Tecniche, trucchi e strategie per imparare a sfruttare al meglio l’impianto cocleare nell’età...
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Tecniche,
trucchi e strategie
per imparare a sfruttare al meglio
l’impianto cocleare
nell’età adulta
-I primi mesi-
Andrea Pietrini
Marzo 2011
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Nota: tutto quanto riportato nelle pagine che seguono è il risultato di una esperienza
personale. Non si pretende di dare rimedi per “guarire dalla sordità”, bensì di
illustrare un percorso di recupero dell’ascolto basato su alcuni principi generali, al
fine di riuscire a capire come sfruttare al meglio l’impianto cocleare; percorso che, è
bene specificare, è ancora ben lungi dall’essere concluso. Quanto riportato ci si
augura possa fornire indicazioni generali e suggerimenti che possano essere utili a
tutti, o almeno servire da materia di discussione.
Nella trattazione si cercherà di fare un discorso per induzione, partendo cioè dal caso
personale e dall’ascolto dei casi di altri soggetti e operatori, per arrivare a
considerazioni di carattere generale.
Verranno date per scontate tre cose: che l’operazione chirurgica sia stata effettuata
con successo; che le varie parti dell’impianto cocleare funzionino correttamente; e
infine che il soggetto sia affetto da sordità senza altre gravi patologie concomitanti.
Se queste tre condizioni preliminari non vengono rispettate, tutti i discorsi nelle
pagine che seguono serviranno a poco.
Il caso personale di chi scrive è quello di una persona sorda, adulta, portatrice di
protesi acustiche, riabilitata con metodo oralista, e con almeno 35 anni di sordità alle
spalle al momento di affrontare l’impianto cocleare.
Per arrivare a quanto viene descritto, è stato seguito un solo metodo: quello del
“provando e riprovando”, ovvero andando per tentativi ed errori continui, fino ad
arrivare ad una soluzione ritenuta valida. Gli errori, in questo caso, non sono
nemmeno da considerare tali, in quanto sono stati utili per eliminare le cose che “non
funzionano”, e avvicinarsi invece a quelle “che funzionano”.
Ancora: quanto riferito a proposito di “sordità”, riguarda il caso delle sordità
profonde. Le sordità lievi e medie infatti presentano problematiche assai diverse, e
per questo tipo di sordità non è nemmeno raccomandato l’impianto cocleare, dal
momento che un buon apparecchio acustico risolve adeguatamente la maggior parte
dei problemi.
Altra considerazione: qui si parla di adulti; pertanto, nulla di quanto riportato
andrebbe estrapolato e riferito ai bambini con impianto cocleare, in quanto le due
tipologie di persone (adulti e bambini) presentano problematiche e caratteristiche
molto differenti.
Per domande o chiarimenti, scrivere a: [email protected]
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Indice
Introduzione pag 3
Le due grandi domande (e le risposte) pag 11
L’errore più grande pag 13
Teoria dell’allenamento pag 15
INTERMEZZO: Fenomenologia del “Campione” pag 18
Dieci e Venti pag 19
L’importanza di una corretta attrezzatura pag 26
INTERMEZZO: Tutto insieme appassionatamente…o no? pag 27
Pre-esercizi pag 28
Esercizi iniziali pag 29
INTERMEZZO: Simulazione di sordità. pag 33
A proposito di logopedia pag 34
La Radio, strumento principe pag 35
Il Mappaggio fatto in casa pag 39
Conclusione pag 41
APPENDICI pag 42
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Introduzione (ovvero: tutto l’essenziale che c’è da sapere)
In queste pagine si parlerà di recupero dell’ascolto dei suoni nell’età adulta,
utilizzando l’impianto cocleare, con particolar riferimento ai suoni più importanti,
cioè le voci umane.
Quale è la necessità di parlare di questo argomento? Il bisogno di parlarne nasce da
diverse considerazioni: la prima è che “sentire” con l’impianto cocleare è un modo
completamente diverso di “sentire” rispetto all’apparecchio acustico. Il meno che si
possa dire è che la persona che per tutta la vita ha portato l’apparecchio acustico si
trova catapultata in un altro mondo, nel giro di pochi istanti. I suoni sono differenti:
non c’è più alcuna corrispondenza, o ce ne è pochissima, con i suoni precedenti.
Vengono a mancare cioè quei minimi punti di riferimento sonori sui quali si faceva
affidamento. La seconda è che si è consolidata l’abitudine di affermare che gli adulti
che decidono di “farsi l’impianto cocleare” non hanno bisogno, dopo, di far nulla di
particolare, perché “…gli adulti che passano all’impianto cocleare imparano da soli
a utilizzarlo, con il tempo e l’esperienza personale” (in parole povere, questa frase
significa: “dovete fare da soli, imparerete spontaneamente”). Affermazione sulla
quale si può essere d’accordo, ma che, almeno all’inizio, lascia la persona nella
condizione di doversi arrangiare senza avere particolari punti di riferimento, fermo
restando che un aiuto iniziale si può ottenere con la logopedia. Senza contare poi che
impostare un avvio errato può causare errori che si trascinano nel tempo.
Il terzo fatto è la sensazione che ancora oggi non si sappia molto riguardo a come
debba essere utilizzato l’impianto cocleare (funziona? non funziona? ma come
funziona?), dal momento che si assiste a una quantità di opinioni discordanti, che
danno alla fine l’impressione che, come si sente spesso dire (sottovoce, ovviamente)
durante i seminari e i convegni “…in fondo, di impianto cocleare non ci capisce
niente nessuno”. Per non parlare di medici specialisti che troncano ogni discussione a
priori: l’impianto cocleare non serve.
La quarta considerazione, infine, è che mentre tutte le discussioni riguardanti
l’impianto cocleare nei bambini vengono trattate estesamente, assai di meno si tende
a farlo per gli adulti.
L’insieme di questi fattori fa sì che la persona sorda adulta possa trovarsi di fronte a
grosse difficoltà nell’utilizzo appropriato dell’impianto cocleare, con la conseguenza
che mancherà di sfruttarlo, oppure lo utilizzerà solo in parte. Del resto, come dargli
torto? Nessuno gli ha fornito un manuale di istruzioni del tipo “Guida pratica per
tornare a udire”, al contrario, si è dovuto arrangiare da solo. Per non parlare del fatto
che ancora oggi molti medici sconsigliano a priori l’operazione perchè (caso
personale) “sei troppo vecchio alla tua età” oppure “a te l’impianto cocleare non
sarà di alcun beneficio”?
Quindi la domanda è: posta la condizione che l’operazione chirurgica sia andata bene,
che tutto funzioni, e che la persona sorda non abbia altre patologie associate, è
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possibile ottenere risultati con l’impianto cocleare, anche con 35-40 anni di sordità
alle spalle con la quale fare i conti?
La risposta è SI, decisamente sì.
A condizioni però molto precise: capire come funziona l’impianto cocleare, sapere
cosa ci si può aspettare e cosa no, avere le giuste aspettative, avere avuto una buona
riabilitazione (o abilitazione) in precedenza, e soprattutto avere tanta, tantissima
buona volontà e capacità di sacrificarsi. Perché, questo deve essere chiaro, la persona
sorda adulta che cerca di recuperare l’udito è come un atleta che si allena per un
importante evento sportivo. Ci sarà il Campione, naturalmente dotato e portato per lo
sport, che avrà buoni risultati anche con poco allenamento, e ci saranno gli sportivi
dilettanti, che dovranno faticare per arrivare al medesimo risultato
Quello che qui si vuol suggerire è una strategia per l’utilizzo dell’impianto cocleare
basata su un metodo, al fine del recupero dell’ascolto, e utilizzando tutti i mezzi, più
o meno ortodossi, che la tecnologia e la creatività ci mettono a disposizione. Sia ben
chiaro: è perfettamente possibile fare a meno di un metodo, non utilizzandolo affatto,
come hanno fatto molte persone, raggiungendo parimenti ottimi risultati; tuttavia è
altrettanto vero che, utilizzando un metodo, e imponendosi una certa disciplina, è
possibile che i risultati siano migliori, e conseguiti in minor tempo. Superati i
quaranta anni, con una vita già impostata, recuperare una buona condizione di ascolto
e comprensione (o acquistarla da zero, nel caso non la si abbia mai avuta…) in uno o
due anni di lavoro è un fatto; impiegarci invece tre, quattro, cinque anni, senza
metodo e senza disciplina, per arrivare agli stessi risultati, è un'altra cosa. Diciamolo,
è una bella differenza.
Questo metodo in fondo sarebbe meglio chiamarlo “allenamento”, in quanto non è
altro che l’applicazione disciplinata e metodica di azioni consapevoli, ripetute nel
tempo.
Personalmente, mi sono convinto di una cosa: il fatto che per quanto riguarda
l’impianto cocleare molte idee siano ancor oggi poco chiare, è dovuto in buona parte
al fatto che è impossibile entrare all’interno di una persona e capire con precisione
cosa gli sta succedendo, le sensazioni che sta provando, il modo in cui l’impianto
cocleare sta funzionando. Molto raramente poi una persona sorda adulta decide di
mettere nero su bianco un diario, una cronaca, un resoconto, una serie di
suggerimenti, diretti agli osservatori, agli specialisti, ai semplici curiosi. Le persone
normoudenti non possono ovviamente entrare dentro la testa delle persone sorde (e
viceversa), e hanno molte difficoltà a capire cosa accade, andando quindi a cercare di
indovinare per tentativi, supposizioni, probabilità.
Ma se si riuscisse a venire incontro gli uni gli altri, si otterrebbero tre grandi risultati:
le persone normoudenti capirebbero come funziona un impianto cocleare; le persone
sorde che devono ancora sottoporsi all’intervento avranno una idea di cosa li aspetta;
e infine le persone sorde già portatrici di impianto cocleare potranno trovare spunti
per migliorare sempre di più.
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L’impianto cocleare (IC), o orecchio bionico, è uno strumento che, nelle sordità
profonde, cioè in presenza di una perdita uditiva maggiore di 100 decibel, aiuta a
udire i suoni in maniera più completa, seppur molto diversa, dell’apparecchio
acustico classico, tenendo anche conto che il loro principio di funzionamento è
differente (amplificazione dei suoni nel caso dell’apparecchio acustico, stimolazione
elettrica del nervo acustico nel caso dell’IC).
E’ di fondamentale importanza capire il seguente meccanismo d’azione:
- nella prima fase l’IC raccoglie i suoni esterni e li fa “arrivare in testa” alla
persona, che li percepisce (processo passivo, svolto automaticamente: il
soggetto non partecipa);
- nella seconda fase, la persona, oltre a percepirli, “si rende conto” della natura
di quei suoni, dando ad essi il corretto significato (processo attivo, il soggetto
deve partecipare).
Facciamo un paragone per semplificare: l’impianto cocleare è come un postino che
consegna la corrispondenza proveniente dal mondo esterno al destinatario (è chiaro
che il postino non conosce il contenuto della corrispondenza, bensì si limita a
recapitarla). Il destinatario (ovvero, la persona sorda) dal canto suo, riceve tutte le
lettere che gli sono state spedite, ma se vuole conoscerne il contenuto non può
rimanere lì con le buste in mano: deve compiere l’atto volontario e consapevole di
aprirle e leggerle.
Ecco, l’impianto cocleare è assai simile: spedisce i suoni, ma poi è la persona sorda
che deve “riceverli e leggerli”, ovvero, una volta percepiti, dargli un significato.
Ma quale è il problema? Il problema è che la corrispondenza non è così facile da
leggere, dal momento che i suoni (la corrispondenza) possono risultare estremamente
diversi da come si riteneva che fossero in precedenza, ad esempio quando si
utilizzava l’apparecchio acustico (“la corrispondenza adesso mi arriva scritta in
inglese anziché in italiano! Mi toccherà dover tradurre tutto quanto, per capire!”).
Addirittura in alcuni casi i suoni possono costituire una novità assoluta, trattandosi di
suoni mai uditi in precedenza (“questa lettera ha alcune parti scritte in un alfabeto che
non ho mai visto! Mi toccherà imparare un alfabeto nuovo!”).
Non è quindi l’impianto cocleare a dare il significato ai suoni, ma la persona, che li
deve interpretare. L’impianto cocleare si limita a far arrivare il suono a destinazione.
Quanto sopra esposto significa anche un’altra cosa, rovesciando l’ottica; e cioè che è
possibile sentire i suoni, ma senza “capirli”, e ciò avviene principalmente in due casi:
1) nel caso che si tratti di parole mai sentite, di cui non si conosca il significato; 2) nel
caso non si presti sufficiente attenzione, un pò come accade a una persona
normoudente che si trova sovrappensiero e ascolta la radio o la televisione senza
realmente ascoltare. Questo secondo caso è di importanza estrema, come vedremo.
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I suoni vengono percepiti sempre, poichè la loro ricezione è automatica; ma non
sempre vengono compresi, perché la comprensione non è un fatto automatico.
Con il giusto allenamento i due processi, attivo e passivo, ovvero percezione e
comprensione, diventeranno quasi simultanei e, prestando attenzione, la persona
riuscirà a “capire” praticamente nello stesso momento in cui percepisce il suono.
Esattamente lo stesso fenomeno che accade alle persone normoudenti quando
ascoltano, e similmente a quanto accade con la “lettura labiale” (ovvero il guardare il
movimento delle labbra, e contemporaneamente capire quali parole vengono
pronunciate) che nelle persone sorde è una metodica molto utilizzata e considerata di
routine, ma che desta sempre un certo stupore e ammirazione in chi non la conosce, e
la considera una cosa complessa che richiede molta abilità.
Se si vogliono “capire” i suoni dell’IC, bisogna farlo concentrandosi e dedicando
l’attenzione ai suoni che arrivano dentro la testa.
Sembra un’ovvietà, eppure è questo il concetto più importante da capire; è il perno
intorno al quale ruota il corretto utilizzo dell’IC e, allo stesso tempo, la sua mancata
comprensione e applicazione è alla base degli errori più comuni, primo fra tutti quello
che limita l’impianto cocleare al solo utilizzo passivo (percepire suoni, senza capirli).
Attenzione, attenzione, attenzione: “capire” una parola o una frase è un compito
molto facilitato se le parole stesse sono già presenti nella testa di chi ascolta:
ascoltare, per esempio, una parola rara e poco frequente come, ad esempio,
“surrettiziamente”, darà vari risultati: se è una parola conosciuta e al tempo stesso si
ha un buon ascolto, verrà immediatamente riconosciuta; se invece è una parola
sconosciuta, ma si è acquisito un buon ascolto, si riuscirà a ripeterla in maniera più o
meno corretta; se infine la parola è sconosciuta e l’ascolto non è buono, non si
riuscirà nemmeno a ripeterla correttamente.
Da qui ne consegue che: 1) l’impianto cocleare sembra funzionare molto meglio se
nella mente sono già immagazzinate molte parole e si padroneggia a dovere la
grammatica e la sintassi. 2) Per “sentire meglio” è importate fare molto allenamento
acustico per i suoni e per tutte le loro sfumature, e quindi avere più probabilità di
sentire e capire parole e frasi.
La differenza tra impianto cocleare e apparecchio acustico, in realtà, è ancora più
sottile, perché con l’apparecchio acustico i suoni vengono percepiti in maniera non
solo differente, ma anche parziale e limitata (e quindi la loro comprensione è ridotta
di conseguenza). Ciò significa che la persona sorda profonda con l’apparecchio
acustico crede di sentire i suoni per intero, mentre in realtà, non potendo fare alcun
confronto, ne percepisce solo una parte…. credendo che quella piccola parte sia il
tutto. Ed è soprattutto questo il motivo per cui la persona sorda con apparecchio
acustico ha bisogno di “guardare le labbra di chi parla”, per comprendere quello che
sta dicendo, dal momento che i suoni che sente sono pochi e frammentari, e quindi
perlopiù inutilizzabili.
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Per contro, con l’impianto cocleare è vero che si sentono i suoni “diversi” rispetto
all’apparecchio acustico, ma li si sente anche in numero molto maggiore e con molte
più sfumature, e quindi il problema della comprensione è, almeno sul piano teorico,
facilitato. Compito ancor più facilitato se la persona sorda ha acquisito in precedenza
una buona competenza e conoscenza linguistica, che le permette di avere dentro la
testa tutto il vocabolario, la grammatica, la sintassi, la proprietà di linguaggio. In altre
parole, è un po’ come andare a frugare in un deposito alla ricerca di oggetti
conosciuti che sono stati però gettati e mescolati alla rinfusa. Bisogna ritrovare
oggetti conosciuti, che si trovano però in un gran disordine.
Ma come funziona il processo di identificazione dei suoni e delle parole? Il processo
è abbastanza simile a quello di una persona normoudente che ascolta una radio in
lingua straniera: indipendentemente dall’attenzione dedicata, egli sente tutto, ma non
capisce niente (dal momento che non conosce la lingua). Ecco, la persona sorda
portatrice di IC si trova inizialmente –ma solo inizialmente- in una situazione simile:
sente tutto, ma non capisce nulla …eppure sta ascoltando la propria lingua! Il
compito quindi è quello di capire ciò che si sente, cioè la persona sorda deve
“imparare” (termine improprio) una lingua straniera, che, in questo caso, coincide
con la propria lingua (e come detto prima, tutto il processo del ri-apprendimento della
propria lingua è facilitato se, ripetiamo, la persona conosce già un buon numero di
vocaboli, la grammatica, la sintassi).
Consideriamo sempre l’ascolto di una radio, ma stavolta supponiamo di star
utilizzando solo gli apparecchi acustici; ebbene, la situazione è ancor peggiore.
Dobbiamo immaginare che la radio si trovi chiusa in un’altra stanza, e noi dobbiamo
ascoltarla attraverso la porta chiusa: praticamente impossibile. Tutto quello che si
sente è un borbottio ovattato, lontano, incomprensibile. Ecco, questo è quello che
sente chi utilizza l’apparecchio acustico.
Torniamo un attimo al meccanismo d’azione dell’impianto cocleare scritto poc’anzi:
- prima fase: raccolta dei suoni esterni (processo passivo);
- seconda fase: “capire” i suoni, dando ad essi il significato (processo attivo).
Ebbene, con l’apparecchio acustico è impossibile completare il processo perché,
semplicemente, durante la prima fase una parte troppo piccola dei suoni è stata
recepita.
Esempio: ci troviamo nella stessa situazione di dover capire il seguente brano:
“Xpxrsx lx trxccx mxrbxdx sxll’ xffxnnxsx pxttx, lxntx lx pxlmx x rxrxdx dx mxrtx xl
bxxncx xspxttx”…
Ma cosa succede con l’impianto cocleare? Succede che siamo ora in grado di
spalancare la porta, entrare nella stanza dove si trova la radio, e metterci accanto ad
essa: si sentirà forte e chiaro, e il nostro compito sarà quello di dare un senso a questi
suoni.
“Sparse le trecce morbide sull’affannoso petto, lenta le palme e ròrida di morte il
bianco aspetto…”
E riconoscere così che si trattava di “Morte di Ermengarda” di Alessandro Manzoni.
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La parola (o frase) che con l’apparecchio acustico sembrava composta solamente di
due o tre suoni, adesso, con l’impianto cocleare appare composta di almeno dieci-
quindici sonorità diverse, concatenate tra loro. Quindi bisogna “imparare” che a
quelle quindici sonorità corrisponde una ben determinata parola o frase, e, dopo,
quando la riascolteremo, sapremo riconoscere quella parola in mezzo a tante altre.
Con l’esperienza e l’esercizio verranno riconosciuti interi flussi di parole, in
sequenza, l’una dopo l’altra.
Questo compito, con le protesi acustiche, non è possibile perché, in caso di sordità
davvero profonde, l’apparecchio acustico NON fa arrivare all’orecchio tutti i suoni,
ma solo una parte insufficiente. Non è possibile quindi “capire” quello che si sente, se
le informazioni uditive sono poche e frammentarie. Si riuscirebbe ad ascoltare una
radio collocata in un’altra stanza, a medio volume, con la porta chiusa? Certamente
no. Ed è precisamente quello che accade.
Una persona sorda si renderà conto di tutto questo solo successivamente, una volta
che comincia a usare l’IC, e potrà allora fare un confronto con il passato.
Torneremo su questo punto con l’importantissima “Simulazione di sordità”, più
avanti.
In sintesi: l’apparecchio acustico, nei casi di sordità profonda, fa percepire solo una
parte dei suoni, che quindi non possono essere riconosciuti nella loro interezza.
L’impianto cocleare fa sentire tutti o quasi tutti i suoni, ma in maniera diversa rispetto
a prima. Quindi bisogna re-imparare il significato dei suoni e delle parole, per poterli
comprenderli appieno. Una volta re-imparati, sarà più facile capirli, perché questa
volta saranno percepiti in maniera più completa rispetto a prima.
La difficoltà insita in questo lavoro di riconoscimento è tanto maggiore, quanto più
grave è la sordità, e quanto più essa è presente nel tempo. Una persona che ha perso
l’udito da pochi mesi si troverà probabilmente avvantaggiata rispetto a una persona
sorda dalla nascita o da molti anni, in quanto ha conservato maggior “memoria” di
come erano fatti i suoni e può fare più facilmente il paragone tra suoni “vecchi” e
suoni “nuovi”. Al contrario, la persona sorda da lungo tempo probabilmente i suoni
non li hai mai sentiti, ha sempre avuto a che fare con “surrogati” di suoni (come ad
esempio quelli che si sentono con l’apparecchio acustico), magari di alcuni di questi
non conosce addirittura l’esistenza, e quindi ha bisogno di un tempo più o meno
lungo per recuperare.
Detto così, sembrerebbe che con l’impianto cocleare, magari dopo tanto lavoro, si sia
riusciti a risolvere il problema sordità: purtroppo non è così, in quanto l’udito
normale (ovvero: la guarigione dalla sordità) non è al momento un obiettivo
realisticamente raggiungibile, per limiti tecnici attuali dell’impianto cocleare. Ma non
è questo l’obiettivo: l’obiettivo ultimo, ricordiamolo sempre, è far sì che la sordità
non arrivi a rendere difficoltosa o impossibile la propria esistenza quotidiana,
impedendo che si manifestino appieno tutte le proprie potenzialità. Cosa che,
purtroppo, molto spesso, troppo spesso, accade.
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Con l’impianto cocleare non si guarirà dalla sordità, però ci si potrà avvicinare
all’obiettivo del “sentirci meglio”, a patto che l’impianto cocleare non venga
utilizzato in maniera errata, oppure coltivando aspettative sbagliate, come, anche in
questo caso, molto spesso, troppo spesso, accade.
I risultati che si ottengono con l’impianto cocleare sono assai soggettivi (chi recupera
di più, chi recupera di meno; c’è chi recupera straordinariamente, ma c’è anche chi
dopo un anno ancora non riesce a discriminare le vocali….) ma bisogna anche dire
che probabilmente alcune persone non hanno compreso l’uso corretto dell’IC; e
inoltre tutti arriveranno, prima o poi, a scontrarsi con l’ostacolo più grande, ovvero
l’ascolto in presenza di più suoni concomitanti, che formeranno una foresta
inestricabile nella quale sarà difficile orientarsi (esempio pratico: ascoltare e capire
una voce, con frastuono in sottofondo). Questa difficoltà non è dovuta alle scarse
capacità della persona, ma ai limiti intrinseci dell’IC nella gestione di fonti di suono
multiple, e per ottenere qualche progresso in questo campo bisognerà applicarsi
molto, e la cosa più importante sarà possedere buone basi di partenza.
E’ importante inquadrare tutto il problema nella maniera più organica e razionale
possibile. Impostando una “riabilitazione” (o allenamento ai suoni) non lasciata al
caso, né arrangiata alla meno peggio, si può recuperare prima, e forse anche meglio.
E’ proprio questo l’obiettivo che si vuol raggiungere: un allenamento mirato che
permetta un recupero della comprensione al meglio delle proprie possibilità, per poter
avere una vita quotidiana il più possibile facilitata nella relazione con il mondo
esterno e con gli altri.
Un primo corollario da tenere a mente è che il problema negli adulti può essere
diverso da quello dei bambini, in quanto negli adulti il lavoro primario consiste nel
“riconoscere” suoni dei quali forse già si aveva una vaga idea o comunque
un’immagine, o un significato, dentro la propria mente; nei bambini, invece, il lavoro
primario consiste nell’appropriarsi dei suoni per la prima volta, e il fine primario è
l’apprendimento della lingua.
Quindi, in queste pagine si parlerà esclusivamente di adulti con sordità profonda,
pertanto quanto si legge in queste pagine NON dovrà essere riferito ai bambini (se
non valutando caso per caso, e a discrezione dei genitori o del personale
specializzato).
Buona lettura e buon lavoro!
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Le due grandi domande (e le risposte)
Prima domanda: tornerò “udente”?
Andiamo subito al dunque. La domanda che viene posta in maniera quasi ansiosa, e
sempre con una speranzosa risposta positiva, è la seguente: “Ma io, con l’impianto
cocleare, sentirò esattamente come una persona normoudente?”. Più brutalmente:
“Diventerò come un udente?”
Bene, senza tanti giri di parole, la risposta è: NO.
La risposta è no, non solo in seguito a indagine statistiche relative a confronti tra
persone portatrici di IC e persone normoudenti (della serie “Chi dei due sente
meglio?”), a tante considerazioni immancabilmente fatte sulle dinamiche acustiche (il
padiglione auricolare non raccoglie il suono, il suono è distorto, eccetera) bensì in
seguito a una semplice comprensione dei meccanismi di funzionamento dell’impianto
cocleare stesso. Dal momento che esso segue precise regole matematiche di
arrangiamento, taglio, compressione e suddivisione applicate ai suoni, ovvero una
approssimazione (è come dire: “Il suono così come è nella realtà non si può
riprodurre, quindi cerchiamo in qualche modo di imitarlo”), si può supporre che i
suoni che verranno ascoltati non saranno esattamente uguali a quelli reali, bensì
appunto “approssimati” (in maniera più o meno raffinata) rispetto a quelli che sono i
suoni nella realtà. Quanto approssimati? Ogni costruttore di IC adotta metodi propri,
quindi il discorso diventa molto complesso, senza contare che alla fine il risultato
dell’ascolto è soggettivo.
Aggiungiamo poi che il suono nell’IC è veicolato da una ventina di elettrodi che
trasmettono al nervo acustico un suono rimaneggiato, mentre l’udito naturale è
garantito dall’azione del suono naturale su circa quindici-ventimila cellule ciliate che
recepiscono le onde sonore.
Poi potremmo aggiungere tante altre considerazioni, ma, sommando tutte queste
indicazioni, ne vien fuori che la persona portatrice di IC sentirà sempre “peggio“
rispetto a una persona che sente normalmente. Di nuovo: quanto “peggio”? Questo
dipende da tanti fattori: come è stata fatta l’operazione chirurgica, come viene fatta la
riabilitazione, l’allenamento ai suoni, quanta volontà ci si mette, con quanta
intelligenza, eccetera. Senza poi contare che la “comprensione” (che alla fine è quello
che conta) sarà facilitata anche dal bagaglio culturale posseduto.
Impostando in maniera così pessimista questo discorso alla fine se ne dedurrebbe, a
prima vista, che non vale la pena affaticarsi tanto, perché comunque non si arriverà a
sentire in maniera perfetta, pertanto l’IC non è tutta quella gran meraviglia che
sembra, quindi meglio prendersela comoda e dedicarsi a cose più piacevoli. Giusto?
No, sbagliato.
E’ proprio il fatto di non sapere fino a che punto di recupero sia possibile arrivare,
che dovrebbe – anzi deve- servire da stimolo per migliorare. Finchè non si compie un
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serio tentativo, applicandosi seriamente e coscientemente, non si può sapere fino a
che livello si può arrivare. Quindi, non siate pigri e remissivi, e affrontate questa
sfida con il massimo impegno. State lavorando per la sfida più affascinante che
esista: quella per migliorarvi.
La cosa veramente importante sarà il come, e in che misura, la persona sorda riuscirà
a riconoscere questi suoni più o meno fedeli all’originale, e riuscire ad utilizzarli.
Supponiamo di ascoltare una voce in ottima qualità CD audio, e poi ascoltarla,
identica, su un vecchio giradischi malandato, con un antiquato disco di vinile 33 giri
tutto graffiato: ebbene, nel secondo caso si sentirà malissimo; ma l’importante è
riuscire a sentire cosa viene detto. Se poi la qualità audio è quella di un CD oppure
quella di un vecchio disco graffiato, questo è un aspetto secondario.
Badate al concreto! L’importante è capire!
Non tornerete udenti nel significato più tradizionale della parola -questo datelo per
scontato- ma avvicinarsi molto al “sentirci bene” sarebbe già un risultato splendido.
E il risultato – questo deve essere assolutamente chiaro- dipende in gran parte
da voi.
Non ponetevi come risultato quello di tornare a udire come gli udenti, perché non
sarà così. Non coltivate illusioni che potrebbero alla lunga demoralizzarvi. Non fate
però nemmeno l’errore opposto, ovvero di non avere alcun obiettivo. Puntate in alto,
lavorate per ottenere il massimo recupero, che ovviamente non potrete conoscere in
anticipo. Rovesciate quindi il problema, non pensate a tornare udenti, pensate
piuttosto a quanto vi potrete avvicinare al “sentirci sempre meglio”. Se riuscirete, alla
fine, a cavarvela nella totalità (o quasi totalità) delle situazioni della vita quotidiana,
avrete raggiunto l’obiettivo, anche senza essere tornati “udenti”.
Riassumendo: con l’impianto cocleare non si tornerà a sentire come le persone
“udenti”, ma non potremo sapere quanto sarà grande il nostro miglioramento, finchè
non si sarà fatto un serio tentativo. Pertanto, è bene lavorare con il massimo impegno
e massima buona volontà per ottenere risultati che, chissà, potranno anche essere
molto buoni.
Seconda domanda: l’impianto cocleare funziona davvero?
La cosa più importante che bisogna capire (prima la si capisce, meglio è…) è che
l’impianto cocleare è uno strumento neutro. E’ una sorta di robot dentro la vostra
testa: la sua unica funzione è mandarvi meccanicamente suoni al cervello. Tutt’al più,
mediante regolazioni esterne potrà favorire alcuni suoni al posto di altri, alzarne il
volume di alcuni, abbassarne altri, ma il suo compito è “prendere” l’ambiente sonoro
esterno e “farlo arrivare dentro la testa”. Qui bisogna fare attenzione, perché stiamo
parlando della pura percezione sonora. L’ascolto e la comprensione sono fenomeni
successivi alla percezione. Le persone che ci sentono bene, normoudenti, sono così
abituate a identificare i due processi, per il semplice motivo che li svolgono
contemporaneamente (“sento il suono e automaticamente ne capisco il significato”)
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da non farci più caso. In realtà il fenomeno è doppio: sentire il suono e poi capirlo. La
maniera migliore per separare i due fenomeni (e capire che si tratta di due processi
differenti, non di uno solo) è ascoltare una radio in lingua straniera, oppure un
dialetto particolarmente ostico, da risultare incomprensibile (“io sto sentendo tutto, i
suoni mi arrivano nitidi, ma non riesco a capire nulla”) .
L’impianto cocleare è molto simile, vi manda i suoni in testa, ma ciò non è sufficiente
per capire i suoni. Siete voi che dovete capirli. Per cui, tornando alla domanda
iniziale: l’impianto cocleare funziona? La risposta è SI, però deve essere chiaro cosa
potete chiedere all’impianto cocleare (la ricezione del suono) e cosa invece dovete
chiedere a voi stessi (la comprensione di quello che percepite). Se pensate che
l’impianto cocleare vi faccia automaticamente sentire e capire tutto, siete
completamente fuori strada.
Se al contrario capite il modo di funzionare dell’impianto cocleare, capite come deve
essere sfruttato, e infine capite che siete voi a dover lavorare sodo, allora siete già a
metà strada di tutto il lavoro!
L’errore più grande (e consigli per uscirne fuori) Questo paragrafo dovrebbe essere ben compreso, perché è tra quelli più importanti.
Qui si parla dell’errore che tutti coloro (sordi da molto tempo) che portano l’IC
inevitabilmente fanno: non c’è possibilità di evitarlo, a meno che si tratti di soggetti
diventati sordi da poco tempo. Gli altri ci cadranno dentro con tutti e due i piedi,
come una trappola nella giungla. Piuttosto, è bene saperlo in anticipo, così da poter
prendere le contromisure.
Supposto di aver capito come dover utilizzare l’impianto cocleare, quale è
nondimeno il motivo per cui esso non viene sfruttato appieno?
Questo quesito è nato osservando il comportamento e le risposte di diverse persone
portatrici di IC, che affermavano di sentire perfettamente l’intero spettro dei suoni, e
tuttavia non riuscire a seguire un discorso alla radio o alla TV, se non in condizioni di
particolare attenzione od interesse. Tutte queste persone, adulte, sorde profonde,
avevano portato per anni l’apparecchio acustico, sfruttavano la lettura labiale, erano
sorde da lungo tempo, ed avevano deciso dopo diversi anni di fare il grande salto e
quindi passare dall’apparecchio acustico all’impianto cocleare. E praticamente tutti
quanti si trovavano in questa situazione: “…sento tutto, ma capisco solo quando mi
interessa il discorso”. Che cosa è successo? Sembrerebbe la situazione descritta
precedentemente relativa alla persona normoudente che ascolta in modo distratto la
radio, senza prestare attenzione e senza capire cosa viene trasmesso. Ebbene, sta
succedendo qualcosa di simile (nel risultato finale), ma diverso (nella dinamica).
Il fatto è che tutte queste persone stanno utilizzando l’impianto cocleare come se
fosse un apparecchio acustico, come hanno fatto per anni e anni. Stanno, in altre
parole, ascoltando senza prestare attenzione, in quanto sono ormai
completamente disabituate al concetto di “prestare una reale attenzione ai
suoni”.
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In dettaglio: la persona sorda, con alle spalle anni e anni di sordità, ha perduto (o
almeno grandemente ridotto) la capacità di stare attenta alle informazioni sonore.
Mettiamoci nei panni del soggetto: per una persona che con l’apparecchio acustico
percepisce appena una frazione dei suoni esistenti, non ha molto senso “prestare
attenzione ai suoni”. Che senso ha tentare di ascoltare una voce, magari a basso
volume, dal momento che sente pochissimo e capisce nulla? Sentirà al più una vaga
sorgente sonora, senza prestare troppa attenzione e comunque senza cercare di
capirne il significato, dal momento che è un obiettivo al di là delle proprie forze.
(parliamo sempre di livelli di sordità >100 decibel). Con lo scorrere degli anni, questa
abitudine, o meglio vizio, si consoliderà, e la condizione di “sentire, senza cercare di
capire” diventerà la norma. O, in altre parole, si instaurerà una condizione di
distrazione e disattenzione, diciamo pure pigrizia uditiva cronica. Ebbene, nel
momento in cui si utilizza l’impianto cocleare, da un punto di vista fisico si
percepiranno tutti i suoni, ma dal punto di vista mentale si rimarrà alla condizione di
disattenzione uditiva.
Quello che si dice darsi la zappa sui piedi…. Avere la possibilità di fare enormi
progressi, e limitare il raggiungimento degli stessi a causa di una propria abitudine
inveterata!
Per cui è necessario uscire fuori dalla trappola della disattenzione cronica ed evitare
di utilizzare l’impianto cocleare come se fosse un apparecchio acustico.
Che cosa si può fare? Vien voglia di rispondere: c’è poco da fare, perché bisogna
darsi molto da fare.
Quindi, con MOLTO lavoro, TANTA pazienza e GRANDE impegno bisognerà fare
una inversione a U del proprio modo di essere, e tornare a possedere l’attenzione ai
suoni. E’ fattibile? Si torna al discorso di prima: finchè non ci proverete (ma
provandoci seriamente!), non potrete saperlo.
Forse –forse- è proprio questo lo scoglio più grande. Mentre è relativamente facile
arrivare alla comprensione di una frase, è molto più difficile raggiungere uno stato di
attenzione continua che permetta di cogliere ogni stimolo sonoro e dargli il
significato appropriato, senza distrarsi, senza lasciare che la vecchia pigrizia cronica
instauratasi in precedenza continui a far sentire il suo retaggio.
Mettete moltissima cura nel riacquistare uno stato di attenzione ai suoni, perché
la condizione di “pigrizia uditiva” sarà un grande ostacolo che vi impedirà di
sfruttare appieno l’impianto cocleare in tutte le sue potenzialità.
Riassumendo: il fatto che l’impianto cocleare non fornisca la comprensione
automatica dei suoni, unito al fatto che la persona sorda si è disabituata a prestare
attenzione ai suoni, forma un cocktail deleterio che impedisce il pieno sfruttamento
dell’IC.
La persona sorda sarà infatti portata a sentire tutti i suoni senza mentalmente prestare
la dovuta attenzione, e mancherà di comprenderli per la maggior parte. Ne potrà
derivare quindi una sorta di parziale delusione nei confronti dell’IC, dal momento che
ci si aspettava chissà quali traguardi entusiasmanti.
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Sarà difficile perdere la cattiva abitudine acquisita negli anni, e bisognerà sforzarsi di
cambiare il proprio atteggiamento generale, cercando di stare “sempre attenti”. E’
così che si getteranno le basi per far sì che i traguardi possano essere superati.
Teoria dell’allenamento Chi ha praticato qualche sport in maniera seria, si sarà accorto che esistono due tipi di
allenamento: quello produttivo (=che porta a risultati), e quello non produttivo (=che
porta a scarsi o nulli risultati). Alcuni si allenano e hanno risultati proporzionali
all’impegno, ma sono una piccola parte. Altre persone, sempre una minoranza, sono
talmente portate per lo sport che, qualunque cosa facciano, riescono ad ottenere
ottimi risultati, e l’allenamento, per loro, è come la classica ciliegina sulla torta.
Altrettanto rare sono quelle persone che siano totalmente negate per lo sport,
qualsiasi esso sia e qualsiasi impegno ci mettano. La maggior parte delle persone si
allena per anni facendo piccoli progressi in rapporto all’impegno profuso, perché
costoro non si rendono conto di stare allenandosi con un metodo, che, semplicemente,
o non dà risultati, oppure non è tarato su misura per loro.
L’allenamento produttivo, seppure con infinite varianti, è sempre dato da tre
componenti: 1) Ripetizione costante dello stimolo allenante 2) Adattamento e
variazione 3) Intenzionalità e consapevolezza.
In dettaglio:
1) Allenamento propriamente detto, ripetuto nel tempo e in maniera costante. Non
ha senso allenarsi dieci ore di fila una volta al mese; è molto più produttivo
allenarsi solamente per un’ora, al ritmo di un giorno sì e uno no, per esempio.
2) In periodo di allenamento, di norma ci si accorge che ci sono progressi;
tuttavia, dopo un certo periodo di tempo, si arriva al punto che non si notano
più miglioramenti (fenomeno dell’adattamento). Questo è il momento di
cambiare tipo di allenamento o di esercizio, variandolo o rendendolo più
difficile (“spostare l’asticella un pò più in alto”), per ottenere nuovi progressi e
miglioramenti.
3) Il vero motore dell’allenamento, che il più delle volte viene clamorosamente
trascurato, è la forza della mente. Il fattore mente si suddivide a sua volta in
due parti: la prima è forza di volontà (come si dice spesso, lo “stay hungry”,
ovvero “l’avere fame”, di risultati, in questo caso), cioè la voglia di farcela, di
riuscire, di andare avanti. La seconda è la consapevolezza, ovvero il “rendersi
davvero conto di quello che si sta facendo” per poter stabilire il legame mente-
azione, che è la cosa più produttiva che esista.
L’obiezione maggiore è: ma che c’entra questo discorso? qui stiamo parlando di
udito, non di sport o attività fisica! E’ vero. Apparentemente stiamo paragonando due
cose incompatibili. Ma la verità è che i principi generali sono sempre validi, sia se
stiamo parlando di attività fisica, di attività intellettuale, o di altro tipo di attività.
Inoltre, come dicono i cantanti lirici e i musicisti di professione con una bellissima
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frase che andrebbe sempre tenuta a mente, “L’orecchio è un muscolo e come tale va
trattato”, quindi le differenze sono meno nette di quanto sembra.
Infine, per esperienza personale, l’allenamento per impianto cocleare calza a pennello
con la teoria generale dell’allenamento, e l’enfasi va posta in primis sulla terza parte,
quella relativa alla mente, e successivamente sulle altre due. Ciò che vi farà fare i
veri progressi sarà la voglia di farcela e di migliorare. Sarà come la benzina al
motore della vostra macchina, per farvi arrivare ai traguardi desiderati.
Il metodo che viene proposto è basato su un allenamento che può sembrare molto
impegnativo e forse anche esagerato, per l’impegno richiesto (quotidiano) e
l’intensità (elevata). Ma ciò è dovuto al caso personale di chi scrive, giudicato da più
parti “un brutto caso”, dal momento che gli anni di sordità profonda accumulatisi
sono molti e quindi ci si è sentiti ripetere molte volte che “…non potrai recuperare
più di tanto, perché dopo così tanto tempo il tuo cervello dal punto di vista uditivo si
è ormai spento”. In virtù di tali premesse, si è voluto (e non dovuto: è stata infatti una
libera scelta) impostare un allenamento ferreo, quasi militare, per non lasciare nulla al
caso.
Sia ben chiaro: non è assolutamente necessario seguire in maniera esatta il metodo
proposto; quello che è essenziale è capire i punti importanti, e adattarli alle proprie
esigenze. Vi accorgerete che in realtà il metodo è molto semplice e ciascuno potrà
adattarlo a sè, perché la vera differenza la farà la vostra forza di volontà e la voglia di
riuscire nell’impresa. E per quanto riguarda la buona volontà, chi potrà aiutarvi, se
non voi stessi?
Se poi fate parte dei “Campioni”, ovvero di quelle persone davvero in gamba, e ve lo
auguro di tutto cuore, potrete arrivare a ottimi risultati in tempi brevi.
Quali sono i punti forti e quelli deboli di questo metodo?
I punti forti sono:
- Il metodo è basato sul concetto tradizionale di allenamento nelle sue tre componenti
precedentemente descritte (ovvero: esercitandosi con costanza, in modo organizzato,
con forza di volontà e con attenzione a quello che si sta facendo, si ottiene sempre
qualche risultato)
- La maggior parte dell’allenamento (tranne rare eccezioni) può essere svolto a casa
propria, da soli. Non avete quasi bisogno di assistenti, e potete gestire tutto quanto nei
modi e tempi che credete.
- L’allenamento è economicissimo, se si eccettua un computer, un abbonamento
internet di tipo ADSL, e un impianto audio (al limite un paio di cuffie) da collegare al
computer. Tutte cose, come si vede, assai diffuse al giorno d’oggi. Inoltre, i softwares
necessari sono gratuiti –la maggior parte- oppure costano pochi spiccioli.
I punti deboli sono:
-Sono richieste tanta costanza, dedizione, capacità di sacrificarsi, e molta, moltissima
voglia di lavorare. La pigrizia è bandita.
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Una cosa dovrebbe essere chiara fin dal primo momento, a costo di ripeterlo per
l’ennesima volta: l’impianto cocleare non è come l’orecchio umano. Quindi NON
aspettatevi di diventare, o tornare, “normoudenti”.
Sappiate che mentre la comprensione dei suoni in ambiente tranquillo può venire
conseguita più o meno facilmente, non è affatto scontato ottenere buoni risultati
anche con l’ascolto in condizioni di rumore. E’ un fatto estremamente soggettivo,
come è stato già detto, dovuto sia alle limitazioni intrinseche dell’IC, sia alle vostre
capacità. Ma non potete saperlo prima, quindi affrontate il lavoro con tanta buona
volontà: potrete ottenere risultati incredibili oppure no: in ogni caso, ricordate che se
non provate, non potrete sapere come andrà a finire.
In sintesi: allenarsi con metodo può permettere di arrivare a grandi risultati. E’
comunque meglio utilizzare un metodo, piuttosto che usare l’IC così come capita,
senza avere idee o obiettivi precisi. Tornare ad avere un atteggiamento vigile, attento
e non distratto, prestare attenzione a quello che si fa, voler riuscire nei propri intenti,
avere un obiettivo. Queste sono le basi del successo.
Non spaventatevi: l’allenamento in realtà si riduce ad…ascoltare. Ma si tratta di un
ascolto disciplinato, intenzionale, e fortemente “voluto”. Così come l’atleta si allena
con impegno tutti i giorni per migliorare nel suo campo, similmente ci si dovrebbe
allenare all’ascolto per migliorare….l’udito.
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INTERMEZZO: Fenomenologia del “Campione”. (ovvero: non è importante essere Campioni)
Una delle cose che lascia più sconcertati, quando si parla di impianto cocleare, è la
soggettività dei risultati. Infatti, vedere un soggetto che dopo tre mesi dalla prima
accensione dell’impianto vanta di essere già in grado di parlare al telefono con voci
sconosciute, mentre un altro soggetto, dopo ben un anno, dà l’impressione di essere
rimasto molto indietro. Come è possibile? Possibile che vi sia un così grande
soggettività? Ovviamente, i “Campioni” vengono presi come modello per dimostrare
la bontà dell’impianto cocleare, e di tutti gli altri si preferisce glissare. Quello che ci
sarebbe da dire è che nella formazione del “Campione” intervengono tante, troppe
variabili, ma ancor più bisognerebbe sottolineare che quella dell’impianto cocleare
non è una gara dove vince chi arriva primo. Al contrario, vince chi arriva al
traguardo. Per cui, averci impiegato un mese, tre mesi, un anno, o tre anni, ha
importanza molto relativa. L’importante è arrivare al traguardo.
E quale è questo traguardo? Anche in questo caso c’è molta soggettività: ognuno si
pone un suo obiettivo: chi vuole tornare normoudente (e difficilmente arriverà al
traguardo…), chi vuole sentire meglio, chi vuole riuscire a sentire agevolmente radio
e televisione, chi vuole parlare senza problemi al telefono, oppure chi vuole, in una
parola, avere una vita di relazione più facile. Per queste persone è possibile arrivare al
traguardo, a patto che si impegnino molto. I Campioni sono arrivati al traguardo
perché “baciati dalla fortuna” (in realtà per motivi molto concreti e reali: perché
l’operazione è stata eseguita molto bene, perché il “mappaggio” delle frequenze è
stato eseguito da veri professionisti, perché il soggetto era molto determinato, perché
il suo nervo acustico era in ottime condizioni, e non ultimo perché, come i veri
campioni dello sport, erano particolarmente dotati e portati) mentre per tutti gli altri
partecipanti “non Campioni” invece ci sarà da lavorare di più, fermo restando che il
superamento del traguardo è possibile anche per loro. Quindi anche loro, alla fine,
saranno Campioni.
A questo punto però bisogna capire che è necessario rimboccarsi le maniche e
lavorare. E facciamo chiarezza sui requisiti preliminari.
-Il soggetto è (era) davvero idoneo all’operazione di IC?
-L’operazione è stata eseguita correttamente?
-L’IC sta funzionando in tutte la sue parti?
-Il mappaggio è stato eseguito a regola d’arte, senza frequenze troppo alte o troppo
basse, che vi fanno venire mal di testa dopo pochi minuti e vi impediscono di far
qualsiasi cosa?
E poi….
-Siete persone davvero desiderose di lavorare per migliorare? Avete compreso il fatto
che per avere risultati bisogna SEMPRE fare sacrifici?
-Avete compreso che è necessario impegnarsi con tutto sé stessi e mettersi a lavorare,
come formichine, per arrivare a tagliare il traguardo?
Se avete ben comprese queste cose, non temete: così facendo, rimboccandovi le
maniche, avete gettato le basi per essere Campioni anche voi.
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Dieci e Venti (ovvero, qualche consiglio, prima e dopo).
E alla fine avete deciso di fare anche voi l’impianto cocleare? Molto bene. Eccovi
allora alcuni suggerimenti di cui dovrete far tesoro.
DIECI cose importanti da sapere PRIMA:
1- Abbiate le idee chiare su quello che volete. Domandatevi sempre, almeno cento
volte: “Ma io voglio davvero fare l’impianto cocleare? Se sì, perché?” Se la
vostra risposta è no, oppure non avete idee chiare sul perché, lasciate perdere,
almeno per il momento. Potrà arrivare il giorno in cui la vostra risposta sarà:
ebbene, sì, lo voglio, perché sento davvero di averne bisogno. Quello sarà il
momento giusto. Abbiate nitidi nella vostra mente gli obiettivi da raggiungere.
Non barate e siate molto sinceri con voi stessi. Perché volete fare l’impianto
cocleare? Per sentirci meglio, ovvio! Giusto: ma perchè volete sentire meglio?
Perché nel profondo del vostro cuore vi rendete conto che avere un udito che
funziona vi facilita enormemente l’esistenza, se volete vivere in mezzo agli
altri e fare vita sociale. Perfetto: questo è l’avere un obiettivo. Magari ne avrete
altri, differenti, ma non ha importanza. L’importante è che abbiate obiettivi e
questi siano chiari già all’inizio. Per assurdo, nel caso dell’impianto cocleare è
molto più importante avere ben chiaro l’obiettivo che si vuol raggiungere,
piuttosto che il “come fare per raggiungerlo”. Quando dentro di noi c’è una
forte volontà di raggiungere un determinato obiettivo, stiamo già a metà
dell’opera.
2- Tenete in mente fin dall’inizio che la parte più importante in tutta la faccenda
dell’impianto cocleare sarà quella che, esternamente, si vedrà di meno:
l’aspetto psicologico della persona, ovvero la sua “tenuta mentale”. Preparatevi
psicologicamente anche al fatto che, dopo, molte cose nella vostra vita
finiranno per essere diverse, ma non spaventatevi necessariamente per questo.
Smettetela di aver paura. La paura è un’ottima maniera per frenare i progressi
futuri. “Niente migliora, se non attraverso un cambiamento”, non è vero?
3- L’impianto cocleare potrà essere una delusione enorme, oppure la più grande
soddisfazione della vostra vita: dipenderà da voi. Perché dipenderà da voi?
Perché, nella pratica dei fatti, sarete voi a farlo funzionare. E funzionerà, tanto
o poco, a seconda dell’impegno che voi ci metterete.
4- L’impianto cocleare non è una cosa da sottovalutare, né da prendere alla
leggera. Sarà una cosa completamente nuova, e per i primi mesi richiederà la
vostra assoluta, totale dedizione. A pochi fortunati è dato il privilegio di
utilizzarlo e trovarsi immediatamente a proprio agio. Per quelli che sono sordi
da sempre, che non hanno mai realmente udito, e per di più che hanno superato
i quaranta anni, è previsto un lungo (e sovente faticoso) cammino in salita per
imparare a sfruttarlo appieno. Sappiate fin da subito ci sarà da lavorare e da
sacrificarsi. Niente è gratuito. Se cominciate col pensare che “fatto l’impianto,
tornato l’udito”, è probabile che andrete incontro ad amare delusioni. Questo,
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non per scoraggiarvi, ma per farvi capire che, dopo l’operazione, ci sarà da
lavorare, e tanto. Un risultato concreto che ci attendiamo dall’impianto
cocleare, cioè (è bene ricordarlo sempre) la capacità di udire i suoni e
comprenderli, è dato in parte dall’operazione chirurgica, in parte dal corretto
funzionamento dell’IC, e in (grande) parte dal vostro lavoro. Non pensate mai,
nemmeno per un istante, che una volta usciti dall’ospedale il più è fatto. E’
vero esattamente il contrario.
5- L’operazione chirurgica di IC è una cosa di importanza fondamentale. Se
l’operazione non viene effettuata correttamente oppure avviene una
complicazione qualsiasi (incrociamo le dita) ciò si ripercuoterà su tutto quello
che verrà successivamente. Quindi, cercate di spostare le probabilità di
successo a vostro favore. Passate molto tempo a informarvi, a domandare, a
chiedere, a cercare un ospedale, clinica o istituto dove fare l’operazione e tutto
il successivo processo post-operatorio. NON ragionate -per nessun motivo- in
base a criteri puramente di comodità (“Dove è il posto più vicino?”, “Il medico
è amico di un parente di un compare, allora vado da lui”, “Dove è che non si
perde troppo tempo nelle visite di controllo?”, eccetera). Ascoltate più persone,
sentite più pareri. Ricordatevi che l’IC vi accompagnerà per tutta la vita, e
potrà influire un maniera notevole sulla qualità della vostra esistenza. Non
ragionate quindi “in economia”. Il giorno che l’IC diventerà una operazione di
routine, allora tutte queste cose potrete dimenticarvele: al momento l’IC è una
operazione altamente specialistica e non dovreste trascurare nulla.
6- La scelta dell’impianto merita qualche riflessione. Potete scegliere tra diversi
produttori, che inevitabilmente magnificheranno le proprie caratteristiche
tecniche e evidenzieranno articoli, pubblicazioni e quant’altro, tesi a mettere in
luce i propri prodotti a scapito della concorrenza. Lasciate perdere i fronzoli e
badate alla sostanza. Gli impianti cocleari sono arrivati a un livello di sviluppo
assai avanzato, e, a meno che non escano caratteristiche veramente
rivoluzionarie, sono abbastanza paragonabili l’uno all’altro, e poi ricordatevi
sempre che sarete voi a farli funzionare, a sfruttarli. Quindi i criteri di scelta
devono essere altri, e precisamente: 1) Affidabilità. L’impianto è soggetto
facilmente a rotture? E’ resistente? Si guasta? Non vi pianta in asso sul più
bello? 2) Assistenza. E’ facile avere assistenza se dovesse succedere qualche
cosa? Come stiamo messi con eventuali pezzi di ricambio? Il software di
funzionamento è facilmente aggiornabile? E’ possibile avere un punto di
riferimento al quale rivolgersi? Queste sono le cose davvero essenziali, che
fanno l’eventuale differenza. Ricordate che i risultati sarete voi ad ottenerli,
con il vostro lavoro.
7- Abituatevi fin da subito all’idea che, dopo l’operazione, per molto tempo
avrete da lavorare e potreste non dedicare più molto tempo a cose di cui vi
occupavate prima. Prendete in considerazione l’idea di dover cambiare per
qualche tempo (o anche per molto tempo) la vostra agenda quotidiana. Non
fatevi cogliere impreparati.
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8- Da tenere in mente sempre, per evitare equivoci: “L’impianto cocleare non ti
fa tornare l’udito, ma ti aiuta a sentire meglio. Quanto meglio? dipende da
quanto vi impegnerete. Non aspettatevi che l’impianto cocleare faccia miracoli
di per sé, in maniera automatica, senza intervento da parte vostra. Molte
persone si comportano come se stessero semplicemente lì sedute in attesa che
l’IC gli faccia tornare l’udito. Siete voi a dover darvi da fare, per sentire e
capire. L’impianto cocleare è uno strumento “neutro”. La sua funzione è quella
di mandare impulsi sonori al nervo acustico; pertanto siete voi a doverne
sfruttarne l’azione, a dover “decifrare” il significato di questi impulsi, a tirarne
fuori qualcosa di utile. L’IC è come un postino che vi recapita la
corrispondenza, e voi siete i destinatari che devono aprire la buste e leggerne il
contenuto. Non potete aspettarvi che sia il postino a portarvi le lettere, aprirle e
leggerle al posto vostro, non è vero? Similmente accade con l’IC.
9- L’avere un buon livello culturale faciliterà molto la comprensione dell’ascolto.
Avere quindi un buon vocabolario interno, sapere il significato delle parole,
capire come è articolato un discorso, conoscere la grammatica e la sintassi,
sono tutte cose che faciliteranno il lavoro. Quindi, dal momento che non è mai
troppo tardi per imparare, impegnatevi anche nel migliorare, per quanto
possibile, la vostra cultura generale.
10- Non fate l’errore che ha fatto molta gente: non impegnarsi abbastanza
affinchè l’impianto cocleare arrivasse a migliorare la propria vita. Ricordatevi
sempre, in ogni momento, del perché avete deciso di fare l’impianto cocleare:
per stare meglio.
E successivamente…..
VENTI cose importanti da sapere…DOPO.
1- Se volete fare grandi progressi, dovete avere forza di volontà. Imparate a
conoscere voi stessi. Se sapete quali sono i vostri punti forti e quelli deboli,
saprete come impostare al meglio ogni aspetto della vostra “riabilitazione”.
Ricordatevi sempre che la forza di volontà è il motore di tutti i progressi. Voler
sentire, udire, capire, desiderare tutto ciò con tutte le proprie forze, sarà
premessa necessaria per il successo. Siate ferocemente determinati nel voler
raggiungere l’obiettivo; la voglia di lamentarsi e di auto-commiserarsi devono
venir bandite nel modo più assoluto.
2- Corollario del punto precedente: imparate ad aver stima, fiducia, e
considerazione di voi stessi. Troppe volte si vedono persone sorde sfiduciate e
senza mordente. E’ importante capire che il non avere fiducia nelle proprie
capacità è la via principale per l’insuccesso. Volete partire già battuti?
Certamente no! E allora mettete il massimo impegno nel lavoro che vi aspetta:
sentirci sempre meglio, per avere una vita più soddisfacente in tutti i suoi
aspetti.
3- Fissate delle nuove priorità: per i primi sei-nove mesi l’impianto cocleare deve
venire ai primi posti. Non cominciate a trovare le solite scuse per non fare
esercizi: “non ho tempo”. Se davvero volete, il tempo lo trovate. E se davvero
vorrete migliorare, qualsiasi altra attività verrà messa in secondo piano.
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4- Quando verranno a dirvi che “…più di tanto non riuscirai a recuperare con
l’udito”, non date retta a questi uccelli del malaugurio. Il grado di recupero non
è definibile in anticipo, e sarà funzione dell’impegno che voi ci metterete
(fermo restando che l’operazione sia stata eseguita correttamente, tutti le parti
funzionino, eccetera). Non si può sapere prima quanto sarete in grado di
recuperare. Potrete recuperare poco oppure molto, ma lo scoprirete dopo. E in
ogni caso, lavorando molto e con intelligenza si otterranno sempre risultati che
altrimenti non si otterrebbero. Per cui, lavorate sodo e lasciate perdere le
chiacchiere.
5- Imparate a vivere “immersi” in un mondo sonoro. Quando siete fuori casa o al
lavoro, non dovrebbe esserci problemi di “sonorità”. Se vivete da soli, quando
siete in casa tenete una radio accesa in ogni stanza che frequentate (cucina,
studio, camera da letto), sintonizzata ciascuna su una stazione differente.
Indipendentemente da quello che riuscirete a capire, è importante l’ambiente
sonoro in sé. Il vostro cervello deve “imparare” a convivere con i suoni, con
tutti i suoni. Se al lavoro siete in ambiente silenzioso davanti al computer,
indossate le cuffie e, per quanto è possibile, lavorate ascoltando la radio.
6- Già detto, ma è così importante che giova ripeterlo, se necessario all’infinito:
portare l’impianto cocleare “come se fosse un apparecchio acustico” è l’errore
più grande, e quello più commesso più frequentemente. L’impianto cocleare e
apparecchio acustico hanno in comune il fatto che “aiutano a sentire” ma le
loro somiglianze finiscono qui. L’IC deve essere utilizzato come se fosse un
qualcosa di completamente nuovo e differente.
7- Nei lunghi mesi della “riabilitazione”, non mettetevi a far confronti con gli altri
soggetti portatori di impianto cocleare: quello sta facendo progressi meglio di
me, quell’altro va più velocemente, quello ha già recuperato…. Ognuno di noi
è differente, non guardate gli altri, guardate voi stessi, e cercate di migliorarvi.
Lavorate su di voi, fate tesoro delle vostre esperienze e non perdete tempo in
sterili confronti (“lui e meglio di me”, “io sono meglio di lui”) che, alla fin dei
conti, non servono a nulla.
8- Se decidete di andare a fare le sedute di terapia logopedica (valutate bene, se ne
avete bisogno oppure no), non andate a “fare logopedia” in maniera passiva,
come troppo spesso accade: “fare logopedia” è al contrario un processo molto
attivo, dinamico, in cui ambedue le parti (paziente e terapista) lavorano per
ottenere il massimo dei risultati. Ricordatevi questa frase splendida: “La
logopedia è fatta bene quando sembra una battaglia”
9- Capitolo aspettative: cosa dovete aspettarvi dall’IC? Beninteso, non aspettatevi
di “guarire dalla sordità”, perché non sarà così. Se l’impianto cocleare vi
facesse diventare normoudenti, il problema sarebbe risolto. E allora, quanto vi
dovete aspettare? Tanto, poco, molto, tutto? La cosa migliore è,
paradossalmente, non aspettarsi nulla. Se non vi aspettate nulla, qualsiasi
risultato sarà un buon risultato. Se partite con grandi aspettative, potreste
rimanere delusi. Dopo l’operazione, al momento di cominciare la
riabilitazione, considerate voi stessi come se foste un foglio completamente
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bianco che deve essere ancora riempito. E, con molta pazienza e dedizione, lo
riempirete, senza aspettarvi nulla, e vedrete i vostri progressi, giorno dopo
giorno.
10- Capitolo progressi: i progressi che farete non saranno quasi mai di tipo
“lineare”, cioè: mi impegno facendo uno sforzo pari a 100, e miglioro di 100.
Bensì sono del tipo “a scalino”, quindi: mi impegnerò 100, migliorerò appena
5. Davvero scoraggiante! Però, successivamente, mi impegnerò appena 5, e
migliorerò di ben 100. Spettacolare! In altre parole, non c’è corrispondenza
proporzionale tra lavoro e risultati. Possono passare settimane e non vedere
alcun risultato, così come nel giro di pochi giorni si può assistere a progressi
incredibili. Tenetelo a mente e imparate a stare tranquilli mentre vi allenate. Il
vero segreto è la costanza del lavoro e la consapevolezza di quel che si sta
facendo.
11- Trattate l’IC con ogni cura e attenzione. Uno degli effetti collaterali –
sgradevoli, purtroppo- dell’IC è che diventerete dipendenti da esso. L’IC vi
darà molta più autonomia di quanto eravate abituati, e vi abituerete ben presto
a questo nuovo status. Ma questo diventerà una lama a doppio taglio. Se l’IC si
dovesse guastare saranno dolori, a livello fisiologico ma anche psicologico,
almeno fino a quando non verrà riparato, e potrebbe non essere una cosa così
rapida….. Non trattate quindi l’IC in maniera grossolana (IC gettati sull’erba
durante un picnic sul prato, appoggiati senza cura dove capita, strappati via
afferrandoli per il cavo, eccetera). Se possibile, tenete qualche pezzo di
ricambio sempre a disposizione, per ogni evenienza. Tenete in mente che l’IC è
assai più delicato di un apparecchio acustico. Maneggiatelo con molta più cura
di quanto fareste con un apparecchio.
12- Tenete sempre a mente questo motto tanto straordinario quanto
paradossale: “L’orecchio è un muscolo”. Così come un muscolo tenuto quasi
inattivo per quarant’anni è atrofizzato, e ha bisogno di tanto tempo per
ritornare in forma, così un orecchio che per lo stesso tempo non ha quasi
funzionato avrà bisogno di allenamento per tornare attivo. L’affinamento
dell’udito è un passo necessario per far sì che il “muscolo orecchio” funzioni in
maniera sempre più efficace. Così facendo, si acquisirà capacità di distinguere
differenze tra suoni molto simili, e quindi, in senso generale, a capire meglio
quello che si sente. Ciò è importante perché, prima di affrontare l’allenamento
avanzato (in condizioni di rumore), è importare padroneggiare il suono in
condizioni ideali, in ambiente tranquillo. In ogni caso, ricordarsi sempre:
l’orecchio è un muscolo, tanto più lo allenate, tanto maggiori saranno i
risultati.
13- Capitolo equilibrio: “Non esaltatevi, non deprimetevi”. Quando
comincerete la “riabilitazione”, l’atto di accendere la radio e riuscire ad un
tratto a capire una, due, tre, quattro frasi infilate una dietro l’altra sarà forse la
più grande emozione della vostra vita (specie se non avete mai realmente
sentito e capito prima d’ora….), roba da mettersi a piangere silenziosamente,
oppure spalancare le finestre e urlare sulla pubblica piazza tutta la vostra gioia.
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Salvo successivamente dopo qualche istante, non riuscire a comprendere
alcune frasi che teoricamente sarebbero dovute essere più semplici da capire.
Come è possibile? Prima avete capito, adesso non più.…..Questa alternanza di
gioia e di delusione può avere la conseguenza nefasta di farvi perdere
l’entusiasmo e demotivarvi. “A che serve essere contenti di aver azzeccato una
frase, se dopo magari non riesco a capire quelle successiva?”. Per cui, non
esaltatevi e non deprimetevi. Questa non è repressione delle emozioni, bensì è
equilibrio delle emozioni. Quando vi allenerete per ascoltare in condizioni di
forte rumore ambientale, ovvero la condizione peggiore che esista, lì ci
vorranno i nervi saldi, perchè avrete l’impressione di non ottenere alcun
progresso.
14- L’IC potrà provocare in voi strane sensazioni, di diversi tipi: potrete
accorgervi di essere più consapevoli, di sentir risvegliare parti di voi che prima
erano addormentate, eccetera. Strane sensazioni che forse non hanno a che fare
con l’udito in sé, quanto con la consapevolezza. Comunque, non spaventatevi,
pensate piuttosto che fa tutto parte del gioco. Il suono, forse, ha implicazioni
molto maggiori rispetto al semplice udito. Forse, il suono serve a immergersi
maggiormente nella realtà che ci circonda. Nel caso vi succeda, cercate di
massimizzare questa sensazione di “risveglio”, dal momento che uscire da una
condizione di torpore non può che essere un fatto positivo.
15- Ricordatevi che “Si scrive Impianto Cocleare, si legge Lavoro Duro”.
Non siate pigri e non sottovalutate il lavoro che vi aspetta. Farsi l’impianto
cocleare, come disse qualcuno, per poi così finalmente prendere sei mesi di
vacanza e riposarsi, è una cosa completamente sbagliata. La maniera corretta di
agire è “farsi l’IC” e subito dopo mettersi al lavoro di buona lena. Se siete
diventati sordi da poco tempo, il processo di riabilitazione potrà essere
relativamente semplice. Se siete sordi da moltissimi anni, ci sarà molto da
lavorare.
16- Suggerimento insolito, ma molto concreto: allenarsi con l’IC è una cosa
assai faticosa, perché richiede uno sforzo mentale molto intenso. Il consiglio è
pertanto di essere in buono stato di forma fisica, non fate stravizi, trattatevi con
riguardo, cercate di essere, per quanto possibile, freschi e riposati.
17- Alcune persone rifiutano di portare l’impianto cocleare perché ci si
trovano “troppo male”. Mettete in chiaro se è una sorta di vero malessere fisico
oppure se è solo un capriccio. Se sentite “tutto così diverso”, oppure, se i suoni
vi sembrano spaventosi, non fate l’errore di ribellarvi a quello che sentite:
capovolgete piuttosto l’ottica e pensate che questi sono i veri suoni. Prima
credevate di sentire mentre invece vi eravate abituati a suoni “parziali”.
L’abitudine e l’esercizio faranno poi il resto.
18- Quando cercate di riconoscere non più i suoni ma le frasi che sentirete,
NON andate “a senso”, cercando di indovinare o affidandovi alle probabilità di
azzeccarci. Cercate il più possibile di sentire i suoni così come essi sono.
Esempio: all’interno della frase c’era una parola che era “Treno o Freno?”. Per
distinguere queste due parole non appigliatevi al senso della frase, bensì
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sforzatevi di sentire senza ombra di dubbio se la parola era Treno oppure
Freno. Quel dannato suono era una “T” oppure era una “F” ? Cercate di
imparate a distinguere ogni singola lettera. Paradossalmente è più importante
perdere un sacco di tempo a riconoscere i suoni delle singole lettere, piuttosto
che cercar di capire subito il senso della frase. Perché? Perché è così che si
gettano le basi per il “prestare attenzione ai suoni”, processo di grande
importanza per tutto quello che seguirà.
19- Corollario del punto precedente: non cercate di ricorrere subito ai
“trucchetti software” di cui dispone l’impianto cocleare per facilitare l’ascolto
(soppressione del rumore, esaltazione delle frequenze, eccetera). Prima
affrontate i suoni “nudi e crudi”, e abituatevi ad essi; dopo -e solo dopo-
ricorrete alle impostazioni avanzate. Prima i fondamentali, poi gli optionals.
20- La cosa più importante di tutte: sappiate che il successo o la sconfitta
dell’impianto cocleare è una partita che si gioca prima di tutto dentro la vostra
testa: non dimenticatelo mai. E non mollate.
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L’importanza di una corretta attrezzatura
Per allenarvi all’ascolto avrete bisogno di una attrezzatura. La cosa più interessante,
però, è sapere che tutto il necessario per fare un ottimo allenamento è disponibile a
costo davvero ridotto. La radio, come vedremo, è lo strumento intorno al quale
ruoterà la maggior parte della “riabilitazione”, e la miglior radio esistente è quella via
internet, per i motivi che poi analizzeremo. Essenziale è quindi avere un computer,
fisso o portatile, con linea internet del tipo ADSL o fibra ottica, meglio con
abbonamento del tipo flat, ovvero a costo mensile fisso. Questo per poter avere una
connessione veloce con tutte le stazioni radio e i siti che offrono contenuti
audio/video, che occuperanno infatti una parte molto importante delle nostre attività.
Essenziale è poi avere uno speaker audio: cuffia o casse acustiche. Si possono
utilizzare ambedue, alternativamente. Le cuffie potranno essere del tipo a padiglione
ridotto (tipo walkman, per intenderci) oppure le classiche cuffie con il padiglione di
grandi dimensioni. Alternativamente si può avere un impianto audio da collegare
all’uscita audio del computer. Non utilizzate i microscopici altoparlanti inseriti nel
PC o nel monitor: difficilmente sono utili. Molto meglio aggiungere casse esterne.
Non c’è bisogno di spendere una fortuna, così come non c’è bisogno di possedere un
impianto tipo “Thor” da 250 watts a sei casse, in grado di sbriciolare i muri. Un
modesto impianto 2+1 (due tweeters più un subwoofer) da 15-20 watts è più che
sufficiente. L’essenziale è che i pezzi siano di piccole dimensioni, in modo da poter
essere piazzati sulla scrivania o sul tavolo, vicino a voi, e spostato o sollevato a
seconda del bisogno. Un impianto di questo tipo si acquista tranquillamente al
supermercato o al centro commerciale, senza spesa eccessiva.
Infine, è bene possedere una radio tradizionale o anche più di una, del tipo classico,
da tavolo, da piazzare in ogni stanza della vostra casa: l’ambiente silenzioso per i
primi mesi deve essere bandito.
Riassumendo:
-computer fisso o portatile
-connessione internet almeno ADSL.
-cuffie (piccole o grandi)
-impianto audio di piccole dimensioni
-radio (una o più)
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INTERMEZZO: Tutto insieme appassionatamente…o no?
Quale è uno dei motivi per i quali si è vista gente accapigliarsi furiosamente? Non
l’avremmo mai detto: è il fatto di portare “impianto cocleare più protesi acustica
all’altro orecchio” oppure “solo impianto cocleare e lasciare l’altro orecchio
libero”. Meglio la prima o la seconda soluzione? Sono state sperimentate ambedue le
soluzioni, e, come in quasi tutte le cose, la risposta è: dipende. Dipende dalle
situazioni che stiamo affrontando. In linea di massima ci sono tre motivi per portare
“impianto + protesi acustica”, e un motivo per portare “solo impianto”. In ogni caso
questo dualismo è assai più sfumato di quanto sembri.
A favore di “Impianto + Protesi”:
1) Se per tutta la vita si è portata la protesi acustica, con relativa soddisfazione, non si
dovrebbe cessare di colpo di portarla. Il fatto di continuare a sentire suoni, per scarsi
che siano, non è mai una cosa negativa. E purtuttavia i suoni percepiti dall’impianto
sembrano essere assai più numerosi rispetto alla protesi. Nondimeno, per pochi che
siano, i suoni provenienti dalla protesi acustica non dovrebbero sparire del tutto.
2) L’impianto cocleare fa sentire i suoni così diversi rispetto a prima; la protesi
invece li fa sentire “alla vecchia maniera”. E quindi? Quindi, tenerli insieme tutti e
due aiuta a “fondere” i suoni dentro la testa. In altre parole, la protesi acustica assume
l’importante funzione di traghettare i nuovi suoni e renderli pian piano riconoscibili.
E’ come se se la protesi facesse da “interprete”, abituando la mente a prendere
confidenza con i nuovi suoni. (attenzione: quando questo processo di traghettamento
e riconoscimento dei suoni sarà completato, potrà capitare di avere la sensazione di
sentire meglio, solo in condizioni di quiete, con il solo impianto: sarà come se
l’apparecchio acustico sia diventato perlopiù inutile).
3) In caso di ambiente rumoroso, ovvero la quasi totalità degli ambienti, la protesi ha
una importante quanto sottovalutata funzione: quella di togliere una gran quantità di
carico sonoro dall’altro orecchio, lasciando la possibilità di concentrarci -con
l’impianto cocleare- sui suoni che ci interessano. In altre parole, se non ci fosse la
protesi, l’impianto cocleare raccoglierebbe tutti i suoni mandandoli all’unico orecchio
disponibile, e aumentando il senso di confusione; la protesi serve ad alleggerire la
pressione sonora, distribuendo meglio i suoni. In condizione di gran frastuono la
soluzione “impianto + protesi” è decisamente da favorire, sempre.
A favore di “solo impianto”:
1) se l’ambiente è tranquillo e silenzioso, e la fonte sonora è unica, l’ascolto con il
solo impianto (e comunque dopo che ci si è familiarizzati con i suoni) aumenta
l’attenzione e la concentrazione, perché non c’è più necessità di dover “miscelare” i
suoni provenienti binauralmente (la qual cosa non sembra, ma richiede impegno), e
dà la sensazione di sentire meglio perché, appunto, richiede meno sforzo. Tutta
l’attenzione è dedicata ai suoni provenienti da un unico orecchio, non da due.
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Tenete conto comunque di una cosa: con il passare dei mesi, si avrà gradualmente la
sensazione di appoggiarsi sempre di più all’impianto cocleare, e potrà capitare di non
rendersi nemmeno più conto, in certe situazioni, di star indossando la protesi acustica.
In ogni caso, verrebbe da consigliare che questo passaggio sia graduale. Per cui,
quando iniziate a portare l’impianto cocleare, tenete per la maggior parte del tempo,
anche la protesi. Dopo, quando vi sentirete abbastanza sicuri, appoggiatevi sempre di
più all’impianto. In ogni caso, anche quando sarete ormai abituati, trovandosi in
condizioni di grande rumore la soluzione “impianto + protesi” faciliterà l’ascolto, per
il motivo detto poc’anzi (la protesi alleggerisce la pressione sonora sull’impianto,
togliendo un pò di rumore, e facilitando la concentrazione sui suoni che si vuole
ascoltare.
PRE-ESERCIZI (non serve alcuna attrezzatura o aiuto particolare)
I primi esercizi devono essere quelli più semplici possibili: l’ascolto di suoni
ambientali. Non abbiate paura di sembrare neonati che scoprono il mondo, perché,
per certi versi, è proprio così. Assicuratevi di avere una stanza isolata, nella quale non
vi siano rumori indesiderati; se vi sono finestre, tenetele chiuse. La stanza può essere
il soggiorno, lo studio, la cucina, quello che volete. L’importante è che sia possibile
udire un suono per volta. Passate diverso tempo ad ascoltare i suoni, cercate di
memorizzarli, di “capirli”, di sentire come cambiano in seguito alle vostre azioni.
L’importante è che i suoni vengano prodotti uno per volta, per poterli sentire e capire.
Le cose che più vi stupiranno probabilmente saranno tre: come i suoni siano diversi
rispetto a quello che pensavate; quanto siano numerosi i suoni rispetto a prima ; il
fatto che esistono suoni che non sembravano esistere in precedenza.
Fate inzialmente l’abitudine al “rumore immaginario” che forse sentirete dentro la
vostra testa, anche in condizioni di quiete assoluta, ovvero una specie di acufene
(ronzio) molto debole. Probabilmente è l’azione dello stimolo elettrico che passa nei
nervi. Consideratelo come una sorta di rumore di sottofondo e non fateci caso. Se non
sentite nulla, tanto meglio.
Esempi di pre-esercizi:
1- Seduti nella vostra stanza, cominciate a far frusciare due fogli di carta l’un
contro l’altro. Anche due fogli di carta producono rumore, chi l’avrebbe mai
detto? Strofinate i fogli di carta, piano, più forte, più delicatamente, più
velocemente, con maggior o minor insistenza, e “sentite” che tipo di suono
produce la carta.
2- Strofinate le mani sui vestiti, sulla manica della maglia, sui pantaloni.
Strofinate la mani l’un contro l’altra. Strofinate le scarpe sul pavimento. Fate
schioccare le dita. Applaudite. Tamburellate le dita sui mobili. Fate cadere
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piccoli oggetti per terra. Provate a soffiare per sentire il rumore dell’aria che
esce.
3- In cucina, aprite il rubinetto e fate gocciolare leggermente l’acqua nel
lavandino. Sentite il rumore del forno a microonde. Aprite e chiudente una anta
di armadio. Fate bollire un pentolino di acqua e ascoltate l’acqua che bolle.
Preparate il caffè e ascoltate tutti i suoni, dal fuoco che viene acceso, al
gorgoglio del caffè che esce.
4- Apritela finestra e ascoltate i rumori della strada.
5- Prendete una pagina di libro o giornale e leggete ad alta voce: sentite come è
fatta la vostra voce e soprattutto sentite che suono ha quella parola, nel
momento in cui la pronunciate.
6- Eccetera….
Tutti questi esercizi, per quanto possano far sorridere, hanno l’unico scopo di farvi
capire come possono essere fatti i nuovi suoni. C’è una varietà infinita di suoni che
possono essere prodotti, passate un pò di tempo a scoprirli, ad ascoltarli e cosa più
importante di tutti, a fare il corretto accostamento tra “tipo di azione compiuta = tipo
di suono ottenuto” . Non fate questi esercizi distrattamente, ma, come sempre, siate
concentrati su quello che fate. Non spaventatevi se sentite “tutto così diverso”.
Vi abituerete abbastanza presto a questi “nuovi” suoni: perfetto.
ESERCIZI INIZIALI (Potreste aver bisogno di un “aiutante” volenteroso)
Questi esercizi sono come la “prima marcia” dell’automobile. Servono solo per
iniziare e dovrebbero essere svolti in maniera soddisfacente dopo qualche mese di
prove assidue. Come al solito, tanto maggiore è il lavoro, tanto maggiore è la
probabilità di arrivare a un buon risultato. Non Tutti questi esercizi sono facilitati se
avete chi vi possa aiutare. Valutate se fare questi esercizi a casa, da soli o con
qualcuno, oppure con una terapista specializzata (logopedista). Il vantaggio della/del
logopedista è che saprà cucirvi una serie di esercizi adatta al vostro caso. Se non ne
avete la possibilità, procuratevi un aiutante volenteroso, e soprattutto paziente (ce ne
vorrà, di pazienza…) e lavorate con lui. Ricordatevi che questi sono solo esercizi
iniziali, fatti per “ingranare”; successivamente vi allenerete da soli. Il suggerimento
personale che vi posso dare è di affidarvi almeno i primissimi mesi a una logopedista
per poter tenere i contatti con l’equipe dell’ospedale che vi ha operato e verificare
come stanno andando le cose.
Se facendo questi esercizi vi sentite a vostro agio, allora è il momento di passare a
qualcosa di più impegnativo, e cominciare ad accendere la radio (vedi capitolo)
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Vocali e consonanti
Allenatevi a riconoscere il suono delle vocali, senza guardare in viso l’altra persona.
L’unico elemento sul quale dovete basarvi è quello sonoro. Le vocali sono sette per
quanto riguarda l’ortoepia (ovvero la corretta dizione), mentre sono cinque se
consideriamo solo l’ortografia. Ci interessano le sette vocali, e quindi avremo: A, I,
U, e poi: E aperta, E chiusa, O aperta, O chiusa.
Inizialmente fatevi elencare a voce le sette vocali, per sentire come sono fatte, poi
fate esercizi di riconoscimento una vocale per volta. Può essere utile, le prime volte,
guardare in viso l’altra persona, per accostare “movimento delle labbra-suono
prodotto”. Successivamente non dovreste più guardare il movimento delle labbra.
Fatevi pronunciare le consonanti: dal momento che la singola consonante è difficile
da pronunciare, fatevi dire una o più parole parola che contiene quella consonante.
Anche in questo caso, le prime volte guardate le labbra per accostare movimento
della bocca e suono. Le consonanti più critiche sono S, Z, F e V. Garantito che le
prime volte vi faranno dannare, nel tentativo di distinguerle. Un trucco: per cercare di
distinguerle, ponete attenzione al diverso rumore del fruscio dell’aria che esce dalla
bocca di chi vi sta davanti.
Utilità: cominciate a capire “come sono fatte” le singole lettere e le parole.
Varianti:
1- Cambiare le voci: maschile/femminile.
Esercizio della doppia lettura
Scendete giù all’edicola, e acquistate due copie dello stesso quotidiano o rivista.
Quindi, in una stanza tranquilla, insieme al vostro “aiutante”, mettetevi d’accordo
nello scegliere un articolo. L’aiutante vi leggera a voce alta l’articolo, mentre voi gli
date le spalle, e allo stesso tempo leggete lo stesso articolo. In altre parole, in quel
momento state ascoltando quello che state leggendo.
Utilità: leggendo le parole, ne sentite il suono corrispondente.
Varianti:
2- Cambiare le voci: maschile/femminile.
3- Chiedete di leggere più lento/ più veloce.
4- Sostituire una parola all’interno della frase: accorgersene, e dire quale è.
5- Senza avere il brano sott’occhio, ascoltare prima una frase casuale di
quell’articolo, e poi, presa in mano la pagina, identificarla.
Esercizo delle parole inesistenti
Ascoltate senza guardare il vostro aiutante, che vi ripete, anziché parole tradizionali,
sillabe o parole anche senza senso compiuto, una parola per volta (uabaga- uagala-
uagana –uagaga –uarava, eccetera). L’obiettivo è cercare di ripeterle. Potete
sbizzarrirvi con migliaia di combinazioni. L’aiutante scriverà la parola su un foglio e
poi, dopo averla pronunciata, e ascoltata la risposta, ve la farà leggere. L’avete
azzeccata? Quanto ci siete andati vicino? Questo esercizio è importante per
l’affinamento dell’orecchio.
Utilità: essere certi di quello che sentite, indipendentemente dal significato.
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Esercizio delle sillabe (variante del precedente)
Vengono pronunciate sillabe semplici, che vanno ascoltate e ripetute singolarmente
(au, be, ra, con, in, ma, sco, gna, cer, giac, eccetera) . Infinite possibilità di
combinazioni.
Esercizio dell’una su tre, una su cinque
Di solito questo è uno degli esercizi base durante la logopedia. Su un foglio sono
riportate tre o cinque parole su una riga, il vostro aiutante, standovi alle spalle o di
lato, ne pronuncia una sola, dovete azzeccare quella giusta. Esercizio sempre più
difficile man mano che le tre (o cinque) parole si assomigliano sempre di più
(esempio: sanno-fanno–vanno). Le parole di solito esistono già stampate negli
appositi manuali di logopedia, se non ne avete a disposizione, cercate parole molto
simili tra loro e scrivetele a penna su due fogli, uno che terrete in mano voi, l’altro
per l’aiutante.
Utilità: riuscire a capire le differenze anche minime, tra una parola e l’altra.
Esercizio dell’ascolta e ripeti
Senza nessun foglio in mano, il vostro aiutante pronuncia brevi e semplici frasi.
Bisogna ripeterle.
Utilità: per vedere se davvero sentite e capite
Esercizio dello sbaglio voluto
Senza alcun foglio dove leggere, dovete solo ascoltare. Il vostro aiutante pronuncia le
parole con l’accento volutamente sbagliato, bisogna capire se c’è errore e quale è la
parola corretta. (Esempio: “Sono andato al mèrcato a comprare gli asparàgi”)
Utilità: ottimo per aumentare l’attenzione e capire davvero le parole.
Esercizio dell’elenco telefonico
Con l’elenco telefonico in mano, leggere cognomi ed indirizzi a caso, e ripeterli.
Essendo parole non frequenti, saranno assai difficili da capire e ripetere.
Esercizio dell’estrazione del Lotto.
L’aiutante vi ripete una sequenza di numeri, e bisogna saperli ripetere.
Particolarmente difficili sono tutti quei numeri “sessant” oppure “settant”.
Di tutti questi esercizi si dovrebbe prendere nota dei risultati, e dovrebbero essere
ripetuti periodicamente per valutare i progressi.
E quando non c’è nessuno ad aiutarvi?
Le cose si fanno più difficili, ma qualcosa si può fare. Rimediate su internet gli
“audiolibri” in lingua italiana, e ascoltate i brani recitati avendo il testo sul monitor.
Ascoltate e leggete contemporaneamente. Si possono trovare cercandoli, volumi
interi recitati a voce, e anche audiofiabe, più semplici.
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In ogni caso si consiglia fortemente di utilizzate uno dei tanti riproduttori audio/video
da rimediare anch’essi su internet (completamente gratuiti), che permettono di
dilatare l’audio, accelerarlo, modificarlo, rallentarlo a piacere, insomma, modificare
l’ascolto secondo di propri desideri e le proprie esigenze. Questo si rivelerà utilissimo
nel caso si voglia, ad esempio, rallentare la voce per comprenderla meglio, oppure
accelerarla per rendere l’ascolto più difficile.
Quando trovate una parola o frase difficile, potrete tornare indietro e riascoltare la
pronuncia corretta.
E’ teoricamente possibile crearsi ex-novo dei CD audio di allenamento, utilizzando
appositi programmi, da utilizzare da soli a casa, ma la cosa merita una trattazione a
parte.
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INTERMEZZO: Simulazione di sordità. Avete bisogno di:
un PC con audio o cuffie - un programma di Audio Editing - uno o più file audio con voci maschili
o femminili.
I programmi cosiddetti “Audio Editors” sono, nel significato più generale, dei
programmi che servono a modificare i suoni. Una delle possibilità di utilizzare gli
Audio Editors è quella di modificare le voci secondo criteri ben precisi, per ottenere
un effetto desiderato. Pertanto, fornendo a un Audio Editor un set di istruzioni ben
definito è possibile realizzare un “simulatore di sordità” che può dare un’ottima idea
alle persone normoudenti di come “sentano“ (o meglio…. non sentano) le persone
sorde. Vediamo come.
E’ ovviamente necessario avere un programma di audio editing; mentre un tempo
questi strumenti meccanici di dimensioni colossali erano costosissimi, oggi esistono
anche in versione software, e, quel che è più interessante, alcuni di essi sono
completamente gratuiti (almeno nelle funzioni più elementari).
Rimediate quindi un software di audio editing, scaricandolo gratuitamente dalla rete,
e un file audio di voce maschile o femminile, solo voce, senza musica (sempre dalla
rete, oppure un file mp3, oppure una registrazione fatta in casa, come meglio
desiderate. L’unica accortezza è quella di utilizzare una registrazione di pochi
secondi e con un volume di partenza considerato “normale”, A questo punto, caricate
il file audio dentro il programma, e inserite l’istruzione “Equalizzazione” (oppure
“Filtro”, su alcuni programmi).
Procedete quindi in questo modo:
-mettete un filtro oltre i 300 Hz e riducete l’opzione “steepness” al minimo (così
facendo fino a 300 Hz si sentirà qualcosa, poi le frequenze successive caleranno in
maniera graduale, fino a scomparire. Oltre i 4000 HZ il suono sarà praticamente
scomparso). A questo punto “processate” il tutto, e ascoltate quello che viene fuori.
Ascolterete un qualcosa che somiglia a un ammasso informe di suoni, praticamente
incomprensibili, tutti spostati verso l’estremità grave, con la quasi completa
sparizione di toni acuti, e un senso generale di “suono ovattato”. Praticamente l’unica
cosa che ricorda i suoni reali è rimasto il ritmo del linguaggio, lo stacco da una parola
all’altra, le sospensioni, talvolta il passaggio da una sillaba all’altra, a tratti
l’accentazione (insomma, quello che va sotto il nome di prosodia della frase).
Se volete agire in modo più complesso (ma qui dovete davvero essere capaci di usare
lo strumento): da 20 a 300 Hz abbassate le sonorità di una quantità pari a circa il
50%. Da 300 Hertz a 2000 Hz, dimezzate ulteriormente i suoni rispetto a quanto
avete fatto rispetto alle frequenze precedenti; infine per tutte le frequenze oltre 2000
Hertz (in pratica da 2000 a 8000 Hz), eliminate la totalità (o quasi) delle informazioni
sonore. Potrà essere necessario fare queste operazione una dopo l’altra anziché
contemporaneamente, a seconda del programma utilizzato.
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Ecco, avete ottenuto una simulazione di sordità profonda, assai fedele alla situazione
reale (attenzione: la sordità simulata descritta qui sopra è quella relativa alla persona
sorda che porta l’apparecchio acustico: se manca persino l’apparecchio acustico,
allora si potrebbe tranquillamente anche sparare una cannonata e non accorgersene
quasi).
Ma tutto questo perché è stato fatto? Solo per soddisfare la curiosità di sapere
finalmente “cosa si prova ad essere sordi”? No, il motivo è anche un altro. Tenete da
parte questa simulazione di sordità, perché tornerà utile più tardi, al momento di fare
il “Mappaggio fatto in casa”, ovvero la simulazione della taratura dell’impianto
cocleare, che viene periodicamente eseguita in ospedale; ma fatta stavolta a casa
propria.
A proposito di logopedia Brevi considerazione sulla logopedia. Tralasciando un attimo l’annosa questione se
valga la pena andare a “fare logopedia” per un adulto, qui si vogliono fare solo alcune
considerazioni pratiche.
1) Se andate a “fare logopedia”, non siate passivi. Non delegate i vostri progressi alla
terapista, non comportatevi come se fosse lei a farvi migliorare per magia. La
logopedista deve fare in modo che voi facciate progressi. Quindi mettetela in
condizioni di svolgere bene il suo lavoro: siate attivi, collaborate con lei, nel
cercare di capire come è la vostra situazione, di cosa avete bisogno. Se si instaura
un rapporto collaborativo, i risultati saranno migliori e più rapidi. Con la
logopedista siate propositivi, lanciate idee, comunicate impressioni, esprimete
dubbi e pareri, e sentite lei cosa vi risponde. Ricordatevi che la logopedista non è
un avversario, una persona ostile che vi fa soffrire, bensì una persona che fa di
tutto per farvi migliorare. Imparate a “fare squadra” anche se siete in due. Se le
date spunti utili, saprà, con la sua esperienza, inquadrare sempre meglio la vostra
personale situazione e darvi utili consigli. Chi è la logopedista? Non è la persona
che vi fa sentire meglio o parlare meglio, bensì è la persona che vi indica come
sentire meglio e parlare meglio. La sua bravura è nella capacità di svolgere
efficamente il suo lavoro, certamente!, ma è chiaro che il suo lavoro viene svolto
molto meglio se voi collaborate attivamente. Insomma: “Gioco di squadra”.
2) “La logopedia è fatta bene quando sembra una battaglia”: quindi, quando andate
dalla logopedista date il massimo senza risparmio, impegnatevi con tutta la vostra
persona, sforzatevi al massimo. Se avete fatto le cose come si deve, dovreste
terminare la seduta stanchissimi per lo sforzo. Non andate a fare logopedia così,
come capita, come se fosse una incombenza di routine. Al contrario combattete (è
la parola giusta) su ogni suono, ogni parola, ogni frase.
3) “Logopedia” non è quella cosa che dura un’ora alla settimana e si fa dentro una
stanzetta, bensì è una cosa che viene fatta lungo l’intera giornata, per sette giorni a
settimana. Fuor di metafora: quello che viene fatto durante l’ora di terapia bisogna
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sforzarsi di farlo in ogni occasione della giornata. Ricordate: “Applicarsi vuol dire
migliorarsi”.
Solo per curiosità: il sottoscritto, non volendo lasciare nulla al caso e avendo la fortuna di avere
nella propria città di residenza un centro di logopedia con terapiste esperte in impianto cocleare, è
andato a terapia per qualche mese, cominciando due mesi prima dell’operazione per valutare le
condizioni di partenza. Dopodichè si è proseguiti per qualche mese, e poi si è continuato –e si
continua tutt’ora - con l’allenamento a casa.
La RADIO, strumento principe.
La prima cosa che istintivamente farete, una volta acceso l’IC per la prima volta, e
superati i primissimi momenti di straniamento e confusione, sarà quello di
precipitarvi ad ascoltare musica oppure a fiondarvi davanti alla televisione per
guardare i vari programmi.
Calmate i bollenti spiriti! In realtà musica e televisione non sono le cose più indicate,
almeno all’inizio. Hanno la loro grande importanza, ma solamente in tempi
successivi. Lo strumento principale intorno al quale ruota l'allenamento all'ascolto è
la radio (intesa NON in senso musicale, però). Spezziamo una lancia in favore di
questo strumento, tanto bistrattato in favore di altri mezzi, eppure tanto utile. Sono
diversi motivi per cui la radio è da preferire a qualsiasi altra cosa.
1- La radio è pensata esclusivamente come strumento sonoro, al contrario della
televisione che predilige l’aspetto visivo. Di norma, inoltre, nella radio la
parola è più curata rispetto alla televisione; essendo la radio stata creata
esclusivamente come interfaccia sonora, nel senso che non può offrire
immagini, tutto il suo utilizzo ruota intorno all'ascolto; quindi mentre per la
televisione a volte si può trascurare l'aspetto sonoro perché l’aspetto primario è
l'immagine, nel caso della radio non è così, in quanto tutto deve essere
veicolato attraverso le parole e i suoni, e pertanto la dizione e la pronuncia di
solito si presume siano più curate alla radio rispetto alla televisione. In linea
del tutto generale, quindi, per quanto concerne voci e parole la radio è meglio
della televisione.
2- Forse non verrà notato subito, ma ce ne si accorgerà presto: la concomitanza di
informazioni audio e video è estremamente fastidiosa nella comprensione del
suono. Un elemento che deve far preferire inizialmente la radio rispetto alla
televisione è appunto il fatto che, dal momento che la televisione comunica
prevalentemente attraverso il canale visivo, l’immagine vi distrarrà molto
dall’ascolto del suono. L’informazione visiva va a disturbare la concentrazione
necessaria per udire i suoni, al punto che si noterà che il risultato migliore
nell’ascolto si ottiene non solo con la radio piuttosto che con la televisione, ma
addirittura ascoltando la radio ad occhi chiusi, senza nemmeno guardare
l’intorno, o il muro della vostra stanza, o gli oggetti intorno a voi. Vi
accorgerete quasi istantaneamente che, non avendo distrazioni di alcun tipo,
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l’ascolto a occhi chiusi dà risultati migliori rispetto all’ascolto ad occhi aperti.
Questo perché le informazioni visive distraggono da quelle uditive. Si arriverà
al grottesco che, più tardi, la comprensione del telegiornale in TV risulterà
maggiore..…guardando la televisione ad occhi chiusi! Ovviamente quello sarà
il momento in cui gradualmente bisognerà abituarsi alle immagini senza
perdere il filo del discorso. Non c’è fretta! Con il tempo, imparerete ad
ascoltare la radio anche con gli occhi aperti, e poi passare alla televisione, alla
musica….. un passaggio per volta. Piano piano si farà tutto, per ora
l’importante è saper dare le giuste priorità. Pertanto dedicatevi al suono puro:
la trasmissione radiofonica.
3- L’ascolto della musica comporta: ascolto di parole + il suono degli strumenti
musicali: in pratica, più fonti sonore contemporaneamente da interpretare.
Questo è al momento prematuro. Ricordiamo che la cosa più importante è
“imparare” ad ascoltare le voci umane, successivamente ci si potrà dedicare
alla musica. Non si faccia l’errore, molto comune, di dare molto spazio alla
musica nei primi tempi. Ricordarsi: “Prima le parole, poi la musica” .
4- Il meccanismo di “ascolto della radio” è quanto di più simile esista “all’ascolto
del telefono”: se imparate bene ad ascoltare la radio, passerete a sentire il
telefono quasi senza accorgervene. E tutti voi sapete che importanza enorme
abbia il telefono nelle comunicazioni….
5- Quando un domani si dovranno ascoltare conversazioni, dibattiti, relazioni,
oppure dovrete presenziare a riunioni, eccetera, difficilmente avrete la
possibilità di avere l’interlocutore davanti a voi a breve distanza. La maggior
parte delle volte l’interlocutore sarà distante, coperto, oppure non lo vedrete
proprio: ne sentirete solo la voce. E in questo caso, chiudendo magari per un
attimo gli occhi, vi immaginerete di “star ascoltando la radio”, calandovi in
una situazione e in una “forma mentis” già conosciuta. Ed essendo la
situazione così simile all’ascolto di una radio, vi ritroverete abbastanza a
vostro agio.
6- Infine, tenete a mente: “Ascoltare la radio significa cominciare a non dover più
guardare le persone per capirle”. In altre parole, cominciare a fare a meno
della lettura labiale.
RIASSUMENDO: LA RADIO AL PRIMO POSTO.
Per quanto concerne le stazioni radio sarebbero da preferire quelle emittenti che
trasmettono essenzialmente servizi “vocali” piuttosto che “musicali”, e questo sempre
in virtù del fatto che la voce umana è da preferire, almeno nei primi tempi. Si
raccomandano i canali radio nazionali, nei quali si fa molta informazione, e si
possono trovare molti servizi, interviste, telegiornali. Inoltre trattandosi di
trasmissioni nazionali la qualità della dizione e della pronuncia è certamente più
curata rispetto alle emittenti locali.
Le emittenti migliori: i tre canali radio RAI (Radio Uno, Radio Due, Radio Tre) –
Radio Radicale – Radio Vaticana. Queste cinque emittenti trasmettono su tutto il
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territorio nazionale, coprono tutto il possibile spettro di trasmissioni, possono venir
utilizzate in ogni momento della giornata, e si possono udire voci di tutti i tipi:
maschili femminili, giovani, adulti, anziani.
Un'altra cosa da considerare a proposito della radio: è molto diverso l'ascolto tra la
radio “tradizionale”, e le radio Internet. Questo perché, pur essendo le trasmissioni
identiche, nelle radio tradizionali è sempre presente un fruscio di sottofondo, che
costituisce un disturbo all’ascolto, mentre invece la trasmissione radio via Internet è
perfetta, senza alcun sottofondo di sorta. Pertanto inizialmente sarebbe meglio
allenarsi ad ascoltare le emittenti radio su Internet, successivamente passare alla radio
tradizionale da cui ricezione è talvolta assai più disturbata. la radio con disturbi di
sottofondo è tuttavia molto importante nelle fasi di allenamento avanzate in quanto
introducono a quello che è l'ascolto in condizioni reali cioè sempre con un sottofondo
presente.
Da non trascurare, nel caso delle radio internet, l’importantissima possibilità di
“salvare” sul computer le trasmissioni per poi riascoltarle successivamente,
eventualmente rallentarle, accelerarle e modificarle a piacimento: un vero punto di
svolta nella capacità di allenarsi ad ascoltare. Cucendo l’ascolto su misura, si
potrebbe dire.
Ma in cosa consiste in concreto l’allenamento alla radio? Molto semplicemente,
bisogna rimanere ad ascoltare la radio, in condizioni di quiete, sforzandosi di capire il
flusso di parole e il senso del discorso. Ascoltate preferibilmente i canali radio
nazionali, che godono di buona dizione. Sebbene possa alla lunga risultare noioso,
ascoltate qualunque tipo di programma: radiogiornali, notiziari, interviste, convegni,
pubblicità, notizie sportive, previsioni meteo e situazioni delle autostrade. Tutto.
Scaricatevi un file audio sul vostro computer (ad esempio un notiziario o
un’intervista) e ascoltatelo inizialmente così come è (condizione di ascolto ordinaria),
e se volete successivamente cambiando le condizioni di ascolto: fate scorrere l’audio
più lento, più veloce, più acuto, più grave, eccetera, come più vi sentite a vostro agio.
Se non riuscite ad afferrare una frase o passaggio particolare, tornate indietro e ri-
ascoltate fino a quando non è chiaro. Provate a tenere gli occhi chiusi per aumentare
la concentrazione. Ma soprattutto esercitatevi con costanza. Questi esercizi non
andrebbero fatti, così, come capita, una volta ogni tanto. Andrebbero al contrario fatti
tutti i giorni, incrementando il tempo di ascolto ogni volta. A puro titolo informativo,
un buon allenamento andrebbe fatto, a pieno regime, per circa due ore giornaliere, sei
giorni la settimana (la domenica riposatevi), diviso in due tempi di un’oretta
ciascuno. Una cosa importante: non focalizzatevi su un aspetto dell’ascolto nel caso
abbiate imparato a padroneggiarlo. Per esempio, potrà darsi che quel certo speaker di
quel certo programma la sentiate benissimo, e sarà diventato comodo (ed
appagante…) ascoltare quella determinata trasmissione radio. Bene, non dovete
crogiolarvi sugli allori, bensì dovete a quel punto cambiare programma e cominciare
ad ascoltare una voce più ostica e difficile (spostamento dell’asticella più in alto). In
altre parole, non dovete continuare a fare le cose che sono ormai facili, ma cimentarvi
in quelle più difficili.
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E non scoraggiatevi: una cosa del genere non l’avete mai fatta in quarant’anni, non
pensiate di riuscire a farla adesso in quaranta minuti.
Esercizi Avanzati alla radio.
Se vogliamo dedicarci a un ascolto davvero impegnativo: si potrebbe consigliare le
radiocronaca delle partite di calcio, dove le voci sono per forza di cose molto
concitate, sovente alterate, spesse volte urlate. Riuscire a seguire il ritmo del discorso
è un allenamento davvero impegnativo, ancor più se in sottofondo è presente il
frastuono “da stadio”.
Altro esercizio impegnativo: le trasmissioni nelle quali vengono elencati i dati di
borsa. Sebbene sia noioso, la sfilza di dati e cifre, quotazioni, variazioni percentuali
eccetera, sono un ottimo allenamento per tenere alta l’attenzione sulla pronuncia di
sigle, numeri e cifre.
Cambiate poi le condizioni fisiche dell’ascolto: ruotate l’altoparlante della radio in
direzione opposta a quella del vostro orecchio, per rendere più difficoltoso l’ascolto.
Piazzate gli altoparlanti più lontani. Aprite la finestra per far entrare un rumore di
sottofondo che vi obbligherà a stare più attenti. Aprite il rubinetto per far gocciolare
l’acqua su una bacinella a sua volta già colma di acqua, il che darà molto fastidio.
Sbizzarritevi nell’escogitare soluzioni alternative e cercate di rendere le cose
progressivamente “più difficili”.
Quando lavorate, per esempio scrivendo una lettera al pc, fatelo indossando le cuffie
ed ascoltando la radio. Provate, anche se sarà quasi impossibile a fare due cose
contemporaneamente, di cui una sia relativa all’ascolto.
E quando, stanchi morti, vi domanderete “ma chi me lo fa fare?” la risposta che
dovrete darvi sarà: la voglia di migliorare.
Tabella tipo di allenamento per i primi mesi.
Mattino: Appena svegli, 45 minuti/1 ora di ascolto radio (o audiolibro)
Pomeriggio o sera: almeno 1 ora di ascolto radio, oppure ascolto del telegiornale e
mezz’ora di radio
Durante il giorno: se potete lavorare tenendo le cuffie, ascoltate la radio. In casa,
tenete una radio sempre accesa in ogni stanza.
Con il passar dei mesi incrementate gradualmente i tempi, e provate ad accostarvi -
senza fretta- anche alla TV, alla musica, e al telefono.
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Il mappaggio fatto in casa. Precisazione: il “mappaggio fatto in casa” ha il solo scopo di suggerire piccole modifiche al
“mappaggio” tradizionale che si svolge in ospedale; modifiche che possono contribuire a migliorare
l’ascolto.
Il Mappaggio è quell’operazione, eseguita in ospedale o in clinica, con la quale
l’impianto cocleare viene tarato per consentirne il miglior utilizzo, agendo a livello
dei singoli elettrodi, alzandone o abbassandone il volume e regolandone le proprietà.
Di norma è un’operazione che viene svolta assai frequentemente nel corso del primo
anno di utilizzo, poi viene svolta più raramente, in quanto si presume che l’ascolto sia
ormai stabilizzato. Per fare il mappaggio si utilizza di regola l’esperienza
dell’operatore, che saprà come tarare i vari elettrodi e adattarli alle esigenze del
soggetto. Il quale soggetto si trova ad essere, in questa operazione, perlopiù…
soggetto passivo.
Ma cosa succede se il soggetto è in grado di esprimere preferenze, di dare
un’indirizzo, di dire cosa gli sembra meglio per lui, di aiutare l’operatore nel
processo di mappaggio, per suggerire di eseguire una taratura sulla base delle proprie
esigenze personali e basata su dati verificati?
Non c’è quasi bisogno di dirlo: succede che il mappaggio è più aderente alla singola
persona, e diventa anche più efficace. L’ascolto, pertanto, diventerà più confortevole
e “cucito su misura”. Ma è possibile riuscire a fare una cosa del genere?
Teoricamente è possibile, anche se richiederà tanto tempo.
Il procedimento di “mappaggio fatto in casa” ha valore solo se viene fatto nei
primissimi tempi; se fatto in seguito, infatti, perderà molta della sua efficacia in
quanto il volume e la taratura dei singoli elettrodi risulteranno disomogenei (esempio:
il quinto elettrodo regolato “più in alto”, il dodicesimo “più in basso”, eccetera). E’
bene quindi fare il “mappaggio fatto in casa” nei primi tempi, finchè gli elettrodi sono
ancora grossomodo tarati allo stesso modo per prendere confidenza con i suoni.
Perché il “mappaggio fatto in casa” può avere una sua importanza? Perché non tutte
le persone sono uguali, e la sensibilità al suono che va bene per una persona potrebbe
non calzare a pennello per un’altra.
Per iniziare, è imperativo che abbiate sottomano il foglio con lo schema di
funzionamento degli elettrodi dell’impianto cocleare. Se non lo avete, fatevelo dare
all’ospedale o clinica dove viene svolto il mappaggio. Si tratta di un foglio nel quale
vengono riportate, per ogni elettrodo, il “range” di frequenze di funzionamento, e sarà
simile a quanto segue:
Elettrodo nr.1 : da 188 a 313 Hertz
Elettrodo nr.2 : da 314 a 550 Hertz
Elettrodo nr.3 : da 551 a 720 Hertz
….eccetera (i numeri non saranno identici).
Adesso andare a ripescare il software di audio editing che avete utilizzato
precedentemente per la simulazione di sordità, prendete due files audio, uno con voce
maschile e l’altro con voce femminile.
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Adesso effettuate l’equalizzazione e processate il primo file audio, in modo da
inserire solamente il range di frequenze di un singolo elettrodo, e ascoltate - con il
solo impianto cocleare, senza apparecchio acustico - cosa viene fuori.
Esempio: utilizzando la voce maschile, fare in modo di ascoltare solo quanto passa
sul primo elettrodo, per cui, seguendo l’esempio di cui sopra, fate passare solo le
frequenze da 188 a 313 Hz ed escludete tutte le altre (in gergo tecnico questa
operazione si chiama ”filtro passabanda”). Ascoltate e prendete nota: come vi è
sembrata la voce? Incomprensibile’ Sufficientemente chiara? Troppo grave? Un
borbottio indistinto? Segnatevi tutto. Fate la stessa cosa relativamente al secondo
elettrodo, cioè applicate il filtro passabanda da 314 a 550 HZ. Di nuovo ascoltate,
giudicate e prendete nota. Vi potrà sembrare che per gli elettrodi adiacenti il risultato
sarà simile, mentre le vere differenze ci saranno per elettrodi distanti (esempio: il
primo a confronto con il quinto, l’ottavo con il dodicesimo, eccetera). Adesso provate
a raggruppare gli elettrodi: ad esempio, vogliamo provare cosa si sente con primi tre
elettrodi (faremo quindi il filtro da 188 a 720 Hz).
Fate tante prove, raggruppate gli elettrodi, fate confronti con il suono intero originale,
“giocate” con le varie misurazioni, e alla fine fatevi una idea di dove avete
l’impressione di sentire meglio. Per fare un esempio, le frequenze intorno a 4500 Hz
saranno poco utili per sentire le voci, quindi si può assumere che gli elettrodi relativi
a 4500 Hz non servono per ascoltarle, bensì per ascoltare altri suoni acuti).
Idem, lo stesso processo, daccapo, con la voce femminile.
Alla fine, riunite tutti i dati e evidenziate il fatto che le voci riuscite a sentirle bene
soprattutto nel range di frequenze che va da X hertz fino a Y hertz. E basandovi sugli
elettrodi relativi, chiedete al vostro operatore di tarare di conseguenza quei particolari
elettrodi in maniera preferenziale rispetto agli altri.
Come si vede, questo procedimento viene utilizzato solo per le voci umane.
Teoricamente andrebbe bene anche per la musica, ma l’accento vuole essere sempre
posto sui suoni più importanti: le voci (“Prima le parole, poi la musica”).
Con l’operatore preposto al mappaggio discutete di tutto quanto. L’operatore, forte
anche della sua esperienza personale, in seguito valuterà se e in che misura
modificare la curva standard del mappaggio in base a quanto suggerito dal soggetto.
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CONCLUSIONE….. Lungi da me il desiderio di essere retorico; quello che si vuol far capire è che
l’utilizzo dell’impianto cocleare è una lunga ed impegnativa avventura. Affrontarla
senza un piano, senza un obiettivo, senza sapere con precisione cosa fare, è forse la
maniera migliore per non sfruttarlo appieno. E’ come avere una macchina fuoriserie,
e usarla per andare a comprare il giornale dietro l’angolo. I primi mesi sono forse i
più importanti, perché è qui che si incominciano a capire le regole del gioco, e si
indirizzano le azioni future in base a quelle che sono le proprie peculiarità. E’ qui che
si comincia a conoscere una nuova maniera di sentire e una nuova maniera di prestare
attenzione ai suoni. Ed è qui infine che si capisce che il meccanismo dell’ascolto è un
qualcosa di niente affatto passivo, ma che al contrario richiede molta attenzione,
lavoro, e forza di volontà.
COMBATTETE SU OGNI SUONO.
LOTTATE SU OGNI PAROLA
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APPENDICE In questa appendice vengono riproposte le tre parti scritte precedentemente a mò di diario, scritte al
momento dell’accensione, alla situazione venti giorni dopo l’accensione, e infine due mesi dopo
l’accensione
ACCENSIONE Cari tutti,
alla fine è arrivata l'attivazione dell'impianto cocleare....
Mi trovo in difficoltà persino a parlarne.
L' accensione di un impianto cocleare è un qualcosa che semplicemente non si può definire con
precisione.
Credo che ogni caso sia a sè stante, ma la mia impressione è stata quella di sentire almeno tre o
quattro chitarre elettriche dentro la testa contemporaneamente. (AGGIORNAMENTO: questo
suono di “chitarre elettriche dentro la testa” è in realtà il “rumore” dell’accensione, un rumore in realtà inesistente, che le prime volte è molto intenso, NDA). Se avete mai sentito il
suono di una chitarra elettrica forse avete capito cosa intendo. Ebbene, moltiplicate questo suono
per quattro.
Suoni laceranti, acutissimi, stridenti, sfrigolanti, degradanti verso l'alto e il basso, soprattutto acuti e
che si distorcono mentre vengono sentiti, distorti, ecco, il termine giusto è distorti.
Altra grandissima differenza: non si "sentono" più i suoni bensì li si "percepisce" dentro la testa.
Mentre con l'apparecchio acustico sentiamo suoni, con l'impianto il suono sembra entrare nella testa
come una lama. Il suono non è più qualcosa "nell'orecchio", bensì "nella testa".
Altra sensazione è l'accumulo sonoro: se riuscite a capacitarvi dell'espressione, la defineirei un
"minestrone" sonoro.
Una zuppa di suoni assolutamente inintelligibili, eppure presenti.
Altra sensazione: miliardi e miliardi di suoni, mai sentiti prima. E' una cosa meravigliosa? No, è una
cosa straniante.
Questa è una cosa che fa prendere il panico, sembra che il mondo intero sia composto di rumori. Ma
si tratta di rumori mai sentiti, mai avvertiti prima d'ora!
Non esiste esprssione più azzeccata che "giungla sonora". Camminando per strada, per le vie,in
mezzo ai palazzi, per le piazze, si ha l'illusione di avere accanto a sè muri di suono. Come si fa a
definire un "muro di suoni"? non lo so, ma dentro la testa senti miliardi di suoni, e non riesci a
capirne, decifrarne, neanche uno, che sia uno. Zero assoluto.
Il suono è dentro la testa, ti fermi come uno scimunito in mezzo alla strada, hai quasi la sensazione
che allungando la mano potresti "toccare" il suono.
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Ma la differenza primaria è questa: il suono è DIVERSO. non si ha più alcun punto di riferimento.
Il giorno stesso in cui ho avuto l'attivazione ho sentito in mezzo alla "giungla sonora" il vago suono
della sirena dell'autoambulanza che si avvicina, o almeno qualcosa che gli assomigliava. Quale è
stata la mia sorpresa, o meglio, il mio orrore, nello scoprire che era il suono delle ruote
dell'automobilina a pedali di un bambino sull'acciottolato della strada. Lì ho capito che tutto il mio
vocabolario sonoro era da riscrivere......
La cosa più sgradevole? il fatto che il "tipo" di suono sia inintelligibile. Si può andare per tentativi,
certamente...ma il tentativo è sempre sbagliato!
Non riconosco la voce umana dal rumore ambientale, a causa del "minestrone sonoro". La voce
umana, se c'è, è sepolta dall'ammasso urlante, stridente, invadente, degli altri suoni.
Ma, anche in ambiente tranquillo, non riesco a distinguere una vocale da una consonante.
Sensazione orribile. Sembra di sentire tutti i suoni superflui, e non quello più importanti: la voce
umana.
Sembra che il singolo suono sia più quantitativo che qualitativo (ovvero, sento se il suono c'è
oppure no, ma non so dire nulla di esso. Era una voce umana? un oggetto che cade? una moto che
sfrecciava? boh? era un suono, e basta... al massimo potrei dire se il suono era vagamente acuto o
grave, e si si è modificato nel tempo, oppure è rimasto costante. )
Il personale dell'ospedale mi ha incoraggiato a non spaventarmi nonostante la mia età ("voi adulti
attempati purtroppo siete i casi peggiori, dovete avere molta più pazienza degli altri....") e a
pazientare, pazientare, e ancora pazientare, aspettare che il nervo si abitui a qualcosa di nuovo.
Intanto, portare sempre la protesi tradizionale all'altro orecchio, la quale protesi ha l'importante
compito di "traghettare" i suoni sconosciuti, facendoli assimilare piano piano, e tanta, tanta
pazienza, e "....mettetevi in testa che i risultati dipendono da voi, e da nessun altro".
La mia sensazione? essere in mezzo alla giungla, senza punto di riferimento. Ma se anche questo fa
parte del gioco, continuerò a giocare.... ormai siamo in ballo.
VENTI GIORNI DOPO L’ ACCENSIONE Buongiorno a tutti, dopo tre settimane di attivazione dell’impianto, pari a circa venti giorni di
esplorazioni sonore, senza alcun “mappaggio” specifico, ecco lo sviluppo della situazione. Faccio
sempre notare che le impressioni sono personali e potrebbero non essere condivise da altri.
La prima cosa da segnalare –non me l’ha fatta notare nessuno, ci sono dovuto arrivare da solo con
continue prove – è che uno dei suoni, particolarmente fastidioso e somigliante a una serie di
velocissimi ticchettii uno dopo l’altro, è un suono “immaginario”, percepito solo chi porta
l'impianto, dovuto probabilmente all’accensione dell’impianto e alla messa in azione. Questo suono
dura una ventina di minuti, dopo di che si attenua e scompare. Se al termine della giornata
l’impianto viene spento e subito dopo riacceso, ricompare il ticchettio, ma stavolta la sua durata è
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limitata a un paio di minuti. Se si “stacca” l'impianto mentre è acceso, e subito dopo lo si
riposiziona, non vi è alcun ticchettio di sorta, Ne deriva che questo rumore è dovuto solo all'azione
di accensione. Non vi è modo di far sparire il ticchettio, invero fastidiosissimo, dal momento che ad
ogni spegnimento e accensione dell’impianto inevitabilmente si ripropone. Se ne deduce che sia una
sorta di “riscaldamento del motore”. Non è possibile nemmeno “far riscaldare” l'impianto qualche
minuto “a vuoto” e poi metterselo (evitando così il ticchettio), dal momento che si spegne
automaticamente dopo pochi istanti, se non viene messo in posizione (probabile funzione risparmio
energia).
Ho fatto un po' di prove in ambiente perfettamente isolato e silenzioso, ed ecco quello che è venuto
fuori.
Un fatto davvero singolare, anzi forse il più singolare di tutti, è stato lo scoprire il PERCHE’ i suoni
sono così diversi da quelli precedenti. In sintesi: con le protesi acustiche noi sordi profondi
sentiamo prevalentemente i suoni gravi e quasi nulla degli acuti; con l’impianto, all’opposto si
sentono prevalentemente i suoni acuti rispetto ai gravi. Questo che significa? Significa che mentre
l’estremità “grave” dei suoni rimane così com'è, l’estremità “acuta” si arricchisce, si dilata, si
allarga, si riempie di suoni. In altre parole, i suoni acquistano anche delle tonalità che prima erano
inudibili.
E in cosa si traduce tutto questo? Si traduce in fenomeno che fa sorridere, ma è molto reale e, per
chi lo prova, come il sottoscritto, sconcertante: le voci umane sembrano quelle dei cartoni animati.
Provando ad ascoltare le persone, in assenza di altri suoni, sembra di sentire Pippo Pluto e Paperino,
Quack! Quack! Oink! Oink!
Se invece i suoni non sono voci umane, ma suoni ambientali, sembra di sentire “rumori da
videogiochi”. Chi negli anni passati giocava con i videogiochi da bar capisce cosa intendo. I suoni
vengono “dilatati” verso la tonalità acuta, assumendo un connotato irreale al quale forse toccherà
farci l’abitudine . Il rumore ad esempio dei tacchi sul pavimento, che prima erano un suono grave e
pesante, adesso acquistano una tonalità acuta accanto a quella grave. Lo stesso dicasi degli altri
rumori ambientali. E l’effetto finale è quello “da videogioco”: WOP! WOP! TIIING! TIIING!
WUP! WUP! BLIP! BLIP!
La situazione è di massima confusione perché non si sa più cosa si sta ascoltando: quel suono era
una signora che camminava con i tacchi alti, oppure era “PACMAN” ?
E’ assolutamente scontato, in questa situazione, che la comunicazione interpersonale avviene
mediante la lettura labiale, come prima.
Altra sensazione: il volume generale dell'impianto sembra essere inferiore a quello dell'apparecchio.
In altre parole: con l'impianto il volume sembra più basso. Con l'apparecchio i suoni gravi sono
tonanti e prepotenti, con l'impianto più delicati. (spiegazione: in questa fase iniziale il volume è
tenuto volutamente al minimo)
Ho avuto un incontro con un amico esperto in acustica, il quale era molto curioso di vedere un
orecchio bionico in funzione, per saperne di più (curiosità peraltro ricambiata). Al termine di una
lunga chiacchierata e di prove più o meno empiriche, mi è stato suggerito che l’udito attuale è
“provvisorio” e “irreale”, soprattutto perché l’udito delle persone normale ha una curva “a
campana”, in cui i suoni acuti vengono uditi in maniera progressivamente peggiore, mentre il
sottoscritto ha attualmente un udito a “linea orizzontale”, nella fattispecie a 4000 HZ si hanno
grossomodo gli stessi risultati che a 250 Hz.
(spiegazione: tutte le frequenze sono state “accese” alla medesima maniera per stimolare il senso
uditivo in generale.)
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Interessante notare come sia possibile decidere dall’esterno se far sentire di più o di meno alcuni
suoni (qui ti faccio sentire di più, qui ti faccio sentire di meno); per chi ha portato sempre
apparecchi acustici analogici, e NON digitali, la differenza si sente enormemente.
Estremamente imbarazzante, invece, è lo scoprire di udire suoni che non vengono avvertiti da molti
“normoudenti”, che forse a questo punto tanto normoudenti non sono, come ad esempio il ticchettio
di un orologio a qualche metro di distanza.
E’ opportuno ricordare infine, che il suono è QUANTITATIVO e non qualitativo. Ciò significa che
il tic-tac dell’orologio viene udito, ma non si sa che quello è il rumore dell’orologio, fino a quando
qualcuno non te lo dice. Fino a prova contraria, potrebbe essere un uccellino che cinguetta sul
balcone, oppure la goccia d’acqua che cade con insistenza dal rubinetto, oppure qualsiasi altra cosa.
A me personalmente è capitato di confondere il cinguettio degli uccelli con l'abbaiare di due cani in
lontananza.
Mi riesce difficile anche solo descrivere lo stato di confusione in seguito a una cosa simile.
Questa incapacità di decodificare i suoni è probabilmente l’aspetto peggiore della questione. Essere
avvolti da un miliardo di suoni senza capirli è qualcosa di difficilmente spiegabile. Molta gente si
esalta al pensiero che “finalmente ci senti!”, ma in realtà non basta udire, bisogna anche CAPIRE
quello che si sente, altrimenti siamo al punto di partenza.
Scontato, e anche un filo poetico, l'accostamento con l'udito del neonato, tu sei come un neonato, è
come se uditivamente fossi nato dieci giorni fa, i neonati all'inizio sentono ma non capiscono, tu sei
come loro, devi portare tanta pazienza, eccetera.
A 40 anni fa un certo imbarazzo sentirselo dire.
Paragone tra impianto- apparecchio acustico. Qui si passa dal giorno alla notte. Non c’è un solo
punto di contatto tra i due modi di sentire. Con l’apparecchio il suono “passa attraverso l’orecchio”,
con l’impianto il suono “è in testa”. E già questo basterebbe a spiegare la differenza.
Con l’apparecchio acustico il suono, se la fonte si allontana, è avvertito come sempre più fiacco e
“lontano”. Con l’impianto, al contrario, il suono è sempre uguale, se la fonte è a zero centimetri
oppure cinquanta centimetri di distanza è esattamente la stessa cosa, a meno che la fonte non sia
davvero lontana.
Questo provoca un corollario abbastanza fastidioso, ma tutto sommato sopportabile: con l’impianto
MANCA la direzionalità. Nel senso che non si può dire se il suono è a destra, sinistra, in alto o in
basso, vicino o lontano. Il suono c’è, oppure non c’è.
Con l’apparecchio il suono è “sporco”, sembra che attraversi strati e filtri prima di venir percepito,
l'informazione sonora si disperde, con l’impianto invece il suono è “pulitissimo”.
La sensazione di suono “dentro la testa” è difficile da spiegare, e se il suono arrivi da destra o da
sinistra, sia vicino o lontano, nulla cambia: viene percepito sempre allo stesso modo.
La sensazione di essere in un altro mondo rispetto a prima comunque la si riceve ascoltando i suoni
delle singole consonanti. Chi porta l’apparecchio acustico sa è perfettamente inutile pronunciare il
suono delle lettere “esse” o “effe”: non si sente nulla.
Con l’impianto, è con immensa sorpresa che si sente che ambedue queste consonanti non sono
mute, ma hanno un suono, non solo, ma differente tra loro: “ffffffff” e “ssssssssss” , con uno sbuffo
di aria differente, che produce un suono diverso, e, quindi, potenzialmente riconoscibile.
Con l’impianto il suono sembra certamente più “portatore di informazione”: se solo si riuscisse a
capire di che suoni si tratta!
C’è un aspetto favorevole alla protesi piuttosto che all’impianto? Si, almeno uno: i suoni gravi
sembrano più forti e definiti con l’apparecchio tradizionale, con l’impianto sono più morbidi e
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sfumati, e il suono grave per poter essere ben apprezzato, deve essere “potente”. Da questo punto di
vista, è un punto a favore dell’apparecchio acustico.
Sia ben chiaro che tutte le considerazioni di cui sopra valgono in ambiente silenzioso, dove vi è
possibilità di selezionare un solo, singolo suono, e fare osservazioni su di esso. E chiaro che se
siamo in presenza di tanti suoni allora si torna alla giungla sonora, al minestrone di suoni, e tutte le
osservazioni vanno a farsi benedire.
Una cosa positiva è che la giungla sonora non è “dolorosa”, forse anche perché il volume è tenuto al
minimo, quindi non arreca fastidio, ma solo una sensazione di frastuono inestricabile.
Capitolo Acufeni: ovvero, i fastidiosi ronzii all’orecchio che spesso e volentieri rendono la vita
impossibile. Sono meno fastidiosi del solito, in quanto vanno “in sottofondo”, mentre prima erano i
suoni preponderanti ancorché immaginari. Gli acufeni continuano a essere una presenza fastidiosa,
ma, essendo in sottofondo, se non altro sono più sopportabili.
Se si riuscisse a farli scomparire del tutto sarebbe cosa magnifica.
In conclusione noto soprattutto un fatto che mi fa sorridere, e cioè che mi trovo in una situazione
paradossale : mentre prima “nulla sentivo, e nulla capivo”, adesso “tutto sento…e nulla capisco
ugualmente”. E’ come si fosse passati da un estremo all’altro.
Considerazione negative? Essenzialmente una, l’enorme stanchezza soprattutto psicologica che si
accumula. Fare esercizi tutti i giorni, allenarsi, prestare attenzione, cercare al tempo stesso di avere
una propria vita…è davvero sfiancante.
Mi ripetono, poi, di trattare queste considerazioni alla stregua di pure curiosità, dal momento che
quando comincerà la regolazione dell’impianto vera e propria (al momento non c’è alcuna
regolazione specifica, bensì è tutto acceso al minimo volume, per vedere l’effetto che fa) cambierà
tutto. Questo, insomma, è solo un assaggio. Non oso immaginare quando si comincerà a fare sul
serio!
Il riassunto di tutto quello che ho scritto in una sola frase? Mi sto accostando alla giungla sonora,
non riesco a penetrarla, ma cerco di guardarla più da vicino per capirla.
Ma insomma, l’impianto è bello o brutto? Nè l'uno nè l'altro. Piuttosto, c’è una sensazione di
confusione completa. Sembra di aver a che fare con un marchingegno elettronico del quale non si
ha il manuale d’istruzioni: quindi bisogna procedere per tentativi, bisogna “scrivere da sé il manuale
d’istruzioni”.
E per finire le ultime parole famose: “Lavorate sempre tutti i giorni, allenatevi, che voi adulti ne
avrete da lavorare!”.
Gambe in spalla e pedalare!
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RI-ARREDARE LA CASA (DUE MESI DOPO)
Sono passati due mesi abbondanti dalla prima accensione dell’impianto, ed ecco il resoconto delle
nostre impressioni. Avevamo concluso la prima puntata con lo shock -a modo suo affascinante-
della prima attivazione, e la seconda con l’analisi dei primi suoni percepiti.
Adesso in questa terza fase ci avviciniamo di più all’osservazione dei suoni. Sarebbe bello dire che
“ormai si è arrivati alla conversazione telefonica” oppure “non c’è problema ad ascoltare la radio”,
ma siamo ancora molto lontano da questi livelli…sperando di arrivarci.
In realtà in questo momento l’attenzione è concentrata sull’osservazione dei suoni, per riuscire ad
ottenere in seguito la comprensione.
Osservare per comprendere. Prestare attenzione, per capire.
Ricapitoliamo brevemente: eravamo rimasti all’impianto cocleare che permette di sentire i suoni
come se fossero le voci dei cartoni animati (sensazione dovuta al fatto che ai suoni gravi si
aggiungono adesso i suoni acuti). Adesso andiamo oltre. Avviciniamoci a questi suoni e
indaghiamo meglio quali sono le differenze tra i suoni uditi con l’impianto e senza impianto
(ovvero solo con protesi), relativamente ai suoni più importanti: le parole.
Innanzitutto, come fare per “sentire le parole”, per notare le differenze tra apparecchio acustico e
impianto cocleare?? Un metodo semplice ed efficace è quello di ascoltare frasi di cui si conoscono
in anticipo le singole parole, prima solo con l’apparecchio acustico, e successivamente solo con
l’impianto coclearie, facendo così un confronto. Un buon esempio è L’Infinito di Leopardi, di cui si
trovano su internet diverse tracce audio. “Sempre caro mi fu quest’ermo colle….” eccetera . E’
importante sapere le parole che verranno pronunciate, per poter consentire l’accostamento tra il
suono e la parola che verrà pronunciata. In mancanza di lunghi testi, o se si vuol cominciare con
qualcosa di più facile, basta farsi ripetere (o registrare su nastro) da una persona volenterosa frasi
anche molto semplici come ad esempio “L’albero ha il tronco e le foglie”, o simili, ovviamente
annotando le frasi su un foglio.
Insomma: bisogna ascoltare la frase “L’albero ha il tronco e le foglie” sapendo in anticipo che sarà
proprio quella la frase ad essere pronunciata.
Tutto questo, con il motivo preciso di “sentire” come è fatto il suono della parola “albero”, foglie”,
“tronco”, eccetera.
E qui dopo un po’ di pratica ci rendiamo conto delle grandi differenze tra impianto cocleare e
protesi tradizionale, una differenza che va al di là del semplice concetto di pulizia del suono e di
grave/acuto. Intendiamoci: già il fatto che il suono arrivi direttamente dentro la testa senza nessun
disturbo, filtro, smorzamento, o sbavatura, già di per sé costituisce un grosso vantaggio.
Ma non si tratta solo di questo: mentre con la protesi la singola parola è costituita da due o tre
frammenti sonori (spesse volte coincidenti con le sillabe), con l’impianto cocleare la singola parola
può essere costituita da sette, otto, dieci frammenti sonori. Detto in altre parole, la differenza tra
protesi acustica ed impianto cocleare è che quest’ultimo fa percepire una maggior quantità di
informazioni (oltre che in maniera più pulita).
Con la protesi la parola albero “albero” viene udita come un qualcosa che potrebbe essere
vagamente qualcosa come “ah-he-ho”, con l’impianto cocleare si sentono invece una quantità di
suoni/frammenti sonori assai maggiore.
Ehi, quella lì è una “elle”. E quell’altra è una “bi”. E senti un pò come si sente bene la “erre”……e
quindi in totale che viene fuori?
Viene fuori “A L B E R O”.
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E qui abbiamo fatto centro: se una parola è fatta di tanti frammenti sonori, sarà, con il dovuto
allenamento (ripeto: con il dovuto allenamento!), più comprensibile della stessa parola fatta di soli
due o tre frammenti.
Torniamo all’esempio dell’albero. Se “albero” viene percepito con la protesi acustica “ah-he-ho”,
come accidenti possiamo sapere che si tratta proprio di “albero”? Ovviamente non si può. Ma è
proprio questo il motivo per cui si ricorre alla lettura labiale: frammenti di suoni + movimento delle
labbra = ricostruzione della parola pronunciata.
Ma ecco che con l’impianto si sentono tanti frammenti sonori in più. Potenzialmente quindi non
avremmo nemmeno più bisogno di dover guardare le labbra di una persona mentre parla.
Però ci troviamo di fronte a un ostacolo immenso: rimettere a posto i pezzi, far sì che a “quel”
particolare frammento sonoro venga attribuito un significato. E come si fa? In questo caso la
soluzione è una sola: allenamento, allenamento, e ancora allenamento.
Abbiamo quindi capito una cosa: e cioè che l’impianto cocleare è, fondamentalmente, un fatto di
grandissima pazienza.
E’ simile alla composizione di un puzzle: quando avevamo la protesi acustica vi erano a
disposizione solo pochi pezzi, e con quelli dovevamo ricostruire l’immagine dell’intero puzzle, e ci
dovevano bastare (non per avere l’intera immagine, attenzione! Ma solo per capirne almeno il
senso). Adesso invece con l’impianto cocleare abbiamo a disposizione molti più pezzi, e almeno in
teoria la ricomposizione dell’immagine finale è più semplice, e, forse, completa.
Il problema è che queste nuove tessere del puzzle sono di tipo completamente diverso da quelle
precedenti; riusciremo a farci l’abitudine?
Insomma, un gioco di pazienza cercando di ricostruire un’immagine sonora. Questa è la
conclusione alla quale è arrivato il sottoscritto, ed è la conclusione sulla quale NON si trovano
d’accordo i genitori dei bambini piccoli con impianto cocleare, in quanto la tipologia di problemi è
completamente differente, differente anche la maniera di reagire, di relazionarsi, eccetera. Ne
convengo: io devo fare un faticoso lavoro di ricostruzione della casa, buttando giù l’intero edificio, i
bambini piccoli no, cominciano da zero a edificare il palazzo, e procedono, pare, speditamente.
D’altro canto il sottoscritto ha la memoria dei suoni e delle parole, ovvero l’arredamento della casa
è già pronto, e loro no, devono acquistare l’arredamento della propria casa giorno dopo giorno.
Al che si arriva alla conclusione che la “sordità” non è mai generalizzabile, bensì un qualcosa che
va valutata “caso per caso”.
Leggendo queste righe mi vien quasi da sorridere: si sta in pratica affermando che le parole sono
fatte da segmenti sonori che si susseguono velocissimi, e sentire questi frammenti, e capire la loro
disposizione (prima l’uno poi l’altro), permette il riconoscimento delle parole. La scoperta
dell’acqua calda!
Ma una cosa è sapere le cose perché altri te le hanno dette, un’altra cosa è invece scoprirle, viverle,
rendersene conto di persona.
E la cosa è importante perché nel momento in cui finalmente si riesce a inquadrare il problema con
precisione, nel medesimo momento si riesce anche a gettare le basi per la sua soluzione.
Tutto questo per capire che il segreto della comprensione è proprio qui: riuscire a mettere insieme i
frammenti sonori che adesso si sentono, e prima sfuggivano completamente.
E’ spaventoso ascoltare l’Infinito di Leopardi (o altra poesia) con protesi acustica e impianto
contemporaneamente, e spegnere improvvisamente l’impianto in maniera volontaria. Rimane in
funzione la protesi, e all’istante ci si accorge di come praticamente si riesca a percepire niente più
che un brusio di sottofondo. I suoni acuti, le sonorità extra sono cancellate di colpo.
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Facendo l’inverso, spegnendo la protesi, vengono a mancare i supporti “gravi”, e i suoni che si
percepiscono sembrano meno gravi, e spostati prevalentemente sugli acuti.
E quindi… allenamento quotidiano. Lavoro faticoso, e ogni giorno che passa capisco sempre più il
senso della frase “Lavora, pelandrone! Sei vecchio, e dovrai lavorare più degli altri per avere
risultati”.
Gambe in spalla e pedalare! Ogni giorno almeno due ore di esercizi. Ascolto della radio, ascolto
della televisione. Musica. Ascolto di frasi prestabilite. E poi, dialoghi con altre persone, rumori del
traffico, immersione nella vita quotidiana. E’ paradossale che la cosa da evitare ora, è proprio il
silenzio.
Un gioco di pazienza infinita. E mi domando: quanti di noi hanno la pazienza necessaria? Qui si
parla di mesi e mesi e mesi, ma soprattutto si parla di una età che non è più quella dell’infanzia o
adolescenza.
Ecco, se devo dire come mi sento adesso, mi sento come quella persona che rientra a casa e la
ritrova completamente sottosopra. Non manca nulla, non sono entrati i ladri. Semplicemente nulla è
più al posto di prima. Dove sono finiti gli oggetti?
Scopro che i piatti sono finiti sotto al divano. Il dentifricio è sotto il lavello della cucina. Il sapone è
dentro il frigorifero. I bicchieri sono dentro la vasca da bagno. I libri sono accatastati in giardino. Le
cravatte sono nel freezer.
Non c’è più un solo oggetto, che sia uno!, ad essere al suo posto. Devo recuperarli tutti e rimetterli
al loro posto. Questo cosa è? Un bicchiere. E dove va messo? In cucina.
E queste cosa sono? Cravatte. E dove dovrebbero stare ? Appese nell’armadio.
E così per tutti gli oggetti….
“Lavora pelandrone!”.