Teatro Nel Seicento

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IL ‘600 SECOLO D’ORO DEL TEATRO EUROPEO 0. LINEE GENERALI a) teatro e crisi del rinascimento: a cavallo tra i due secoli e nella prima metà del ‘600 l’Europa vive una grave crisi economica e politica con la definitiva perdita dell’unità religiosa. L’antropocentrismo rinascimentale entra in crisi e lascia il posto alla cultura barocca nella quale il teatro diviene la metafora del mondo: l’uomo è l’interprete di una storia scritta dalla fortuna o dalla Provvidenza. Il teatro è l’arte per eccellenza, e non solo le altre altri, ma la vita sociale in generale lo assume e lo copia come linguaggio principale della propria espressione; b) teatro e controriforma: la Chiesa accetta il teatro ma solo a patto di una netta separazione tra sacro e profano che favorisce paradossalmente la secolarizzazione del teatro che diventa progressivamente autonomo dalla liturgia religiosa e dalle feste cicliche; eccetto in Spagna. c) Teatro e potere monarchico: in Inghilterra, Francia e Spagna la corona assume in modo più o meno diretto il controllo sulle rappresentazioni teatrali: il teatro diviene così da un lato rito sociale delle classi colte, dall’altro divertimento per il popolo che ha perduto il suo valore di costruzione di una identità politica collettiva. Fa eccezione l’Italia, dove il potere politico è frammentario e si crea uno stile internazionale, capace di esportare nelle corti un gran numero di esperti scenografi, tecniche innovative, maestranze e artisti 1. IL TEATRO INGLESE DA ELISABETTA I ALLA FINE DEL SECOLO Sotto il regno di Elisabetta I che occupa quasi tutta la seconda metà del ‘500 fino all’inizio del Seicento il teatro inglese conosce il suo momento di massimo splendore. Ciò è in qualche misura paradossale perché durante il suo regno ella prende numerosi provvedimenti volti a controllare le rappresentazioni per evitare che si mettessero in scena opere di tema religioso o politico. Gli attori dovevano chiedere la protezione di un nobile di alto lignaggio oppure sarebbero stati ritenuti dei “vagabondi” passibili di arresto. Dovevano, in assenza di tale protezione, chiedere per iscritto alle autorità locali il permesso di

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IL ‘600 SECOLO D’ORO DEL TEATRO EUROPEO

0. LINEE GENERALI

a) teatro e crisi del rinascimento: a cavallo tra i due secoli e nella prima metà del ‘600 l’Europa vive una grave crisi economica e politica con la definitiva perdita dell’unità religiosa. L’antropocentrismo rinascimentale entra in crisi e lascia il posto alla cultura barocca nella quale il teatro diviene la metafora del mondo: l’uomo è l’interprete di una storia scritta dalla fortuna o dalla Provvidenza. Il teatro è l’arte per eccellenza, e non solo le altre altri, ma la vita sociale in generale lo assume e lo copia come linguaggio principale della propria espressione;

b) teatro e controriforma: la Chiesa accetta il teatro ma solo a patto di una netta separazione tra sacro e profano che favorisce paradossalmente la secolarizzazione del teatro che diventa progressivamente autonomo dalla liturgia religiosa e dalle feste cicliche; eccetto in Spagna.

c) Teatro e potere monarchico: in Inghilterra, Francia e Spagna la corona assume in modo più o meno diretto il controllo sulle rappresentazioni teatrali: il teatro diviene così da un lato rito sociale delle classi colte, dall’altro divertimento per il popolo che ha perduto il suo valore di costruzione di una identità politica collettiva. Fa eccezione l’Italia, dove il potere politico è frammentario e si crea uno stile internazionale, capace di esportare nelle corti un gran numero di esperti scenografi, tecniche innovative, maestranze e artisti

1. IL TEATRO INGLESE DA ELISABETTA I ALLA FINE DEL SECOLO

Sotto il regno di Elisabetta I che occupa quasi tutta la seconda metà del ‘500 fino all’inizio del Seicento il teatro inglese conosce il suo momento di massimo splendore. Ciò è in qualche misura paradossale perché durante il suo regno ella prende numerosi provvedimenti volti a controllare le rappresentazioni per evitare che si mettessero in scena opere di tema religioso o politico. Gli attori dovevano chiedere la protezione di un nobile di alto lignaggio oppure sarebbero stati ritenuti dei “vagabondi” passibili di arresto. Dovevano, in assenza di tale protezione, chiedere per iscritto alle autorità locali il permesso di esibirsi. A partire dal 1574 il Master of Revels divenne un ministro plenipotenziario dello spettacolo, al quale dovevano essere obbligatoriamente sottoposti tutti i testi e che aveva facoltà di censurare e chiudere i teatri a tempo indeterminato. Il teatro da un lato cresceva vertiginosamente come passione per tutti i ceti sociali, dall’altro era osteggiato dai puritani (protestanti radicali anticattolici e filo-repubblicani) che lo ritenevano immorale e pagano. I provvedimenti della regina per il controllo delle rappresentazioni assumono così un duplice senso: da un lato c’era la volontà di usare il teatro per costruire un’identità nazionale forte e un’ideologia del potere sovrano, dall’altro quella di accontentare in qualche modo frange molto ampie di popolazione scontenta limitando l’immoralità della rappresentazione per tranquillizzare i puritani in procinto di rivoltarsi.Il teatro elisabettiano aveva così un carattere ambiguo: da un lato colto, dall’altro popolare, da un lato allineato e filogovernativo, dall’altro ribelle e critico nei confronti del potere.La drammaturgia era di carattere evocativo più che rappresentativo, le scene infatti, soprattutto a confronto con quelle italiane, erano povere, ed era affidato all’immaginazione dello spettatore, stimolata dal potere evocativo della parola, il compito di completare ciò che mancava.I temi erano tratti dai repertori più vari: miti classici, leggende nordiche, letteratura romanzesca e novellistica, storia greca e romana, storia nazionale.Non c’era una netta separazione tra tragedia e commedia, perciò si trovavano nelle tragedie anche caratteri degni di suscitare il riso e non si rispettava per nulla la regola delle tre unità aristoteliche. Questo faceva del teatro elisabettiano un teatro sostanzialmente anticlassico.

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1.1 MARLOWE E GLI UNIVERSITY WITS

Alcuni protagonisti del mondo accademico iniziarono a scrivere drammi per le compagnie professionali, anche con l’obbiettivo di conciliare la loro cultura alta con la cultura bassa e popolare. Gli “ingegni universitari” diedero inizio al modello tragico che sarebbe stato ripreso e perfezionato da Shakespeare. I due principali esponenti furono:

a) Thomas Kyd (1558-94): del quale ci è giunta una sola tragedia, ma della massima importanza. Nella sua Tragedia spagnola infatti troviamo proprio la storia dell’Amleto, con tutti gli elementi già pronti per fare da modello della geniale tragedia shakespeariana;

b) Cristopher Marlowe (1564-93): intellettuale raffinatissimo e anticonformista, morto di morte violenta, il suo successo è legato a Tamerlano il Grande, dramma nel quale un pastore tartaro, alla guida di un esercito di zotici riesce a conquistare una buona parte del mondo; sembra un riferimento alla vittoria inglese sugli spagnoli del 1588. Sempre del 1588 La tragica storia del Dottor Faust, tragedia che sarà ripresa da Goethe e da molti altri, tratta da una leggenda medievale. I temi marlowiani sono la critica delle religioni secolari (Il massacro di Parigi) e addirittura la passione omosessuale in contrasto con le convenzioni sociali (Edoardo II).

1.2 SHAKESPEARE (1564-1616)

Considerato il più grande drammaturgo di tutti i tempi, non si considerò mai un autore. Non curò mai la pubblicazione dei suoi lavori, dato che le opere erano di proprietà della compagnia che non aveva alcun interesse a farle conoscere ad altri attori, e dato che la poesia tragica era considerata genere minore. Il suo lavoro ha spesso carattere collettivo, ed è innanzitutto membro di una compagnia, quella sotto la protezione del Lord Ciambellano, che poi passerà sotto la protezione della corona.

La sua produzione è suddivisa in tre fasi:a) esordi 1588-89: in questa fase scrive soprattutto commedie (tra cui La bisbetica domata,

pene d’amor perdute, Sogno di una notte di mezza estate). Scrisse inoltre i drammi storici (quasi tutti, tra cui Riccardo III, Enrico IV, Enrico V) questi sono particolarmente da sottolineare, infatti mescolano ad una trama tragica personaggi di carattere comico, come il famoso Falstaff, che divenne beniamino del pubblico inglese, tanto che Shakespeare lo scelse come protagonista per la commedia Le allegre comari di Windsor. Scrisse anche alcune tragedie: Tito Andronico, Romeo e Giulietta, Giulio Cesare.

b) Maturità 1599-1607: è l’epoca delle grandi tragedie, prima tra tutte Amleto, testo base della letteratura europea, nel quale la trama di Kyd è ripresa e approfondita nel suo significato metaforico, psicologico e anche metafisico, con il problema del passaggio dalla consapevolezza del dovere all’azione vera e propria. E poi Otello, Re Lear e Macbeth, nelle quali emerge in maniera sempre differente l’atmosfera cupa e morbosa delle lotte per la successione al trono che si stavano svolgendo alla vigilia e dopo la morte di Elisabetta senza eredi. Il potere politico e i rapporti familiari e d’amore sono essenzialmente inconciliabili. Ci sono poi le tragedie di ambientazione classica come Antonio e Cleopatra. Importanti commedie come Molto rumore per nulla. Ci sono anche testi che sfuggono del tutto ad una definizione come Il mercante di Venezia e Troilo e Cressida, nella quale c’è un rovesciamento delle figure eroiche dell’Iliade in chiave assolutamente anticlassica.

c) Ultime opere 1607-1613: la compagnia passa sotto la protezione diretta del nuovo sovrano Giacomo I Stuart, e i drammi cambiano: i conflitti possono essere risolti senza spargimenti di sangue, come ne La tempesta. I temi di questo ultimo periodo sono tratti dalla tradizione romanzesca popolare e sono pertanto chiamati romances.

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1.3 IL TEATRO NEL PERIODO DI GIACOMO I E CARLO I

In questo periodo, successivo alla morte di Elisabetta e precedente alla rivoluzione del 1640, si crea una netta frattura tra pubblico colto benestante e critico che frequentava teatri privati e quello di estrazione popolare che frequentava i teatri per divertirsi e magari vedersi rappresentato sul palco.In questa fase emergono due tipi nuovi di drammi:

a) il dramma satirico, il cui rappresentante principale è Ben Jonson, personaggio che fece ogni tipo di lavoro e finì in carcere per omicidio. Le sue commedie sono ispirate alla satira classica che «castigat mores ridendo». I suoi personaggi sono grotteschi imbroglioni, truffatori, ciarlatani che cercano di fregarsi a vicenda finendo inevitabilmente per rimanere fregati da un altro ancora più furbo di loro. Nel capolavoro di Jonson Il volpone, i personaggi sono infettati dalla «febbre dell’oro», e, fingendo compassione a gara per un moribondo – che poi si rivelerà falso – ingaggiano un’aspra lotta per accaparrarsi fino all’ultimo centesimo. In Jonson non c’è riconciliazione, solo una società in disfacimento e la sua derisione.

b) Il dramma borghese, nasce sul modello dell’anonimo Arden di Feversham e si caratterizza per i personaggi borghesi che ne sono protagonisti, pur se le trame continuano sul modello elisabettiano-shakespeariano.

Il miglior rappresentante del teatro sotto Carlo I (1625-1649) fu John Ford, autore riscoperto da Artaud che ne fa il precursore del «teatro della crudeltà». I drammi di Ford possono essere considerati il punto d’approdo del teatro elisabettiano. I suoi personaggi vivono potentissimi conflitti interiori, ma il suo stile è rarefatto, la sofferenza resta inespressa e interiorizzata in modo quasi orientale in opere come Il cuore spezzato e Peccato che sia una puttana.

1. 4 RIVOLUZIONE E RESTAURAZIONEDurante la rivoluzione e il governo repubblicano di Cromwell i teatri restarono chiusi, la rivoluzione era infatti il trionfo dei puritani che avversavano il teatro. Si diffusero però drammi musicali, dato che la musica era considerata arte spirituale e pura. La restaurazione della monarchia portò alla rinascita del movimento teatrale inglese, ma il pubblico si era notevolmente ridotto, e apparteneva ai ceti sociali più benestanti, quelle parti che in precedenza frequentavano i teatri privati. Il periodo di black-out viene però risolto con la revoca del divieto delle donne, che diventano così l’attrattiva principale contribuendo a rinverdire i fasti dei decenni passati. Dato che il nuovo sovrano Carlo II aveva frequentato durante l’esilio le corti spagnole e francese, importa il gusto che si stava affermando in quegli anni sul continente, questo portò i seguenti sviluppi:

a) nella tragedia si affermarono le she tragedies, basate sui conflitti interiori di una protagonista femminile; esse rientravano nel più ampio genere delle heroic tragedies, che riprendevano da Corneille l’unità aristotelica (al contrario di quanto avveniva nel teatro elisabettiano) e disdegnavano la narrazione in favore di lunghi monologhi dedicati a grandi temi morali (coraggio, onore, virtù, amore, patriottismo, fedeltà ecc…); il maestro del genere fu John Dryden.

b) La commedia fu il genere più apprezzato e drammaturgicamente vivace: si suddivideva in tre sottogeneri spesso mescolati tra loro [a) commedia degli umori, b) commedia d’intrigo, c) commedia di costume]. Anche in questo caso si trattava di trasformare in qualcosa di accettabile per il pubblico inglese un modello importato dalla Francia, e precisamente quello di Molière. I principali autori furono Sir George Etheredge, maestro della commedia di costume, e William Congreve, che mischiando commedia di costume e d’intrigo realizzò la sintesi di queste tendenze, costituendo un modello in futuro per Oscar Wilde.

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2. IL TEATRO SPAGNOLO DEL SIGLO DE ORO

Il «siglo de oro» è il periodo più fecondo delle arti e della cultura spagnola che segue al periodo di massima potenza militare ed espansione economica della Spagna, con la conquista delle americhe. In questo periodo si sviluppa uno dei movimenti teatrali più importanti della storia partire da un nucleo originale che aveva le sue radici nelle manifestazioni religiose della Pasqua e soprattutto del Corpus Domini. L’opera di formazione dei gesuiti fu decisiva sia per la crescita dei gusti del pubblico sia per l’emergere di grandi drammaturghi che presso i gesuiti avevano studiato. Già a partire dal ‘500 si formarono compagnie itineranti e si fissava la forma dell’edifico teatrale, il corral, che da principio veniva allestito in portici e cortili di ospedali e altri edifici pubblici, e poi fece da modello per i teatri veri e propri, detti in Spagna, appunto corrales. Le compagnie di assistenza ai poveri come la Confraternita della Passione e Sangue di Gesù Cristo ottennero il permesso di sostentarsi tramite rappresentazioni ospitate nel cortile dell’ospedale da loro gestito. L’unione di due confraternite diede impulso alla costruzione dei due primi veri e propri corrales dedicati specificamente al teatro e che in seguito passarono direttamente sotto il controllo della città di Madrid. I comici dell’arte italiani come la compagnia di Zan Ganassa esportarono il modello della compagnia teatrale che si manteneva facendo tournée nelle varie città. Le compagnie dell’epoca erano composte da quattro o cinque attori giovani; due vecchi; due comici; e cinque o sei attrici (già dagli anni 80 del 500 è attestata la presenza delle donne sulla scena). Il capocomico gestiva gli aspetti non solo di messa in scena, ma anche economici e burocratici della compagnia. Gli spettacoli si componevano di: a) prologo; b) commedia (quasi sempre in tre atti); c) entremès (una farsa tra il primo e il secondo atto); d) baile (un ballo cantato tra secondo e terzo atto); e) jàcara (una poesia cantata in chiusura). Il termine comedia designava tutte le rappresentazioni teatrali di ampio respiro, anche quelle più “tragiche”, ma si può operare una distinzione tra due tipi fondamentali di commedia:a) commedia alta: era quella dedicata a personaggi di alta levatura, impegnati in riflessioni di grande spessore morale; spesso si trattava di una comedia de santos, cioè di un dramma agiografico che rappresentava la vita di un santo e il passaggio da una giovinezza spensierata e peccaminosa alla conversione, con tanto di botole da cui spuntavano diavoli, tendoni che si aprivano per mostrare apparizioni divine, e altri trucchi scenici volti a rendere l’idea di esperienze soprannaturali;b) commedia di cappa e spada: erano situazioni avventurose ad alto tasso spettacolare con duelli, scene romantiche, travestimenti, scaturivano dall’ossessione per la difesa dell’onore personale, di quello dell’amata o della famiglia. Accanto a queste si svilupparono, prendendosi gioco del loro successo, drammi di carattere parodistico, come la comedia de figuròn che ridicolizzava i personaggi della commedia di cappa e spada e la comedia de disparates (del non senso), che scimmiottava un’opera di grande successo storpiandone anche il titolo. Anche Cervantes scrisse per il teatro con alterno successo, e diede vita ad esempio ad un piccolo capolavoro comico, come l’intermezzo Il teatrino delle meraviglie, che, prendendosi gioco del senso dell’onore tipicamente spagnolo, narra di una compagnia di attori che si guadagna da vivere con uno spettacolo inesistente, con la scusa che esso risulta visibile solo a chi non è figlio illegittimo o di un ebreo, il che spinge tutti gli spettatori a fingere di vedere.

I GRANDI AUTORI

2.1 LOPE DE VEGA (1562-1635)Di formazione gesuitica, ebbe una vita attraversata da crisi religiose e da numerose donne, nonostante fosse anche sacerdote, e attraversò tutta la parabola di ascesa del teatro spagnolo. Dichiarò di aver scritto millecinquecento commedie. Fu anche teorico del teatro, e nella sua opera Nuova arte di fare commedie oggi (1609) si oppone, pur senza dirlo esplicitamente, all’unità aristotelica, introducendo nel dramma due distinti temi narrativi, uno principale e uno secondario

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che si intrecciano progressivamente, ciò lo porta anche a rompere l’unità spazio-temporale, obbligando a repentini cambi di scena. Le sue commedie mescolano impunemente elementi comici e tragici, tanto che egli stesso le definisce come un «minotauro». I suoi personaggi sono molto tipicizzati, con ingredienti «fissi», che andavano dunque di pari passo con la strutturazione delle compagnie in ruoli già ben predefiniti. Introduce la figura del gracioso, di origine lontanamente plautiana, servo furbo che deride il padrone o l’antagonista, o addirittura arriva ad essere la vera e propria coscienza critica del dramma. Anche le sue commedie non sfuggono al tema dell’onore, anche se declinato in molti sensi, e soprattutto considerato come caratteristico della classe contadina. Ciò è molto significativo se si considera che le sue commedie venivano rappresentate nei corrales di grandi città. Il primato etico dei contadini si ricollega alla situazione sociale della Spagna, le città infatti erano considerate contaminate per la presenza di ebrei e musulmani convertiti al cristianesimo, mentre le campagne erano viste come il luogo dove si era mantenuta intatta la purezza del cristianesimo spagnolo guerriero. A questo proposito è necessario citare la Fuente Ovejuna (1614). In questa commedia infatti si rappresenta una rivolta riuscita di un intero paese contro l’arrogante comendator. È impensabile che a teatro si veda una rivolta andata a buon fine, anche se l’effetto è mitigato dall’intervento finale del sovrano, come deus ex machina, che sancisce la liceità della rivolta. La commedia è dunque ambigua, da un lato sembra invitare alla rivolta, dall’altro può essere interpretata come un mezzo ideologico per rinsaldare il legame diretto tra il sovrano che fa giustizia e il popolo giustiziere del potente locale.

2. 2 TIRSO DE MOLINAEntra in convento appena terminati gli studi. Il suo pseudonimo ha un significato che rimanda da un lato al rito pagano dionisiaco (il tirso era infatti il bastone della baccanti, le adepte di Dioniso) e dall’altro al cristianesimo (Luis de Molina era infatti un teologo gesuita che sosteneva la dottrina del libero arbitrio). Si può definire un discepolo di Lope, ma il suo stile è più ricco, ricercato e barocco, con tendenze alla meta teatralità e grande interesse per personaggi di tipo estremo, in particolare per donne dai costumi sessuali particolarmente indipendenti, come la protagonista di Don Gil dalle calze verdi, che abbandonata dall’amato, si traveste da uomo e ne seduce la promessa sposa prima di riconquistarlo. La sua fama è legata ad un opera di dubbia attribuzione L’ingannatore di Siviglia e il convitato di pietra (1630). Il personaggio di don Giovanni Tenorio non è però il don Giovanni come lo conosciamo, ma piuttosto un arrogante in tutti i campi dell’esistenza, che non rispetta né le leggi umane né quelle divine e rimane sempre impunito non tanto per l’astuzia, quanto perché ha parentele importanti che lo proteggono. Il testo è una vera antico media de santos, cioè il contrario di una storia di redenzione, una storia di redenzione mancata e di dannazione annunciata.

2. 3 CALDERON DE LA BARCA (1600-1681)

Occorre un’introduzione alla mutata situazione del teatro: l’affermazione della Controriforma portava ad una progressiva moralizzazione del teatro, che faceva il paio con una complessiva perdita di azione in favore di un linguaggio concettoso e barocco in termini drammaturgici. Cresceva l’importanza delle macchine e degli effetti scenografici, soprattutto grazie agli italiani Cosimo Lotti e Baccio del Bianco, fiorentini chiamati a corte da Filippo IV. Il nuovo drammaturgo doveva essere capace di tener conto dell’importanza delle nuove macchine e scenografie nella scrittura del dramma.

Calderon è anch’egli di formazione gesuitica, scrisse nella prima fase della sua carriera principalmente commedie, nella secondo autos sacramentales. Tra le sue commedie spicca La vita è sogno (1635), tra le più grandi opere del teatro occidentale. Qui la «commedia nuova» fondata da Lope giunge alla sua vetta, giungendo a riflettere sui propri presupposti e a mettere in crisi lo statuo

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classico della rappresentazione nonché l’idea di vita ad essa sottesa. Il dramma può essere considerato come una grande riflessione su predestinazione libero arbitrio. Lo spunto iniziale è richiama l’Edipo Re di Sofocle: un padre incarcera il figlio neonato a vita, spaventato dai cattivi presagi. L’unica esperienza di libertà del povero rinchiuso gli è fatta vivere come se si trattasse di un sogno. Poiché in questa situazione di libertà egli si comporta male, il padre è confermato nei suoi cattivi presagi. Sigismondo, il protagonista, è portato da questa esperienza di sogno a riflettere sulla natura caduca e illusoria dell’esistenza umana, e a mettere in relazione il sogno con la finzione scenica. L’opposizione tra sogno e realtà, teatro e vita viene infine rivelata come a sua volta illusoria. Proprio questa presa di coscienza permette al protagonista di ottenere la libertà, e, al contrario di Edipo, a riscattare la propria condizione con le nozze. Negli anni trenta fino ai quaranta Calderon smette di scrivere per partecipare ad alcune spedizioni militari. Nel 44-46 i teatri restano chiusi, e riaperti, ma con forte censura moralizzatrice. Calderon, pagando un debito morale nei confronti di suo padre, che l’avrebbe voluto ecclesiastico, si fa sacerdote nel 1651. Ricomincia pertanto a scrivere, dedicandosi però, coerentemente con il suo ruolo, solo agli autos sacramentales: si tratta di drammi scritti per il Corpus Domini. In occasione di questa ricorrenza, infatti, dopo la liturgia, si svolgeva una lunga processione con carri e pupazzi giganti, che terminava nella piazza principale dove i due carri più grandi venivano adibiti a palcoscenico per una rappresentazione teatrale. Nel 1648 la città di Madrid aveva affidato a Calderon l’esclusiva per la rappresentazione degli autos, che significava non solo scrivere i drammi, ma anche progettare carri e scenografie. Calderon creò una poetica scenografica impressionante in occasione di queste rappresentazioni. Nell’ultima fase della sua carriera aveva raggiunto una tale padronanza dell’autos che decise di riscrivere alcune commedie sotto forma di autos, tra le quali La vita è sogno (1673). La vicenda scompare quasi completamente, e viene ritradotta in una sorta di storia teologica dell’umanità, che inizia con la rappresentazione del caos primordiale.

3. IL GRAN SIECLE FRANCESE Il teatro francese conobbe dapprima una breve stagione barocca, tra la fine del 500 e l’inizio del 600 molto importante per l’affermarsi di questo genere fu la compagnia di Valleran-Lecomte, che si esibì all’Hotel di Borugogne e fu insignita del titolo di «Troupe du Roi». Si rappresentavano le opere di Alexandre Hardy, che tentavano di conciliare le esigenze della scena con quelle della poetica classica. Perciò eliminò il coro dalla tragedia e sperimentò forme di tragicommedia, caratterizzata da colpi di scena, fatti si sangue sul palco e concetti complessi.L’affermazione della commedia è più complessa, e si deve soprattutto al successo di attori che finivano con l’identificarsi ed essere riconosciuti come personaggi (Gros-Giullaume, il panzone; Gaultier-Garguille, lo scheletrico vecchiaccio iettatore; Turlupin, una sorta di brighella francese), notevole è il fatto che gli attori cambiassero nome allorché dovevano comparire in «tragedie regolari».Dopo questo breve periodo emerge una linea tipica del teatro francese: il suo carattere «istituzionale», legato cioè all’assolutismo che si andava affermando, e, correlativamente ad una forma di neoclassicismo che si allontanava dalla sperimentazione barocca. Il maggior artefice sul piano delle politiche culturali del grande secolo del teatro francese fu il cadinale Richelieu, verso ispiratore della politica francese fino alla morte nel 1642, e che fondò l’Academie Francaise, con il proposito di usare una cultura rigidamente attestata su dettami classici per rafforzare la monarchia in quanto garante dell’unità nazionale. A partire dal 1635 l’Academie cominciò a regolare tutti i campi del sapere secondo regole comuni, e ciò avvenne per il teatro in modo, per così dire, dialettico, in occasione della discussa rappresentazione de Il Cid di Corneille.

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I GRANDI AUTORI

3.1 PIERRE CORNEILLE (1606-1684)

Drammaturgo anch’egli di formazione gesuitica, si approcciò al teatro inizialmente con alterni successi, divenendo veramente celebre e apprezzato con Il Cid, da una tragico commedia dello spagnolo Guillen de Castro. Ma al successo si accompagnarono dure critiche e un’aspre polemica che risulta decisiva non solo per la storia del teatro francese, ma per tutti i dibattiti di poetica teatrale. I critici gli rimproveravano il mancato rispetto delle regole aristoteliche (si trattava infatti di una tragicommedia) e una generale mancanza di ragionevolezza nella trama e inverosimiglianza della trama (Corneille infatti, sforzandosi di rispettare le tre unità, concetrava in tempi e spazi ristretti una quantità eccezionale di eventi). Fu invocato l’intervento dell’Academie, affinché si pronunciasse sull’opera. Corneille non temeva il giudizio, perché era già entrato nelle grazie di Richelieu. L’Accademia fornì però una sostanziale bocciatura, che nella sua giustificazione teorica, però introduceva una rivoluzione nel modo di pensare il teatro: per la prima volta si dichiarava il pubblico inadatto e incapace di giudicare del valore dell’opera, e si assegnava ai soli intellettuali la capacità di comprendere la bellezza di un dramma, pertanto essi dovevano svolgere la funzione di critici, capace di proteggere il popolo incolto dalle rappresentazioni mostruose e pericolose (come il Cid, appunto) per la moralità pubblica e la stabilità politica. Ciò spinse anche a formulare un manuale di stampo pienamente classicistico, basato sui concetti di ordine e moralità, che forniva le linee guida per la creazione di tragedie. Dopo due anni di riflessione, Corneille diviene il maggior rappresentante di questo neoclassicismo elevato e di stampo assolutistico, dando la vita ad alcune tra le migliori tragedie, di ambiente romano e ispirazione senecana: i personaggi si trovano al centro di conflitti tra passioni che coinvolgono, allo scopo di riaffermarne il primato, valori come l’Amor patrio o l’Amor di Dio. I suoi personaggi sacrificano la loro vita e i loro desideri sull’altare di questi valori (tra questi Orazio, Cinna o la clemenza di Augusto, Poliuto martire). Con La morte di Pompeo (1643) che contiene chiari riferimenti a Luigi XIII e Richelieu, morti poco prima, inizia la decadenza di Corneille, che vira verso una forma di estrema letterarietà, con pochissima azione e lunghi racconti. Scompaiono i temi morali e si fanno avanti riflessioni di carattere politico. Nondimeno, con un breve ritorno alla commedia, creerà Il burgiardo, felice rifacimento di una commedia spagnola che troverà fortuna presso Molière e Goldoni. Nonostante il venir meno della sua vena più alta, Corneille resterà comunque il principale autore rappresentato nei teatri francesi per almeno una ventina d’anni.

3. 2 MOLIERE E LO SPETTACOLO BORGHESE

Di formazione gesuitica, contravviene alla volontà della famiglia unendosi a un gruppo familiare di attori (anche per amore di Madeleine). Il loro scarso successo li costringe a cercare fortuna in provincia. La svolta della sua carriera è l’occasione di recitare con la sua compagnia, l’Illustre Theatre, davanti al Re Sole, che si diverte a tal punto da concedere loro il permesso di usare, in alternanza con gli italiani, il Theatre du Petit-Bourbon. Il suo primo capolavoro è considerato La scuola delle mogli, il cui protagonista è un geloso ossessivo, che giunge alla conclusione che si preferibile una moglie ignorante e fedele che una moglie colta, che per questo sarà portata a tradire il marito. Questa conclusione rese il dramma oggetto di forti polemiche, che giunsero a pesanti attacchi personali contro Molière stesso, che aveva appena sposato una donna molto più giovane di lui. Grazie anche alla protezione di Luigi XIV, Molière non esitò a difenderdi, scrivendo due clebri atti unici: La critica della scuola delle mogli e L’improvvisazione di Versailles, drammi nei quali il teatro parla di teatro, il primo vera e propria enunciazione della sua poetica che afferma la superioritàdell’arte comica su quella tragica, il secondo che prende in giro la recitazione degli attori «seri» e pomposi del Theatre de Bourgogne.

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Ancora più discussa e invisa alle classi colte ed ecclesiastiche fu Tartufo, una commedia che vede protagonista un ipocrita patentato che finge grande devozione religiosa per impalmare la figlia di un riccone. Nemmeno Luigi XIV potè difenderlo dalla furia dei critici, e si trovò costretto a sospendere la rappresentazione della commedia per un certo periodo, anche per la furia dell’Arcivescovo di Parigi. Molière però non molla la presa, e dà vita ad altre due opere altrettanto provocatorie, Don Giovanni o il convitato di pietra, dall’originale di Tirso de Molina, desta scandalo tra i benpensanti per la scena in cui Giovanni tenta di convincere un mendicante a bestemmiare in cambio di denaro; e Il misantropo, dove Molière sfoga tutta la propria insoddisfazione nei confronti della società ipocrita, in un personaggio che infine si risolve a vivere in solitudine, lontano dagli uomini. Questa pièce ebbe scarso successo e lo portò a tornare su un tono meno riflessivo e profondo. Questa alternanza tra commedia morale e farsa è d’altra parte la caratteristica della carriera di Molière. L’ultima fase fu densa di opere, anche per teatro musicale, che andava in voga considerato l’ascendente di Lulli sul sovrano. Di questi anni sono L’avaro, rifacimento dell’Aulularia di Plauto, Il borghese gentiluomo e soprattutto Il malato immaginario, scritta e interpretata in precarie condizioni fisiche e morali, e che lo vide morire alla fine di una rappresentazione. Molière crea il modello della commedia che farà da riferimento per tutto il teatro moderno. Il testo è come una battaglia tra un cocciuto e maniaco personaggio centrale che pesa sugli altri per le sue fissazioni e un ambiente circostante pieno di ipocrisia e dominato dalla logica del profitto. I borghesi in questo senso sono al contempo vittime e persecutori di se stessi, zimbello e al contempo motore dell’azione tragica. Le commedie di Molière sono infatti le prime in cui la scena si svolge non più nelle strade e nelle piazze, ma negli interni borghesi, anticipando gli sviluppi dei secoli sucessivi

3.3 JEAN RACINE (1639-1699)

Rimasto orfano in tenera età di entrambi i genitori viene educato nel monastero di Port-Royal. In quel periodo il monastero era al centro di una serie di polemiche intorno al giansenismo, una dottrina cristiana caratterizzata dal rigido rigorismo morale. A Parigi completa gli sutdi di filosofia e frequente le cattive compagnie che lo introducono al teatro. I quel periodo, i primi anni del regno di Luigi XIV, il clima era favorevole alle arti, e Racine ne approfittò per affermarsi. Le prime tragedie sembrano infatti chiaramente riferirsi alla figura di Luigi XIV, e sono già segante dalla predilezione per i toni lirici e la cultura greca, nonché dalla centralità del tema amoroso. Inizialmente affida alla compagnia di Molière la rappresentazione delle sue opere, ma il risultato non lo convince. Sfrutta allora le sue conoscenze a corte, e arriva in seguito ad ottenere un vero e proprio trionfo con l’Andromaca. Questo capolavoro è in netto contrasto con la poetica di Corneille: povero d’azione, si gioca sulle relazioni tra soli quattro personaggi spinti dalle passioni infelici che li spingono alla morte o alla follia. Le vicende raciniane sono semplici e lineari, volte ad indagare l’animo umano.Non tardarono le polemiche e le critiche da parte dei corneilliani, il che ben presto portò ad un vero e proprio agone tra i due: entrambi composero contemporaneamente una tragedia sul medesimo soggetto: la regina giudea Berenice, la cui attualità va riferita a recenti vicende sentimentali del Re Sole. La Berenice di Racine surclassa il Tito e Berenice di Corneille, ormai rappresentante di una drammaturgia vecchia: infatti la tragedia francese è passata nel frattempo da multipla a fissa (quasi astratta), da una preminenza dell’aspetto visivo al predominio di quello della parola e dell’interiorità. Al culmine della sua carriera Racine si confronta con Euripide, che è il suo vero grande modello ispiratore insieme a Seneca, con l’Ifigenia e Fedra, quest’ultimo uno dei maggiori capolavori del teatro di sempre, che però fu oggetto di un boicottaggio organizzato dai suoi nemici. Ciò lo convinse ad abbandonare il teatro, divenendo storiografo di corte. Solo alla fine della sua vita dando alla luce due drammi, su insistente richiesta della marchesa di Maintenon, la preferita del Re, di tema biblico, nei quali reintroduce il coro e abbandona la classica tematica dell’amore. Questi

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drammi costituiranno un modello per i tragediografi successivi, insieme a tutto il resto della sua produzione.

3.4 RE SOLE E SPETTACOLO DI CORTE

Nell’ultima parte del secolo si afferma a corte la stella di Lully e ottengono particolare successo i suoi drammi musicali. A palazzo si costruisce il più grande teatro d’Europa, la Salle des Machines, ad opera dell’italiano Vigarani. In questo periodo il dramma lulliano è protagonista delle scene. Dopo la morte di Molière si erano scatenati conflitti per l’uso dei teatri cittadini tra la sua compagnia e quella del Marais. Il Re Sole interviene direttamente nella controversia, decidendo di fondere le due compagnie fondando la Comédie Française nel 1680. Questo è il primo teatro di stato della storia, con il permesse esclusivo di rappresentare drammi in lingua francese, ad eccezione della Comédie Italienne, compagnia di attori italiani che si esibivano in pianta stabile all’Hotel de Bourgogne riscuotendo grande successo di pubblico.

4. TEATRO E MELODRAMMA IN ITALIA

4. 1 Periodo di crisiIn corrispondenza con il caos politico, con la peste e la crisi economica, nella prima metà del seicento l’Italia conobbe sul suo territorio un periodo di decadenza del teatro, che coinvolse innanzitutto il genere di corte per eccellenza della tragedia. Fa eccezione la fioritura del cosiddetto dramma gesuita, nei collegi gesuitici infatti si operava un ricupero delle opere greco-latine in funzione cristianizzata, allo scopo didattico di insegnamento delle lingue classiche, ciò diede vita ad una drammaturgia pedagogica rappresentata all’interno dei collegi.

4.2 Nascita del melodrammaFa eccezione anche il melodramma che nasce con Monteverdi, come sintesi tra diverse modlità d’intendere il dramma musicale. Si trasferisce da Mantova a Venezia dove perfeziona la forma del melodramma moderno. Nel 1637 si costruisce il San Cassiano, primo teatro riservato a pubblico pagante, che segna la definitiva separazione tra teatro e corti principesche.

4.3 La scena all’italiana e l’edificio teatraleÈ in questo periodo che si forma il modello dell’edificio teatrale moderno. Il Teatro Farnese di Parma è già sala «multifunzionale», pensata non solo per il teatro ma per diversi tipi di eventi. Diventa una sorta di teatro città dove le feste, i tornei o addirittura le naumachie sono ospitabili indifferentemente. Per quanto riguarda le innovazioni sceniche si passò dalla scena versatilis alla scena ductilis, con fondali scorrevoli che garantivano maggiore facilità di cambio di scena. Il più grande scenografo dell’epoca fu senz’altro il grande Bernini, che allestì per il papa e le cerimonie di canonizzazione spettacoli maestosi, tanto da meritarsi l’epiteto di «demiurgo dell’effimero». Realizzò per il teatro macchinari straordinari. Scrisse anche la commedia I due covielli, brillante esempio di ironia meta teatrale che mette in crisi il rapporto tra teatro e realtà, massima espressione della metafora teatro/mondo.

4.4 Trionfo emancipazione e declino delle compagnie professionaliCome abbiamo visto l’impatto della commedia dell’arte fu decisivo e resta ancora per molti versi da approfondire. La centralità del linguaggio del corpo, della pratica attoriale, la versatilità e l’adattabilità dei canovacci e la natura itinerante delle compagnie le portò all’affermazione in tutta Europa. LE grandi città ospitavano volentieri le compagnie e cominciarono a riqualificare edifici destinandoli al teatro. Si andavano così creando rapporti preferenziali (come ad esempio in Francia)

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basati su rapporti di protezione e remunerazione da parte di nobili nei confronti delle compagnie, attenuando la tendenza al nomadismo. Il personaggio di maggior spicco è Andreini, detto Lelio, che fu elemento decisivo nel riscatto dal ruolo infimo cui la cultura alta aveva inizialmente relegato la commedia dell’arte; nelle sue commedie infatti traspariva un’ispirazione neoplatonica e cristiana che faceva dell’amore il tema assolutamente predominante, attribuendo ai canovacci della commedia dell’arte una profondità e una pregnanza che condussero progressivamente alla accettazione della liceità del divertimento a teatro anche da parte dei teorici cattolici più intransigenti. Contestualmente si segna una svolta antropologica e sociale di portata epocale: l’ingresso delle donne in scena, prima fra tutte la madre di Andreini, Isabella, che divenne la prima diva della storia, con tanto di pellegrinaggi alla sua tomba. Si assiste più in generale ad un processo di progressiva legittimazione del teatro commerciale, intesa innanzitutto come validità artistica del comico e liceità della rappresentazione votata al puro divertimento. Ma tutto ciò avveniva prima della metà del secolo, dopo la guerra dei trent’anni e la peste manzoniana, la commedia dell’arte conobbe un periodo di crisi dal quale non si riebbe più.