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TEORIA E METOLOGIA DELLALLENAMENTO 1 1 TEORIA DELL ALLENAMENTO (Marcello Rocca) 1. INTRODUZIONE L'esercizio fisico L in grado di indurre profondi cambiamenti nell’organismo umano; riuscire a valutare e pilotarne gli effetti, per lo meno quelli che investono la sfera biomeccanica, L di estrema importanza affinchØ esso venga indirizzato nella maniera corretta in un preciso campo delle attivit motorie. Nel campo sportivo l'esercizio fisico comporta un impegno muscolare intenso che rende l'organismo piø recettivo ad una somministrazione periodica degli stimoli allenanti, e adattabile carichi sempre piø intensi, cos da produrre una performance sempre piø elevata (obiettivo finale). Nel campo riabilitativo, invece, il processo di rieducazione di un gruppo muscolare costretto ad inattivit in seguito ad un trauma, pu essere inteso come riadattamento dello stesso ad un lavoro svolto precedentemente con riconsolidamento completo della piena sinergia con altri gruppi muscolari impegnati nel gesto motorio (obiettivo finale). Ambedue i casi richiedono un impegno ripetitivo, anche se differiscono nel contenuto del lavoro da svolgere, ma devono seguire scrupolosamente certe regole ben precise, quali le leggi della teoria dell'allenamento, scaturite dalla conoscenza di quella catena di risposte fisiologiche che l'organismo oppone a stimoli esterni definita come "sindrome generale di adattamento". Tale definizione trae le sue origini dal concetto espresso da Selye secondo cui lorganismo reagisce sempre ad uno stress prolungato dovuto sia a fattori esterni che interni, per mantenere il suo equilibrio interiore, attraverso tre fasi che si articolano sempre in successione: 1. - reazione di allarme: fase di shock (nella quale l'organismo subisce passivamente l'azione dell'agente alterativo) seguita da una di contro-shock, (nella quale l'organismo mobilita le sue difese); in questa fase le reazioni dell'organismo sorpassano il reale bisogno di compensazione 2. - fase di resistenza nella quale l'organismo aumenta la sua resistenza verso il fattore dannoso contro le azioni nocive che lo colpiscono. 3. - fase di esaurimento nella quale lorganismo soccombe agli agenti dannosi. Essa pu comparire piø o meno tardivamente in rapporto alle capacit di risposta dell’organismo stesso e all'intensit dello stress, come pu anche mancare qualora lo stress si esaurisca in tempo utile. L'attivit muscolare diventa uno degli "stressor" (stimolo abnorme che aggredisce l'organismo) piø importanti ed L caratterizzato dal fatto di provocare un periodo di shock molto breve e debole, seguito da fenomeni molto pronunciati di contro-shock. Le cause di stress durante l'esercizio fisico sono varie e naturalmente si potenziano reciprocamente con effetto di sommazione. La ripetizione dello stress fisico (esercizio fisico o STIMOLO ALLENANTE ) determina un effetto variabile secondo l'intensit della precedente esposizione allo stress stesso, e la durata del periodo di riposo fra le due esposizioni (fase di ADATTAMENTO ). E' proprio in questa fase che si instaurano e si consolidano i fenomeni di adattamento ricercati dalla specificit dello stimolo proposto. Se la prima esposizione non L stata troppo severa, e la durata della fase di adattamento (riposo) L stata sufficiente, la seconda esposizione trova l'organismo gi predisposto e con un grado di adattamento superiore in partenza (SUPERCOMPENSAZIONE ). Ci porta ad un successivo innalzamento della resistenza allo stimolo specifico rispetto a quella che aveva la prima volta, purchØ il tempo intercorso tra le due esposizioni non sia eccessivo e l'organismo ne conservi il ricordo. In questo caso, una nuova esposizione ben dosata anche se piø intensa della precedente, far aumentare ancora la capacit di adattamento e di resistenza; si costituir cos per ripiani di allenamento, un aumento della resistenza predisponendo il sistema ad impegni sempre piø gravosi.

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TEORIA E METOLOGIA DELL�ALLENAMENTO 1

1 TEORIA DELL� ALLENAMENTO

(Marcello Rocca)

1. INTRODUZIONE

L'esercizio fisico è in grado di indurre profondi cambiamenti nell'organismo umano; riuscire a

valutare e pilotarne gli effetti, per lo meno quelli che investono la sfera biomeccanica, è di estrema importanza affinché esso venga indirizzato nella maniera corretta in un preciso campo delle attività

motorie. Nel campo sportivo l'esercizio fisico comporta un impegno muscolare intenso che rende l'organismo più recettivo ad una somministrazione periodica degli stimoli allenanti, e adattabile carichi sempre più intensi, così da produrre una performance sempre più elevata (obiettivo finale). Nel campo riabilitativo, invece, il processo di rieducazione di un gruppo muscolare costretto ad inattività in seguito ad un trauma, può essere inteso come riadattamento dello stesso ad un lavoro

svolto precedentemente con riconsolidamento completo della piena sinergia con altri gruppi muscolari impegnati nel gesto motorio (obiettivo finale). Ambedue i casi richiedono un impegno ripetitivo, anche se differiscono nel contenuto del lavoro da svolgere, ma devono seguire scrupolosamente certe regole ben precise, quali le leggi della teoria dell'allenamento, scaturite dalla conoscenza di quella catena di risposte fisiologiche che l'organismo oppone a stimoli esterni definita come "sindrome generale di adattamento". Tale definizione trae le sue origini dal concetto espresso da Selye secondo cui l�organismo

reagisce sempre ad uno stress prolungato dovuto sia a fattori esterni che interni, per mantenere il suo equilibrio interiore, attraverso tre fasi che si articolano sempre in successione:

1. - reazione di allarme: fase di shock (nella quale l'organismo subisce passivamente l'azione dell'agente alterativo) seguita da una di contro-shock, (nella quale l'organismo mobilita le sue difese); in questa fase le reazioni dell'organismo sorpassano il reale bisogno di compensazione 2. - fase di resistenza nella quale l'organismo aumenta la sua resistenza verso il fattore dannoso contro le azioni nocive che lo colpiscono. 3. - fase di esaurimento nella quale l�organismo soccombe agli agenti dannosi. Essa può

comparire più o meno tardivamente in rapporto alle capacità di risposta dell'organismo stesso e

all'intensità dello stress, come può anche mancare qualora lo stress si esaurisca in tempo utile. L'attività muscolare diventa uno degli "stressor" (stimolo abnorme che aggredisce l'organismo) più

importanti ed è caratterizzato dal fatto di provocare un periodo di shock molto breve e debole, seguito da fenomeni molto pronunciati di contro-shock. Le cause di stress durante l'esercizio fisico sono varie e naturalmente si potenziano reciprocamente con effetto di sommazione. La ripetizione dello stress fisico (esercizio fisico o STIMOLO ALLENANTE) determina un effetto variabile secondo l'intensità della precedente esposizione allo stress stesso, e la durata del

periodo di riposo fra le due esposizioni (fase di ADATTAMENTO). E' proprio in questa fase che si instaurano e si consolidano i fenomeni di adattamento ricercati dalla specificità dello stimolo

proposto. Se la prima esposizione non è stata troppo severa, e la durata della fase di adattamento (riposo) è

stata sufficiente, la seconda esposizione trova l'organismo già predisposto e con un grado di adattamento superiore in partenza (SUPERCOMPENSAZIONE). Ciò porta ad un successivo

innalzamento della resistenza allo stimolo specifico rispetto a quella che aveva la prima volta, purché il tempo intercorso tra le due esposizioni non sia eccessivo e l'organismo ne conservi il ricordo. In questo caso, una nuova esposizione ben dosata anche se più intensa della precedente,

farà aumentare ancora la capacità di adattamento e di resistenza; si costituirà così per ripiani di

allenamento, un aumento della resistenza predisponendo il sistema ad impegni sempre più

gravosi.

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L�organismo si adatta a tale successione di stress con precise "reazioni specifiche" che si

esplicano con l'ipertrofismo muscolare, ipertrofismo cardiaco ecc.. Contrariamente, se le esposizioni allo stress fisico sono troppo severe per intensità e durata o

intervallate da periodi troppo brevi di riposo, il risultato è inverso al precedente: la resistenza si

installa ad un ripiano più basso in modo da prevaricare tale fase e favorire l'insorgere della fatica acuta (fase di esaurimento corrispondente alla "sindrome da superallenamento"). Una corretta organizzazione del lavoro muscolare, quindi, deve prevedere una razionale distribuzione del rapporto stimolo adattamento affinché si possa esaltare al massimo l'effetto della supercompensazione. Il collocamento di uno stimolo (CARICO DELLA SEDUTA DI LAVORO) maggiore va inserito quando la supercompensazione precedente può essere considerata completamente avvenuta. Alcuni stimoli allenanti hanno tempi di supercompensazione abbastanza brevi, altri invece, si manifestano in forma significativa anche dopo molti giorni. Tale dinamica viene definita ETEROCRONISMO delle funzioni e la sua conoscenza è fondamentale per la programmazione

dell'allenamento. I carichi di lavoro, tra le varie sedute devono essere incrementati gradualmente e progressivamente ma alternati da precise fasi di sfogo, nelle quali il carico deve diminuire, e fasi di riposo. E� in tali periodi che avviene l'adattamento organico, vale a dire l�insediamento di quei

meccanismi che ripagano il lavoro effettuato accrescendo così le riserve funzionali e

predisponendo il sistema biologico ad un impegno più gravoso. Questo tipo di distribuzione dello stimolo-adattamento deve avvenire mediante un'organizzazione ciclica per garantire la ripetizione dello stimolo in tempi utili per sfruttare la supercompensazione. Pertanto il contenuto di ogni singola seduta deve essere articolato in modo consequenziale con quello della seduta successiva, in modo da razionalizzare al massimo il processo di costruzione di quello che è il microciclo settimanale di allenamento, vale a dire, quel periodo relativamente breve all�interno del quale sono articolati gli allenamenti di una singola settimana. L�insieme di più

microcicli costituiscono i cosiddetti mesocicli (della durata di circa un mese e formati da più

microcicli) che messi tra loro insieme concorrono nel formare quella che va sotto il nome di PERIODIZZAZIONE DELL�ALLENAMENTO, che è alla base di una razionale costruzione della stagione sportiva.

2. LE ESERCITAZIONI

Uno degli aspetti fondamentali della teoria dell'allenamento, riguarda la scelta più appropriata delle

esercitazioni, che devono mirare allo sviluppo prevalente di quei gruppi muscolari più impegnati nella specialità alla quale si vuole fare riferimento. Nell'attività sportiva in generale, le esercitazioni

vengono suddivise in: - esercitazioni a carattere generale - esercitazioni a carattere speciale - esercitazioni di gara Per esercitazioni a carattere generale si intendono quelle che hanno influenza globale sull'organismo, sviluppando così un adattamento generale, coinvolgendo vari distretti muscolari ed

articolari e non riproducendo alcun elemento tecnico specifico della disciplina di riferimento. Andranno effettuate durante la prima fase del periodo preparatorio, e riguarderanno essenzialmente esercitazioni di mobilità articolare e di innalzamento generale del tono muscolare a

carico naturale prima, e con sovraccarico poi. Le esercitazioni a carattere speciale sono quelle che hanno elementi parziali del gesto tecnico della disciplina praticata ed impegnano prevalentemente i gruppi muscolari maggiormente coinvolti nella stessa, che andranno opportunamente potenziati. Le esercitazioni di gara, infine, riproducono esattamente il gesto e l'intensità dello sforzo da

produrre in gara. Per pianificare un lavoro in ogni singolo disciplina sportiva, si deve tener anche conto: a) del tipo di esercitazione b) del numero di esercitazioni. Per tipo di esercitazioni si intende il contenuto delle esercitazioni stesse e cioè il preciso impegno

muscolare richiesto.

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Per numero delle esercitazioni si fa riferimento alla quantità di lavoro che deve essere svolto dallo

stesso gruppo muscolare, in base alle esigenze specifiche. Nella scelta non va altresì dimenticato

il giusto rapporto di lavoro tra agonisti ed antagonisti, rapporto che se non rispettato può portare

inevitabilmente a scompensi. In particolare nelle attività monolaterali, il rapporto di scelta deve

mirare ad un compenso appropriato tra i vari distretti muscolari, al fine di stabilire la giusta simmetria. Infatti, a lungo andare, se non viene effettuata un'opportuna attività di bilanciamento, si

può avere anche l'insorgenza di fastidiosi scompensi funzionali. Pertanto in questi casi il lavoro sugli antagonisti deve essere più assiduo. Per le altre discipline sportive, invece, bisogna dare molto risalto al lavoro sui distretti muscolari antagonisti, oltre che durante la normale stagione, anche e soprattutto nel periodo transitorio. Un altro campo nel quale la scelta delle esercitazioni, soprattutto quelle svolte con il sovraccarico, è fondamentale, è la rieducazione di un distretto muscolare costretto ad inattività in seguito ad

immobilità conseguente ad un trauma. A tal proposito bisogna affermare che, per la rieducazione, è importante favorire inizialmente le esercitazioni che esaltino le contrazioni eccentriche, in quanto

sembra dimostrata l�efficacia del risultato riabilitativo finale se si favoriscono, inizialmente le contrazioni eccentriche rispetto a quelle concentriche. Questo tipo di metodica può essere utilizzata anche nelle prime sedute alla ripresa dell�attività. Si è

notato, infatti, che dopo il periodo di transizione, i cali più evidenti si sono registrati nelle prestazioni di natura eccentrica (in pratica è la stessa cosa che accade in seguito ad un infortunio,

quando a causa della ridotta attività che ne consegue si ha perdita di tono muscolare dell�arto leso

che si evidenzia maggiormente nel momento eccentrico della contrazione, rispetto al momento concentrico). Pertanto alla ripresa dell�attività, come detto, è opportuno lavorare maggiormente con contrazioni

eccentriche. Le metodiche da utilizzare possono essere due: a) la prima, più specifica per le riabilitazioni, consiste nell�effettuare la fase eccentrica di un

determinato esercizio con il massimo dell�impegno muscolare, mentre la fase concentrica viene

sempre agevolata o grazie all�azione di un compagno o con l�aiuto di altre parti del proprio corpo (ad esempio, nell�effettuare il classico esercizio alla pressa, la discesa, che rappresenta

la fase eccentrica, è fatta con il solo arto da riabilitare, mentre la salita, fase concentrica, è fatta

con entrambi gli arti). Questa metodica è definita Metodo delle ripetizioni forzate. b) la seconda, più indicata per le esercitazioni da fare alla ripresa della attività, consiste nel far

durare la fase eccentrica della contrazione almeno 4", mentre quella concentrica 2", e in ogni modo cercando di favorire in ogni esercizio questo rapporto di 2 ad 1.

Quando invece si fa riferimento all'allenamento con il sovraccarico in età evolutiva, è consigliabile

che le esercitazioni abbiano un orientamento generalizzato.

3. IL MASSIMALE

L�elemento più importante per la determinazione del carico di lavoro è il calcolo del massimale. Il

MASSIMALE, deve sempre essere ricavato in forma sperimentale. La maniera più valida, consiste nel fare eseguire delle singole prove con carichi via via crescenti,

intervallati da un preciso tempo di recupero (anche tre minuti), fino ad arrivare al massimo sollevabile in quella esercitazione. Questo sistema, pur essendo il più affidabile, ha un notevole tempo di svolgimento. Può essere sostituito dal più pratico, ma meno preciso, calcolo del massimale dal numero delle ripetizioni: stabilito un carico si conta il numero di ripetizioni che si riescono a fare con quel carico, e poi, tramite opportune tabelle, se ne ricava il massimale. La soluzione ottimale potrebbe essere rappresentata da una fusione dei due metodi: stabilire il massimale approssimativo con il metodo delle ripetizioni, e poi, in una giornata successiva, cercare il massimale con il primo metodo, partendo dal carico massimale risultante dal metodo delle ripetizioni. Ad ogni modo, entrambi i metodi portano ad un notevole esaurimento energetico e muscolare. Pertanto si consiglia di effettuarli alla fine della settimana, o comunque è consigliabile fare seguire

a tale esercitazione, almeno 24 ore di riposo. Una volta eseguito il calcolo del massimale sarebbe opportuno almeno ogni 45 giorni (l�ideale

sarebbe ogni 21 giorni) fare un controllo del massimale, ed aggiornare, così, le schede di lavoro

con la percentuale di lavoro scaturita dal nuovo massimale. Infatti, in condizioni di lavoro razionale,

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durante il periodo di preparazione, dopo circa tre settimane di lavoro, la massa muscolare dovrebbe essere aumentata, e di conseguenza i massimali si dovrebbero innalzare. Di indubbio interesse è anche il calcolo dell�indice di forza relativo ricavato, appunto, dai massimali calcolato dividendo il valore del massimale per il peso corporeo. In base ai risultati ottenuti (ci sono anche degli indici di riferimento) si può fare innanzi tutto un confronto, per vedere di quanto si è

innalzato il valore tra una rilevazione di massimale ed un�altra, ma soprattutto si possono fare delle

analisi per settore, e valutare quelli eventualmente deficitari. Per verificare se il lavoro effettuato in sala pesi è stato fatto in maniera razionale, l�indice globale (dato dalla somma di tutti gli indici parziali) deve salire durante il periodo preparatorio, per poi stabilizzarsi o decrescere lentamente nel periodo agonistico. Si deve infine, avere, una notevole diminuzione nel periodo transitorio. Quello che potrebbe assumere grande importanza è l�indice medio di forza relativo ricavato

durante tutta la stagione, sia globale che diviso per settori (arto inferiore ed arto superiore) che, nell�ambito di una preparazione pluriennale deve sempre salire. Con il giusto "dosaggio" di parametri quali: - Carico di lavoro - Numero di ripetizioni - Numero di serie - Tempo di recupero - Velocità di esecuzione si favorisce una precisa specificità dello stimolo che determina il mirato effetto allenante. Praticamente si può affermare che un carico di lavoro svolto per un determinato tempo (numero di ripetizioni e numero di serie), crea specifiche reazioni ormonali ed energetiche, che tendono a modificare con un preciso indirizzo la struttura del muscolo. Il tempo di recupero tra le serie permette che il lavoro possa essere più vantaggiosamente sostenuto, infatti, quando viene rotta la

continuità dell'azione, viene favorita la risintesi delle sostanze degradate e la ricostituzione di

nuova energia per un ulteriore lavoro. La durata complessiva del recupero deve essere dipendente dal tempo di lavoro e dalla sua intensità.

4. QUALITÀ ATLETICHE

In base alla specificità dello stimolo che si vuole proporre, è possibile classificare le qualità

atletiche in due grosse classi denominate: a) NEURO-MUSCOLARI b) ORGANICHE Tra le qualità neuro-muscolari, il sovraccarico è il mezzo di allenamento più importante, e ci

permette di intervenire direttamente sullo sviluppo della forza muscolare. In base a classificazioni fondate sulla pratica dell�allenamento si distinguono tre tipi fondamentali di

"forza": a) La FORZA MASSIMA ossia, la forza più elevata che il sistema neuromuscolare è in grado di

erogare con una contrazione volontaria. b) La FORZA DINAMICA che si estrinseca attraverso la FORZA VELOCE ossia, la capacità

del sistema neuromuscolare di superare resistenze che si trovano al di sotto di quella massimale, con accelerazioni comunque al di sotto di quelle massimali, e la FORZA ESPLOSIVA che comporta un�accelerazione massimale.. c) La FORZA RESISTENTE ossia, la capacità dell�organismo di opporsi alla fatica durante

prestazioni di forza e durata. Tali livelli di forza sono, in sintesi, influenzati dalla qualità assoluta dei muscoli, dal peso dei

muscoli stessi, rispetto al peso corporeo (di qui l�importanza di un attento esame della massa

grassa e di quella magra), dalla sezione trasversa, e dalle caratteristiche genetiche delle fibre stesse (lente o veloci). L�incremento della forza può essere notevolissimo attraverso allenamenti specifici. Nelle donna tale allenabilità è inferiore del 40% circa rispetto agli uomini, per questo l�allenamento della forza

nella donna deve essere ancora più insistente. La FORZA MASSIMA è la componente essenziale di tutte le discipline sportive. Più alta è la forza massima di base, migliore sarà il rendimento dell�allenamento con sovraccarico mirato per

discipline sportive specifiche. Pertanto bisognerà dedicare dalle 4 settimane in su di lavoro alla

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forza massima, in periodo preparatorio, per poi passare all�allenamento delle espressioni di forza

specifiche per disciplina sportiva. L�aumento della forza massima avente per obbiettivo l�ipertrofia muscolare si ottiene con

esercitazioni dal 70% all�85% del massimale con bassa velocità di esecuzione e tempi di recupero che variano tra i 2 ed i 4 minuti. Per quanto riguarda il numero delle serie e delle ripetizioni, esse variano da 3 a 5 serie e da 5 a 10 ripetizioni in funzione delle caratteristiche muscolari del soggetto, così come sono ricavabili dal test dei 15" di Bosco. LA FORZA RESISTENTE viene allenata con sovraccarichi varianti dal 25% al 40% del massimale a velocità moderata e con tempi di recupero ottimali. Per quanto riguarda il numero delle serie e

delle ripetizioni, esse variano da 4 a 6 serie e da 25 a 50 ripetizioni in funzione delle caratteristiche muscolari del soggetto, così come sono ricavabili dal test dei 15" di Bosco. Per quanto riguarda lo sviluppo della forza con componenti DINAMICHE, vale a dire forza veloce e forza esplosiva, fondamentali nella pallavolo, sport a prevalente impegno reattivo-esplosivo-balistico, il discorso si fa più complesso. Infatti tale sviluppo, pur essendo altamente specifico, non è ottenibile solo attraverso un

allenamento di forza rapida, ma anche attraverso espressioni di forza massima, soprattutto nei microcicli della parte iniziale della preparazione con carichi prevalentemente submassimali, in cui deve prevalere sempre la massima rapidità di contrazione. Le esercitazioni previste devono

rispecchiare le caratteristiche della gara sia sotto l�aspetto metabolico, che tecnico. Ciò è possibile

solo considerando allenamento tecnico e allenamento della forza in sintesi continua. Vanno pertanto realizzati un insieme di provvedimenti quali: - sintonia dell�allenamento fisico con quello tecnico - evitare l�allenamento in condizioni di fatica pronunciata - frequenza delle sedute di forza dinamica non superiore alle 2 volte settimanali. I mezzi più efficaci per lo sviluppo delle componenti dinamiche della forza sono: nell�ambito del lavoro con sovraccarico, l�impiego di variazioni nelle resistenze da vincere, e quindi

il - METODO a CONTRASTO; mentre per lo sviluppo della forza veloce pura, con richieste di grande esplosività e reattività, il

metodo che contiene elementi di grande specificità è il - METODO PLIOMETRICO Quest�ultimo consiste nell�effettuare dei salti in basso e successivamente in alto partendo da

altezze di caduta che possono essere scelte o in forma specifica (meglio) calcolando per ogni atleta l�altezza ottimale di caduta, o in forma empirica (metodo meno valido metabolicamente, ma molto più pratico).

La partenza deve avvenire con un angolo al ginocchio di circa 100° per

favorire, in fase di atterraggio, l�azione di prestiramento necessaria per

ottenere un miglioramento sul comportamento meccanico dei muscoli estensori della gamba. Si dovranno effettuare al massimo due sedute settimanali, in giorni il più possibile lontani dal giorno di gara, con un

numero totale di balzi che possono variare dai 40 ai 60, e comunque mai oltre gli 80 per seduta. Come detto la forza massima è importante per lo sviluppo della forza

esplosiva, ma le due qualità devono essere allenate insieme. Secondo la vecchia metodologia,

dapprima si doveva migliorare la resistenza alla forza (carichi dal 30% al 70%), successivamente la forza massima (dal 60% al 100%), ed infine la forza veloce (dal 55% al 75%). Recentemente la nuova metodologia prevede di cercare di stimolare nello stesso tempo più qualità fisiologiche, per

migliorarne le qualità funzionali.

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Pertanto la pianificazione della stagione, in generale, dovrebbe essere effettuata nella seguente maniera: Settimane 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 For. Max C.M

. F.M. F.M. F.M. F.M. Lun: F.M.

For. Esplosiva

F.E. F.E. F.E. Mer: F.E.

Pliometria. Plio Plio Plio Mar: Plio Reattività Gio. o Ven:

Reatt. Trasformazione

Trasf

Trasf

Alla fine della prima settimana di lavoro o all�inizio della seconda si effettua il controllo sul massimale (C.M.), nelle settimane dalla 2^ alla 5^ si lavora sulla massa (F.M.), nelle settimane dalla 6^ alla 8^ sulla forza esplosiva (F.E.) e sulla Pliometria (Plio), mentre nella 8^ e 9^ si trasforma tutto in velocità (trasf) con esercizi di velocità pura. A partire dalla 10^ o dalla 11^

settimana, e per tutto il periodo agonistico, alternando le fasi di carico a quelle di scarico, a seconda delle esigenze personali, si dedicherà la prima seduta settimanale alla seduta di forza

massima, la seconda alla pliometria, la terza alla forza esplosiva e la quarta alla reattività (Reatt.).

In tal modo si lavorerà contemporaneamente su più qualità fisiologiche, come prevedono le nuove

metodologie. Inoltre, come detto precedentemente, ed a seconda delle esigenze specifiche, ogni 45 giorni circa bisognerà introdurre una seduta di controllo sui massimali per aggiornarli alle nuove capacità

lavorative raggiunte. N.B.: le sedute dedicate allo sviluppo delle capacità reattive (esercizi di impulso) devono

essere inserite sin dalle prime settimane, da 1 a 2 settimanali, a seconda delle esigenze specifiche, sia come lavoro di gruppo che come lavoro differenziato per singoli atleti o gruppi di atleti.

5. IL CARICO DI LAVORO

Le leggi generali dell'allenamento prevedono che il carico di lavoro debba trovarsi in una determinata relazione con le capacità individuali e con il tipo di attività sportiva che viene svolta,

pertanto, laddove sia possibile è bene individualizzare il più possibile il carico di lavoro. Infatti, i carichi standardizzati perdono a poco a poco il loro effetto allenante e concorrono in modo insufficiente, o addirittura nullo, allo sviluppo delle capacità di prestazione. II miglior effetto

allenante, invece, lo si può ottenere dosando dei carichi con incremento ciclico: dopo un periodo svolto con carico crescente, deve necessariamente alternarsi un periodo con carichi decrescenti. Quando ci si riferisce ad un piano di allenamento che deve durare parecchi mesi, se non addirittura un anno come accade in parecchie discipline sportive, è indispensabile saper gestire

perfettamente le alternanze del carico in modo da poter programmarne la giusta ondulazione, in funzione del periodo di allenamento che si intende svolgere. In generale si può dire che un

allungamento del volume di carico rende più duraturo lo stato di condizione acquisito. Se lo studio e l'impostazione della ciclicità del carico, è l�elemento di maggiore attenzione

nell�ambito della periodizzazione dell�allenamento, il carico di lavoro è alla base dello sviluppo dello stato di forma di ogni atleta. Nell�ambito della metodologia dell�allenamento si distingue un - CARICO ESTERNO da un - CARICO INTERNO. Ogni carico esterno è programmabile e valutabile ed è determinato dall�intensità, dalla durata e dall�entità degli stimoli. Esso provoca determinate reazioni che producono mutamenti fisiologici e

biochimici all�interno dell�organismo.

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Il carico interno, invece, evidenzia quello che è il grado dello sforzo (aumento della frequenza

cardiaca e respiratoria, aumento della capillarizzazione ecc.) che il carico esterno provoca. E� altrettanto importante conoscere i mutamenti che i carichi esterni producono su quelli interni,

soprattutto se si lavora con atleti in età evolutiva. Infatti: se l'attività fisica viene esplicata da soggetti giovani, nelle cui cartilagini i nuclei di ossificazione delle ossa lunghe non si sono ancora saldati, l'aumento di produzione di alcuni ormoni (il più importante tra questi è il somatotropo) dovrebbe indurre una stimolazione

dell�accrescimento staturale. Ma si potrebbe anche ipotizzare che, specie negli sforzi intensi, tutte

le attività del somatotropo vengano convogliate verso le azioni metaboliche e di conseguenza si

produca una carenza di stimolazione dell'accrescimento stesso. L�aumento di elaborazione di androgeni (iperincrezione) si verifica sia nei giovani che negli adulti,

maschi o femmine, in seguito a sforzi di intensità massimale, e raggiunge il massimo di incremento

dopo circa 20' di lavoro. Tale incremento di androgeni sotto sforzo avrebbe lo scopo di aumentare le sintesi proteiche, lo sviluppo muscolare, la sintesi e l'utilizzazione del glicogeno muscolare, che costituisce il maggior substrato energetico, oltre ad indurre un aumento della condizione di aggressività che porta a fornire il massimo della prestazione negli impegni agonistici. E' evidente che una modesta iperincrezione androgena, nei soggetti in epoca prepuberale (9-11 anni per le femminine e 12-14 anni per i maschi) e puberale (12-14 anni per le femmine e 15-18 anni per i maschi), possa produrre effetti positivi sull�accrescimento staturale definitivo, per azioni

stimolanti sulle cartilagini di coniugazione e per l'azione permissiva nei confronti dell�ormone

somatotropo, ma, se eccessiva, potrebbe condurre ad una saldatura precoce delle cartilagini di accrescimento in seguito ad azione prevalentemente maturativa esercitata sulle stesse, con il raggiungimento della statura definitiva inferiore a quella che lo stesso soggetto avrebbe raggiunto senza intervento di questo fattore. In definitiva si tratta di "somministrare", ai giovani, una giusta dose di carico. Come un farmaco esplica le sue azioni in rapporto al dosaggio, così l�attività

sportive può esercitare effetti positivi o negativi sull�accrescimento somatico in rapporto all'entità

dell'impegno muscolare che comporta. Grande importanza assume, a tal proposito, la determinazione del CARICO MASSIMO. Essa serve a far sì che il CARICO ESTERNO resti entro precisi limiti: è bene non superare i 3500 - 4000 kg di carico quando il programma di allenamento è orientato a ragazzi/ragazze dai 13 ai 15 anni,

mentre si può arrivare agli 8000 per soggetti di 17-18 anni. Per soggetti di età inferiore ai 13 anni

l�allenamento con il sovraccarico non provoca considerevoli effetti allenanti, in quanto, in questa fase di sviluppo dell�adolescente, le componenti auxologiche sono orientate allo sviluppo organico

generale più che all�accrescimento muscolare. Ciò determina un ritardo nello sviluppo della forza e

quindi, una inutilità di tale tipo di allenamento. A questa teoria, però, ultimamente se ne contrappone un�altra, secondo la quale l�allenamento

della forza in età precoce provocherebbe un�iperplasia delle fibre muscolari con conseguente

miglior livello di forza in età adulta. Il CARICO MASSIMO può essere utilizzato anche per programmare un mirato piano di

allenamento. Prendiamo ad esempio lo sviluppo della forza veloce in quelle specialità in cui la

velocità prevale sulla forza: si deve cercare di non oltrepassare mai il carico limite da 8000 - 10000 kg per un totale di 6-8 esercizi. Nelle specialità in cui, invece è la forza che domina sulla velocità, è

consigliabile che tale limite venga spostato a 12000 - 15000 Kg.

6. PREVENZIONE

Uno degli accorgimenti più importanti di prevenzione, quando si lavora con i sovraccarichi, è la

GIUSTA DISTRIBUZIONE DEL CARICO SULLA COLONNA VERTEBRALE. La colonna vertebrale è formata da 33 segmenti ossei (vertebre), sovrapposti ed articolati tra loro.

Essa possiede un notevole grado di elasticità che dipende dalla presenza, tra i corpi vertebrali, di

fibrocartilagini intervertebrali (dischi) che a tale scopo svolgono una funzione di frizione, per cui le varie pressioni agenti su di essa vengono a trasmettersi smorzate e prive di una eccessiva intensità La struttura del disco intervertebrale è formata da due parti distinte: una centrale ed una

periferica. La prima, chiamata nucleo polposo, è composta da una sostanza gelatinosa molto

idrofila (88% di acqua) e da una sostanza fondamentale a base di mucopolisaccaridi. La seconda, chiamata anello fibroso, è formata dalla successione di strati fibrosi concentrici che hanno obliquità

incrociata. Le fibre in periferia sono verticali e, man mano che si avvicinano al centro, divengono sempre più oblique, fino ad essere quasi orizzontali a contatto con il nucleo che, con questo

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TEORIA E METOLOGIA DELL�ALLENAMENTO 8

sistema, si trova racchiuso sotto pressione in un alloggiamento inestensibile che gli impedisce ogni possibile fuoriuscita. Eventuali carichi assiali che agiscono su tale struttura determinano un'assottigliamento della stessa per deidratazione. Quando il carico recede si ha un afflusso di acqua e di sostanze nutritive nei dischi. Questa geniale costruzione ha un solo "difetto": essa è sprovvista in modo sufficiente di

vasi di nutrizione, così che il tessuto del disco lesionato o distrutto nel corso della vita, non può più

essere riparato o sostituito. Fatta questa premessa si deve aggiungere che in particolare il disco inserito tra la quinta vertebra lombare e la prima sacrale (L5-S1) è sottoposto a notevoli sollecitazioni in quanto, a causa della

stazione eretta, è costantemente costretto a subire un carico costante equivalente al peso del

tronco sommato a quello degli arti inferiori ed alla testa. Pertanto, in seguito all�azione dei carichi assiali, quando una forza viene applicata sul tronco il disco si schiaccia e si allarga, il nucleo si appiattisce, la sua pressione interna subisce un notevole aumento che si trasmette lateralmente verso le fibre più esterne dell�anello facendone, a sua volta, aumentare la tensione. In tal modo il carico verticale si trasforma in compressione laterale grazie al nucleo che agisce come un distributore di pressione. Da quanto detto si evince come, nella scelta delle esercitazioni, sarebbe opportuno evitare quelle che sovraccaricano la colonna vertebrale, sostituendole con altre che comportano un uguale impegno muscolare. Quando tali esercitazioni specifiche sono particolarmente indispensabili, è importante imparare la

tecnica esatta, cercando di trasferire il lavoro pesante, fin dove possibile, nei grossi gruppi muscolari dei glutei e degli arti inferiori, piegando le ginocchia, in modo da scaricare la schiena e tenere eretta, e il più possibile verticale, la colonna vertebrale, spingendo la testa indietro, puntellandola con la tensione della muscolatura dorsale, in modo da provocare uno scaricamento il più possibile assiale del carico. In tutti i casi sarà indispensabile disporre di una muscolatura

sufficientemente robusta, in particolare quella addominale, molto importante per mantenere la colonna vertebrale in posizione eretta, impedendone la flessione dietro. Tra i vari gruppi muscolari particolare importanza assume l'ileopsoas che è l'unico che riunisce, con le sue inserzioni, la

colonna vertebrale, il bacino ed il femore. Anche una valida muscolatura degli obliqui interni ed esterni impedisce una eccessiva flessione laterale, come pure il rafforzamento della muscolatura superficiale e profonda del dorso. Un'altra cosa estremamente importante è quella di non far eseguire in condizione di affaticamento, cioè a fine allenamento, esercitazioni troppo impegnative, come salti con il bilanciere sulle spalle,

che vanno ad incidere in modo negativo oltre che sulla colonna vertebrale, anche sui tendini e sulle articolazioni degli arti inferiori. Infine è buona regola svolgere parallelamente al lavoro con il sovraccarico, nelle pause di

recupero, delle esercitazioni di ALLUNGAMENTO MUSCOLARE. Questo con l'intento di far salire il rendimento del recupero stesso, sfruttando quei processi fisiologici che facilitano il regresso di quel senso di stanchezza dovuta alla rigidità muscolare momentanea, tipica conseguenza di tale

forma di allenamento. E� bene, a questo punto, vedere su quali basi fisiologiche si basa la validità da tale metodica

partendo dal descrivere il funzionamento di quei riflessi che giocano un ruolo di primo piano nello sviluppo della metodica stessa:

RIFLESSO DI STIRAMENTO: se un muscolo viene stirato, si oppone ad un eccessivo stiramento contraendosi. Questo riflesso è mediato dai fusi neuromuscolari, particolari organi propriocettivi

che, situati nell'interno dei muscoli striati, provvedono sia alla regolazione del tono muscolare sia appunto ad inviare al sistema nervoso centrale gli impulsi che inducono il sistema di stiramento. II grado della contrazione riflessa è proporzionale al grado dell'allungamento subito dal muscolo. Se

un muscolo poi è stirato bruscamente la contrazione risultante sarà più brusca di quella provocata

da un allungamento lento e progressivo. Nell�ambito dello stretching il riflesso di stiramento

rappresenta un ostacolo "fisiologico" al raggiungimento di un elevato grado di allungamento della fibre muscolari.

RIFLESSO INVERSO Dl STIRAMENTO: mentre il riflesso di stiramento risponde solo alle sollecitazioni di allungamento del muscolo, il riflesso inverso di stiramento risponde sia alle sollecitazioni in allungamento che alle contrazioni, provocando il rilasciamento del muscolo stesso.

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TEORIA E METOLOGIA DELL�ALLENAMENTO 9

Questo riflesso, è mediato da organi propriocettivi situati nei tendini (organi tendinei del Golgi), e ha il compito di proteggere il muscolo dalle eccessive tensioni quali appunto quelle che si verificano durante energiche contrazioni o allungamenti. La soglia di eccitamento del riflesso inverso è più alta di quella del processo di stiramento ma,

qualora venga raggiunta durante un esercizio di allungamento, è in grado di indurre una riduzione

della tensione del muscolo. Questo fatto spiega un fenomeno che è familiare a chi ha esperienza

con lo stretching: quando un atleta mantiene una determinata posizione per un certo periodo sviluppando una considerevole tensione, può raggiungere un punto in cui il muscolo si rilascia, la

tensione diminuisce e può essere ottenuto un ulteriore allungamento. Una appropriata risposta neuromuscolare durante gli esercizi di allungamento può portare ad una considerevole riduzione

della tensione muscolare con minori possibilità di danno o lesioni dei muscoli durante l'esercizio. Per eseguire correttamente lo stretching è consigliabile: - eseguirlo sempre dopo aver effettuato qualche minuto di leggera corsa, - assumere la posizione corretta lentamente e progressivamente fino ad avvertire una sensazione di forte tensione ma non di dolore,

mantenere la posizione per un tempo che può andare dai 20 secondi ai 60 secondi, per poi

ritornare lentamente allo stato di riposo.

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TEORIA E METOLOGIA DELL�ALLENAMENTO 10

2. TEORIA E METODOLOGIA DELL� ALLENAMENTO

(Ennio Barigelli)

LA PRESTAZIONE SPORTIVA

Una prestazione sportiva può essere definita come una connessione dinamica delle seguenti

componenti 1. CAPACITA� MOTORIE

2. ABILITA� MOTORIE O TECNICO-TATTICHE

3. CAPACITA� TATTICHE

4. QUALITA� DEL CARATTERE E DEL COMPORTAMENTO

5. CONOSCENZE 1. LE CAPACITA� MOTORIE : sono i presupposti endogeni che permettono la formazione di

abilità motorie Sono uguali per tutti (tutti possiedono la forza anche se in misura diversa) Sono soggette a sviluppo (attraverso l�allenamento) Non sono visibili

Le capacità motorie si dividono in CAPACITA� CONDIZIONALI (o ORGANICO-MUSCOLARI): sono determinate dai meccanismi energetici. Si sviluppano all�inizio della pubertà (fra i 12 e i 17/18 anni) e sono :

Capacità di FORZA Capacità di RESISTENZA Capacità di RAPIDITA�

CAPACITA� COORDINATIVE: permettono di far corrispondere il più possibile, il valore reale a

quello nominale cioè avvicinare l�immagine mentale del movimento all�effettiva esecuzione del

movimento, grazie alla precisione delle informazioni ricevute dagli analizzatori (i 5 sensi). Si sviluppano fra i 6 e gli 11-12 anni e si dividono in due tipi

1. GENERALI (o complesse) Capacità di apprendimento motorio Capacità di controllo e direzione del movimento Capacità di adattamento e trasformazione del movimento

1. SPECIALI Capacità di accoppiamento e combinazione di abilità motorie (Es. corsa + salto) Capacità di differenziazione cinestetica del movimento (Quanto forte? Quanto rapido?) Capacità di orientamento (gestire la posizione e il movimento del corpo nello spazio) Capacità di equilibrio (mantenere il corpo in postura d�equilibrio) Capacità di ritmo (organizzare cronologicamente gli impegni muscolari) Capacità di reazione (reagire a stimoli eseguendo azioni motorie adeguate) Capacità di trasformazione (modificare un movimento improvvisamente Es. le finte) Capacità di anticipazione (data dall�esperienza)

CAPACITA� INTERMEDIE : hanno caratteristiche intermedie tra le Condizionale e le Coordinative · Capacità di MOBILITA� ARTICOLARE o DESTREZZA (in alcuni testi viene riportata anche questa capacità condizionale che è quella che consente di eseguire nel modo giusto e

con armonia i movimenti. La FLESSIBILITA� è la capacità del muscolo di riacquistare la forma

iniziale dopo essere stato stirato)

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TEORIA E METOLOGIA DELL�ALLENAMENTO 11

· VELOCITA� di REAZIONE SEMPLICE 2. LE ABILITA� MOTORIE O TECNICO-TATTICHE : le abilità tattiche esprimono la possibilità

da parte dell�atleta, di applicare, in modo variabile dal punto di vista energetico, le tecniche

apprese in base alla situazione di gara e alle possibilità di successo già sperimentate

(SCHOCK 84). Vengono apprese mediante un processo di apprendimento ed automatizzate tramite ripetizioni. Hanno le seguenti caratteristiche:

Non sono uguali per tutti Sono soggette ad apprendimento tramite ripetizioni Dipendono dall�esperienza Sono visibili

RAPPORTO TRA CAPACITA� & ABILITA� MOTORIE: le abilità motorie si strutturano sulle capacità

motorie soprattutto quelle coordinative, ma contemporaneamente sono lo strumento per lo sviluppo delle stesse capacità. Per esempio lo stare in equilibrio in bici è una abilità che richiede

capacità di equilibrio (capacità coordinativa). Tale abilità si apprende prima se la capacità è

elevata. Il pedalare in situazioni diverse però (Es. terreno irregolare), sviluppa la capacità di

equilibrio!

3. LE CAPACITA� TATTICHE : le capacità tattiche esprimono la possibilità da parte

dell�atleta, di utilizzare sia le proprie capacità psicofisiche che le proprie abilità tecnico-tattiche per assolvere a compiti tattici individuali o collettivi (HARRE 79), cioè cosa fare a

fronte di una determinata situazione di gioco. 4. QALITA� DEL CARATTERE E DEL COMPORTAMENTO: consentono all�atleta di essere

consapevole del significato di un allenamento e quindi farlo con più motivazione e maggiore

qualità

5. CONOSCENZE: l�esperienza acquisita consente di utilizzare al meglio gli "strumenti" di qui

l�atleta dispone

CAPACITA� CONDIZIONALI (o ORGANICO-MUSCOLARI)

VISTE DA VICINO

Dalla combinazione delle capacità condizionali si possono avere

1. RESISTENZA ALLA FORZA: prevale la forza (12/14 ripetizioni al 65%) 2. FORZA RESISTENTE: prevale la resistenza (30 ripetizioni al 30%) non idoneo per la PV 3. RESISTENZA ALLA RAPIDITA�: prevale la resistenza, si usa il metodo intervallato cioè

con recuperi brevi (20" lavoro 20" recupero) Necessita di capacità lattacida. 4. RAPIDITA� RESISTENTE: prevale la rapidità. Si usa il metodo ripetuto cioè con recuperi

lunghi (20" di lavoro e 2� di recupero)

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TEORIA E METOLOGIA DELL�ALLENAMENTO 12

5. RAPIDITA� IN REGIME DI FORZA: prevale la rapidità ( 6 ripetizioni al 30%) 6. FORZA RAPIDA: prevale la forza ( 6 ripetizioni al 65%) 7. RESISTENZA ALLA FORZA RAPIDA

LA RAPIDITA� (o VELOCITA�)

I due termini in alcuni testi sono considerati identici in altri simili, vista la non conformità delle

traduzioni (La rapidità è spesso riferita ad un singolo segmento muscolare mentre la velocità al

corpo intero). Comunque ci si riferisce alla capacità del sistema neuro-muscolare di sviluppare forza (vincere una resistenza) in un tempo minimo (elevata rapidità di contrazione muscolare). La

sua "FASE SENSIBILE" cioè il periodo in cui una capacità è più soggetta a miglioramento va dai 7

ai 12 anni. La rapidità è caratterizzata per la bassa allenabilità (20 % massimo) e dall�assenza di

un sistema atto ad esprimerla. Deve essere allenata in assenza di fatica. Esistono due tipi di rapidità

RAPIDITA� CICLICA: successione rapida di azioni motorie come ad esempio la corsa.

Questo tipo di rapidità è legato alle capacità coordinative RAPIDITA� ACICLICA: basata sul singolo movimento isolato. Legata alle capacità

condizionali I fattori che determinano (fattori limitanti) Rapidità sono: - Sul PIANO NERVOSO: Velocità di propagazione degli impulsi

Mobilità dei processi nervosi Regolazione del sistema neuro muscolare

- Sul PIANO MUSCOLARE: Percentuale di fibre veloci (BIANCHE) Capacità di riuso dell�energia elastica (Pliometria) Mobilità articolare - Sul PIANO ENERGETICO: Adeguata attività enzimatica (disponibilità di ATP e capacità di

demolirlo in tempi brevissimi grazie agli enzimi miosina-ATPasi e la creatinfosfochinasi) - Sul PIANO PSICHICO: Corretta immagine mentale Motivazione e disponibilità Nel modello di classificazione delle capacità di rapidità di Harre si distinguono:

Rapidità di Base (o elementare) : che a sua volta si distingue in 1. Rapidità di reazione: nel trattare questo tipo di rapidità bisogna introdurre i concetti

di 1. Capacità di anticipazione: consente di compiere una previsione

probabilistica relativa a situazioni non ancora iniziate o non ancora terminate, basandosi su l�esperienza

2. Tempo di latenza: è il tempo che separa l�arrivo di uno stimolo ad un organo

dal primo apparire di una reazione misurabile nell�organo stesso 3. Tempo di reazione: è il tempo che intercorre tra l�arrivo ti uno stimolo e

l�inizio della reazione volontaria (vedi fasi della contrazione del muscolo) 2. Rapidità di coordinazione

Rapidità Complessa: che a sua volta si distingue in 1. Rapidità di azione 2. Rapidità di movimento

METODICHE DI ALLENAMENTO DELLA RAPIDITA�

Per allenare la velocità si deve iniziare precocemente (6/8 anni) e si devono seguire i seguenti principi:

assenza di condizioni di fatica

svolgere gli esercizi all�inizio dell�unità di allenamento (dopo la fase preparatoria)

intensità dell�esercizio sempre massimale

durata dell�esercizio non superiore agli 8"/10" (altrimenti si passa ad allenare la

resistenza alla rapidità)

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TEORIA E METOLOGIA DELL�ALLENAMENTO 13

applicare il principio della sistematicità e cioè dal facile al difficile, dal semplice al

complesso, del conosciuto al non conosciuto

usare esercizi speciali e di gara

Tali principi devono però tenere conto di 2 condizioni deve esistere una padronanza del gesto da compiere

è necessaria la non standardizzazione del gesto (variare più volte)

Il recupero deve essere fatto in forma attiva poiché si mantiene un�ottima eccitazione del sistema

nervoso. Data l�elevata intensità delle sedute, la loro frequenza non può essere elevata.

LA RESISTENZA

La RESISTENZA può essere definita come la capacità di resistere alla fatica per lavori di lunga durata e può essere di vario tipo. Per le caratteristiche della pallavolo il tipo di resistenza

prevalente è la RESISTENZA ALLA VELOCITA�, dove l�impegno energetico è di tipo anaerobico.

La classificazione della resistenza può avvenire secondo diversi fattori. secondo criteri topografici, cioè sul numero dei distretti muscolari coinvolti di qui la

RESISTENZA GENERALE (tutta la massa muscolare) e RESISTENZA SPECIFICA ( meno di 1/7 della massa muscolare totale) prevalenza dei meccanismi energetici coinvolti (aerobico o anaerobico) in base alla durata (corta, media e lunga durata) secondo il livello di relazione con le altre capacità motorie (resistenza alla forza, forza

veloce-resistente, resistenza alla velocità) Recentemente comunque la resistenza è stata classificata come segue:

1. RESISTENZA ALLA VELOCITA� (8"- 45") 2. RESISTENZA DI BREVE DURATA (45"- 2�) 3. RESISTENZA DI MEDIA DURATA (2� � 10�) 4. RESISTENZA DI LUNGA DURATA di I Tipo (10�- 35�) 5. RESISTENZA DI LUNGA DURATA di II Tipo (35�- 90�) 6. RESISTENZA DI LUNGA DURATA di III Tipo ( > 90� )

METODICHE DI ALLENAMENTO DELLA RESISTENZA

Esistono quattro metodi fondamentali per allenare la resistenza

1. METODO CONTINUO: caratterizzato da esercizi con assenza di pause e recupero. Il variare di durata/intensità identifica due tipi di esercizi a metodo continuo:

Intensità costante (1h): ad esempio il footing ideale per allenare il metabolismo aerobico Intensità variabile (40�/60�): utile per entrambe i meccanismi aerobico e anaerobico, se la

durata è inferiore ai 20� si oltrepassa la sogli aerobica 2. METODO INTERVALLATO: caratterizzato da recuperi brevi. Esistono 2 tipo di esercizi Estensivo : con una durata del lavoro di 30-50" e un recupero di 45-90" Intensivo : con una durata del lavoro di 10-30" e un recupero di 10-45" 3. METODO RIPETUTO: caratterizzato da recuperi lunghi . Lavoro 20-40" recupero 2� . Ideale

per la rapidità resistente. 4. METODO COMPETITIVO : si basa sull�applicazione delle stesse prove svolte nella gara

SOGLIA ANAEROBICA: il passaggio tra la produzione di energia attraverso il processo aerobico a quello anaerobico lattacido, quindi quando si produce acido lattico VO2max: massimo consumo di ossigeno. Viene utilizzato come metro di misura delle capacità

aerobiche. LA FORZA

La forza è la capacità motoria dell�uomo che permette di vincere una resistenza o di opporvisi

attraverso una tensione del sistema neuro-muscolare. Fino agli 11/12 anni si sviluppa in eguale misura nei due sessi. Poi prevale maggiormente nei ragazzi fino ai 18/20 anni e a causa della

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TEORIA E METOLOGIA DELL�ALLENAMENTO 14

diversa produzione di androgeni, solo fino ai 15/17 nelle ragazze. I fattori limitanti che la caratterizzano sono

Il diametro trasverso dei muscoli (la dimensione) La frequenza di impulsi trasmessi Il reclutamento delle unità motorie Il livello di sincronizzazione delle unità motorie

UNITA� MOTORIA: è il metro di misura della forza ed è costituita dal tipo di fibre nervose (i motoneuroni che le innervano) e dal tipo di fibre muscolari, di qui la distinzione un due tipo di unità

motorie:

1. UNITA� LENTE (TONICHE): sono la maggioranza nei muscoli rossi, detti cosi� perché ricchi

di mioglobina. Contengono molti mitocondri, più grassi ma meno ATPasi, meno enzimi CP

e meno enzimi glicolitici. Hanno una soglia di attivazione bassa e una notevole capacità di

resistenza (metabolismo aerobico) 2. UNITA� VELOCI (FASICHE): presenti nei muscoli bianchi poiché poveri di mioglobina,

contengono meno mitocondri, meno grassi ma più ATPasi, più enzimi CP e più enzimi

glicolitici. Hanno una soglia di attivazione alta sono più grandi e si caratterizzano per una

elevata capacità di forza e rapidità (metabolismo anaerobico) (la quantità di glicogeno è simile in entrambe le fibre)

Data la presenza anche di fibre intermedie la loro classificazione risulta:

1. FIBRE DI TIPO I: sono quelle lente(quindi rosse) ad alta capacità ossidativa e bassa

glicolitica 2. FIBRE DI TIPO IIA: fibre veloci con le 2 capacità miste 3. FIBRE DI TIPO IIB: fibre veloci a bassa capacità ossidativa ma alta glicolitica 4. FIBRE DI TIPO IIC: fibre veloci ad alta capacità ossidativa e buona glicolitica

Con l�allenamento si può trasformare una fibra bianca in rossa ma non il contrario, secondo la sequenza ( IIB => IIA => IIC => I )

CLASSIFICAZIONI DELLA FORZA

Secondo Harre si distinguono 3 forme fondamentali di forza 1. FORZA MASSIMALE: è la forza più elevata che il sistema neuro-muscolare è in grado di

esprimere con una contrazione volontaria 2. FORZA RAPIDA: è la capacità del sistema neuro-muscolare di superare resistenze con

elevata rapidità di contrazione 3. FORZA RESISTENTE: è la capacità dell�organismo di opporsi alla fatica durante

prestazioni di forza nel tempo Invece secondo Kusnesov la forza si può classificare come

1. FORZA STATICA: quando la distanza dei capi articolare del muscolo non cambia (isometria)

2. FORZA DINAMICA: la distanza tra capi articolare varia e si divide a sua volta in SUPERANTE o CONCENTRICA: quando il muscolo si accorcia può essere Esplosiva: con accelerazione massimale (1/3 Rip. ¾ Serie Recuperi lunghi) Veloce: accelerazione inferiore massimale Lenta: con resistenze elevate e velocità costanti CEDENTE o ECCENTRICA: il muscolo si allunga (si raggiunge una tensione superiore)

PRINCIPI DI UN ALLENAMENTO ALLA FORZA Per allenare la forza si devono considerare 4 principi

1. IL TIPO DEGLI ESERCIZI : Generale (per tutti i distretti muscolare) o Specifico . Ci sono poi 4 elementi che determinano il tipo di esercizio in maniera più appropriata:

Struttura del movimento (dinamicità)

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TEORIA E METOLOGIA DELL�ALLENAMENTO 15

Struttura del carico metabolico (aerobico, anaerobico lattacido etc) Struttura topografica (che muscoli utilizzo) Struttura situazionale

Se l�esercizio non rispetta alcun parametro => Esercizio GENERALE (in preparazione) Se l�esercizio ne rispetta 2 o 3 => Esercizio SPECIFICO Se l�esercizio li rispetta tutti => Esercizio DI GARA

2. L�AZIONE PRINCIPALE DELL�ALLENAMENTO: L�obbiettivo da raggiungere, il tipo di

forza che si vuole allenare (Massima, Rapida, Resistente etc.) 3. IL TIPO DI CONTRAZIONE MUSCOLARE: esistono 2 tipi di contrazione muscolare

- Contrazione DINAMICA Concentrica o Superante ( i capi articolari si allontanano) Eccentrica o Eccedente ( i capi articolari si allontanano) Pliometrica o reattiva ( mix delle prime 2 come i balzi) Auxotonico (ottenibile usando gli elastici ) Isocinetica ( velocità costante ) - Contrazione STATICA Isometrica(i capi articolari rimangono alla stessa distanza)

4. LA FORMA METODOLOGICA ORGANIZZATIVA: esistono vari tipi di metodologia ALLENAMENTO A STAZIONI: un esercizio alla volta per diverse stazioni

· ALLENAMENTO A CIRCUITO: stessi esercizi ripetuti più volte ciclicamente

· SET TRAINING: un distretto muscolare alla volta in forma di circuito (un mix dei primi 2 ) Per quest�ultimo principio, la tabella seguente fornisce i metodi più efficaci per il miglioramento

della capacità di forza:

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TEORIA E METOLOGIA DELL�ALLENAMENTO 16

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TEORIA E METOLOGIA DELL�ALLENAMENTO 17

TABELLA CARATTERISTICHE METODI DI ALLENAMNETO ALLA FORZA MEDIANTE L�USO

DELLA METODOLOGIA A STAZIONI

METODO AZIONE

PRINCIPALE CONTRAZIONE

MUSCOLARE INTENSITA�

RELATIVA RIP. SERIE RECUPERO

TRA LE

SERIE SFORZI

MASSIMALI Forza Massima

Dinamico concentrico

75-85% resistenza costante

4-8 3-4 Completo

SFORZI

DINAMICI Forza Esplosiva Forza Rapida

Dinamico concentrico

45-75% resistenza costante

1-4 (F.E.) 4-8 (F.R.)

3-4 Completo

PIRAMIDALE tronca a base larga

Forza Resistente Forza Massima

Dinamico concentrico

55-75% resistenza variabile

8-20 3-4 Completo

PIRAMIDALE tronca a base stretta

Forza Massima

Dinamico concentrico

75-85% resistenza variabile

4-8 3-4 Completo

ALT. CARICHI

(BULGARO) Forza Massima

Dinamico concentrico

75-85% resistenza variabile

4-8 4 (75-80-75-85%)

Completo

BULGARO

NELLA SERIE Come il metodo precedente, ma l'intensità relativa anziché variare da serie a

serie, varia da ripetizione e ripetizione. A

CONTRASTO Forza Massima Forza Esplosiva

Dinamico concentrico

40-80% resistenza variabile

3-6 4 (80-40-80-40%)

Completo

ECCENTRICO Forza Massima + Rifl. Miotatico

Dinamico eccentrico

80-100% 100-120%

1-3 (80-100%) 1 (100-120%)

1-3 Completo

PLIOMETRICO

ELEVATO F. Espl & F. Max + Rifl. Miotatico

Dinamico pliometrico

40-70cm (F. Espl) 70-110cm (F Max)

8-10 2-3 Completo

ISOMETRICO Forza Massima

statico Tensione + elevata possibile

5-10 contrazioni

2-3 ang. diversi

15-30" tra ogni contrazione

CARATTERISTICHE METODI ALLENAMNETO ALLA FORZA MEDIANTE L�USO DELLA

METODOLOGIA A CIRCUITO

1) CICUIT TRAINING

Modificando l�Intensità relativa e il numero delle ripetizioni a questo metodo, modifichiamo l�azione

principale dell�allenamento. Azione principale dell�allenamento : Forza Massima e Resistenza Organica

Tipo di contrazione prevalente: Dinamico Concentrica Intensità Relativa: 75%-85% Ripetizioni: 4-8 Esercizi: 8-12 per ogni passaggio Passaggi: 2-3 Recupero tra gli esercizi: 10"-45" Recupero tra i passaggi: 6�-8�

Azione principale dell�allenamento : Forza Rapida e Resistenza Organica

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TEORIA E METOLOGIA DELL�ALLENAMENTO 18

Intensità Relativa: 40-75% Ripetizioni: 6-8

Azione principale dell�allenamento : Forza Resistente e Resistenza Organica

Intensità Relativa: 50%-65% Ripetizioni: 12-25

2) POWER TRAINING

Azione principale dell�allenamento : Forza Esplosiva

Tipo di contrazione prevalente: Dinamico Concentrica Intensità Relativa: 30-60% Ripetizioni: 3-6 Esercizi: 6-8 per ogni passaggio Passaggi: 2-3 Recupero tra gli esercizi e tra i passaggi: Completo

La capacità di Forza Rapida, così importante nei giochi sportivi, ha un carattere estremamente specifico e quindi si può affermare che non esiste una capacità universale di Forza Rapida ed il

suo allenamento va considerato in relazione ad una prestazione ben determinata. L�espressione della Forza Rapida, pur essendo come sottolineato, decisamente specifica, richiede l�aumento della capacità di Forza Massima, mediante resistenze esterne sub-massimali, ricercando sempre un�elevata rapidità di contrazione. Nell�allenamento delle sincronizzazioni è molto più facile trasferire quelle ottenute con resistenze esterne maggiori alle resistenze minori, che viceversa. è da rilevare che tale allenamento, se contenuto nel tempo, provoca prevalentemente degli

adattamenti di tipo nervoso, limitando notevolmente l�incremento della massa muscolare. Dopo aver migliorato la coordinazione intramuscolare è necessario passare ad impegni sempre più

specifici. Infatti la possibilità di trasformazione (questo è uno dei temi più controversi nell�ambito

del dibattito relativo all�allenamento della capacità di forza) sono legate all�impiego: di metodi diversi contemporaneamente di esercizi molto vicini all�attività di gara da un punto di vista cinematico, dinamico,

topografico e metabolico. La curva forza-velocità fornisce la misura di come la diminuzione della resistenza da vincere, comporti un aumento della velocità esecutiva e viceversa; le qualità dell�atleta e l�allenamento

modificano le posizioni della curva, che tende quindi ad essere caratteristica. L�esigenza di specificità richiede che venga affidato un ruolo centrale ad esercizi speciali e di gara, con variazioni delle resistenze esterne. Questo è possibile solo realizzando una continua sintesi

con gli aspetti tecnici, che vanno salvaguardati ponendo la massima attenzione ad evitare esecuzioni imperfette (altrimenti si allena l�errore). A questo proposito è opportuno ricordare che possono esserci interferenze se l�allenamento della

capacità di forza viene intrapreso in età adulta e se non c�è piena maturità dal punto di vista

tecnico. Perciò bisogna creare solide basi in età giovanile, attraverso un allenamento multilaterale,

con stimolazione di tensioni elevate nelle forme più varie.

ALGORITMO DELLE CAPACITA� DI FORZA

L�algoritmo fornisce le regole da seguire per una corretta evoluzione di un atleta. Si articola in stadi ognuno dei quali è volto al raggiungimento di determinati obbiettivi

1. EQUILIBRIO ARTRO-MUSCOLARE: da eseguire a 10/11 anni. Si ottiene con 2-3 serie da 6-8 ripetizioni ciascuna quando potrei farne 10 (10RM). Rafforzamento generale ma privilegiando il tronco (add, dors, glutei etc.) per essere pronti negli anni seguenti a lavorare sulle gambe senza creare problemi alla spina dorsale. Inizio dell�apprendimento tecnico

2. AUMENTO PROGRESSIVO DELLA QUANTITA� 3. SVILUPPO DELLA FORZA MASSIMA: a 14/16 anni 75-80% del massimale 4/8 ripetizioni 4. FORZA RAPIDA E FORZA ESPLOSIVA 5. COSTRUZIONE DELLA PRESTAZIONE DI GARA

Quando un atleta sarà evoluto, i 5 punti potranno essere allenati contemporaneamente e non più

sequenzialmente

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TEORIA E METOLOGIA DELL�ALLENAMENTO 19

I MEZZI PER ALLENAMENTO DELLA FORZA�

Relativamente ai mezzi di allenamento è possibile distinguere: Esercizi che sfruttano atteggiamenti del corpo o di parti di esso Esercizi che sfruttano la gravità e l�inerzia Esercizi che sfruttano le condizioni esterne Esercizi che impiegano attrezzi elastici Esercizi che prevedono l�ausilio del partner: come punto d�appoggio e per il mantenimento dell�equilibrio come resistenza attiva o passiva Esercizi che utilizzano sovraccarichi di vario genere: piccoli attrezzi carichi aggiuntivi bilancieri e manubri carrucole macchine a resistenza idraulica macchine a resistenza pneumatica macchine a resistenza variabile macchine strettamente isocinetiche

Gli esercizi con sovraccarichi permettono, rispetto agli altri, una maggiore gradualità, un

rapido sviluppo e la localizzazione dell�impegno muscolare; inoltre, consentendo

costanti verifiche, risultano estremamente stimolanti per gli atleti.

�.E I PARAMETRI

L�organizzazione, la modulazione ed il controllo degli esercizi possono realizzarsi intervenendo sui seguenti parametri:

QUANTITA�: Risponde alla domanda QUANTO? (Somma di elementi Omogenei) Ripetizioni

Serie (Gruppi di Ripetizioni) Tonnellate (Chilogrammi sollevati in una singola alzata moltiplicati per il numero di Set, Serie, Ripetizioni)

Non dobbiamo tenere noi i conti ma ogni atleta deve essere coinvolto e deve avere il suo diario di allenamenti!!

INTENSITA� : tipologie di carichi Relativa: Esprime in % il rapporto Tra i Kg. sollevati e la prestazione massimale dell�esercizio. (KG/MAX %). L�intensità relativa deve essere calcolata NON direttamente, effettuando la prestazione massimale nell�esercizio, ma attraverso il numero delle ripetizioni.

Cioè a secondo del numero di ripetizioni che si riesce a fare con un determinato carico,

attraverso la tabella di seguito riportata, se ne ricava il massimale. Relativa Media: è il rapporto espresso in percentuale, tra il peso medio e la prestazione

massimale dell�esercizio

Assoluta (o peso medio): è il rapporto tra il totale dei chilogrammi ed il numero delle

ripetizioni Rapidità di movimento

Durata del recupero

Alcuni esempi : poche ripetizioni(1/5)+alta intensità(80/100 %) = FMax || molte rip(20/30)+media

int(50/60%) = FRes || poche ripetizioni (4/8) + media int(50/60%) + velocità Max = F Veloce

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TEORIA E METOLOGIA DELL�ALLENAMENTO 20

TABELLA RAPPORTO TRA INTENSITA� RELATIVA, NUMERO DI RIPETIZIONI E RAPIDITA�

DI MOVIMENTO

Serie di Ripetizioni eseguite,

nella Fase Superante, con

Rapidità di Movimento Ridotta,

fino a esaurimento

(Forza Massima e Resistente)

Serie di Ripetizioni eseguite,

nella Fase Superante, con

Rapidità di Movimento Più

elevata possibile

(Forza Esplosiva e Rapida) Numero di Ripetizioni

Possibile Intensità

Relativa Numero di Ripetizioni

Possibile 1 100 % --- 01 - 02 95 % --- 02 - 03 90 % --- 04 - 05 85 % --- 06 - 07 80 % 1 08 - 09 75 % 2 - 3 10 - 11 70 % 4 - 5 12 - 14 65 % 6 - 7 15 - 16 60 % 8 - 9 17 - 20 55 % 21 - 25 50 % + di 25 45 % 40 % 35 % 10 30 % + di 30 25 % 20 % 15 % 10 % 5 %

I MECCANISMI ENERGETICI

L�energia per la contrazione muscolare è fornita dall�ATP (acido adenosin-TRI-fosforico). L�ATP è

la forma immediata di energia che può essere impiegata per l�attività fisica ed è composto da un

complesso molecolare detto ADENOSINA e da 3 gruppi fosforici poiché contengono FOSFORO. Quando il legame fosforico si scinde per azione dell�enzima ATPasi, viene liberata energia

utilizzata dalle cellule e l�ATP si trasforma in ADP (adenosinDIfosfato + un fosfato libero). La

quantità di ATP presente nei muscoli è limitata quindi si necessita di una continua resintesi (riportare l�ADP in ATP aggiungendo un atomo di fosforo P). I meccanismi energetici sono utilizzati

a tale scopo e a seconda della quantità di potenza che l�attività sportiva richiede (alta, bassa sia

alta che bassa), viene utilizzato quello più adeguato. ANAEROBICO ALATTACIDO : avviene in assenza di ossigeno e di acido lattico ed è strettamente

legato alla scissione della fofsocreatina (PC) causata dall�enzima creatin-fosfo-cinasi. Tale scissione libera una molecola di fosfato che insieme all�ADP diventa ATP. Questo processo ha una

elevata potenza ma è molto limitato a causa dell�esigua quantità di ATP e PC nei muscoli ANAEROBICO LATTACIDO : avviene in assenza di ossigeno ma con la presenza di acido lattico, poiché deriva dalla degradazione di zuccheri come glucosio che demolito a glicogeno (glicosi anaerobica) produce acido piruvico che si trasforma successivamente in acido lattico per evitare il blocco per eccesso di acidosi. Ha una potenza inferiore a quello alattacido e accumula acido lattico (il quale ha anche fattori positivi come la vasodilatazione e l�attivazione dell�enzima creatin-fosfo-cinasi) AEROBICO : la scissione dei glicidi, lipidi, e proteine (grassi), produce acido piruvico che successivamente a causa della presenza di ossigeno, viene ossidato (meccanismo ossidativo che

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TEORIA E METOLOGIA DELL�ALLENAMENTO 21

avviene lentamente) nei mitocondri, attraverso il CICLO DI KREBS (serie complessa di reazioni chimiche che liberano energia per la resintesi ATP con eliminazione finale di CO2 e H2O) che produce notevole energia per la resintesi ATP (fosforilazione ossidativa). Tale meccanismo ha potenza limitata ma elevata capacità operativa. VOmax è il metro di misura della potenza aerobica.

IL MUSCOLO E LA CONTRAZIONE MUSCOLARE

La contrazione volontaria del muscolo inizia con i "messaggi" che le vie afferenti, stimolate dai ricettori, portano al SNC (Sistema Nervoso Centrale = encefalo + cervelletto + midollo spinale) per essere elaborati e produrre cosi� una risposta motoria che le vie efferenti portano al muscolo. Il passaggio dell�impulso nervoso avviene nelle sinapsi tra neurone e neurone (unità di base

dell�SNC). Attraverso la riafferenza l�SNC conosce i risultati dei suoi comandi, per eventualmente

effettuare correzioni Il muscolo è composto da fibre muscolari che possono essere veloci, intermedie o lente. La componente essenziale della fibra muscolare è la miofibrilla. Essa contiene 2 filamenti proteici di

cui il più spesso è detto MIOSINA e il più sottile ACTINA. L�unità funzionale più piccola della

miofibrilla è detta SARCOMERO che è la distanza tra due linee Z. Lo scorrere uno sull�altro dei 2 filamenti (cross-bridge) si produce tensione.

ATTO MOTORIO SPORTIVO: è caratterizzato da 4 elementi 1. SITEMA SENSORIALE: ci permette di avere percezioni che possono essere

ESTEROCETTIVA : canali che ci mettono in contatto con il mondo esterno (i 5 sensi) PROPRIOCETTIVA: canali che ci mettono in comunicazione con parti del nostro corpo. Sono di tipo: CINESTETICA

Corpuscoli di Ruffini ho la percezione della tensione dell�arto (quanto

piegato) Corpuscoli di Pacini ho la percezione della variazione di velocità MUSCOLO TENDINEA

Corpuscoli di Fusi informazioni sul muscolo scheletrico Corpuscoli del Golgi sono tra muscolo e tendine. Proteggono da stiramenti STATICO DINAMICA

Apparato vestibolare informazioni sui movimenti del capo

2. MEMORIZZAZIONE: seguire l�algoritmo sopra descritto 3. SCELTA E PROGRAMMAZIONE 4. ESECUZIONE E CONTROLLO

L�atleta evoluto seleziona le informazioni attraverso i processi attentivi, quindi è in grado di

anticipare (previsione probabilistica). I dati vengono poi confrontati con quelli presenti in memoria. La pallavolo è una disciplina OPEN SKILL poiché c�è interazione con gli avversari e l�utilizzo dei

processi mentali assenti nelle discipline closed skill

LA FATICA: esistono 4 tipi di fatica 1. METABOLICA O MUSCOLARE 2. NERVOSA (centrale o periferica) 3. PATOLOGICA (ci si stanca prima a causa di una cattiva condizione fisica) 4. ECOLOGICA (cambiamento di condizioni climatiche o di fuso orario)

CONPENSAZIONE: riportare l�organismo all�equilibrio omeostatico SUPERCOMPENSAZIONE: portare l�organismo ad un livello maggiore rispetto all�equilibrio

precedente

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TEORIA E METOLOGIA DELL�ALLENAMENTO 22

PICCOLO VOCABOLARIO FISIOLOGICO

MITOCONDRI: organi addetti a processi ossidativi (in pratica alla respirazione cellulare) MIOGLOBINA: proteina capace di diffondere ossigeno dal sangue ai mitocondri delle fibre muscolari ENZIMA: sostanza capace di provocare specifiche reazioni chimiche ATPasi: enzima importante per la scissione dell�ATP e quindi per la produzione di energia Enzimi CP: enzimi che facilitano le reazioni del sistema ATP Enzimi GLICOLITICI: Enzimi che vengono utilizzati per la produzione di acido lattico

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TEORIA E METOLOGIA DELL�ALLENAMENTO 23

3. ASPETTI PRINCIPALI DELL� ALLENAMENTO

(Rivista scientifica)

Quando vi allenate, ci crediate o no, i vostri muscoli NON crescono, [questo è stato provato

scientificamente], allora la prima domanda che ci si pone è: Quando avviene la crescita muscolare?. La risposta è molto semplice: DOPO la seduta d'allenamento.

Senza entrare troppo nei dettagli della chimica dell'organismo, possiamo dire che durante i vari workouts le fibre muscolari vengono danneggiate. Obiettivo dell'organismo, nella fase post workout, è riparare i danni e sovracompensare, in modo da evitare un più difficile danneggiamento

in futuro [ questo spiega anche perchè, più si ha massa magra e più è difficile fare progressi con il

tempo] Detto così sembra tutto molto semplice, ma non lo è affatto, soprattutto per chi non può contare su

una genetica favorevole.

Poiché la crescita avviene dopo l'allenamento, si devono fare determinate cose per stimolarla,

ecco perché non è sufficiente andare in palestra e alzare qualsiasi peso vi capiti sottomano; è per

questo motivo allora che si devono curare alcuni aspetti:

Allenamento

Alimentazione

Recupero

Supplementazione

Su questi aspetti NON si può derogare. Analizziamo berevemente questi punti, che troveranno

ampio margine di speigazione nei vari articoli del sito. L'ALIMENTAZIONE è fondamentale; non potete allenarvi e poi andare continuamente a cena con gli amici al

McDonald's o fare colazione con un cornetto alla crema, certo di tanto in tanto, va bene, darete respiro al vostro corpo e alla vostra mente. Ora vi ricordate quello che ho appena detto? cioè che i

muscoli crescono dopo l'allenamento? vi siete chiesti come? vale a dire materialmente? Facciamo un esempio molto pratico! Quando si decide di costruire una casa si ha bisogno di mattoni, cemento, e altro, per i muscoli è la stessa cosa, avete bisogno di PROTEINE, vale a dire i

macronutrienti di cui i muscoli sono fatti [= i mattoni della casa]. Poiché nell'allenamento queste

sono utilizzate, quindi le sottrarrete ai muscoli [ecco perché non crescono durante il training],

successivamente avrete il bisogno di rimpiazzare quelle usate e fornirne un surplus per costruire un nuovo muro...cioè più muscolo. Questo tenetelo a mente per ora, il discorso sarà poi

approfondito. Il RECUPERO

è un fattore di primaria importanza. Poiché, e questo spero che ormai l'abbiate capito, i vostri

muscoli crescono dopo l'allenamento, è necessario fornire loro un 'ambiente' adatto, dal punto di

vista chimico naturalmente. Dopo ogni seduta, nel vostro corpo si scatena una vera e propria

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TEORIA E METOLOGIA DELL�ALLENAMENTO 24

tempesta ormonale; tipicamente si ha l'aumento di alcuni ormoni e l'abbassamento di altri. Gli ormoni che ogni bravo bodybuilder vorrebbe tenere sempre alti sono principalmente il TESTOSTERONE e il GH detto anche somatotropo, od ormone della crescita. Il primo è un

ormone tipicamente maschile, anche se prodotto in minima quantità anche delle donne, ed è

responsabile del vostro aspetto. Ad esempio è il testosterone che incide sul timbro della vostra

voce, sulla peluria del corpo e ancora su moltissimi altri aspetti..... Gli ormoni che invece si vorrebbe tenere al 'minimo' sono principalmente il CORTISOLO, L'ACTH, ed altri. Questi ormoni, sono indispensabili al vostro corpo, e sono anche detti ORMONI DELLO STRESS, purtroppo svolgono la loro importantissima azione 'demolendo' la massa magra, vale a dire i vostri muscoli tanto faticosamente guadagnati. Ogni allenamento rappresenta per il corpo un FATTORE DI STRESS, poco importa se voi invece vi state divertendo allenandovi, per il nostro organismo è un segnale di pericolo da cui difendersi. Per far questo secerne, tali ormoni detti

anche catabolici [vale a dire demolitori] della massa magra [muscolo] che utilizza a fini energetici. Dopo l'allenamento la presenza di questi ormoni, così indispensabili, ma così deleteri, è ancora

significativa nel nostro corpo, ed è per questo che dobbiamo ridurre, nei limiti del possibile, la loro

presenza, come fare, anche qui la risposta è semplice: con il RECUPERO. Sappiate che tanto maggiore è la vostra massa muscolare, TANTO MENO, vi dovete allenare.........e questo e proprio

il classico fulmine a cielo sereno, e sicuramente va' contro tutto quello che avete sempre pensato. Mi spiego meglio, anche se qui il discorso è lunghissimo. I vostri muscoli per crescere, DOPO la seduta [ricordate?], poiché sono stati sottoposti ad uno stress non indifferente, hanno bisogno di

RECUPERARE, per diminuire la secrezione di cortisolo, ripararsi da danni dell'allenamento e poi sovracompensare [ricordate ancora?], SOLO DOPO CHE HANNO RECUPERATO DA UNA SEDUTA D'ALLENAMENTO, SUPPONENDO UNA CALIBRAZIONE OTTIMALI DEGLI ALTRI ELEMENTI DELL'EQUAZIONE MUSCOLARE [ALIMENTAZIONE, SUPPLEMENTAZIONE, TRAINING], SI HA L'AGGIUNTA DI MASSA MAGRA; QUINDI LA SOVRACOMPENSAZIONE, VALE A DIRE LA CRESCITA MUSCOLARE, AVVIENE SOLO DOPO CHE IL CORPO HA RIPARATO I DANNI DI UN DETERMINATO ALLENAMENTO, IN UNA PAROLA: SOLO DOPO CHE IL COPRO HA RECUPERATO. Tutto questo è possibile solo in un modo: STARE LONTANO DAI PESI, per un determinato periodo di tempo, che varia da persona a persona; SE TORNATE AD ALLENARVI PRIMA DI AVER RECUPERATO DALLA SEDUTA PRECEDENTE ALLORA SCORDATEVI DI CRESCERE: SE NON C'E RECUPERO NON C'E SOVRACOMPENSAZIONE.

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4. LA FORMAZIONE TATTICA: SQUADRA E

GIOCATORE

(Badin)

Grazie allo sviluppo dei metodi di analisi (video, computer), all'allenamento e alla professionalizzazione degli allenatori, la pallavolo è divenuta uno sport con un contenuto tattico-strategico sempre più elevato. In questo articolo cercheremo di capire il rapporto che esiste fra i due concetti ed il ruolo della tecnica in questo rapporto. Proporremo dei principi che contribuiranno all'allenamento tattico dei giocatori.

DEFINIZIONI

STRATEGIA

La strategia, che prende origine dall'arte della guerra, viene definita come "l'arte di manovrare un'armata in un teatro di operazioni fino al contatto con il nemico" (ROBERT Dictionary) "Essa si costruisce, si disfa e si ricostruisce in funzione degli eventi, delle coincidenze, dei contro-effetti, delle reazioni che disturbano le azioni intraprese" (E. MORIN: Method). Si fonda sulle logiche regolamentari sportive, di gioco e sui rapporti di forza teorici. La strategia è

flessibile ed è opposta in ciò al programma, che è più rigido. Quando la strategia è stata decisa, è

importante mettere in opera un programma di realizzazione. La strategia deve essere basata sulla riflessione e la conoscenza prima di essere messa inpratica. TATTICA

La tattica consiste nelle concrete operazioni in campo con obiettivi più generali rispetto alla strategia. La tattica è "l'arte di combinare tutti i me zzi per combattere, la sua esecuzione locale va adattata alle circostanze" (ROBERT Dictionary). La tattica rappresenta le condizioni di messa in opera della strategia. Si può dire che ogni squadra possiede almeno i fondamenti tattici o una base di gioco, ed anche tattiche speciali o evolute che la mettono in condizione di vincere in un breve lasso di tempo. La tattica punta al raggiungimento di una superiorità numerica e/o della superiorità di posizione (nello spazio e nel tempo). Essere forti tatticamente significa adattarsi continuamente agli sviluppi positivi o negativi conseguenti alle mosse dell'avversario al fine di dominarlo il più costantemente possibile.

TECNICA

Si può parlare di tecnica quando una procedura di azione abile(esecuzione rapida, precisa, e suscettibile di essere eseguita parallelamente ad altre attività) è l'oggetto di una trasmissione, cioè

entra nella "memoria collettiva". Le tecniche si basano su delle attitudini, delle posture, delle coordinazioni definite, che possono essere applic ate sotto condizioni identiche. Essa rappresenta l'elemento base per realizzazione dei compiti tattici. Un repertorio tecnico completo rende possibile lo sviluppo di azioni tattiche adattabili ed il raggiungimento di prestazioni. La tecnica è al servizio della tattica. La strategia le prende entrambe in considerazione al momento della sua elaborazione.

PRINCIPI GENERALI

Da un punto di vista strategico, la squadra è considerata come un gruppo che deve migliorare. Lavorare sullo sviluppo delle abilità tattiche significa utilizzare al massimo i mezzi ( tecniche, capacità fisiche,energia, psicologia, ecc..) per realizzare questa ottimizzazione.

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La formazione dell'allenatore, la sua cultura, il suo concetto del gioco, fanno sì che egli prende in considerazione e valuti meglio le diverse tecniche acquisite dai giocatori. Questo spiega parzialmente le stagnazioni o i progressi spettacolari delle squadre o dei giocatori. Le reazioni tecnico-tattiche sono necessariamente dialettiche: La tattica consiste nell'utilizzo ragionevole del proprio potenziale; Le tecniche sono il potenziale necessario per sviluppare la tattica. Il loro rapporto di sviluppo è situato fra due poli: Un modello in continuità nello stesso sistema; tutte le possibilità dell'intero sistema o di una sua parte vengono ottimizzate al massimo. Ad esempio: la Polonia negli anni '70 con la combinazione ad incrocio. Un modello di rottura col passato, passando attraverso la trasformazione del sistema di gioco e delle possibilità. In generale questo avviene quando una squadra è appena formata, o quando cambia allenatore. Due principi possono prevalere nell'allenamento di un giocatore: Creare una tecnica temporanea che accetti i principi tecnici generali (attitudini, posture�.) ma

che non rifletta apparentemente le tecniche più elaborate. Inserire i giocatori immediatamente nel quadro di una tecnica precisa e definitiva, al momento difficile da ottenere, difficilmente utile in tempi brevi. Questo principio corre il rischio di dare al giocatore una tecnica che sarà poco utilizzata. L'obiettivo del lavoro tattico è ottenere i due fattori seguenti:

FLESSIBILITA' TATTICA

Questa è la capacità di variare l'apparato tattico generale in rapporto al tempo (accelerando o rallentando il gioco in una combinazione), allo spazio (alzando, con lo stesso tempo, ad una distanza maggiore o minore rispetto al palleggiatore), o alla tecnica (schiacciare colpendo più alto o più basso).

DIVERSITA' DELLE TATTICHE

Questa rappresenta il repertorio di schemi tattici generali di cui dispone la squadra. Se l'ideale dell'abilità è basato sull'ottimizzazione dei due principi, le squadre valorizzano concretamente uno degli elementi, anche un sotto-elemento (tempo, spazio, tecnica).

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5. INSEGNARE A GIOCARE

(Julio Velasco

ANDARE A SENTIRE IL GIOCO

Seguendo uno schema di analisi molto diffuso, si pensa che per insegnare la pallavolo si parta dai fondamentali e che, mettendo insieme dei fondamentali si arrivi al gioco. Io non sono d�accordo:

perchè non è la realtà di nessun giocatore, nemmeno di uno di minivolley. Quello che capita

davvero nella situazione reale, è che si parte dal gioco: quindi anche noi come allenatori,

dobbiamo partire dal gioco, chiedendoci �come è una partita?� e da lì vedere cosa bisogna

allenare. Invece di cominciare, per esempio, dal bagher, io ho un�altra prospettiva e dico che il

gioco si divide in due parti: cambio palla e fase punto. Poi mi domando: per fare il cambio palla che cosa ci vuole? Uno che riceve, uno che alza ed uno che attacca. Allora l�esercizio principale del

cambio palla è ricezione-alzata-attacco. Se non si può fare, perchè ci sono problemi tecnici (come

può succedere nel settore giovanile), mi chiedo: che cosa ci vuole per ricevere, qual è la cosa più

importante del ricevere? Lo spostamento, o la valutazione della traiettoria, ecc... Ovviamente su questo ci sono idee diverse. Ora, secondo me la cosa più importante per ricevere è il bagher:

allora bisognerà insegnare il bagher, correggerlo. Facendo fare anche un esercizio contro il muro. Ma avendo presente per cosa lo si fà: lo facciamo per poter fare �ricezione-alzata-attacco�. Spesso

però, invece di andare a sentire il gioco, i consigli di Mamma Pallavolo, c�è ancora l�idea di proporre delle cose strane, giusto per variare. Magari complicando tutto, anzichè semplificarlo. Ma

in base a cosa modifico gli allenamenti e le esercitazioni? Devo analizzare quello che succede davvero. COSA SUCCEDE IN PARTITA? E QUANTE VOLTE?

E allora cosa succede quando si riceve? Che cosa può accadere in una partita? Che riceva bene e

allora gioco primo tempo o palla spinta; oppure ricevo male e allora gioco palla alta. Si allena questa possibilità, quella in cui sei costretto a schiacciare palla alta? Poco. Ma allora, quando si prende la murata, non bisogna prendersela con la ricezione. Noi sappiamo con che percentuale riceviamo male, ma alleniamo questa situazione in cui riceviamo male, o no? Poi c�è l�attacco: la

palla può essere alzata dal palleggiatore o può essere così brutta che deve essere palleggiata da

un altro. Anche qui ci dobbiamo chiedere: se la palla deve alzarla un altro, è in grado di farlo? E

l�attaccante è in grado di schiacciarla in modo che la squadra arrivi a fare cambio palla lo stesso, anche se è brutta? E� proprio la frequenza di una situazione come questa, durante la gara, che mi

dice che tutti i giocatori devono saper alzare la palla da qualunque posizione di gioco. Il gioco mi sta dicendo che quella situazione può capitare: intendiamoci, non è la situazione principale e

quindi non gli dedicherò il tempo principale, però devo dedicare tempo anche a quella situazione lì.

Poi il giocatore attacca, attacca e chiude il punto. Ma se attacca ed è murato ci vuole la copertura.

Però può anche darsi che attacchi, gli avversari gli difendono la palla e questa, di prima, torna

subito di qua. Questa situazione si allena o c�è confusione quando la palla viene subito? Tante

volte si sente un allenatore dire �Sbagliamo le cose più facili. E� un problema psicologico: la palla

viene di qua e non sappiamo cosa fare�. Ma noi abbiamo allenato cosa fare? O lo lasciamo alla

capacità individuale di un giocatore? Sappiamo davvero cosa fare quando la palla torna di qua

subito? Quale schema dobbiamo fare? Dobbiamo fare quello di prima per il cambio palla o si chiama una seconda palla come per il contrattacco? Queste sono cose concrete: noi abbiamo dato risposta a questo problema concreto o lo lasciamo così? Questo significa pensare agli

allenamenti in funzione di quello che succede nel gioco. E il tempo che devo dedicare ad una cosa

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o all�altra dipende da quante volte queste si danno nel gioco. Se è una cosa che si dà poche volte

le dedico poco tempo, se si dà molte volte le dedico molto tempo: quello deve essere il parametro. LA GLOBALITA�

Partire dal gioco vuol dire partire dalla sua struttura, che appunto si divide in cambio palla e fase punto. Il cambio palla: ricezione-alzata-attacco-copertura-contrattacco della copertura. La fase punto: battuta-muro-difesa-attacco-copertura-contrattacco della copertura. Logicamente i fondamentali ci vogliono per fare queste cose; ma non è il contrario, non fai queste cose con una

semplice somma dei fondamentali. Questo non è solo un modo per organizzare il discorso. E� un

concetto preciso che sta alla base, concetto che poi naturalmente si trasferisce negli esercizi, nel come parli ai giocatori, del perchè una cosa bisogna saperla fare, nel fare riferimento costante a

quando usi quella cosa che stai insegnando. Perchè devi saper palleggiare da distanze lunghe?

Quando è che si usa? E perchè si palleggia a coppie se, a coppie, nel gioco, non si fa mai, visto che tu, usando il palleggio, appoggi una palla o alzi una palla? Quindi invece di fare palleggio a coppie, fai lo stesso sì palleggio a coppie, ma imitando un appoggio, imitando una alzata, e lo

alleni perchè in questo modo il feedback è diretto. Se tu vuoi far palleggio e basta, invece di fare

palleggio a coppie così, senza tener conto della rete, tu fai alzare da zona 5 a zona 2, da zona 1 a zona 4. Se si vogliono fare degli appoggi, uno si mette sotto rete e l�altro si sposta e fa degli

appoggi sotto rete. Poi si cambia. Ma, anche in questo caso, bisogna chiedersi: come la passi quella palla che l�altro deve alzare? La passi in palleggio in modo da non farla �girare� su se stessa? No, non la fai girare perchè molte

volte il problema è palleggiare una palla che ti arriva ruotando su se stessa perchè ha toccato il

muro o perchè uno te la passa in bagher; e non è la stessa cosa che alzare in situazione ideale. Ed è lì che si sbaglia in partita. In ogni caso, in nazionale, esercizi analitici ne facciamo pochissimi.

Ma anche in nazionale noi estrapoliamo una cosa e la lavoriamo a parte. Però il punto cruciale è

questo: noi estrapoliamo una cosa e la lavoriamo da sola o invece abbiamo l�idea che molte cose

da sole alla fine, sommandole, ci diano il gioco? Sono due modi completamente diversi di vedere le cose. Io insegno a giocare, e, a volte, prendo una parte e la lavoro da sola perchè c�è bisogno che tutta l�attenzione del giocatore sia riversata in

quel problema lì; ma dopo averla lavorata la reinserisco subito nel contesto del gioco. Questo

concetto è molto diverso rispetto all�altro che dice: io faccio palleggio, palleggio, palleggio, bagher, bagher, bagher e poi quando questo si fa bene li metto insieme e gioco. Che è poi come si è insegnata sempre la pallavolo, con il risultato che è anche poco motivante per

i giocatori. Ma non è solo un problema di motivazione: è anche un problema di velocità di

apprendimento. Insegnamo le tecniche o insegnamo a giocare? E� logico che per insegnare a

giocare abbiamo bisogno delle tecniche, ma è un�altra prospettiva, rispetto a chi pensa che si

debba insegnare la tecnica e poi i giocatori giocano. In quest�ultima non c�è il concetto di insegnare

a giocare. Le spiegazioni, i consigli che si danno ai giocatori sono spesso squisitamente tecnici, non vanno in direzione dell�insegnare loro a giocare, nel senso di chiarire che �poichè queste sono le situazioni che si danno in partita, allora alleniamole�. Uno non sa palleggiare, quindi se in partita

gli capita una palla la palleggia male: allora, siccome nel gioco succede, in allenamento devono andare contro il muro a migliorare il palleggio dieci minuti tutti i giorni. Perchè? Perchè in quella

situazione altrimenti non sa palleggiare. Anche in questo caso quello che bisogna chiedersi è in

quale situazione non palleggia bene: gli capita quando deve alzare da nove metri o quando alza da tre? Perchè se il problema è quando alza da nove metri, mettersi contro il muro non gli serve a

niente. Gli serve palleggiare da nove metri: allora o si mette più distante dal muro o lo fa in coppia. OPEN SKILLS

Questo discorso ha alla base una teoria dell�apprendimento motorio. Del �come è che si fa�. La

pallavolo, che è una �open skills�, cioè una disciplina definita �aperta�, poichè l�ambiente esterno è

in continuo cambiamento, per anni si è insegnato come se fosse una �closed skills�, cioè come se

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fosse una disciplina �chiusa�, cioè con l�ambiente esterno grosso modo costante (come accade nel

tiro o nei tuffi). Infatti il metodo, il criterio di insegnamento è stato quello adottato per �closed skills�,

cioè per tecniche come la ginnastica, che sono tecniche in se stesse. Negli sport di squadra o di opposizione (come la lotta, ad esempio), la tecnica è condizionata permanentemente dalla

situazione, cioè dall�avversario, dal tipo di palla, ecc. Il che non significa che allora ognuno ha la tecnica che gli pare. Ci sono principi biomeccanici da rispettare e proprio in base a questo ci sono �i fondamentali�, ma proprio il fatto che si usi la parola

�fondamentali� significa che ci sono tecniche che non sono �fondamentali�. Altrimenti perchè si usa

la parola �fondamentali�? Bisogna insegnare la tecnica nelle situazioni e poi correggerla

analiticamente. Faccio un esempio. Di un giocatore si dice che �schiacciare�. Ma sa schiacciare cosa? La palla alta? La palla veloce? La diagonale? E quando la palla arriva tesa, sa farlo? Quando la palla arriva da dietro? E quando arriva dalla rete Quando c�è il muro a

due? Ognuno di questi è un fondamentale? Se si porta fino in fondo il filo di questo discorso solo

per la schiacciata ci sarebbero almeno trenta fondamentali. Ma così ovviamente la parola �fondamentale� perderebbe senso. In questo caso non stiamo parlando di fondamentali, ma di

tecniche. �Fondamentale�, in questo caso, vuol dire che sa fare i passi della rincorsa, sa fare lo

stacco, sa colpire la palla con il braccio steso, sa chiudere il colpo e sa atterrare. Questo è il

fondamentale: ma da lì a saper schiacciare, ce ne passa. L�ESERCIZIO COME STRUMENTO

Questa idea del gioco è possibile trasferirla anche nell�apprendimento a livello più basso. In questo

caso bisogna scegliere, dando delle priorità, perchè bisogna semplificare il gioco: che cosa ci

vuole per giocare? Che cosa insegno per primo? Quali sono le cose imprescindibili per giocare subito bene? Io direi che è impossibile giocare se non ricevi, senza alzare almeno una palla alta e senza uno che schiacci una palla, con muro e difesa degli avversari piazzati. Con queste tre cose il cambio palla lo giochi già, anche se non sai fare la copertura. Poi insegnerai anche la copertura,

ma l�esercizio cardine in una squadra di principianti dovrebbe essere ricezione-alzata-attacco. Estrapolando poi i problemi della ricezione, dell�alzata e dell�attacco, lavorandoli da soli e

reinserendoli subito. Farò anche bagher contro il muro, ed altri esercizi super analitici di

correzione, ma il problema non è se lo faccio o non lo faccio. Bensì che gerarchia occupano

all�interno di tutta la metodologia, questo è il problema. Noi spesso alleniamo i giocatori per fare

bene l�esercizio, non per giocare bene: magari facciamo tutti lo stesso esercizio, ma la differenza è

che poniamo l�accento sul fare bene l�esercizio e non sull�esercizio come strumento per imparare a

giocare. Questo perchè l�esercizio non si vede come una cosa che è stata estrapolata dal gioco e

reinserita appena si può, ma viene visto, invece, come un obiettivo in se stesso. Soprattutto quando questi esercizi sono analitici, o analitici-sintetici ma molto diversi dal gioco. Ci sono molti allenatori che sono convinti che se tu fai bene l�attacco e difesa a coppie, allora difendi bene. Ma non è detto. Non sto dicendo che non è necessario fare attacco e difesa a coppie. Bisogna farlo,

per carità. E� imprescindibile, perchè non puoi difendere se non fai attacco e difesa a coppie. Non

si tratta se facciamo o meno quell�esercizio. Si tratta di farlo con la consapevolezza però che

quello è la base minima, elementare, per cominciare l�allenamento della difesa. In realtà con

l�attacco e difesa a coppie non abbiamo ancora cominciato l�allenamento della difesa. Ci si è solo

riscaldati o si è insegnato come si colpisce la palla quando questa arriva veloce di fronte a te. Ma

la difesa è tutta un�altra cosa: perchè viene da sopra la rete, arriva con un altro angolo, perchè c�è

il muro che ti disturba, perchè ci sono i compagni con i quali devi avere un rapporto per coprire lo spazio. Allora la differenza non la fa il fatto che faccia o no attacco e difesa a coppie, bensì il ruolo

che questo occupa all�interno di tutta la metodologia.

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TEORIA E METOLOGIA DELL�ALLENAMENTO 30

TIPI DI ESERCIZI Per far capire meglio la differenza tra le varie possibilità di lavoro, facciamo un esempio concreto

con la ricezione. Globalità: sei contro sei, ricezione e attacco di uno dei due gruppi, mentre l�altro batte, mura e

difende. I sei che ricevono e attaccano lo fanno 10 volte consecutive permanendo nella stessa rotazione. Esercizio analitico-sintetico: a gruppi di 4, uno batte, uno alza e uno riceve e poi va ad attaccare subito quella palla, con il quarto giocatore che fa muro. Esercizio analitico: si batte e uno riceve. Esercizio super-analitico: bagher contro il muro. LA DIAGNOSI

Prendiamo un giocatore: ha quindici cose che potrebbe migliorare, ma, tu come allenatore, devi scegliere le principali. Identificare le priorità è la chiave. Poi lavori anche sulle altre, ma ci sono

quelle cose che, se le migliora, gli fanno fare un salto di qualità. Durante il mondiale del �90, ad

esempio, abbiamo fatto allenamenti per tirare alto sulle mani, perchè quello dovevamo allenare: se

facevamo meglio quello, avremmo compiuto un salto di qualità. La capacità di scegliere le priorità

dipende ovviamente dalla capacità di saper diagnosticare. Ed è quello che fa la differenza. Come

per un medico: la sua bravura non dipende dalle medicine che ti dà, anche perchè la cosa più

facile è dare 50 medicine per 50 malattie diverse, tanto con almeno una ci prendi di sicuro. Ma se segue questa terapia, il paziente, invece di prendere tre pastiglie al giorno per quel problema, ne prende una alla settimana perchè deve prenderne anche delle altre che non servono. Così migliora poco. OLTRE L�ELITE

E� vero che la nazionale è una realtà privilegiata dove lavori con 12 atleti più o meno dello stesso

livello. Però se uno ha dei giovani in squadra, delle riserve non forti come i titolari potrebbe

lavorare un�ora in più con loro. Dedicargli più tempo, magari facendoli iniziare a lavorare prima. Su

certe cose è inutile lavorare tutti insieme, se uno ha problemi di palleggio, è inutile far fare a tutti,

anche ai più evoluti, certi esercizi ad hoc per quel problema, anche perchè poi questi si annoiano. Si rimane un po' di tempo dopo in palestra con chi ha questi problemi specifici. Io lo facevo con il minivolley. Quando allenavo il minivolley, in cui ti trovi bambini di due classi diverse, quelli di 12 anni avevano fatto una stagione con me e sapevano già giocare mentre arrivavano quelli nuovi

che non sapevano farlo. Io allora cominciavo con i più piccoli un po' di tempo prima, poi il mese

successivo, quando iniziavano anche gli altri, spesso mettevo uno che sapeva con uno che non sapeva, che intanto però qualcosa aveva imparato perchè avevamo già lavorato un mese. Questo

metodo fa migliorare perchè tutti sono sempre coinvolti. Il problema del livello delle riserve in un

club è reale, ma è anche vero che, se c�è, bisogna passare del tempo solo con loro dedicandosi a colmare le lacune specifiche. Anche per questo ritengo che nelle squadre di serie A il primo allenatore dovrebbe essere il supervisore del settore giovanile, perchè è lui che si deve preoccupare delle condizioni in cui gli arriveranno i giovani l�anno successivo.

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TEORIA E METOLOGIA DELL�ALLENAMENTO 31

6. ORGANIZZAZIONE ESERCIZI E ALLENAMENTI

(Horst Baacke)

I risultati agonistici derivano da un buon lavoro in allenamento. L�efficienza dell�allenamento

dipende da una buona organizzazione e da un�alta qualità degli esercizi.

PRINCÌPI PER LA SCELTA E L�ORGANIZZAZIONE DEGLI ESERCIZI DI TECNICA

Chiarezza dell�obiettivo

Ogni esercizio deve presupporre un chiaro obiettivo, un compito che dovrebbe essere tratto dalle esigenze del gioco reale. Eseguendo l�esercizio, si preparano i giocatori a risolvere delle situazioni

che si verificano in partita. È compito dell�allenatore guidare e motivare i giocatori in modo che

possano applicarsi correttamente nell�esercizio e raggiungere l�obiettivo che ci si è posti.

Molte ripetizioni - un feedback corretto

Le ripetizioni ed il feedback (informazione di verifica) sono gli elementi più importanti per un

efficace allenamento della tecnica. Gli esercizi dovrebbero proporre molte ripetizioni di ogni fondamentale che viene insegnato. Tuttavia, solo le ripetizioni eseguite in maniera corretta migliorano il livello prestativo. Perciò, l�obiettivo di ogni esercizio deve essere controllabile. È una

buona idea che i giocatori stessi controllino e valutino la realizzazione dell�obiettivo dell�esercizio

come un risultato visibile e/o quantificabile delle loro azioni (feedback diretto). Anche l�allenatore

deve verificare i risultati, per essere in grado di dare commenti e correzioni.

Condizioni simili al gioco - esigenze adattate

Un esercizio dovrebbe presentare il più possibile delle condizioni simili al gioco, ma dovrebbe

anche essere abbastanza semplice da permettere l�esecuzione corretta del fondamentale che

bisogna apprendere o migliorare, così da raggiungere l�obiettivo. Un esercizio dovrebbe essere simile al gioco, per quello che riguarda: La posizione ed i movimenti dei giocatori in campo (rapporto corretto con la rete), per avere il

senso della posizione e delle distanze. Le traiettorie dei palloni (velocità, altezza, direzione). La cooperazione fra i giocatori per sviluppare la comprensione e la distribuzione dei compiti

(questo comprende la comunicazione verbale e gestuale). I ruoli e le funzioni dei giocatori (in base ai sistemi di gioco e agli schemi della squadra). La qualità richiesta nell�esecuzione delle azioni (come quella della partita o migliore, senza

errori, con alta precisione). La complessità delle azioni (insieme delle componenti tattica, tecnica, fisica e mentale di

un�azione di gioco). La varietà delle esigenze che riguardano le decisioni tattiche e/o l�esecuzione tecnica.

Tuttavia, le difficoltà poste dall�esercizio devono essere adeguate alle effettive capacità dei

giocatori. L�esercizio non dovrebbe essere più difficile o complesso di quello che i giocatori possono realizzare. Né dovrebbe essere più difficile di quanto sia necessario per il raggiungimento

dell�obiettivo che ci si pone. In ogni caso dev�essere possibile esprimere e ottenere una tecnica

corretta.

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TEORIA E METOLOGIA DELL�ALLENAMENTO 32

Un�azione principale - collegamento di una serie di azioni

In base all�obiettivo, ogni esercizio dovrebbe comprendere un�azione principale. Questa è di solito

l�azione che risolve il problema della situazione di gioco. Questa azione principale dovrebbe

rappresentare l�anello centrale di una catena di azioni che avvengono nella situazione di gioco. Almeno una situazione dovrebbe precedere l�azione principale, ed un�altra dovrebbe seguirla,

come nel gioco. È fondamentale che la qualità dell�azione principale sia alta. L�attenzione degli allenatori e dei giocatori dovrebbe concentrarsi prima e soprattutto su questa azione. L�unico criterio per stimare la

qualità dell�azione principale è il gioco stesso. Non si dovrebbe mai permettere l�esecuzione di

un�azione con una qualità peggiore di quella che si richiede in partita, dal punto di vista tecnico, tattico, fisico e mentale. Scegliendo un esercizio, occorre considerare la sequenza di azioni sia dal punto di vista collettivo che da quello individuale. In molti casi è utile che l�allenatore (o il suo assistente) si occupi di eseguire l�azione precedente (creare la situazione, controllare le esigenze, etc.) o quella

successiva, come fungere da riferimento (bersaglio) o simulare la reazione della squadra avversaria. La sequenza di azioni deve comprendere sia quelle che si svolgono con la palla, che quelle senza. Solo se ci si occupa delle azioni senza palla si otterranno l�agilità e il dinamismo del gioco vero e

proprio. Nel gioco reale, uno scambio di solito parte, o è condizionato, o dagli avversari, oppure viene diretto verso di essi. Perciò in un esercizio bisogna comprendere un avversario che svolga una

funzione attiva o passiva, a seconda dell�obiettivo dell�esercizio e delle capacità dei giocatori.

L�avversario può essere simulato dall�allenatore, dal suo assistente o da compagni di squadra.

Ogni esercizio necessita di un ritmo

Nell�organizzazione e nella direzione di un esercizio, occorre tenere conto del fluire e del ritmo

delle azioni. Ogni esercizio ha bisogno di un suo proprio ritmo, che è legato all�obiettivo. Un ritmo

giusto favorisce l�attenzione dei giocatori ed influenza la qualità delle azioni. Ogni interruzione che

non è naturalmente prevista nel gioco impoverisce il processo di apprendimento, riduce la

concentrazione, limita i risultati. D�altra parte, il ritmo di un esercizio deve rispondere a delle esigenze in termini di lavoro e recupero. Il rapporto fra lavoro e recupero è importante per il risultato. Occorrono molte ripetizioni,

ma anche un�alta qualità. Per questo bisogna determinare con cura il numero e la densità delle

ripetizioni, ed anche il tempo di recupero fra le azioni o le serie delle azioni.

L�esercizio dev�essere interessante, impegnativo, agonistico

L�esercizio deve rappresentare una sfida per i giocatori. Dev�essere dinamico ed impegnativo, non solo fisicamente, ma soprattutto mentalmente, ed essere interessante e stimolante. Ciò si può

ottenere se gli esercizi incontrano le capacità dei giocatori e sono simili al gioco reale. Uno dei principali compiti degli esercizi è quello di contribuire allo sviluppo del comportamento agonistico più appropriato. Questo presuppone che esistano competitività e pressione mentale in

ogni esercizio. Perciò, gli esercizi dovrebbero prevedere sfide fra giocatori o fra gruppi di giocatori:

chi è il migliore, chi raggiunge l�obiettivo o il bersaglio per primo, etc.

Ogni esercizio come parte di una catena di esercizi

L�esercizio dovrebbe rappresentare una tappa in una serie di esercizi che portino, aumentando

progressivamente le difficoltà, dal semplice (apprendimento) al difficile (miglioramento), fino agli esercizi simili alla situazione di gioco reale (perfezionamento), che riproducono completamente quello che avviene in partita. Ogni esercizio andrebbe ripetuto finché i giocatori non sono in grado di eseguirlo correttamente dal punto di vista tecnico-tattico, con grande regolarità e precisione, in base all�obiettivo da

raggiungere. Non bisognerebbe affrontare una difficoltà maggiore, se non si è superata quella

precedente. Il criterio di ogni tappa è la qualità adeguata alla prestazione da ottenere in partita, e la

regolarità, almeno per quanto riguarda l�azione principale dell�esercizio.

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TEORIA E METOLOGIA DELL�ALLENAMENTO 33

All�esercizio dovrebbe essere assegnata una �parola chiave�, o un nome identificativo

Questo evita lunghe spiegazioni, specie se l�esercizio viene usato frequentemente. L�allenatore

deve solo annunciare l�esercizio usando la parola chiave o chiamandolo per nome, ed

immediatamente i giocatori sanno cosa fare. Occorre solo specificare eventuali varianti o nuovi obiettivi. È utile disporre, per gli esercizi adottati più frequentemente, di un disegno che mostri

esattamente l�organizzazione dell�esercizio e le funzioni dei giocatori. Esso può essere affisso a

una parete o tracciato su una lavagna, prima dell�inizio dell�allenamento, per dare ai giocatori un�idea chiara di quello che ci si aspetta da loro. Se ci sono obiettivi misurabili, dovrebbero essere chiaramente annunciati o scritti sulla lavagna. I risultati di ogni esercizio (o di ogni serie) dovrebbero essere segnati sulla lavagna, registrati su un diario, e mostrati sotto forma di tabelle o di grafici. Questo motiva i giocatori e rende gli esercizi più

competitivi.

OBIETTIVI MISURABILI PER L�ALLENAMENTO DELLA TECNICA

Come abbiamo detto prima, negli esercizi è consigliabile presentare degli obiettivi chiari, in termini di qualità e di ripetizioni. Questi obiettivi esercitano una pressione metodica e rappresentano

anche un carico mentale simile allo sforzo agonistico. L�obiettivo può essere un �bersaglio� verso il quale inviare la palla. Questo ed altri obiettivi simili possono essere dati ai singoli giocatori o ad un gruppo di giocatori. Qui ci sono alcuni esempi: 1. Numero di azioni corrette da eseguire. Ad esempio: numero di servizi precisi,

indipendentemente da quanto tempo occorra o da quanti tentativi siano necessari. 2. Numero di azioni corrette in un dato tempo. Ad esempio: chi colpisce più volte il bersaglio in

10�? 3. Numero di azioni corrette consecutive: dopo ogni errore od azione non corretta si riparte

da zero. Per esempio: ricevere 10 palloni consecutivi precisi senza fare errori. Dopo un errore o una ricezione imprecisa si riparte da zero.

4. Come il precedente, solo che il numero di azioni corrette da eseguire viene aumentato di

un�unità dopo ogni errore. Per esempio: inviare 10 servizi di fila verso un bersaglio senza commettere errori. Dopo il primo errore, si riparte da zero, e bisogna raggiungere 11 servizi a bersaglio consecutivi.

5. Numero di azioni corrette, con tentativi supplementari per ogni errore. Per esempio: eseguire 20 attacchi in 1° tempo. Per ogni errore o tentativo mal riuscito, bisogna eseguire altri

5 attacchi corretti. 6. Come il precedente, solo che i tentativi supplementari aumentano progressivamente ad

ogni errore. Per esempio: difendere 10 palloni. Dopo il primo errore, bisogna difenderne altri 2, dopo il terzo, tre, e così via.

7. Come il precedente, solo che i tentativi supplementari aumentano se l�errore è avvenuto

alla fine della serie. Per esempio: eseguire 15 azioni corrette consecutive. Ogni errore, aumenta la quota di azioni corrette da eseguire consecutivamente. Per un errore sul punteggio di 13, 14 o 15, tale quota aumenta di 5.

8. Raggiungere un determinato numero di punti. Il risultato dell�azione è valutato in base alla

qualità. Per esempio: in ricezione, la palla precisa vale 3 punti, quella imprecisa 1, l�errore vale -3. Obiettivo: raggiungere 30 punti. Per aumentare la difficoltà: ottenere 30 punti su 40 servizi, e

se non si raggiunge l�obiettivo, ripartire da zero. Altro esempio: attacco contro muro. La palla che passa �pulita� vale 3 punti, il mani-fuori vale 2 punti, il tocco del muro vale 1 punto, l�errore

(palla fuori, in rete, murata etc.) vale -3 punti. Sfida: chi riesce ad arrivare a 20 punti col minore numero di tentativi?

9. Obiettivi misti per lo stesso fondamentale nell�ambito della seduta di allenamento. Per esempio: 10� di ricezione. Chi riesce a fare più ricezioni precise? Tre serie di ricezioni precise

consecutive (si parte da zero in caso di ricezione non precisa). 15 ricezioni secondo l�esempio

n° 6. Infine, due serie di ricezioni secondo l�esempio n° 8. 10.Obiettivi per esercizi orientati tatticamente. Viene assegnato un bonus per il tentativo

riuscito. Per esempio: una squadra attacca, l�altra difende. Se una squadra segna due punti consecutivi, ne ottiene un terzo come bonus. Quale squadra ottiene più punti su 30 servizi?

Bonus per un punteggio particolare. Per esempio: oltre il punteggio di 10, ogni azione vinta

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TEORIA E METOLOGIA DELL�ALLENAMENTO 34

dà un punto supplementare. Bonus per una data azione. Per esempio: un ace al servizio dà 2

punti, oppure ogni contrattacco vincente vale un punto in più. Penalizzazione per una data

azione. Per esempio: un errore in ricezione, o un attacco murato, o una difesa mancata senza tentativo, vengono puniti assegnando un punto in più agli avversari.

11.Punteggi differenziati per esercizi tattici o per giochi di allenamento. Handicap: una

squadra parte da un punteggio inferiore. Per esempio: la squadra migliore parte dal punteggio di 0-5 per gli avversari. Oppure, la squadra che ha perso un set inizia il successivo con un vantaggio identico a quello raggiunto dalla squadra avversaria nel set precedente. Ad esempio: dopo aver perso il primo set per 11-15, la squadra parte dal punteggio di 4-0. Bonus

per tattica riuscita. Per esempio: un punto supplementare per ogni combinazione di attacco riuscita sulla ricezione della battuta. Oppure, bonus per ogni contrattacco seguente un muro passivo.

L�allenatore creativo troverà molte altre possibilità per fissare obiettivi che stimolino la prestazione dei giocatori e creino un�atmosfera agonistica.

Conclusione di un esercizio

All�interno di un esercizio, ogni azione dovrebbe concludersi in modo �naturale� (come in partita).

Non ci deve essere un finale contrario alle regole o al naturale fluire del gioco. Ogni esercizio o ogni serie di ripetizioni dovrebbe concludersi con un tentativo riuscito (d�accordo

con l�obiettivo dell�esercizio), indipendentemente da quante ripetizioni occorrano o da quanto

tempo necessiti. Tuttavia, un esercizio dovrebbe essere interrotto o concluso se non si è in grado

di raggiungere il livello qualitativo richiesto.

NORME COMPORTAMENTALI PER I GIOCATORI DURANTE GLI ESERCIZI

Per garantire qualità e sicurezza all�esercizio, i giocatori devono osservare le seguenti norme: Quando inizia l�esercizio, i giocatori, il campo (o i campi) e tutta l�attrezzatura necessaria

devono essere pronti e in posizione. I giocatori devono correre per recuperare i palloni, non camminare o andare a zonzo. Non esistono pause per riposare o sedersi durante l�esercizio, se l�allenatore non ne ha dato

ordine. Nessun giocatore deve lasciare il campo durante l�esercizio senza permesso. I giocatori devono controllare le loro emozioni. Non dovrebbero mostrare rabbia, collera,

disappunto, frustrazione etc. Sono permesse emozioni moderate e positive. Ogni giocatore che non viene coinvolto direttamente dall�esercizio deve assistere i propri

compagni di squadra per raggiungere gli obiettivi dell�esercizio, supportando l�organizzazione

dell�esercizio stesso e/o incitando. Ogni giocatore deve impegnarsi a rendere come in partita, se non di più. I giocatori sono responsabili, come l�allenatore, dell�andamento dell�esercizio e della

prevenzione di incidenti.

FUNZIONI DEI GIOCATORI E ABILITÀ PER L�ORGANIZZAZIONE DELL�ESERCIZIO

A parte i giocatori attivamente coinvolti nell�esercizio, ne sono necessari diversi altri che aiutino dal

punto di vista organizzativo. Questi giocatori sono scelti dall�allenatore e devono soddisfare delle

funzioni specifiche per assicurare che: La continuità e il ritmo dell�esercizio vengano mantenuti. I palloni che rotolano o che rimbalzano non mettano in pericolo o disturbino gli allenatori e i

giocatori impegnati attivamente nell�esercizio. I carrelli dei palloni siano sempre pieni e si trovino nel posto giusto; l�allenatore sia rifornito

adeguatamente di palloni in modo che si possa concentrare sui fondamentali che sta eseguendo e sul controllo dell�esercizio.

È utile formare diversi gruppi di giocatori per ogni esercizio, e cambiare le loro funzioni dopo un certo tempo o un determinato numero di ripetizioni. Questo aiuta l�allenatore a determinare il carico

di lavoro per ogni particolare esercizio. Per esempio: se ci sono sei giocatori coinvolti attivamente nell�esercizio e altre sei che hanno funzioni di aiuto, il rapporto fra tempo di lavoro e di recupero

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TEORIA E METOLOGIA DELL�ALLENAMENTO 35

sarà di 1:1; se sono quattro i giocatori che lavorano attivamente, e otto che aiutano, il rapporto

sarà di 1:2. Se i giocatori di supporto svolgono bene il loro ruolo, i giocatori che stanno lavorando attivamente nell�esercizio potranno concentrarsi completamente la loro attenzione ed i loro sforzi sul loro

compito principale, cioè l�esecuzione migliore possibile delle loro azioni. Ma, a parte questo, essi

devono anche contribuire a mantenere la continuità dell�esercizio, assicurando che nessuno sia

disturbato nel proprio impegno. Tutti i giocatori devono apprendere e controllare le capacità tecniche necessarie per svolgere le

funzioni di supporto. Esse sono:

Recupero dei palloni

I giocatori che si occupano del recupero dei palloni sono piazzati in campo in modo da poter raggiungere, afferrare e raccogliere i palloni che sono utilizzati nell�esercizio. Essi devono evitare

che l�esercizio possa essere interrotto o disturbato, o che i compagni di squadra possano essere messi in pericolo a causa di qualche pallone che sfugge al loro controllo. Aafferrano, raccolgono, forniscono i palloni ai compagni che li mettono nel carrello, o che li

passano direttamente a chi si occupa di rimetterli in gioco. Quando la distanza fra i giocatori non è troppo grande, i palloni possono essere passati facendoli rimbalzare, in modo che

arrivino all�altezza delle anche agli altri giocatori, che li possono in tal modo afferrare facilmente. Devono proteggere i giocatori impegnati nell�esercizio o l�allenatore per prevenire ogni tipo di

pericolo o infortunio. Non devono lanciare i palloni (per evitare ogni pericolo o interruzione dell�esercizio).

Fornire i palloni

I giocatori che si occupano di fornire i palloni li prendono dal carrello o dai giocatori che li raccolgono, e li porgono all�allenatore da dietro, appoggiandoglieli all�altezza delle anche, così

che lui li possa afferrare senza doverli guardare o cercare. Se il giocatore che fornisce i palloni non si trova vicino all�allenatore, può fargli arrivare la palla

con un passaggio rimbalzato a terra, fatto in modo che questa gli giunga all�altezza delle anche,

ma solo se l�allenatore mostra di essere pronto ad afferrarla. Di solito, il giocatore che fornisce i palloni conta le ripetizioni dell�esercizio o le azioni eseguite,

ed annuncia il raggiungimento del numero prestabilito di palloni utilizzati, o di ripetizioni realizzate. Se un certo numero di tentativi o ripetizioni è stato fissato, i giocatori che forniscono i

palloni devono assicurarsi che nel carrello sia presente la quantità di palloni necessaria per

soddisfare le esigenze dell�esercizio. Per cui, quando il carrello resta vuoto, la serie è finita.

Fare da riferimento

I giocatori che fungono da supporto possono essere utilizzati come riferimenti. I giocatori che fanno da riferimento sono di solito posti nel punto o nell�area che viene intesa

come bersaglio. Essi hanno funzione di bersaglio, prendono i palloni e li passano ai raccoglitori di palloni, o a quelli che riforniscono l�allenatore, o all�allenatore stesso, oppure agiscono da

giocatori, curando il proseguimento dell�azione. È utile che i giocatori che fanno da bersaglio diano delle informazioni ai compagni sulla qualità

delle azioni svolte (di solito, le azioni �principali� dell�esercizio), valutando, conteggiando e

annunciando il numero di tentativi riusciti o falliti. In alcuni casi, i giocatori che fanno da riferimento possono rivestire il ruolo di avversari, e fornire

delle risposte tramite le loro reazioni (per esempio, murando un attacco, ricevendo una battuta, etc.).

AIUTO NELL�ALLENAMENTO

L�efficienza degli esercizi può essere migliorata utilizzando dei materiali speciali. Tali aiuti

dovrebbero essere disponibili in ogni palestra o campo di gioco, e preparati all�occorrenza prima

che abbia inizio l�esercizio. Sono consigliate le seguenti attrezzature di supporto: Lavagna e gesso, o meglio, una lavagna magnetica, per spiegare l�organizzazione dell�esercizio

prima che questo abbia inizio. Una comprensione chiara dello svolgimento e dell�organizzazione di un esercizio ne migliora i risultati.

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TEORIA E METOLOGIA DELL�ALLENAMENTO 36

Carrelli (cesti, scatole etc.) per raccogliere i palloni. Per molti esercizi, sono necessari più

carrelli. Una piattaforma stabile, sopra la quale possano stare l�allenatore o i giocatori per attaccare,

murare, battere etc. È consigliabile una piattaforma che sia adattabile in altezza. Una tavola, o

una cassetta, o una pila di materassini, possono servire allo scopo. Un pannello (mobile, inclinabile, adattabile in altezza) che faccia rimbalzare i palloni che

vengono schiacciati o lanciati contro di esso. In alcuni casi si può utilizzare una parete piena, al

posto di un pannello. Delle barriere mobili, per fermare e/o incanalare i palloni che rotolano o che cadono, dirigendoli

verso i giocatori che li devono raccogliere. Questo aiuta ad evitare che ci siano palloni che disturbino l�esercizio o che mettano in pericolo i giocatori in azione. Porte da pallamano, plinti,

panchine o anche materassini possono soddisfare questo scopo. Bersagli e segnali. È utile tracciare i bersagli, il tragitto che devono compiere i giocatori, la

traiettoria dei palloni, le righe per segnare campi ridotti o porzioni di campo. Materassini, cassette, ostacoli, tavole, sedie, cerotto, palloni, antenne della rete, o anche attrezzi sportivi, funicelle, gesso e molte altre cose si possono usare a questo scopo.

Ci sono molte possibilità, per un allenatore dotato di creatività, per migliorare l�efficienza degli

esercizi utilizzando mezzi o attrezzi ausiliari. Tuttavia, non c�è bisogno di fare spese per apparati

sofisticati (come le macchine �spara-palloni�). Quasi tutti gli esercizi diventano efficaci con l�ausilio

di aiuti metodologici semplici, e se sono eseguiti con spirito agonistico da parte dei giocatori, sotto il controllo dell�allenatore.

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TEORIA E METOLOGIA DELL�ALLENAMENTO 37

7. CAPACITA� ATTENTIVE

(Rivista scientifica)

Introdotti alcuni concetti teorici relativi all'attenzione visivo - spaziale rilevanti per la pratica sportiva, vengono citati i risultati ottenuti con metodi diversi nel campo della pallavolo. Quindi vengono presentati brevemente i metodi di studio dell'attenzione che si avvalgono della rilevazione ed analisi dell'attività elettrica cerebrale e vengono descritti, in particolare, alcuni risultati sperimentali relativi alla localizzazione dell'attenzione visivo - spaziale in pallavolisti di alto livello, ottenuti mediante l'analisi parallela sia di dati comportamentali (tempi di reazione, TR) che di dati elettroencefalografici (potenziali correlati ad evento, PCE). Questo approccio ha consentito di individuare alcune caratteristiche peculiari dello stile attentivo dei pallavolisti e le strategie messe in atto contingentemente in funzione delle richieste del compito attenzionale. Differenze nell'adattamento del focus dell'attenzione visiva sono emerse non solo fra pallavolisti di alto livello e non - atleti, ma anche fra pallavolisti impegnati in ruoli di gioco diversi. Ciò conferma l'elevata flessibilità del focus attenzionale e l'opportunità di sviluppare tecniche di allenamento dell'attenzione visiva che tengano conto delle esigenze specifiche del tipo di sport praticato e, nel caso di giochi di squadra, anche dei diversi ruoli di gioco.

1. Introduzione

L'attenzione in ambito sportivo viene generalmente considerata un importante presupposto mentale della prestazione. Tuttavia, spesso non viene ancora allenata sistematicamente, né sottoposta a test diagnostici che tengano conto dei compiti sportivi specifici a cui deve far fronte l'atleta. La causa principale di questa lacuna risiede nel fatto che sotto il termine attenzione ricadono molteplici funzioni diverse, come la selezione dell'informazione rilevante per il compito in atto, la localizzazione o la distribuzione di risorse mentali nello spazio e nel tempo, la facilitazione di determinati processi elaborativi e l'inibizione di altri, la vigilanza, l'attivazione etc. L'importanza di ciascuna di queste singole funzioni dipende dal profilo delle richieste prestazionali delle singole discipline o specialità sportive. Le cosiddette discipline sportive ad open skill (Poulton) - come sport di combattimento e giochi sportivi - sono caratterizzate da condizioni situazionali continuamente variabili, che l'atleta deve fronteggiare col la massima rapidità e precisione

possibile Qui il successo dell'atleta non dipende soltanto dalla precisione dell'esecuzione motoria, ma anche da un'adeguata e tempestiva presa ed elaborazione delle informazioni relative alla situazione e quindi da una gestione flessibile dell'attenzione in funzione della situazione stessa, al fine di acquisire un vantaggio temporale sull'avversario. Perciò è importante non tanto un tipo od

un altro di attenzione, quanto la flessibilità dell'attenzione, omero la capacità di "modularla". Secondo Konzag se ne può modulare la direzione, l'entità e 1'intensità. Nel caso dei giochi sportivi, ad es., gli atleti devono cambiare spesso la direzione dell'attenzione (rivolgendola in direzione della palla, dei compagni o degli avversari), adattare l'intensità dell'attenzione in base

all'andamento delle fasi di gioco o ancora modulare le risorse attentive erogate, distribuendole "a tutto campo" o concentrandole su ristretti indici situazionali o sull'esecuzione di una determinata azione. Inoltre la flessibilità dell'attenzione può essere considerata come la capacità di spostare

l'attenzione su particolari dimensioni degli stimoli (Humphreys).

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2 . Orientamento e focalizzazione dell'attenzione visiva nella pallavolo

Nella pallavolo è importante soprattutto la flessibilità dell'attenzione visiva, in quanto si tratta di in gioco sportivo in cui la velocità di gioco è molto elevata e gl'indici utili per decodificare la situazione compaiono contemporaneamente o in stretta contiguità temporale in zone diverse dello spazio visivo, rendendo spesso impossibile all'atleta, e comunque inefficace, seguire con lo sguardo la palla o le azioni in via di svolgimento (Neumaier, Mester). Perciò per l'atleta di alto livello è

indispensabile ottimizzare la percezione visiva mettendo in atto strategie di anticipazione

(Neumaier). In questo comportamento anticipativo rientrano anche un orientamento ed una localizzazione flessibile dell'attenzione nello spazio: se l'atleta può prevedere i possibili sviluppi del gioco, può orientare preventivamente l'attenzione laddove è da attendersi l'occorrenza di indici pertinenti. In conseguenza di questo orientamento "anticipativo" dell'attenzione su una data zona dello spazio visivo, l'informazione proveniente da questa zona potrà essere recepita ed elaborata

più efficacemente, e cioè con maggiore rapidità e/o precisione. Nonostante l'elevato interesse che questi aspetti dell'attenzione visiva rivestono per la pratica di determinati sport, la ricerca relativa a questo tema trova ben maggiore diffusione nel settore della psicologia sperimentale che si occupa di soggetti non praticanti attività sportiva anziché nell'ambito della psicologia sportiva. Perlopiù nelle ricerche effettuate con atleti è stata studiata l'esplorazione dello spazio visivo mediante tecniche oculografiche (uisual scanning), che consistono nel registrare i cambiamenti di direzione dello sguardo durante l'osservazione di sequenze di gioco. Si tratta, cioè, dell'indagine dell'orientamento esplicito dell'attenzione, che viene messo in atto orientando lo sguardo in modo da portare in visione l'informazione a cui si vuole prestare attenzione. Riguardo alla pallavolo è interessante notare che atleti esperti, rispetto ai principianti, effettuano un minor numero di consultazioni visive (Neumaier) e non rivolgono lo sguardo solo su specifici indici di gioco, ma anche su punti dello spazio che, pur privi di contenuto, rappresentano il punto intermedio fra più fonti d'informazione simultaneamente rilevanti (Ripoli). Questi risultati lasciano supporre che l'attenzione venga orientata nello spazio anche indipendentemente dalla direzione dello sguardo e che l'ampiezza del focus attentino venga adattata in modo da poter usufruire, di volta in volta, di un'attenzione ristretta su singoli indici di gioco o di un'attenzione a largo raggio, estesa su più indici contemporaneamente. Benché nella vita quotidiana l'attenzione visiva venga orientata nello spazio per mezzo di movimenti della testa e degli occhi, la possibilità di svincolare l'attenzione dalla direzione dello sguardo ha ricevuto numerose conferme dalla psicologia sperimentale. Questo fenomeno viene definito orientamento implicito dell'attenzione (Posuer 1980). In generale è provato che se si presta attenzione ad una data zona dello spazio, pur senza orientarvi lo sguardo, agli stimoli provenienti da quella data zona Si reagisce più efficacemente/rapidamente che a stimoli provenienti da altre zone, alle quali non era stata prestata attenzione. Questo vantaggio prestazionale viene definito beneficio dell'orientamento implicito dell'attenzione. Inoltre si può prestare attenzione ad aree del campo visivo di grandezza diversa: quanto più piccola è la zona a cui si presta attenzione, tanto maggiore è la concentrazione delle risorse attenzionali e perciò l'efficacia/velocità con cui vengono

elaborati gli stimoli che provengono da quella zona (Castiello). Questo vantaggio prestazionale viene definito beneficio della Localizzazione dell'attenzione. Trasposto alla pratica sportiva questo fenomeno ha il seguente significato: nel caso in cui l'atleta debba prestare attenzione ad un indice relativamente circoscritto, è vantaggioso per lui adottare un'attenzione a focus ristretto, in modo da poter elaborare quanto più velocemente e precisamente possibile l'informazione veicolata da quel dato indice. Se invece, come più spesso accade nei giochi sportivi, l'atleta deve prestare

attenzione contemporaneamente a più indici diversi distribuiti in zone diverse dello spazio, è più

conveniente un'attenzione a largo raggio, in modo da far ricadere tali indici all'interno del focus

dell'attenzione senza dover ricorrere all'uso svantaggioso di un elevato numero di consultazioni visive e, cioè, di movimenti oculari. Saper orientare e focalizzare Implicitamente l'attenzione, lasciando lo sguardo rivolta altrove, risulta utile nei giochi sportivi anche nel caso dei comportamenti di finta, quando ad es. un giocatore ha lo sguardo rivolto verso un determinata compagno o su un data settore del campo, ma gioca la palla in un'altra direzione.

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L'orientamento implicita dell'attenzione nello sport è stato studiata in una serie di ricerche condotte da Nougier e coll. e da Castiello. I risultati mettano generalmente in luce un'elevata flessibilità nella

gestione dell'attenzione visiva, connessa alle esigenze prestazionali specifiche degli sport considerati. In particolare, giocatori di pallavolo sembrano essere in grado di reorientare l'attenzione più rapidamente dal basso verso l'alto che viceversa, la qual cosa è palesemente in rapporto con le caratteristiche peculiari del gioco della pallavolo (Castiello). La capacità di adattare l'ampiezza del focus attentivo viene diagnosticata in ambiw sportivo per mezzo del Test of Attentional and Interpersonal Style (TAIS) di Nideffer Da ricerche condotte su pallavolisti con una versione opportunamente adattata del TAIS (Cei) risulta che giocatori esperti adottino prevalentemente un focus attentino ad ampio raggio, ma siano anche in grado di modulare l'ampiezza del focus in funzione della situazione. Tuttavia, poiché con questo test le caratteristiche attentive vengono stimate in una situazione che non richiede la messa in atto di risposte motorie, si può solo postulare che questa diagnosi rispecchi i processi attenzionali che

difatto hanno luogo in contesti motori come appunto quello sportivo. La capacità di giocatori di pallavolo di concentrare e distribuire flessibilmente l'attenzione ha ricevuto conferme anche per mezzo dell'Aufmerksamkeits - Belastungs - Test d2 di Brickenkamp (1978). Qui tuttavia gli aspetti "anticipativi" della focalizzazione dell'attenzione visiva nello spazio non vengono direttamente considerati.

3. Metodi psicofisiologici nello studio dell'attenzione dell'atleta

Le ricerche sull'attenzione nello sport condotte con metodi d'indagine psicofisiologici sono a tutt'oggi relativamente scarse. In molti casi sono stati rilevati correlati "indiretti" dei processi attentivi, prevalentemente mediati dall'attività del sistema neurovegetativo ed endocrino (Hatfield, Landers). Oltre a tali correlati indiretti sono state ottenute anche misure "dirette" dell'attività del

sistema nervoso centrale attraverso l'analisi delle cosiddette frequenze evocate (FE) e dei potenziali correlati ad evento (PCE). Sinteticamente, sia le FE che i PCE riflettono variazioni che si verificano nell'attività cerebrale a seguito di stimolazione o di determinati eventi mentali, da cui gli attributi "evocate" e "correlati ad evento". In particolare le FE sono variazioni che si verificano nei ritmi spontanei di oscillazione dell'attività elettrica cerebrale indicizzata dall'encefalogramma, mentre i PCE sono da considerarsi come una sorta di "discendenti" modificati dell'elettroencefalogramma, derivati da esso attraverso particolari procedure di elaborazione (per una descrizione dettagliata dei PCE Rossi, Zani, Pesce Anzeneder). Sia le FE che i PCE sono risultati essere validi indicatori di specifici processi di attenzione e di elaborazione dell'informazione in diversi tipi di sport. Per ciò che concerne le FE esistono in letteratura interessanti risultati in rapporto all'attenzione negli sport di tiro (Landers), nella pallavolo (Fontani, Wilson), nella pallacanestro e nel nuoto (Fontani), nel karatè {Colline), nell'aikido (Bosel). Il metodo dei PCE ha rivelato la sua utilità nello studio dei processi mentali - e in particolare attenzionali - di schermitori (Rossi), di tiratori a volo di altissimo livello (Zani, Rossi) e di pentatlon moderno (per rassegne Zani, Rossi, Pesce Anzeneder). L'analisi di tali misure dirette dell'attività

cerebrale nello studio dei processi mentali consente di differenziare non soltanto fra atleti e non-atleti, ma anche fra atleti praticanti lo stesso tipo di sport, ma di diverso livello di prestazione (Debousse, TimsitBerthier), o fra atleti di uguale livello prestazionale, ma praticanti diversi tipi di sport, con esigenze diverse di prestazione mentale (Demaret, Timsit-Berthier), od ancora fra atleti di uguale livello prestazionale e praticanti la stessa disciplina sportiva, ma una diversa specialità

(Zani, Rossi). Per ciò che concerne specificamente i pallavolisti, un risultato connesso alla localizzazione dell'attenzione spaziale, ottenuto con il metodo delle FE, è un aumento del cosiddetto ritmo alfa

dell'attività cerebrale. Inoltre i pallavolisti differiscono da altri atleti e da soggetti sedentari per

l'elevata variabilità riscontrata nelle singole fasce di frequenza dell'elettroencefalogramma

passando da una fase all'altra di un compito di attenzione visiva. Ciò viene ritenuto essere un

indice della modulazione dell'attività cerebrale messa in atto da questi atleti in funzione

dell'impegno attenzionale (Fontani).

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4. Uno studio dell'attenzione visivo - spaziale in pallavolisti di alto livello mediante l'analisi

di parametri comportamentali e psicofisiologici

I risultati presentati qui di seguito riguardano una ricerca inerente alla focalizzazione dell'attenzione visivo - spaziale condotta su pallavolisti di serie A e non -atleti. Come è già stato esposto nel paragrafo 2, i risultati del test TRIS (Cei) e quelli ottenuti con registrazioni oculografiche (Ripoll) lasciano supporre che i pallavolisti (1) utilizzino prevalentemente un'attenzione ad ampio raggio e (2) siano in grado di adattare l'ampiezza del focus attenzionale in funzione delle esigenze contingenti. Sebbene l'uso preferenziale di un'attenzione ad ampio raggio sembri essere una caratteristica comune a tutti gli atleti evoluti praticanti discipline sportive ad open skill, non sono ancora noti risultati elettrofisiologici che avvalorino quest'ipotesi. Perciò è stato messo a punto un paradigma sperimentale in cui era richiesto di orientare nello spazio il focus dell'attenzione e di adattarne variabilmente l'ampiezza, e nel corso dell'esecuzione del compito sono stati rilevati sia i tempi di reazione (TR) che i dati elettroencefalografici, dai quali sono stati poi derivati i suddetti potenziali correlati ad evento (PCE). 4.1 Il metodo

Figura 1 - Rappresentazione schematica degli stimoli utilizzati. Croce centrale (X) = punto di fissazione; quadro grande o piccolo = segnale di avvertimento; croce (+) = segnale imperativo. Ad esempio il segnale di avvertimento è presente su un solo lato della croce centrale, ad indicare che deve essere prestata attenzione ad un solo emicampo visivo. Sono indicate tutte le possibili posizioni in cui poteva apparire il segnale imperativo a secondo della grandezza del segnale di avvertimento. Similmente a ricerche condotte da Castiello con tennisti e con non - atleti è stato adattato un paradigma per lo studio dell'orientamento implicito dell'attenzione mutuato dalla psicologia cognitiva (Posner). In ogni prova al soggetto venivano presentati su uno schermo, in successione, tre stimoli (figura 1): una croce centrale. che avvisava dell'inizio della prova; un segnale di pre - avvertimento nel campo visivo periferico, che indicava qual era la zona più' probabile nella quale sarebbe apparso il terzo stimolo, un segnale imperativo al quale il soggetto doveva rispondere premendo un pulsante. Il compito del soggetto consisteva nel concentrare l'attenzione sull'area del campo visivo indicata dal segnale di avvertimento senza spostare lo sguardo dal centro dello schermo (orientamento

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implicito dell'attenzione), per rispondere poi il più rapidamente possibile al segnale imperativo. Vi erano anche prove di controllo. nelle quali il segnale imperativo non compariva ed il soggetto doveva frenare la risposta. Prima dell'inizio della seduta, consistente in diversi blocchi di prove, il soggetto veniva informato della probabilità di occorrenza dello stimolo imperativo nella zona del campo visivo indicata, di prova in prova, dal segnale di avvertimento.

Figura 2 - Rappresentazione schematica del processo di registrazione dei dati elettroencefalografici. L'elettroencefalogramma (ECG), registrato dalle regioni frontale, parietale ed occipitale dello scalpo (F, P, O), viene preamplificato e quindi trasmesso tewlemetricamente ad un trasmettitore (T) ad un ricevitore (R), dove viene un'ulteriore amplificazione ed un primo filtraggio; quindi i dati elettroencefalografici venivano digitalizzati ed immagazzinati in un computer (C), per venire sottoposti ad ulteriori di elaborazione "off line": standardizzazione, mediazione, sottrazione, ulteriore filtraggio. Queste operazioni erano necessarie per ottenere i cosi detti potenziali correlati ad evento (PCE) e rendere misurabile l'attività cerebrale associata ai processi di orientamento e di focalizzazione dell'attenzione.

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Figura 3 - Tempi di reazione medi di atleti e non - atleti nel caso in cui l'attenzione venivaorientata su un solo emicampo visivo in modo prevalentemente involontario (intervallo breve fra segnale di avvertimento e segnale imperativo) o volontario (intervallo lungo).

Figura 4 - Attività cerebrale condizionata dall'attenzione (ampiezza media del PCE 220 � 360 msec. dopo la comparsa del segnale imperativo) nel caso in cui l'attenzione veniva orientata su un solo emicampo visivo in modo prevalentemente involontario (intervallo breve fra segnale di avvertimento e segnale imperativo) o volontario (intervallo lungo). I principi su cui si basa il paradigma adottato sono i seguenti. Per studiare gli effetti dell'orientamento dell'attenzione su un

solo emicampo visivo rispetto agli effetti di un'attenzione diffusa in entrambi gli emicampi, il segnale di avvertimento poteva apparire 0 su un solo lato 0 su entrambi i lati della croce centrale: nel primo caso il segnale imperativo appariva sempre e solo nell'emicampo segnalato, per cui il soggetto poteva concentrare l'attenzione solo su di esso; nel secondo caso il segnale imperativo poteva apparire con uguale probabilità in uno qualsiasi degli emicampi, per cui il soggetto doveva orientare l'attenzione su entrambi. Per studiare gli effetti della focalizzazione dell'attenzione su

zone del campo visivo di grandezza diversa erano stati utilizzati come segnali di avvertimento quadrati grandi e piccoli. Nella maggior parte dei casi (75%) il segnale imperativo appariva all'interno del quadrato, per indurre il soggetto ad adattare l'ampiezza del focus dell'attenzione a seconda della grandezza del quadrato. Con bassa probabilità /259C) il segnale imperativo poteva apparire al di fuori del quadrato, ma sempre in una zona circoscritta intorno ad esso: lo scopo era quello di verificare in che misura venissero lasciate disponibili risorse attenzionali residue al di fuori del focus dell'attenzione a seconda della sua grandezza. Un ultimo fattore da tenere in considerazione è il tempo che intercorreva fra l'apparizione del segnale di avvertimento e quella del segnale imperativo. Questo fattore è importante perché stimoli che compaiono improvvisamente nella periferia del campo visivo (come appunto nel nostro caso il segnale di avvertimento) scatenano un orientamento involontario dell'attenzione, immediato e di breve durata, nella loro direzione; successivamente subentrano meccanismi attenzionali volontari, che orientano l'attenzione fasulla zona segnalata in funzione dell'aspettativa soggettiva, e cioè in misura tanto maggiore, quanto maggiore è la probabilità che il segnale imperativo compaia proprio nella zona segnalata. Per separare quanto più possibile gli effetti di questi due meccanismi attenzionali sono stati utilizzati due intervalli diversi fra segnale di avvertimento e segnale imperativo, uno breve (100 msec) ed uno lungo (500 msec).

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Nel corso della seduta sono stati registrati sia i TR che i dati elettroencefalografici derivati in corrispondenza delle aree parietali ed occipitali, che rivestono un ruolo importante nell'attenzione visivo -spaziale, e delle aree frontali, che sono implicate nel controllo volontario dell'attenzione. La procedura di registrazione e di elaborazione dei dati elettroencefalografici è descritta sinteticamente nella figura 2. Per analizzare l'attività cerebrale associata all'orientamento ed alla focalizzazione dell'attenzione è stata prescelta. in base alla letteratura pertinente (Eimer) l'ampiezza media del PCE fra 220 e 360 msec dopo la comparsa del segnale imperativo. Questo parametro del PCE, infatti, è sensibile all'orientamento dell'attenzione nello spazio: se l attenzione viene orientata su una data zona del campo Visivo e lo stimolo imperativo compare proprio in quella zona, il PCE nel suddetto intervallo di tempo "si negativizza", cioè raggiunge valori di ampiezza più negativi che nel caso in cui lo stimolo imperativo compaia in una zona a cui non si presta attenzione. Perciò questo potenziale cerebrale si può definire attività cerebrale condizionata

dati attenzione spaziale.

4.2 Stile attentino e strategie di orientamento e di focalizzazione dell'attenzione in

pallavolisti e non - atleti

Un primo risultato significativo è che i giocatori di pallavolo non sono semplicemente più veloci dei non - atleti nel reagire allo stimolo imperativo. Infatti i pallavolisti hanno TR significativamente più

rapidi solo quando tra il segnale di avvertimento e quello imperativo intercorre un intervallo sufficientemente lungo da consentire una gestione volontaria dell'attenzione (TR con intervallo lungo: pallavolisti: 307 msec, non - atleti: 341 msec). Di per se stesso questo risultato potrebbe non essere dovuto a differenze attenzionali. Infatti non è

da escludersi l'intervento di fattori motivazionali: un livello di motivazione più elevato potrebbe avere prodotto negli atleti un più rapido aumento dello stato di "allerta" che insorge con la presentazione di segnali di pre - avvertimento, oppure potrebbe darsi che gli atleti. perché più motivati, fossero in grado di prepararsi più efficacemente a reagire. Gli ulteriori risultati presentati qui di seguito, invece, avvalorano l'ipotesi che differenze di motivazione fra atleti e non - atleti non siano la causa principale - perlomeno non l'unica - degli effetti prestazionali ottenuti in compiti di attenzione spaziale (Nougier). Nella nostra ricerca la maggiore rapidità di reazione dei pallavolisti rispetto ai non - atleti risulta infatti dipendere anche dal loro peculiare stile attentivo e dalle strategie attenzionali adottate in funzione del compito. La figura 3 mostra i TR di pallavolisti e non - atleti nel caso in cui veniva presentato un unico segnale di avvertimento, per cui l'attenzione poteva venire orientata sul solo emicampo visivo segnalato. Passando da un orientamento involontario ad un controllo prevalentemente volontario dell'attenzione (e cioè dall'intervallo breve all'intervallo lungo fra segnale di avvertimento e segnale imperativo), i pallavolisti aumentano la loro velocità di reazione. Parallelamente è stato rilevato un aumento dell'attività cerebrale che indicizza l'orientamento dell'attenzione (figura 4). I non - atleti, invece, non mostrano un incremento di tale attività cerebrale e, di conseguenza, neppure un vantaggio prestazionale (figure 3 e 4, a pag. 66). Perciò si può ipotizzare che i pallavolisti, se è

dato loro tempo sufficiente, sfruttino l'informazione veicolata dal segnale di avvertimento meglio dei non - atleti. aumentando col tempo l'allocazione di attenzione sulla zona del campo visivo segnalata per essere più rapidi a reagire allo stimolo atteso in quella zona.

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Figura 5 - Tempi di reazione medi di atleti e non - atleti nel caso in cui l'orientamento dell'attenzione su un solo emicampo o su entrambi gli emicampi poteva essere gestito in modo prevalentemente volontario (intervallo lungo).

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Figura 6 - Attività cerebrale condizionata dall'attenzione (ampiezza media del PCE 220 � 360 msec. dopo la comparsa del segnale imperativo) nel caso in cui l'orientamento dell'attenzione su un solo emicampo o su entrambi gli emicampi poteva essere gestito in modo prevalentemente volontario (intervallo lungo). La migliore prestazione dei pallavolisti nell'orientare l'attenzione nel campo visivo dipende dal fatto che essi, rispetto ai non - atleti, utilizzano strategie più efficaci. Ciò diventa evidente se si analizza l'attività cerebrale connessa all'orientamento volontario dell'attenzione su un solo emicampo o su entrambi gli emicampi visivi. Nei pallavolisti tale attività cerebrale e tendenzialmente maggiore nel caso in cui l'attenzione viene orientata su un solo emicampo, nei non - atleti, invece, nel caso di un'attenzione diffusa su entrambi gli emicampi (figura 6). Probabilmente i pallavolisti - a causa delle esigenze percettive imposte dalla loro pratica sportiva - utilizzano prevalentemente, in maniera altamente automatizzata, un'attenzione a largo raggio e si avvalgono di un processo attenzionale aggiuntivo quando si tratta di concentrare il focus delI'attenzione su una zona circoscritta del campo visivo. Al contrario i non - atleti, le cui attività quotidiane probabilmente non richiedono l'utilizzo frequente di un'attenzione a largo raggio, di base sembrano adottare un'attenzione a focus più ristretto ed erogare risorse attenzionali aggiuntive quando si tratta di prestare attenzione contemporaneamente ad entrambi gli emicampi visivi. Sotto il profilo prestazionale il comportamento attentino dei pallavolisti risulta essere più vantaggioso di quello dei non - atleti. Infatti i pallavolisti, nel caso in e cui è richiesta un'attenzione ad ampio raggio, hanno TR più rapidi dei non - atleti pur senza far ricorso ad un'erogazione supplementare di attenzione; invece aumentano il loro impegno attenzionale per concentrare l'attenzione su una zona più ristretta dello spazio, ottenendo così un beneficio prestazionale (figure 5 e 6).

Figura 7 - Tempi di reazione medi di atleti e non - atleti nel caso in cui l'attenzione veniva focalizzata su zone relativamente ampie del campo visivo in modo prevalentemente involontario (intervallo breve fra segnale di avvertimento e segnale imperativo) o volontario (intervallo lungo).

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Figura 8 - Attività cerebrale condizionata dall'attenzione (ampiezza media del PCE 220 � 360 msec. dopo la comparsa del segnale imperativo) nel caso in cui l'attenzione veniva focalizzata su zone relativamente ampie del campo visivo in modo prevalentemente involontario (intervallo breve fra segnale di avvertimento e segnale imperativo) o volontario (intervallo lungo). L'utilizzazione automatizzata ed ottimizzata, da parte dei pallavolisti, di un focus attenzionale ad ampio raggio viene confermata anche dai seguenti risultati. La figura 7 mostra i TR di pallavolisti e non -atleti nel caso in cui venivano presentati segnali di avvertimento relativamente grandi, per cui l'attenzione doveva venire focalizzata su larghe zone dello spazio visivo. Passando da un orientamento involontario ad un controllo prevalentemente volontario dell'attenzione (e cioè dall'intervallo breve all'intervallo lungo fra segnale di avvertimento e segnale imperativo), sia i pallavolisti che i non - atleti aumentano la loro velocità di reazione, i primi in misura maggiore dei secondi. Tuttavia solo i non -atleti per ottenere questo miglioramento prestazionale relativamente modesto hanno bisogno di aumentare notevolmente l'erogazione di risorse attentive, come risulta dall'incremento dell'attività cerebrale condizionata dall'attenzione (figura 8).1 pallavolisti. invece, quando si tratta di prestare attenzione a zone dello spazio relativamente ampie sono in grado, all'aumentare del tempo in cui possono disporre dell'informazione preventiva, di velocizzare i TR

senza far ricorso ad un'erogazione aggiuntiva di attenzione (figura 8). Inoltre i pallavolisti sono in grado di adattare con grande precisione l'ampiezza del focus attentivo all'ampiezza della zona a cui deve essere prestata attenzione. Ciò emerge se si osservano i risultati relativi alla focalizzazione volontaria dell'attenzione su zone dello spazio visivo di ampiezza variabile. I pallavolisti mostrano un beneficio prestazionale nel caso in cui possono focalizzare l'attenzione su zone ristrette dello spazio visivo, rispetto a zone più ampie (figura 9). Parallelamente mostrano una maggiore attività cerebrale condizionata dall'attenzione (figura 10). Questo risultato conferma ancora una volta che questi atleti non sono abituati ad utilizzare un focus attenzionale circoscritto a zone così limitate del campo visivo. per cui, quando il compito lo richiede, devono avvalersi di un processo attenzionale aggiuntivo, di tipo volontario. Nel caso dei non - atleti, invece, quando l'attenzione può essere concentrata su zone più piccole dello spazio

visivo non si riscontra né un beneficio prestazionale (figura 9), né un corrispondente incremento dell'attività cerebrale condizionata dall'attenzione (figura 10). Anche qui il comportamento attentino dei pallavolisti risulta essere. sotto il profilo prestazionale. Più vantaggioso di quello dei non -atleti. giacché da un lato sanno usare più "economicamente" un focus relativamente ampio e dall'altro

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modulano l'ampiezza del focus con precisione, aumentando la concentrazione spaziale delle risorse attentive quando il compito lo consente.

Figura 9 - Tempi di reazione medi di atleti e non - atleti nel caso in cui la localizzazione dell'attenzione su zone del campo visivo di grandezza diversa poteva essere gestita in modo prevalentemente volontario (intervallo lungo).

Figura 10 - Attività cerebrale condizionata dall'attenzione (ampiezza media del PCE 220 � 360 msec. dopo la comparsa del segnale imperativo) nel caso in cui la localizzazione dell'attenzione su

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zone del campo visivo di grandezza diversa poteva essere gestita in modo prevalentemente volontario (intervallo lungo).

In sintesi: la maggior velocità di reazione riscontrata pallavolisti rispetto ai non · atleti dipende,

almeno in parte, dal loro peculiare stile attentino e dalle strategie adottate in funzione del compito.

Da una parte i pallavolisti sembrano essere in grado di adottare un'attenzione ad ampio raggio in

modo automatizzato, senza far ricorso a processi attenzionali volontari (stile attentivo peculiare,

modalità abituale di allocare attenzione nello spazio). D'altra parte sembrano essere anche in

grado, a seconda delle richieste del compito, di restringere il focus attentino "ad hoc.", facendo

ricorso a processi attentivi di tipo volontario (strategia attenzionale contingente). Questi risultati

confermano perciò le assunzioni di partenza (Cei, Ripoli) che i pallavolisti (1) privilegiano

l'adozione di un focus ampio e (2) sono capaci di modularne l'ampiezza flessibilmente.

4.3 Focalizzazione dell'attenzione a seconda del ruolo di gioco

Un ulteriore quesito affrontato in questa ricerca è se le suddette caratteristiche attentive siano ugualmente riscontrabili in pallavolisti aventi ruoli di gioco diversi. Infatti è ipotizzabile che la specializzazione in un determinato ruolo comporti anche lo sviluppo di specifiche modalità di gestione dell'attenzione. A questo proposito sono interessanti i risultati ottenuti in un'analisi in cui sono stati analizzati i TR

dei pallavolisti divisi a seconda del ruolo di gioco: difensori centrali (a muro) (MC, n = 6), alzatori (A, n = 4), universali (U, n = 3) e schiacciatori laterali (SL, n = 5). Benché il numero di atleti per ruolo di gioco sia piuttosto esiguo, con opportuni test statistici (non - parametrici) è possibile tentare un'analisi di questo tipo, particolarmente interessante per gli eventuali risvolti pratici. A differenza delle analisi precedenti, qui è stato preso in considerazione anche il caso in cui il segnale di avvertimento indicava una determinata zona dello spazio, ma il segnale imperativo compariva inaspettatamente al di fuori di essa. Come si è già detto, confrontare i TR a stimoli che compaiono all'interno od all'esterno di stimoli di avvertimento di grandezza diversa consente di verificare se il focus dell'attenzione viene circoscritto alla zona segnalata ed in che misura vengono lasciate disponibili risorse attentive residue al di fuori del focus a seconda della sua grandezza. Quanto più le risorse attentive sono concentrai SU uno spazio ristretto del campo visivo, tanto meno risorse residue dovrebbero restare disponibili allontanandosi da questo spazio (Henderson). Perciò nel nostro caso è da attendersi che, se un soggetto adatta la grandezza del focus a seconda della grandezza del segnale di avvertimento, dato un segnale piccolo � rispetto ad uno più grande - i TR a stimoli che compaiono nella zona segnalata saranno particolarmente veloci (beneficio del restringimento del focus dell'attenzione), mentre i TR a stimoli che compaiono all'esterno saranno più lenti ("costo" del restringimento del focus). Conferme dell'adozione di un focus ampio, a prescindere dalla grandezza della zona segnalata, sono emerse indistintamente per tutti i pallavolisti nel caso in cui poteva essere prestata volontariamente attenzione ad un solo emicampo, ignorando l'altro (segnale di avvertimento in un solo emicampo). Infatti non sono emerse differenze significative nei TR a seconda se la zona a cui prestare attrazione fosse grande o piccola, e se il segnale imperativo comparisse all'interno od all'esterno di quella zona: in altre parole, non sono emerse prove di una modulazione dell'ampiezza del focus attenzionale.

Differenze fra atleti praticanti ruoli diversi sono emerite solo quando il compito era reso più difficile

dal fatto che l'attenzione doveva venire focalizzata su entrambi gli emicampi contemporaneamente

(doppio segnale di avvertimento) e solo se l'attenzione poteva essere gestita volontariamente

(intervallo lungo fra segnale di avvertimento e segnale imperativo)

(Figura 11). Come si può notare dalla figura 11, esistono notevoli differenze di velocità di reazione fra giocatori di ruoli diversi, che però dall'analisi statistica non sono risultate significative. Significative sono invece le differenze di velocità di reazione che, riscontrate all'interno di ogni singolo ruolo di gioco

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a seconda delle condizioni sperimentali, rispecchiano le modalità tipiche di focalizzare l'attenzione nello spazio a seconda del ruolo di gioco.

Figura 11 - Tempi di reazione medi di pallavolisti (suddivisi secondo il ruolo di gioco) in funzione della grandezza del segnale di avvertimento e della posizione del segnale imperativo. Questi dati si riferiscono esclusivamente al caso in cui il compito imponeva di focalizzare l'attenzione contemporaneamente in entrambi gli emicampi ed era dato tempo sufficiente per gestire la focalizzazione in modo volontario. MC = difensore centrale, A = alzatore, U = universale, SL = schiacciatore laterale.

Difensori centrali (a muro) (MC)

I MC sono gli unici giocatori che, anche quando devono prestare attenzione contemporaneamente ad entrambi gli emicampi, adottano un focus attenzionale molto ampio, senza modularlo in funzione della grandezza delle zone segnalate: infatti non si riscontra un decremento significativo delle risorse attenzionali al di fuori delle zone segnalate (non significativo decremento della velocità di reazione, figura 11). Questo risultato è probabilmente da mettere in rapporto al fatto che il compito peculiare dei MC consiste, a rete, nel prestare attenzione sia allo schiacciature laterale di destra che a quello di sinistra, per potere decidere nel più breve tempo possibile in quale

direzione muoversi per effettuare il muro. Perciò e plausibile che siano abituati ad estendere l'attenzione su entrambi i lati del campo visivo.

Alzatori (A)

Gli A invece, quando si tratta di prestare attenzione contemporaneamente ad entrambi gli emicampi operano un risparmio delle risorse erogate, adattando con grande precisione il focus

dell'attenzione in funzione della grandezza delle zone segnalate. Il restringimento del focus

dell'attenzione porta loro "benefici" prestazionali, e cioè TR più rapidi a stimoli che ricadono all'interno di un segnale di avvertimento piccolo rispetto a stimoli che compaiono all'interno in un segnale più grande (320 ve. 341 msec. figura 11). Nonostante questa più elevata concentrazione di risorse attentive nel caso del focus ristretto, le risorse residue al suo esterno equivalgono a quelle presenti all'esterno di un focus più ampio (TR a stimoli al di fuori del segnale di avvertimento piccolo: 345 msec, al di fuori del segnale grande: 349 msec, figura 11). In altre parole, gli A ottimizzano la localizzazione dell'attenzione in modo tale che possono ottenere "benefici", se lo stimolo atteso compare all'interno della zona di alta concentrazione delle risorse attentive, ma non

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subiscono "costi" particolarmente alti, se lo stimolo inaspettatamente compare al di fuori di essa. Questa capacità attenzionale può essere messa in relazione al fatto che gli A sono i cosiddetti play

maker, la cui alta competenza tattica si esprime anche nel prestare flessibilmente attenzione, modulando l'ampiezza del focus, tanto a singole informazioni di attacco e di difesa, quanto contemporaneamente a più indici di gioco rilevanti, come si può dedurre dai risultati di rilevazioni oculografiche (Ripoli).

Giocatori universali (U)

Analogamente agli aleatori, anche gli U sono in grado di concentrare con grande precisione le risorse attentive su zone relativamente piccole del campo visivo: lo dimostra il fatto che, nel caso di segnali di avvertimento piccoli, a stimoli che compaiono all'interno della zona segnalata reagiscono più velocemente che a stimoli che compaiono all'esterno di essa (309 va. 318 msec, figura 11). A differenza degli aleatori, però, il restringimento del focus dell'attenzione sembra essere un processo "costoso" in termini di tempo impiegato, che non porta loro "benefici" prestazionali rispetto ad un focus più ampio. Questo è sorprendente nel caso in cui il segnale imperativo compare all'interno della zona segnalata e la reazione ad esso dovrebbe essere tanto più veloce,

quanto più piccola è la zona su cui si concentra l'attenzione (invece: TR a stimoli che compaiono all'interno del segnale di avvertimento piccolo: 309 msec, all'interno del segnale grande: 294 msec). Una loro caratteristica attenzionale sembra perciò essere la capacità di reagire molto rapidamente a stimoli distribuiti nel campo visivo periferico, a cui prestano attenzione in modo diffuso.

Schiacciatori laterali (SL)

Gli SL mostrano una notevole riduzione delle risorse attentive al di fuori del focus attenzionale, solo se deve essere prestata attenzione contemporaneamente a zone relativamente ampie in entrambi gli emicampi (TR a stimoli interni od esterni a segnali di avvertimento grandi: 303 ve. 320 msec, figura 11). Siccome questo risultato replica gli effetti ottenuti indistintamente da tutti gli atleti con l'intervallo breve fra segnale di avvertimento e segnale imperativo, un'interpretazione plausibile è che gli SL non mettano in atto una gestione volontaria dell'attenzione spaziale neanche nel caso in cui vi sarebbe sufficiente tempo per farlo, probabilmente perché il loro ruolo di gioco comporta

una minore necessità di gestire strategicamente l'attenzione spaziale rispetto agli allei ruoli.

5. Conclusioni applicative

Mediante l'analisi parallela di rilevazioni direte dell'attività cerebrale (PCE) e di dati prestazionali (TR) è stato possibile individuare che pallavolisti di alto livello hanno uno stile attentino diverso ed adottano strategie attentive diverse da quelle dei non - atleti. Il fatto che i pallavolisti facciano uso di un'attenzione ad ampio raggio senza ricorrere sostanzialmente a processi attentivi volontari, i quali vengono impiegati invece maggiormente quando il compito richiede un restringimento del focus dell'attenzione, ha rilevanza pratica. Ciò significa infatti che i pallavolisti, attraverso l'assidua pratica sportiva, allenano "indirettamente" ed automatizzano l'uso di un'attenzione ad ampio raggio, mentre l'utilizzazione di un focus più ristretto viene esercitata in misura minore e perciò

rimane sotto controllo volontario. Processi controllati, però, sono "costosi", poiché richiedono

l'erogazione di risorse a capacità limitata (Shiffrin, Schneider). Riportando questi risultati alla pratica sportiva si può concludere quanto segue: nel caso in cui il pallavolista deve prestare attenzione a singoli indici di gioco spazialmente ben delimitati, restringere il focus dell'attenzione su di essi può fornirgli un vantaggio prestazionale. Tuttavia, poiché si tratta di un processo di tipo controllato, esso attinge a risorse a capacità limitata, riducendo la quantità di risorse contemporaneamente disponibili per altri processi di tipo controllato. Perciò l'eventuale concentrazione dell'attenzione su specifiche zone altamente circoscritte dello spazio visivo o su singoli indici di gioco dovrebbe venire attuata tenendo conto degli altri processi di elaborazione di tipo controllato in via di svolgimento (processi decisionali, scelta dell'azione). Nel caso di atleti di alto livello, che hanno già acquisito la capacità prioritaria di far uso di un'attenzione a largo raggio, potrebbe essere utile un allenamento diretto del

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restringimento del focus attenzionale per quelle situazioni di gioco nelle quali ciò possa essere vantaggioso. In tal modo la gestione dell'attenzione focalizzata non andrebbe più a limitare la quantità di risorse disponibili per altri processi elaborativi più difficilmente automatizzabili. Differenze nel modo di focalizzare l'attenzione nello spazio sono emerse anche in funzione del ruolo di gioco. L'impostazione di esperimenti che tengano conto di tali differenze potrebbe portare ad interessanti risultati. Ad es. per gli schiacciatori laterali, che sembrano essere meno specializzati degli aiuti giocatori nella gestione dell'attenzione spaziale, si pone il quesito se un allenamento diretto di questa capacità potrebbe essere vantaggiosa in termini prestazionali. Per i giocatori universali sarebbe interessante verificare se il restringimento de! focus dell'ambizione, che in laboratorio sono capaci di eseguire precisamente, ma con eccessivo dispendio di tempo, in campo possa invece risultare vantaggioso per operare le ben più complesse discriminazioni richieste in alcuni contesti di gioco, oppure debba essere ottimizzato facendo ricorsa ad un allenamento specifico. Al di là di questi quesiti resta il fatto che questa ricerca è stata condotta su atleti di alto livello, per

cui è presumibile che le caratteristiche attentive riscontrai rappresentino un presupposto della prestazione adeguato alla loro pratica sportiva. In altre parole le specifiche capacità attenzionali riscontrate - ed in particolare la capacità di far uso di un'attenzione a largo raggio �potrebbero essere utilizzate come criterio nella diagnosi devo sviluppo delle capacità attentive di atleti meno

evoluti o come obiettivo per un allenamento finalizzato.

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8. LO SPIRITO DI SQUADRA E�LA CHIAVE DEL

SUCCESSO

(Julio Velasco)

Michael Jordan, Scottie Pippen, Dennis Rodman riuniti in una stanza arredata con totem e altri oggetti indiani. I Chicago Bulls raccolti intorno al loro coach, Phil Jackson, che legge loro brani dal "Libro della giungla" di Rudyard Kipling per preparare la squadra alla partita. Una frase del romanzo ricorre più spesso: "La forza del lupo è il branco, e la forza del branco è il lupo". Strane coincidenze accadono. "E' uno dei miei libri preferiti", commenta Julio Velasco (il plurivincitore con l'ItalVolley, oggi all'Inter, dopo il ruolo di direttore generale nella Lazio di Sergio Cragnotti), "va però detto che quando il lupo diventa vecchio, e non è più in grado di cacciare, il

branco lo uccide. Questo è un po' quello che succede a tutti i leader".

Perché secondo lei il mondo imprenditoriale parla sempre più spesso di gioco di squadra?

"Per una serie di fattori che stanno coinvolgendo la nostra società: per la grande competitività, per

la crescente complessità, per la concentrazione a livello imprenditoriale, e infine, per la globalizzazione".

Come valuta il mondo aziendale sotto il profilo dello spirito di squadra?

"Mi sembra di capire che nella nostra società, in azienda, la cultura di squadra non sia molto

diffusa. Tutti insistono a voler parlare di gioco di squadra, che è visto come un imperativo morale

da raggiungere. Ciò equivale a dire: dobbiamo essere dei bravi ragazzi, dobbiamo avere spirito di

squadra. Questo è positivo ma non sufficiente. Un mero concetto di solidarietà: tutti per la causa".

Ma allora il gioco di squadra è imprescindibile?

"E' necessario inquadrare il problema. Io non sono d'accordo con l'affermazione che senza la squadra non si fa nulla. Il mondo imprenditoriale è pieno di uomini che da soli, usando gli altri come pedine operative, hanno fatto grandi cose. Ritengo però che gli affari, come tante altre

attività, in una società che si sta sempre più globalizzando, siano diventati sempre più complessi,

più vasti. Come conseguenza anche se si ha il fuoriclasse, imprenditore o giocatore che sia, si farà

sempre più fatica. Ergo, il gioco di squadra comincia ad essere una necessità. E non a caso sta

divenendo un concetto di cui si parla molto nelle aziende".

Quale motivazione, in un mondo sempre più orientato all'individualismo, spinge a creare un gioco

di squadra?

"Essenzialmente perché conviene a chi ne fa parte. Anche se ragiona da egoista. Per la stessa

essenza del gioco di squadra: la tattica. La tecnica è solamente lo strumento. Un buon sistema

tattico permette di mettere in evidenza i miei pregi e nascondere i miei difetti, e, contemporaneamente, sottolineare i difetti dell'avversario e neutralizzare i suoi pregi".

E' la tattica, allora, il valore aggiunto del giocare in una squadra?

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"Esattamente, perché anche se un giocatore è bravissimo c'è sempre qualcosa in cui non è molto

abile. E tramite il gioco collettivo si riesce a far emergere il meglio di ognuno, sopperendo ai suoi difetti con le doti di un altro. Un gioco di squadra che non faccia questo applica una tattica sbagliata. Inoltre continuando a tarpare i pregi di un individuo, alla lunga, questi si stacca dalla squadra. In un club sportivo può essere sostituito, ma in un'azienda, dove la mobilità è

decisamente più bassa, può diventare un problema serio".

E come si mantiene un individuo all'interno della squadra?

"Non certo con discorsi moralistici. Servono criteri più utilitaristici e pragmatici: deve intravedere la

convenienza dello stare nel gioco di squadra, traendo i maggiori benefici personali giocando insieme a compagni che nascondano i suoi difetti ed esaltino invece i suoi pregi".

Da dove inizia, quindi, la costruzione di una squadra?

"Dall'avere chiaro l'obiettivo. La seconda è di avere un gioco ben delineato, conosciuto da tutti".

Che cosa significa?

"Significa che la metodologia, lo stile di lavoro e di gioco, devono essere chiari a tutti, e non soltanto al capo. Molti concepiscono il gioco di squadra come: "io penso, loro eseguono. E chi non esegue non possiede spirito di squadra". Le vere squadre non sono così. Il ruolo dell'allenatore

consiste nel saper costruire un gioco in collaborazione con i giocatori". Ed ecco il ruolo dell'allenatore. "Uno non è un grande allenatore quando fa muovere un giocatore

secondo le proprie intenzioni, ma quando insegna ai giocatori a muoversi per conto loro. L'ideale assoluto, che come tale non è mai raggiungibile, viene nel momento in cui l'allenatore non ha più

nulla da dire, perché i giocatori sanno già tutto quello che c'è da sapere. Tutti devono conoscere, oltre alla tecnica, come si gioca, la tattica, insomma".

La figura dell'allenatore è quindi assimilabile a quella di un capo?

"E' indubbiamente un ruolo di comando. Deve essere in grado di assumersi sulle proprie spalle i rischi. La tattica deve essere condivisa da tutti, anche tramite un contraddittorio. Se non c'è

accordo tra tutti, cosa si fa? Qui entra in gioco il capo: ebbene, decide lui, perché non si può vivere

nel conflitto. Il capo si assume le sue responsabilità, cercando di sbagliare il meno possibile. Un margine di errore esisterà ovviamente sempre, l'essenziale è esplicitarlo ben chiaro in

precedenza".

Squadra e gruppo, non sono la stessa cosa.

"No, e non vanno confusi. Il gruppo è l'elemento alla base della squadra. Il gruppo si forma svolgendo un'attività in comune: ad esempio, una classe scolastica. Nel gruppo l'individuo ha dei

ruoli, ma non ben delineati, attribuitigli spontaneamente dagli altri componenti. Inoltre non c'è un

unico leader, perché viene scelto a seconda dell'attività svolta. Il gruppo è un'entità propria: ciò

significa che la sua caratteristica non deriva dalla somma delle caratteristiche degli individui che compongono il gruppo, ma bisogna ricercarla nelle dinamiche che si creano al suo interno. E' necessario verificare come ciascun individuo funziona nel gruppo e non come è fatto, se ha

talento, oppure se ha un certo carattere, o se è coerente ad un certo metodo di lavoro".

Che cosa, allora, caratterizza una squadra rispetto ad un gruppo?

"I ruoli, che devono essere ben definiti. In funzione del tipo di gioco che si vuole fare, della tattica che si intende applicare. E' inammissibile, ad esempio, che un terzino vada a fare la punta soltanto perché il centravanti non segna. Questo implica accettare anche i limiti, i difetti, gli errori dei compagni. Ciascun giocatore deve avere e rispettare il ruolo assegnatogli dall'allenatore, dal capo, dal vertice".

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Iniziano i problemi per l'allenatore.

"Il capo fa parte dei ruoli prestabiliti, il suo è quello di comandare, istituzionalmente. E' necessario differenziare tra capo e leader. La leadership si guadagna con il consenso, si deve instaurare un'autorità morale per comandare. Il leader lo stabilisce il gruppo, non ha un ruolo assegnato, ad

esempio, da un organigramma. Restando nello sport, ci sono allenatori che non sono leader e che utilizzano quelli che si vengono a creare in modo naturale all'interno del gruppo dei giocatori. Un capo perde la stima della squadra soprattutto quando non rispetta i ruoli altrui, e non quando non è

un leader".

Quando però c'è qualcosa che non funziona è difficile rispettare i ruoli.

"Tutto dipende dal clima creato dal vertice, dai capi, sul modo di interpretare un errore. E' in caso di difficoltà che si vede se c'è davvero lo spirito di squadra. Quando le cose vanno bene è

semplice rispettare i ruoli, quando invece vanno male si innesca un meccanismo basato sul tentativo di dimostrare la propria innocenza, tra mille alibi e giustificazioni, e la colpevolezza degli altri. Il problema di fondo è che l'errore viene visto come una dimostrazione d'incapacità e non

come degli strumenti d'apprendimento".

Ha parlato spesso di cultura degli alibi.

"L'alibi, oltre a distruggere l'armonia, impedisce di progredire, di imparare. E' una situazione che nella mia esperienza ho trovato ovunque. L'errore segnala la necessità di apportare modifiche, la

scusa, invece, impedisce di mettere in moto delle risorse che, a volte, non si sa neppure di avere".

Nel romanzo 'I Promessi Sposi' di Alessandro Manzoni, Don Abbondio si giustifica dicendo: "Se

uno il coraggio non ce l'ha, non se lo può dare". Quanto contano le motivazioni?

"Affinché i ruoli, il gruppo, la squadra funzionino è chiaro che la motivazione è un elemento

fondamentale. Che non deve essere astratta, culturale o morale. Ci sono tre tipi di motivazione: quella di base, quella economica e quella della sfida".

In che cosa consiste la motivazione di base?

"Fare ciò che piace. Di conseguenza, quando si costruiscono le squadre, bisogna scegliere gente a cui piace quel ruolo. In ogni modo è possibile migliorare le condizioni di lavoro, l'ambiente (ad

esempio un ufficio accogliente, la comodità per raggiungere il posto di lavoro), concedere

gratificazioni, al fine di rendere più soddisfatti di ciò che si svolge. In questo gli americani sono dei

maestri, per quanto li riguarda: meglio si vive, più si rende. In Italia c'è un disinteresse assoluto per

questi argomenti. Un buon allenatore deve cercare di mettere, se può, un giocatore nel posto in cui sa che gli piace stare".

La motivazione economica, invece.

"E' molto importante, i premi, le incentivazioni sono un ottimo stimolo. Ma diventa negativa quando si richiede di far gioco di squadra e poi il guadagno va soltanto alla proprietà".

Lei ha parlato di sfida...

"Questa motivazione per me assume un ruolo fondamentale, non tanto riguardo agli impegni quotidiani, quanto ai grandi compiti. Credo che la gente, soprattutto in una società decisamente

omologata come l'attuale, abbia bisogno delle emozioni, di sentirsi parte di qualcosa che va al di là

della routine di tutti i giorni, di competere per un'impresa straordinaria. Questo a maggior ragione nel mondo del lavoro".

Come si fa ad avere la mentalità vincente?

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"A questa domanda io rispondo sempre con un paradosso: vincendo! Il problema è: come faccio a

vincere? Esistono tre tipologie. La prima vittoria è quella contro i propri limiti e i difetti. La funzione

del capo è fondamentale: deve porre obiettivi facilmente raggiungibili, in maniera da far fare un passo alla volta e, soprattutto, deve dare aiutare a risolvere i difetti. E poi superare le difficoltà è un

allenamento. Questa è la seconda tipologia di vittoria. Le difficoltà non devono più essere viste

come un qualcosa che mi impedisce di fare, ma come la possibilità di allenarmi a superarle".

E la terza vittoria?

"E' quella contro gli avversari, i concorrenti. Che va programmata: da una parte affrontando avversari che siano alla mia portata, dall'altra, contemporaneamente, confrontandomi contro i migliori, anche se perdo. Questo mi serve per stabilire un punto di riferimento alto. A volte si impara di più perdendo contro un avversario forte piuttosto che vincendo da uno debole".

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9. LA GESTIONE DEL GRUPPO

(Giovanni Lamanna)

Mai come in questi tempi ci si è resi conto di quanto sia importante la Psicologia applicata a tutte le

attività esercitate dall'uomo. Questo articolo vuole essere il mio piccolo contributo per l'introduzione di questa disciplina nella pallavolo, alla luce delle mie personali esperienze. Nella gestione del gruppo è importante tenere sempre presenti tre aspetti:

LE REGOLE

LO STILE DI GESTIONE

LE RESPONSABILITA'

LE REGOLE

Ogni attività di gruppo umana è necessariamente governata da regole che possono essere

esplicite o implicite. Quando si prende in gestione una squadra è molto importante cercare di

capire a quali consuetudini è legato il gruppo, quali di queste possono essere mantenute e quali

devono essere eliminate o modificate. Ogni allenatore deve comunicare in modo chiaro quali sono le sue aspettative di comportamento su tutti gli aspetti dell'allenamento e della partita (ad esempio l'orario di arrivo in palestra, i momenti in cui poter scambiare qualche parola e quelli in cui occorre lavorare in silenzio, portarsi o meno una riserva d'acqua per accorciare le pause, tenere gli scout delle compagne, rimanere a scaldarsi in piedi piuttosto che stare sedute in panchina, etc. etc. ). Se da una parte è quindi indispensabile mettere delle regole generali, è anche vero che una loro

applicazione troppo rigida va a scontrarsi con le esigenze dei singoli atleti (soprattutto nelle squadre non professionistiche). Bisogna rendersi disponibili al dialogo e cercare sempre la soluzione ai problemi, scegliendo il compromesso migliore tra le esigenze della squadra e quelle dell'atleta.

LO STILE DI GESTIONE

Secondo la mia esperienza, lo stile di gestione della squadra deve essere mantenuto costante durante tutta la stagione, sforzandosi di non farsi influenzare dai risultati e dalle questioni non prettamente sportive. La fiducia del gruppo la si ottiene mostrando competenza tecnica e tattica, capacità di insegnamento e capacità di gestire il rapporto umano, sia con le giocatrici, che con l'intero gruppo. E' molto importante capire chi all'interno del gruppo è considerato "opinion leader"

perché confrontandosi con questo atleta (la cui opinione è in grado di influenzare quella di tutta la

squadra) si potrà capire l'umore generale e adattare la gestione di conseguenza. Un concetto importante da far capire al gruppo di atleti è il "paradosso della panchina". In teoria, la formazione

che scende in campo dall'inizio dei set dovrebbe essere quella con le giocatrici più forti o più

adatte al tipo di gioco che si vuole fare. Non sempre però il sestetto funziona e a questo punto

devono entrare le "riserve". Chi parte in panchina entra in una fase di gioco spesso critica, in cui gli è richiesta una prestazione migliore di quella che ha fornito il giocatore titolare e quindi di grandissima responsabilità. Le riserve devono comprendere che quando saranno chiamate in

causa, dovranno farsi trovare pronte e determinate perché dal loro rendimento, dipenderà l'esito

dell'incontro.

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LE RESPONSABILITA'

Ogni allenatore che si rispetti deve essere capace di prendersi le proprie responsabilità riguardo le

sue scelte tecniche, tattiche e di gestione del gruppo. Le principali responsabilità riguardano

l'insegnamento tecnico, l'allenamento dei fondamentali e delle fasi di gioco di cui la squadra ha più

necessità e la gestione della partita. Un atleta non può scaricare le proprie responsabilità

sull'allenatore per un fondamentale male eseguito (quando questo sia regolarmente allenato). Un coach non può pretendere che i suoi atleti improvvisino con efficacia gesti tecnici o situazioni di

gioco che non siano state adeguatamente provate in allenamento. Cerchiamo quindi di responsabilizzare ogni atleta a seconda delle sue possibilità e di non assegnargli compiti che non è in grado di eseguire.

ALTRI ASPETTI DELLA GESTIONE DEL GRUPPO

Un elemento fondamentale nella prestazione sportiva (soprattutto a livelli non professionistici) è la

motivazione. Secondo me, la motivazione è slegata dalle capacità tecniche e dalle qualità fisiche

dell'atleta. Generalmente la motivazione è generata dallo spirito di competizione verso se stesso,

verso i compagni di squadra e verso l'avversario. Gli atleti che imparano meglio e più velocemente

sono di solito quelli che cercano di superare i propri limiti spendendo tutte le energie nella ricerca di prestazioni al limite delle proprie capacità. Questo genere di atleti è molto importante perché di

solito traina verso l'alto il livello di agonismo sia nell'allenamento che nella gara. I giocatori che sentono molto lo spirito di competizione con i compagni sono positivi per la squadra a patto che non venga mai meno il rispetto per gli altri componenti del gruppo. Le energie del collettivo devono infatti essere indirizzate verso la gara: è in quel momento che ogni giocatore deve fornire la sua

miglior prestazione e deve poter riporre la propria fiducia nei compagni in campo. Anche gli atteggiamenti generali che l'allenatore trasferisce alla squadra sono molto importanti: un atteggiamento che consideri le aspettative positive sull'andamento della stagione, già nella fase di

formazione del gruppo e della preparazione iniziale, aiuta senz'altro a propagare l'ottimismo e la fiducia in se stessi e nella squadra. Un atteggiamento negativo, invece, porta il gruppo a "giustificare" le proprie prestazioni negative e a scaricare le proprie responsabilità. Durante la gara

è importante immedesimarsi nelle proprie atlete e cercare di capire quale sarà il loro atteggiamento

durante le azioni di gioco: capire in anticipo lo stato d'animo delle giocatrici in campo può

permetterci di fare il cambio giusto al momento giusto, magari inserendo una riserva molto motivata e grintosa. Dato che molte partite si vincono con il carattere più che con la tecnica e la tattica, questo è un aspetto della gestione della squadra che non va sottovalutato. Per quanto

riguarda la gestione dei tempi, è molto importante avere sempre la situazione sotto controllo e non

farsi vincere dalle emozioni negative durante lo svolgimento della gara. Nei momenti critici infatti le giocatrici in campo possono aver bisogno sia di indicazioni tecnico/tattiche che di incitamento. A volte può servire alzare un po' il tono di voce, ma questo atteggiamento non sempre aiuta e a volte

su certe atlete ha l'effetto contrario. Anche i tempi chiamati dalla squadra avversaria devono servire per caricare le proprie ragazze e magari diversificare gli obiettivi di gioco.

COMPORTAMENTI ANOMALI

Nella mia esperienza di allenatore ho riscontrato alcuni comportamenti delle atlete che vorrei qui analizzare. Alcune giocatrici tendono a formare coppie fisse sia per quanto riguarda l'esecuzione degli esercizi a due, sia per quanto riguarda il riscaldamento prepartita. Questo atteggiamento ha due aspetti negativi che a mio parere vanno corretti: il primo è costituito dal fatto che le atlete in

questione tendono ad agevolarsi a vicenda rendendo più facile l'esercizio e privandolo in questo

modo del suo effetto allenante; il secondo invece nasce dalla considerazione che un atleta deve confrontarsi con più compagni per allenarsi alla diversità dei colpi e delle tecniche. Quando si

insegnano nuove tecniche e/o situazioni di gioco, alcune giocatrici si trovano in difficoltà e

reagiscono con un rifiuto (rivelando una bassa autostima di sé e delle proprie capacità). Una

buona tecnica per riuscire a sbloccare questi atleti è quella di spiegargli che gli insuccessi iniziali

sono una fase assolutamente normale dell'apprendimento e solo col tempo, dopo molte prove e tanto impegno si avranno risultati e soddisfazioni personali. Sollevare l'atleta dallo stress da prestazione gli permetterà di lavorare in tutta tranquillità e in vista di un obiettivo lontano ma

raggiungibile. Un argomento molto interessante è il rifiuto dell'errore da parte degli atleti. Molti atleti, quando commettono un errore, cercano di scaricare le proprie responsabilità (sui compagni,

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sull'allenatore,sugli arbitri, etc..). E' invece importante che, chi sbaglia, si renda conto dei motivi del suo errore e cerchi di correggersi sin dall'azione successiva.

CONCLUSIONE

Ho scritto questi appunti di pallavolo per trasmettere a tutti gli appassionati interessati le mie convinzioni su questo argomento ritenendo che un buon allenatore sia in fin dei conti anche un buon "psicologo". I casi descritti derivano dalle mie esperienze personali e mi piacerebbe conoscere se sono stati riscontrati in altre realtà e/o ricevere critiche per un confronto costruttivo

che migliori le nostre conoscenze in materia.

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10. LA LEADERSHIP

(Giovanni Lamanna)

Sin da quando siamo nati abbiamo sperimentato il potere, soggiacendo dapprima completamente ai nostri genitori. Poi, a poco a poco, abbiamo avuto qualche possibilità di trasgressione e, quindi, abbiamo esercitato il potere sugli altri bambini e qualche volta abbiamo litigato per questo. Progressivamente il rapporto di potere, coi nostri famigliari in particolare, e variato e si è evoluto;

così come quello coi nostri amici di gioco, coi nostri compagni di scuola e coi nostri colleghi di lavoro o nei rapporti con gli sconosciuti. Evidentemente la storia di ogni individuo nei confronti del potere ha contribuito a formarlo e a plasmarne la personalità. Da questo punto di vista la tendenza

alla leadership o ad assumere il ruolo di gregario, trova seguito a come si è risolto il fisiologico

conflitto coi genitori, con gli amici di gioco, coi compagni di scuola ecc... Questi rapporti hanno sempre contenuto (per motivi educativi o per motivi di semplice sopraffazione infantile e giovanile) il conflitto tra chi vuole imporre l'indipendenza e chi non la vuole accettare o chi a sua volta vorrebbe anch' egli imporla.

Oltre a questo, il rapporto di dipendenza o di comando è strettamente connaturato alla preistoria e alla storia dell'uomo (alla filo genesi). Per sopravvivere l'uomo ha ben presto iniziato a vivere in associazioni e quindi ha dovuto accettare la dipendenza o, per contro, ha dovuto imporre la sua azione di comando sugli altri. E' il vivere sociale che ha imposto questa regola dipendente a sua volta dalla legge della sopravvivenza. Di conseguenza, e nell'evoluzione dell'uomo che si sono sedimentati e selezionati secondo la legge Darwiniana questi atteggiamenti di dipendenza odi comando, inserendosi anche nei nostri geni. Ed è per questo che il nostro comportamento in

riferimento alla dipendenza o all'uso del potere non è del tutto spiegabile razionalmente e

nemmeno attraverso la storia che parte dalla nascita di ognuno. L'esercizio del potere è molto,

molto più vecchio; fondamentalmente è preistorico.

In riferimento al contesto degli sporti di squadra, la leadership definisce la tipologia della gestione del gruppo.

Leadership è un gergo anglosassone che deriva da to lead = guidare, che è normalmente preferito alle definizioni di capo o comandante, le quali esprimono una direzione più specificamente di tipo

militaresco.

Distinguiamo una leadership come funzione e una leadership come relazione. Mentre la leadership come funzione è circoscritta all'ambito allenatore-squadra, l'altra (leadership come relazione) è

estensibile a tutta la società calcistica.

Nei giochi corali la figura di leader come funzione è interpretata dall'allenatore, il quale, per

tradizione, s'impone anche come leader delle relazioni. Questa tendenza, a volte, si scontra con la realtà in cui l'autentica leadership della relazione (ricordiamo che questa è una scelta fatta

inconsciamente dal gruppo) non corrisponde all'allenatore.

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Il leader delle relazioni può essere facilmente un giocatore o più raramente un dirigente. Nel caso

in cui l'allenatore non veda e non riconosca il leader delle relazioni, possono facilmente verificarsi motivi di disarmonia nella squadra. E comunque abbastanza frequente che nell'allenatore si riassumano entrambe le leadership ed è certamente la situazione più conveniente. Ciò, tuttavia,

non toglie che la leadership della funzione possa convenientemente essere nella figura dell'allenatore e la leadership della relazione sia rappresentata, invece, da un giocatore di grande personalità e, nonostante tale dicotomia, la squadra possa godere di notevole armonia, poiché

allenatore e leader, anziché scontrarsi per ogni minimo motivo, cercano di capirsi e rispettarsi per

operare insieme.

Come la leadership può affrontare le opposizioni? Essenzialmente attraverso: conflitto, consenso o mediazione diplomatica, ovvero la riproposizione del problema o, degenerando il concetto, la mistificazione dello stesso.

Tipi di leadership di relazione

Tutti gli sport collettivi (calcio, rugby, pallacanestro, pallanuoto, pallamano, pallavolo ecc.) hanno in comune la presenza di leader che, dati i loro tratti ricorrenti, è possibile classificare.

Il leader carismatico. Questo tipo di "abito comportamentale" è frequentemente assunto dagli allenatori. Il leader carismatico si può facilmente identificare poiché è perennemente avvolto da

un'aria di mistero, che si dà per rimanere distaccato dagli altri. Egli non si "scopre" mai e, a

qualunque domanda gli venga posta, risponde in maniera elusiva, poiché vuole fare ritenere che

egli sapeva sin dall'inizio e in ogni momento come le cose sarebbero andate a finire.

Il leader carismatico ha costantemente un atteggiamento intermedio tra quello del filosofo e del santone e l'aria mistica che egli vuole assumere è in realtà il risultato di povertà di idee.

Il leader autoritario è quello che da un momento all'altro si può presentare all'allenamento con un

robusto manganello, che non esiterebbe ad adoperare sulle teste e sulle schiene (mai sui piedi se si tratta di calciatori, poiché teme di rovinargli il tocco) dei riottosi.

Scherzi a parte, è quello che utilizza sanzioni e punizioni senza alcun rispetto della personalità

degli altri.

Il leader paternalista. Questo individuo ha un rapporto di amore-odio verso i giocatori. Non ammetterà mai di essersi sbagliato e non apprenderà mai qualcosa dai suoi giocatori. Egli crede

che l'apprendimento dipenda esclusivamente da lui, ragione per cui egli progredirà al passo di una

lumaca pigra nell'aggiornare i suoi concetti: tecnicamente sarà sempre in ritardo coi tempi.

Il leader "lasciar fare". Questo è l'ultimo in ordine storico di apparizione. Il tipo "lasciar fare",

come è facilmente intuibile, non influenza il gruppo, il quale, non avendo punti di riferimento, assume facilmente atteggiamenti di estrema libertà. È però interessante notare che, in tali gruppi

confusionari e sregolati, le personalità di spicco hanno più possibilità di emergere che non nelle

leadership precedenti, in cui tutti i componenti tendono a livellarsi. In tali contesti a conduzione "lasciar fare" regna il disordine e, anche se può sembrare un contro senso, la ricerca di ordine e di

organizzazione diviene una forte esigenza; motivo per cui esse vengono ricercate inconsciamente. In questi ambienti caotici si verifica che, seppur raramente, per taluni individui le libere spontaneità

e fantasia si collegano al senso situazionale, per dare origine ad una creatività che, seppur

bizzarra ed originale, è di grande valore.

È per questo motivo che spesso i giocatori formidabili non si sono formati nelle super organizzate società di vertice. Essi sono più frequentemente cresciuti e divenuti dei talenti in ambienti ritenuti

non congeniali o "per le strade".

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Il tipo di leader che noi vi proponiamo è il Leader "catalizzatore". Egli si differenzia dai precedenti perché trae la propria autorità dalla naturale accettazione del gruppo, che lo riconosce come

necessario per le sue funzioni. La leadership in questo caso non sarà statica ed accentratrice,

bensì sarà un sistema di conduzione dinamico e adattivo in grado di favorire la velocità di reazione

delle potenzialità dei singoli inseriti nel gruppo. Tale leadership si connette direttamente

all'autentico significato di educazione intesa come attivazione creativa delle attitudini personali. Secondo tali principi, si stabiliranno le "leggi", le regole ed i compiti di ciascuno, si determineranno gli scopi e si risolveranno le discrepanze In questo modo favoriremo il costituirsi di un ambiente in cui il senso dell'ordine, dell'organizzazione e dell'interpretazione dei ruoli cresceranno insieme allo spirito creativo.

I campioni

Dal punto di vista della personalità i campioni possono essere suddivisi in due categorie. I

campioni egoisti e i campioni che amano il virtuosismo in sé. Il primo prototipo di grande campione

dei giochi sportivi spesso deriva da situazioni ambientali e famigliari di sofferenza, di sacrifici. Con tutta probabilità, la vita giovanile di questi campioni è stata caratterizzata da sofferenze ambientali ed emozionali. Si pensi ad esempio alla povertà che ha caratterizzato la vita di qualche

personaggio sportivo a noi noto, sacrificio e sofferenza sono rimasti incisi profondamente nella personalità dell'individuo e sono i veri responsabili della determinazione, della combattività e della

grande astuzia del giocatore che si esprime in campo. Quindi non è per pura casualità che questi

campioni si rivelano essere nel gioco ostinatamente rivolti verso se stessi.

Fondamentalmente questo genere di campione è un grande egoista, che inserito nella squadra, si trova a dover convivere col paradosso di avere il fortissimo impulso di raggiungere i propri fini di gloria mettendo in ombra gli altri, ma al contempo deve servirsi degli altri. Non c'è quindi da

meravigliarsi se di frequente i grandi campioni sono poi delle personalità ambigue, che dimostrano

di infrangere i principi morali legati alla leale convivenza pur di raggiungere i propri fini. Di conseguenza l'allenatore e coloro che gestiscono la squadra spesso si trovano nella necessità,

riconosciamo cinica, o di riuscire a fare coincidere i fini del campione "egoistello" con i fini di gioco della squadra o di allontanare il campione stesso. Ciò è inevitabile poiché lo spirito di competitività

necessaria per potere emergere negli sport di squadra spesso si scontra con la collaborazione necessaria al gioco.

Per questo motivo possiamo constatare che gli allenatori tecnicamente evoluti spesso hanno difficoltà quando si trovano alla conduzione di squadre piene di talenti: le aspettative tecniche del gioco collettivo si scontrano con le individualità di alcuni campioni che non accettano di dividere il

proprio successo con i compagni e quindi di mettersi al servizio della squadra. Tecnici di questo genere, evidentemente, colgono più facilmente successi con squadre senza campioni, in quanto i

giocatori sono più disponibili ad assoggettarsi ad un gioco di squadra. Le delusioni intervengono,

per l'appunto come abbiamo appena spiegato, in squadre con campioni e quindi con individui che trovano la loro forza nella propria indipendenza e che quindi non accettano nessun compromesso che possa togliere loro competitività, anche a danno della squadra. "O la squadra è con loro", o

questi campioni assumono atteggiamenti (spesso ipocriti) anche contro la propria squadra. Ragione per cui i tecnici quasi sempre si trovano col problema di fare suonare i solisti nella coralità

dei lavoro di orchestra. Questa è una questione di fondo, spinosa, che investe emozionalità, senso

sociale di squadra e tecnica; inoltre non può mai essere completamente risolta a priori dato che

ogni situazione richiede soluzioni "ad hoc".

Inoltre, per lo stesso motivo, i "campioni in erba" hanno difficoltà a maturare e a divenire dei

giocatori tatticamente flessibili; anzi, di frequente succede proprio l'opposto: una volta raggiunto un certo livello non migliorano più. Il loro rendimento è stagnante e, una volta che viene a meno la

freschezza fisica e tecnica, è destinato a precipitare inesorabilmente. Inoltre, anche tra gli atleti adulti, "quanti giocatori da campioni sono crollati senza gradualità, divenendo nel giro di qualche

stagione dei brocchi" e, per contro, "quanti giocatori mediocri, onesti lavoratori, non hanno mai brillato sui parquet o sui campi di gioco, e poi si dimostrano atleti longevi, dato che manifestano

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una adattabilità tattica che consente loro di evolversi e di invecchiare alla stessa stregua di un

buon vino clic migliora ne/tempo!"

Provate a pensare agli episodi della vostra esperienza personale di allenatore in cui avete messo in discussione un campione del genere capriccioso e ditemi se non avete incontrato una "gatta da pelare" che di certo non immaginavate. Oppure, provate a valutare tutte le vicende del vostro sport a livello professionistico in cui un tecnico ha messo in panchina (o in un ruolo non gradito, o posto in ombra in altri modi), un campione di questo genere e ditemi se le contrapposizioni o le liti che ne sono seguite non sono state distruttive. Spesso uno dei due ci ha rimesso il posto in squadra (come tecnico o come giocatore). Con questo genere di campioni, gli allenatori con poche idee e che non si vogliono aggiornare tecnicamente sono senz'altro più adatti, dal momento che per

meriti personali non riuscirebbero a creare un gioco ben preciso per la squadra e. quindi, si limitano a lasciare fare ai campioni quello che pare loro. traendone così. indirettamente, prestigio

personale.

Di natura completamente diversa sono i campioni motivati dal virtuosismo. Essi sono solitamente poco condizionati dalle vicende socio-emotive della squadra e della società di

appartenenza. La molla affettiva che li spinge a giocare è fondamentalmente l'amore per la palla: è

una continua sfida a se stessi di riuscire a far fare alla palla quello che la propria ambizione in termini di tecnica e tattica brama. In questo sta l'interpretazione della loro psicologia di giocatori. La chiave sportiva per stimolarli, quindi, va perseguita attraverso l'obiettivo di dare loro delle soddisfazioni di gioco. Questi sono i fuoriclasse outsider i quali, dato che non sono mossi dal desiderio preminente della gloria, dei guadagni e dell'ambizione delle alte categorie, di frequente non raggiungono i massimi livelli del professionismo, dal momento che spesso occorrerebbe assoggettarsi a compromessi e a sacrifici che non sono per loro così fondamentali nella scala dei

propri valori. Essi fondamentalmente hanno una idea fissa: "domare" la palla.

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11. LA SCELTA DEL CAPITANO

(Mauro Berruto)

Il capitano deve essere in grado di rappresentare la squadra nello stile, nella determinazione, nella personalità. Ma forse è ancora più preciso affermare che è la squadra a dover riconoscersi nel suo

capitano, riuscendo a vedere in luil �esempio vivente"

L'unica cosa di cui non troverete traccia in questo articolo sarà del più classico dei suoi compiti: il

rapporto con gli arbitri durante il match. Nella scelta del capitano questa è la cosa meno

importante!

C'è il metodo democratico:il capitano deve essere scelto dalla squadra. C'è il metodo anagraficoli capitano deve essere l'atleta più vecchio. Qualcuno crede che il capitano debba essere l'atleta che da più tempo veste la maglia della squa-dra, per altri il capitano lo sceglie l'allenatore e non se ne parla più. Tutte queste valutazioni sono

sensate, nessuna ideale perché quella ideale non può che riferirsi alla specificità del proprio spogliatolo. Doug IBeal, allenatore della selezione Usa che vinse la medaglia d'oro ai Giochi Olimpici di Seoul, faceva scegliere, con una democratica elezione, il capitano alla squadra riservando però a sé un

voto che valeva doppio. In realtà riteniamo importante coinvolgere la squadra nella scelta :sarebbe un errore grave puntare su un atleta al quale, per qualche motivo, non venga riconosciuta una leadership. Si può proporre

la compilazione di questionari, dai quali costruire semplici sociogrammi, con domande come: "con quali dei tuoi compagni vorresti disputare il tiebreak di un'importante finale?" (scelta tecnica), "con chi vorresti uscire a bere una birra dopo un match?" (scelta sociale), "a quale dei tuoi compagni confideresti un tuo problema personale?" (scelta affettiva). lì numero di scelte (o di rifiuti nel caso

in cui le domande vertano su scelte negative, cosa da proporsi solo a gruppi molto stabili e con rapporti davvero solidi) chiariranno le dinamiche interne. Scontato dire che il capitano ideale è

quello che emerge dalle scelte in tutti e tre gli ambiti.

IL RAPPORTO CON L'ALLENATORE

lì rapporto tra allenatore e capitano deve essere sempre molto chiaro e fondato su stima, sincerità

e fiducia reciproca. Allenatore e capitano esprimono due leadership molto forti che, qualora entrassero in conflitto, rappresenterebbero un problema molto serio. E' importante soprattutto che la squadra riconosca nel proprio capitano una persona capace di parlare all'allenatore e di tra- smettere a lui le sensazioni di tutti. Il rapporto fra allenatore e capitano deve poi essere pensato e "tarato" soprattutto per i momenti di crisi. Le sconfitte, la stanchezza, la lunghezza e le pressioni di una stagione, le inevitabili crisi: questi sono i momenti in cui il dialogo fra allenatore e capitano non solo non deve venir meno, ma deve qualificarsi. La tendenza, quando le cose non vanno bene, è quella di pensare individu~almente. Allora anche il custode della palestra può venirti a spiegare che cosa bisognava fare prima, che cosa bisogna fare adesso. Allora ci si può estraniare dal contesto, pensando esclusivamente a se stessi chiudendosi nelle proprie sicurezze senza condividerle con gli altri. Tutte le squadre, in generale tutti i grupPi di persone, hanno momenti di crisi, Ma una cosa è essere in crisi, altro è

crollare. E la possibilità di non crollare passa anche attraverso i segnali che allenatore e capitano

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danno quotidianamente a tutti gli altri. Un allenatore e un capitano nervosi e pessimisti non trasmettono altro che nervosismo e pessimismo.

IL CAPITANO, I SUOI AIUTANTI E iL RAPPORTO CON LA SQUADRA

Un buon capitano, come un buon manager, deve saper delegare alcune sue funzioni, non può

pensare di poter fare tutto da. solo. Si sceglierà allora un vice-capitano che, insieme a lui, ammini-strerà le sanzioni per il mancato rispetto delle regole del gruppo. Per esempio l'abbigliamento sba-gliato, le penalità per i ritardi, uno squillo di troppo di un telefonino, un servizio sotto alla rete in allenamento. Un bravo capitano paga doppie le sue multe e magari... convince tutti che il denaro raccolto si devolverà in beneficenza. Il capitano deve rappresentare (e incarnare) anche i valori morali di un gruppo, perché saranno proprio quei valori ad essere punti

cardinali per il cammino di una squadra nei momenti difficili. IL RAPPORTO CON LA SOCIETÀ

Di solito è questo l'aspetto che più gli atleti utilizzano per valutare il proprio capitano. Se è il primo ad arrivare in palestra e l'ultimo ad andare via, se si tuffa su tutti i palloni, se inco-raggia costantemente i suoi compagni è un capitano "normale". Ma la considerazione che i compagni di squadra hanno del loro capitano cresce enormemente se questi sentono di poter essere rappresentati in maniera forte e coraggiosa nel rapporto con la società, E non si riduca tutto alla semplice discussione dei premi. Il capitano deve avere la forza di difendere il gruppo quando attaccato, di richiedere ed ottenere per sé e per i propri compagni le condizioni logistiche ed organizzative per svolgere al meglio il proprio lavoro. In questo senso il capitano èuna specie di

sindacalista che deve riuscire ad ottenere ascolto, essere pronto a lottare e, se necessario, anche a rischiare personalmente. CONCLUSIONE

Un bravo capitano ha molti più doveri che diritti. C'è un film che racconta la storia, tragicamente vera, di una squadra di rugby coinvolta in un incidente aereo sulle Ande che, nell'attesa dei soc-corsi e allo stremo delle forze, è costretta a cibarsi della carne umana dei cadaveri. lì capitano della squadra, in un'intensa scena, si presenta ai suoi compagni e semplicemente dice: "Volevo comunicarvi che, se dovessi morire, avete il mio permesso per mangiarmi".lnsomma, se vi ciberete di me vi trasmetterò, nell'ultimo modo possibile, la mia forza. Antropologicamente da applaudire, pur sperando che il cannibalismo da spogliatoio resti rituale.

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12. LE BASI DELLA MOTIVAZIONE

(Cei)

Il concetto di motivazione in psicologia viene utilizzato per rappresentare le ragioni per cui gli individui selezionano un attività da praticare, persistono nell�impegno e vi si dedicano ad un

determinato livello di intensità svolgendo compiti con un certo grado di scrupolosità. La

motivazione è un costrutto teorico che non può essere direttamente osservabile e che può essere

solo percepito dal comportamento. Gerarchia dei bisogni; è importante considerare che il comportamento è determinato da bisogni e

che ogni individuo è motivato a soddisfare i propri bisogni personali. Per MASLOW l�individuo

autorealizzato è colui che ha raggiunto un senso di armonia personale ed ha ottimizzato lo sviluppo delle sue potenzialità.

Questa gerarchia parte dai bisogni fisiologici di base per giungere attraverso i bisogni psicologici all�autorealizzazione. Al livello più basso traviamo i BISOGNI FISIOLOGICI che comprendono cibo

, acqua, calore ecc� Seguono i BISOGNI DI SICUREZZA, comprendenti i bisogni di protezione, di

libertà dalla paura e un ambiente stabile e strutturato. Di livello superiore i bisogni SOCIALI di appartenenza e amore soddisfatti attraverso stabili e forti rapporti interpersonali. Il bisogno di STIMA consiste nel desiderio di sentirsi competenti e fortemente impegnati. Infine solo quando i bisogni precedenti sono stati esauriti l�individuo è libero di soddisfare il bisogno di autorealizzarsi e PUO� DIVENTARE TUTTO CIO� CHE E� CAPACE DI DIVENTARE. MARTENS ha riassunto i tre principali bisogni che l�atleta vuole soddisfare per mezzo dell�attività

sportiva : 1. divertirsi, soddisfa il bisogno di stimolazione ed eccitamento 2. dimostrare competenza, soddisfa il bisogno di acquisire abilità e di sentirsi autodeterminati

nelle attività svolte

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3. stare con gli altri, soddisfa il bisogno di affiliazione con gli altri e di stare in gruppo. BISOGNO DI STIMOLAZIONE

Il bisogno di stimolazione e di eccitamento è una necessità di base presente in ogni individuo. Al

fine di evitare equivoci, può essere utile definire cosa s'intende con il termine divertimento. Con

questa parola ci si riferisce alla condizione di piacere che si trae dallo svolgere una specifica attività. Sperimentando un livello di attivazione ottimale non siamo né annoiati, nè ansiosi e questa

condizione è nota in letteratura con il nome di fiow experience. Letteralmente significa esperienza del flusso e corrisponde al sentimento che si vive quando ogni cosa si sviluppa in maniera perfetta, siamo completamente assorbiti nell'attività e ci sentiamo in controllo della situazione. Lo sport

possiede le caratteristiche che sviluppano la possibilità di entrare in questo tipo di esperienza e di

divertirsi, perché rappresenta una sfida che assorbe sia la mente che il corpo. L'acquisizione di

competenze sportive necessita di molta pratica e l'allenamento può, cosi', risultare monotono e

poco divertente. Ciò nonostante l'allenatore deve trovare il modo per integrare le necessità

dell'allenamento con il divertimento. A questo proposito è utile ricordare alcuni suggerimenti forniti da Martens (1987). 1.Il successo va costruito calibrando il programma da svolgere con le abilità dell'atleta. 2.L'allenamento deve essere mantenuto stimolante e vario. 3.Ogni atleta deve essere attivo; non bisogna lasciare agli atleti il tempo di annoiarsi. 4.Durante l'allenamento è necessario fornire agli atleti l'opportunità di svolgere esercizi stimolanti. 5.Bisogna insegnare agli atleti a stabilire obiettivi realistici. 6.Durante l'allenamento è utile stabilire dei momenti in cui gli atleti si esercitano senza essere

valutati dall'allenatore. 7.È necessario consentire agli atleti di decidere quale allenamento svolgere.

Il termine sfida ci si riferisce al grado di difficoltà dell'esercizio da effettuare mentre per abilità

s'intende il livello di competenza dell'atleta a svolgere quel determinato compito. Un'esperienza "Flow" può essere vissuta da atleti di basso o alto livello di competenza. L'unico prerequisito

richiesto è che vi sia corrispondenza fra queste due variabili. Se il livello di sfida è troppo elevato

rispetto alle competenze sportive, l'atleta probabilmente manifesterà ansia, se invece il livello di

sfida sarà troppo basso svilupperà noia. Compito dell'allenatore non è solo di programmare e svolgere sedute di allenamento varie ed

interessanti ma è, anche, d'insegnare ai propri atleti a controllare la loro energia ed a utilizzarla in maniera adeguata a seconda delle situazioni proposte. Questo aspetto è molto importante perché

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maggiore è l'abilità a sviluppare uno stato di attivazione ottimale, maggiore è la probabilità che

l'atleta utilizzi realmente tutte le sue abilità durante la gara. IL BISOGNO DI COMPETENZA

Il bisogno di competenza è un altro cardine fondamentale che caratterizza l'essere umano e nasce

dal desiderio di acquisire abilità grazie al proprio impegno. L'allenamento è una situazione in cui

l'atleta sa che attraverso lo svolgimento regolare di un determinato programma, svolto in maniera interessante e variato ha l'occasione di acquisire le competenze sportive che avere e che ciò è

determinato dall'impegno personale, pur 5 guidato dall'allenatore e attuato insieme con altri compagni. L Harter (1981a, l981b) ha dimostrato che questo bisogno di competenza e di autodeterminazione è presente sin dall'infanzia e si compone di cinque fattori: 1.Sfida - Si riferisce al fatto che i giovani motivati in questi direzione preferiscono gli esercizi ed i compiti più difficili per il piacere di confrontarsi con delle difficoltà che li mettono a prova. Al

contrario, i giovani meno orientati all'acquisizione competenze preferiscono esercizi e compiti più

facili, che sono sicuri di saper fare. 2.Curiosità - Si manifesta nei giovani nell'impegno a affrontare i problemi perché sono interessati

ad imparare a risolverli, nella volontà a migliorare le proprie capacità e ne. curiosità di scoprire

quanto possono diventare bravi. I giovani meno orientati all'acquisizione di competenze si impegnano invece, perché viene loro richiesto dall'allenatore e/o dai genitori e per ottenere buone

valutazioni. 3.Padronanza - Si riferisce al desiderio di provare a farcela da soli di fronte alle difficoltà e di capire

come vanno fatte cose. Diversamente, i giovani meno orientati all'acquisizione c competenze desiderano l'aiuto del tecnico per affrontare ogni difficoltà e chiedono spesso che venga loro indicato come devono fare. 4.Giudizio - Si riferisce all'abilità dei giovani a fornire giudizi personali e a dare importanza alle

proprie idee ed interessi. I giovani meno orientati all'acquisizione di competenze attribuiscono maggiore importanza alle idee ed ai giudizi degli allenatori, dipendendo maggiormente dalle loro decisioni. 5.Criteri - Riguarda la presenza di parametri interni per valutare quando un compito è stato svolto

in maniera corretta o sbagliata. I giovani meno orientati all'acquisizione di competenze dipendono molto, invece, dai criteri utilizzati dall'allenatore. Compito dell'allenatore è, quindi, di stimolare lo sviluppo di questi cinque fattori, in tal modo sia il

bambino che il giovane atleta impareranno non solo specifiche competenze sportive ma, anche, un metodo per sviluppare il desiderio di progredire e la curiosità verso se stessi e l'ambiente in cui

agiscono. La definizione degli obiettivi è uno dei punti chiave per lo sviluppo del bisogno di competenza . Di

seguito vengono riportati alcuni suggerimenti per soddisfare questo fattore chiave per lo sviluppo della competenza. 1. La definizione degli obiettivi favorisce l'efficacia della prestazione: Obiettivi specifici, difficili e che rappresentano una sfida sono più efficaci di obiettivi specifici nia facili di obiettivi fai-del-tuo-meglio e di non-obiettivi. b. Gli atleti devono possedere un numero sufficiente di abilità per raggiungere i loro obiettivi. c. Gli obiettivi sono più efficaci quando sono definiti in termini comportamentali, specifici e quantitativi, rispetto a quando sono definiti in maniera vaga. d. Vanno definiti obiettivi intermedi che devono interagire con quelli a lungo termine. e. La valutazione della prestazione è necessaria se gli obiettivi devono essere estremamente efficaci nel migliorare la prestazione. 2. I riconoscimenti simbolici sono efficaci nell'aumentare l'impegno nel fornire prestazioni coerenti con gli obiettivi scelti. I comportamenti positivi sono rinforzati dai riconoscimenti simbolici, proprio in quanto sono osservabili e classificati in unità misurabili. 3. Gli obiettivi devono essere accettati dagli atleti e condivisi dall'allenatore. I tre fattori principali che interessano allenatori insegnanti coinvolti nella definizione degli obiettivi sono:

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a. La relazione fra partecipazione dell'atleta alla definizione degli obiettivi e successiva efficacia del programma di allenamento. b. La relazione fra accettazione e impegno dell'atleta verso gli obiettivi e successiva efficacia del programma. c. La relazione fra appoggio dell'allenatore al programma e livello di efficienza degli atleti. Intuitivamente sembrerebbe che questi tre fattori, partecipazione, accettazione e appoggio, siano positivamente correla con l'efficacia di ogni programma basato sulla definizione d< obiettivi da parte degli atleti. Talvolta, pero', non avviene in questo modo e obiettivi definiti esclusivamente dagli allenatori conducono a risultati ugualmente positivi. Spesso ciò si manifesta perché gli atleti sono incapaci di scegliere i propri obiettivi, non sapendo valutare proprio livello attuale di abilità ed il proprio

potenziale McClements e Botterilì (1979) sostengono questo punto di vista affermando che gli

allenatori non considerano che gli atleti siano in grado di valutare da loro stessi la prestazione, in quanto sovente hanno punti di riferimento non adeguati e non sono oggettivi con se stessi. Probabilmente oggi queste affermazioni sono meno valide, per il diffondersi fra gli allenatori della convinzione circa l'utilità di far partecipare in maniera attiva gli atleti alla scelta di dove dirigere il

proprio impegno. Inoltre, l'ampio utilizzo di programmi di preparazione psicologica ha educato gli atleti ad affrontare situazioni che in precedenza erano risolte quasi esclusivamente dall'allenatore e fra queste, una delle più importanti, è sicuramente la definizione degli obiettivi di miglioramento individuale. In

questa nuovi dimensione l'allenatore svolge il ruolo di facilitatore di questo processo. IL BISOGNO DI AFFILIAZIONE

L'attività sportiva è una situazione in cui gli atleti sono impegnati in compiti che richiedono una

costante interazione con l'allenatore e con i compagni. Il bisogno di affiliazione si fonda sull'esigenza di appartenere ad un gruppo e di esserne accettati, stabilendo così con gli altri

membri del gruppo rapporti significativi. Inoltre, poggia le sue basi, anche, sul desiderio di stima, intesa sia come stima di sé che come riconoscimento da parte degli altri atleti e dell'allenatore. In

tal modo, soddisfacendo il bisogno di affiliazione e di stima l'atleta sperimenta maggiore fiducia verso se stesso e maggior controllo nei riguardi delle situazioni che si presentano. L'interazione sociale sta alla base dell'attività sportiva e, quindi, il bisogno di affiliazione è

costantemente e continuamente sollecitato. Ogni atleta e allenatore sa per esperienza che quando vi sono fra loro problemi di comunicazione è difficile seguire il programma di allenamento che è

stato prefissato. L'evidenza di questa constatazione così manifesta nel mondo sportivo viene,

purtroppo, spesso dimenticata. Gli esperti della comunicazione, hanno insegnato che non si può non comunicare, comunichiamo,

quindi, qualcosa in ogni momento (Watzlawick, Beavin, e Jackson, 1967) ed è altrettanto evidente che il rapporto allenatore-atleta è positivamente influenzato da comunicazioni basate sulla

collaborazione e accettazione reciproca (Widmeyer, Brawley, e Carron, 1985; Scilligo, Bergerone, Cci, Ceridono, e Formica, 1986; Cci, Bergerone, Ceridono, e Formica, 1988) sia in situazioni di sport svolto a livello amatoriale che agonistico. A questo proposito è importante l'atteggiamento

dell'allenatore nel creare un clima di motivazione alla motivazione. Molti studi sono stati condotti in questa direzione con l'obiettivo di analizzare gli stili di leadership, di gestione di un gruppo e le tecniche per Io sviluppo della coesione. I punti chiave che la ricerca ha evidenziato per soddisfare il bisogno di affiliazione e di stima degli atleti possono essere così riassunti: 1.Ascoltare le richieste degli atleti. 2.Comprendere i bisogni espressi, orientandoli all'interno del programma annuale di allenamento. 3.Stabilire il ruolo di ogni atleta, definendo per ciascuno obiettivi realistici. 4.Riconoscere apertamente l'impegno posto nel collaborare a obiettivi di gruppo. 5.Insegnare agli atleti a correggersi reciprocamente. 6.Fornire istruzioni tecniche e incoraggiare l'impegno personale. 7.Ridurre l'ansia rinforzando l'importanza di gareggiare dando il meglio di sé e riducendo

l'importanza al risultato.

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TEORIA E METOLOGIA DELL�ALLENAMENTO 69

In altri termini, l'allenatore per sviluppare nell'atleta il senso di appartenenza a quel particolare gruppo e alle situazioni sportive via via proposte deve mostrarsi credibile e costante nei si atteggiamenti e comportamenti. Spesso ci si sente dire: "Sono di cattivo umore, lasciatemi stare", oppure salutando qualcuno si ottiene in risposta un'occhiata minacciosa. Gli atleti capiscono che ogni individuo ha momenti di umore migliore o peggiore, ma non ci si deve aspettare che si prendano in carico il peso dell'umore del proprio allenatore: hanno bisogno di un allenatore costantemente padrone di sé,

sensibile e comprensivo. Essere costanti significa quindi, comunicare con tutti i membri del gruppo allo stesso modo. Gli atleti devono percepire che ad ognuno di loro vengono fornite le stesse opportunità per imparare e partecipare all'attività di allenamento, così come lo stesso livello

qualitativo e quantitativo di istruzione tecniche e rinforzi. Inoltre, per essere efficaci gli allenatori devono essere creduti. Stabilire la fiducia fra allenatore e atleta è essenziale per un buon rapporto

personale, poiché una mancanza di fiducia si riflette in una mancanza di credibilità. Se l'atleta non

crede a ciò che dice il suo allenatore, questi diviene inutile e l'atleta non allenabile. Per essere credibili bisogna mostrarsi sinceri con tutti i propri atleti: giovani e adulti, bravi e meno bravi, titolari e riserve. A tale proposito è necessario: 1.Far sapere agli atleti ciò che fanno, evidenziare le loro abilità e i punti da migliorare. 2.Spiegare le ragioni di tecniche e strategie: saranno così ricordate meglio. 3.Non far promesse, personalmente o indirettamente, che si potrebbe non riuscire a mantenere. 4.Rispondere alle domande con competenza, sincerità, sensibilità. 5.Evitare di pronunciare frasi che potrebbero ledere la stima dell'atleta (es: "Non farai mai parte dei titolari).

Come indicazione ci si chieda: "Se fossi l'atleta, vorrei sentirmi dire questo dall'allenatore?"

Concludendo, bisogna ricordare che ogni atleta ha sviluppato questi tre bisogni ad un determinato livello, così in alcuni può prevalere il bisogno di stimolazione ed eccitamento, in altri

quello di competenza ed in altri ancora il bisogno di affiliazione. Scopo dell'attività di allenatore

deve essere di ottimizzare sia la prestazione sportiva che lo sviluppo dell'atleta nella sua totalità

conseguentemente dovrà valutare la presenza di questi bisogni nei propri atleti e programmare un

piano di lavoro che consenta l'allenamento dei fattori meno sviluppati e il mantenimento ad un livello elevato di quelli già presenti.

Per quanto riguarda l'atleta evoluto due di questi fattori motivazionali sono sicuramente presenti e sono il bisogno di eccitamento e il bisogno di sentirsi competente. L'affiliazione può

essere meno sviluppata in atleti che praticano sport individuali, per i quali la qualità della

prestazione dipende in larga parte dalla propria prestazione individuale.

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TEORIA E METOLOGIA DELL�ALLENAMENTO 70

13. L� USO DEL RINFORZO

(Cei)

In psicologia per rinforzo s'intende qualsiasi evento suscettibile di aumentare la probabilità di

emissione di una risposta. I rinforzi sono positivi o negativi a seconda che tendano a incoraggiare o inibire un specifico comportamento, pensiero o sentimento. Sebbene, i principi su cui si basano i rinforzi siano semplici da capire, è necessaria molta abilità nel saperli utilizzare con gli atleti.

Sicuramente è facile fornire rinforzi a piccioni e ratti nei laboratori, ma se consideriamo i giocatori di una squadra seduti in panchina, per alcuni potrà essere considerato un premio stare a bordo

campo mentre per altri potrebbe funzionare da rinforzo negativo. Quindi i rinforzi debbono essere considerati in modo relativo e non assoluto e, soprattutto, bisogna ricordare che un rinforzo, valido per un atleta, può non essere efficace per un altro.

Inoltre, è necessario che l'allenatore sia coerente e sistematico nel fornire i rinforzi. Se mostra un

comportamento prevalentemente non coerente e imprevedibile gli atleti si confonderanno e non avranno la chiara percezione di quali siano i loro compiti e di cosa ci si aspetti da loro. I rinforzi non sono solo positivi o negativi ma ognuno di questi due tipi può essere fornito o non-fornito (Martens, 1975) e combinando queste quattro possibilità si hanno due tipi di rinforzi positivi

e due tipi di rinforzi negativi. Il rinforzo positivo fornito è quello prodotto dall'allenatore che si

congratula con l'atleta dopo che ha svolto un esercizio corretto. Il rinforzo negativo fornito si evidenzia ad esempio quando l'allenatore critica lo scarso impegno in allenamento. Non fornire rinforzi può essere interpretato in termini positivi dall'atleta. Ad esempio, un allenatore

critica con frequenza la mancanza di precisione di un atleta nell'esecuzione di specifiche prove; l'atleta migliora l'esecuzione e l'allenatore non dice più niente. In questo caso l'assenza di un

rinforzo negativo funge da premio per l'atleta. Non fornire rinforzi può, comunque, essere percepito

dall'atleta come punizione o rinforzo negativo. Ciò si manifesta, ad esempio, quando gli atleti si

aspettano che l'allenatore lo incoraggi in allenamento dopo una serie di prove impegnative, e l'allenatore, invece, ignora questa aspettativa, di modo che il suo comportamento funge così da

punizione. Verranno ora descritti alcuni principi che favoriscono un efficace uso dei rinforzi nella pratica sportiva (Martens, 1990) e che consentiranno di rispondere alle seguenti domande: 1.Che cosa rinforzare? 2.Quando rinforzare? 3.Quanto sovente rinforzare? 4.Che tipi di rinforzi utilizzare? 5.Bisogna fornire le punizioni?

Rinforzare la prestazione e non solo il risultato. Ogni atleta desidera essere rinforzato per la qualità

della sua prestazione più che per la vittoria. Talvolta, invece, l'allenatore è più preoccupato a

vincere o a non perdere un incontro piuttosto che essere interessato alla prestazione dei suoi atleti. Un comportamento esasperato in questa direzione conduce gli atleti a pensare che l'allenatore non è interessato a loro ma solo alla vittoria.

Rinforzare gli atleti per l'impegno e non solo per il loro successo. Per imparare nuove abilita o migliorare quelle già apprese bisogna fornire il massimo dell'impegno consci che si

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TEORIA E METOLOGIA DELL�ALLENAMENTO 71

commetteranno anche degli errori e che solo continuando in questo modo la prestazione migliorerà. Quando l'atleta sa che l'allenatore richiede il massimo dal suo impegno, e che per

questo viene rinforzato non avrà paura di provare e riprovare. AI contrario, se si aspetta di venire

premiato solo in base al risultato di una prestazione e possibile che abbia paura di sbagliare pensando alle conseguenze negativo di un insuccesso. Comportandosi in questo modo l'allenatore favorisce l'insorgere dell'ansia e dell'insicurezza nei suoi atleti, che potrebbero anche ridurre il loro impegno, concentrandolo solo sulle abilità che padroneggiano con successo.

Rinforzare i piccoli miglioramenti e non solo il raggiungimento di grandi obiettivi. L'impegno e il miglioramento vanno rinforzati con continuità. Ogni atteggiamento o comportamento dell'allenatore

nei riguardi di ciò che avviene sul campo o in palestra funziona da rinforzo per l'atleta. È bene,

quindi, essere consapevoli del proprio modo di stare in relazione con gli atleti, servendosi in modo continuato e non saltuario delle proprie reazioni per rinforzare e incoraggiando i comportamenti ritenuti positivi ed efficaci per l'attività svolta.

Rinforzare non solo l'apprendimento delle abilità sportive e la prestazione ma anche

l'apprendimento delle abilità cognitive, emotive e sociali. Il rinforzare queste abilità è importante

per evidenziare, se ce ne fosse bisogno, che l'allenatore è interessato allo sviluppo dell'uomo-atleta. Deve rinforzare i suoi ragazzi per il loro livello di collaborazione, l'autonomia psicologica, l'abilità decisionale, il controllo dell'ansia e delle situazioni complesse e per ogni altra abilità

dimostrata. Inoltre, deve fornire occasioni, strutturate in modo specifico e non casuale, affinché

queste competenze psicologiche possano essere apprese e praticate.

Quando rinforzare

In presenza di compiti nuovi rinforzare sempre immediatamente dopo un'esecuzione corretta o soddisfacente. Quando l'allenatore valuta positivamente un esercizio svolto deve comunicare al più presto possibile all'atleta la sua valutazione. Naturalmente, una volta imparata l'abilità sarà

meno importante far seguire all'esecuzione il rinforzo. I ragazzi con scarsa autostima vanno rinforzati di frequenti e subito dopo esecuzioni corrette Talvolta rinforzare anche se non se lo meritano. Quando gli atleti non hanno giocato bene e hanno il morale sotto i piedi, rimproverarli è del tutto inutile. È più efficace far capire ai propri atleti che si

capisce il loro scoraggiamento e comunicare a loro comprensione. Ogni individuo ha un giorno negativo ed è importante in questi frangenti sapere che si è compresi da qualcuno che per noi è

importante.

Quanto sovente rinforzare

Rinforzare frequentemente quando un giovane atleta sta imparando una nuova abilità sportiva. Il rinforzo svolge principalmente un ruolo di segnale informativo relativo a quanto appena svolto. I rinforzi devono essere forniti in modo sincero e devono contenere informazioni tecniche precise. Infine, in questa fase di apprendimento maggiore è la frequenza dei rinforzi, più rapida è

l'acquisizione dell'abilità. Quando l'apprendimento di una abilità è stato consolidato deve essere

rinforzata solo più occasionalmente. Continuando a rinforzare frequentemente abilità ormai ben

acquisite si rischia che gli atleti s'impegnino solo su ciò che sanno fare bene con lo scopo di

ottenere un riconoscimento positivo dall'allenatore e tendano a non impegnarsi su compiti nuovi.

Che tipi di rinforzi utilizzare?

I rinforzi possono essere materiali o simbolici. I rinforzi materiali sono premi tangibili quali: i trofei, le medaglie, i soldi, il materiale sportivo e così via. I rinforzi simbolici sono ogni forma di

riconoscimento fornito dall'allenatore quali sono: gesti o parole di approvazione, espressioni d interesse, sorrisi e così via. È necessario che i rinforzi simbolici prevalgono nettamente su quelli

materiali, altrimenti l'allenatore sarà costretto a fornire premi sempre più grandi per ottenere

l'impegno dai propri atleti. I rinforzi simbolici possono determinare i seguenti risultati: Ridurre i comportamenti negativi. Molte sono le ricerche in ambito scolastico che hanno dimostrato l'importanza di questi riconoscimenti. In campo sportivo, McKenzie e Rushall (1974) hanno

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realizzato con successo un sistema per ridurre i ritardi e aumentare la partecipazione agli allenamenti in un gruppo di nuotatori. lì programma comprendeva fra le altre attività, giochi di comportamento fra le squadre con premi finali; inoltre, un cartellone era affisso sul muro della piscina e i nuotatori dovevano firmarlo indicando l'orario d'arrivo e di uscita.

b. Incrementare i comportamenti positivi. Premiare specifici comportamenti positivi è di

primaria importanza. Talvolta si sente dire da chi lavora con i ragazzi: "Perché premiarlo, ha fatto solo il suo dovere". Al contrario, ignorare questi comportamenti è uno degli errori peggiori che un

allenatore possa commettere. L'allenatore per trasmettere entusiasmo e voglia di partecipare deve stabilire relazioni interpersonali che dimostrino vero inte-resse verso gli atleti e che non siano solo semplici trasmissioni di istruzioni tecniche. Realizzerà questo obiettivo con più facilità se vorrà

premiare i comportamenti positivi degli atleti.

c. Influenzare positivamente anche quei comportamenti verso i quali gli atleti non sono diretti in modo specifico. Un buon esempio di ciò che s'intende per influenza positiva su altri

comportamenti è lo studio di Jones (1977). In questa ricerca fu realizzato un sistema di rinforzi

durante un campo estivo, allo scopo di migliorare le abilità nella pallacanestro in un gruppo di

adolescenti. Il programma ebbe successo non solo dal punto di vista del miglioramento sportivo ma cambiamenti positivi furono anche l'aumento dell'interesse, dell'entusiasmo e della socializzazione.

d. Migliorare la prestazione individuale. Può sembrare ovvio ricordare che questo genere di

rinforzi incrementa la prestazione sportiva ma è senz'altro utile rammentare come ciò sia possibile

e che ognuno degli aspetti che compongono la motivazione ne è influenzato. Infatti, i

riconoscimenti indirizzano l'attenzione dell'atleta a selezionare solo quei comportamenti che con maggiore probabilità saranno premiati. Inoltre, con il trascorrere del tempo, l'atleta manifesterà in

forma sempre più stabile i comportamenti desiderati e un maggior interesse verso l'attività sportiva

svolta.

Da quanto illustrato, viene confermato che il comportamento può essere modificato con l'uso

di un sistema di rinforzi simbolici. Questi riconoscimenti sono stati definiti simbolici in quanto non comportano nessuna spesa finanziaria da parte dell'allenatore. Attenzione va posta nel costruire questo sistema di rinforzo e Siedentop (1978) ha formulato le seguenti linee guida: *Definire i comportamenti desiderati in unità osservabili. Dato che il programma di rinforzi simbolici riguarda la modificazione di specifici comportamenti, il primo obiettivo consisterà nel determinare

quali essi siano. Sarà difficile definire comportamenti che si riferiscono al fair-play o alla collaborazione, per questo motivo non sarà possibile passare alla fase successiva sino a quando

ogni obiettivo non sarà stato definito in termini di comportamento. Spiegare agli atleti quali sono i comportamenti da potenziare e da eliminare. Ogni allievo deve essere consapevole con esattezza di quali sono i comportamenti da sviluppare e da eliminare. Quindi, quale che sia l'obiettivo da raggiungere, è necessario che gli atleti sappiano quali modi di

fare verranno premiati. Controllare in modo costante i comportamenti richiesti. Quando il programma è stato avviato è

importante verificarlo in modo costante, in mancanza di questo lavoro di supervisione l'efficacia del sistema è quasi nulla. Spiegare chiaramente il sistema di riconoscimenti. In tal modo l'atleta ha chiaro nella sua mente il comportamento da manifestare e il riconoscimento che riceverà. Ad esempio, l'allenatore potrà

dire: �Chi arriva all'allenamento prima delle 17 riceve un punto. Quando avrete raggiunto 10 punti

avrete diritto a un gelato". Servirsi di un sistema semplice di riconoscimenti. I riconoscimenti devono essere simbolici, ad esempio punti o apprezzamenti pubblici, e non devono comprendere premi economici o materiali. Pensare in piccolo. Il processo di controllo dei comportamenti è fondamentale per la buona riuscita del programma, ed è per questa ragione consigliabile iniziare con un sistema semplice di cui

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l'allenatore possa facilmente servirsi. In seguito sarà possibile integrare questo programma con

aspetti sino ad allora trascurati, rendendolo così gradualmente più articolato. Essere coerenti. Una volta che il programma è stato iniziato è necessario seguirlo in modo

coerente e continuativo. Se venisse applicato in modo incoerente produrrebbe risultati negativi. BISOGNA FORNIRE LE PUNIZIONI? L'argomento delle punizioni suscita spesso polemiche fra gli allenatori così come fra gli educatori.

Taluni ritengono che siano inutili, che creano ostilità o che allontanano i giovani dallo sport.

Certamente queste obiezioni sono vere se le punizioni vengono somministrate in modo indiscriminato o con spirito di vendetta da parte dell'allenatore ma quando vengono utilizzate in modo efficace sono, invece, utili ad eliminare comportamenti negativi o indesiderati. Quindi la questione si sposta dal tema generale relativo alla loro utilità ad uno più specifico che descrive

come le punizioni debbano essere fornite per favorire l'estinzione di comportamenti negativi e l'affermarsi di comportamenti positivi. La punizione è, quindi, parte di questo approccio positivo sinora descritto se vengono seguite alcune specifiche modalità di emissione:

L'obiettivo della punizione è la correzione di comportamenti errati e non un modo per

l'allenatore di vendicarsi o di dimostrare chi è il più forte. La punizione deve essere fornita in modo impersonale; gridare non serve necessariamente a potenziare il rinforzo. Quando una regola accettata da tutti è stata violata da un atleta, il ragazzo deve sapere

che per questa ragione sarà punito. Bisogna fornire la possibilità di non ripetere l'errore, perciò la prima volta viene dato solo un

avvertimento, mentre la seconda volta quel comportamento viene punito. Nel fornire le punizioni bisogna essere coerenti. L'umore momentaneo dell'allenatore non dovrebbe influenzare il modo in cui si comporta in una data situazione. Terminata la punizione non bisogna dare all'atleta l'impressione di essere un sorvegliato speciale. La situazione è di nuovo normale e il ragazzo è parte del gruppo esattamente come

tutti gli altri. Evitare di punire un atleta per errori di gioco. Si ottiene il risultato di ridurre il desiderio dell'atleta d'impegnarsi al massimo delle sue possibilità. Ugualmente negativo è servirsi di

esercizi fisici come forma di punizione: il giovane costruisce un legame, da evitare, in cui quel tipo di sport o di esercizio e punizioni sono associate.

Riassumendo, bisogna rimproverare subito dopo aver osservato il comportamento sbagliato o appena se ne ha conoscenza e non aspettare il momento della fatidica "goccia che fa traboccare il vaso". Inoltre, si colpisce la palla e non il calciatore. Significa che bisogna intervenire su uno specifico comportamento e non sulla persona, altrimenti si rischia di avere reazioni difensive e di non accettazione da parte dell'atleta.

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14. GESTIONE TATTICA DI UNA PARTITA

(Marco Bonitta)

La gestione tattica di una partita prevede tre fasi :

1fase prima della partita. Tutto ciò che prepara alla partita : nel club dal mercoledì fino al

fischio di inizio della partita In nazionale: nel collegiale o durante la manifestazione fino al fischio di inizio della partita.

2 fase durante la partita. Tutto ciò che consente di ottenere il massimo risultato 3 fase dopo la partita. Tutto ciò che serve a : analizzare la partita verificare le strategie

decise prima, verificare eventuali modifiche di tattica durante

PRIMA DELLA PARTITA

Analisi tecnica. Tutto ciò che prevede : visione della squadra avversaria analisi dei dati statistici della squadra avversaria visione della nostra ultima partita analisi dei dati statistici generali e della nostra ultima partita

ANALISI DELLA SITUAZIONE

Tutto ciò che nasce dall�interpretazione e elaborazione dell�analisi tecnica. In un concetto : il frutto

della sensibilità dell�allenatore e dello staff. Analisi tecnica degli avversari

Visionare 2°3 partite recenti di cui almeno una deve essere significativa Preparare i rapporti tecnici Verificare gli scout avversari generali e delle partite visionate Svolgere delle riunioni tecniche

Rapporti tecnici Fogli con i sistemi di gioco, direzioni di attacco, percentuali significative di attacco e ricezione. Fogli da consegnare alle atlete per la 1°riunione video-tecnica con la squadra.

Fase ricezione-punto avversaria Soluzioni di attacco su ricezione # per ogni singola rotazione Prevalenze nelle scelte del palleggiatore Direzioni di attacco e percentuale di efficacia su palla alta dopo ricezioni / - Tipo e direzioni di attacco nella fase ricezione-punto complessivi per ogni giocatore.

Fase battuta-punto avversaria Tipo, direzione ed efficacia del servizio in ogni singola rotazione Cenni sulla correlazione muro-difesa (pregi e difetti) Soluzioni e prevalenze del palleggiatore nella ricostruzione su palla regalata Direzioni ed efficacia nell�attacco su palla alta dopo azione di difesa

Analisi tecnica degli avversari-Riunioni tecniche dello staff La riunione dello staff si tiene: nel club il giovedì prima dell�allenamento pomeridiano

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TEORIA E METOLOGIA DELL�ALLENAMENTO 75

in nazionale la sera o la notte prima della partita Nella riunione dello staff comincia l�analisi situazionale. Ogni componente dello staff : comunica le proprie sensazioni sull�avversario a prescindere da numeri e percentuali comunica le proprie sensazioni su come potrebbe giocare l�avversario comunica le proprie riflessioni sulla situazione della nostra squadra e di ogni singola giocatrice comunica la propria analisi in relazione alle possibili combinazioni nelle rotazioni Molte cose che decido o dico prima e durante la partita escono da questa riunione, spesso dalla bocca dei miei collaboratori. Con queste informazioni si modula l�allenamento del giovedì nel club,

del giorno prima o della mattina prima della partita. Analisi del video tecnico

Il 1 allenatore ( venerdì mattina nel club o la sera/notte prima in nazionale ) Analizza il video tecnico degli avversari Prepara l�allenamento del venerdì pomeriggio ( o della mattina delle partite) in genere centrato

sulla propria fase ricezione punto. Prima Riunone tecnica con la squadra (durata 30-35 minuti)

Viene programmata il venerdì prima dell�allenamento nel club o il pomeriggio prima della partita in nazionale. Serve per analizzare la fase battuta punto avversaria L�organizzazione della 1 riunione tecnica con la squadra Consegna dei rapporti tecnici generali Concentrare la propria attenzione alla battuta punto avversaria Sensibilizzare ogni singolo giocatore a prendere appunti personali.

Analisi della fase battuta punto. Battuta-Analizzare tipo, efficacia, direzione e variabilità della battuta avversaria Muro-Analizzare la posizione di partenza, le caratteristiche individuali, pregi e difetti del muro avversario. Difesa-Analizzare il sistema difensivo avversario soprattutto in relazione al muro Contrattacco analizzare il contrattacco regalato e il contrattacco su palla alta dopo la difesa.

La 2 riunione tecnica con la squadra( durata 40-45 minuti) Va programmata la domenica mattina prima dell�eventuale allenamento Serve per analizzare la fase ricezione punto avversaria Ricezione-Analizzare per ogni rotazione avversaria: sistema di ricezione pregi e difetti del sistema di ricezione pregi e difetti di ogni singolo ricevitorie Alzata-analizzare lo stile del palleggiatore prevalenze di distribuzione nelle varie rotazioni e nei momenti decisivi della partita spiccata tendenza ad attaccare di 2 tocco.

Attacco

Analisi delle combinazioni d�attacco e dell�attaccante più servito in ogni singola rotazione Studio dello sviluppo dell�attacco di primo tempo Direzioni d�attaccoe percentuali di efficacia individuali in ogni singola rotazione su ricezione# e + Direzioni d�attacco e percentuali di efficacia individuali generali

PRIMA DELLA PARTITA

Scegliere definitivamente la rotazione di partenza anche in base alle caratteristiche dell�allenatore

avversario. Scegliere se parlare alla squadra prima di entrare in campo.

ALL�INIZIO DELLA PARTITA

Nel club parlavo sempre: ripetevo sinteticamente alcune priorità tattiche somministravo a volte qualche pillola di motivazione in nazionale non parlo mai : considero questo un loro momento ( mi pare che ci vediamo anche troppo spesso)

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DURANTE LA PARTITA

Questa fase è caratterizzata da una grande analisi situazionale ( sensibilità dell�allenatore e dello

staff ) supportata dalla verifica dell�analisi tecnica tramite una organizzazione di partita

ORGANIZZAZIONE INTERNA

1^allenatore>2^allenatore>ass.Tecnico>scoutman

Il 1^allenatore

Analizza principalmente la propria squadra Filtra ogni informazione scegliendo quale deve dare alla squadra

Il 2^allenatore

Analizza e verifica lo svolgimento del gioco avversario con una copia dei rapportino tecnici Controlla le statistiche generali tramite un PC in collegamento con lo scoutman Comunica con il 1^allenatore verbalmente e con l�assistente tecnico via radio.

L�assistente tecnico

Analizza e verifica principalmente la fase battuta-punto avversaria in particolare il collegamento muro difesa Suggerisce al 1^ allenatore qualsiasi informazione che ritiene prioritaria Controlla e verifica ogni situazione suggerita dal 1^allenatore e comunica con lui il prima possibile

Lo Scoutman

Fornisce in tempo reale i dati e le percentuali sul PC di panchina in gestione al 2^allenatore

I TIME OUT

Time Out Nostri Evitare di sottolineare gli errori Parlare di tecnica generale no specifica Ricordare aspetti tattici concordati e non utilizzati con efficacia e continuità Suggerire nuove strategie di gioco

Time Out Avversari Ricevere, prima di parlare, informazioni dal 2^allenatore sulla rotazione avversaria al momento del Time Out Ricordare eventuali opzioni d�attacco avversario nei momenti di difficoltà Ricordare il giocatore più servito in tali situazioni Anticipare le possibili mosse avversarie e predisporre le contromisure Cambiare per sorprendere e vanificare le strategie avversarie

Time Out tecnici e i cambi di campo Possono essere preceduti da uno scambio di opinioni dello staff tecnico Possono avere caratteristiche sia dei time out nostri che dei time out avversari.

Se la partita va bene Cambiare il meno possibile Rischiare il giusto Anticipare le contromosse avversarie

Se la partita va male Non avere paura di cambiare tutto o parte della tattica ( generalmente è necessario semplificare ) Al cambio di campo mantenere la rotazione o modificarla sulla base della conoscenza dell�allenatore avversario.

I CAMBI

Utilizzare cambi tattici e provati in allenamento In battuta, a muro, il doppio cambio, il cambio di rottura Cambi di ruolo dettati dall�analisi situazionale della partita Rapporto con gli arbitri Protestare spesso, Non protestare mai, Usare gli arbitri

CONSIDERAZIONI SULLE NUOVE REGOLE

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Essere il più vicino possibile alla squadra Farsi trainare dall�andamento della partita Gestire in modo sistematico la tattica della battuta, del muro oppure opzioni particolari con i segnali Parlare spesso con il palleggiatore Utilizzare le uscite e le entrate nel sistema di cambio con il libero per fornire indicazioni di sviluppo immediato.

DOPO LA PARTITA Non parlare mai con la squadra dopo una partita (aspettare sempre il giorno dopo ) Rivedere la partita e verificare le strategie Scoprire situazioni non evidenziate nel corso della partita Analizzare insieme allo staff statistiche e video per lavorare durante la settimana

CONSIDERAZIONI FINALI

ASCOLTA TUTTI E CONSIDERA TUTTO MA SE SENTI UNA COSA FALLA CONTRO TUTTO E TUTTI.

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15. CLASSIFICAZIONE DEGLI ERRORI NELLA

PALLAVOLO

(Flavio Berardi)

La componente dell�errore nella pallavolo giocata è la principale causa dell�esito di un�incontro sia

in positivo che in negativo. Con l�avvento del Rally Point System , questa componente si è

ulteriormente amplificata specie nella fase di gioco detta di � Possesso palla o Battuta �. Se con la

vecchia formula del Cambio Palla l�errore coincideva con la sola perdita del servizio , ora

corrisponde all�assegnazione di un punto e in un finale di set , questo eventuale errore può portare

alla perdita del set stesso se non addirittura della partita. Partendo dal presupposto che ogni tipo di errore è da considerarsi grave , bisogna in qual maniera definire , quali sono gli errori più gravi e

quelli meno gravi. Innanzitutto , la classificazione viene divisa in 2 settori : Errore TATTICO ed errore TECNICO. L�errore TATTICO è da considerare per certi versi molto più grave di quello

TECNICO , spesso non segnato sui relativi scout , perché comporta ad uno sconvolgimento del

gioco che ne segue e precedentemente deciso. Bisogna analizzare bene il concetto di tattica. Molti atleti , anche evoluti , ancora non sanno bene cosa sia la tattica , intendendo per tattica , solo ed esclusivamente gli schemi di attacco da adottare in partita trascurando tutto il resto.

Esempi di errore TATTICO :

1 � Non rispettare una precisa disposizione in campo ( Preventiva ) nella fase di Difesa � Contro attacco e le relative Competenze difensive. 2 � Non rispettare l�esecuzione del Muro con la chiusura della zona precedentemente decisa sia esso in diagonale o parallela. 3 � Non eseguire un colpo di Attacco nella maniera e nella direzione precedentemente decisa. 4 � Non eseguire la Battuta nella maniera e nella zona di campo precedentemente decisa. 5 � Non eseguire lo schema di gioco ( Alzata ) precedentemente decisa. Analizzando specificatamente questi 5 punti , si può notare come essi siano in correlazione l�uno

con l�altro. Nello sviluppo tattico del gioco bisogna anticipatamente decidere quale tipo di muro andrò ad eseguire e sarà correlato da una relativa disposizione in difesa con conseguente ed

eventuale gioco di contro - attacco ; Murare in maniera diversa provocherà posizionamenti errati in

difesa e ovvie problematiche nell�attacco. Nella fase � Possesso palla � Battuta � , la disposizione a

muro è spesso decisa in riferimento alla Battuta che si andrà ad eseguire ; Bisogna battere in una

Precisa zona di campo o su un preciso giocatore avversario per far in maniera di obbligare l�avversario ad un gioco volto a favorire la mia DISPOSIZIONE A MURO E IN DIFESA. Come precisato prima , NON eseguire uno qualsiasi dei compiti tattici assegnati , sarà da considerare

ERRORE GRAVE e ripeto , questo non viene segnato su nessuno scout , ma spesso provoca la perdita del punto. Discorso diverso per la classificazione dell�errore TECNICO . Bisogna per prima cosa specificare

che c�è errore FATTO ed errore PROVOCATO ; difendere un attacco molto forte , oppure , alzare una palla ricevuta molto male ha le sue notevoli problematiche tecniche ed è ovvio che si possono

considerare errori PROVOCATI. L�erronea esecuzione di un qualsiasi fondamentale può essere a

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TEORIA E METOLOGIA DELL�ALLENAMENTO 79

sua volta diversificata in diverse tipologie , differenziate dal coefficiente di difficoltà che ha ogni tipo

di colpo.

COEFFICIENTE DI DIFFICOLTA� NEL FONDAMENTALE DELLA BATTUTA

A � BATTUTA IN SALTO = MOLTO ALTO B � BATTUTA TESA �FLOT� = ALTO C � BATTUTA � FLOT � DI PRECISIONE = BASSO D � BATTUTA SOLO DI PRECISONE = MOLTO BASSO La diversa coefficienza di difficoltà , viene data in base all�esecuzione dinamica del gesto tecnico; Più il gesto è complesso nella sua esecuzione e più è alto il coefficiente di difficoltà e in teoria ,

meno grave l�errore. Più è basso il coefficiente maggiore è la gravità. COEFFICIENTE DI DIFFICOLTA� NEL FONDAMENTALE DELL�ATTACCO

A � ATTACCO DI 1° TEMPO = ALTO B � ATTACCO DI 2° TEMPO = MEDIO C � ATTACCO DI 3° TEMPO = BASSO Se per la battuta si valuta l�aspetto dinamico dell�esecuzione , per l�attacco si valuta il rapporto

SPAZIO � TEMPO . E� un dato certo che nella pallavolo maschile il tempo che intercorre tra il

momento dell�uscita del pallone dalle mani dell�alzatore a l�attimo in cui l�attaccante colpisce la

palla è di circa 0,20 secondi per il 1° tempo , da 0,20 a 0,80 per quello di 2° tempo , da 0,80 a 1,60 per l�attacco di 3° tempo. Come possiamo vedere , un giocatore che esegue un attacco di 1°

tempo , deve nell�ordine : calcolare perfettamente il tempo di rincorsa , coordinare il salto ,

verificare la qualità dell�alzata e contemporaneamente il posizionamento delle mani avversarie a muro , decidere dove e come tirare la palla e infine colpire la palla��. Tutto in 0,20 decimi di

secondo. Negli attacchi di 2° e 3° tempo , allungandosi i tempi , si ha ovviamente un vantaggio

nella valutazione della palla e del muro. In poche parole , più tempo ho e meglio valuto , meglio mi

coordino e meglio picchio. Possiamo cosi classificare la gravità dell�errore in attacco nella

seguente maniera : A � TERZO TEMPO = GRAVE B � SECONDO TEMPO = MEDIO C � PRIMO TEMPO = BASSO Per meglio specificare , bisogna aggiungere che in un attacco di 1° tempo se mi trovo col muro

piazzato eseguito a � sangue � , difficilmente riuscirò ad evitarlo mentre , negli altri tipi di attacco ,

evitare il muro è di gran lunga più semplice.

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TEORIA E METOLOGIA DELL�ALLENAMENTO 80

16. LA FILOSOFIA DELLA FASE PUNTO

(Julio Velasco)

La pallavolo è uno sport pieno di vita. Se si è accademici ed analitici si è portati ad incasellare la

pallavolo in scompartimenti e categorie, e questo significa togliere al gioco la sua vitalità. Se voglio

riuscire come allenatore o come giocatore, devo imparare a mettermi nel ritmo del gioco, o a farlo procedere secondo il mio ritmo. Posso riuscire in questo soltanto se mi immergo pienamente nel gioco, seguendone le oscillazioni. In questo modo posso studiare il linguaggio, classificarlo nella sua totalità e fare la cosa più semplice ed ovvia.

ABBIAMO BISOGNO Dl VEDERE IN MODO DIRETTO!

Per capire il gioco non abbiamo bisogno di analisi sofisticate o di un approccio vasto e teorico, ma piuttosto di un punto di vista semplice e diretto su un gioco che si trova in evoluzione costante, prendendo il gioco stesso come punto di partenza e di arrivo su cui fare tutte le considerazioni. Di conseguenza, possiamo parlare di una filosofia relativa ad una determinata fase del gioco, dove l'obiettivo sia mostrare come il gioco stesso può diventare un principio dell'allenamento. Per chi cerca di portare la propria squadra ad esprimersi nella fase punto secondo il proprio potenziale, piuttosto che affrontarla semplicemente seguendo la struttura standard del gioco, non è

sufficiente possedere a menadito tutti i dettagli tecnici o avere dei buoni concetti di muro e difesa. Per riempire di vita il gioco devo imprimere entusiasmo nella mia squadra rispetto a questa fase di gioco, e darle un punto di vista o un'idea di cosa occorre fare in questa fisse. Per far questo ho bisogno di qualcosa che vada oltre i buoni concetti. Ho bisogno di una vera e propria filosofia! Quello che intendo esattamente per "filosofia" in questo contesto è qualcosa che vorrei delineare

immediatamente, su uno sfondo di poche e fondamentali note sull'allenamento. L'esercizio ha l'obiettivo di proporre idee, interpretazioni e modi di accedere all'allenamento che assomiglino da vicino alle reali situazioni di gioco, sia per i giocatori che per gli allenatori. Dove è coinvolto il

concetto di allenamento per la fase punto bisogna far sì che i giocatori si rendano conto dello

scopo che sta dietro le loro azioni, le loro scelte individuali nel corso del gioco, e dell'intimo legame esistente fra le diverse fasi del gioco, sia attraverso semplici esercizi, che tramite programmi di allenamento più di vasta portata. In un secondo momento, questo modo di guardare al gioco si sviluppa trattando più dettagliatamente gli aspetti tecnico-tattici rilevanti per il muro e la difesa. CINQUE IMPULSI PER UNA FILOSOFIA GENERALE DELL'ALLENAMENTO

Partite dal gioco!

Quando si scelgono e si organizzano le forme di allenamento, il criterio decisivo utilizzato dovrebbe essere il livello del gioco relativo alla squadra in questione. Molti allenatori progettano forme di allenamento che; anche se possono essere valide con altri tipi di squadre, e possano anche risultare interessanti o attraenti, non tengono conto del gioco effettivamente praticato dalla propria squadra, che dovrebbe invece costituire il punto di partenza e di riferimento per tutto l'allenamento. Siate chiari sul significato delle parole "attaccare" e "difendere"

Eseguire il servizio significa immediatamente porsi in difesa, perchè i punti possono essere fatti

solo da un contrattacco dopo la difesa (a meno che non si faccia punto direttamente in battuta, il

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TEORIA E METOLOGIA DELL�ALLENAMENTO 81

che è raro) Per uno stile di gioco efficace e vincente, porre le azioni difensive ed offensive sullo stesso piano è, se va bene, problematico, e se va male, sbagliato. I punti vengono fatti a partire

dalla difesa! Considerate il muro, la difesa, il contrattacco e la copertura d'attacco come fondamentali

interdipendenti fra loro!

A molti piace descrivere diversi sistemi tattici per ogni elemento del gioco (sistema di coperta d'attacco, sistema difensivo, sistema di muro>. Questo può dare l'impressione che si possano

sviluppare forme o programmi di allenamento per ogni fondamentale. Tuttavia, questi programmi di allenamento sono validi solo se tengono conto dell'interdipendenza fra i singoli elementi del gioco difensivo e della costruzione del contrattacco. lì fatto è che nessuna fase del gioco può essere isolata in misura tale che le soluzioni tattiche dei singoli giocatori o della squadra possano essere applicate indipendentemente da ciò che

effettivamente avviene nella situazione di gioco. Siate sempre cauti sulle indicazioni tattiche o comportamentali in un contesto interattivo di squadra. Per esempio, non dovreste mai stabilire una posizione difensiva (come posizione di attesa, oppure come piazzamento dal quale cercare il contatto con la palla), o la traiettoria di uno spostamento, senza considerare le tattiche di muro della squadra! Date alla vostra squadra il tempo per entrare nel gioco, ad esempio battendo in modo tatticamente intelligente, piuttosto che solo forte! Non è vero che una battuta "facile" determini automaticamente un cambio palla avversario. La conseguenza di questa convinzione errata è che la squadra batte troppo forte e in modo troppo

rischioso, che è un errore, perchè dedicare tutte le energie e la concentrazione sul servizio non è

sufficiente. Nel 1984 la squadra USA che vinse le Olimpiadi fece pochi errori in battuta, e ricorse solo raramente al servizio in salto. Questo dava alla squadra la possibilità di entrare nello scorrere del gioco e nel suo ritmo, e di

controllare in definitiva il corso degli eventi. È d'importanza fondamentale dare ai componenti della squadra la possibilità di inserirsi nel gioco, sia psicologicamente che in termini di gioco, attraverso

le loro azioni difensive e di contrattacco (in altre parole sentendosi parte del gioco stesso>, tanto quanto lo è assicurarsi di battere in modo efficace. Allenare la squadra in tutti gli aspetti del suo sistema di gioco: ad esempio, della "fase punto" Non è sufficiente limitarsi puramente ad allenare i giocatori nelle tattiche difensive o negli schemi di

contrattacco. Invece, dovrebbe essere dedicata un'uguale attenzione, in allenamento, a tutti gli elementi della lise punto, senza permettere alcuna attenzione spociale a ciascun aspetto singolo. Tutti gli elementi del gioco fanno parte del fluire del gioco, si costruiscono l'uno sull'altro, e sono reciprocamente determinanti. Quindi ogni elemento è ugualmente importante quando si vuole

ottenere un risultato. Credo che questo sia importante basare l'allenamento sul gioco stesso e vedere il gioco come un'entità indivisibile. L'importanza dell'influenza di ogni aspetto deve essere riconosciuta e dovrebbe servire come base quando si pianifica o si sceglie un qualunque sistema di allenamento. Il lavoro fatto in allenamento dovrebbe essere determinato dalla sua immediata rilevanza sul gioco reale e sull'abilità della squadra di entrare ripetutamente nel ritmo di una determinata partita. Nel capitolo successivo troverete dei consigli specifici e delle indicazioni a cui fare riferimento per il lavoro specifico relativo alla fase punto.

Cinque consigli per la fase punto

A un primo sguardo, appare difficile segnare un punto partendo dalla difesa, perchè se la squadra

avversaria riceve bene e costruisce l'attacco in maniera efficace può ridurre molto

considerevolmente le possibilità di un nostro contrattacco, specialmente quando si batte "solo tatticamente". Questi consigli vanno quindi intesi come incoraggiamento e come prerequisito per rivalutare la situazione difensiva. La squadra dovrebbe adottare una mentalità del tipo: "noi vogliamo ottenere punti attraverso l'organizzazione di una difesa solida", per far riguadagnare alla situazione la sua

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TEORIA E METOLOGIA DELL�ALLENAMENTO 82

reale natura offensiva. Inoltre, questi consigli dovrebbero servire per spingere ad elaborare una forma di allenamento efficiente (che assomigli al gioco reale) per la sequenza chiave del gioco. 1. Fase Dunto - avere e mantenere l'iniziativa

· Quando si batte Anche se quando battiamo tutto ciò che facciamo è consegnare la palla ai nostri avversari,

abbiamo comunque l'iniziativa, in quanto il servizio stesso influenza la costruzione e le possibilità

dell'attacco avversario. Il giocatore in battuta usa la tecnica che controlla meglio; inviando la palla nel modo in cui preferisce. La regola di massima qui dovrebbe essere quella di usare un servizio flottante e determinarne la forza piuttosto che mirare verso una zona specifica

· · Durante la costruzione d'attacco avversaria Siamo pienamente concentrati sui nostri avversari e stiamo individuando la loro costruzione. Il mio avversario mi mostra ciò che devo fare. Se possiamo leggere correttamente la costruzione del

gioco, allora saremo capaci di difendere positivamente e potremo rigiocare a nostra volta. · Quando si difende e ricostruisce il contrattacco

Se abbiamo interpretato attentamente il gioco avversario, allora possiamo ricostruire il nostro contrattacco utilzzando le nostre doti migliori. Nell'alzare ed attaccare cercheremo di ottenere il punto utilizzando quelle aree in cui il nostro rendimento è più alto. 2. Gli stahdard alleviano la pressione -elaborare sistemi standard per affrontare situazioni

specifiche Bisogna sviluppare dei sistemi standard sia per difendere contro l'attacco in primo tempo, che per l'attacco in secondo tempo. Elaborando le soluzioni difensive standard in caso di palla spinta in banda, di attacco del centrale, di seconda linea da zona 1, o di palla alta, si deve chiarire bene dove dovrebbe trovarsi, in un certo momento, ogni giocatore. In questo modo si può tenere conto

delle caratteristiche individuali nel sistema collettivo e si può disporre di sistemi standard sui quali

la squadra può tornare in ogni momento, per esempio per superare le fasi critiche del gioco. Inoltre

questi standard possono costituire la base sulla quale applicare delle varianti a sorpresa che possono essere sviluppate a seconda dell'avversario o della partita in questione. 3. Coraggio di lasciare degli spazi! E impossibile coprire tutto il campo. Bisogna piuttosto sviluppare un sistema efficiente per difenderlo, in cui i giocatori coprano i punti caldi" e lascino vuote quelle zone del campo in cui la palla viene raramente inviata. In alcune situazioni questo significa fare delle scelte, determinare delle priorità! 4. Riconoscere i meriti degli avversari Per ogni palla che tocca il nostro campo durante la partita, la nostra squadra dovrebbe sapere si è

trattato di un nostro errore o perchè gli avversari sono stati bravi. Nel primo caso dev'essere fatto

qualcosa; ma se la squadra avversaria ha attaccato bene, evitando di darci la possibilità di

controllare la palla, questo è normale e fa parte del gioco. 5. Dare alla squadra il giusto del successo! Per allenare la difesa e il muro, si applica la stessa regola generale che c'è per tutti i processi di

apprendimento: iniziare giocando la palla in modo da dare alla squadra una sensazione di riuscita. Un prerequisito per far questo è che ci sia una chiara distinzione fra i palloni facili e quelli difficili. Queste indicazioni ed annotazioni, piuttosto generali, riguardano la pianificazione ma anche il comportamento specifico dell'allenatore durante il lavoro in palestra o la conduzione della squadra. Tuttavia, si riflettono anche nel modo in cui la tecnica e la tattica della squadra prendono forma nei singoli elementi della fase punto. TECNICA E TATTICA A MURO La battuta è importante anche perchè può obbligare la squadra avversaria a giocare una palla alta.

La squadra che difende ne trae un criterio per la formazione del muro o per concentrarsi sull'aspetto prevalente della situazione di gioco. Due sono i compiti principali del muro:

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TEORIA E METOLOGIA DELL�ALLENAMENTO 83

Coprire la direzione migliore dell'attaccante avversano. Determinare la situazione per la difesa.

Più specificatamente, a seconda della situazione o dell'avversario, il muro adempie ai suoi compiti in questi modi:

Come muro attivo, avendo come obiettivo ottenere la murata vincente contro l'attacco avversario.

Come muro passivo, il cui scopo è quello di smorzare l'attacco avversano per renderlo

gioca bile dalla propria difesa. Come muro tattico, che ha come obiettivo quello di lasciare che l'attaccante tiri soltanto in

una certa direzione, oppure quello di costringerlo a commettere un errore. In una specifica situazione, come fa il giocatore a muro a trovare la posizione giusta o prendere la decisione tatticamente corretta rispetto al tipo di muro da eseguire? Come decidere che tipo di muro eseguire Per mettere in atto il tipo di muro giusto per una data situazione, il giocatore deve identificare in tempo il tipo di situazione che si sta verificando. Questo richiede uno sforzo premeditato, interpretando le osservazioni compiute in modo tale che il significato dei diversi aspetti del comportamento dell'avversario possa essere utilizzato per prendere la decisione corretta sul tipo di muro da utilizzare. Per il vantaggio dei nostri giocatori a muro, abbiamo messo in risalto tre aspetti della costruzione offensiva avversaria: 1. Leggeere la palla lì giocatore a muro dovrebbe tenere conto di come sia la qualità della ricezione avversaria, la

direzione verso cui il palleggiatore sta correndo per raggiungere la palla ed eseguire l'alzata, e quale attaccante si prepara (e in che posizione) nella situazione che si sta verificando. 2. Leggere la posizione delle mani del palleggiatore In linea di massima, la posizione delle mani del palleggiatore e la sua posizione rispetto alla palla indicano la direzione verso la quale avverrà l'alzata. Tuttavia, se i palleggiatori sono bravi, questo è

difficile da fare, perchè le loro mani rimangono in una posizione "neutra" per un tempo molto lungo. Tuttavia, anche se una simile anticipazione è impossibile ad alto livello, è comunque importante

restare attenti, perchè le decisioni sul piazzamento da assumere col muro si possono assumere

durante il primo terzo della traiettoria della palla, una volta che questa ha lasciato le mani del palleggiatore. Sc è chiaro dove piazzare il muro, si sposta l'attenzione sull'attaccante. 3. Guardare gli attaccanti Lo scopo che ci si propone osservando un attaccante è quello di trarre dalla direzione della rincorsa un'ulteriore informazione sul punto della rete dal quale proverrà l'attacco, cosi che il muro

possa essere correttamente temporizzato. Inoltre, osservare la posizione della mano dell'attaccante rispetto alla palla può aiutare ad ottenere un'informazione finale sulla direzione del colpo e sulla tecnica che l'attaccante intende usare. Questa informazione può poi essere utilizzata

per compiere la decisione tattica finale sul tipo di muro da eseguire. L'interpretazione di questi elementi costituisce la base del sistema standard per il muro, oltre che per la coordinazione dei tre giocatori di prima linea nell'organizzare un muro a due o a tre. Se il muro non viene interpretato in questo modo, acquistano poco senso i concetti tendenti a coordinare le decisioni dei tre singoli giocatori e intendono ricercare la rottura del gioco offensivo avversario. Essenzialmente. il marcamento a uomo o la difesa (col muro) di una zona rappresentano due approcci che possono essere utilizzati per progettare i sistemi di muro. La forma che viene adottata è legata tanto alle capacità tecniche ed atletiche dei giocatori, quanto alla loro abilità di

anticipare il gioco e adottare lo schema difensivo scelto. Per quello che riguarda i concetti di difesa della rete, la tendenza corrente sembra andare sia verso la sparizione del vecchio "muro a scacchiera", a causa dell'accresciuta velocità degli attacchi

e della varietà delle possibilità offensive, sia verso un più frequente uso del muro anticipato, che

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TEORIA E METOLOGIA DELL�ALLENAMENTO 84

richiede una partenza anticipata del centrale per iniziare il suo spostamento subito prima che parta la palla, in modo da riuscire a murare una palla molto spinta all'ala. In questo contesto è anche importante notare che esiste uno spazio limitato per l'utilizzo dei segnali nel coordinare le decisioni prese dai giocatori a muro, perchè un sistema basato sulla

segnalazione di ogni muro è troppo complesso perchè i giocatori possano tenervi testa. Di .

conseguenza, ha senso soltanto emettere segnali per comunicare l'utilizzo di varianti del sistema standard, quando, per determinate situazioni, occorre utilizzare delle varianti al sistema. Tuttavia, un prerequisito per far questo è che il sistema stesso, le varianti rilevanti ed i segnali

corrispondenti siano stati allenati in palestra! Punti chiave per murare Il principale problema per un'esecuzione corretta del muro è il tempo. Molti errori a muro, come una posizione errata delle mani o farsi fare mani-fuori, possono essere spesso attribuiti ad un calcolo sbagliato del momento in cui saltare a muro. Comunque, la scelta di tempo è un problema tattico a livello individuale. A parte questo aspetto. sono tre gli elementi

tecnici principali per risolvere il compito del muro e mettere in pratica le indicazioni pratiche precedentemente date:

Lavoro degli arti inferiori e tecnica di spostamento. Tecnica di salto e di ricaduta. Uso delle mani.

Lavoro degli alti inferiori e tecnica di spostamento Il lavoro degli arti inferiori e la tecnica di spostamento devono svilupparsi, in linea di massima, in base al contesto in cui si esegue il gesto tecnico. La decisione concernente la tecnica da usare nello spostamento dipenderà dalla distanza da

percorrere e dalla situazione che precede lo spostamento (posizione di attesa, schiacciata, primo salto per murare). Vorrei dare due consigli in proposito. Se possibile, è meglio utilizzare la tecnica di traslocazione a passo incrociato come una tecnica di

spostamento eseguita in modo che il piede esterno sia piazzato per ultimo prima di raggiungere la posizione di muro. Questo mette il giocatore in condizione di tenere le spalle abbastanza parallele alla rete quando si sposta per eseguire il muro, il che a propria volta limiterà gli errori commessi dalle mani o dalle braccia quando si estendono oltre la rete. Se ai giocatori è stata insegnata un'altra tecnica nel

corso della loro impostazione. sarà molto difficile cambiare le loro abitudini, e si dovranno quindi

trovare altre soluzioni. Il secondo punto che vorrei sottolineare è l'importanza del primo passo dello spostamento che, se

eseguito con velocità e dinamismo, contribuisce al 98% nella riuscita di un muro. Dalla posizione di

partenza, il piede interno apre verso la nuova direzione da prendere, e spinge rapidamente. Tecnica di salto e di ricaduta Anche qui ci sono due punti che vorrei far presente in merito all'argomento in questione Prima di tutto nell'impostazione della tecnica, a livello giovanile, è importante insegnare ai giocatori

a ricadere su due piedi dopo l'esecuzione di un muro. per prevenire, nel tempo, danni alle articolazioni e allo scheletro. In riferimento al compito tattico del muro. È importante che il giocatore che esegue questo

fondamentale salti fronte a rete, e senza compiere nessun movimento laterale sfuggente, altrimenti prenderà l'abitudine di fare dei movimenti di rotazione, durante il salto, potenzialmente rischiosi.

che potrebbero condurre sia alla formazione di un piano di rimbalzo non controllato, sia a toccare la rete. Oltre a questa considerazione, è importante staccare correttamente in modo da eseguire il

muro frontalmente alla rete, perchi su questo i difensori si basano per piazzarsi. Ogni movimento incalcolabile ed ogni rotazione renderanno più difficile il piazzamento per i giocatori in difesa. Infine, l'aspetto più importante legato al movimento del muro è il tipo di contatto con la palla, che

ne determinerà la nuova direzione. Uso delle mani

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TEORIA E METOLOGIA DELL�ALLENAMENTO 85

In linea di principio, ci sono due maniere per utilizzare le mani. a seconda che si esegua un muro attivo o passivo:

Per un muro attivo, si portano le mani verso la palla e si cerca di coprirla (portando le mani vicino alla palla e orientando la superficie di rimbalzo verso il campo avversario). Per un muro passivo, si estendono le mani, con i palmi che guardano verso l'alto, in direzione del punto in cui si trova la palla, per smorzarne la traiettoria. Ouesto significa mettere le mani in maniera che la palla rimbalzi su di esse verso il proprio campo, rendendola ricuperabile dai propri compagni in difesa.

Se un giocatore a muro si concentra su queste alternative, allora il muro stesso diventerà un aiuto

ed una guida per la difesa. Tuttavia, la maniera in cui si svolge effettivamente il gioco è abbastanza diversa. in quanto i giocatori a muro che compiono uno spostamento improvviso delle mani da una posizione ad un altra per cercare la palla, ad esempio, rendono la vita difficile ai difensori. Tuttavia, questo è più un problema di motivazione e di limitare i compiti fra i giocatori a muro ed i difensori. In linea di massima, dovrebbe essere chiaro che questa improvvisa esecuzione di una ricerca della palla darà ai difensori molto poco tempo per reagire. Di conseguenza, il muro

dovrebbe limitarsi a coprire l'area di propria competenza, dando ai difensori qualcosa su cui basare le proprie azioni e su cui fare affidamento. É meglio fare un muro più limitato, e invece dare

ai propri difensori delle indicazioni chiare: gli improvvisi cambiamenti causeranno confusione! Per evitare ciò occorre allenare insieme il muro

e la difesa il più frequentemente possibile. Se si commette frequentemente l'errore di spostare le

mani all'ultimo momento, cercando improvvisamente la palla, significa che viene fatto poco lavoro collettivo per mettere i difensori in condizione di provare ed apprezzare l'importanza di disporsi in modo chiaro. Comunque, le considerazioni sugli aspetti tecnici-tattici della difesa mostrano perfettamente perchè questo sia importante.

TECNICA E TATTICA DELLA DIFESA

Ci sono tre aree critiche da considerare quando si progettano dei sistemi standard per il muro e la difesa:

La posizione d'attesa che i giocatori assumono a rete ed in seconda linea nel momento in cui la squadra avversaria sta costruendo la propria azione d'attacco. Queste posizioni sono volte a coprire le direzioni d'attacco più frequenti nel proprio livello di gioco. Quando queste vengono determinate, viene fatto l'uso ottimale dei punti forti dei propri giocatori, con i giocatori a muro ed i difensori che lavorano in maniera ben sincronizzata. Adeguare la posizione e la postura (alta o bassa) di attesa dei giocatori ai compiti loro assegnati, cosi che i singoli difensori possano adempiere il loro ruolo in maniera ottimale. La tecnica usata per gestire la palla. I sistemi difensivi limitano la portata delle decisioni individuali da prendere, rendendo più semplice il lavoro dei giocatori, ricorrendo a varianti della

tecnica solo per situazioni specifiche o per giocare certi tipi di palloni. Questo semplifica quello che comunque resta un compito difensivo molto difficile, a causa dell'alta velocità a cui

viaggiano i palloni schiacciati.

Conseguenze per la difesa

É il comportamento della squadra avversaria a determinare dove la difesa deve porre la maggiore attenzione. Quindi, una parte rilevante nel determinare la posizione di attesa dei giocatori viene attribuita al primo tempo del centrale avversario (vedi fig. 1). Il muro è concentrato al centro della rete ed i difensori laterali stanno all'incirca sui 4 metri, mentre la

posizione del giocatore di zona 6 è rivolta ad altri compiti tattici, sia sul lato destro che su quello sinistro del fondo campo. Questa configurazione si vede raramente a livello internazionale, in quanto la maggior parte delle squadre cerca di mettere in atto degli attacchi veloci anche dalle estremità della rete, e non solo dal centro. per cui un muro che partisse dalla posizione illustrata da flg. I potrebbe arrivare troppo tardi ai lati.

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TEORIA E METOLOGIA DELL�ALLENAMENTO 86

Di conseguenza, nella pallavolo moderna di livello internazionale, i giocatori a muro laterali si fissano prima sui loro attaccanti laterali. la configurazione iniziale cambia nella maniera illustrata dalla fig. 2. I giocatori di muro laterali stanno piuttosto esterni, anche se l'esatto piazzamento che assumono dipende dalla loro velocità e tecnica di spostamento. Le "zone libere" lasciate ai difensori come conseguenza di questa disposizione a rete vengono coperte dai giocatori di zona i e 5, che stanno sui 4 metri. Il giocatore di zona 6 è responsabile dei palloni che toccano il muro e

cadono lunghi. Vengono apportati cambiamenti in base allo schema d'attacco avversano, che crea altre lacune nella difesa. Anche qui, la cosa principale è adattare la posizione dei giocatori alle

varianti offensive più utilizzate dagli avversari. Per i singoli difensori questo significherà anche

imparare ad affrontare la situazione di "muro aperto" (come per il vecchio tipo di difesa sul lungo linea). Per il giocatore di zona 6 questa nuova configurazione significa che il difensore dovrà stare

nel varco più frequentemente ed assumere la sua posizione difensiva in base alla rincorsa dell'attaccante, il che significa che egli si trova più di frequente nel centro dell'azione. l'a fig. 3

mostra una possibile configurazione difensiva nel caso che la squadra avversaria attacchi da zona 4. Questo sistema stabilisce degli standard la cui applicazione può variare a seconda delle

caratteristiche dell'attacco avversario. Come con il muro, la regola empirica approssimativa è che

"l'avversario mi dice cosa fare". Se il sistema difensivo è inefficace dovremo controllare se questo succede perchè il sistema non è sufficientemente adeguato al gioco d'attacco avversario (un

problema tattico) o se, al contrario, le difesa è ben piazzata ma la palla non viene ben controllata

(problema tecnico).

Annotazioni fondamentali sulla tecnica utilizzata dai difensori

Come conclusione, presentiamo due annotazioni di principio sulla tecnica usata dai difensori. A causa dell'alta velocità con cui possono arrivare i palloni, la scelta del giusto piazzamento difensivo

è la precondizione per riuscire a difendere. Una volta che questa posizione è stata assunta,

saranno la postura e l'area di contatto con la palla a determinare la riuscita della difesa e la possibilità che il palleggiatore riesca a ricostruire un attacco. Questo significa che un giocatore dovrebbe essere più frequentemente allenato con la sicurezza che la palla finisca nella zona che

ha scelto per difendere (l�allenamento per la difesa mostrando ciò che il giocatore può e non può

fare!). D'altra parte, in allenamento occorre fare una scelta: o seguire un approccio tattico o lottare indiscriminatamente su ogni palla, il che può essere molto d'aiuto da un punto di vista

tecnico ma causa problemi a livello tattico, perchè sovrappone le responsabilità e può dare luogo a

malintesi.

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17. LO SCOUT E LA SUA IMPORTANZA

(Simone Franceschi)

Quando si parla di scout la prima cosa che viene in mente sono maree di numeri e percentuali tipiche della serie A, troppo avanzati per livelli più bassi. Indubbiamente lo scoutman è il più hi-tech dello staff tecnico di una squadra, pc portatile, radio per comunicare con la panchina e metri di cavo elettrico che sparpaglia per i palazzetti d'Italia sono il suo pane, inoltre è il più odiato dai

giocatori che hanno sempre da protestare sul numero elevato di errori rilevati nell'ultima partita. Solo livello alto, quindi? Passerò per un protettore della categoria ma penso di no. Quando

giocatrici come Kirillova o Aguero giocano male, lo sanno indipendentemente dalla visione dello scout, ma se alleno una serie B2 o una C, magari con ragazze giovani come faccio a far capire loro dove e cosa hanno sbagliato? Dire "Oggi hai ricevuto malino" è troppo generico, provate a

mostrare una percentuale di ricezione del 15%........ Come punto di partenza però serve un cambio

di mentalità: accettare gli errori e i punti deboli che ogni giocatore ha e riconoscerli. Il caso più

eclatante fu la nazionale americana che nel Mondiale 1982 era una comparsa, salvo poi riuscire a vincere le olimpiadi nel 1984 e i Mondiali due anni dopo. Accettare quindi una valutazione oggettiva di una prestazione soggettiva, ovvero una prestazione sportiva codificata in una sorta di tabella matematica. Se ci si fa caso nella pallacanestro le rilevazioni statistiche sono molto più

radicate, sappiamo ad esempio quanti rimbalzi o quanti tiri da tre un giocatore ha accumulato in una partita, ma tali rilevazioni non esistono solo in serie A, ma anche nelle categorie inferiori.

Lo scout è molto utile per la programmazione degli allenamenti: in una partita di calcio un giocatore vivacchia per 80 minuti e poi realizza due gol, sicuramente diventerà il migliore della gara; in

pallavolo una banda mi realizza un 80% in attacco e poi perdo 3-0. Precisando che adesso anche il calcio sta prendendo la via degli scout, tali rilevazioni mi possono indicare perché magari un set

l'ho perso 25-23 anziché vincerlo con lo stesso punteggio. Utilizzando un sistema di scouting

avanzato si possono avere infatti, durante la partita, informazioni sia sulla mia squadra che quella avversaria: qual'è l'attaccante più servito? in caso di ricezione perfetta, dove il palleggiatore alza la

palla? qual è l'avversario che riceve meglio (quindi da evitare...)? qual è lo schema principale o la

direzione d'attacco principale di ogni avversario? sono tutte risposte che si possono avere in tempo reale durante la partita. La programmazione dell'allenamento, dicevo: facendo un'analisi della squadra in base alla posizione del palleggiatore possiamo individuare quali sono le rotazioni più deboli e allenarle con esercizi specifici, individuato il nostro peggior ricettore? Molto bene, si

farà una bella settimana a pane e bagher..... Più in generale, confrontare il rendimento di ogni

singolo giocatore con il rendimento di squadra. Quello che molti credono di sapere è chi ha giocato

male o bene senza statistiche, il fatto è che è molto più semplice ricordare un errore rispetto ad

una cosa fatta bene (un attaccante viene murato sul 24-24 oppure tira un missile in fondo alla palestra senza muro, magari nel set ha messo a terra 10 palloni), ho visto molti allenatori stupiti dall'esito dello scout. Ma allora lo scout è la verità assoluta? Sicuramente no anche perché

bisogna tener conto di situazioni particolari: come dire ad un attaccante che ha una percentuale di attacco del 30% quando poi il palleggiatore per tutta la partita non ha alzato una palla decente? Dire ad un centrale che ha murato da schifo, quando poi si ritrovava l'avversario più forte contro.

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TEORIA E METOLOGIA DELL�ALLENAMENTO 88

Lo scout deve essere visto come un qualcosa di più vasto, tenere un archivio ci può aiutare ad

avere una valutazione oggettiva del miglioramento tecnico della squadra da un mese ad un altro, da un anno ad un altro. Miglioramento tecnico solo o anche tattico? Lo scout si occupa esclusivamente dei tocchi di palla del giocatore e della sua riuscita, raramente uno scoutman annota un muro sbagliato ad un centrale che non chiude il muro in banda anche perché le tattiche

di gara spesso sono conosciute esclusivamente dall'allenatore che durante la partita le può

modificare arbitrariamente, si può quindi annotare una copertura sbagliata al libero quando

l'allenatore precedentemente gli aveva ordinato di non presidiare più quella zona? Quelle sono

tutte valutazioni che verranno effettuate in sala video riguardando la cassetta della partita. Tocchi di palla quindi, tenendo anche conto di valutare ogni fondamentale da una base di almeno 5/6 esecuzioni (un centrale mi riceve una palla in una partita se ne può uscire con un 100% di

perfezione o un 100% di errore). Più tocchi di palla ci saranno, più la media di positività sarà reale

e tenderà a scendere, ma volendo quantificare una buona media, ad esempio, in attacco, quanto

devo pretendere dai miei giocatori? Nel femminile avere una schiacciatrice che mi fa 50% in attacco è buono, un centrale deve stare sopra il 60% (per il discorso detto prima del numero totale

di esecuzione rispetto ad una banda). Ma visto che finora ho parlato sempre si positività in attacco,

è giusto considerare questo dato? Una schiacciatrice mi attacca 20 palloni, 10 li mette a terra e 10 li spara fuori, in definitiva ha totalizzato un buon 50%, ma vediamo tutti che in attacco è stata una

frana, ecco perché più che positività si parla di EFFICIENZA in attacco, tale dato si calcola sottraendo alla percentuale di positività le percentuali di attacchi sbagliati e murati, nel precedente

esempio avremmo ottenuto un pessimo 0%. Nell'ultima partita della regular season 2003 l'Aguero ha ottenuto contro la Foppapedretti Bergamo un 70% di efficienza in attacco, certo se avete nella vostra serie C un'attaccante con questi numeri probabilmente lo scoutman non vi servirà a nulla,

ma dubito fortemente sull'esistenza di tali giocatori, quindi...........

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TEORIA E METOLOGIA DELL�ALLENAMENTO 89

18. LA PALLAVOLO FEMMINILE

(Julio Velasco)

"Con Morelli, il nostro fisioterapista, abbiamo evidenziato alcuni punti chiave, confrontandoci anche con la nostra esperienza nel maschile.

1) Rispetto alla prevenzione, abbiamo riscontrato che molte squadre femminili lavorano sulla spalla con gli stessi contenuti di lavoro del maschile, nonostante i problemi siano diversi. Mi spiego: la maggior parte delle giocatrici che abbiamo visto ha ipermobilità nella spalla, mentre i maschi

hanno rigidità, avendo grande massa muscolare, grande forza e poca mobilità articolare. La

fisiologia è differente: laddove nei maschi vanno ricercate articolarità ed elasticità, nelle donne

serve stabilità articolare, senza esasperarla. Sia nel maschile che nel femminile c'è la necessità di

sviluppare la forza degli antagonisti, degli extrarotatori in particolare, e di fissare meglio la scapolo; però abbiamo visto molte giocatrici fare esercizi di ipermobilità, che portano, cioè, l'articolazione al

massimo angolo possibile, mentre invece questo non va fatto con le donne. Nel femminile bastano esercizi molto più leggeri, utilizzando i muscoli antagonisti in modo attivo e non facendo leva sul

braccio per allungarlo ancora di più. Serve invece un lavoro di fissazione dell'articolazione, insistendo sul lavoro degli extrarotatori e degli antagonisti in generale, del pettorale, del deltoide anteriore, ma soprattutto per i muscoli fissatori della scapolo, in modo da avere delle articolazioni più stabilì. La ipermobilità, infatti, è un problema ugualmente grave alla rigidità, e, per esempio,

crea infiammazione ai tendini.

2) Nel lavoro di forza, se non c'è un controllo molto attento, si tende a lavorare in modo lento con il

sovraccarico, e non velocemente, in modo esplosivo. Questo è un problema che c'è anche negli

uomini, ma in misura minore. Con le donne si fanno troppe ripetizioni in modo lento, il che sviluppa massa muscolare e poca esplosività. Attenzione: non sto dicendo di lavorare con carichi leggeri,

ma di lavorare, con carichi medi o anche alti, in modo esplosivo. C'è una paura ingiustificata a fare

certi esercizi per timore che le atlete si facciano male: così, invece di insegnare bene certi esercizi,

che sono sì più difficili dal punto di vista tecnico ma che sono utili anche alla prevenzione, semplicemente non si fanno. Come ad esempio sviluppare la forza delle gambe in angoli chiusi, cioè meno di 45 gradi. Lavorare a squat completo è un esercizio tecnicamente un po' più

complesso, ma fatto bene sviluppa la forza negli angoli più chiusi che le donne usano moltissimo,

soprattutto nelle rullate, negli affondi, e il muscolo ha bisogno di avere forza anche in quegli angoli lì. Un altro punto importante è che certi esercizi vengono fatti sempre con l'ausilio del castello

perché si ha paura che le atlete non sappiano gestire il bilanciere: ma così succede che la schiena

non abbia una buona propriocettività. Questi esercizi, che vanno eseguiti con poco carico piano

piano, invece devono servire per imparare ad usare i muscoli in modo protettivo, cosa che non accade se c'è sempre un apparecchio che aiuta. Se invece si impara a farlo, questo va a beneficio

di una motricità migliore dal punto di vista propriocettivo ed evita anche problemi di schiena.

Rispetto alla schiena c'è anche un discorso sull'allungamento: nel maschile si sono già sviluppate

tecniche diverse, come il fatto di non usare tutte e due le gambe tese per allungare, che invece le donne, poiché sono più mobili e viene loro facilmente, tendono a fare. Questo è dannoso per la schiena.

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3) L'altro elemento è che le donne hanno bisogno di più lavoro di forza degli uomini, una seduta in

più durante la settimana. Questo perché la perdono più velocemente e quindi bisogna fare forza

anche quando ci si avvicina alla manifestazione; inoltre, confrontandosi anche con l'esperienza dell'atletica, si vede che la perdita di forza nella donna condiziona la tecnica. Negli uomini questo non avviene: la perdita di forza condiziona la performance ma non la tecnica stessa. Uno può

saltare meno, però la tecnica è quella; invece nelle donne molte volte con la mancanza di forza

certi movimenti non si riesce più a farli. Nella pallavolo questo si nota bene o muro e nelle posizioni

basse di difesa, perché per tenere una posizione bassa per molto tempo ci vuole forza nelle gambe.

Un altro elemento differente è che le donne hanno un recupero migliore degli uomini: hanno meno forza, meno esplosività, meno velocità, ma hanno un recupero migliore. Quindi credo che il lavoro

di resistenza debba essere fallo, ma curandolo soprattutto con la palla, perché i limiti tecnici sono evidenti. È soprattutto il ritmo dell'allenamento che deve essere alto e questo è sufficiente per dare

un livello di resistenza buono su una base generale di lavoro che ci deve essere. L'accento, nella preparazione, non va messo sulla resistenza, bensì sulla forza e sull'esplosività, poiché il problema

della resistenza è soprattutto una questione di recupero dal punto di vista metabolico, per cui basto

una buona base di lavoro. C'è invece il problema della resistenza neuromuscolare che è una

questione fondamentale nella pallavolo, li s che ci sono dei problemi, ma per la resistenza della esplosività e alla velocità".

TECNICA: CAMBIO PALLA

"A livello tecnico, la prima considerazione, molto ovvia, è che il cambio palla è molto più difficile

nelle donne che negli uomini. E lo è per tre motivi:

1) Perché la ricezione è più difficile. E questo è così, non è un problema di quanto siano brave, ma

dipende dal fatto che il campo è ugualmente grande ma la rete è notevolmente più bassa. La palla

arriva molto più veloce, più tesa, con più angolazione. Infatti la palla più difficile, e molto più

comune che nei maschi, è quella che scende sui quattro o cinque metri, da lontano: la battuto

corta che viene da lontano. E per questo stiamo studiando una soluzione che alcune squadre adoperano (la Cina): mettere una giocatrice al centro del campo sui quattro metri, una quarta giocatrice per quella palla.

2) Essendoci meno ricezioni perfette, la precisione del palleggio su una palla ricevuta male, sia da parte dell' alzatrice che delle altre giocatrici, è ancora più importante che nel maschile. Sia perché

ci sono più ricezioni negative, sia perché la potenza degli attaccanti è minore. Quindi una palla

staccata per una donna è molto più difficile che per un maschio: in questo caso infatti non è un

problema di altezza della rete, ma di potenza. E importante che il palleggio, da qualunque parte del campo, sia preciso. Nella alzata si vedono due errori molto chiari: la palla fuori asta e la palla staccata, più di un metro, da rete. Se la palla è alzata fuori asta non si può tirare lungo linea e

questo impedisce soprattutto di giocare il mani fuori sul posto due o quattro, nonché permette agli

avversari di schierarsi in difesa e muro sapendo la direzione che avrà la palla, quindi è difficile fare

cambio palla, serve un grande colpo, non ne basta uno normale.

C'è poi un problema più generale che riguarda l'alzata. Quello che ho notato è che, quando si

sbaglia in ricezione, tutti sono consapevoli che si è commesso un errore (palla sui cinque metri, ad esempio), dalle compagne all'allenatore. Di fronte a quella palla sui cinque metri, l'alzata non precisa non è considerata un errore come la ricezione: invece è un errore più grave, visto che è più

difficile ricevere che alzare preciso. Questo comporta che il carico psicologico sulla giocatrice in ricezione sia enorme, perché se riceve male tutto il problema è li. La ricevitrice, che per quel

fondamentale deve essere soprattutto tranquilla, perché la grinta, la determinazione non servono per la ricezione (dove contano tecnica, concentrazione e tranquillità), subisce così un sovraccarico

notevole, mentre chi alza non ha responsabilità.

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3) La tecnica d'attacco, in particolare il tempo sulle palle brune, perché si tende ad entrare troppo

presto. Questo avviene anche nel maschile, ma li, avendo una grande potenza di colpo molte volte si compensano questi piccoli errori tecnici in modo più facile. Nelle donne è ancora più importante

che il tempo sia giusto, che la mano sia buona, che ci sia variazione di colpi.

4) Effettività dei primi tempi. C'è da studiare bene il tempo, perché fare il primo tempo anticipato-anticipato come nel maschile è complicato: nel femminile, saltando meno, il palleggiatore ha meno

margine di errore. Appena l'alzatore sbaglia il tempo o la direzione della palla, già l'attaccante la

prende male; il maschio stando più tempo per aria, corregge più facilmente, la donna non ci riesce

e perciò tende a farlo più ritardato. Inoltre bisogna essere precisi su che tempo vogliamo e non lasciare che ogni volta si faccia diverso. L'errore più grave (su cui abbiamo lavorato anche nel

maschile) è che si tende a saltare con tempi sbagliati e troppo vicino a rete".

RICEZIONE

"Bisogna vedere se la percentuale in ricezione non può arrivare a livelli simili a quelli dei maschi,

perché nel femminile non c'è stata la modifica che c'è stata nel maschile dal punto di vista della

tecnica del bagher soprattutto per merito del modello dei giocatori americani. Non è che sono stati i

primi a farlo, già Skiba insegnava ai ragazzi ad avere un piano di rimbalzo largo; però è stato un

bel salto quando si è visto come ricevevano Kiraly e Berzins, questa importanza degli avambracci

rotati e la presa che si subordina a questo. Nel femminile è più diffuso il modello orientale, che

presenta la parte osseo delle braccia alla ricezione. Gli orientali hanno comunque una buonissima ricezione perché lavorano su una quantità enorme di ripetizioni che fanno sì che la sensibilità e la

coordinazione siano molto buone. Ecco, io credo che si possa migliorare molto il bagher se miglioriamo la superficie dove la palla rimbalza e c e anche da fare un lavoro di analisi tecnico della ricezione maggiore che nel maschile. il primo problema è la tecnica di bagher, soprattutto

questo fatto della superficie, il secondo è che il bagher non dipenda tanto dalle gambe. È

ovviamente importante arrivare bene con le gambe, però sappiamo che per la velocità che ha la

palla nella battuta femminile alle volte non ci possiamo arrivare: il bagher non si può

disorganizzare perché io non sono messo bene con le gambe, deve essere perfetto anche se io

sto cadendo, se io sono inginocchiato, se io non sono messo come vorrei. Invece spesso il bagher si disorganizza, si piegano le braccia, si modifica la presa, non si ruotano più in fuori gli

avambracci perché non sono arrivato bene con le gambe. Il terzo punto è l'importanza delle spalle,

della direzione delle spalle, in modo che orientino. Nel maschile è importante, nel femminile lo è di

più. Perché è molto più facile ruotare una spalla che tutta la posizione del corpo, sempre per la

maggiore velocità che ha la battuta nel femminile. Bisogna insistere anche rispetto allo

spostamento, perché il tempo è minore e quindi bisogna sviluppparlo molto. Però c'è, come nel

maschile, una esagerazione dell'importanza dello spostamento. Quando ho chiesto alle giocatrici qual è il problema della ricezione tutte mi hanno detto "lo spostamento": che è sì importante, ma è

uno dei problemi".

FASE PUNTO

"Rispetto al punto, la prima differenza è che i pallonetti e ancor più le palle sporche che toccano il

muro e rimangono sui tre - quattro metri, sono tante e molto più frequenti che nel maschile. Tutte le

squadre giocano avendo presente questo problema: la Russia, che ha la giocatrice che difende in posto sei avanzato, le cubane, che mandano l'uno o il cinque appena vedono che la palla è un po'

lenta, altre squadre che sono molte attente e vanno in rullata. Noi stiamo studiando questa situazione, per vedere che sistema usare, anche perché il modo di giocare è molto diverso da una

squadra all'altra e quindi è ipotizzabile di dover variare a seconda dell'avversario. A livello di muro

non si può proporre di aiutare il primo tempo come fanno 91i uomini perché altrimenti non arrivano

in banda; possono aiutare ma non così tanto".

IL 4-2

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"Non ho mai fatto di scelte tattiche scelte ideologiche: uso la tattica che conviene. Però credo che

sia un errore adoperare un sistema senza considerare gli altri per verificare se non convengano di più. Ed è proprio questo che sta succedendo, non solo in Italia ma a livello internazionale: tranne

Cuba, si fa 5-1, perché a pallavolo si gioca 5-1. Poi vedi squadre asiatiche che giocano senza seconda linea: quindi è 4-1, non 5-1. Uno può scegliere 5-1 o 4-2, ma non si può pensare che le

cubane vincano solo perché sono potenti: quando la squadra che ha dominato negli ultimi anni

gioca così, quel modulo merita almeno un'attenzione. Poi si farà il sistema che conviene. Le

squadre che giocano veramente 5-1 sono poche al mondo, cioè sono poche quelle che hanno

opposte in grado di attaccare da seconda linea in modo efficiente e che abbiano palleggiatrici che facciano la differenza giocando come uniche. Perché succede? Perché insieme ai problemi che

già c'erano per l'attacco da seconda linea, per il fatto che la rete è più bassa ma la riga dei tre

metri è sempre a tre metri, si è aggiunta la palla più sgonfia. E da vedere cosa succederà della

seconda linea.

Per fare il 5-1 ci vuole un'opposta che da seconda linea dimostri di essere più efficiente di una

palleggiatrice di prima, tenendo conto che, fra l'altro, di alzatrici che facciano una differenza notevole con gioco veloce ne vedo poche, anche a livello internazionale. Proprio perché il primo

tempo, date le percentuali più basse in ricezione, è più raro e si insiste molto di più in banda. Così

se una palleggiatrice in prima linea, schiacciando ovviamente meno palle di una schiacciatrice in quattro, è più efficiente in attacco che un opposto da seconda, credo che valga la pena giocare 4-2.

Nel 4-2 le palleggiatrici devono palleggiare bene e o avere un forte muro o avere un buon attacca. Però è da vedere caso per caso: ci sono giocatrici a tuffo campo, ottime nei recuperare le palle,

brave negli appoggi, giocatrici che svolgono bene tutte le tecniche delle situazioni di emergenza che sono importanti nell'economia del gioco, soprattutto nel femminile dove c'è maggior continuità

di gioco. Non vorrei fare leggi generali anche perché ognuno deve basarsi sulle giocatrici che ha,

non su quelle che vorrebbe avere. Mi piacciono le giocatrici che ho: il mio lavoro è migliorare

queste e metterle in campo in modo che le caratteristiche dell'una si compensino e si integrino con quelle dell'altra".

METODOLOGIA D'ALLENAMENTO

"Non ci sono grandi differenze, almeno per come alleno io. Bisogna evitare di approfittare del fatto che le donne tendono ad accettare più docilmente le indicazioni dell'allenatore senza metterle in

discussione: si deve stimolare la giocatrice in modo che sia Consapevole di quello che fa, a che cosa le serve, mettendolo immediatamente in rapporto con il gioco, e non che lo faccia perché

l'allenatore la dice. Si lavora anche analiticamente, anche con esercizi sintetici, ma sempre chiarendo che queste cose vanno falle perché nel gioco si applicano in quel determinato modo. Gli

esercizi devono rispettare il più possibile la struttura del gioco, e bisogna sottolineare in che occasione si usano. Questo vale anche in un contesto più generale. lo credo che serva far vedere

le cose più che spiegarle con lunghi discorsi, farle vedere sia in palestra che con il video,

prendendo come punto di riferimento le migliori squadre del mondo. Nel femminile ha trovato più

che nel maschile che ogni allenatore dice "io la penso casi invece di dire, ad esempio, "noi facciamo in difesa come le russe, a muro come le cubane, in attacco come le cinesi". È importante

che ci siano modelli più chiari, ed è un discorso che estenderei anche al settore giovanile

maschile. L'importanza del modello tecnico, del modello motoria, per i giovani, è fondamentale; per

questa bisognerebbe che gli allenatori portassero i loro ragazzini o ragazzine alle partite di serie A, per guardare come i campioni fanno certe cose, in modo da fissare nei giovani questi modelli. Io credo che questo dovrebbe far parte di un programma di sviluppo tecnico: si accelererebbe moltissimo la crescita se il modello tecnico che si fanno questi ragazzi fosse più concreto".

TIPI DI ALLENAMENTO

"Fino ad ora gli allenamenti che abbiamo fatto servivano soprattutto per vedere le giocatrici; abbiamo fatto pochi esercizi di tecnica individuale, analitici e sintetici, che invece faremo quando

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TEORIA E METOLOGIA DELL�ALLENAMENTO 93

cominceremo il 21 aprile. Abbiamo fatto molti esercizi in condizione globale per vedere come reagivano a certe situazioni. Sulle situazioni individuali, faremo come abbiamo sempre fatto con il maschile, dando delle priorità per ogni singola giocatrice. L'allenamento globale non esclude il livello di lavoro analitico, che va ad integrare. Per esempio con il bagher, per lavorare su come mettiamo le braccia, facciamo bagher contro il muro, non si può fare solo battuta e ricezione. Se

non sappiamo fare la rullata a sinistra, bisogna fare lavori analitici di rullata a sinistra. Per l'attacco, il lavoro di analisi senza muro lo faremo con il primo tempo. In banda è più facile lavorare analitico

ma nel globale. Per esempio tirare lungo linea con un muro che lascia la lungo linea. Oppure per allenare il mani fuori (ci sono poche ragazze che lo sanno fare bene, e dipende pure dalle alzate fuori asta), tirare in lungo linea con il muro piazzato in lungo linea.

È molto importante comunque allenare l'attacco con la rete dei maschi come fanno le cubane e le russe, che usano anche il tre contro tre solo da seconda linea. Qui bisogna avere come esigenza la potenza, non la palla piazzata. La priorità è quella di cercare la palla alta e forte e poi c'è la

variazione dei colpi. Se si allena senza muro si può lavorare sulla direzione, per esempio tirando

addosso ad una in difesa e la palla deve andare lì e non a un metro dalla giocatrice (questo serve

anche per tenere la palla forte in difesa), ma lavorare senza muro e senza un compito preciso di direzione non ha senso. In generale nel femminile si attacca troppo senza muro: ed è un problema

per l'attacco, ma anche per il muro che si fa poco. C'è questo problema della quantità di lavoro che

si fa su questo fondamentale, sia dal punto di vista tecnico che fisico. Poi è logico che, poiché la

donna come carico di lavoro di salto sopporta meno dell'uomo, bisogna anche gestire bene la quantità di salti".

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TEORIA E METOLOGIA DELL�ALLENAMENTO 94

TEORIA E METODOLOGIA DELL�ALLENAMENTO

1 TEORIA DELL� ALLENAMENTO (Marcello Rocca) 1

2 TEORIA E METODOLOGIA DELL� ALLENAMENTO (E. Barigelli) 10

3 ASPETTI PRINCIPALI DELL� ALLENAMENTO (Riv. Scie.) 23

4 LA FORMAZIONE TATTICA: SQUADRA E GIOCATORE (Badin) 25

5 INSEGNARE A GIOCARE (J. Velasco) 27

6 ORANIZZAZIONE ESERCIZI E ALLENAMENTI (Horst Baacke) 31

7 CAPACITA� ATTENTIVE (Riv. Scie.) 37

8 LO SPIRITO DI SQUADRA E� LA CHIAVE DEL SUCCESSO (J. Velasco) 52

9 LA GESTIONE DEL GRUPPO (G. Lamanna) 56

10 LA LEADERSHIP (G. Lamanna) 59

11 LA SCELTA DEL CAPITANO (Mauro Berruto) 63

12 LE BASI DELLA MOTIVAZIONE (Cei) 65

13 L� USO DEL RINFORZO (Cei) 70

14 GESTIONE TATTICA DI UNA PARTITA (Marco Bonitta) 74

15 CLASSIFICAZIONE DEGLI ERRORI NELLA PALLAVOLO (Flavio Berardi) 78

16 LA FILOSOFIA DELLA FASE PUNTO (J. Velasco) 80

17 L� IMPORTANZA DELLO SCOUT (S. Franceschi) 87

18 LA PALLAVOLO FEMMINILE (J. Velasco) 89