alla esatta impostazione dogmatica del tema) che il medesimo provvedi-mento, per essere annullato, debba essere illegittimo ai sensi dell’art. 21-octies. Il rinvio, comunque, impone di ricercare i presupposti dell’illegittimità in seno a ta-

(43) Tale istituto è stato tra l’altro interessato dalla disciplina di cui all’art. 1, comma

136, l. 30 dicembre 2004, n. 311 (« Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e plu-riennale dello Stato - legge finanziaria 2005 »), secondo cui « Al fine di conseguire risparmi o minori oneri finanziari per le amministrazioni pubbliche, può sempre essere disposto l’annullamento di ufficio di provvedimenti amministrativi illegittimi, anche se l’esecuzione de-gli stessi sia ancora in corso. L’annullamento di cui al primo periodo di provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati deve tenere indenni i privati stessi dall’eventuale pregiudizio patrimoniale derivante, e comunque non può essere adottato oltre tre anni dall’acquisizione di efficacia del provvedimento, anche se la relativa esecuzione sia perdu-rante ».

(44) Sui rapporti tra invalidità e illegittimità, v. A. POLICE, L’illegittimità dei prov-vedimenti amministrativi alla luce della distinzione tra vizi c.d. formali e vizi sostanziali, in Dir. ammin., 2003, 741 ss.

(45) Il carattere confuso della disciplina del suo complesso (già rilevato: v. par. 6) davvero non soddisfa le attese riposte in una legge che pretende di affinare le regole minime, essenziali e certe dell’agire amministrativo.

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le ultima norma, che sanziona con l’annullabilità soltanto una categoria di prov-vedimenti difformi dal paradigma normativo.

Potrebbe ulteriormente obiettarsi che qui si parla di annullabilità e non di illegittimità. Sembra però doversi opinare nel senso che i due termini siano stati considerati equivalenti dal legislatore.

L’accenno consente di rilevare che la disciplina qui in esame dovrebbe in-cidere anche sulla miglior definizione del campo di applicazione dell’art. 20, l. 241/1990, là dove si afferma che l’amministrazione competente può annullare l’atto di assenso (sic!) illegittimamente formato a seguito di silenzio assenso, quanto meno nei casi di attività vincolata. Soltanto la violazione delle norme sui presupposti di formazione del silenzio sembra fondare la sua qualificazione come effetto illegittimo, di conseguenza annullabile (46). Si tratta di un’area « esterna » al farsi del potere procedimentalizzato e alla forma dell’atto e, cioè, a quei vizi per i quali l’art. 21-octies introduce il meccanismo di recupero della legittimità.

Si noti, in conclusione, che non incide sul ragionamento qui condotto l’osservazione in forza della quale, atteso che il provvedimento, con tutta eviden-za, realizza l’interesse pubblico, risulta arduo dimostrare che ricorrano i presup-posti per procedere all’annullamento d’ufficio, considerando che tra di essi vi è la sussistenza di ragioni di interesse pubblico. Ciò è corretto, ma non vale a risolve-re il problema della illegittimità o meno dell’atto non annullabile, nel senso che il mancato annullamento d’ufficio deriverebbe dalla insussistenza del secondo re-quisito (estraneo rispetto alla illegittimità), appunto costituito dalle ragioni di in-teresse pubblico.

8. L’atto non annullabile nasce legittimo o viene sanato? Come già in altra sede si è osservato (47), per restare alla opzione « so-

stanziale », sembrano configurabili almeno due interpretazioni: a) la prima ritiene l’atto, pur difforme dal paradigma normativo, origina-

riamente legittimo. Questa è l’impostazione che conduce immediatamente alla tematica della irregolarità;

b) la seconda opzione è quella secondo cui l’atto potrebbe essere origina-riamente illegittimo, ma non più annullabile, perché sanato, dovendosi ricercare la chiave e la ratio della sua possibile convalida nel fatto che il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

(46) Quanto osservato nel testo pare trovare conferma — pur nella censurabile im-

precisione della norma — nel nuovo art. 19 della l. 241/1990 siccome modificato dal d.l. 35/2005, che ammette l’esercizio del « potere dell’amministrazione competente di assumere de-terminazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies » nelle ipotesi di denuncia di inizio attività relativa ad una fattispecie in cui la medesima amministrazione ac-certi la « carenza delle condizioni, modalità e fatti legittimanti ».

(47) F. FRACCHIA, Vizi formali, semplificazione procedimentale, silenzio-assenso e irregolarità, cit.

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In ogni caso (va ribadito), l’atto non è annullabile dal giudice perché man-ca (originariamente o in via sopravvenuta) il vizio.

La dottrina ha segnalato la distanza tra la nuova disciplina e il modello della irregolarità, concludendo nel senso della illegittimità del provvedimento e invocando un’applicazione estensiva del principio del raggiungimento dello sco-po (48), da accertare di volta in volta in giudizio.

Se così intesa, la norma non è del tutto rassicurante. Lascia dubbiosi un’impostazione ripiegata sulla necessità meramente descrittiva del dato feno-menico così come emerso nella prassi. È evidente che ai fini dell’applicazione dell’art. 21-octies possa condurre a eccellenti risultati pratici una soluzione inter-pretativa che colleghi la legittimità al canone del raggiungimento dello scopo e a quella sorta di « prova di resistenza » (49) che la norma introduce. Tuttavia, a meno di negare qualsiasi valenza normativa alla disposizione in esame, non pare accettabile il mero rinvio alle risultanze operative, lasciando il campo libero alla sola prassi applicativa: essa risulterebbe contraria al fine che dovrebbe porsi, os-sia guidare la (e non farsi guidare dalla) valutazione giurisprudenziale dell’attività amministrativa.

Più in generale, non paiono potersi elevare al grado teorico fattori discri-minanti che possono essere valutati soltanto in concreto, mediante l’indagine di ogni singola fattispecie normativa e di prassi operativa. Seguendo il richiamo al rigore nell’uso delle categorie e dei concetti giuridici effettuato in sede epistemo-logica, sembra più consono un atteggiamento metodologico che, risentendo inve-ce della tensione al « sistema » e dell’ineliminabile condizionamento del dato po-sitivo, intende ordinare il dato fenomenico, mediante concettualizzazioni succes-sive, in categorie generali che risultino strutturate e coordinate in un impianto te-orico più ampio, tale da costituire un modello di lettura della realtà giuridica ido-neo a « “farsi ordinamento” e di ergersi a momento di unificazione, sia pure ipo-tetica e provvisoria, della complessità ordinamentale » (50).

Il principio fondamentale della certezza del diritto che, a questo riguardo, predica non solo la conservazione degli effetti giuridici, ma anche e soprattutto l’insostituibilità della valutazione assiologica del legislatore con quella dell’interprete, suggerirebbe di ancorare il parametro discriminatorio tra legitti-mità e illegittimità alla legge, piuttosto che alle mutevoli soluzioni elaborate in ambito interpretativo-attuativo, la cui naturale tensione al caso concreto genera motivate diffidenze. Inoltre, come visto, il raggiungimento dello scopo introduce elementi di apprezzamento dell’azione amministrativa di carattere squisitamente sostanziale in un contesto — l’attività vincolata in cui tradizionalmente opera l’irregolarità — che è formale.

(48) In argomento, A. ROMANO TASSONE, Prime osservazioni sulla legge di riforma

della l. 241/1990, in questo Forum; D.U. GALETTA, Notazioni critiche sul nuovo art. 21-octies della legge 241/1990, ibidem.

(49) G. CORSO, voce « Validità – c) Diritto amministrativo », cit., 105. (50) Sul punto, v. A. ROMANO TASSONE, Metodo giuridico e ricostruzione del si-

stema, in Dir. ammin., 2002, 21.

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9. Irregolarità e situazioni giuridiche soggettive: i problemi di compatibilità con l’art. 113 Cost. Poniamo allora che l’art. 21-octies in esame preveda una fattispecie di ir-

regolarità. A siffatta impostazione potrebbe essere accostata quella che intenda con-

figurare il provvedimento di cui all’art. 21-octies, comma 2, come un atto valido perché originariamente idoneo a conseguire il proprio scopo, secondo il modello ricavabile a contrario dall’art. 156, comma 2, c.p.c. (il cui utilizzo, nel caso in e-same, dovrebbe comunque prima risolvere i dubbi circa l’applicabilità di una norma processuale in un contesto procedimentale e superare gli ostacoli costituiti dell’esclusivo riferimento, che la norma del codice opera, alla « nullità » e all’assenza dei « requisiti formali » dell’atto, senza alcun cenno a vizi procedi-mentali).

Riprendendo i caratteri dell’irregolarità siccome supra ricordati (e soprat-tutto al suo carattere formale), se tanto l’illegittimità quanto l’irregolarità atten-gono ad una valutazione operata ex ante — e dunque indipendentemente dalla fattispecie concreta — rispetto alle conseguenze della mancata applicazione di regole giuridiche da cui esse scaturiscono, la differenza che le separa — annul-lamento/non annullamento dell’atto — non può che dipendere dalla natura della regola violata. In ipotesi di irregolarità e in quella di illegittimità, la costante è la violazione: pertanto, la differenza dipende dalla natura della regola compromes-sa.

Sembra allora emergere il dato per cui le norme che prevedono l’irregolarità sono quelle il cui rispetto o meno non incide sul contenuto dell’atto, ossia sulla realizzazione dell’interesse pubblico e che, qualora violate, non com-primono interessi privati che sono parte integrante dell’assetto degli interessi di-sciplinato dall’ente pubblico nel provvedimento. Dal punto di vista della rico-struzione delle situazioni giuridiche soggettive, accedendo all’impostazione teo-rica secondo cui la situazione giuridica che « dialoga » con il potere è soltanto l’interesse legittimo (posto che il diritto soggettivo è la situazione giuridica sog-gettiva di immunità dal potere), pare dunque di potere affermare che le norme la cui violazione comporta mera irregolarità non tutelano interessi legittimi.

Caratteristica tipica della norma alla cui violazione consegue la mera irre-golarità sembra dunque essere che essa non riconosce al cittadino un interesse le-gittimo e dunque una protezione giuridica nell’ambito del sindacato di legittimi-tà. Lo sforzo di ricostruzione teorica della vicenda è influenzato dalla considera-zione del parametro costituzionale: ammettendo che il privato sia titolare di un interesse legittimo in relazione all’atto irregolare che incide negativamente nella sua sfera giuridica si finirebbe, infatti, con il negargli il relativo diritto di reazio-ne processuale, in palese contrasto con il principio costituzionale espresso dagli

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artt. 24 e 113 (51). In pratica, la violazione della norma di azione da parte dell’atto irregolare si risolverebbe in un episodio di mera irrilevanza e non già di illegittimità e, dunque, di annullabilità: il che non può avvenire a fronte della le-sione di un interesse legittimo.

Il rispetto del quadro costituzionale richiede necessariamente che la norma di azione la cui violazione comporti irregolarità non tuteli/riconosca situazioni di interesse legittimo. Da questo punto di vista, riprendendo le chiare indicazioni provenienti dall’art. 8 della l. 241/1990 (che limita l’omissione di comunicazione di avvio del procedimento ai soli soggetti nel cui interesse essa è prevista) e da parte della dottrina (che ha collegato la teoria dell’invalidità in diritto ammini-strativo a quella delle situazioni giuridiche soggettive, osservando che « L’interesse del privato, le ragioni della sua tutela vengono allora richiamati per delimitare la rilevanza del vizio: non l’astratto scostamento dal modello normati-vo determina l’illegittimità dell’atto, ma solo la difformità che danneggia la parte che lo denunci ») (52), in altra sede si è proposto di collegare tale tipologia di norme agli interessi procedimentali.

Questi ultimi sono quelle situazioni giuridiche che compongono con i di-ritti soggettivi e gli interessi legittimi il « fascio di situazioni giuridiche soggetti-ve » di cui il cittadino è potenzialmente titolare nei confronti degli enti pubblici: esse si caratterizzano per essere qualificate (dalle norme) ma non differenziate (e dunque « esterne » alla vicenda giuridica la cui produzione è l’effetto tipico del potere amministrativo esercitato in concreto) e per essere tutelate, nel procedi-mento, mediante l’intervento volontario ex art. 9, l. 241/1990; in giudizio, me-diante l’intervento processuale (a seconda dei casi, ad opponendum oppure ad adiuvandum) (53).

L’art. 21-octies pare tuttavia sfuggire a questo paradigma teorico, perché le ipotesi di non annullabilità (si pensi al mancato rispetto della regola sulla co-municazione di avvio di procedimento) non sembrano esclusivamente riconduci-bili alla violazione di norme a tutela di interessi procedimentali. Per altro verso, come ancora si dirà con riferimento all’attività discrezionale, si tratta di disposi-zioni la cui violazione ben può dar luogo ad annullabilità e, quindi, a lesione di interessi legittimi.

Pertanto, tale norma non pare individuare casi di irregolarità (54).

(51) Ragionando in margine all’art. 4, del d.d.l. approvato dal Consiglio dei Ministri

in data 7 marzo 2002, G. MORBIDELLI, Invalidità e irregolarità, in Annuario dell’Associazione italiana dei professori di diritto amministrativo 2002, cit., 98, osserva che non si porrebbe, in-vece, un problema di illegittimità costituzionale, in quanto non si avrebbe una una riduzione dei vizi di legittimità, ma una mera « interpretazione secondo ragione del contenuto essenziale degli atti amministrativi (e dei procedimenti) », ossia « una interpretazione secondo i principi costitu-zionali di buon andamento, di conservazione di valori giuridici, di ragionevolezza ».

(52) G. CORSO, voce « Validità – c) Diritto amministrativo », cit., 105. (53) Sul punto sia consentito rinviare a M. OCCHIENA, Situazioni giuridiche sogget-

tive e procedimento amministrativo, Milano, 2002, 450 ss. e dottrina ivi citata. (54) In ogni caso, deve rilevarsi che la proposta teorica sopra formulata era comple-

tata dalla osservazione secondo cui la violazione di norme a protezione di interessi procedimen-

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Sempre sul presupposto per cui l’irregolarità sia valutabile ex ante e non ex post, sembra poi da escludersi che l’impedimento a reagire nei confronti dell’irregolarità attenga alla carenza non tanto dell’interesse legittimo, quanto dell’interesse al ricorso (55). Se così fosse, infatti, l’irregolarità si risolverebbe nell’utilità, nel vantaggio derivante al privato dall’azione giurisdizionale, che do-vrebbe però valutarsi caso per caso (56) e non astrattamente, come richiesto dalla definizione accolta di irregolarità.

Sotto diverso profilo, potrebbe affermarsi che la norma in commento an-drebbe esente da censure costituzionali ammettendo che la disposizione della Co-stituzione possa ritenersi soddisfatta ove alla violazione della norma procedimen-tale o di forma l’ordinamento ricollegasse sanzioni differenti rispetto all’annullamento del provvedimento. A parte il fatto che soprattutto l’art. 113 Cost. sembra riconoscere quale contenuto minimo inderogabile della tutela giuri-sdizionale dell’interesse legittimo proprio l’annullamento dell’atto viziato (57), si osserva che la riforma della l. 241/1990 tace completamente in merito ad altre forme di tutela degli interessi legittimi vulnerati dalla violazione di norme sul procedimento, sulla forma degli atti o per mancata comunicazione di avvio del procedimento (58).

Ed è proprio questo il « punto debole » della costruzione, soprattutto se valutata alla luce delle attese dei cittadini. Se davvero si voleva dequotare la rile-vanza di alcuni vizi, occorreva agire in due direzioni: o eliminare le norme che richiedono agli enti pubblici adempimenti procedimentali, perché ritenuti irrile-vanti (cfr. infra, parr. 11 e 14), o prevedere conseguenze diverse dall’annullamento (59).

Né può dirsi che, riguardando la nuova disciplina l’azione vincolata, il cit-tadino, esautorato della tutela cassatoria, possa godere della tutela risarcitoria (60), magari accedendo alla nota corrente dottrinale che riconosce situazioni giu-

tali dovrebbe trovare qualche altra forma di sanzione, che la legge non si è invece preoccupata di introdurre.

(55) Sulla questione dell’interesse al ricorso collegato all’impugnazione dei vizi c.d. formali, v. D.U. GALETTA, Violazione di norme sul procedimento amministrativo e annullabili-tà del provvedimento, Milano, 2003, spec. 148 ss. e 197 ss. Su tale istituto, da ultimo, L. PER-FETTI, Diritto di azione ed interesse ad agire nel processo amministrativo, Padova, 2004.

(56) Come osserva G. MORBIDELLI, Invalidità e irregolarità, in Annuario dell’Associazione italiana dei professori di diritto amministrativo 2002, cit., 93.

(57) E. FOLLIERI, La giurisdizione del giudice amministrativo a seguito della senten-za della Corte costituzionale 6 luglio 2004, n. 204 e dell’art. 21-octies della l. 7 agosto 1990, n. 241, in questo Forum.; D.U. GALETTA, Violazione di norme sul procedimento amministrativo e annullabilità del provvedimento, cit., 221 ss.

(58) D.U. GALETTA, Notazioni critiche sul nuovo art. 21-octies della legge 241/1990, in questo Forum¸ nonché A. POLICE, L’illegittimità dei provvedimenti amministrativi, cit., 784.

(59) Nel medesimo senso D.U. GALETTA, Notazioni critiche sul nuovo art. 21-octies della legge 241/1990, cit.

(60) Elaborata da F. MANGANARO, Principio di legalità e semplificazione dell’attività amministrativa, cit., spec. 215 ss. In riferimento al risarcimento del danno a seguito

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ridiche di diritto soggettivo al cospetto degli atti vincolati (61). A parte il fatto che quest’ultima ricostruzione è esattamente contrapposta al piano metodologico-ricostruttivo qui adottato e che essa è messa in forte crisi proprio dal dettato ex art. 21-octies, cit., (norma che, facendo espressamente riferimento al « provve-dimento », colloca come già rilevato la fattispecie all’interno dello schema nor-ma-potere-fatto e non lascia spazio alla riconducibilità dell’effetto giuridico ad un mero atto amministrativo conclusivo di una dinamica del tipo norma-fatto-effetto) (62), si osserva che la tutela risarcitoria pone numerosi problemi sul fron-te:

a) del necessario (almeno a seguire la posizione giurisprudenziale maggio-ritaria) previo annullamento del provvedimento (in tale ipotesi impossibile per disposizione di legge);

b) della disapplicazione del provvedimento: infatti, qualora si supponga non indispensabile l’annullamento, il risarcimento dovrà quantomeno seguire alla disapplicazione;

c) del riscontro (e valutazione) di un danno ingiusto: se la decisione non avrebbe potuto essere diversa, tale danno manca sempre, perché l’interesse pub-blico è realizzato (63). In altri termini, trattandosi di provvedimenti che, per defi-nizione, realizzano interessi a risultato per così dire garantito, non si può asserire che al privato spetti qualcosa di diverso da ciò che risulta dal dispositivo dell’atto, e nessuna valutazione giurisdizionale potrebbe sovvertire l’equilibrio così determinato. Piuttosto, si potrebbe discutere di danno nel caso opposto, di annullamento di un atto il cui contenuto non è conforme a quello previsto dalla legge.

Quanto in ultimo affermato illumina un ulteriore aspetto che non consente di ricondurre la fattispecie in analisi all’istituto dell’irregolarità. Come già rileva-to, quest’ultima comporta infatti che la trasgressione di alcune regole giuridiche sul modo di esercizio dell’azione amministrativa sia indifferente al piano dell’ordinamento giuridico generale, in quanto insuscettibile di riflettersi negati-vamente non solo sulla sfera giuridico-soggettiva del cittadino coinvolto da quell’azione (che, infatti, non è titolare di un interesse legittimo e, dunque, non può invocare l’annullamento adducendo il vizio di violazione di legge o di in-competenza), ma anche in relazione alla corretta emersione e definizione

di violazioni formali, v. anche G. GARDINI, La nuova disciplina dei vizi dell’atto amministrati-vo, in AA.VV., Dal procedimento amministrativo all’azione amministrativa, a cura di S. CIVI-TARESE MATTEUCCI, G. GARDINI, Bologna, 2004, 83 s.

(61) L. FERRARA, Diritti soggettivi ad accertamento amministrativo, Padova, 1996; A. ORSI BATTAGLINI, Attività vincolata e situazioni soggettive, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1988, 1 ss.

(62) Per questa nota terminologia, E. CAPACCIOLI, Manuale di diritto amministrati-vo, Padova, 1983, 267 s.

(63) Quest’ultima obiezione pare altresì impedire di accogliere quanto sostenuto da F. MANGANARO, Principio di legalità e semplificazione dell’attività amministrativa, cit., spec. 215 ss. che, riconosciuta al privato la titolarità dell’interesse legittimo rispetto all’attività irrego-lare, sostiene che egli possa invocare la tutela risarcitoria, sebbene non quella cassatoria.

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dell’interesse pubblico. Se quest’ultimo è pienamente realizzato, come già si è avuto modo di ricordare, allora l’amministrazione non può intervenire in secondo grado mediante l’esercizio de potere di annullamento in via di autotutela (64), che invece è esplicitamente riconosciuto dall’art. 21-nonies, l. 241/1990 (che ri-chiede, per l’appunto, un’attenta valutazione in ordine alla sussistenza delle ra-gioni di interesse pubblico).

10. Il provvedimento come elemento che sana il procedimento illegittimo e la

rottura della « catena » della invalidità derivata. Giunti a questo punto, si dispone dei necessari elementi per affrontare il

problema teorico della qualificazione del provvedimento che non è annullabile ai sensi dell’art. 21-octies.

La tesi dell’atto illegittimo ma in qualche modo sanato in ragione del rag-giungimento dello scopo (inteso in senso lato, come aderenza del contenuto a quello che avrebbe dovuto essere adottato) non si sottrae a qualche critica.

Il risultato del mancato annullamento prescinde da qualsiasi inserzione successiva dell’elemento (equivalente a quello originariamente) mancante, come invece di solito accade nel modello della convalida, ove una fattispecie imperfet-ta viene integrata da un requisito equipollente a quello che difetta, determinando così il recupero degli effetti. La rilevanza giuridica dell’atto posto in violazione della norma, nel caso in oggetto, prescinde totalmente da qualsiasi intervento successivo al provvedimento.

Né è possibile ricostruire la fattispecie alla stregua di irregolarità: è vero che essa è compatibile con il riconoscimento dell’originaria validità dell’atto, ma le problematiche esposte nel precedente paragrafo paiono insuperabili (in specie in punto di compatibilità con l’art. 113 Cost.).

Dal punto di vista concreto, poi, la sorte dell’atto sarà svelato soltanto nel processo, con tutte le incertezze del caso, già evidenziate. Questo profilo è ancora più evidente con riferimento alla seconda situazione disciplinata dal comma 2, quella del provvedimento adottato a conclusione di un procedimento in ordine al quale sia mancata la comunicazione di avvio del procedimento (cfr. infra, par. 17). In sostanza, mentre l’irregolarità opera ex ante e in astratto, l’idoneità del provvedimento, pur adottato in violazione di una norma sul procedimento o sulla forma, a conseguire un certo risultato, scolpito nei termini dell’aderenza ad un peculiare contenuto dispositivo, verrà evidenziata di volta in volta dal giudice nel processo. E ciò in base al criterio, certo non appagante, del carattere palese della difformità e, dunque, dell’esistenza di un’alternativa di sviluppo dell’esercizio del potere.

(64) Cfr. F.G. SCOCA, I vizi formali, nel sistema della invalidità dei provvedimenti

amministrativi, in AA.VV., Vizi formali, procedimento e processo amministrativo, a cura di V. PARISIO, cit., 73.

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Questo il nocciolo del problema: il provvedimento pare nascere legittimo perché la sua validità prescinde dall’influenza di qualsivoglia elemento esterno rispetto ad esso e, dunque, dall’intervento di un fattore che integri la fattispecie imperfetta; la sua legittimità o illegittimità viene però colta in un momento suc-cessivo, quando si valuta se lo scopo è stato raggiunto e, cioè, se il contenuto è identico a quello che avrebbe dovuto essere adottato. Ancora una volta, va ribadi-to, che questo giudizio non si basa su (né è influenzato da) altro che non sia la considerazione « interna » del provvedimento.

Invero, la circostanza che il giudizio sulla qualificazione di un atto o un fatto avvenga in sede processuale è evenienza affatto normale e non incide sulla qualificazione medesima, che è tale all’origine. La difficoltà in cui ci si dibatte può forse essere dissolta semplicemente modificando la prospettiva di indagine: non un angolo visuale « statico », bensì una visione « dinamica ».

La fattispecie non può che essere qualificata in termini di validità se si considera il provvedimento, per le ragioni sopra indicate; essa è invece sicura-mente illegittima se si valuta dinamicamente il farsi del potere. Da quest’ultimo punto di vista vi è una chiara difformità rispetto al paradigma normativo, che im-plica l’illegittimità dell’episodio di esercizio del potere. Semplicemente, essa viene « sanata » dal provvedimento finale che raggiunge lo scopo voluto dalla norma e, cioè, esibisce il contenuto che la norma aveva indicato.

Si può dunque asserire che l’elemento che vale a recuperare l’illegittimità posta in essere dall’amministrazione è il provvedimento, che, al momento della sua emanazione, sotto quel profilo, non può che « nascere » legittimo, risultando al contempo dotato della valenza di elemento che sana un procedimento illegitti-mo.

La peculiarità del modello è che questa convalida o sanatoria prescinde dalla dimostrazione della sussistenza di un interesse pubblico, atteso che è l’ordinamento stesso che effettua la relativa valutazione in via generale, assu-mendo che la corrispondenza del contenuto concreto con quello che avrebbe do-vuto essere adottato è sufficiente ai fini del recupero della legittimità. In ogni ca-so, la nuova disciplina vale a rompere la catena della invalidità derivata che comporta l’automatico riflettersi sul provvedimento finale della invalidità prodot-ta in un momento endoprocedimentale. Questo recupero del ruolo del provvedi-mento rispetto al procedimento, comportante un possibile scostamento di quello dalle risultanze di questo, d’altro canto, trova elementi di supporto in altre dispo-sizioni della l. 241/1990, in particolare là dove si stabilisce che « L’organo com-petente per l’adozione del provvedimento finale, ove diverso dal responsabile del procedimento, non può discostarsi dalle risultanze dell’istruttoria condotta dal re-sponsabile del procedimento se non indicandone la motivazione nel provvedi-mento finale » (art. 6, lett. e, ultima parte).

Più in generale, esso pare confermare la necessità di visualizzare la posi-zione del cittadino che si rapporta al potere al di fuori del procedimento, ricono-scendo il giusto peso anche alla vicenda giuridica prodotta dal potere. La prospet-tiva ricostruttiva qui formulata, poi, pare arginare le preoccupazioni di incostitu-

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zionalità della disciplina, atteso che l’illegittimità dell’episodio del farsi del pote-re resta, ma viene salvata.

Il discorso, tuttavia, riguarda unicamente i vizi procedimentali e quelli di forma non relativi al provvedimento finale. I vizi di forma propri del provvedi-mento (che non comportino nullità, come già evidenziato: paragrafo 5), ridonda-no invece in mera irregolarità e, per essi, si deve ritenere che non venga intaccato nessun interesse legittimo (65). È il caso dell’errata indicazione del numero di protocollo che, in modo significativo, ha dato origine ad una delle prime applica-zioni giurisprudenziali della nuova disciplina (66).

Deve infine essere osservato che la tesi qui proposta giustifica ulterior-mente l’opinione, sopra espressa, secondo cui, sussistendo i requisiti stabiliti dall’art. 21-octies, il provvedimento non può essere annullato dall’amministrazione. Gli è, infatti, che emanando il provvedimento l’ente pub-blico dà mostra di convalidare l’illegittimità, così precludendosi lo spazio per un futuro annullamento d’ufficio, che sarebbe contraddittorio rispetto alla scelta ef-fettuata a conclusione del procedimento.

Quanto detto rafforza l’idea secondo cui, dopo avere introdotto doveri en-doprocedimentali a carico degli enti pubblici e, simmetricamente, pretese parte-cipative (67) in capo ai privati, il legislatore dovrebbe compiere definitivamente il passo successivo, ossia prevedere forme di tutela alternative per queste pretese (68). Seppure sul punto si è già potuto registrare qualche timido tentativo (69), sono ad oggi carenti rimedi nei confronti delle violazioni delle regole procedi-

(65) V. sul punto le osservazioni condotte da M.A. SANDULLI, Vizi formali e vizi so-

stanziali: prime riflessioni, in AA.VV., Vizi formali, procedimento e processo amministrativo, a cura di V. PARISIO, cit., 134.

(66) Tar Abruzzo, 22 marzo 2005, n. 136, in www.giustizia-amministrativa.it. (67) Secondo la felice espressione di A. ZITO, Le pretese partecipative del privato

nel procedimento amministrativo, Milano, 1996. (68) Cfr. E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, cit., 404; F. FRACCHIA, Vi-

zi formali, semplificazione procedimentale, silenzio-assenso e irregolarità, in Dir. economia, 2002, 429; E. FOLLIERI, La pianificazione territoriale e le situazioni giuridiche soggettive, in Riv. dir. urbanistica, 2000, spec. 154; F. FRACCHIA, Osservazioni in tema di misure cautelari di carattere dispositivo nel giudizio amministrativo, in Foro it., 1998, III, 312.

(69) Si veda, al riguardo, l’art. 14, d.leg. n. 502/1992, il cui comma 5, « al fine di ga-rantire la tutela… avverso gli atti o comportamenti con i quali si nega o si limita la fruibilità del-le prestazioni di assistenza sanitaria », riconosce all’interessato, ai suoi parenti o affini, agli or-ganismi di volontariato o di tutela dei diritti la possibilità di presentare « osservazioni, opposi-zioni, denunce o reclami in via amministrativa, redatti in carta semplice », su cui il direttore ge-nerale « decide in via definitiva o comunque provvede ». Ma è soprattutto l’art. 17, comma 1, lett f) della legge n. 59/1997, che qui rileva, in quanto prevedeva (la delega in esso prevista è decaduta per decorrenza del termine) « per i casi di mancato rispetto del procedimento, di man-cata o ritardata adozione del provvedimento, di ritardato o incompleto assolvimento degli obbli-ghi e delle prestazioni da parte della pubblica amministrazione... forme di indennizzo automati-co e forfettario a favore dei soggetti richiedenti il provvedimento; contestuale individuazione delle modalità di pagamento e degli uffici che assolvono all’obbligo di corrispondere l’indennizzo, assicurando la massima pubblicità e conoscenza da parte del pubblico delle misure adottate e la massima celerità nella corresponsione dell’indennizzo stesso ».

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mentali dotati del carattere della specialità rispetto a quelli approntati dall’ordinamento a difesa delle lesioni arrecate dai provvedimenti amministrativi. Occorre cioè introdurre forme di tutela tipiche ed esclusive per le sole situazioni giuridiche partecipative, che siano esercitabili immediatamente, durante e non dopo il procedimento e che assicurino la soddisfazione dell’interesse specifico protetto dalla norma procedimentale (a prendere parte alla procedura amministra-tiva, a presentare contributi partecipativi, ad accedere agli atti procedurali, ecc.). A questo riguardo, si permetta di rinviare ad una proposta de iure condendo a suo tempo formulata per introdurre una forma di tutela sommaria a carattere giusti-ziale e giurisdizionale delle pretese partecipative, sulla falsariga di quella stabilita in materia di diritto di accesso dall’art. 25, della legge n. 241/1990, corredata dall’attribuzione del potere cautelare alla pubblica amministrazione (70).

11. Art. 21-octies, certezza del diritto e studio del diritto amministrativo: di-sincentivi per i cittadini, potenziamento del ruolo del giudice e riduzione dell’area di attività amministrativa sindacabile. A prescindere dal tema più strettamente teorico della qualificazione

dell’atto, la disposizione apre di fatto una breccia a danno della certezza del dirit-to, realizzando uno scambio ineguale tra questo valore e la logica del risultato.

L’esigenza di alleggerire la rilevanza della violazione di alcune norme, ri-tenute meno « importanti », viene infatti soddisfatta ampliando in modo signifi-cativo i poteri del giudice ed eleggendo la sede giurisdizionale quale contesto in cui si deciderà se alla violazione di una norma consegue o meno l’illegittimità dell’atto. Sarebbe stato preferibile ipotizzare strumenti di « deprezzamento » dei vizi formali inseriti nel circuito dell’esercizio del potere amministrativo, o, co-munque, una loro catalogazione normativa che non rinviasse ad una difficile a-zione di affinamento giurisprudenziale. Insomma: in quanto « padrone » della legge, il legislatore avrebbe fatto meglio ad abrogare incombenze procedimentali per l’amministrazione e, simmetricamente, pretese partecipative, piuttosto che dimidiarne l’efficacia o di « spostare… in sede processuale la verifica della ne-cessità o meno della partecipazione » (71).

Vero è che si potrebbe opinare nel senso che il campo di applicazione del-la disposizione è limitato ai soli provvedimenti vincolati. Ciò testimonia che la scelta del legislatore è comunque contraddittoria, nel senso che la violazione del-le norme procedimentali e sulla forma continuerà a essere immediata causa di annullabilità nel caso di attività discrezionale. In ogni caso, stante l’ampliarsi dei poteri amministrativi vincolati — pur sussistendone comunque ancora numerosi

(70) M. OCCHIENA, Situazioni giuridiche soggettive e procedimento amministrativo,

cit., 464 ss. (71) D. DE CAROLIS, La « forma » e la « sostanza » della comunicazione dell’avvio

del procedimento, in AA.VV., Dal procedimento amministrativo all’azione amministrativa, a cura di S. CIVITARESE MATTEUCCI, G. GARDINI, cit., 112.

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di natura discrezionale, almeno sotto il profilo tecnico — forse non si tratta di una limitazione sensibilmente apprezzabile sul piano operativo.

Ragionando in termini di analisi economica del diritto, la soluzione pre-scelta dal legislatore si risolve in un disincentivo per i privati ad intraprendere i-niziative processuali — avverso atti ritenuti vincolati — atteso che esse potrebbe-ro avere quale conseguenza il non annullamento del provvedimento ancorché il giudice abbia espressamente riconosciuto la fondatezza del ricorso in relazione all’effettiva violazione di una norma giuridica di azione. Anche tenuto conto del-la forte riduzione del sistema dei controlli sulla legittimità degli atti conseguente alle note riforme attuate negli ultimi anni, questa situazione potrebbe ulterior-mente aumentare l’area dei provvedimenti (illegittimi) non impugnati ed efficaci: il che finisce con il rendere ancora più evidente che lo studio del diritto ammini-strativo nel suo concreto atteggiarsi e fluire non può ridursi alla considerazione — viziata da eccessiva fissità — dell’elaborazione giurisprudenziale. Una parte considerevole del diritto amministrativo, infatti, non potrà essere colta nel prisma di siffatta elaborazione.

L’espansione del diritto amministrativo « fuori dalle corti » controbilancia l’altro e a tutta prima più evidente aspetto della riforma, che mira appunto a raf-forzare il ruolo del giudice amministrativo. Al suo vaglio rischiano infatti di sfuggire molte controversie.

La risultante di questa doppia azione (consolidamento dei poteri del giudi-ce, riduzione dello spettro di azione che si offre al suo sindacato), unita all’accentuazione dei poteri amministrativi in punto decisione (v. anche infra, par. 18), è in ogni caso una compressione di tutela del cittadino. Il privato, pur avendo « ragione » (e sul punto si auspica un uso ragionevole del potere di con-danna alle spese), rischia di vedere rigettata la domanda volta ad ottenere l’annullamento dell’atto; per il medesimo motivo, può essere indotto a non per-correre la via giudiziaria. Avendo in parte « disarmato » la partecipazione, la leg-ge rischia poi di costituire un forte disincentivo per il cittadino a partecipare nel procedimento che si dubiti essere vincolato. A che pro spendere energie proce-dimentali che potrebbero essere vanificate prima dall’amministrazione e poi non tutelate in sede giurisdizionale? Da questo punto di vista, stante il nuovo art. 10-bis della legge 241/1990, almeno in relazione ai procedimenti a domanda di par-te, si osserva come l’istante è indotto a partecipare non durante la fase istruttoria (cioè secondo il disegno originario della l. 241/1990), bensì dopo l’eventuale comunicazione da parte dell’ente procedente dei motivi che ostano all’accoglimento della richiesta, così in pratica « svuotando » di contenuto la forma di partecipazione più tradizionale.

Ma, più in generale, tale stato di cose rischia di rappresentare anche una sconfitta per la tutela dell’interesse pubblico, da tutti e due i fronti, da quello del diritto sostanziale e da quello del diritto processuale.

Dal punto di vista sostanziale, perché depotenziare l’istituto della parteci-pazione disincentivando il privato a prendere parte ai procedimenti amministrati-vi significa, in ultima analisi, perdere il valore aggiunto che tale intervento rap-

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presenta ai fini di una corretta determinazione del contenuto della decisione e, quindi, realizzazione dell’interesse pubblico. Infatti, « il punto di vista » del cit-tadino costituisce « un ottimo strumento, grazie al quale l’amministrazione ac-quisisce conoscenza di fatti complessi ed è in grado di colmare, quando vi siano, gap che siano dovuti ad asimmetria informativa » (72).

Dal punto di vista processuale, perché nell’attuale sistema indubbiamente l’interesse pubblico si giova della (recte, dipende dalla) iniziativa del cittadino che assume la lesione di un proprio interesse legittimo. La questione si ripropone, addirittura in forme amplificate, nella disciplina degli atti non annullabili ai sensi del secondo alinea del comma 2 dell’art. 21-octies, che consente di salvare il provvedimento dall’annullamento a seguito della dimostrazione in sede proces-suale dell’immutabilità del suo contenuto dispositivo.

Va aggiunto che la situazione di dubbio circa la sorte dell’atto non riguar-da soltanto il destinatario dell’atto e, cioè, il cittadino, ma anche il funzionario e il dirigente, che saranno costretti a muoversi in un contesto di incertezza, che ge-nera una tensione destinata a risolversi soltanto in un futuro processo. Infatti, la tentazione di aggirare le regole formali (ad esempio quella sulla comunicazione di avvio), dovrà essere valutata alla luce di un giudizio prognostico di probabilità circa il carattere palese della sussistenza di alternative di sviluppo dell’esercizio del potere. In sostanza, si avranno decisioni amministrative condizionate dalla valutazione di un possibile margine di recupero dell’invalidità, piuttosto che dalla esclusiva preoccupazione di operare in piena aderenza al paradigma normativo. Va comunque segnalato come elemento di freno alle tentazioni di cui detto, non-ché di valutazione in ordine alla scelta delle possibili alternative nell’espletamento della fase procedimentale, pare essere costituito dalle possibili sanzioni amministrative e disciplinari cui potrebbe andare incontro il funzionario e/o dirigente che viola una norma procedimentale: il che è tanto più vero quanto più si accetti la soluzione qui prospettata per cui la violazione in questione inte-gra comunque un’ipotesi di illegittimità (73).

Non è dato sapere quale sarà la risposta fornita dall’organizzazione ammi-nistrativa (e sarebbe assai interessante disporre dei dati relativi agli ordinamenti ove questi meccanismi già sono stati introdotti), anche se è ipotizzabile che sif-fatta reazione non sarà uniforme, derivando ad esempio dalla preparazione, spre-giudicatezza e attitudine dei dipendenti.

(72) R. FERRARA, Vizi formali e attività amministrativa, in AA.VV., Vizi formali,

procedimento e processo amministrativo, a cura di V. PARISIO, cit., 142. (73) Anche se in dottrina è stato sostenuto che la responsabilità amministrativa e

quella disciplinare sussiste anche a fronte dell’irregolarità: così E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, cit., 498; A. ROMANO TASSONE, Contributo sul tema dell’irregolarità degli atti amministrativi, cit., 91 ss. Contra, F. FRACCHIA, Vizi formali, semplificazione procedimentale, silenzio-assenso e irregolarità, cit., 453.

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12. Il campo di applicazione della norma di cui all’art. 21-octies, comma 2, primo alinea e il doppio « statuto » dell’attività amministrativa. Alla luce di quanto disposto dall’art. 21-octies, l. 241/1990, pare ormai

acquisito il definitivo riconoscimento che a fronte di un atto vincolato sussistano provvedimenti ipoteticamente annullabili e non già meri atti:, nella sua prima parte, letto a contrario, il comma 2 dispone infatti che i provvedimenti vincolati, a talune condizioni, potrebbero essere annullati.

La norma costituirà poi un ulteriore impulso alla studio della differenza tra vincolatezza e discrezionalità (sia pura, sia tecnica), in controtendenza rispetto alle voci favorevoli a sostenere una sorta di dissoluzione di tutta l’attività ammi-nistrativa in una dimensione unitaria, dotata di uno « statuto » comune e, comun-que, sempre in parte discrezionale (74).

Va aggiunto che la « salvezza » del provvedimento è unicamente legata all’aderenza del contenuto concreto a quello che avrebbe dovuto essere adottato.

L’accenno è prezioso al fine di identificare quali vizi possono risultare in-differenti per l’illegittimità dell’atto. In particolare, focalizzando l’attenzione su quelli relativi alla « forma degli atti », si coglie che questi vizi sono rilevanti ai fini dell’annullabilità del provvedimento finale soltanto nella misura in cui atten-gano al contenuto dispositivo del provvedimento medesimo. Gli altri vizi relativi alla forma (sottoscrizione, veste formale della motivazione, ecc.) (75) possono risultare irrilevanti. Ovviamente, la disposizione va letta in combinato disposto con l’art. 21-septies, che fulmina con la nullità la violazione delle norme che de-limitano i confini del potere amministrativo, qui rappresentati sotto le spoglie di « elementi essenziali » del provvedimento.

Nella prospettiva teorica enunciata nella prima parte di questo lavoro, i vi-zi destinati ad essere dequotati sono riconducibili alla violazione di legge e, cioè, al mancato rispetto di una norma di azione che, in via generale, indica come l’amministrazione deve comportarsi.

Tra essi non compare invece l’incompetenza. Schematicamente, va osservato che l’area dell’illegittimità raggruppa i ca-

si di: a) scelta discrezionale irrazionale o incongrua; b) mancato rispetto delle norme sulla competenza, indipendentemente

dall’esistenza di alternative di realizzazione dell’episodio di esercizio del potere; c) con riferimento all’attività vincolata, mancata realizzazione dell’interesse pubblico nei termini stabiliti dalla legge che vincola l’esercizio del potere (regola ricavabile a contrario dall’art. 21-octies comma 2), unitamente alla

(74) In materia si vedano le ampie riflessioni di R. FERRARA, Introduzione al diritto

amministrativo, cit., spec. 74 ss. (75) In una delle prime applicazioni giurisprudenziali (Tar Veneto, n. 935/2005, in

www.giustizia-amministrativa.it), relativa a provvedimento comunale di demolizione di opere edili, si è deciso che avrebbero natura formale i seguenti vizi: difetto di motivazione, contraddit-torietà, omessa acquisizione di un parere della commissione edilizia integrate.

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violazione di una norma di azione, sulla forma o sul procedimento (la dimostra-zione di tale situazione va rinvenuta nel fatto che è ipotizzabile un’alternativa di contenuto dispositivo);

d) nel caso di vizio per omessa comunicazione di avvio, vi è invece un re-gime speciale (cfr. infra, par. 17).

L’analisi del quadro testé delineato mostra che, secondo quanto dispone il nostro legislatore, il valore delle norme procedimentali e sulla forma non dipende dal loro contenuto e dall’interesse che incarnano, ma da un fattore ad esse ester-no, nel senso che la violazione della stessa disposizione può dar luogo ad annul-labilità (ove si versi in caso di attività discrezionale) ovvero risultare irrilevante ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, se non sussistono alternative di contenuto dispositivo del provvedimento (discorso a parte, come ancora si dirà, va fatto per le norme sulla competenza).

Insomma: l’area della effettività della disciplina procedimentale risulta a « geometria » variabile e l’attività amministrativa diviene assoggettata ad uno « statuto » non uniforme, variando in ragione del carattere discrezionale ovvero vincolato dell’episodio di esercizio del potere.

13. Una prospettiva di sintesi: il giudice amministrativo come giudice della corretta funzionalizzazione dell’attività. Il regime speciale relativo al vizio di incompetenza. A prescindere dai temi della qualificazione dell’atto e del campo di appli-

cazione della nuova disciplina, pare in ogni caso necessario sottolineare la rile-vanza della novella sotto il profilo sistematico in ordine al ruolo del giudice am-ministrativo (76). Quest’ultimo appare come giudice della funzionalizzazione dell’azione amministrativa, la cui correttezza non è più garantita dal mero rispet-to delle norme. Ribaltando il discorso e secondo uno schema che pare assai simi-le all’esercizio di poteri amministrativi di autotutela, si può con maggior preci-sione osservare che l’attività può comunque risultare corretta ancorché sia violata una norma procedimentale o di forma.

È al riguardo suggestivo l’accostamento alla figura dell’eccesso di potere. La presenza di figure sintomatiche di eccesso di potere, almeno a seguire

le impostazioni più tradizionali, dà luogo ad annullabilità soltanto se si dimostra che ad esse consegue lo sviamento. La violazione di una norma generale e astrat-ta dà luogo ad annullamento soltanto se il contenuto avrebbe potuto essere diver-so da quello concretamente adottato: una forma diversa di sviamento, dunque, rapportata alla corretta realizzazione dell’interesse pubblico alla luce della consi-derazione dello schema contenutistico del potere prefigurato dalla legge. Si è det-to che la tesi appena riportata è quella più tradizionale in tema di eccesso di pote-

(76) Il tema, pur se sotto profili differenti, è approfonditamente analizzato pure da E. FOLLIERI, La giurisdizione del giudice amministrativo a seguito della sentenza della Corte co-stituzionale 6 luglio 2004, n. 204, cit.

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re. Va però ricordato che le impostazioni più recenti vanno nel senso che la vio-lazione del canone di ragionevolezza sarebbe suscettibile di cagionare in modo automatico l’illegittimità del provvedimento, senza imporre ulteriori prove di re-sistenza (77).

Il destino del vizio di violazione di legge è stato in qualche misura inver-so: dalla sufficienza della violazione del parametro di legittimità, si è ora passati alla richiesta di un duplice vaglio. Violazione della norma (78) (che assurge al rango di mero sintomo della illegittimità) (79) più prova dello « sviamento » (in termini di mancata aderenza al contenuto che avrebbe dovuto essere adottato e, cioè, almeno nel caso del primo alinea dell’art. 21-octies, comma 2, violazione della norma generale e astratta che prefigura il contenuto).

Le analogie con l’eccesso di potere emergono comunque sotto un altro profilo: come accade in molte ipotesi di figure sintomatiche (si pensi alla viola-zione di circolare, alla violazione di prassi, all’apparente irragionevolezza della decisione), ove è possibile per l’amministrazione « salvare » il provvedimento dimostrandone la congruità e, quindi, il carattere solo apparente dell’illegittimità, anche nella fattispecie di cui all’art. 21-octies l’illegittimità può essere scongiura-ta ove sia palese o si dimostri che il provvedimento è comunque « corretto ».

Il giudice amministrativo viene così chiamato a subordinare l’annullamento dell’atto vincolato alla verifica della realizzazione dell’interesse pubblico nei termini stabiliti dall’art. 21-octies, e, cioè, della corretta funziona-lizzazione dell’azione amministrativa, secondo cadenze molto simili a quelle che caratterizzano la verifica della legittimità alla luce dell’eccesso di potere.

Il complesso Tar-Consiglio di Stato, dunque, ha oggi la possibilità di an-dare oltre il rigido paradigma della norma che attiene all’esercizio del potere e al-la forma, o, meglio, deve affiancare a questa valutazione quella dell’effettiva rea-lizzazione « statica » dell’interesse pubblico così come predefinito dalla norma attributiva del potere e da quella sul suo esercizio che, nel loro combinato dispo-sto, valgono a delineare il contenuto dispositivo del provvedimento (80).

Una delle conseguenze di questo modello sembra consistere nell’attenuazione del principio della domanda nel processo amministrativo. Qua-lora, infatti, la parte chiedesse l’annullamento del provvedimento per violazione

(77) V. sul punto E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, cit., 492. (78) Si tratta (giova ribadirlo) delle norme sulle forme e di quelle procedimentali,

con l’eccezione della disposizione sulla comunicazione di avvio del procedimento, che apre la via ad una disciplina peculiare (cfr. infra, par. 17).

(79) Per uno spunto assai interessante in questa prospettiva, v. F.G. SCOCA, I vizi formali, nel sistema della invalidità dei provvedimenti amministrativi, in AA.VV., Vizi formali, procedimento e processo amministrativo, a cura di V. PARISIO, cit., 60 ss.

(80) Sul punto, cfr. G. MORBIDELLI, Invalidità e irregolarità, in Annuario dell’Associazione italiana dei professori di diritto amministrativo 2002, cit., 98 s., che a questo proposito richiama la necessità di applicare il principio della ragionevolezza « in chiave positiva » nel giudizio sui provvedimenti amministrativi, nel senso di « conservare provvedimenti che, pur divergenti rispetto al diritto positivo, rispettano l’assetto degli interessi così come imposto dalla legge ».

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di una norma procedimentale e dunque per vizi formali, il giudice dovrebbe co-munque estendere la cognizione agli eventuali vizi sostanziali ai fini della deci-sione, giacché solo in questo secondo caso potrebbe annullare l’atto impugnato. Il giudice amministrativo finirebbe dunque con il non rispettare il contenuto della domanda avanzata dalla parte, perché annullerebbe l’atto per motivi differenti, senza limitarsi al thema decidendum definito nel ricorso. Sempre dal punto di vi-sta della dinamica processuale, quanto testé annotato potrebbe probabilmente sortire l’effetto (benefico) di limitare il fenomeno dell’assorbimento c.d. « im-proprio » dei motivi di ricorso.

Da altro punto di vista, il modello in analisi pare sottrarre all’amministrazione una valutazione che in precedenza era ad essa riservata. A seguito dell’annullamento giurisdizionale dell’atto vincolato, infatti, il soggetto pubblico era chiamato a riesercitare il potere, verificando la sussistenza di alter-native rispetto al primo provvedimento, con la possibilità di reiterare il medesimo atto. La mera possibilità di riesaminare la questione integrava l’interesse al ricor-so, che costituisce la vera e più evidente vittima della nuova disciplina, unita-mente — ma è il rovescio della medaglia — alla possibilità per l’amministrazione di riesercitare un potere a seguito della valutazione dell’azione come illegittima (81).

La prospettiva di un ripensamento dell’amministrazione, di conseguenza, è unicamente affidata all’esercizio del potere di revoca.

L’opzione legislativa costituisce l’ennesimo indice del disegno globale volto ad attrarre al centro la decisione, respingendo ai margini il procedimento (82), che al più riemerge nel corso del giudizio, almeno sotto forma di integra-zione della motivazione (su cui cfr. infra, paragrafo 18).

Si è già più volte osservato che il modello sopra descritto non è applicabile invece al caso dell’attività discrezionale e del vizio di incompetenza. In tali ipo-tesi lo scostamento rispetto al paradigma legale non si riduce a mero sintomo del-la illegittimità, genera comunque illegittimità e porta all’annullamento dell’atto, senza che sia necessario valutare la corrispondenza tra contenuto concretamente adottato e quello che avrebbe dovuto essere adottato. Invero, nella situazione di discrezionalità il giudice mantiene comunque il proprio ruolo di giudice della funzionalizzazione per gli aspetti « esterni » rispetto alla scelta già consacrata nella norma generale e astratta la cui violazione genera illegittimità.

Per quanto attiene all’incompetenza, invece, nella logica della legge, la sua diversa disciplina rispetto agli altri vizi sembrerebbe incongrua. Se le esigen-ze del risultato e della « bontà » della decisione dovevano davvero prevalere e

(81) Sulla rilevanza dell’interesse a ricorrere v. A. ROMANO TASSONE, Prime osser-vazioni sulla legge di riforma della l. 241/1990, in questo Forum.

(82) Su queste problematiche, per tutti, R. FERRARA, Procedimento amministrativo, semplificazione e realizzazione del risultato: dalla « libertà dall’amministrazione » alla libertà dell’amministrazione?, in Dir. e società, 2000, 101 ss.; ID., Le « complicazioni » della semplifi-cazione amministrativa: verso un’amministrazione senza qualità?, in Dir. proc. ammin., 1999, 323 ss., nonché, da ultimo, dello stesso Autore, Introduzione al diritto amministrativo, cit., spec. 148 ss.

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vincere, non potevano lasciare superstiti. Immaginiamo il caso di un provvedi-mento adottato da un dirigente incompetente che sia esattamente quello che a-vrebbe adottato il dirigente competente: non si vede perché non possa operare il meccanismo di recupero prefigurato dalla legge e che fa appunto perno sull’assenza di alternative circa il dispiegarsi contenutistico del provvedimento. Evidentemente, si deve opinare nel senso che la norma sulla competenza violata sia giudicata essenziale per la tutela dell’interesse pubblico (83) (in termini forse più appropriati, questo segmento di paradigma normativo non costituisce secon-do il legislatore un « ambito riservato all’amministrazione », proprio nel momen-to in cui sono invece aumentati i poteri di autorganizzazione degli enti pubblici), al contempo, disvelando il diverso giudizio sul valore (o, meglio, sulla scarsa di-gnità) delle regole sull’azione, che più da vicino coinvolgono i cittadini e che co-stituivano la parte fondamentale dello spirito originario della l. 241/1990 e della riforma che essa ha introdotto.

Certo, il quadro che ne risulta non è armonico: ciò è la conseguenza del tentativo di ridefinire le regole del gioco sostanziali senza preoccuparsi eccessi-vamente del contesto complessivo e delle conseguenze processuali.

14. I problemi applicativi dell’art. 21-octies, l’accentuazione della semplifica-zione procedimentale e i procedimenti a « geometria variabile ». Risulta difficile comprendere se la norma di cui all’art. 21-octies, comma

2, primo alinea, l. 241/1990, al fine di verificare quale contenuto avrebbe esibito l’atto in caso di rispetto della norma procedimentale violata, imponga una sorta di integrazione e di prolungamento in giudizio del procedimento amministrativo — nel cui caso risulterebbe sancita la dissociazione tra l’esercizio del potere e la sua giustificazione, anche perché, realisticamente, la dimostrazione sarebbe affi-data piuttosto ai legali dell’amministrazione che ai dirigenti —, ovvero se essa affidi al giudice il potere di effettuare ex post una ricostruzione del provvedimen-to.

La disposizione fa riferimento (impersonalmente) al fatto che il contenuto « non avrebbe potuto essere diverso ». La seconda parte del comma 2 della nor-ma stabilisce, invece, che il provvedimento viziato per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento non è annullabile se l’amministrazione dimostri in giudizio che lo avrebbe adottato con lo stesso contenuto anche qualora avesse ef-fettuato la comunicazione di avvio del procedimento.

Dalla differenza di formulazione tra le due discipline parrebbe potersi e-vincere che, nel primo caso, il giudice può ricavare d’ufficio il contenuto che il provvedimento avrebbe dovuto esibire (anche se è certamente prevedibile la ten-denza dell’amministrazione ad integrare la « giustificazione » della scelta in sede processuale), mentre nella seconda ipotesi spetta all’ente pubblico fornire tale

(83) Su tali questioni v. A. PIOGGIA, La competenza amministrativa, Torino, 2001.

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prova di resistenza, opponendosi quindi alla richiesta di annullamento avanzata dal ricorrente.

In ogni caso, appare preferibile la soluzione secondo cui non possono es-sere inseriti in giudizio ulteriori elementi rispetto a quelli emersi in sede proce-dimentale, al fine di non squilibrare ancor più la posizione del cittadino rispetto all’amministrazione. Da altro punto di vista, giova ulteriormente indugiare sulla scelta legislativa di considerare come ininfluente sul piano dell’efficacia l’inattuazione di alcuni momenti di esercizio del potere.

Si potrebbe allora asserire che, nell’attività vincolata, le regole sull’esercizio del potere « esterne » alla fissazione del contenuto sono inutili. Il che solleva l’interrogativo sul significato concreto che assume in tale quadro quel percorso procedimentale e la relativa regolamentazione.

L’art. 21-octies, cit., costituisce in certo qual modo una misura di sempli-ficazione procedimentale, nel senso che apre la via alla riduzione della rilevanza degli adempimenti procedimentali. Si sarebbe dunque tentati di riproporre la pro-vocazione già in altra sede lanciata (84), allorché si era osservato che la dequota-zione di passaggi procedimentali costituisce una vicenda intermedia che tende a confluire nella eliminazione di quella porzione di procedimento: preso atto della sua inutilità ai fini della legittimità dell’atto finale, questo parrebbe il risultato più coerente con i principi di buon andamento e di non aggravamento del procedi-mento.

A ben vedere, tuttavia, riprendendo quanto osservato nel corso dei para-grafi precedenti, anche questa chiave interpretativa appare contraddittoria, nel senso che le stesse regole ora causano illegittimità (se inserite in un contesto di attività discrezionale), ora sono irrilevanti (in caso di attività vincolata, sempre che non si tratti di norme sulla competenza), rivelando una volontà non univoca dell’ordinamento circa la loro intrinseca importanza, a tutto detrimento del valore della certezza del diritto. Più in generale, non vi è equilibrio tra la tendenza a raf-forzare le garanzie procedimentali — si pensi alla norma sulla comunicazione dei motivi ostativi all’accoglienza dell’istanza: art. 10-bis, cui segue una eventuale fase partecipativa — e la scelta di deprezzarle secondo un approccio che non for-nisce alcuna certezza ai cittadini (85).

Deve in ogni caso essere ribadita la significativa distanza rispetto alle forme « ortodosse » di semplificazione. Esse sono caratterizzate dalla esatta indi-cazione delle disposizioni il cui rispetto può risultare non rilevante ai fini della legittima scelta finale (si pensi alla disciplina dei pareri, delle valutazioni tecni-che, del silenzio, della conferenza di servizi e così via). Nel caso in esame, inve-ce, la loro individuazione è il risultato dell’intervento del giudice e, cioè, richiede

(84) F. FRACCHIA, Vizi formali, semplificazione procedimentale, silenzio-assenso e

irregolarità, cit. (85) Si vedano le considerazioni svolte in materia da M.A. SANDULLI, La comunica-

zione di avvio del procedimento tra forma e sostanza (spunti dai recenti progetti di riforma), in Foro Amministrativo TAR, 2004, 1595 ss.

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l’esercizio del diritto d’azione, con tutte le conseguenze (anche in termini di ag-gravi economici per i privati, come detto) che ciò comporta.

Insomma, se la semplificazione è l’alleggerimento del procedimento, combinando assieme il ruolo del giudice e la sopra indicata dipendenza del valo-re intrinseco della norma dal carattere vincolato o discrezionale dell’attività, si assisterà alla definizione di procedimenti a « geometria variabile ».

15. L’incompatibilità della norma di cui all’art. 21-octies, l. 241/1990 con il diritto internazionale e con quello comunitario.

La nuova disciplina esibisce un evidente profilo di incompatibilità nei

confronti del diritto internazionale e comunitario, con la conseguenza che il suo ambito di applicazione risulta significativamente ridotto.

Iniziando dai profili di diritto internazionale, si osserva che la Convenzio-ne di Åarhus (sottoscritta il 25 giugno 1998 e ratificata dalla l. 108/2001), conte-nente disposizioni « sull’accesso all’informazione, sulla partecipazione del pub-blico al processo decisionale e sull’accesso alla giustizia in materia ambientale », stabilisce norme che impegnano gli Stati convenzionati a sviluppare forme di partecipazione e informazione nei procedimenti ambientali. Ciò in quanto la par-tecipazione e l’accesso « consentono di prendere decisioni migliori e di applicar-le in maniera più efficace, contribuiscono a sensibilizzare il pubblico ai problemi ambientali, gli danno l’opportunità di esprimere le proprie preoccupazioni e aiu-tano le autorità pubbliche a tenere queste ultime in debito conto ». In particolare, come è stato osservato, la Convenzione si fonda su tre punti fondamentali, i c.d. « pilastri »: « libertà di accesso all’informazione; diritto di partecipazione al pro-cesso decisionale; possibilità di attivare la tutela giurisdizionale per garantire tali diritti » (86). Per quanto qui maggiormente rileva, riconosciute con ampiezza le pretese partecipative e di accesso agli atti, la Convenzione di Åarhus stabilisce, all’art. 9, che l’accesso alla giustizia per fare valere tali pretese non può essere indebitamente compresso o soppresso così impedendo la tutela a chi agisca con-tro la legittimità o il merito della scelta amministrativa effettuata; che deve essere garantita l’effettività della tutela giurisdizionale, la sua obiettività, equità e rapi-dità; che devono essere eliminati o ridotti gli ostacoli finanziari o di altra natura che riducano l’accesso alla giustizia.

Posto che l’art. 117 Cost. vincola la potestà legislativa statale e regionale al rispetto degli obblighi internazionali, almeno per quanto concerne i procedi-menti ambientali, l’art. 21-octies, l. 241/1990, appare non coerente con il conte-sto internazionale e costituzionale, in quanto evidentemente riduce la giustiziabi-lità delle pretese partecipative di cui il cittadino è titolare nelle suddette procedu-re amministrative.

(86) R. MONTANARO, L’ambiente e i nuovi istituti della partecipazione, in AA.VV., Procedimento amministrativo e partecipazione: problemi, prospettive ed esperienze, a cura di A. CROSETTI e F. FRACCHIA, Milano, 2002, 121.

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Stesso e più stringente rilievo può muoversi alla norma introdotta dalla l. 15/2005 in considerazione della sua discrepanza rispetto al contenuto della diret-tiva 2003/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 maggio 2003. Recependo proprio i contenuti della Convenzione di Åarhus, questa direttiva mo-difica le direttive del Consiglio 85/337/CEE (concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati) e 96/61/CE (sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento, in Italiarecepito dal d.lgs. 372/1999, che ha istituto l’autorizzazione integrata ambientale, c.d. « AIA »), relativamente alla partecipazione del pubblico e all’accesso alla giustizia. Do-po avere previsto norme dirette a garantire al massimo grado la partecipazione « del pubblico » (ossia « una o più persone fisiche o giuridiche nonché, ai sensi della legislazione o prassi nazionale, le associazioni, le organizzazioni o i gruppi di tali persone ») ai piani e programmi in materia ambientale (art. 2), nonché alle procedure di v.i.a. e IPPC (in Italia AIA), la direttiva richiede agli Stati membri di adeguare le rispettive legislazioni al fine di:

a) assicurare ai « membri del pubblico interessato… accesso a una proce-dura di ricorso dinanzi ad un organo giurisdizionale o ad un altro organo indi-pendente ed imparziale istituito dalla legge, per contestare la legittimità sostan-ziale o procedurale di decisioni, atti od omissioni soggetti alle disposizioni sulla partecipazione del pubblico » (artt. 3 e 4);

b) prevedere eventuali « procedure di ricorso preliminare dinanzi all’auto-rità amministrativa e non incidono sul requisito dell’esaurimento delle procedure di ricorso amministrativo quale presupposto dell’esperimento di procedure di ri-corso giurisdizionale, ove siffatto requisito sia prescritto dal diritto nazionale » (artt. 3 e 4);

c) « mettere a disposizione del pubblico informazioni pratiche sull’accesso alle procedure di ricorso amministrativo e giurisdizionale » (artt. 3 e 4).

Secondo quanto già osservato per la normativa internazionale, l’art. 21-octies, l. 241/1990, sembra discostarsi in modo evidente anche dalle suddette norme comunitarie, determinando, ancora una vota, pure un contrasto con il di-sposto dell’art. 117 Cost. che assoggetta la funzione legislativa al rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario.

Al di là dei rilievi in ordine alla necessaria disapplicazione della norma in-terna incompatibile con il parametro comunitario (misura comunque carente della necessaria incisività sul piano generale, indispensabile per sanare le eventuali dif-formità della disciplina procedimentale interna rispetto ai principi comunitari) e dell’eventuale esperibilità del rimedio della procedura di infrazione sulla base dell’art. 226 Trattato CE, ciò che traspare è la scarsa versatilità del nostro legisla-tore nei confronti della normativa europea. Si è in pratica approvata una norma che, per manifesta difformità all’ordinamento comunitario, non è destinata a di-spiegare in modo generalizzato la propria efficacia, quantomeno per quanto attie-ne ai procedimenti ambientali.

Né sembra insuperabile l’obiezione secondo cui l’art. 21-octies, cit., an-drebbe esente da conseguenze in punto di efficacia in relazione alla prima parte

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del comma 2, in quanto riguarda procedimenti di natura vincolata, laddove quelli regolati dalla normativa internazionale e, soprattutto, comunitaria sono per lo più (ad eccezione della già richiamata autorizzazione integrata ambientale) di natura discrezionale (trattandosi di procedure di pianificazione e programmazione). A parte il fatto che la divergenza permane per tutta la seconda parte, assai rilevante, della norma citata, si osserva che il rilievo si risolve in un evidente tecnicismo di diritto interno, del tutto contrario alla prospettiva comunitaria, che notoriamente non si addentra nelle specificità dei singoli ordinamenti statali, tendendo piutto-sto ad enunciare principi e regole di carattere generale e indicazioni di massima che gli Stati membri devono recepire uniformando i rispettivi ordinamenti giuri-dici.

Riguardo alla limitazione al campo ambientale delle norme comunitarie che divergono dall’art. 21-octies, si rileva che, in prospettiva, appare francamente difficile circoscrivere gli illustrati precetti comunitari al solo — ma comunque assai vasto — settore ambientale. Ciò sia per la vis espansiva che la partecipazio-ne procedimentale per sua stessa natura assume, sia perché proprio il diritto dell’ambiente costituisce un ormai vero e proprio « banco di prova » di numerosi istituti ed innovazioni che successivamente sono stati introdotti anche agli altri ambiti di intervento delle pubbliche amministrazioni.

Quanto sin qui sostenuto dal punto di vista della difformità dell’art. 21-octies rispetto alla normativa comunitaria trova poi una conferma generale — che quindi fuga definitivamente i dubbi sull’eventuale limitazione applicativa al solo settore ambientale — nell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (c.d. « Carta di Nizza »), che, come è stato scritto, « individua sotto la specie di un complessivo “diritto ad una buona amministrazione” il medesimo essenziale insieme di principi che la legge n. 241 ha introdotto » (87) nel suo te-sto originario e che rappresentano una sorta di sintesi, di precisazione dei princi-pi e delle regole costituzionali — di diritto interno e comunitario — sull’attività amministrativa e sulle garanzie del cittadino nei confronti dell’esercizio dei pub-blici poteri inderogabili a livello di fonte primaria (88).

16. Le norme procedimentali relative a provvedimenti vincolati come « affare dell’amministrazione ». La nuova disciplina pare muoversi nella logica stringente per cui, definito

un certo contenuto dell’atto che attiene alla composizione dell’assetto degli inte-ressi che il legislatore ha inteso realizzare, è giuridicamente rilevante unicamente l’aderenza del provvedimento a quel contenuto e non già il percorso potestativo

(87) G. PASTORI, Intervento come discussant su « La disciplina generale dell’azione

amministrativa », intervento al Convegno Innovazioni del diritto amministrativo e riforma della amministrazione, Roma 22 marzo 2002, dattiloscritto.

(88) M. OCCHIENA, Il procedimento, in AA.VV., Procedimento amministrativo e partecipazione: problemi, prospettive ed esperienze, cit., spec. 186 ss.

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che ha portato al risultato deciso in via generale ed astratta. Il legislatore indivi-dua puntualmente l’interesse pubblico, dettando le linee tipologiche della deci-sione: l’interesse pubblico risulta in tal modo del tutto indisponibile e si tratta soltanto di porre in essere le operazioni materiali — estrinseche, si ribadisce, ri-spetto ai requisiti essenziali dell’atto — che ne consentano l’emersione.

Le altre norme sono, con l’eccezione dell’incompetenza, su cui già si è in-dugiato, per così dire, un « affare dell’amministrazione », quanto meno nel senso che la loro violazione dà luogo ad una illegittimità che l’amministrazione mede-sima può sanare, nei termini sopra indicati.

Appare in tal modo vieppiù difficoltosa la prospettiva che intendesse com-pensare il mancato annullamento dell’atto con il rimedio risarcitorio. Più in gene-rale, diventa arduo asserire che la violazione di quelle norme procedimentali in caso di attività vincolata possa considerarsi come un inadempimento di un’obbligazione che nasce da un mero contatto sociale (89), atteso che, appunto, siffatte norme non proteggono rigidamente la posizione del cittadino.

Risulta in ogni caso gravemente intaccato il sottile equilibrio che la l. 241/1990 realizzava tra la concezione formale e quella sostanziale del procedi-mento, nel senso che le regole sulla metodologia di conduzione dell’attività am-ministrativa dal punto di vista delle modalità organizzative che devono essere applicate nello svolgimento del potere erano conciliate con il rispetto di determi-nate garanzie di tutela previste dalla legge a favore del cittadino. In altre parole, la riforma ex lege 15/2005 sposta l’asse dell’impianto generale della l. 241/1990 tutto sul fronte organizzativo, depotenziando l’importanza delle disposizioni che hanno riconosciuto nuove e più forti posizioni procedimentali al cittadino coin-volto dall’esercizio del potere amministrativo.

17. Il caso del provvedimento amministrativo non annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento. La spirito antiformalista della riforma in discussione viene confermato

dall’analisi della seconda ipotesi contemplata dal comma 2 dell’art. 21-octies, l. 241/1990, che va in parte effettuata seguendo cadenze analoghe rispetto a quelle già impiegate per il caso di provvedimento vincolato viziato nella forma o in re-lazione al procedimento. La disposizione, come visto, stabilisce la non annullabi-lità del provvedimento adottato a seguito di un procedimento in cui sia mancata la comunicazione di avvio ex art. 7, l. 241/1990, in tutti i casi in cui l’amministrazione riesca a dimostrare in giudizio che « il contenuto del provve-dimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato »

(89) Il riferimento è alla teorica elaborata da M. PROTTO, Responsabilità della p.a.

per lesione di interessi legittimi: alla ricerca del bene perduto, in Urbanistica e appalti, 2000, 993 ss.; ID., È crollato il muro della irrisarcibilità delle lesioni di interessi legittimi: una svolta epocale?, ivi, 1999, 1067 ss.; ID., La responsabilità dell’amministrazione per lesione di (meri) interessi legittimi: aspettando la Consulta, in Resp. civ. e prev., 1998, 968 ss.

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Occorre premettere che la norma non spicca per chiarezza: essa riguarda l’omessa comunicazione e non altri vizi formali della comunicazione. Appare pe-rò contraddittorio « salvare » un provvedimento discrezionale (v. infra) quando è mancata la comunicazione di avvio e non potere conseguire il medesimo risultato ove la « mancanza » sia stata più lieve, riguardandone gli aspetti contenutistici previsti dall’art. 8, l. 241/1990 (che tra l’altro la l. 15/2005 ha arricchito con gli elementi ex lett. c-bis e c-ter), sicché è presumibile che si imporrà un’interpretazione estensiva.

A tacere di quest’ultimo aspetto, che peraltro conferma una certa appros-simazione nella scrittura della legge, va rimarcato che, ancora una volta, la « lo-gica del risultato » (inteso il termine nel senso di realizzazione dell’interesse pubblico) prevale sul rispetto delle regole. Anche in questa ipotesi si pongono i problemi di disincentivo nei confronti delle iniziative processuali dei privati e i dubbi di compatibilità con la disciplina internazionale e comunitaria. Come si è già avuto modo di rimarcare, un profilo di differenza è tuttavia legato alla prova: spetta all’amministrazione dimostrare in giudizio che il contenuto del provvedi-mento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

Ma la maggior distanza rispetto al modello sopra descritto consiste nel fat-to che la norma si applica anche ai provvedimenti discrezionali (manca infatti la limitazione incentrata sul richiamo a provvedimenti vincolati) e, quindi, a casi in cui la legge non predetermina il contenuto del provvedimento. Il legislatore, in tali ipotesi, non detta le linee tipologiche della decisione, sicché l’amministrazione è chiamata a porre in essere un’operazione che non si risolve nella mera « applicazione » di una norma astratta ad un caso concreto.

Per altro verso, la fattispecie attiene alla violazione di una norma che dif-ficilmente può essere qualificata come prescrizione che, in astratto, non tutela il cittadino e riducibile al rango di « affare dell’amministrazione ». Piuttosto, è nel-la sua applicazione concreta che la disposizione (o, meglio, il comportamento che il suo rispetto avrebbe sollecitato) tradisce la propria incapacità di incisione nella decisione adottata.

Emerge così con forza un motivo importante ricavabile dalla riforma, pe-raltro già evidenziato: trasformare il giudice amministrativo nel giudice sull’eccesso di potere, nel segno dell’antiformalismo. La violazione del parame-tro di ragionevolezza o, addirittura, di una norma generale e astratta che non sia sulla competenza è solo un sintomo della illegittimità che dipende dalla esistenza di una alternativa di decisione da individuare tenuto conto dei caratteri concreti della situazione.

In sintesi: la ricerca di questa alternativa va effettuata alla luce della disci-plina che vincola in via generale e astratta l’azione nel primo caso disciplinato dal comma 2 dell’art. 21-octies. Nella seconda situazione, analizzata in questo paragrafo, ciò avviene invece addirittura al di fuori del riferimento allo schema predefinito dal legislatore, dovendosi in sostanza ritenere che la violazione sia ir-rilevante allorché si dimostri che la scelta discrezionale è ragionevole e giustifi-cabile.

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Invero, i margini di incidenza effettiva della disciplina relativa al secondo alinea sembrano abbastanza ridotti, nel senso che ben difficilmente un privato propone un ricorso deducendo quale unico motivo di ricorso la violazione della norma sul dovere di comunicare l’avvio del procedimento (ché questo è il campo di applicazione della norma e questi sono gli spazi di recupero della illegittimità endorpocedimentale) (90). Salvo che, come anticipato (ma è auspicabile che ciò non avvenga), la giurisprudenza non interpreti in senso estensivo la norma, appli-cando il meccanismo a vizi differenti dall’omessa comunicazione di avvio.

Un’ultima annotazione merita la prescrizione secondo cui l’amministrazione ha la facoltà di « dimostrare in giudizio » che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Alla luce della interpretazione sopra proposta, la norma è facilmente spiegabile: il provvedimento che esibisca il contenuto corretto è legittimo e, in quanto tale non potrebbe essere più annullato d’ufficio dall’amministrazione ai sensi dell’art. 21-nonies; la sua legittimità, però, può essere svelata appunto « in giudizio », di-nanzi al giudice amministrativo o, al limite, in sede di disapplicazione, al giudice ordinario.

18. Osservazioni conclusive: la tutela del cittadino tra giudice della « funzio-nalizzazione dell’attività » e amministrazione « scrupolosa ». L’esigenza di intima coerenza della l. 241/1990 e del suo rispetto dei principi costitu-zionali in quanto « legge forte ». La riforma introdotta dall’art. 21-octies della l. 15/2005 è stata approvata

nonostante che più volte e in diverse sedi parte della comunità scientifica(91) (sostenuta anche dall’opinione di autorevoli voci della magistratura amministra-tiva) si sia espressa in senso contrario all’introduzione di tale norma.

Oltre alle inevitabili riflessioni in ordine all’attuale ruolo ricoperto dalla scienza giuridica del diritto amministrativo, la notazione consente di evidenziare come proprio il dibattito scaturito in ordine alla disposizione qui in commento abbia segnato un’inversione di tendenza rispetto alle forti spinte antiformaliste che hanno trovato vigore all’indomani dell’entrata in vigore della l. 241/1990. Come già sostenuto supra (cfr. par. 4) e in altra sede (92), l’introduzione con la legge del procedimento di regole formali sulle modalità di esercizio del potere amministrativo ha finito con il provocare un — forse inaspettato — irrigidimento del sistema. Si è infatti assistito all’attrazione verso il polo della violazione di

(90) Per una prima applicazione, v. Tar Puglia, 23 marzo 2005, n. 1589, in

www.giustizia-amministrativa.it che ha considerato irrilevante la mancata comunicazione di av-vio di un procedimento relativo all’ordinanza di revoca di una autorizzazione di p.s.

(91) V. peraltro F. LUCIANI, Il vizio formale nella teoria dell’invalidità amministra-tiva, Torino, 2003.

(92) M. OCCHIENA, Situazioni giuridiche soggettive e procedimento amministrativo, cit., 418 ss.

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legge di ipotesi di illegittimità prima ricadenti nell’ambito di applicazione dell’eccesso di potere, cui parte della dottrina ha tentato di reagire esaltando la prevalenza della sostanza sulla forma, rifiutando concezioni formali della giuri-dicità e dando sempre maggiore prevalenza alla c.d. « logica del risultato » nell’apprezzamento dell’attività degli enti e degli amministratori pubblici. Atteg-giamento che ha finito con il conciliarsi con la diffusa sensazione della società civile di insofferenza per le conseguenze degenerative (tra cui: dispendi di risorse umane, finanziarie e di tempo, burocratizzazione delle attività private) della pe-dissequa osservanza delle disposizioni di regolazione dei processi decisionali pubblici.

Quando tutto sembrava tendere nella direzione della necessità di trovare un sistema per scongiurare l’annullamento del provvedimento a seguito della me-ra violazione delle regole procedimentali ex lege 241/1990, proprio il disegno di legge sulla riforma dell’attività amministrativa e la norma che oggi costituisce l’art. 21-octies hanno determinato un brusco arresto dell’antiformalismo. Si è co-sì registrata la necessità di limitare gli eccessi conseguenti all’antiformalismo mediante un ritorno al rispetto della legalità. Il dibattito scaturito a margine dell’iter di approvazione della norma testé citata ha evidenziato una sorta di re-cupero del valore della legalità formale: nella costante tensione ad adeguare i precetti normativi sulle modalità di esercizio del potere rispetto al sistema so-stanziale in cui sono chiamati ad operare, è parso allora che l’antiformalismo ab-bia talora determinato un’eccessiva emarginazione del ruolo della legge come momento di regolazione degli interessi, nonché la dequotazione del momento po-litico, fenomeno non a caso diffusamente lamentato.

Sviluppando questa impostazione, pare di potere notare come predicando un sistema di formazione della decisione amministrativa che, al di là dell’osservanza delle regole e degli istituti procedimentali, compendiasse gli inte-ressi in gioco siccome rappresentati nella procedura, l’antiformalismo abbia per-so di vista il rispetto « del principio metodico del consenso come strumento di composizione dei conflitti sociali e come modello caratterizzante lo stile di vita della società » (93).

Va aggiunto che, nelle società pluraliste, gli eccessi di antiformalismo sfo-ciano in degenerazioni particolariste, ossia nell’identificazione del bene comune con gli interessi di cui sono portatori immediati e diretti i soggetti (singoli o as-sociati) che meglio riescono a rappresentare le proprie istanze ed esigenze nel momento applicativo del diritto, così determinando « il sacrificio, totale o parzia-le… di quegli interessi sociali che per loro natura non si prestano a generare or-ganismi sociali a forte aggregazione, capaci di imporli nella lotta per il diritto, e che perciò si affidano essenzialmente alla solidarietà sociale » (94). La spinta a

(93) A. FALZEA, Forma e sostanza nel sistema culturale del diritto, in Ricerche di

teoria generale del diritto e di dogmatica giuridica. I. Teoria generale del diritto, cit., 183. (94) Ancora A. FALZEA, Forma e sostanza nel sistema culturale del diritto, in Ricer-

che di teoria generale del diritto e di dogmatica giuridica. I. Teoria generale del diritto, cit., 183. Sulle problematiche connesse agli « eccessi di pluralismo », v. anche M. MAZZAMUTO, La

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ricercare elementi di contrapposizione rispetto alle degenerazioni del sostanziali-smo dovrebbe passare per il ristabilimento di quella che è stata definita alla stre-gua di « condizione ottimale di ogni società giuridicamente organizzata », consi-stente « nell’equilibrata presenza e nel corretto contemperamento della compo-nente sostanziale e della componente formale del diritto » (95).

È appunto questa la sfida che il giudice amministrativo — sempre più giu-dice della funzione — dovrà essere in grado di affrontare. Esso è chiamato a uti-lizzare con estrema accortezza gli ampi spazi che la legge, spostandosi, seppur confusamente, dal formalismo all’antiformalismo, gli ha consegnato. E’ difficile prevedere se i giudici amministrativi si spingeranno (come ci si auspica) a conte-stare la costituzionalità della nuova disciplina, ovvero se preferiranno (come è probabile) interpretare con equilibrio il nuovo ruolo ad essi affidato, magari cer-cando di ridare dignità alle regole del gioco che il legislatore ha prima posto e poi sottovalutato. Proprio in forza delle incertezze che il nuovo modello genera irro-bustendo il ruolo del giudice, potrebbe scaturirne la già rilevata riduzione dell’area dell’azione amministrativa che i privati accetteranno di sottoporre al vaglio della magistratura amministrativa, soprattutto se quest’ultima, visto il te-nore dell’art. 21-octies, cit., non saprà tenere rigidamente ferma la regola del di-vieto di integrazione della motivazione in giudizio.

Qualora tale previsione dovesse avverarsi apparirebbero ancor più preoc-cupanti la dequotazione delle regole che disciplinano il procedimento e, di con-seguenza, l’offuscamento dell’importanza del privato, inteso come individuo, all’interno di esso.

Sul fronte del cittadino, non è dato capire quale ruolo si sia inteso desti-nargli, posto che lo si disincentiva non solo ad impugnare, ma anche a partecipa-re. E, come visto, è arduo comprendere quale sia il filo di ratio legis che pure do-vrebbe tenere insieme l’art. 21-octies e l’art. 10-bis.

In questo quadro, a prescindere dall’erosione dell’ambito dell’invalidità scaturente dalla norma, una maggiore responsabilità dovrebbe forse gravare so-prattutto sugli enti pubblici. L’amministrazione dovrebbe essere davvero « scru-polosa », nel senso — certo atecnico, ma non privo di pregnanza — di soggetto che coglie pienamente l’importanza di assicurare il rispetto delle regole, al di là dell’ipotetico esito di un sindacato giurisdizionale sulle sue scelte e al di là del nuovo potere, che le è stato conferito, di sanare al momento dell’emanazione del provvedimento, le illegittimità endoprocedimentali.

A conferma del rafforzamento del ruolo dell’amministrazione va tra l’altro citato l’art. 21-nonies, comma 2, che consente al soggetto pubblico di « convali-dare » il provvedimento annullabile, senza alcuna limitazione in ordine al vizio e al momento (salvo valorizzare il riferimento, contenuto nella norma, al « termine

riduzione della sfera pubblica, cit., spec. 86 ss.; M.S. GIANNINI, L’amministrazione pubblica dello Stato contemporaneo, in Trattato di diritto amministrativo, diretto da G. SANTANIELLO, Padova, I, 1988, 140 s.

(95) A. FALZEA, Forma e sostanza nel sistema culturale del diritto, in Ricerche di teoria generale del diritto e di dogmatica giuridica. I. Teoria generale del diritto, cit., 178.

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ragionevole », sembrerebbe dunque possibile convalidare anche in corso di giu-dizio, così introducendo un ulteriore importante disincentivo in capo ai privati potenzialmente ricorrenti). In sintesi, l’amministrazione può sanare un procedi-mento vincolato illegittimo adottando il provvedimento corretto e può, successi-vamente, convalidare provvedimenti (ancora) illegittimi.

Sempre pensando al rilievo che la norma finisce con l’accordare alla posi-zione degli enti pubblici, l’effetto nella prassi operativa della necessità di una dimostrazione in giudizio da parte dell’ente resistente del fatto che il contenuto dispositivo del provvedimento « non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato » parrebbe quello della necessaria presenza « attiva » delle amministrazioni nei processi. In altre parole, gli enti pubblici non potranno non costituirsi, giovandosi delle difese del controinteressato processuale, perché la norma dispone che la dimostrazione in giudizio dell’indifferenza della violazione della norma procedimentale spetta all’ente pubblico (recte, all’avvocato dell’ente pubblico) e non al controinteressato (recte, all’avvocato di tale soggetto). Il quale ultimo, per quanto attiene a tale specifica dimostrazione, parrebbe potere assolve-re al più un ruolo adesivo ed accessorio.

Sul versante dell’atteggiamento degli avvocati, non è poi escluso che un effetto « perverso » (almeno per chi intenda seguire l’ordine di argomentazioni sopra proposto: par. 9) della legge possa essere quello di spingere a proporre in modo massiccio ricorsi volti ad ottenere il risarcimento del danno patito a seguito della violazione delle norme irrilevanti sul piano dell’annullabilità ex art. 21-octies o, comunque, rese irrilevanti dall’amministrazione esercitando il potere di convalida.

In ogni caso, non ci si può nascondere che configurare l’amministrazione quale « garante delle regole a favore dei cittadini » è un’operazione che rischia di addossare su di essa responsabilità comunque eccedenti la stessa competenza funzionale degli enti pubblici nell’ordinamento. Siffatta rappresentazione del ruolo dei soggetti pubblici non tiene in debito conto che essi sono parzialmente (e non imparzialmente) orientati al perseguimento dell’interesse pubblico, che non poche volte si contrappone agli interessi dei privati « intercettati » dal potere amministrativo: nell’interesse pubblico non sempre è dato rilevare un’effettiva compensazione degli interessi individuali, raccordati all’interesse generale.

Nell’inevitabile gioco dei ruoli sociali, non si può chiedere all’amministrazione di coltivare gli interessi del cittadino, e viceversa. Sono due soggetti giuridici diversi e come tali vanno considerati allorché si stabiliscono le regole che ne disciplinano i rapporti. Inoltre, anche alla luce dell’influenza pro-dotta dall’implementazione del modello di « libertà nel mercato » derivante dall’ordinamento comunitario, la relazione dicotomica « potere-individuo » ri-chiede regole di svolgimento di quel potere certe e affidabili.

Da tutto quanto considerato, pare palesarsi la necessità di ricostruire l’invalidità dell’atto amministrativo non basandosi sulla fragile dicotomia vizi sostanziali/vizi formali, sprovvista del necessario conforto teorico, ma assegnan-do la giusta considerazione alla relazione tra invalidità e situazioni giuridiche

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soggettive (96). Ciò perché « al di fuori della attività di consulenza e del control-lo (art. 100 Cost.) in cui la legittimità dell’atto è valutata in sé, in termini oggetti-vi, la questione della legittimità dell’atto amministrativo è strettamente legata alla tutela del privato, dei suoi diritti e dei suoi interessi legittimi: sicché essa viene in rilievo nella misura in cui dall’asserita illegittimità sia derivato un pregiudizio per il privato ricorrente » (97).

Il recupero della componente formale del diritto — che non a caso è for-malizzazione di comportamenti ritenuti coessenziali alla stessa « tenuta » dell’ordine sociale che li stigmatizza — non può e non deve essere tacciata di mero « formalismo »: si tratta, in buona sostanza, di garantire o meno la prote-zione giuridica del privato nei confronti degli enti pubblici, che necessariamente deriva dal rispetto di regole « formali ». A fronte di norme (quelle di azione) che, da un lato, indicano agli enti pubblici le modalità di svolgimento del potere loro attribuito dalla legge e che, dal lato opposto, riconoscono al cittadino forme di protezione nei confronti dell’esercizio di quel potere, non può e non deve intro-dursi — specie a livello normativo — uno spazio interpretativo di valutazione sul « peso specifico » di tale norme rispetto alla decisione finale, consentendone la trasgressione senza che il provvedimento debba patirne conseguenze (98). Si trat-ta di un’impostazione che impedirebbe al cittadino titolare dell’interesse legitti-mo di avvalersi delle forme di protezione stabilite dal legislatore nei confronti del potere amministrativo e che attengono alle modalità di esercizio ed estrinseca-zione di quest’ultimo.

Si è già sostenuto (cfr. supra, paragrafo 15) come la l. 241/1990 rappre-senta la sintesi dei principi e delle regole costituzionali sull’attività degli enti pubblici e sulle relative garanzie di cui è titolare il cittadino. Lo stesso nuovo art. 29, comma 2, vincola le regioni e gli enti locali al « rispetto del sistema costitu-zionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi dell’azione amministrativa ». Non può allora non disorientare l’introduzione, proprio nel corpo della l. 241/1990, dell’inammissibile principio per cui i criteri di economicità ed effi-cienza dell’azione amministrativa finiscono con l’essere assiologicamente più importanti del principio, previsto dalla Costituzione, della giustiziabilità delle si-tuazioni giuridiche soggettive nei confronti degli atti degli enti pubblici.

Una « legge forte » come all’evidenza è la 241/1990 non può e non deve disorientare, bensì orientare gli operatori giuridici. Ove poi l’applicazione con-creta mostrasse una scarsa capacità della riforma di incidere in modo significati-vo sull’assetto della relazione giudice-amministrazione-cittadino, oggi definito

(96) Così R. FERRARA, Vizi formali e attività amministrativa, in AA.VV., Vizi for-

mali, procedimento e processo amministrativo, a cura di V. PARISIO, cit., 142. (97) Così G. CORSO, Diritti soggettivi e atti amministrativi nel contenzioso con le

autorità indipendenti, in Foro amm. - Tar, 2002, 1295. L’Autore aveva già enunciato detta tesi nella voce « Validità – c) Diritto amministrativo », cit., spec. 105.

(98) In termini analoghi v. altresì M.A. SANDULLI, La riforma della legge sul proce-dimento amministrativo tra novità vere ed apparenti, in www.federalismi.it., 7.

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alla luce dell’elaborazione giurisprudenziale, il senso di disorientamento risulte-rebbe ancor più forte.