Teoria dell'etere nella storia della fisica

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La teoria dell’etere nella storia della fisica FABIO MANNITI [email protected] SETTEMBRE 2007

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Breve tesina scritta da Fabio Manniti sulla teoria dell'etere nella storia della fisica, dalle concezioni di Newton a Huygens, dal contributo delle equazioni di Maxwell al famoso esperimento di Michelson con alcune considerazioni riguardo la fisica moderna.La tesina è scritta con un linguaggio piuttosto semplice ed elementare adatto anche ai non addetti ai lavori pur rispettando la corretta e appropriata terminologia.

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La teoria dell’etere nella storia della fisica

FABIO MANNITI [email protected]

SETTEMBRE 2007

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Indice

1. L’interpretazione della luce – il problema del vuoto 2

2. Le origini dell’etere – da Huygens a Newton 4

3. Gli sviluppi nell’ottocento – l’ottica di Young e Fresnel 9

– le equazioni di Maxwell 11

4. L’etere non esiste – l’esperimento di Michelson-Morley 13

5. Fine dell’etere? – Considerazioni attuali 16

Bibliografia 20

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1. L’interpretazione della luce

Il problema del vuoto

L’interpretazione della luce è stata per lungo tempo un’enigma

che ha scisso il pensiero scientifico in due grandi correnti.

Da una parte c’era chi riteneva che la luce fosse un’onda (esattamente come il

suono), dall’altra troviamo i cosiddetti «atomisti» che interpretavano la luce

come un insieme di corpuscoli viaggianti a velocità elevatissima ma finita.

Naturalmente siamo ancora ben lungi dall’idea del dualismo onda-corpuscolo

che è maturata agli inizi del Novecento.

A partire dalla nascita della fisica moderna, e quindi di quella che noi oggi

chiamiamo Meccanica Classica, la prima rilevante interpretazione della luce è

stata fornita da Keplero nel 1604 che l’ha considerata come un efflusso

incorporeo rettilineo aprendo la strada alla teoria ondulatoria che segnava una

novità fondamentale per i pensatori dell’epoca in quanto l’immaterialità era

attribuita solo alla metafisica.

L’ipotesi di Keplero è stata sostenuta mezzo secolo dopo da Grimaldi che,

osservando lo sdoppiamento delle ombre, scoprì la diffrazione,

un fenomeno tipico delle onde, ma il vero propugnatore di

questa teoria è stato Huygens che nel Traité de la lumière,

(1678) definisce la luce come un’onda longitudinale in un

mezzo elastico.

La teoria ondulatoria ha dovuto attendere più di un secolo per il

suo sviluppo a causa del primato che aveva la fisica

newtoniana nella comunità del tempo; la predilezione di

Newton per la concezione degli atomisti greci lo portò a

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rigettare la concezione ondulatoria affermando (nel 1672)

che la luce è composta di particelle proiettate ad alta velocità.

In effetti la teoria corpuscolare era molto efficace per spiegare

come la luce fosse in grado di propagarsi su linee rette e

riflettersi su superfici, eppure lo stesso Newton, con riferimento

all’atomismo classico affermò di essersi issato, nel suo lavoro,

sulle spalle di giganti.

La teoria ondulatoria fallisce vistosamente di fronte al

problema di come fa la luce a propagarsi nel vuoto?

Se consideriamo la luce come un’onda simile al suono bisogna

trovare una spiegazione al fatto che la prima riesce a

propagarsi nel vuoto mentre il secondo no (se si leva l'aria da una

campana di vetro sotto la quale è posto un campanello, il suono da esso emesso

non ci giunge più, ma noi continuiamo comunque a vederlo).

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2. Le origini dell’etere

Da Huygens a Newton

Anche se nel XVIII secolo l’esegesi dominante riguardo l’etere è stata quella di

Isaac Newton, è bene menzionare la spiegazione di Huygens in quanto sarà

quella che maggiormente verrà presa in considerazione dagli studiosi di ottica

del secolo successivo.

Huygens parte dal presupposto che la luce deve essere moto di qualcosa; per

eccitare i terminali nervosi della retina, deve esserci necessariamente il

movimento di un mezzo tra l’oggetto e l’occhio.

A questa importante conclusione, Huygens ci arriva facendo un parallelo con il

suono: egli cerca una spiegazione unitaria dei fenomeni acustici e luminosi; li

considera entrambi dovuti a vibrazioni longitudinali: vibrazioni dell’etere nel

caso della luce, vibrazioni di " molecole " dei corpi elastici nel caso del suono.

Huygens afferma che per spiegare la propagazione di onde veloci come quelle

luminose bisogna ammettere l’esistenza di una sostanza, l’etere, capace di

compenetrarsi in tutti i corpi e di riempire tutto lo spazio sia esso riempito o no

da materia ordinaria, dotata di uniforme elasticità ed elevatissima durezza, la

luce quindi è un movimento dell’etere per onde sferiche: l’onda è il luogo dei

punti nei quali il fenomeno luminoso si manifesta ad un dato istante e ciò che si

sposta nello spazio è l’onda – non l’etere – che investe le particelle di materia e

le mette in vibrazione. Le onde a loro volta sarebbero generate dall’agitazione

delle più piccole "particelle" delle sostanze sorgenti di luce che metterebbero in

movimento l’etere.

Anche se Huygens non ha mai approfondito troppo la definizione dell’etere ed i

meccanismi della propagazione delle onde luminose in seno ad esso, l’etere

pareva spiegare in maniera più che esaustiva il problema della rifrazione:

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1) Quando la luce passa dall’aria in un mezzo trasparente, il moto

ondulatorio viene comunicato alla materia del corpo dall’etere esterno. Se

la materia è meno elastica dell’etere si giustifica la minore velocità della

luce nel mezzo;

2) il moto ondulatorio viene trasmesso alla materia dall’etere che si trova

dentro i corpi tra le particelle materiali; il passaggio del moto in questi

ristretti meati implica un rallentamento;

3) il moto ondulatorio è generato sia dalla materia che dall’etere che riempie

gli interstizi nel caso dei corpi birifrangenti.

Il motivo per cui Newton ha rigettato le ipotesi di Huygens, era che l’idea di

un’onda longitudinale non era in particolare in grado di spiegare il fenomeno

della birifrangenza.

Anche se Newton ha accolto l’idea dell’esistenza di un mezzo etereo, ritiene

che esso possa interagire con i corpuscoli luminosi e non costituire un mezzo le

cui vibrazioni avrebbero costituito la luce, come lo aveva definito Huygens.

In una lettera a Boyle del 1679 Newton scrive dell’etere:

Io suppongo che vi sia diffusa ovunque una sostanza eterea, capace di

con-trarsi e di dilatarsi, fortemente elastica e del tutto simile all’aria da

ogni punto di vista, pur essendo molto più sottile di essa.

Nel 1704 esce la prima edizione del Opticks nella quale Newton postula

l’esistenza di un mezzo etereo capace di trasmettere vibrazioni più velocemente

della luce e che queste vibrazioni erano in relazione con le radiazioni termiche.

[…] Il calore della stanza calda non è trasportato nel vuoto dalle

vibrazioni di un qualche mezzo più sottile dell’aria, il quale, dopo che

l’aria è stata pompata fuori, rimane nel vuoto? E questo mezzo non è

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identico a quel mezzo mediante cui la luce è rifratta e riflessa e per

effetto delle cui vibrazioni, la luce comunica il calore ai corpi ed è

spinta verso accessi di facile riflessione e di facile trasmissione? […] E

questo mezzo non è estremamente più raro e sottile dell’aria, ed è più

elastico ed attivo? E non penetra facilmente in tutti i corpi? E non è

sparso (a causa della forza sua forza elastica) in tutti i cieli?1

Solo con le ricerche di Melloni intorno alla metà dell’ottocento sarà chiaro che

la radiazione termica ha la stessa natura della luce

C’è da dire che in tutti i suoi scritti riguardanti l’etere, Newton ha sempre usato

un linguaggio ambiguo indice che egli stesso non era convinto con assoluta

certezza della veridicità delle sue stesse ipotesi che, anche se gli potevano

essere utili per spiegare fenomeni riguardo la luce, non avevano nessun

riscontro sperimentale.

Il primo motivo per cui Newton ha adottato l’ipotesi dell’etere è stato il

tentativo di spiegare (anche se con notevole sforzo) almeno qualitativamente il

fenomeno della gravitazione che molti suoi contemporanei accusavano di essere

un’azione istantanea a distanza.

L’etere, infatti, è composto di particelle estremamente più piccole di quelle che

compongono l’aria o di quelle che compongono la luce e per questa loro

piccolezza generano una forza che tende a farle continuamente allontanare le

une dalle altre rendendo questo mezzo estremamente elastico2 e capace di non

offrire apprezzabile resistenza al moto dei corpi in seno ad esso.

1 ISAAC NEWTON – Opticks (questione 18) (1704).2 Per calcolare il valore della forza elastica delle particelle di etere, Newton ha fatto il seguente ragionamento:

Se la velocità del suono è circa s

inglesipiedivs

1140≈ allora in otto minuti, il

suono percorre circa cento miglia inglesi. Poiché la luce viaggia dal sole a noi in otto minuti percorrendo una distanza di 70000000 miglia inglesi, allora le vibrazioni dell’etere, per causare gli alterni accesi di facile trasmissione e di facile riflessione, devono essere più veloci della luce di e circa 700000 volte più veloci dei suoni quindi la forza elastica

dell’etere in proporzione alla sua densità deve essere circa N1125 1090,4)100,7( ⋅=⋅ .

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Questa forza elastica autorepulsiva delle particelle d’etere si accompagna ad

una azione di controllo (per pressione ed urto) sulle particelle della materia

ordinaria. Il meccanismo attraverso il quale si genera la gravitazione è il

seguente: l’etere risulta essere assai più denso nello spazio «vuoto» che non in

prossimità di grandi corpi quali i pianeti e le stelle e, maggiore è la massa di un

corpo, maggiore è la rarefazione dell’etere all’interno di esso; di conseguenza

ogni corpo tende a compiere uno «sforzo» per spostarsi dalle parti più dense del

mezzo etereo (lontane dal altri corpi) a quelle più rare (vicine agli altri corpi).

Questo mezzo non è più raro dentro i corpi densi del sole, delle stelle,

dei pianeti e delle comete che nel vuoto spazio celeste esistente tra

essi? E nel passare da quelli a distanze molto maggiori, non diventa

continuamente sempre più densi, e causa perciò stesso la gravitazione

di questi grandi corpi l’uno verso l’altro e delle loro parti verso i corpi:

ogni corpo compiendo uno sforzo per andare dalle parti più dense del

mezzo verso quelle più rare? […]

E così, se si suppone che l’etere (come la nostra aria) sia costituito di

particelle che si sforzano di allontanarsi l’una dall’altra (infatti non so

cosa sia questo etere) e che le sue particelle siano estremamente più

piccole di quelle dell’aria o anche di quelle della luce, l’estrema

piccolezza delle sue particelle può contribuire alla grandezza della

forza per effetto della quale quelle particelle possono allontanarsi le

lune dalle alte, e perciò stesso rendere quel mezzo estremamente più

raro ed elastico dell’aria, e, per conseguenza, estremamente meno

capace di offrire resistenza ai moti dei proiettili e più atto a premere

sopra i grandi corpi a causa dello sforzo che compie per espandersi.3

Newton non è stato né il solo né il primo ad attribuire all’etere la causa della

gravitazione. Per esempio nel 1671 Leibniz pubblica un saggio dal titolo

Hypothesis Phyisica Nova in cui esprime delle proprie concezioni filosofiche

attorno alla natura.

3 ISAAC NEWTON – Opticks (questione 21) (1704).

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Nella prima parte del saggio (Theoria motus concreti) presenta una

descrizione sui moti riguardanti i corpi materiali, primo fra tutti l’Universo nel

quale afferma l’esistenza di un mezzo tra il globo solare e il globo terrestre

chiamato etere. Dal suo saggio si evince chiaramente che lo stesso Leibniz non

ha ben chiaro come l’etere agisca sui corpi materiali e si limita a dare una

spiegazione sommaria del fenomeno.

Riallacciandosi ai vortici di materia sottile di cartesiana memoria, Leibniz ritiene

che:

[…]per la sola rotazione del Sole attorno al proprio Centro, l'etere

con i pianeti è trasportato attorno al Sole4

La presenza di un corpo che, per una qualunque causa si troverà ad ascendere,

turberà questi flussi d’etere che tenderanno a far spostare il corpo verso

posizioni di minor turbolenza ovvero verso la superficie. L’elasticità delle

particelle d’etere tende a riportare tutte le parti di materia sensibile nella

posizione originale. Da tutto questo ha origine la gravità.

4 LEIBNIZ – Hypothesis Phyisica Nova; Theoria motus concreti (1671)

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3. Gli sviluppi nell’ottocento

L’ottica di Young e FresnelUna delle più grandi autorità nel campo dell’ottica nel XIX secolo è Thomas

Young che, con i suoi due saggi pubblicati tra il 1802 e il 1804 dal titolo An

account of some cases of the production of colours, not hitherto described e

Experiments and calculations relative to physical optics reintroduce la teoria

ondulatoria della luce illustrando i principi dell’interferenza tra raggi e

spiegando in modo corretto le formazioni delle frange colorate generate da film

sottili e da lamine a facce parallele.

Il fenomeno dell’interferenza viene in particolare osservato da Young attraverso

il famoso esperimento in cui un fascio di luce viene fatta passare attraverso due

piccoli forellini praticati su una parete opaca posta tra la sorgente e uno

schermo posto ad una certa distanza; quello che si osserva non è la somma delle

immagini ottenute chiudendo alternativamente uno dei forellini ma delle

alternanze di luci e ombre.

Figura 1 Esperimento di Young. In figura sono presenti fenditure invece dei forellini come ha usato Young

Questo implica che i due raggi di luce uscenti dai forellini, devono comportarsi

come due onde che si sovrappongono una volta arrivati sullo schermo e, poiché

i due raggi (o onde) dovranno percorrere traiettorie diverse, alle volte si

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troveranno in fase (ovvero in cui le creste e i ventri coincidono causando un

aumento dell’ampiezza) e danno vita ad una luce più intensa, altre volte si

troveranno in opposizione di fase (la cresta di un’onda coincide con il ventre di

un’altra cancellandosi reciprocamente) e danno vita ad una zona di ombra.

Successivamente, nel 1817, da una lettera di Arago, Young ha saputo che lo

stesso Arago stava lavorando con Fresnel ad esperimenti di interferenza tra

fasci di luce polarizzata dai quali Fresnel elabora una completa teoria dei

fenomeni ottici riprendendo il principio di Huygens formulato più di un secolo

prima.

Young, allora, svolge analoghe ricerche concludendo che le vibrazioni

dell’etere debbono essere trasversali e comunica la sua intuizione a Fresnel.

Questi la fa sua e nella celebre memoria depositata all’Accademia delle Scienze

di Parigi il 20 Luglio 1818 concludeva che le onde luminose devono essere

modificazioni di un etere sottilissimo e fluido e che quindi le vibrazioni non

potevano che essere longitudinali, perché quelle trasversali non si potevano

presupporre che in un solido.

Poiché i fenomeni di polarizzazione imputabili solo a onde trasversali sono

perfettamente in grado di spiegare anche il fenomeno della birifrangenza,

rapidamente è abbandonata l’ipotesi corpuscolare newtoniana a favore di quella

ondulatoria basata su onde trasversali.

Fresnel sottolinea che l’etere, pur essendo attraversato da corpi celesti e dalla

stessa Terra, deve possedere le proprietà meccaniche di un corpo solido

perfettamente elastico, che, al tempo stesso, non sia in grado di trasportare le

onde longitudinali.

A quest’ultima interpretazione vi aderisce Cauchy che cerca di sviluppare una

teoria molecolare dell’etere. Dalle conclusioni di Cauchy, George Green

ipotizza che, stando a quanto affermava Fresnel, l’etere fluido sarebbe stato

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instabile, quindi ipotizzò un etere perfettamente rigido per eliminare il

problema delle onde longitudinali.

Un’interpretazione molto ingegnosa è stata data circa una decina di anni dopo

da Stokes che è riuscito a sviluppare una teoria secondo la quale l’etere vicino

alla superficie dei pianeti, poiché viene trascinato lungo il loro moto, è in quiete

rispetto alla superficie stessa mentre la sua velocità cambia man mano che ci si

allontana: quindi l’etere ha le caratteristiche di un fluido a basse velocità e di un

solido ad alte velocità (frequenze). In questo modo la Terra può muoversi

liberamente attraverso l’etere anche se questo si comporta come un corpo rigido

in grado di trasmettere le onde trasversali luminose.

Le equazioni di MaxwellIl più grande contributo alla fisica nel XIX secolo è stato dato da James Clerk

Maxwell che è riuscito a spiegare tutti i fenomeni elettrici e magnetici

attraverso una teoria unitaria e perfettamente coerente, espressa dalle sue

famosissime equazioni.

Esse permisero di dedurre, per via puramente teorica, che campo elettrico e

campo magnetico sono manifestazioni di un’unica realtà fisica e che la luce è

proprio un’onda elettromagnetica .

Le onde elettromagnetiche devono propagarsi nel vuoto ad una velocità fissa

pari alla velocità della luce (che è legata alle proprietà elettriche e magnetiche

del vuoto dalla celebre relazione 00

1µε

=c ).

Le equazioni di Maxwell non sono invarianti sotto trasformazioni galileiane

(ovvero, cambiando il sistema di riferimento, cambiano anche le equazioni cosa

che non accade per le leggi di Newton) e, poiché il valore di c è stato trovato

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proprio grazie alle equazioni di Maxwell, se ne deduce che esso non può

avere carattere invariante.

Dal momento che le equazioni di Maxwell identificano la luce con un’onda

elettromagnetica, è ovvio che, mai come in quegli anni, prevale la teoria

ondulatoria della luce e, di conseguenza, Maxwell non può che riproporre una

concezione basata sull’etere che, mediando le interazioni elettriche e

magnetiche svolge anche il ruolo di mezzo nel quale si propaga la luce:

I vari «etere» sono stati concepiti per spiegare il moto dei pianeti,

per unificare campi elettrici e flussi magnetici, per trasportare le

virtù da un corpo ad un altro e così via, fino a che tutto lo spazio è

stato riempito tre o quattro volte di etere […]. L’unico etere che è

sopravvissuto è quello concepito da Huygens per spiegare la

propagazione della luce5.

Viene esclusa l’idea di un eventuale trascinamento da parte della Terra

dell’etere che, quindi, è concepito come un mezzo in perfetta quiete rispetto

all’universo (cioè rispetto alle stelle fisse), ossia, per dirla più semplicemente,

costituisce un sistema di riferimento privilegiato nel quale le onde

elettromagnetiche si propagano a velocità pari a c. Questo comporta che, per un

qualunque altro osservatore in moto rispetto all’etere, la velocità della luce è

diversa da c – se mi trovo su un aereo che viaggia ad una velocità v nella stessa

direzione della luce, la velocità della luce, secondo il mio sistema di

riferimento, non sarà più c ma cvc −=' .

Questa variazione di velocità della luce dovuta al moto dell’osservatore rispetto

all’etere, prende il nome di vento d’etere, cioè una sorta di vero e proprio vento

che si muove alla stessa velocità del corpo in movimento ma con direzione

opposta. Per esempio, la Terra si muove nell'universo a 30km/s perciò dovrebbe

5 JAMES CLERK MAXWELL - Encyclopedia Britannica

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soffiare un vento d’etere a 30 km/s che spazzerebbe la Terra in direzione

opposta al proprio cammino.

4. L’etere non esiste

L’esperimento di Michelson e MorleyÈ stata proprio l’ipotesi di questo vento d’etere che ha portato Albert Abraham

Michelson nel 1881 a compiere un esperimento che ne dimostrasse l’esistenza.

Michelson, decise di provare a misurare la velocità della luce per vedere se si

trovasse traccia del vento d'etere, usando, a tale scopo, un interferometro da lui

stesso ideato. Se il vento d'etere fosse esistito la velocità della luce sarebbe stata

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Figura 2 Esempio dell’interferometro utilizzato da Michelson e Morley.

Un raggio di luce colpisce uno specchio semiargentato, e quindi semiriflettente (al centro della figura): in parte esso é riflesso su di uno specchio (in alto), che lo riflette nuovamente, in parte lo attraversa ed é riflesso su un altro specchio. Il primo di questi raggi attraversa lo specchio semiargentato, il secondo è da questo riflesso in direzione ortogonale, cosicché i due raggi si sovrappongono prima di giungere ad uno schermo (in basso). Essendo derivati da un'unica sorgente luminosa, i due raggi sono tra loro coerenti (cioè hanno stessa intensità, stessa ampiezza e stessa lunghezza d'onda); avendo percorso cammini ottici di uguale lunghezza, essi giungono sullo schermo in fase, e quindi la luminosità totale sarà raddoppiata

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diversa nelle varie direzioni, quindi, guardando all'interno dell'interfero-

metro, si sarebbero viste delle frange di interferenza diverse.

Utilizzando questo dispositivo sperimentale, Michelson effettuò nel 1881 un

certo numero di misure non rilevando lo spostamento minimo previsto delle

frange di interferenza (i dati vennero pubblicati da Michelson nello stesso

anno). Tuttavia il suo apparecchio prototipale non aveva la precisione

sufficiente per escludere con certezza l'esistenza del movimento nell'etere. Per

questo decise di effettuare esperimenti più precisi e, nel 1887, si mise in

contatto con Edward Morley, che offrì il suo laboratorio per il nuovo

esperimento. A tale scopo venne utilizzato un interferometro montato su una

lastra di pietra quadrata di 150 cm di lato e circa 50 cm di spessore. Per

eliminare le vibrazioni la lastra veniva fatta galleggiare su mercurio,

accorgimento che permetteva di mantenere la lastra orizzontale e di farla

agevolmente ruotare. Un sistema di specchi inviava il raggio di luce per un

percorso di otto viaggi di andata e ritorno allo scopo di rendere il percorso del

raggio di luce più lungo possibile. Anche con il nuovo esperimento non si trovò

traccia di un vento d'etere cioè la velocità della luce era indipendente dalla

direzione. La cosa accadde anche ripetendo l'esperimento a distanza di tempo e

di luogo.

Con questi esperimenti fallisce la legge di composizione galileiana delle

velocità nel caso della luce, poiché, appunto, la luce non viene "trascinata" da

nessun mezzo fisico. Due spiegazioni sono possibili al fallimento

dell'esperienza di Michelson e Morley:

• il braccio dell'interferometro nella direzione del moto dell'etere si

accorcia (contrazione di Fitzgerald)

• la velocità della luce è la medesima in tutte le direzioni

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Einstein accetta la seconda soluzione che va considerata come una riprova

dell'isotropia dello spazio per tutti gli osservatori. La spiegazione di tale

risultato secondo Einstein è che non vi è nessun etere.

La conclusione, che la velocità della luce è indipendente dal moto della

sorgente e dell'osservatore, fu l'ipotesi da cui partì Einstein per sviluppare la

teoria della relatività ristretta.

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5. La fine dell’etere?

Considerazioni attualiLa teoria dell’etere ha ricevuto un brutto colpo quando Einstein, con la teoria

della relatività speciale ha modificato sia le trasformazioni di Galileo che la

dinamica newtoniana proponendo, con le trasformazioni di Lorentz, un nuovo

contesto matematico «senza etere» all’elettrodinamica.

È ovvio che, avendo smontato una delle più grandi certezze della fisica, questa

nuova teoria non ha trovato subito larghi consensi nel pensiero scientifico

soprattutto da parte degli scienziati più anziani; in effetti le trasformazioni di

Lorentz implicano un cambiamento non indifferente ovvero che non esisteva un

concetto assoluto di spazio e tempo ma che questo concetto poteva differire a

seconda della velocità dell’osservatore.

Un’ulteriore colpo inflitto da Einstein all’etere è stato dato pochissimo tempo

dopo quando ha pubblicato il suo articolo relativo all’effetto fotoelettrico (per il

quale ha vinto il premio Nobel nel 1921). In tale articolo Einstein spiega come

la luce potesse essere considerata come un insieme di “enti localizzati nello

spazio” la cui energia hν era, però, definita da una grandezza ondulatoria come

la frequenza.

Naturalmente le particelle non hanno bisogno di nessun mezzo per viaggiare e

possono benissimo farlo nel vuoto.

Da un estratto di un articolo di Einstein del 1909 leggiamo:

Quando sono state osservate diffrazione e interferenza della luce,

è stato quasi spontaneo considerare la luce come un’onda. Dal

momento che la luce può anche propagarsi attraverso spazi vuoti,

si deve immaginare una strana sostanza, etere, che faccia da

mezzo per la propagazione delle onde luminose. Poiché la luce si

propaga anche attraverso gli oggetti, è logico pensare che l’etere si

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trovi anche negli oggetti ed è il principale responsabile della

propagazione della luce negli oggetti materiali. L’ipotesi

dell’esistenza dell’etere, quindi, sembra fuori ogni dubbio. […]

Oggi abbiamo stabilito che l’ipotesi dell’etere è obsoleta. Una

gran quantità di fatti dimostra innegabilmente che la luce ha

caratteristiche che possono essere spiegate meglio con la teoria

dell’emissione di Newton piuttosto che con quella ondulatoria.

Per questa ragione io ritengo che il prossimo passo per lo sviluppo

della fisica teorica ci porterà a considerare la luce come una

fusione delle teorie d’emissione e ondulatoria.6

Lorentz da parte sua continuò ad utilizzare il concetto di etere, infatti in un suo

articolo del 1911 (Quello che la teoria della relatività deve dire) afferma che,

anche se non esiste l’etere, di sicuro esiste il campo elettromagnetico e le

oscillazioni elettriche, di conseguenza, anche se non si vuole più usare il nome

etere, bisogna comunque trovare un’altra parola a cui aggrapparsi per spiegare

questi fenomeni.

Paul Langevin è stato un grande sostenitore della relatività ristretta ma nel 1911

ha ipotizzato l’esistenza di un etere studiando la variazione di velocità nella

dilatazione dei tempi per due viaggiatori. Questo esempio ha successivamente

portato al celebre paradosso del gemelli.

Alcuni anni dopo, lo stesso Einstein ha cambiato il suo modo di pensare nei

riguardi dell’etere tanto che ad una conferenza del 1920 egli dice che lo spazio è

pieno di quantità fisiche affermando che la stessa teoria della relatività generale

ammette l’esistenza di un mezzo per la luce anche se non materiale.

Nel suo articolo possiamo leggere:

Anche se nel 1905 pensavo che in fisica non si potesse

assolutamente parlare di etere, questo giudizio era troppo radicale,

6 ALBERT EINSTEIN – The Development of Our Views on the Composition and Essence of Radiation (1909)

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come possiamo vedere con le prossime considerazioni della

relatività generale. È quindi permesso assumere un mezzo colmante

nello spazio se ci si riferisce al campo elettromagnetico (e quindi

anche alla materia).7

Anche Michelson che è stato colui che ha dimostrato la non-esistenza dell’etere,

non è mai stato disposto ad abbandonarne totalmente il concetto.

Negli anni successivi altri fisici che hanno continuato ad avallare l’esistenza di

un etere sono stati:

Herbert Ives che nel 1940 ha attribuito all’etere gli effetti sulla velocità del

cammino dell’orologio;

Geoffrey Builder ha scritto in un articolo del 1958 che non ci sono alternative

all’ipotesi dell’etere e, infine, Paul Dirac nel 1951 ha scritto un articolo su

Nature nel quale afferma:

La conoscenza della fisica si è sviluppata molto dal 1905,

notevolmente con l’arrivo della meccanica quantistica e la

situazione (circa la plausibilità scientifica dell’etere) è di nuovo

cambiata. […] Possiamo vedere [al giorno d’oggi] che si può

benissimo avere un etere soggetto alla meccanica quantistica e

conforme alla relatività dimostrando che siamo propensi a

considerare il vuoto perfetto come uno stato ideale piuttosto che un

fatto pratico attendibile. […] Quindi, con la nuova teoria

dell’elettrodinamica, noi siamo costretti ad assumere l’esistenza di

un etere.8

La maggior parte dei fisici, però, sono d’accordo sul fatto che non esiste alcun

etere anche se il vuoto quantistico è un ente estremamente “popolato”.

Al giorno d’oggi si pensa che sia la relatività generale che la meccanica

quantistica non abbiano bisogno della sua esistenza e, poiché la fisica oggi si

7 ALBERT EINSTEIN - Grundgedanken und Methoden der Relativitätstheorie in ihrer Entwicklung dargestellt (1920)8 P.A.M. DIRAC – Is there an ether? Pubblicato su Nature vol. 168 (1951)

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basa unicamente su queste teorie, risulta impossibile sviluppare una teoria

dell’etere conciliabile con gli esperimenti.

Tuttavia l’ipotesi di uno mezzo etereo non può essere del tutto negata, in effetti

ci sono ancora alcuni problemi che risultano enormemente semplificati se si

assume l’ipotesi di un etere anche se notevolmente diverso dall’etere luminifero

classico.

Un ennesimo approccio per una reintroduzione dell’etere, ci viene data da O.D.

Rughede, il quale afferma che, se si assume di trovare in ogni punto dello spazio

un flusso in tutte le direzioni di un energia radiante da tutti gli oggetti dello

spazio, significa che lo spazio ha ovunque un’energia U e una densità di energia

u che dipende dalla posizione nello spazio. L’energia radiante la chiamiamo

etere e, poiché è presente in tutto l’universo, possiamo chiamare lo spazio

Spazio d’Etere.

Lo Spazio fisico è identificato con lo Spazio d’Etere universale.

L’equazione dell’etere, si deduce ricavando la temperatura delle

radiazioni di fondo cosmiche TCMBR e assumendo che G e c siano

costanti.9

9 OLE D. RUGHEDE – On the theory and physics of the Aether (Gennaio 2006)

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Page 21: Teoria dell'etere nella storia della fisica

Bibliografia

[1] M. CALLERI. Lineamenti di storia dell’ottica – dalle lenti ustorie ai laser

scaricato on line dal sito www,minerva.unito.it

[2] S. HAWKING. (1988). Dal big bang ai buchi neri RIZZOLI, MILANO,

[3] A. KOIRÈ. (1972). Studi newtoniani EINAUDI, TORINO

Altre fonti

[4] www.wikipedia.org

[5] www.fisicamente.net

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