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Atti e Memorie Acc. Naz. Sci. Lett. Arti Modena Ser. VIII, v. IV (2002) Rodolfo Calanca ASPETTI DELL’ASTRONOMIA DEL SEICENTO: LE EPHEMERIDES NOVISSIMAE DI CORNELIO MALVASIA, GIOVAN DOMENICO CASSINI E GEMINIANO MONTANARI (*) Nota introduttiva L’opera astronomica Ephemerides Novissimae 1 (fig. 1) , attribuita al marchese Cornelio Malvasia, 2 «un des plus dignes amateurs de cette science», 3 ma, in realtà composta, per quanto concerne gli aspetti scientifici e di calcolo astronomico, da Geminiano Montanari, 4 accoglie (*) Seduta dell’8 maggio 2001 1 C. MALVASIA, Ephemerides Novissimae motuum coelestium. Marchionis Cornelii Malvasiae Senatoris Bononiensis, Marchionis Bismantuae Sereniss.mi Mutinae Ducis status consiliarii, et Generalis Armorum praefecti. Ad longitudinem Urbis Mutinae gr. 34. 5. Ex Philippi Lansbergii hypothesibus exactissimè supputatae, et ad Caelestes observationes nuper habitas expensae ab anno 1661. ad annum 1666. cum observationibus ipsis interim ab Authore habitis, et ad Calculum revocatis. Additis Ephemeridibus Solis, et tabulis Refractionum, ex novissimis hypothesibus Doctoris Ioannis Dominici Cassini, in Archigymnasio Bononiensi Astronomiae Professoris Praestantissimi, ex Typographia Andreae Cassiani, Mutinae 1662. Nel lunghissimo titolo dell’opera è contenuto un errore: le effemeridi planet arie si fermano al 1665 e non, come indicato, al 1666. 2 Un’ampia biografia del marchese Cornelio Malvasia è in: G. FANTUZZI , Notizie degli scrittori bolognesi, t. V, pp. 159 e segg., Bologna 1786. 3 J.J. DE LALANDE, Astronomie, nouvelle edition, t. I, p. 478, Paris 1792. 4 Per la biografia di Montanari si vedano i seguenti testi: F. BIANCHINI, Compendio della vita di Geminiano Montanari, in: Le forze d’Eolo, dialogo fisico- matematico sopra gli effetti del Vortice, ò sia Turbine, detto negli Stati Veneti la Bisciabuova, che il giorno 29 luglio 1686 hà scorso e flagellato molte Ville, e Luoghi de’ Territori di Mantova, &c. opera postuma del Sig. Dottore Geminiano Montanari Modenese, astronomo e meteorista dello studio di Padova , Parma 1694; G. TABARRONI : voce Montanari G., in Dictionary of Scientific Biography, vol. IX, pp. 484-487, New York 1974; S. ROTTA, Scienza e pubblica felicità in Geminiano Montanari, in Miscellanea Seicento, II vol., pp. 65-210, Firenze 1971; G.B. VENTURI, Elogio di Geminiano Montanari recitato nel solenne aprimento delle scuole, Modena 1790; F. BÒNOLI, D. P ILIARVU, I Lettori di Astronomia presso lo Studio di Bologna dal XII al XX secolo , pp. 169-172, Bologna 2001.

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Atti e Memorie Acc. Naz. Sci. Lett. Arti Modena Ser. VIII, v. IV (2002)

Rodolfo Calanca

ASPETTI DELL’ASTRONOMIA DEL SEICENTO: LE EPHEMERIDES NOVISSIMAE DI

CORNELIO MALVASIA, GIOVAN DOMENICO CASSINI E GEMINIANO MONTANARI(*)

Nota introduttiva

L’opera astronomica Ephemerides Novissimae1 (fig. 1), attribuita al marchese Cornelio Malvasia,2 «un des plus dignes amateurs de cette science»,3 ma, in realtà composta, per quanto concerne gli aspetti scientifici e di calcolo astronomico, da Geminiano Montanari,4 accoglie

(*) Seduta dell’8 maggio 2001 1 C. MALVASIA, Ephemerides Novissimae motuum coelestium. Marchionis Cornelii Malvasiae Senatoris Bononiensis, Marchionis Bismantuae Sereniss.mi Mutinae Ducis status consiliarii, et Generalis Armorum praefecti. Ad longitudinem Urbis Mutinae gr. 34. 5. Ex Philippi Lansbergii hypothesibus exactissimè supputatae, et ad Caelestes observationes nuper habitas expensae ab anno 1661. ad annum 1666. cum observationibus ipsis interim ab Authore habitis, et ad Calculum revocatis. Additis Ephemeridibus Solis, et tabulis Refractionum, ex novissimis hypothesibus Doctoris Ioannis Dominici Cassini, in Archigymnasio Bononiensi Astronomiae Professoris Praestantissimi, ex Typographia Andreae Cassiani, Mutinae 1662. Nel lunghissimo titolo dell’opera è contenuto un errore: le effemeridi planet arie si fermano al 1665 e non, come indicato, al 1666. 2 Un’ampia biografia del marchese Cornelio Malvasia è in: G. FANTUZZI, Notizie degli scrittori bolognesi, t. V, pp. 159 e segg., Bologna 1786. 3 J.J. DE LALANDE, Astronomie, nouvelle edition, t. I, p. 478, Paris 1792. 4 Per la biografia di Montanari si vedano i seguenti testi: F. BIANCHINI, Compendio della vita di Geminiano Montanari, in: Le forze d’Eolo, dialogo fisico-matematico sopra gli effetti del Vortice, ò sia Turbine, detto negli Stati Veneti la Bisciabuova, che il giorno 29 luglio 1686 hà scorso e flagellato molte Ville, e Luoghi de’ Territori di Mantova, &c. opera postuma del Sig. Dottore Geminiano Montanari Modenese, astronomo e meteorista dello studio di Padova , Parma 1694; G. TABARRONI: voce Montanari G., in Dictionary of Scientific Biography, vol. IX, pp. 484-487, New York 1974; S. ROTTA, Scienza e pubblica felicità in Geminiano Montanari, in Miscellanea Seicento, II vol., pp. 65-210, Firenze 1971; G.B. VENTURI, Elogio di Geminiano Montanari recitato nel solenne aprimento delle scuole, Modena 1790; F. BÒNOLI, D. PILIARVU, I Lettori di Astronomia presso lo Studio di Bologna dal XII al XX secolo , pp. 169-172, Bologna 2001.

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due fondamentali contributi di Giovan Domenico Cassini. 5 Il primo sulla rifrazione atmosferica e le relative tavole, l’altro sulle accuratissime effemeridi del Sole derivate dalle osservazioni alla meridiana di S. Petronio a Bologna che il grande astronomo eseguì nel periodo 1655-1660. Inoltre, nelle Ephemerides, sono di particolare rilevanza storica le notizie sul reticolo, applicato dal Montanari al fuoco di un cannocchiale e, per la prima volta nella storia dell’astronomia, utilizzato in modo sistematico nelle osservazioni planetarie. Con questo fondamentale stru-mento di misura Montanari realizzò, tra l’altro, la sua splendida carta lunare allegata al volume delle Ephemerides, una delle più accurate e vicine al vero del XVII secolo, nonché primo autentico esempio di selenografia scientifica.

Nel seguito esaminerò alcuni aspetti delle Ephemerides malvasiane dal punto di vista storico e dei contenuti scientifici, in particolare: - La genesi dell’opera e la sua diffusione negli ambienti scientifici nei

due secoli successivi (§ 1 e § 2). - Le specole europee del XVI-XVII secolo e il ruolo scientifico di

quelle malvasiane di Panzano e Modena (§ 3). - Un’introduzione storica sulle diverse tavole planetarie e di alcune

effemeridi astronomico-astrologiche del Cinque-Seicento (§ 4). - Il confronto tra le effemeridi lansbergiane , compilate da Montanari

per le Ephemerides, e quelle basate sulle tavole alfonsine, pruteniche e rudolfine (§ 5).

- Un’analisi dell’eccellente livello di precisione delle longitudini del Sole tabulate da Cassini nelle Ephemerides (§ 6).

- L’importantissimo ruolo del reticolo nelle osservazioni astronomiche di Montanari e Malvasia ed alcune considerazioni sulla storia dell’invenzione di questo fondamentale strumento di misura (§ 7).

- Le novità introdotte dall’icon lunaris di Montanari ed un confronto con altre carte del tempo, in particolare, con le raffigurazioni del nostro satellite eseguite da Hevelius nella sua Selenographia, l’opera

5 Per la biografia di Cassini si vedano i seguenti testi: B. LE BOVIER DE FONTENELLE, Éloge de J.D. Cassini, Histoire de l’Académie Royale des Sciences pour l’année 1712, Paris 1714 ; J.B. DELAMBRE , Histoire de l’Astronomie moderne , t. II, Paris 1821; V. BUSACCHI, L'astronomo G.D. Cassini (1625-1712), in Rivista di Storia delle Scienze, XXXI (1940), pp. 65-83; A. DANJON, Jean-Dominique Cassini et les Débuts de l’Astrophysique, L’Astronomie, p. 4, January 1963; A. DE FERRARI, la voce Cassini G.D. nel Dizionario Biografico degli Italiani, vol. XXI, pp. 484-487, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1978; A. CASSINI, Gio: Domenico Cassini, uno scienziato del Seicento , Comune di Perinaldo, 1994; G. DRAGONI et alt., la voce Cassini I, G.D., nel Dizionario Biografico degli scienziati e dei Tecnici, pp. 290-291, Bologna 1999; F. BÒNOLI, D. PILIARVU, loc. cit., pp. 162-167.

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nel suo genere più rappresentativa del XVII secolo (§ 8.1, 8.2, 8.3). - Le tavole cassiniane delle rifrazioni e la disputa che si accese su di

esse nell’ambiente scientifico bolognese nella seconda metà del Seicento (§ 9).

1. Genesi delle Ephemerides Novissimae Brevi notizie sulla genesi delle Ephemerides Novissimae, prima e

unica opera astronomica del marchese Cornelio Malvasia, ci sono giunte attraverso l’autobiografia di Giovan Domenico Cassini. Egli riferisce che il marchese, fin dal 1646, era solito stampare, sotto il nome di Arteniso Tebano, un giornale astrologico dedicato spesso a personaggi famosi oppure, più prosaicamente, «alla sua dama».

Quella dei discorsi astrologici era, nella Bologna del XVII secolo, una moda straordinariamente diffusa e molto apprezzata in ogni ambito sociale.

Un contemporaneo diceva d’aver trovato, presso i librai della città, tanti libri di “strologarie” quanti non credeva ce ne fossero in tutto il mondo! Fortunatamente, una parte rilevante di queste “strologarie” non vedeva la luce perché la censura de’ “Superiori” bocciava molti autori ritenendoli incapaci di «adoperare l’arte [astrologica]».

Mentre Malvasia si accontentava dello pseudonimo di Arteniso Tebano, altri lasciavano liberamente correre la fantasia senza alcun timore del ridicolo. L’eminente professore di filosofia e matematica dello Studio bolognese e grande compilatore di pronostic i, Ovidio Montalbani6 aveva adottato il nome di Giovanni Antonio Bumaldi e, in speciali occasioni, si fregiava di titoli spavaldi e romanticamente misteriosi: Rugiadoso accademico della Notte oppure fra gli Indomiti lo Stellato.7

I suoi scritti astrologic i, imitati da una folta schiera di aspiranti pronosticatori, avevano titoli esotici: La dettatura delle stelle, La quadriga del Sole, Arioscopia ovvero gli istorici spiriti di Felsina antica, Selenoscopia e via di questo passo. In una città come Bologna, bonaria ma caustica nei confronti dell’umana stupidità, non poteva mancare la pungente canzonatura a quella valanga asfissiante di

6 F. BÒNOLI, D. PILIARVU , loc. cit., pp. 159-161. 7 R. MARCHI, I “Tacuini” di Ovidio Montalbani, cultura e astrologia nella Bologna del Seicento, tesi di laurea presentata alla Facoltà di Lettere e Filosofia Università di Bologna, Anno Accademico 1998-1999.

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pronostici che incrostavano anche i muri dei portici. 8 Tra queste, esilarante il Pronostico perpetuo et infallibile di Giulio

Cesare Croce che, tra l’altro, recitava:

In questo tempo chi sarà amalato,/ tenghi per certo di non essere sano/…/et se per sorte alcun sarà impiccato,/ per caso puro, o per giocar di mano/ facci pur conto di restar pendente/ chè fuggir non potrà tal’accidente.

Lo stesso Geminiano Montanari, titolare di una delle cattedre matematiche dal 1664 al 1678 dello Studio bolognese,

nell’ambito del suo programma di diffusione dei metodi scientifici moderni… sferrò un articolato attacco alla credibilità dell’astrologia… attraverso un falso almanacco (il Frugnolo degli influssi del Gran Cacciatore di Lagoscuro), contenente pronostici fatti a caso e che, poiché qualcuno si avverò, ebbe gran successo. La beffa verrà rivelata ne L’astrologia convinta di falso, uscita a Venezia nel 1685, in cui l’autore intende mostrare l’assenza di ogni fondamento razionale… delle credenze astrologiche.9

Tornando a Malvasia, nel 1647 lo troviamo alle prese con un

increscioso incidente, di quelli che possono minare la fiducia anche dei più entusiastici sostenitori della “scienza” astrologica.

Nel suo “discorso” per quell’anno, dedicato all’insigne fisico galileiano Evangelista Torricelli, licenziato dall’autore l’8 marzo, dalle Radici dell’Apenino, dopo una ricca messe di pompose metafore, conclude la dedica allo scienziato con l’augurio «di pervenir con l’Anima doppo una lunga serie d’anni, ove hora giunge col suo Thelescopio». 10

Purtroppo gli auspici di lunga vita formulati da Malvasia portarono assai male: Torricelli morì sette mesi dopo, precisamente il 25 ottobre, a soli 39 anni di età.

Qualche anno dopo, Cassini cercò di dissuaderlo dal continuare a pubblicare discorsi astrologici inattendibili, suggerendogli invece di

8 E. CASALI, Dallo Studio alla piazza. L’almanacco tra scienza e burla , Storia illustrata di Bologna, pp. 121- 140, Milano 1989. 9 E. BAIADA, M. CAVAZZA, Le discipline matematico-astronomiche tra Seicento e Settecento, L’Università a Bologna. Maestri, studenti e luoghi dal XVI al XX secolo, p. 153, Bologna 1988. 10 ARTENISO TEBANO (pseudonimo di Cornelio Malvasia), Discorso dell’anno 1647 con le mutationi de tempi et altri accidenti di Arteniso Tebano al Signor Evangelista Torricelli, Bologna, 1647.

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calcolare effemeridi planetarie più accurate di quelle, spesso scadenti, reperibili presso i librai.

L’eccellente consiglio fut bientôt confirmé par un evènement assez singulier qui lui fit reconnaitre, que ce n’était que par hasard que les prédictions astrologiques avaient quelques succès.11

Cassini, che certamente trovava inopportuno riesumare nelle sue

memorie, dettate mezzo secolo dopo i fatti, la vecchia incresciosa storia di Torricelli, riferisce che Malvasia, in un altro dei suoi discorsi astrologici, previde una violenta tempesta per un certo giorno e, proprio quello stesso giorno, un uragano e una furiosa grandinata devastarono la campagna. Trionfante, il marchese andò allora dall’astronomo, portando il suo almanacco, per dimostrargli, carta alla mano, l’accuratezza della propria previsione.

Cassini, scettico, esaminò i calcoli dai quali l’oroscopo era ricavato, e lì trovò un grave errore in una certa configurazione planetaria che toglieva ogni credito alla predizione.

Da quel momento, dice Cassini, il marchese prese la decisione di calcolare lui stesso delle nuove effemeridi planetarie.12

Prima di dare attuazione a questo disegno, Malvasia però lasciò trascorrere dieci anni.

È naturale chiedersi come mai attendesse tanto tempo per attuare un progetto che gli era così caro. La risposta è semplice: Malvasia non disponeva delle indispensabili conoscenze, astronomiche e matematiche, per districarsi con successo tra le complicate tavole numeriche in uso presso i compilatori di effemeridi.

La soluzione a questo problema venne sotto forma di un autentico colpo di fortuna nel 1661. Malvasia, grazie ad una vasta rete di ottimi contatti politici e culturali, estesa a molte corti italiane, ricevette da Firenze la fausta notizia che un giovane di talento, molto versato nel-l’astronomia, il modenese Geminiano Montanari, allievo del galileiano Paolo Del Buono, cercava un onorevole impiego nella sua città natale.

Il marchese, a quel tempo comandante delle truppe estensi, esercitò tutta la sua influenza presso la corte per fargli conferire un doppio incarico, di matematico ducale e di proprio assistente negli studi

11 J.-D. CASSINI, Mémoires pour servir à l'Histoire des Sciences et à celle de l'Observatoire Royal de Paris, suivis de la vie de J.-D. Cassini, ècrite par lui-même, pp. 263-264, Paris 1810. 12 J.-D. CASSINI, loc. cit., p. 265.

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astronomici. Egli, in breve tempo e con somma gioia, si rese conto che con un tale “assistente” non ci sarebbero più stati ostacoli alle proprie ambizioni scientifiche.

Le nuove effemeridi planetarie, a lungo vagheggiate da Malvasia, dovevano proseguire quelle, famose, di Francesco Montebruno e, come queste, esse si sarebbero dovute appoggiare alle tavole, allora molto inopportunamente apprezzate, dell’astronomo fiammingo Philippe van Lansberg.13 Inoltre, per i crediti che vantava, il marchese sapeva di poter sollecitare un contributo professionale di Cassini per arricchire la propria opera e per conferirle maggior prestigio e consistenza scientifica (nelle Ephemerides non manca di evidenziare i consolidati legami con Cassini: veteris necessitudinis vinculo mihi coniunctissimum). Malvasia, entusiasta delle ricerche solari alla meridiana di S. Petronio dell’astronomo dello Studio bolognese, prometteva anche di pubblicare «15 anni di effemeridi allorché egli avrà concluso le sue ricerche sui pianeti».

Il volume delle Ephemerides, pubblicato a Modena nel 1662 presso il libraio Andrea Cassiani, consta di 220 pagine in folio. L’antiporta (fig. 2), magistralmente incisa da Francesco Stringa, valente pittore della corte estense, ritrae una figura femminile che osserva Giove al can-nocchiale mentre dipinge lo stemma del cardinale Giulio Sacchetti, legato pontificio a Bologna. L’insegna araldica dell’alto prelato (la cui effigie domina la parte superiore dell’incisione) curiosamente richiama le bande scure del pianeta.14

Il lavoro si apre con la dedicatoria al cardinale, Princeps Eminentis-sime, dove dice, ribadendo il motivo illustrato nell’antiporta: «potissi-mum autem observanti mihi admirandum Iovis sydus; contigit in eius variegato vultu tua ipsius Stemmata recognoscere».

Nel lungo proemio (De istituti ratione), nel quale esterna la stima e l’affetto fraterno per Cassini ma dove purtroppo non si trova cenno del consistente contributo del giovane Montanari, Malvasia traccia il piano dell’opera e cita alcuni dei maggiori compilatori di effemeridi che lo hanno preceduto, i vari Argoli (spesso criticato), Placido de Titiis e il solito Montebruno. Seguono, nel classico stile seicentesco, alcune ampollose e adulatorie poesie la tine e italiane, dedicate al marchese da Andrea Mariani, dagli stessi Cassini e Montanari e da Giacinto Onofrio.

Finalmente iniziano le vere e proprie effemeridi, precedute da 13 P. LANSBERG , Tabulae coelestium motuum perpetuae, Middlesburg 1632. 14 L. PEPERONI, M. ZUCCOLI, Vultus Uraniae. Raffigurazioni di Urania nella Biblioteca del Dipartimento di Astronomia , Bologna 1996.

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numerose informazioni su importanti grandezze astronomiche: i valori dell’obliquità dell’eclittica, la precessione degli equinozi, la data della Pasqua, e la previsione delle eclissi di Sole e di Luna.

Le effemeridi planetarie, riferite al periodo 1661-1665 (e non al 1666 come indicato nel titolo dell’opera), vanno dalle pp. 2-149 e, nell’im-postazione, non differiscono in nulla da quelle d’altri autori del tempo.15 In ogni pagina, che copre un mese, si trovano elencati il motus diurnus planetarum, mentre in quella a fronte sono riportati gli aspectus Lunae cum planetis.

Gli argomenti trattati diventano di rilevante interesse storico e scientifico, quando, a circa due terzi del volume, ci s’imbatte nella prima novità dell’opera: le effemeridi del Sole di Cassini per gli anni 1661-1665 (novissimae motuum Solis Ephaemerides). Pubblicate qui per la prima volta, le longitudini del Sole secondo la teoria cassiniana sono di una precisione mai vista prima, di molto superiore anche alle Tavole rudolfine di Kepler.

Sempre di Cassini, a pagina 172, abbiamo la tavola delle rifrazioni e della parallasse solare, anch’esse d’importanza cruciale per l’astrono-mia della seconda metà del Seicento.

Le rifrazioni sono riferite all’inverno, all’estate ed ai periodi intorno agli equinozi. Per meglio chiarire l’uso della tavola, Cassini la fa seguire da undici esempi di calcolo, integralmente sviluppati, basati sulla sua teoria delle rifrazioni.

Le proprie osservazioni, oltre a quelle, anch’esse riportate nel testo, di Tycho, Copernico e d’altri, servono a determinare la vera posizione del Sole, l’altezza dei poli, e la distanza angolare tra i tropici. Ma, per ottenere risultati coerenti ed esatti, egli dimostra che è indispensabile apportare la correzione per la rifrazione a tutte le osservazioni astronomiche. Nell’ultima parte del volume (pp. 187-219) è raccolta una preziosa messe di decine di posizioni planetarie misurate non solo al sestante, ma anche con l’ausilio del reticolo.

Infine l’opera si conclude a pagina 220, con una nota esplicativa illustrante la carta lunare disegnata da Montanari. Solamente in questo luogo egli è citato, per la prima e ultima volta, tra gli autori dell’opera.

Allegata alle Ephemerides, come tavola fuori testo, l’icon lunaris, dalle ragguardevoli dimensioni di 38 centimetri, rivoluzionaria nella concezione e nell’esecuzione (anche l’incisione del rame è opera di Montanari), è uno dei migliori esempi nel suo genere del Seicento ed 15 Delambre, sicuramente esagerando, dice che Malvasia, dallo stile di presentazione delle configurazioni celesti delle Ephemerides, non si era ancora affrancato dai pregiudizi astrologici (J.B. DELAMBRE , Histoire de l’Astronomie moderne, t. II, p. 723, Paris 1821).

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«appare di enorme precisione e di fotografica fedeltà nel riprodurre l’immagine osservata al telescopio».16

16 M. ZUCCOLI, La dama e l’astrolabio , Atti e Memorie dell’Accademia Nazionale di Scienze Lettere e Arti di Modena, s. VIII, vol. III, 1999-2000, p. 359, Modena 2001.

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Ingiustamente trascurata dagli studiosi della superficie lunare, è tuttora scarsamente conosciuta, in particolare all’estero, e solo raramente è citata, con il giusto rilievo, nei trattati di storia della selenografia.17

2. Le alterne fortune delle Ephemerides Novissimae Negli stessi ambienti colti di Modena che, tra il Sette e l’Ottocento, si

sono occupati di questioni storico-scientifiche d’interesse essenzial-mente locale, i pareri sul vero autore delle Ephemerides furono spesso assai discordanti.

Pietro Riccardi, docente di geodesia all’Università nella seconda metà dell’Ottocento, per motivi sinceramente incomprensibili, ritenne addirittura che l’autore, in toto , dell’opera fosse Giovan Domenico Cassini. 18

Giuseppe Campori, in uno studio su Montanari dice, al contrario,

al Montanari crediamo altresì attribuire con molta probabilità le Effemeridi edite sotto il nome di Malvasia.19

Quest’ultima opinione, ripresa anche da Joseph Jérome de Lalande,

figura di spicco dell’astronomia francese nella seconda metà del XVIII secolo, è riportata nella Bibliographie Astronomique, autentica miniera di informazioni bibliografiche sulle opere astronomiche pubblicate tra il XV e la fine del XVIII secolo. Nel commento alle effemeridi malvasiane, Lalande afferma che il Venturi, professore a Modena, aveva ritrovato negli archivi bolognesi le prove della molta parte avuta dal Montanari nella preparazione delle Ephemerides. 20

In Italia quest’opera, nella sua generalità, non fu però mai particolarmente conosciuta o apprezzata. Uno studioso della locale Università, Carlo Bonacini, negli anni Venti del secolo scorso, sostenne

17 Si vedano le poche cose scritte su Montanari da: E.A. WHITAKER, Selenography in the Seventeenth century, The General History of Astronomy, vol. 2°, pp. 119-143, Cambridge 1989; e da: A. PALUZIE BORRELL, Historia de la Cartografia Lunar, Urania, n. 266, Julio -Diciembre 1967, pp. 203-271. 18 P. RICCARDI, Biblioteca matematica italiana, p. 276, Modena 1870. 19 Si veda: G. CAMPORI, Notizie e lettere inedite di Geminiano Montanari, in Atti e Mem. Della R. Dep. Di Storia Patria, vol. VIII, p. 68, Modena 1876. 20 J.J. DE LALANDE, Bibliographie astronomique, Paris 1803. Alle pp. 251-252, a proposito delle Ephemerides scrive: «Venturi a trouvé dans les archives de Bologne, que Montanari avait travaillé aux Ephemerides de Malvasia, et im aginé les fils du réticule qu’on avait attribués à Malvasia».

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addirittura che il volume di Malvasia non salì in gran fama, né ebbe grandissima diffusione… forse perché l’Autore, … non era riconosciuto senza riserva da tutti gli astronomi ufficiali; tanto più che questa era l’unica sua opera di astronomia vera e propria, e gli altri suoi scritti invece lo lasciavano credere inquinato di astrologia.21

Credo però che l’affermazione di Bonacini non si possa condividere

totalmente. È noto che, almeno in Francia, patria d’adozione di Cassini, essa era conosciuta e, sotto alcuni aspetti, apprezzata, anche nel secolo successivo alla sua pubblicazione.

L’indice di una certa notorietà è riscontrabile, ad esempio, nelle Histoire de l’Academie Royale des Sciences per l’anno 1673, dove Fontenelle ricorda che Cassini «avoit posé dans les Ephémerides Malvasiennes la distance véritable des Tropique de 46° 58’».22

Tale grandezza angolare, pari al doppio dell’obliquità dell’eclittica,23 la cui esatta definizione riveste un’importanza cruciale per i calcoli astronomici, trovò conferma dalle osservazioni celesti eseguite da Jean Richer24 a Cayenna nel 1672. Nel corso dell’elaborazione dei dati raccolti da Richer, Cassini riprende i valori delle longitudini solari, pubblicate nelle Ephemerides, che adatta e aggiorna per un confronto con le altezze meridiane dell’astro rilevate a Cayenna.25

Il già citato Lalande, alla voce effemeride di un dizionario allora molto in voga e che ebbe anche una traduzione italiana, scrive:

quelle del Malvasia, stampate a Modena nel 1662, si estendono dal 1661 al 1666; elle avevano anche il merito di essere fatte con somma diligenza, ed il celebre Cassini le arricchì delle sue osservazioni26 e delle sue Tavole.27

21 C. BONACINI, Una carta lunare di Geminiano Montanari, Nel Primo Centenario della Fondazione dell’Osservatorio, p. 6, Modena 1927. 22 Histoire de l'Académie Royale des Sciences, depuis son Etablissement en 1666 jusqu'à 1696 , tomo I, p. 111, Paris 1733. 23 C. MALVASIA, loc. cit., p. 185 24 J. RICHER, Observations faites en Cayenne , Memoires de l'Académie Royale des Sciences depuis 1666 jusqu'à 1699, tomo VII, premiere partie, pp. 1-94, Paris 1729. 25 G.D. CASSINI, Les elemens de l’astronomie, in Memoires de l’Academie Royale des Sciences depuis 1666 jusqu’à 1699, t. VIII, pp. 97-99 , Paris 1730, si legge: «nous nous servirons des mesmes calculs qui furent faits par M. le Marquis Malvasie sur nos tables pour l’an 1663 au Meridien de Bologne…». 26 In realtà, Cassini riporta alcune sue osservazioni astronomiche solamente negli esempi che seguono la tavola delle rifrazioni. 27 A.B. BOSSUT, J.J. LALANDE et alt., Dizionario Enciclopedico delle Matematiche, t. II, pp. 241-242, Padova 1800.

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Nella sua famosa Histoire, anche J.F. Montucla ha parole di elogio

per Malvasia:

le marquis de Malvasia, noble Bolonois, et qui réunissoit en même temps tres qualités qui se trouvent rarement ensemble, celles de sénateur, et de savant.28

Non sempre però i giudizi degli astronomi del Settecento furono così

favorevoli. Philippe de la Hire, astronomo francese, membro dell’Académie

Royale agli inizi di quel secolo, parla a lungo, in termini critici, di alcuni aspetti delle Ephemerides in una memoria, letta all’Académie il 23 giugno 1717, riguardante le invenzioni del micrometro, degli orologi a pendolo e dei cannocchiali. 29

Il tono di de la Hire è polemico e spesso indisponente. Esprime riserve e lascia trasparire accuse, neppure tanto velate, di presunte scorrettezze. Insinua, addirittura, un probabile plagio di Malvasia ai danni del grande astronomo e fisico olandese Christian Huyghens.

Egli rileva che, alle pp. 193-194 delle Ephemerides, dove è descritta una presunta osservazione del satellite di Saturno,30 Titano, del 3 luglio

28 J.E. MONTUCLA, Histoire des mathematiques, nouv. ed., t. II, p. 568, Paris 1799-1802. 29 P. DE LA HIRE, Recherche des dates de l'Invention du Micromètre, des Horloges à Pendules et des Lunettes d'Approche, Mémoire de l'Académie Royale des Sciences pour l’année 1717, pp. 78-87, Paris, 1719. 30 C. MALVASIA, loc. cit., pp. 193-194. Riportiamo nel seguito la traduzione dell’intero passo contestato: «mentre osservavamo Saturno col telescopio, per mostrare ad alcuni amici l’immagine di questo, forse abbiamo scoperto che nei suoi pressi appariva una piccola stella, impercettibile ad occhio nudo [si trattava della stella HD 144925 di magnitudine 7.9]. Essa sembrava aderire all’anello più esterno di Saturno, visibile ad occidente e cioè ad oriente (il tubo ottico rovescia infatti l’immagine), così strettamente da farci dubitare se ci fosse o meno. Era a tal punto immerso nello splendore di Saturno, da apparire quasi completamente sottratta allo sguardo (come vedi nel disegno). Dubitando che questa stella fosse quel satellite orbitante che, “compagno assiduo” di Saturno, molti dicono di aver scoperto col proprio telescopio, e che in un altro momento a Firenze anche noi abbiamo osservat o col telescopio, eccezionale per capacità di ingrandimento ed immagine, del solerte ed ingegnosissimo Candido del Buono nobile fiorentino, uomo di non poca cultura astronomica e matematica, osservatore attento della volta celeste; lui, che si era costruit o quel telescopio con le sue mani, se non sbaglio di circa 18 piedi romani di lunghezza. Questo stesso satellite lo abbiamo osservato talvolta (come si dirà oltre) anche attraverso i nostri telescopi, che noi pure ci siamo costruiti, di 22 piedi di lunghezza. Sebbene si siano fatte molte osservazioni, noi non le mostriamo poiché queste richiedono maggiore attenzione ed assiduità, mentre ci stavamo invece occupando di altri studi. Perciò abbiamo ritenuto più vantaggioso, nel frattempo, abbandonare questo compito per non procrastinare oltre la pubblicazione delle Effemeridi e per poterci meglio accertare se quello che osservavamo era una stella fissa o un satellite, attraverso lo studio del moto diurno di questo corpo e dello stesso Saturno e dal confronto della sua posizione con altre stelle fisse. Con le osservazioni che seguiranno la pubblicazione delle prime, potremo

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1662 (in realtà si trattava di una stella molto vicina al pianeta, due volte più luminosa di Titano), Malvasia non cita lo scopritore di tale satellite, il grande fisico e astronomo olandese Huygens. De la Hire sostiene che egli non poteva ignorare, e quindi passare sotto silenzio, questa scoperta perché l’opera31 che la descriveva, pubblicata nel 1659 e dedicata a Leopoldo de’ Medici, aveva avuto grande risonanza anche in Italia. Credo che l’omissione sia spiegabile tenendo presente che le ricerche di Huygens su Saturno, in particolare sulla natura e forma dei suoi anelli e la scoperta di Titano, sollevarono un autentico vespaio di polemiche. Lo stesso Leopoldo de’ Medici, in un primo tempo, non accettò la dedica di Huygens per non offendere nessuna delle parti coinvolte nella disputa (gli avversari dell’olandese erano il padre Onorato Fabri e l’inge-nuo ottico italiano Eustachio Divini).

Divini, tra l’altro, rivendicava a favore di Francesco Fontana, costruttore napoletano di cannocchiali, la priorità della scoperta di innumerevoli satelliti di Saturno, in contrapposizione a quella vantata, a suo parere ingiustamente, dall'Huygens, che vi sarebbe giunto con un ritardo di ben dieci anni. È un vero peccato che le millantate ‘scoperte’ di Fontana fossero delle autentiche “bufale”.

Il clima era tanto rovente che, in uno scritto contro i suoi oppositori, Huygens definì il Divini «vilem vitrarium artificem» (che, in una libera traduzione moderna, si può rendere con un: «ottuso gratta-vetri»). È probabile che Malvasia, marchese di Bismantova e noto cultore e mecenate delle lettere e delle arti, volesse rimanere ai margini di una polemica ormai degenerata al livello di una disputa da taverna. Egli, prudentemente, rimase nel vago:

[…] quel satellite orbitante che, “compagno assiduo” di Saturno, ‘molti’ dicono di aver scoperto col proprio telescopio.

De la Hire prosegue nelle sue contestazioni e, in un passo successivo

della sua memoria, rifiuta l’attribuzione dell’invenzione del reticolo a fili fissi a Malvasia (ancora una volta il nome di Montanari non appare).

A sostegno della sua tesi, descrive brevemente il reticolo malvasiano:

offrire uno studio più approfondito riguardo ciò. Avendo dei sospetti su questo [satellite] e allo stesso tempo per non perdere l’occasione, se anche ci fosse stata una stella fissa (come veramente era), di esplorare con più attenzione la posizione di questo e il moto di Saturno, abbiamo cominciato un’indagine più attenta del luogo del pianeta e abbiamo analizzato le distanze non una volta o due, non con un solo strumento, ma più e più volte e da lì abbiamo annotato quelle che più spesso e più frequentemente si ripetevano» . (Traduzione di Sofia Petrantonakis). 31 C. HUYGENS, Systema Saturnium, Hagae-Comitis 1659.

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«il fait un chassis ou un Reticule avec des filets d’Argent très déliées», e il modo impiegato dal marchese (leggasi: Montanari) per determinare la separazione angolare tra i fili, per mezzo di un orologio a pendolo che scandisce il secondo e del tempo impiegato da una stella a percorrere lo spazio tra una coppia di tali fili.

Prima afferma che questo misuratore angolare è simile al micrometro di Auzout e Picard, apparso però solo nel 1666 ma, non potendo, per motivi di ovvia decenza, retrodatare il reticolo dei due astronomi francesi, cerca di dimostrare che, in realtà, quello di Malvasia discende dallo strumento inventato da Christian Huyghens, che se ne servì nel 1659 per misurare il diametro di alcuni pianeti. Egli è certo che vi sia assai poca differenza tra il dispositivo di Huygens e quello descritto nelle Ephemerides, e conclude che quest’ultimo «ne peut pas passer pour une découverte».

Invece, la stessa memoria di de la Hire (e la lettura del Systema Saturnium lo conferma pienamente) dimostra che il misuratore di Huy-gens, basato su di «un objet qu’il appelle virgula»,32 è qualcosa di totalmente diverso dal reticolo: una specie di mascherina da inserire nel piano focale dell’oculare che, occultando il disco planetario, ne consente la misura. La rivendicazione dell’invenzione a favore dell’astronomo olandese, appare priva di qualsiasi consistenza perché riferita a due strumenti tra loro concettualmente assai diversi e non confrontabili. La virgula di Huygens, poco adatta a misure di precisione e che produceva, sul suo bordo, un fastidiosissimo e deleterio effetto di diffrazione della luce, non ebbe, in seguito, alcun altro estimatore. La reticola di Montanari, invece, opportunamente adattata e migliorata, fu per secoli lo stru-mento principe degli astronomi.

Infine, de La Hire conclude contro le Ephemerides, parlando dell’o-rologio a pendolo che, per Malvasia, è un’invenzione della scuola fiorentina di Galileo. L’orologio di Malvasia, regolato sulle vibrazioni di un pendolo, «seguendo la maniera inventata a Firenze già da qualche anno»,33 aveva un quadrante composto da tre cerchi, il più grande dei quali disponeva di una lancetta che compiva un giro completo in sei minuti. Un altro cerchio era diviso in dodici ore e, infine, l’ultimo divideva l’ora in minuti.

L’astronomo francese attribuisce, ancora una volta, il merito esclusivo dell’invenzione dell’orologio a pendolo all’onnipresente

32 P. DE LA HIRE , loc. cit., p. 80. 33 C. MALVASIA, loc. cit., p. 196.

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Huygens, che ne parla nel suo Horologium34 del 1658. Forse deliberatamente, dimentica il lavoro teorico e pratico di Galileo e di suo figlio Vincenzio, che portò alla costruzione di due modelli di orologio a pendolo. Inoltre, sorvola sui meriti riconosciuti dallo stesso Huygens che, secondo Vincenzo Viviani, «fa di queste invenzioni gratissima testimonianza a favore del medesimo Galileo».35

Anche in questo caso, avendo sotto gli occhi la famosa lettera di Viviani a difesa dell’invenzione galileiana, riconosciuta come storica-mente esatta,36 non possiamo condividere le argomentazioni del de la Hire a favore del solo Huygens quale unico artefice dell’orologio a pendolo.

È innegabile che le due citate invenzioni abbiano avuto tra i principali artefici Huygens, uno dei più fertili ingegni scientifici del Seicento ma, d’altro canto, non possiamo tacere la sensazione che egli sia stato particolarmente sensibile e ricettivo nei confronti delle idee sviluppate nell’ambiente fiorentino nei due decenni successivi alla morte di Galileo, per poi genialmente svilupparle in alcune sue importanti opere successive.

Il primo prototipo di reticolo apparso in Italia è quasi certamente dovuto al tanto vituperato Eustachio Divini che, nel 1649, aveva fatto dono a Leopoldo de’ Medici di una selenografia disegnata con l’apporto di quello strumento. Grazie agli ottimi rapporti con la signoria fiorentina e alle sue importanti frequentazioni italiane, Huygens era sicuramente informato sia dell’esistenza del reticolo sia degli importanti esperimenti di Vincenzio Galilei con gli orologi a pendolo. È quindi possibile che le suddette invenzioni abbiano avuto una storia esattamente opposta a quella polemicamente raccontata dal de la Hire.

Purtroppo, gli stessi argomenti dell’astronomo francese, tesi a denigrare le caratteristiche di originalità del reticolo descritto nelle Ephemerides, furono ripresi, senza nessuna variazione, anche da Bailly nella sua celebre Histoire de l’Astronomie e da Delambre nella sua altrettanto nota Histoire.

Bailly, dopo erudite considerazioni, è costretto però ad ammettere che:

cet instrument avoit un avantage que n’eut point la lame d’Huygens, c’est que tout le champ de la lunette étoit partagé en partie connues,

34 C. HUYGENS, Horologium , Hagae Comitum 1658. 35 V. VIVIANI, Lettera di Vincenzio Viviani al Principe Leopoldo de’ Medici intorno all’applica-zione del pendolo all’orologio , Scienziati del Seicento, a cura di M.L. Altieri Biagi e B. Basile, Milano-Napoli 1970. 36 S.A. BEDINI, Galileo Galilei and Time measurement, Physis, fasc. 2, vol. 5, (1963), pp. 145-165.

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et que lorsque deux étoiles s’y rencontroient en même tems, leur dis tance mutuelle pouvoit être évaluée.37

Lalande è certamente assai più obiettivo di de la Hire e Bailly quando afferma, a proposito della contestata invenzione:

ma s’ei [Malvasia e non, purtroppo, Montanari] fu imitatore; fu egli stesso non meno imitato, poiché si può credere fondatamente che il micrometro di Malvasia abbia dato ad Auzout l’idea del suo.38

La più dettagliata analisi delle Ephemerides ci viene dal Delambre

che, dopo una discussione sulle tavole solari cassiniane e della sua teoria della rifrazione astronomica, ricade nella trita, spocchiosa e ormai secolare critica a Malvasia, ripetuta con le stesse consunte parole di de la Hire e di Bailly, sulla priorità dell’invenzione del reticolo.

Ricordiamo, infine, che succinte notizie del reticolo di Montanari, si trovano già in un eruditissimo lavoro scientifico pubblicato solamente tre anni dopo l’uscita delle effemeridi malvasiane, l’Astronomia Reformata , del famoso gesuita Giovan Battista Riccioli, ferrarese d’origine ma che visse a lungo nel collegio dell’ordine di Bologna.

In un passo egli riporta la già citata misura della distanza angolare di una stella prossima a Saturno, avvenuta la sera del 4 luglio 1662, eseguita da Montanari con il suo reticolo micrometrico applicato al cannocchiale. Riccioli la commenta con queste parole:

…per Tubum Opticum crate argentea munitum ad intervalla minora determinanda,…visa est Stellula quaedam Fixa distare à Saturni limbo orientali insensibiliter39

e rimanda, per maggiori dettagli sullo strumento, alle Ephemerides. Nell’Astronomia Reformata non mancano però fastidiose tracce di piccole bassezze e di meschine rivalità professionali, che, a mio parere, ebbero come bersaglio anche Montanari. L’atteggiamento del Riccioli nei confronti del giovane e non ancora affermato studioso modenese, da poco entrato nello Studio bolognese su raccomandazione di Malvasia, era indubbiamente di scarsa considerazione. Inoltre, agli occhi di Riccioli, si aggiungeva l’aggravante dell’affettuosa amicizia che sempre unì Montanari e Cassini, quest’ultimo rivale del gesuita nella

37 J.S. BAILLY, Histoire de l'Astronomie moderne, tomo II pp. 266-267, Paris 1785. 38 A.B. BOSSUT, J.J. LALANDE et alt., loc. cit., t. IV, p. 40, Padova 1800. 39 G.B. RICCIOLI, Astronomia reformata , tomo I, p. 286, Bononiae, 1665

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controversia sulla teoria della rifrazione astronomica, che riprese vigore proprio dalle pagine dell’Astronomia Reformata . Così, nel primo capitolo del libro X, tomo I, intitolato De Modis Observandi Diametros Fixarum et Planetarum, Riccioli riporta in dettaglio ben undici modi diversi per misurare il diametro dei pianeti e delle stelle.

In queste pagine, secondo il suo stile spesso pedante e cavilloso, descrive anche tecniche ormai desuete o di difficile applicazione che probabilmente non sperimentò in prima persona. Si dilunga su tutti, o quasi, i metodi astronomici per le misure angolari allora conosciuti, proposti in tempi diversi da Galileo, Hevelius, Martin Hortensius ed altri. Dà spazio, con belle parole, all’interessante sistema di Francesco Maria Grimaldi per determinare il diametro delle stelle che, a questo scopo, era solito tirare dei fili “davanti” alla lente obiettiva del cannocchiale.40 Infine, come ultimo metodo, riporta il lungo passo, tratto dal Systema Saturnium di Huygens, che descrive la virgula sulla quale ci siamo a lungo soffermati. Ingiustamente, però, ignora la reticola di Montanari che, invece, in mezzo a tanti sistemi di misura, spesso scarsamente efficaci, avrebbe assai ben figurato.

3. I primi osservatori astronomici in Europa e la specola di Panzano Dopo il lunghissimo periodo medievale, che in occidente fu

contrassegnato da un’estrema povertà di osservazioni e ricerche astronomiche originali, nella seconda metà del XV secolo si nota finalmente un risveglio d’interesse per l’astronomia teorica e pratica.

A Norimberga nel 1471, il matematico e astronomo Johannes Müller, detto Regiomontano, insieme a Bernard Walther, ricco mercante appassionato di astronomia, fondò il primo osservatorio astronomico moderno, con numerosi strumenti41 che però poco si discostavano, nella progettazione e realizzazione, da quelli descritti da Tolomeo nell’Almage-sto oltre mille anni prima.

Nella nuova specola, Regiomontano scoprì la cometa del 1472, la stessa che alcuni secoli più tardi porterà il nome di Edmond Halley. A 40 G.B. RICCIOLI, loc. cit., tomo I, p. 354. Riccioli dice che Grimaldi: «solitus est extensis filis supra lentem obiectivam dividere capacitatem tubi». Questo passo può forse aver contribuito a convincere il Prof. Giorgio Tabarroni che anche Grimaldi, nel disegnare la sua selenografia, apparsa nell’Almagestum di Riccioli, abbia fatto uso di un reticolo, sia pure non convenzionale. Si veda: G. TABARRONI, Bologna e la carta della Luna, Culta Bononia, n.1, Bologna 1969, nota n. 4, p. 102. 41 Sono descritti nell’opera di REGIOMONTANO, De torqueto , Norimbergae 1544.

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seguito della prematura scomparsa di Regiomontano avvenuta a soli quarant’anni, Walther proseguì da solo le osservazioni astronomiche, fino alla sua morte nel 1504. Egli introdusse nuove importanti tecniche, in particolare perfezionò i metodi di misura della longitudine dei pianeti, attraverso la determinazione della loro distanza da due stelle luminose, poi convertite, per via trigonometrica, in separazione angolare dal punto vernale.

Di nuovo a Norimberga, alla metà del Cinquecento, il Langravio Guglielmo IV, fondò un osservatorio dove lavorarono gli astronomi Rothman e Byrge. Le osservazioni astronomiche ivi effettuate tra il 1561 e il 1592 furono considerate le migliori dell’epoca insieme a quelle di Tycho Brahe.

L’astronomia pre-telescopica raggiunse il suo apice nelle specole di Tycho Brahe sull’isola di Hven al largo della Danimarca, Uraniborg e Stellaborg. Esse disponevano di strumenti di rara perfezione, progettati dallo stesso Tycho che, nel corso di vent’anni con l’aiuto dei suoi allievi fra cui J. Kepler, raccolse una straordinaria messe di dati planetari, che in seguito si rivelarono fondamentali, nei calcoli di Kepler, per l’af-fermazione dell’astronomia copernicana.

L’astronomo danese, dalle sue osservazioni, ricavò un catalogo stellare di alta precisione, composto da 777 stelle, che finalmente soppiantava quello, ormai superato, di Tolomeo.

E poi ancora la scoperta dell’ineguaglianza della Luna da lui detta variazione, la scoperta delle ineguaglianze del movimento dei nodi e dell’inclinazione dell’orbita lunare; l’importante precisazione che le comete si muovono ben al di là di quest’orbita; una conoscenza più precisa delle rifrazioni astronomiche […]. Questi i principali meriti di Tycho Brahe. 42

Dopo l’invenzione del cannocchiale, in alcuni paesi europei

iniziarono a diffondersi le specole ampiamente dotate del nuovo strumento. Tra esse spicca quella di Johannes Hevelius,43 grande osservatore di comete e della superficie lunare. Ubicata sulla terrazza della sua casa di Danzica, entrò in attività nel 1641. Era un’istituzione talmente famosa che quando, per una grave disattenzione di un servitore, bruciò interamente il 26 settembre 1679, Luigi XIV contribuì

42 P.S. LAPLACE, Compendio di storia dell’astronomia , Opere, (a cura di O. PESENTI CAMBURSANO), p. 601, Torino 1967. 43 J. HEVELIUS, Machina coelestis, Gedani 1673.

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alla sua ricostruzione con una donazione di 2000 scudi. 44 La specola disponeva di sestanti e di quarti di cerchio in metallo di

grandi dimensioni, e di numerosi cannocchiali costruiti dall’Hevelius stesso, il maggiore dei quali, il maximus tubus,45 realizzato su progetto dell’ottico italiano Tito Livio Burattini, aveva una lunghezza focale mostruosa: 46 metri.

Ma è con la fondazione dell'Observatoire Royal di Parigi,46 nel 1667, che hanno inizio gli osservatori moderni. 47 Lalande lo definiva, con tipica e, tutto sommato, giustificata grandeur, come «il più sontuoso monumento che sia mai stato consacrato all'astronomia».48

Nel periodo compreso tra l’edificazione della specola di Hevelius e l’Observatoire parigino, intorno al 1650, sorse, anche se con caratteristiche più modeste, l’osservatorio astronomico del marchese Cornelio Malvasia all’interno della bella Villa di Panzano nei pressi di Castelfranco Emilia, a metà strada tra Bologna e Modena (fig. 3).

Il conte bolognese Carlo Antonio Manzini, apprezzato cultore di ottica e astronomia, in un suo scritto del 1650, Sulla declinazione dell’ago magnetico del meridiano, dedicato a Cornelio Malvasia, non mancava di far notare che

nel sontuoso palazzo della villa di Panzano si fabbricassero strumenti regii per fare osservazioni celesti con spese e dil igenza.

Collocato sul torrione centrale, crollato alla fine del XIX secolo per l’eccessiva quantità di grano immagazzinata, e inizialmente scarsamente dotato di strumenti astronomici, l’osservatorio ospitò, tra il dicembre 1652 e il gennaio 1653, Giovan Domenico Cassini.

Nel corso di quei freddi mesi invernali, Cassini eseguì numerose osservazioni della famosa cometa apparsa da pochi giorni e, a beneficio del duca Francesco I d'Este, le faceva stampare da tipografi fatti venire da Modena. Nella sua autobiografia Cassini lamentava il pessimo stato in cui versava la strumentazione astronomica della specola.49 A causa di ciò, durante le osservazioni, egli dovette limitarsi a prendere le 44 J. DE LALANDE, Astronomie, p. xxvj, Paris 1792. 45 G. MONACO , Alcune considerazioni sul “maximus tubus” di Hevelius, Nuncius, anno XIII, 1998, fasc. 2, pp. 533-550. 46 P.C. LE MONNIER, Histoire Celeste, ou recueil de toutes les observations astronomiques faites par ordre du Roi, Paris 1741; J.F. WEIDLER, De praesenti specularum astronomicarum statu , 1727. 47 J.J. DE LALANDE, loc. cit., § 511, 520. 48 J.J. DE LALANDE, loc. cit., p. xxxj. 49 J.-D. CASSINI, loc. cit., p. 265.

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posizioni della cometa rispetto ad alcune stelle fisse. A contraddire in parte queste lamentele, Cassini, in un altro suo

lavoro sui satelliti medicei, scritto in tempi più vicini agli avvenimenti descritti, annota, con belle parole, che nel 1652 il marchese Malvasia disponeva di un buon telescopio di Torricelli.50

Le osservazioni planetarie del 1662, nonché la bellissima carta lunare di Montanari, che troviamo nelle Ephemerides Novissimae, si fecero sia a Modena sia a Panzano. Montanari ebbe anche in progetto la realizzazione di una grandiosa meridiana per l’osservazione delle stelle, da erigere tra la torre settentrionale e quella centrale della Villa malvasiana.

La specola, detta dal Cassini, con evidente esagerazione, Italico Uraniborgo, cessò di esistere alla morte di Malvasia, avvenuta nel marzo del 1664. Nel dicembre dello stesso anno, Geminiano Montanari, che da Modena si stava recando a Bologna, entrò nella Villa su invito di uno degli eredi del marchese per osservare una cometa che, luminosissima, si stagliava nel cielo della sera, ma trovò la specola priva di strumenti astronomici. 51

Malvasia, sempre intorno al 1650, realizzò una seconda specola nella sua dimora modenese, forse l’attuale palazzo Campori. Nelle Ephemerides si legge che nel giardino erano installati un quadrante in bronzo, un sestante ligneo di otto piedi di raggio,52 alcuni lunghi cannocchiali e un orologio a pendolo che batteva i secondi.

4. Le effemeridi astronomico-astrologiche tra il XV ed il XVII secolo Le tavole astronomiche, definite da Delambre le «chef-d’œuvre de

l’Astronomie»,53 e le effemeridi planetarie che da queste si ricavano, 50 G.D. CASSINI, Ephemerides Bononienses Mediceorum Syderum , proaemium, Bononiae 1668. 51 G. MONTANARI, Cometes Bononiae observatus anno 1664 et 1665 , p. 6, Bononiae 1665. Ecco lo sconsolato commento di Montanari: «…atqui nullum ibi amplius Instrumentum, ex numerosa suppellectile, quam olim Illustriss. et Excellentiss. D. Marchio Cornelius Malvasia, gloriosae memoriae, in sua Turri illa Astronomica locaverat, reperire datum est; Aeneis, siquidem, aloirsum ad mentem Testatoris transmissis; ligneis aut deperditis, aut devastatis; sicque opus fuit oculo tantum nudo…». 52 C. MALVASIA, loc. cit., p. 187. Nel Proemium de Instituti Ratione , scrive: «observatoriam speculam edito loco iuxta Mutinenses muros domi meae propriores permittente Serenissimo Alphonso Duce fel. mem., qui summam ex his studiis oblecationem capiebat, aere proprio construxi, ac Instrumentis ad Stellarum distantias, altitudinesq; ex aere, selectoq; ligno munivi, tum et pluribus Telescopiis pedum viginti longitudinem excedentibus,…., et horologio singula minuta secunda exhibente penduli motu regulato». 53 J.B. DELAMBRE, Histoire de l'Astronomie moderne, t. II, p. 503, Paris 1821.

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sono un sussidio importante per l’osservazione del cielo. La loro compilazione fu, in ogni tempo, particolarmente complessa, dipendendo da due delicati fattori: l’osservazione accurata del cielo e la conoscenza di teorie esatte dei moti planetari.

Da Tolomeo, II secolo d.C., all’epoca moderna si sono prodotte una cospicua quantità di tavole: da quelle islamiche di al-Khwarizmi e di al-Battani, a quelle occidentali: le Tavole alfonsine, pruteniche e le rudolfine del XVII secolo.

Le prime effemeridi planetarie di sicuro interesse scientifico, basate sulle Tavole alfonsine, sono quelle pubblicate da Regiomontano54 nel 1474, che coprivano gli anni dal 1475 al 1506. In queste effemeridi erano calcolate, per ogni giorno dell’anno, le longitudini e le latitudini dei pianeti e la predizione delle eclissi di Sole e di Luna.

Le Tavole alfonsine,55 volute da Alfonso X re di Castiglia, furono compilate da un nutrito gruppo di studiosi arabi ed ebrei, guidati dal rabbino della sinagoga di Toledo Isaac Aben Sid. Alfonso, detto il Saggio, che non aveva esitato a spendere l’enorme cifra di quarantamila ducati per quest’opera monumentale ma che forse aveva fondate riserve sui moti planetari tolemaici, enormemente complicati da epicli ed equanti, amava dire:

se Dio mi avesse consultato nel momento della creazione, avrei potuto dargli dei buoni consigli.

Apparse nel 1252, esse si rifacevano a quelle antiche di Tolomeo contenute nell’Almagesto, senza però migliorarne né la teoria né la previsione delle posizioni planetarie. Le uniche modifiche di rilievo alle tolemaiche, riguardano una più precisa determinazione della durata dell’anno solare e una migliore definizione della precessione degli equinozi.

Alle tavole alfonsine si appoggiò anche l’astrologo tedesco Joannes Stoeffler, professore di matematica a Tubinga nel 1516 che, in collaborazione con Joannes Pflaumen, pubblicò delle effemeridi56 essenzialmente rivolte a suoi colleghi astrologi. Stoeffler, che si occupò con un certo successo della riforma del calendario, è pure noto per aver

54 J. REGIOMONTANUS, Ephemerides astronomicae, ab anno 1475 ad annum 1506, Norimbergae 1474; J.-S. BAILLY, Histoire de l'Astronomie moderne, t. I, p. 687, Paris 1785. 55 La prima edizione a stampa, con il commento di Giovanni di Sassonia, porta il titolo: Alphonsi regis Castellae. coelestium motuum Tabulae, Venezia 1483. 56 J. STOEFFLER, J. PFLAUMEN, Almanach nova plurimus annis venturis inservienta, ab anno 1521 ad annum 1531, Venetiis 1521.

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annunciato un nuovo diluvio universale 57 per il 19 febbraio 1524, a causa della grande congiunzione di Giove e Saturno nel segno dei Pesci. La teoria delle congiunzioni planetarie, elaborata dallo studioso arabo Abu Mashar e nella quale Stoeffler riponeva la massima fiducia, considerava questi spettacolari fenomeni celesti capaci di determinare i grandi accadimenti della storia dell’umanità:

è una teoria con evidenti riflessi nella visione storica e nell’idea del fiorire e decadere dei regni e delle religioni. Collegando inoltre astrologia e profetismo, la teoria delle grandi congiunzioni denuncia la tendenza a ridurre al minimo i margini di libertà e di iniziativa per l’uomo.58

L’annuncio del diluvio, fortunatamente seguito da un mese di

febbraio ovunque insolitamente secco, gettò il terrore in tutta l’Europa e procurò non poco discredito all’intera categoria degli astrologi.

Girolamo Cardano, famoso matematico, medico ed astrologo, infuriato, accusò Stoeffler di incompetenza. A parere di Cardano, l’errata previsione, dovuta alla scarsa conoscenza della “fisica” da parte dell’astrologo tedesco, non poteva essere considerata che un puro e semplice incidente di percorso. Esso non doveva far dimenticare i grandi meriti che, a suo dire, l'astrologia poteva vantare,59 e qui non dimentichiamo i vari processi subiti dal Cardano.

Non mancavano, anche in Italia, gli astrologi disposti a condividere con entusiasmo queste previsioni apocalittiche. Una delle figure più rappresentative della categoria fu Luca Gaurico, vissuto tra la seconda metà del Quattrocento e i primi decenni del secolo successivo, anche lui, medico e matematico di fama.

Nel suo pronostico del 1507 riprende gli argomenti, condividendoli, di Stoeffler sulla congiunzione del 1524 per poi ritrattare spudorata-mente alla fine del 1524, chiamando “falsa” la previsione del diluvio da

57 L. MORERI, Le grand dictionnaire historique, tomo VII, p. 777, Paris 1748; P. BAYLE, Dictionaire historique et critique, tomo V, pp. 245-248, cinquiéme édition, Paris 1734; J.B. DELAMBRE , Histoire de l'Astronomie du moyen Age , pp. 373-375, Paris 1819. 58 R. MARCHI, loc. cit., p. 30; Si veda anche: I.P. COULIANO, Eros e magia nel Rinascimento, pp. 6-11, pp. 265-271, Milano 1987. 59 G. CARDANO, Opera Omnia, tomus quintus, quo continentur astronomica, astrologica, oniro critica, Aphorismor Astronomic. , p. 76, Lugduni 1663. Dell’errore di Stoeffler così parla Cardano: «haec est illa syderum constitutio [si riferisce all’annesso grafico astrologico della configurazione planetaria del 20 febbraio 1524], in qua Stoflerinus vituperio exposuit astrologos. Existimans enim diluvium portendi eo tempore, quo maxima fuit serenitas, magnam calamitatem mortalibus pronunciavit».

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lui stesso appoggiata fino a non molti anni prima. Gaurico, almeno in parte, riscattò la propria immagine scientifica

quando, nello stesso anno del “diluvio”, curò una nuova importante edizione delle Tabulae directionum di Regiomontano e, nel 1533, un’Ephemerides, basata sulle alfonsine, di cui tra poco ci occuperemo.60

L’estroso astrologo boemo Cyprien Leowitz, corrispondente di Tycho Brahe, fu autore di un’effemeride61 che copre un periodo di cinquant’anni (1556-1606), basata sulle tavole alfonsine modificate da Regiomontano.

Senza remore, Leowitz rivaleggiò con Stoeffler e Gaurico, nella formulazione di previsioni astrologiche apocalittiche, la più improbabile delle quali è la fine del mondo prevista per il 1584 a causa della congiunzione di Giove e Saturno, di nuovo nella costellazione dei Pesci. Con ammirevole lucidità e coerenza Leowitz scrive che, siccome il mondo ha avuto inizio durante una congiunzione dei due pianeti nel trigono del fuoco, esso doveva finire nel trigono d’acqua del 1584. Al solito, la previsione gettò il terrore in diversi luoghi d’Europa, tanto che molti, dopo aver espresso le loro ultime volontà, si fecero impartire l’estrema unzione.

Nel 1551, l’astronomo tedesco Erasmus Reinhold pubblicava le Tavole Pruteniche,62 dedicate ad Alberto duca di Prussia. Esse erano fondate sul De Revolutionibus di Copernico, dato alle stampe pochi anni prima, e sulle osservazioni, ormai fin troppo datate, di Ipparco e Tolomeo.

In quest’opera fondamentale, Reinhold indica tre modi per calcolare le posizioni in longitudine, conoscendo, del pianeta, il movimento del-l’apogeo, la variazione dell’eccentricità dell’orbita e l’ineguaglianza della precessione. Egli assegna poi all’anno una durata di 365 giorni, 5 ore 55 minuti e 58 secondi, basandosi sulla combinazione di osservazioni tolemaiche e copernicane. Questo valore servì successivamente per la riforma del calendario gregoriano. Sempre in Germania, furono assai apprezzate le effemeridi planetarie di David Tost, detto Origanus, professore di matematica e di greco all’università di Francoforte sull’Oder,63 relative al periodo 1595-1654.

Queste effemeridi,64 come quasi tutte quelle pubblicate tra il XVI e il 60 L. GAURICO , Ephemerides recognitae et ad unguem castigatae, Venetiis 1533. 61 C. LEOWITZ, Calculus Ephemeridum LI Annorum numeratus ad Meridianum inclytae Urbis Imperialis Augustae Vindelicorum , Augustae Vindelicorum 1557. 62 E. REINHOLD, Prutenicae tabulae coelestium motuum, Wittenberg 1551. 63 L. MORERI, loc. cit., tomo VI, p. 512. 64 D. ORIGANUS, Ephemerides Brandeburgicae coelestium motuum et temporum ecc., incipientium

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XVII secolo, hanno un basso livello di precisione e, ad un lettore moderno, appaiono come un ingarbugliato miscuglio di calcoli planetari finalizzati all’astrologia, basati su Tavole concettualmente assai diverse.

Origanus, infatti, effettua un doppio calcolo delle longitudini del Sole e della Luna seguendo i dettami di Tycho Brahe e delle Tavole pruteniche.

Nel sistema di Brahe… la Terra è di nuovo ferma nel centro geometrico di una sfera stellare, la cui rotazione quotidiana spiega i circoli giornalieri delle stelle… i circoli della Luna e del Sole sono centrati sulla Terra… ma il cento delle altre cinque orbite planetarie è trasferito dal centro della Terra al Sole. Il sistema di Brahe rappresenta un ampliamento, per quanto forse inconsapevole, del sistema di Eraclide, che attribuiva a Mercurio e a Venere orbite centrate sul Sole. Il sistema ticonico risulta, dal punto di vista matematico, esattamente equivalente a quello copernicano… [esso] non convinse quei pochi astronomi neoplatonici che, come Kepler, erano stati attratti verso il sistema di Copernico dalla sua grande simmetria. Ma convinse in effetti la maggior parte degli astronomi non copernicani e tecnicamente esperti dell’epoca, poiché offriva una soluzione a un dilemma molto sentito: conservava i vantaggi matematici del sistema di Copernico senza gli inconvenienti fisici, cosmologici e teologici.65

Dobbiamo però riconoscere che almeno un merito le effemeridi di

Origanus lo hanno. Si è sempre sostenuto che l'unica previsione conosciuta del transito di Venere sul Sole del 4 dicembre 1639 si deve al geniale astronomo e matematico inglese Jeremiah Horrocks66, morto ad appena 22 anni, che eseguì un doppio calcolo delle circostanze del fenomeno basandosi sia sulla teoria lansbergiana dei moti planetari sia sulle kepleriane tavole rudolfine.

Per verificare se, a quel tempo, esistevano altre fonti dalle quali poter ricavare una previsione attendibile del fenomeno, ho esaminato alcune effemeridi dell'epoca, scoprendo che, per un caso fortuito, proprio

ab anno 1595 et definentium in annum 1654, Francof. cis Viadrum 1609. 65 T.S. KUHN, La rivoluzione copernicana, pp. 258-261, Torino 1972. 66 J. HORROCKS, Venus in Sole visa, Seu Tractatus Astronomicus, de nobilissima Solis et Veneris Conjunctione, Novembris die 24, styl. Juliano, 1639 , pubblicata in latino da J. Hevelius nell'opera: Mercurius in Sole visus Gedani, Anno Christiano 1661, d. III Maji, St. n. cum aliis quibusdam rerum Coelestium, rarisque phaenomenis. Cui annexa est Venus in Sole pariter visa, Anno 1639, d. 24 nov. St. V., Liverpoliae, à Jeremia Horroxio: nunc primum edita, notisque Illustrata. Quibus accedit succinta Historiola, Novae illius, ac mirae Stellae in Collo Ceti, pp. 111-145, Gedani 1662.

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quelle di Origanus avrebbero consentito di estrapolare il transito di Venere per il 6 dicembre intorno alle 6 a.m.

La previsione, in verità affetta da un consistente errore temporale di circa 36 ore (la congiunzione in longitudine dei due astri avvenne il 4 dicembre 1639 alle 17h 55m UT), avrebbe dovuto mettere sull’avviso gli astronomi che, invece, dormirono sonni tranquilli. Nell’estendere l’indagine sull’eventuale previsione di questo transito venusiano anche ad un'altra effemeride, quella di Andrea Argoli,67 ho trovato che, in questo caso, il transito non si sarebbe dovuto verificare a causa del valore troppo elevato attribuito alla latitudine eclittica del pianeta.

In Italia, il Cinquecento fu un secolo che vide una vasta schiera di compilatori di effemeridi. A Venezia, tra il 1533 e il 1680, ne fu pubblicata una serie a cura degli astrologi Luca Gaurico, Pietro Pitati, Giovan Battista Carelli, Giuseppe Moleti, Giovanni Antonio Magini (che insegnava a Bologna), e il già visto Andrea Argoli. Anche a Bologna, dalla metà del Cinquecento, iniziò ad affermarsi una tradizione nella compilazione di effemeridi planetarie che proseguì per due secoli ed annoverò personaggi, alcuni famosi, quali Nicola Simi, Francesco Montebruno, Geminiano Montanari, Flaminio Mezzavacca, Eustachio Manfredi, Eustachio Zanotti.

Le effemeridi del piacentino Giovan Battista Carelli68 e del messine-se Giuseppe Moleti69 seguivano i dettami delle tavole alfonsine nonostante la già avvenuta pubblicazione delle più moderne, anche se, per la verità, non certamente più accurate, tavole pruteniche.

Il celebre Giovan Antonio Magini, astronomo, astrologo e geografo, professore a Bologna, anti-copernicano e rivale di Galileo, definito da Kepler «summum in professione mathematica virum», ed autore di famosissime effemeridi, è senza dubbio una figura rappresentativa della cultura astronomico-astrologica del tempo. È quindi opportuno soffer-marsi un momento su alcuni aspetti delle sue opere.

Alla base dei suoi calcoli stavano le tavole pruteniche e, succes-sivamente al 1583, la Progymnasmata di Tycho per il Sole e la Luna.

67 A. ARGOLI, Ephemeridum iuxta Tychonis Hypothesis et coelo deductas Observationes. Tomus primus, ab anno 1631 ad annum 1640 , Patavii 1638. Argoli è autore di un systema mundi geocentrico che, con scarsa originalità, riprendeva integralmente un’idea di Cicerone e Vitruvio, secondo i quali Mercurio e Venere orbitavano intorno al Sole che, a sua volta, era in moto intorno alla Terra. 68 G.B. CARELLI, Ephemerides Io. Baptistae Carelli placentini, ad annos XIX. Incipientes ab anno 1558 usque ad annum 1577 . Venetiis 1558. 69 G. MOLETI, Ephemerides Io. Moletii mathematici Annis viginti inservientes, incipientes, que ab anno 1564, et desinentes ad annum 1584, Venetiis 1564.

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Nel tentativo di superare le gravi difficoltà del sistema tolemaico, elaborò anche una propria teoria della Luna che impiegava gli eccentrici senza epicicli. 70

Con un atteggiamento giudicato ambiguo anche da qualche suo contemporaneo, Magini non aderiva all’eliocentrismo copernicano e affermava che

Copernico, contra omnem veritatem et philosophiam, terra mobilis et Sol cum octavo orbe quiescentes videntur, nobis vero contrarium supponitur.71

Compilò le sue effemeridi,

tavole, le quali a noi ogni giorno dimostrano il vero luogo, overo il moto dei sette pianeti,72

essenzialmente per migliorare l’accuratezza degli oroscopi.

Per Magini l’astrologia, con i suoi influssi sull’uomo, è una vera e propria scienza, che studia

i temperamenti et inclinationi ne’ corpi de gli uomini, le mutationi dell’aria, et altre si fatte cose, effetti propriamente delle cause celesti.73

La stessa incondizionata fiducia nelle “cause celesti” è vigorosa-

mente espressa da un altro esperto calcolatore planetario, Giuseppe Moleti che, in apertura di una delle sue effemeridi, scriveva:

che tra tutte le Scienze, le quali per consolatione dell’animo et per discacciare l’ammiratione e l’ignoranza, sono state trovate, l’Astrolo-gia sia nobilissima, dalla dignità del Suo soggetto e dalla certezza delle sue dimostrazioni, si può havere certissimo testimonio.74

Ha ragione Garin quando scrive che, nel Seicento, l’astrologia non

70 F. BÒNOLI, D. PILIARVU , loc. cit., pp. 144-145. 71 G.A. MAGINI, Novae coelestium orbium theoricae, c. 7v., Venetiis 1589. 72 G.A. MAGINI, Efemeride de i moti celesti, di Gio. Antonio Magini padoano per anni XX, dall’anno 1581, fino al 1600 secondo i fundamenti del Copernico, e Tavole Pruteniche, c. 27r, Venezia 1583. 73 G.A. MAGINI, loc. cit., c. 1v. 74 G. MOLETI, L'Efemeridi di Gioseppe MOLETO matematico per anni XVIII., le quali cominciano dall'anno corrente di Cristo Salvatore, 1563 et si terminano alla fine dell'anno 1580, Venezia 1563.

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era soltanto una

tecnica della previsione, quanto una concezione generale della realtà e della storia.75

La maggioranza dei dotti del tempo inclinava per le pratiche astrologiche, anche se le prime avvisaglie di un nuovo spirito razionalista, improntato ad un’aperta avversione nei confronti d’ogni manifestazione irrazionale, iniziò ad emergere nella seconda metà del XVII secolo, preceduto dalle bolle papali contro l’astrologia giudiziaria emanate da Sisto V nel 1586, la Coeli et terrae, e la Inscrutabilis di Urbano VIII nel 1631.

Nel 1666 il ministro di Luigi XIV, Colbert, vietò agli astronomi di formulare previsioni astrologiche e, poco dopo, due decreti reali posero fine ai processi per stregoneria e, ufficialmente, alla pubblicazione di almanacchi.

Gli esempi del perdurare di forti legami con l’antica e radicata tradizione astrologica abbondano però, nonostante i roboanti decreti regi, per tutto il secolo, anche tra i più famosi calcolatori di effemeridi.

Uno di questi fu il bolognese Flaminio Mezzavacca, allievo di Montanari che, del maestro non fece proprio né il rigoroso atteggiamento scientifico e neppure l’avversione per l’astrologia. Nella sua Otia sive Ephemerides Felsineae del 1701, riporta tabelle di astrologia medica dove si mettono in relazione i segni zodiacali, i pianeti e le parti del corpo umano influenzate dalle congiunzioni astrali. Così leggiamo che Mercurio nel segno del Toro presiede alla salute dei piedi mentre la Luna nella Bilancia determina il funzionamento del cuore.76

Mezzavacca aveva anche scritto sull’origine dei terremoti e sulle influenze degli astri che li produrrebbero. 77

Per meglio comprendere il clima culturale del tempo e valutare gli effetti dell’indubbio prestigio e i conseguenti rilevanti benefici, anche economici, generalmente goduti dagli astronomi-astrologi, accenniamo ai non infrequenti casi di plagio editoriale che si verificarono a danno di alcuni compilatori di effemeridi. Una delle più illustri vittime fu lo stesso Magini che si accapigliò con il medico siciliano Giuseppe Scala accusandolo, a ragione, di aver copiato, e dato alle stampe, una parte delle proprie effemeridi.

75 E. GARIN, Lo Zodiaco della vita , pp. 8-9, Bari 1976. 76 F. MEZZAVACCA , Otia sive Ephemerides Felsineae, p. 241, Bononiae 1701. 77 F. MEZZAVACCA , De terraemotu libellus, Bononiae 1672.

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Dunque, nel 1589, Scala fece stampare a Venezia un’effemeride planetaria 78 per il periodo 1589-1600, dichiarando, fin dal titolo, che esse erano calcolate

con ogni diligenza, secondo le Tavole Prutenice, […] alle quali sono aggiunti i Canoni ò introduttioni dell’Efemeridi dell’Eccell. Sig. Gioseppe Moleto Matematico.

Scala si era risolto a compiere quest’opera nonostante che

i nuovi computi di Nicolò Copernico […] mi rendevano difficultà, quanto che conoscevo la sua dottrina essere al mondo dubbia e non da tutti accettata; e perciò non mi manchavano avversità.79

Ma il contemporaneo intervento di Giuseppe Moleti e del suo

maestro in medicina Girolamo Mercuriale, gli «apersero la strada della virtù» e, finalmente, «fatto audace e diligente entrai nell’impresa».

Prosegue con una descrizione dei frutti di un duro lavoro di calcolo che si apre, manco a dirlo, con un «Nel quale si mostrano i veri Principij dell’Astrologia».

Magini, ricevendone una copia e confrontando le tabelle planetarie dello Scala con le proprie pubblicate sei anni primi, sobbalzò scandalizzato quando

ho alla fine trovato che tra queste dello Scala et quelle del Magino [qui Magini, che usa lo pseudonimo di G.B. Gazano, parla in terza persona] non vi è differenza tale che importasse il calcolarne di nuove […] e insieme anco mi son fatto chiaro, che per lo più ha trascritte quelle del Magino.80

L’alquanto disinteressato Magini, che dalla vendita delle effemeridi

ricavava una fetta consistente del suo reddito, accusa poi l’avversario di turpe venalità: «[Scala è stato] mosso à fare dette Efemeridi [per] l’utile che n’ha ricevuto dal Libraro».

Quindi si affanna a dimostrare che le posizioni planetarie di Scala, ad esclusione di quelle del Sole e della Luna, furono certamente copiate 78 G. SCALA, L’efemeridi del Mag.co et Eccel. te Sig. Gioseppe Scala Siciliano, per anni dodici, le quali cominciano dall’Anno di Christo nostro Sig. 1589 e finiscono nel fine di Dicembre dell’Anno 1600, Venezia 1589. 79 G. SCALA , loc. cit., nella dedica al Marchese Michele Spatafora. 80 G.A. MAGINI (con lo pseudonimo di G.B. Gazano), Giudicio del Sig. Giovan Battista Gazano sopra l’efemeridi mandate in luce dagl’Eccellenti Sig. Giuseppe Scala Siciliano e Marsilio Cognati Veronese, p. 3, Padova 1584.

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dalle proprie, con l’unica differenza di un arrotondamento dei dati al primo d’arco, operazione lecita, anzi, sicuramente auspicabile, se si considera che le longitudini e le latitudini dei pianeti riportate in tutte le effemeridi del XVI-XVII secolo, in particolare le posizioni di Mercurio e Marte – e queste del Magini e di Scala non escono dalla norma – erano affette da errori di parecchi primi d’arco o, addirittura, in certi luoghi dell’orbita, di alcuni gradi. Ma, come spesso accade in questi casi, l’accusa di plagio lanciata da Magini non portò a nulla, anzi, Scala se ne giovò, guadagnandone in popolarità.

Mentre gli astrologi si azzuffavano per difendere i cospicui proventi dei diritti d’autore, nel 1627 fu compiuto un notevole passo avanti con la pubblicazione, dopo una lunghissima gestazione, delle tavole rudolfine di Kepler, indubbiamente le migliori per i successivi cinquanta anni. 81

Kepler, in quest’opera, introdusse due importanti novità. La prima, fondamentale, riguardava sia l’uso delle orbite ellittiche sia il computo delle longitudini planetarie con la famosa equazione che porta il suo nome. La seconda novità fu l’introduzione, per facilitare i calcoli, dei logaritmi.

L’equazione di Kepler è la seguente:

E = M + e sin E dove E è l’anomalia eccentrica, M l’anomalia media del pianeta ed e è l’eccentricità della sua orbita.

L’equazione, trascendente in E, è di fondamentale importanza perché, con l’anomalia eccentrica, si trovano i valori del raggio vettore e l’anomalia vera, le due coordinate polari che individuano la posizione del pianeta nella sua orbita.

Gli errori delle Tavole di Kepler per il Sole, secondo Giovan Domenico Cassini, facevano però anticipare l’equinozio di primavera di circa tre ore, e di quasi altrettanto l’istante dell’equinozio d’autunno. 82

Per Cassini, inoltre, l’errore residuo nelle posizioni del Sole delle tavole Rudolfine, era in gran parte imputabile alla rifrazione atmosferica, mal corretta nelle osservazioni di Tycho, che rendeva imprecise anche le effemeridi dei pianeti.

Alla metà del secolo, il conte di Pagan scrisse un’interessante opera

81 J. KEPLER, Tabulae Rudolphinae, Ulmae 1627. 82 G.D. CASSINI, Les elemens de l’astronomie, Memoires de l’Academie Royale des Sciences depuis 1666 jusqu’à 1699, t. VIII, p. 81, Paris 1730.

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nella quale i calcoli kepleriani dei «veri luoghi dei pianeti» erano notevolmente semplificati e chiaramente esposti.83

A Bologna i precetti kepleriani trovarono un estimatore nel già citato Flaminio Mezzavacca, mentre Francesco Montebruno, che Cornelio Malvasia desiderava imitare, seguiva la poco accurata, ma a quei tempi molto ammirata, teoria epiciclica dell’olandese Philippe van Lansberg, celebre autore di trattati di astronomia e matematica.

Nell’Uranometria del 1621, van Lansberg si era proposto di calcolare le distanze e le dimensioni del Sole, della Terra e della Luna, seguendo le ipotesi tolemaiche, di Albategnius, Copernico e Kepler, nessuna delle quali sembrò però soddisfarlo.84 Nel 1632 diede alla luce i suoi canoni planetari, le Tabulae perpetuae,85 pazientemente compilate in 44 anni di lavoro, nella stessa antiquata forma delle tavole alfonsine che diceva di apprezzare per la loro concisione e per l’uso di un maggior numero di decimali nelle misure angolari. Secondo Dreyer,86 l’immeritato successo di queste tavole si ebbe perché esse rappresentarono bene il transito di Venere del 1639, di cui già ci siamo occupati.

L’insigne matematico gesuato Bonaventura Cavalieri,87 «un des plus grands hommes de l’Italie»,88 e grande amico di Galileo, dal 1628 successore di Magini nello Studio bolognese, diede una brillante soluzione grafica alla teoria lansbergiana per semplificare i calcoli delle posizioni planetarie, in un lavoro apparso con lo pseudonimo di Silvio Filomantio, composto e pubblicato per diletto, la Ruota Planetaria.89 A torto, ancora oggi, qualcuno ritiene quest’opera, strettamente tecnica e densa di esempi numerici e grafici, una professione di fede del Cavalieri per l’astrologia.90 È invece rivelatore il fatto che, in questo libretto, Cavalieri non fa riferimenti all’astrologia e non accenna, in 83 COMTE DE PAGAN, Les Tables Astronomiques données pour la juste supputation des Planetes, des Eclipses et de figures celestes, avec les methodes de treuver facilment les Longitudes, tant sur la Mer que sur la Terre, Paris 1658. 84 J.B. DELAMBRE , loc. cit., t. II, pp. 43-44, Paris 1821. 85 P. LANSBERG , Tabulae coelestium motuum perpetuae, Middlesburg 1632. 86 J.L.E. DREYER, History of the planetary systems from Thales to Kepler, Cambridge 1906 (tr. it. di Libero Sosio, Storia dell'astronomia da Talete a Keplero, p. 387, Milano 1970). 87 F. BÒNOLI, D. PILIARVU , loc. cit., pp. 154-158. 88 J.-S. BAILLY, Histoire de l'Astronomie moderne, t. II, p. 313, Paris 1785. 89 SILVIO FILOMANTIO (pseudonimo di B. Cavalieri), Trattato della ruota planetaria perpetua, Bologna 1646. 90 Si veda: Scienziati del Seicento , a cura di M.L. ALTIERI BIAGI e B. BASILE, p. 225, Milano-Napoli, 1970. Nei cenni biografici del Cavalieri, i curatori del volume ritengono che, con La ruota planetaria , egli avesse voluto dimostrare chiari interessi astrologici. Lo stesso punto di vista è espresso da Lucio Lombardo Radice nella nota bibliografica a p. 32, che precede la Geometria degli Indivisibili, Torino 1966.

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alcun luogo, ad una qualsiasi applicazione astrologica dei suoi calcoli. Nel Settecento, il grande matematico Paolo Frisi, nel suo elogio del Cavalieri, scriveva:

La Rota Planetaria, che, quantunque sia comparsa ad alcuni come macchiata di qualche traccia d’astrologia, non versa propriamente che intorno ad argomenti astronomici, geografici e cronologici.91

Diversa è l’ottica con la quale si deve considerare un altro suo scritto, la Nuova Prattica astrologica,92 apparso alcuni anni prima della Ruota e sicuramente sollecitato da influenti membri del Senato accademico bolognese che, è opportuno non dimenticare, all’epoca, gli doveva rinnovare il tanto sospirato contratto presso lo Studio (nella copia di quest’opera conservata nella Biblioteca Universitaria di Bologna si legge un appunto, forse di pugno del Cavalieri stesso: «presentata al Senato, 1639»).93 Qui Cavalieri dichiara esplicitamente, fin dal titolo, che i logaritmi kepleriani, apparsi nelle Tavole rudolfine, gli serviranno per fare le direttioni planetarie ad uso astrologico. Nel rivolgersi al lettore, egli però esprime il senso di un palese disagio con queste parole:

Non era veramente mio pensiero che la presente operetta uscisse fuori alla pubblica luce

e, per giustificare questa reticenza che, se rilevata, avrebbe potuto danneggiarlo professionalmente, si appella al fatto che già esistevano

due Tavole Direttorie composte dal Magini […] onde non mi pareva ragionevole […] di lasciar uscire cosa mia in questo genere.94

Queste non sembrano le parole di un convinto sostenitore dell’astrolo-gia!

Le fondamentali tavole rudolfine, pur avvicinandosi alla soluzione del problema dei veri luoghi dei pianeti, richiedevano ancora importanti

91 P. FRISI, Elogio di Bonaventura Cavalieri, in Operette scelte di Paolo Frisi, a cura di Pietro Verri, pp. 216-217, Milano 1825. 92 B. CAVALIERI, Nuova Prattica astrologica di fare le Direttioni secondo la via Rationale, e conforme ancora al fondamento di Kepplero per via di logaritmi, Bologna 1639. 93 L’opinione di B. Pistacchio, che non condivido per le ragioni esposte nel t esto, è che la Nuova Prattica fu un tentativo di ridare credibilità alla materia [astrologica]. (B. Pistacchio, L’insegna-mento dell’astrologia nella università di Bologna , Strenna Storica Bolognese, anno XLII – 1992, p. 326). 94 B. Cavalieri, loc. cit., pp. 9-10.

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miglioramenti per quanto riguardava la conoscenza degli elementi orbitali. Ad esse, pur essendo le migliori del tempo, furono spesso preferite le tavole lansbergiane. Nel 1661, Malvasia, nel dare finalmente attuazione al suo progetto delle Ephemerides, pur criticandole aspramente, le volle fondate sui canoni dell’astronomo belga. Dell’improba fatica fu incaricato il giovane Geminiano Montanari, ai cui occhi apparve subito evidente la loro scarsa consistenza scientifica. Nelle numerose osservazioni planetarie riportate nell’opera, Montanari annota con scrupolo le cospicue e preoccupanti differenze tra le sue misure di longitudine e i valori contenuti nelle effemeridi calcolate con le tavole lansbergiane.

Un quarto di secolo dopo, nella sua celebre Astrologia convinta di falso, Montanari scrisse un brillante commento sulla capacità dell’astro-nomia (ma anche di alcuni calcolatori) del suo tempo di predire i moti planetari e ne rimarcava i limiti:

L’Astronomia non è ancor giunta à quell’ultima perfezione, che non solo in questa, ma in tutte le altre Scienze vanno cercando gli humani ingegni, come che tutte sono imperfette: non è poco però che ella predice i moti del Sole e della Luna si fattamente, che giamai si vede fallar d’un’hora à nostri tempi un’Eclisse per diffetto di Tavole; benché per difetto del Calcolatore possa succedere ciò, che più volte, mè partico larmente quest’anno 1684 è succeduto all’Argoli nell’Eclisse del Sole 12 Luglio, che l’haveva supposta centrale, e messa in scompiglio l’Italia, che preparava i lumi e le torcie, il che molte altre volte al medesimo è avvenuto per errori suoi proprij, e non dell’Arte vedendosi che il Mezzavacca nelle sue effemeridi l’haveva ben egli predetta puntualmente, come è stata, perché non ha errato ne precetti dell’Arte la quale nulla dimeno non ha per lo passato potuto esentarsi ne i moti del Sole da qualche svarij allontanandosi dal vero le Tavole Ticoniche talhora fino otto minuti qualche cosa più le Copernicane, molto più le Alfonsine, meno le Rodolfine e le Filolaiche, e meno di tutte, per mia esperienza di molti anni al grandissimo istromento Heliometro di Bologna [la grande meridiana di S. Petronio] le Tavole del celebre Cassini in oggi Astronomo del Re Christianissimo, nelle quali non hò mai trovato errore, che eccede un minuto, e pochi secondi, anzi il più delle volte non eccede mezo minuto, dentro al quale può esser dubiosa l’osservazione istessa…. In Saturno però fallano anch’oggi gli astronomi fino a 15 minuti alle volte e altrettanto Giove, in Marte in certi siti del Cielo sin quasi un

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grado; in Venere poco meno e in Mercurio più de gli altri”.95

5. La precisione delle longitudini planetarie lansbergiane nelle Ephemerides Novissimae. Il confronto con altre effemeridi del tempo

Negli anni Ottanta dello scorso secolo, Owen Gingerich e Barbara

Welther, dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics, intrapresero un vasto lavoro di confronto tra effemeridi antiche, su intervalli temporali di alcuni decenni. 96 Le loro sono conclusioni di un certo interesse. In primo luogo, anche se la cosa era già ben nota, rilevarono che le effemeridi alfonsine erano affette da errori molto consistenti. Ad esempio, per Marte durante le opposizioni, essi raggiungevano i 5°, e oltre 1° per Giove, mentre per Mercurio gli errori massimi si avevano durante le congiunzioni con il Sole, all’epoca in cui il pianeta è invisibile. Poi i due autori diedero conferma del fatto che i vantaggi apportati al computo delle effemeridi dalle più recenti tavole pruteniche furono sostanzialmente irrilevanti. Nel caso di Marte gli errori massimi erano ancora nell’ordine dei 5°, e solo per Saturno si potevano calcolare longitudini appena un po’ più accurate. Giuseppe Moleti, famoso calcolatore di effemeridi di cui ci siamo già occupati, non aveva tutti i torti quando, prudenzialmente, preferiva la strada vecchia (le tavole alfonsine) a quella nuova:

[l’effemeride] l’ho io calcolata per le Tavole di Alfonso, perciocché non ho voluto innovare strade e calcolare per il Copernico, non perch’io dubiti che ne’ movimenti d’Alfonso non vi sia errore: di che non è ancora senza il Copernico (et questo dico, per quanto l’osservationi dimostrano), ma perché, non essendo né l’uno né l’altro senza errore, men male è seguire Alfonso, come antico, che appigliarsi à nuova strada, senza havere osservato i detti movimenti. Quando io haverò osservato quelli, e haverò chiaramente conosciuto chi di loro ha meno errato, allora m’appiglierò à quel tale.97

95 G. MONTANARI, L’astrologia convinta di falso , pp. 126-127, Venetia 1685. 96 O. GINGERICH , B. WELTHER, The accuracy of Ephemerides, 1500-1800, Vistas in Astronomy, vol. 28, pp. 339-342, 1985; O. GINGERICH , Planetary, Lunar and Solar Positions A.D. 1650-A.D. 1800, Memoirs of the American Philosophical Society 59s, Philadelphia 1983. 97 G. MOLETI, L'Efemeridi di Gioseppe MOLETO matematico per anni XVIII., le quali cominciano dall'anno corrente di Cristo Salvatore, 1563 et si terminano alla fine dell'anno 1580, Venezia 1563. Nella dedica a G.B. Fagnano e Nicolò I.

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Con Kepler e le sue tavole rudolfine, la precisione migliorò di oltre un ordine di grandezza, grazie all’uso delle orbite planetarie ellittiche ed all’equazione per l’anomalia eccentrica.

Gingerich e Welther sostengono che l’inglese Thomas Streete, nel-l’Astronomia Carolina del 1661, fornì delle tavole di calcolo che miglioravano notevolmente le rudolfine perché adottava il valore del-l’eccentricità dell’orbita terrestre proposto dal già citato Jeremiah Horrocks, il geniale e sfortunato astronomo inglese, morto nel 1641 a soli 22 anni. Dotato di una non comune abilità matematica, Horrocks, negli anni 1638-1640, aveva esaminato con attenzione le rudolfine e notato che i suoi errori erano ancora rilevanti. Nel caso della Luna, esse difettavano fino a ±12’ in pochi giorni, mentre gli errori nelle longitudini degli altri pianeti, a causa del loro moto più lento, avevano periodi assai più lunghi. Intorno all’equinozio di primavera, le rudolfine facevano avanzare le longitudini del Sole di 5’, mentre all’equinozio d’autunno ritardavano della stessa quantità. Venere, invece, avanzava anche di 10’ nella sua digressione serale e ritardava di altrettanto in quella mattutina.

Negli studi dei due autori americani non v’è cenno alcuno alle effemeridi malvasiane, né a quelle, poco conosciute, del bolognese Agostino Fabri e neppure all’effemeride solare kepleriana di Bonaventura Cavalieri per l’anno 1600 (si veda il § 6). Nella mia analisi, supportata da un moderno programma di calcolo delle posizioni planetarie, procederò ad un confronto tra queste effemeridi del Cinque-Seicento che consentirà di accertare se le lansbergiane di Montanari, contenute nelle Ephemerides, hanno avuto quella validità scientifica che molti contemporanei le attribuivano. Si scoprirà inoltre, che l’importantissimo lavoro sul moto solare di Cassini negli anni 1655-1660, contribuì, in modo essenziale, alla compilazione di effemeridi di Marte che migliorarono nettamente le rudolfine.

Gli errori riportati nei grafici sono stati ottenuti sottraendo dalle longitudini planetarie moderne quelle delle effemeridi antiche e si riferiscono, al massimo, a periodi consecutivi di cinque anni, in modo da poterle omogeneamente confrontare con le Ephemerides. Tralascerò il problema delle latitudini eclittiche, che merita una trattazione specifica, oggetto di un futuro lavoro. Gli autori delle effemeridi esaminate nel seguito sono Luca Gaurico98 (alfonsine), Giovan Antonio

98 L. GAURICO , Ephemerides recognitae et ad unguem castigatae, Venetiis 1533.

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Magini99 (pruteniche), Johannes Kepler100 (rudolfine), Cornelio Malvasia 101 (lansbergiane) e Agostino Fabri102 (che usa sia le tavole rudolfine sia le lansbergiane modificate da Montanari).

Di questi, solamente Agostino Fabri non c’è ancora noto. A dire il vero, notizie biografiche di questo padre olivetano, dottore in Filosofia e allievo di Cassini e Montanari, non abbondano. Fabri, il cui nome compare nei rotuli dello Studio dal 1675-76 al 1688-89, non è menzionato, come gli spetterebbe di diritto, nell’elenco compilato da Michele Rajna, direttore dell’osservatorio astronomico petroniano alla fine del-l’Ottocento. 103

Il Fantuzzi,104 poi, lo liquida in due righe e dice solamente che egli ha compilato le Effemeridi, Premonizioni Astronomiche per l’anno 1676, dimenticando però quelle dei due anni precedenti. Esse costituivano il famoso tacuinus105 annuale dello Studio di Bologna, redatto fino, a pochi anni prima, da Ovidio Montalbani. Seguendo una tradizione ormai secolare, l’almanacco dello Studio usciva ogni anno ed era specialmente rivolto a medici e astrologi. Fabri, però, da buon allievo di Montanari, quando ebbe l’incarico dal Senato di prepararne la pubblicazione, in modo ardito, ridusse al minimo la parte dedicata all’astrologia, relegandola nelle ultime pagine dell’introduzione, privilegiando in sua vece l’aspetto strettamente astronomico.

L’intenzione espressa per il 1674, mantenuta solo in parte, per ammissione dello stesso Fabri, era di compilare le effemeridi 99 G.A. MAGINI, Continuatio Ephemeridum coelestium Motuum ab anno Domini 1610 usque ad annum 1630 , Venetiis 1607. 100 J. KEPLER, Ephemerides Novae Motuum coelestium ab anno vulgaris aerae MDCXVII ex Observationibus potissimum Tychonis Brahei, Hypothesibus Physicis, et Tabulis Rudolphinis, ad meridianum Uranopyrgicum in freto Cimbrico, Lincii 1616-1617. J. KEPLER, Ephemerides Novae Motuum coelestium ab anno vulgaris aerae MDCXVIII , Lincii 1620. 101 C. MALVASIA, loc. cit., pp. 2-149. 102 A. FABRI, Tacuino astronomico dello Studio di Bologna per l’anno 1674 , Bologna 1674; A. FABRI, Efemeride Premonizioni astronomiche, et Astrologico-Mediche per l’Anno MDCLXXV, Bologna 1675; A. FABRI, Efemeride Premonizioni astronomiche, et Astrologico-Mediche per l’Anno Bisestile MDCLXXVI , Bologna 1676. 103 M. RAJNA, Sulle condizioni dell’Osservatorio della R. Università di Bologna , Bologna 1906. Rajna, per il XVI-XVII secolo, cita i seguenti autori di effemeridi che operarono a Bologna: Nicola Simi (dal 1554 al 1568); Francesco Montebruni (1641-1660); Tommaso Rossi, detto Rubeus (1666); Geminiano Montanari (1666), Girolamo Grassini (1666-1670); Flaminio Mezzavacca (1675-1720). 104 G. FANTUZZI, Notizie degli scrittori bolognesi, t. III, p. 276, Bologna 1781-1790. 105 Nello Studio bolognese, fin dalla prima metà del Trecento, di solito era il t itolare della cattedra di astronomia a redigere ogni anno il Judicium e il Tacuinus. Il Judicium forniva le previsioni dell’anno, riguardanti nazioni, popoli e città. Il Tacuinus consisteva invece nella descrizione mensile degli aspetti dei pianeti e nell’indicazione dei giorni fasti o nefasti per somministrare rimedi contro le malattie (si veda: A. SORBELLI, Il Tacuinus dell’Università di Bologna , Gutenberg Jahrbuch, 1938).

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calcolata giusta il metodo dell’Eccellentissimo Montanari, mio primo Maestro nelle Scienze Matematiche, il quale sino del 1665 havendo intrapreso di calcolare molti anni di Effemeridi, n’insegnò al Sig. Dottor Flaminio Mezzavacca e a me, che ambi all’hora eravamo condiscepoli sotto di lui, il modo non solamente di supputarle dalle Tavole degli Autori, ma, affine che lo aggiutassimo lui, ci mostrò i confronti, ch’egli havea fatto delle Ipotesi di tutti gli Autori, con le Osservazioni fatte al Cielo per molt’anni da lui con grandi e isquis iti Stromenti, e il metodo suo, col quale correggendo lo svario degli Autori passati, riduceva il calcolo ad avvicinarsi più di tutti alla verità delle osservazioni.106

E, appena più avanti prosegue:

non v’ha dubbio, che il Sole, Principe de’ Pianeti deve considerarsi nelle supputazioni Celesti, come centro del moto di ciascun pianeta… le Tavole [del Sole] del Sig. Cassini avanzano in perfettione di gran lunga tutte l’altre e di queste [Montanari] pensò valersi, e con il luogo del Sole dedotto da queste, correggere il calcolo de’ Pianeti, trovò finalmente che per Saturno e Giove le Tavole del Lansbergio, per gli altri trè Marte, Venere e Mercurio le Rodulfine, corrette col Sole Cassiniano,107 corrispondevano assai bene alle osservazioni Celesti. Per la Luna… hò preso per quest’anno dall’Efemeridi Kepleriane dell’Heckero.108

Nei passi sopra riportati, emergono due interessanti affermazioni. La

prima, visti i tempi, abbastanza rischiosa: l’ammissione pubblica del principio eliocentrico, anche se preceduta e mascherata dalla prudente espressione: «[il Sole] deve considerarsi nelle “supputazioni” Celesti come centro del moto…».

Un’adesione così trasparente al sistema copernicano, evidente eredità dell’insegnamento di Montanari, non poteva essere gradita al Senato bolognese ed alle autorità dello Studio. Basti pensare che il coraggio di sfidare l’inquisitore, mettendo nero su bianco le proprie convinzioni copernicane, non lo trovò mai neppure il grande Cassini.

In secondo luogo, egli annuncia che i metodi di calcolo impiegati nel 106 A. FABRI, Tacuino astronomico dello Studio di Bologna per l’anno 1674 , p. 9, Bologna 1674. 107 Eustachio Manfredi parla a lungo delle effemeridi planetarie compilate da Montanari e dai suoi allievi, le prime a riprendere le ipotesi del modello solare di Cassini (E. MANFREDI, De gnomone meridiano Bononiensi ad Divi Petronii, pp. 66-71, Bononiae 1736). 108 J. HECKER, Motuum caelestium ephemerides ab Anno Ae.V. 1666 ad 1680. Ex observationibus correctis nobilissim. Tychonis Brahei, & Joh. Kepleri hypothesibus physicis, Tabulisque Rudolphionis. Ad meridianum Uraniburgicum in freto Cimbrico, Gedani 1662.

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suo tacuinus sono quelli stessi del Maestro. Abbiamo quindi la conferma che, dodici anni dopo la pubblicazione delle Ephemerides malvasiane, Montanari nutriva ancora un notevole interesse per il computo dei moti planetari109 e proseguiva, con tenacia, le osservazioni solari di Cassini alla meridiana di S. Petronio.

Passiamo ora all’esame delle effemeridi dei sei pianeti (escluso il Sole, per il quale si veda il § 6), con un occhio alla tabella I e l’altro ai grafici degli errori delle longitudini. Una puntualizzazione sulla terminologia impiegata nel seguito: quando uso i termini “longitudine anticipata” o “ritardata”, intendo affermare che questa coordinata celeste, tabulata nell’effemeride cui ci si riferisce è, rispettivamente, maggiore o minore del suo valore vero.

LUNA

Iniziamo con la Luna (considerata dagli antichi un pianeta nel senso di errabondo), corpo celeste il cui moto apparente, assai complesso, ha costituito, fin dall’antichità, uno dei maggiori rompicapi per gli astronomi. La complessa combinazione dei cerchi tolemaici produce, nel-l’effemeride di Luca Gaurico (fig. 5), in un arco di tempo di 5 anni, due periodi separati da un intervallo di 30 mesi e della durata di 6 mesi ciascuno, in cui l’errore rimane costantemente vicino ad un minimo, ritardato, compreso tra i 6’ e i 12’.

I massimi anticipi nelle longitudini di Gaurico si ripetono invece ad intervalli di 12 e 18 mesi, con un errore compreso tra 50’ e 70’, quando la Luna è in prossimità del nodo discendente. I massimi ritardi, che avvengono intorno al nodo ascendente, hanno una periodicità di 24 mesi ed assumono valori nell’intervallo tra 70’ e 100’. Gli errori tendono poi ad annullarsi ad intervalli di 6÷7 mesi. L’errore quadratico medio delle longitudini è di 44’ (tabella I), migliore di quello di Magini che fonda i suoi calcoli sulle tavole pruteniche.

In quattro anni, la curva d’errore delle longitudini (fig. 6), nell’effe-meride di quest’ultimo, presenta due minimi e due massimi ben individuati. Il massimo anticipo, con un errore di circa 1°, si ha al nodo discendente e si ripete, nello stesso luogo, dopo 34 mesi. Il massimo ritardo avviene, invece, al nodo ascendente e la sua periodicità è ancora 109 Non si deve dimenticare che Montanari, nel 1666, compilò un’effemeride valida per lo stesso anno, alla quale fece poi seguito quella del suo allievo Girolamo Grassini per gli anni 1666-1670. Esse furono l’ideale continuazione delle Ephemerides malvasiane, ancora basate però, per i pianeti, sulle tavole lansbergiane mentre, per il Sole, si rifacevano a Cassini (G. MONTANARI, Ephemerides Lansbergiana ad Longitudinem almae Matris Studiorum Bononiae supputata ad an. 1666., Bologna 1666).

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di 34 mesi, mentre l’errore è assai elevato, 1° 30’. L’errore quadratico medio dell’effemeride di Magini è il più consistente tra tutti quelli riportati nella tabella I, oltre 48’.

Il grafico degli errori di Kepler, riferito al periodo 1617-1620, non è altrettanto leggibile come i due precedenti (fig. 7), anche se, a prescindere dall’ordine di grandezza degli errori, esso mostra una certa somiglianza di forma con quello di Magini, come possiamo notare nella fig. 10, dove riportiamo entrambe le curve. Possiamo individuare una zona di anticipo delle longitudini per i primi mesi del 1617, con un errore superiore ad 1° nei pressi del nodo discendente e poco prima dell’equi-nozio di primavera, alla quale segue un picco di ritardo pari a 35’, in prossimità del nodo ascendente e poco prima dell’equinozio d’autunno

Tabella I errore quadratico medio delle longitudini dei pianeti

in alcune effemeridi del XVI-XVII secolo

Effemeridi (periodo calcolato)

TAVO LE

Luna

(‘)

Merc.

(‘)

Vener

e (‘)

Marte

(‘)

Giov

e (‘)

Satur.

(‘)

Gaurico (1534-1538)

Alfonsine 43.95 241.29 37.38 80.82 22.30 91.52

Magini (1617-1620)

Pruteniche 48.47 200.21 57.95 106.80 36.29 14.45

Kepler (1617-1620)

Rudolfine 29.61 13.71 9.33 8.60 4.19 9.69

Montanari Malvasia

(1661-1665)

Lansbergiane 41.40 149.22 28.75 20.20 20.12 10.36

Fabri-Montanari (1674-1676)

(A)

29.88

24.68

11.82

3.88

25.64

11.30

NOTE: (A): Luna: effemeridi rudolfine di Hecker. Mercurio, Venere, Marte: tavole Rudolfine. Giove, Saturno: Tavole Lansbergiane.

dello stesso anno. Un altro picco di ritardo di 40’ si ha intorno al solstizio estivo del 1618, con la Luna ancora al nodo ascendente, mentre gli errori si annullano in prossimità dell’equinozio d’autunno.

Aspetti dell’astronomia del Seicento

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Alla metà dell’anno successivo, di nuovo le longitudini di Kepler anticipano di quasi 1° e, verso la fine di quell’anno, gli errori si annullano. Infine, ne l 1620, la curva mostra un massimo di anticipo e uno di ritardo, il primo intorno all’equinozio di primavera, con la Luna al nodo discendente, il secondo, 6 mesi dopo, al nodo ascendente.

L’errore quadratico medio di 29’.6, ancora molto elevato, è spiegabile se si tiene conto che le leggi del moto ellittico kepleriano non sono sufficienti a rappresentare i luoghi lunari. Il moto del nostro satellite è perturbato, e le sue principali ineguaglianze, i cui effetti non potevano essere pienamente valutati da Kepler, sono l’evezione (scoperta da Ipparco) la variazione (notata per la prima volta da Tycho), l’equazione annua, anch’essa scoperta dall’astronomo danese e, infine, l’inegua-glianza parallattica.

La curva d’errore dell’effemeride lunare lansbergiana di Montanari e Malvasia (fig. 8) è alquanto diversa dalle precedenti. Le longitudini anticipano di 30’ intorno all’equinozio di primavera del 1661, con la Luna al perigeo e al nodo discendente ed in sizigia (il 30 marzo avvenne un’eclisse parziale di Sole), mentre 6 mesi dopo ritardano di 75’. Il massimo anticipo, 1° 30’ è intorno al nodo discendente del solstizio estivo del 1665 ed è preceduto da due picchi di ritardo che individuano un andamento periodico della curva degli errori su di una base 36 mesi circa. Il primo, al solstizio estivo del 1662 (Luna al nodo discendente, all’apogeo e in dicotomia), anch’esso di 1° 30’, l’altro a quello invernale del 1663, al nodo discendente ed in apogeo. L’errore quadratico medio è di poco migliore di quello di Gaurico, 41’. Infine, abbiamo l’effemeride lunare di Agostino Fabri (fig. 9), fondata sulle tavole rudolfine e, come ci dice lo stesso autore, presa di peso da Hecker. L’errore quadratico medio delle longitudini coincide con quello di Kepler.

MERCURIO

Passiamo ora all’esame delle effemeridi di Mercurio. La curva degli errori di Gaurico (fig. 11), con punte elevatissime di anticipi e ritardi delle longitudini, è particolarmente tormentata. L’errore maggiore, fino a ben 12°, si ha quando Mercurio anticipa. I massimi ritardi hanno valori pari a circa la metà, in altre parole: 6°. L’errore quadratico medio è sbalorditivo, oltre 4°. Non è però che le tavole pruteniche si compor-tassero tanto meglio: l’effemeride di Magini ha un errore quadratico di 3° 20’, e i ritardi maggiori raggiungevano gli 8° (fig. 12). Il nettissimo miglioramento introdotto dalle tavole rudolfine nel caso di Mercurio è

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perfettamente avvertibile dalle fig. 13 e 16. I ritardi massimi sono sempre inferiori ad 1°, mentre gli anticipi non superano i 40’. L’errore quadratico medio dell’effemeride di Kepler è di 13’, che riduce del 95% quello delle tavole alfonsine e del 93% le pruteniche. Le cose però di nuovo peggiorano quando consideriamo le effemeridi lansbergiane di Montanari e Malvasia (fig. 14), con un errore quadratico di 2° 30’ e punte, sia in anticipo sia ritardo, di 6°. È evidente che tutto l’impegno profuso da van Lansberg nella compilazione, ultradecennale, delle sue tavole planetarie perpetue fu inutile e con risultati a dir poco mediocri. È curiosa invece l’effemeride di Fabri che, teoricamente fondata sulle rudolfine, presenta però un errore quadratico quasi doppio di quella kepleriana: 24’ (fig. 15). Non ho indagato sui motivi che hanno prodotto una curva d’errore, diversa da quella kepleriana (Fabri non fa commenti in proposito), evidentemente caratterizzata da una periodicità con picchi annuali di ritardo che raggiungono i 50’ in prossimità dell’elongazione occidentale e i 30’ di anticipo in quella orientale.

VENERE

La curva degli errori delle longitudini di Venere nell’effemeride di Luca Gaurico (fig. 17), ha un andamento chiaramente periodico, con due pronunciati picchi di ritardo. Il primo, nei pressi del solstizio invernale del 1535, al nodo ascendente dell’orbita e a 33° di elongazione est, pari a 1° 15’, ed il secondo, di 2° 15’ nell’agosto del 1537, quando il pianeta si trovava in congiunzione con il Sole ed alla minima distanza geocentrica. I massimi anticipi avvengono in punti diversi del suo percorso apparente: in congiunzione e alla massima elongazione est ed ovest. L’errore quadratico medio delle sue longitudini è 37’. L’effeme-ride venusiana di Magini (fig. 18), deludente anche nei confronti del-l’alfonsina di Gaurico, ha la particolarità di presentare un punto di anticipo molto profondo, ben 4°, intorno ad un periodo di minima distanza geocentrica. Questa è una caratteristica peculiare del moto di Venere secondo le tavole pruteniche, rilevata anche da Gingerich che ne ha determinato la periodicità a medio termine. Per la maggior parte del tempo, la curva degli errori è ritardata, però su di un livello francamente troppo elevato. L’errore quadratico è prossimo ad 1°, ed è il peggior valore per questo pianeta contenuto nella tabella I. Ancora una volta le tavole rudolfine assicurano una più accurata precisione delle posizioni di un pianeta rispetto a tutte le precedenti: nelle effemeridi compilate da Kepler per il periodo 1617-1620 (fig. 19), l’errore quadratico medio è di 9’, inferiore

Aspetti dell’astronomia del Seicento

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del 75% rispetto alle alfonsine e di ben l’85% del Magini. I massimi anticipi delle longitudini si hanno tutti con il pianeta in elongazione est dal Sole, tra i 30°÷40°, con valori che si aggirano intorno ai 12’. I picchi di ritardo si hanno alle medie elongazioni, est ed ovest. In assoluto, il massimo ritardo, di 33’, avviene in congiunzione con il Sole ed alla minima distanza geocentrica. Le sostanziali differenze tra le curve di Kepler e Magini, entrambe riferite allo stesso periodo, balzano immediatamente agli occhi dall’esame della fig. 22. L’effe-meride venusiana di Montanari e Malvasia (fig. 20), al solito compilata con l’ausilio delle tavole lansbergiane, mostra un anticipo di ben 2° in congiunzione con il Sole e latitudine boreale. Il massimo ritardo, 1° 50’, si ha 18 mesi dopo, con il pianeta ancora in congiunzione, alla minima distanza geocentrica e con latitudine australe. L’errore quadratico sul periodo di cinque anni è 28’. Infine, l’effemeride rudolfina di Fabri (fig. 21) ha una curva del tutto simile a quella di Kepler ed un errore quadratico lievemente superiore: 12’. Il massimo anticipo delle longitudini, 22’, si ha intorno alla massima elongazione orientale ed in prossimità del nodo ascendente. I due picchi di ritardo, a 580 giorni di distanza, si aggirano intorno ai 30’, con il pianeta in elongazione occidentale.

MARTE

Le tavole alfonsine impiegate da Gaurico nel calcolo delle effemeridi planetarie portano ad un errore quadratico nelle longitudini di 1° 20’. La curva degli errori (fig. 23) presenta una periodicità pari alla durata del periodo di rivoluzione orbitale del pianeta (686d). I massimi ritardi, in un lasso di tempo di 5 anni, sono crescenti e si verificano durante l’elongazione orientale ed il moto diretto ed in opposizione, ed assumono ampiezza crescente, passando da 1° 30’ ad oltre 3°. Gli anticipi, pari ad 1°, con il moto retrogrado ed in congiunzione. Ancora una volta, l’effemeride prutenica di Magini (fig. 24), difetta maggiormente di quella di Gaurico, con un errore quadratico di 1° 47’. La curva degli errori mostra che tra un massimo di anticipo ed il successivo di ritardo, passa un anno terrestre. Invece, tra due massimi consecutivi di anticipo o di ritardo, l’intervallo di tempo è uguale ad un anno marziano. Un anticipo di 2° si ebbe in prossimità dell’opposizione della primavera del 1617, e fu seguito da un massimo di ritardo di 1° 20’, nella successiva congiunzione con il Sole. Agli inizi del 1619, l’errore delle longitudini, in anticipo, precipitò all’incredibile valore di 11°, con il pianeta in moto retrogrado. L’ultimo picco di ritardo è

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localizzato agli inizi del 1620, con il pianeta in moto retrogrado e in elongazione occidentale. Nella sua effemeride Kepler, che si era occupato per oltre un decennio di Marte e ne aveva ampiamente analizzato il moto nel suo capolavoro, l’Astronomia Nova, riduce l’errore quadratico medio delle longitudini a 8’.6 (fig. 25). Il massimo ritardo di 28’ lo raggiunse poco dopo il solstizio invernale del 1616, con il pianeta a 60° di elongazione orientale ed in moto retrogrado. Il massimo anticipo, invece, si ebbe in quadratura e ancora in moto retrogrado, alla metà del 1619. La separazione temporale tra i due massimi delle longitudini è pari alla somma di un anno marziano e di sei mesi terrestri. È sempre interessante il confronto tra le effemeridi di Kepler e Magini riferite allo stesso periodo, nelle quali si vede bene che l’astronomo imperiale riduce gli errori delle pruteniche di oltre il 90% (fig. 28). Nel caso di Marte le effemeridi lansbergiane di Montanari e Malvasia (fig. 26) recuperano qualcosa nei confronti delle alfonsine e delle pruteniche, anche se l’errore di cui sono affette è mediamente oltre due volte le rudolfine di Kepler. La curva mostra due spiccati massimi di anticipo e ritardo pari, il primo, a circa 2°, in vicinanza della quadratura occidentale (e moto retrogrado) nella primavera del 1662, il secondo, anch’esso di 2°, alla quadratura orientale raggiunta alla fine del 1663. L’effemeride di Fabri, basata sulle rudolfine, modificata da Montanari con i valori del Sole cassiniano, costituisce una piacevole scoperta: l’errore quadratico medio è la metà delle kepleriane, 4’ circa. Ciò dimostra che, almeno per questo pianeta, l’applicazio-ne dei precetti solari di Cassini ha prodotto un risultato simile, se non migliore, alle tavole caroline di Streete, che Gingerich considera tra le migliori di quel secolo. Il massimo ritardo delle longitudini di 11’ (invece dei 30’ di Kepler) avvenne alla fine del 1674, poco prima dell’op-posizione, e il massimo anticipo, di soli 3’ (28’ in Kepler), nell’autunno del 1675, con il pianeta in congiunzione con il Sole.

GIOVE

L’effemeride di Gaurico (fig. 29), con i suoi 22’ d’errore quadratico medio, presenta il massimo ritardo di 30’, intorno all’equinozio di primavera del 1534, con il pianeta in moto retrogrado e poco dopo la congiunzione con il Sole. Il massimo anticipo, appena inferiore ad 1°, si ebbe al solstizio d’inverno del 1536, con il pianeta nei pressi della quadratura ed in moto retrogrado. Una caratteristica dell’effemeride di Giove compilata da Magini (fig. 30) è che le sue longitudini sono sempre in ritardo. Un’altra è che il suo errore quadratico medio è di 36’,

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ancora una volta peggiore delle alfonsine di Gaurico. I massimi della curva d’errore, compresi tra 40’ e 1°, si ebbero in quadratura (solstizio estivo 1618), due volte in opposizione (ottobre 1619 e novembre 1620) e in congiunzione (maggio 1620). I minimi relativi ebbero luogo nelle quadrature orientali del dicembre 1618 e del dicembre 1620 e in quella occidentale del luglio 1619. L’effemeride di Kepler (fig. 31) presenta un grafico degli errori, nella prima metà, con le longitudini in ritardo (un massimo di 6’ con il pianeta alla minima distanza dalla Terra), nell’altra in anticipo due anni dopo (ancora di 6’, in quadratura occidentale). L’errore quadratico medio di 4’ dimostra che Giove è il pianeta meglio rappresentato dalle rudolfine. In figura 34, sono confrontate le curve d’errore delle pruteniche di Magini e delle rudolfine di Kepler, che non necessitano di alcun commento. La curva d’errore dell’effe-meride lansbergiana di Montanari e Malvasia (fig. 32) presenta un periodo di 12 mesi e i massimi di ritardo, in diminuzione, e quelli di anticipo, in aumento. I ritardi, pari a 45’, si ebbero nelle quadrature occidentali del 1662 e 1663 e nei pressi degli equinozi di primavera del 1664 e 1665 (tra 30’ e i 25’). Gli anticipi agli equinozi d’autunno del 1662 e 1663 (tra i 10’ e i 22’) ed alle quadrature orientali del 1664 e 1665. L’errore quadratico medio è ancora elevato: 20’, dello stesso ordine di grandezza delle alfonsine di Gaurico. Le longitudini di Fabri (fig. 33), che utilizzano le modifiche apportate da Montanari alle lansbergiane, non migliorano minimamente le effemeridi che lo stesso Montanari compilò per Malvasia: l’errore quadratico medio è di 25’. Ritengo che difficilmente le tavole lansbergiane, nonostante lo sforzo profuso dal grande scienziato modenese, potessero essere perfezionate e rese più accurate.

SATURNO

L’effemeride di Luca Gaurico per questo pianeta (fig. 35), nel periodo di 5 anni da me considerato, ha sempre un errore anticipato in diminuzione e una periodicità sui 12 mesi. I suoi massimi sono tutti intorno ai solstizi d’estate degli anni compresi tra il 1534 ed il 1538, mentre i minimi si presentano ai solstizi invernali dello stesso periodo. L’errore quadratico medio è di 1° 30’. Le longitudini di Magini (fig. 36) sono, per la maggior parte del tempo, ritardate, con picchi compresi tra i 15’ ed i 30’ che si raggiungono intorno agli equinozi di primavera. I massimi anticipi tra i 10’ ed i 3’, si hanno invece agli equinozi d’autunno. Saturno è il pianeta che le tavole pruteniche rappresentano meglio, con un errore quadratico medio di 14’. Nell’effemeride di

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Kepler (fig. 37), l’errore delle longitudini è sempre in anticipo, con valori compresi tra i 14’ e i 7’. L’errore quadratico medio è di circa 10’.

Le lansbergiane di Montanari e Malvasia (fig. 38) hanno il solito andamento periodico annuale con i massimi ritardi, compresi tra i 10’ e i 20’, nei pressi degli equinozi di primavera. I massimi anticipi, ai solstizi estivi, sono compresi nell’intervallo 17’÷10’. L’errore quadratico medio raggiunge i 10’: anche per le lansbergiane, Saturno è il pianeta il cui moto è (relativamente) più accurato. In figura 39 riportiamo gli errori dell’effemeride lansbergiana di Fabri, che usa i parametri orbitali modificati da Montanari. Ancora una volta, l’intervento di Montanari non migliora la qualità delle previsioni: l’errore è anche superiore a quello delle Ephemerides, 11’.

Per concludere, possiamo ora riassumere i risultati della nostra

analisi con le seguenti sintetiche osservazioni: - Le tavole alfonsine, rappresentate dall’effemeride planetaria di Luca

Gaurico, danno i migliori risultati con Giove ed i peggiori con Mercurio, ma anche gli errori di Marte, Saturno e della Luna risultano particolarmente elevati.

- Le tavole pruteniche, almeno nella versione che servì alla compilazione delle effemeridi di Magini, danno risultati assai deludenti. La loro miglior predizione riguarda Saturno, ma nel caso della Luna, di Giove, Marte e Venere appaiono inferiori alle alfonsine.

- Le rudolfine si confermano come le più accurate tavole planetarie almeno fino alla seconda metà del Seicento. Il pianeta meglio rappresentato è Giove. Esse superano tutte le precedenti nella seguente misura:

1. Gli errori in longitudine della Luna, rispetto alle alfonsine, sono ridotti mediamente del 70%.

2. Gli errori di Mercurio, rispetto alle pruteniche, sono ridotti del 93%.

3. Gli errori di Venere, rispetto alle alfonsine, sono ridotti del 75%.

4. Gli errori di Marte, rispetto alle alfonsine, sono ridotti del 90%.

5. Gli errori di Giove, rispetto alle alfonsine, sono ridotti dell’82%.

6. Gli errori di Saturno, rispetto alle pruteniche, sono ridotti del 64%.

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- Le lansbergiane, sulle quali furono fondate le Ephemerides di Malvasia (con i calcoli eseguiti da Montanari), rappresentarono un grosso passo indietro rispetto alle rudolfine. Esse non si discostano dalle alfonsine per la Luna e per Giove e le superano solamente per Venere, Marte e Saturno. Possono essere confrontate con le rudolfine solamente nel caso di Saturno.

- L’effemeride planetaria di Agostino Fabri per gli anni 1674-1676, basata sulle rudolfine e sulle lansbergiane, con modifiche, mutuate da Cassini ed apportate ad entrambe le tavole da Geminiano Montanari, ha il suo punto di maggior interesse scientifico nelle longitudini di Marte, il cui errore quadratico medio è la metà delle rudolfine.

6. Le effemeridi solari di Cassini

Le effemeridi solari per gli anni 1661-1665, inserite nelle

Ephemerides di Malvasia alle pp. 157-171, furono uno dei frutti più rilevanti di

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un importantissimo programma di ricerca sul moto solare che Cassini intraprese poco dopo il suo arrivo a Bologna nel 1650. Esse derivano dalle molte osservazioni110 eseguite per anni alla meridiana di S. Petronio, nel corso delle quali trovò che la rifrazione astronomica non si annullava a 45° di altezza, così come aveva invece supposto Tycho alla fine del secolo precedente.111 Questa scoperta fu così importante da indirizzarlo verso ricerche che lo condussero alla formulazione di nuove, anche se provvisorie, tavole delle rifrazioni (§9), che si rivelarono indispensabili per correggere le osservazioni astronomiche, e a focalizzare la sua attenzione, per molti anni, sulla determinazione della parallasse solare, il fattore di scala dal quale dipendono le reali dimensioni delle orbite planetarie. È ben noto che se le osservazioni astronomiche c’inducessero a diminuire l’angolo parallattico del Sole fin qui accettato, l’intero sistema solare aumenterebbe proporzionalmente di dimensioni. Altre conseguenze dirette delle osservazioni in S. Petronio furono una migliore determinazione di altre grandezze astronomiche fondamentali, quali l’obliquità dell’eclittica, l’eccentricità solare e la posizione dell’apogeo (Cassini, per non stuzzicare l’inquisitore, non parla mai, come invece facevano i copernicani più spregiudicati, dei moti della Terra ma sempre e soltanto di moto solare).

Baiada e Cavazza hanno ben sintetizzato l’obiettivo ultimo perseguito dall’astronomo ligure con il nuovo grande gnomone:

[Cassini] intendeva verificare l’ipotesi di Keplero sulla non coincidenza del centro geometrico dell’orbita e del centro del moto angolare del Sole, cioè se le sue variazioni di velocità siano un effetto solo ottico (dovuto al fatto che ne guardiamo il moto da un punto eccentrico) o almeno in parte fisico.112

Il nuovo heliometro doveva rimpiazzare quello di Egnazio Danti,

edificato in S. Petronio nel secolo precedente, e la sua straordinaria lunghezza (quasi 68 metri), con il foro gnomonico a ben 27 metri dal pavimento, ne avrebbe fatto uno strumento di straordinaria precisione.

110 J.-D. CASSINI, Specimen Observationum Bononiensium quae novissimein D. Petronii templo ad astronomiae novae constitutionem haberi caepere, Bononiae 1656; Si veda anche: E. MANFREDI, Observationes Meridianae Solis, in: De Gnomone Meridiano Bononiensi ad Divi Petronii, pp. 99-115, Bononiae 1736. 111 J.S. BAILLY, Histoire de l'Astronomie moderne, tomo II pp. 314-315, Paris 1785. 112 E. BAIADA, M. CAVAZZA , Le disciplin e matematico-astronomiche tra Seicento e Settecento , L’Università a Bologna. Maestri, studenti e luoghi dal XVI al XX secolo, p. 156, Bologna 1988.

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Il progetto fu osteggiato e forti furono le resistenze in Senato, chiamato ad esprimere il proprio consenso all’opera. La maggioranza dei notabili bolognesi era propensa a trasferire la linea meridiana di Danti nel nuovo fornice aggiunto alla basilica nel 1653. Grazie però al sostegno di Cornelio Malvasia, una delle personalità politiche più influenti del tempo, che appassionatamente lo difese, esso fu approvato e allo stesso Cassini fu assegnata la totale responsabilità della realizzazione del manufatto. Contrariamente a quanto sostenuto da molti, l’astronomo riteneva che la luce del Sole dovesse entrare dalla volta e non da una parete della basilica, come invece era stato costretto a fare il Danti, e che la linea dovesse essere tracciata esattamente lungo il meridiano.

Eustachio Manfredi, più di ottant’anni dopo, descrive con efficacia come fu risolto il difficile problema del tracciamento della linea meridiana tra le colonne del tempio:

inizialmente Cassini, facendo accurate osservazioni nelle ore in cui il Sole “stringeva” il fronte del tempio, trovò con somma precisione con quale angolo le pareti… fossero declinanti rispetto al meridiano. Poi, tracciata una linea che toccava le basi di due colonne successive,... misurò l’angolo fra questa linea e la retta che univa i centri delle due basi. Trovò che esso era alquanto minore del precedente ed…ebbe la certezza che nulla si opponeva a che la linea del mezzodì passasse da una navata all’altra del tempio attraverso il colonnato.113

Memorabili le parole di Cassini quando invita i bolognesi a recarsi in

S. Petronio per il transito meridiano del Sole del 21 giugno 1655:

in questo solstizio estivo celeste in S. Petronio si pone la prima pietra di una Scienza che va restaurata dalle fondamenta: si osserva il solstizio attuale; si traccia la via del Sole intorno a mezzodì: ivi nel pavimento, la linea meridiana, che il Sole, penetrando dalla parte più alta del fornice orientale, illuminerà per il decorso dell’intero anno nell’esatto punto di mezzodì, studiata per le osservazioni quotidiane del Sole, della Luna e delle più importanti stelle, e per esperimenti fisici, viene tracciata senza interruzioni, e viene esposta alla pubblica

113 E. MANFREDI, loc. cit., p. 3, traduzione di A. Gunella.

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critica nei giorni 21 e 22 di giugno, all’ora 15a dell’orologio civile.114

Grafico n. 1: errori nelle distanze zenitali solari delle 200 osservazioni eseguite alla meridiana di S. Petronio dal 1655 al

1660 (latitudine del foro gnomonico: 44° 29' 37" N)

-60

-40

-20

0

20

40

0 30 60 90 120 150 180 210 240 270 300 330 360

longitudine eclittica del Sole

erro

re in

sec

ondi

d'a

rco

Con somma abilità, Cassini in breve tempo completò il gigantesco

gnomone e, tra il 1655 e il 1660, furono eseguite, da lui stesso e da altri astronomi, tra i quali Riccioli e Grimaldi, circa 200 eccellenti misure zenitali del Sole.

Per avere un’idea dell’accuratezza dello strumento e dei suoi principali limiti, di nuovo richiamiamo le parole di Manfredi:

quanto sia la precisione delle misure che la linea meridiana permette, può essere compreso dal fatto che ad ognuna delle particelle 115 corrispondono fino a due secondi di arco meridiano e che, quando la posizione del Sole è più obliqua, l’errore di tre o quattro particelle nella lettura… influisce con la differenza di un secondo…, ma vi sono due cause che tolgono qualche cosa ad un’elevata qualità delle osservazioni: la prima, che l’immagine non è circoscritta da bordi precisi, ma ha dei margini vaghi, che passano in modo graduale dalla luce all’ombra… e la seconda è una certa instabilità dell’immagine.116

Secondo Cassini, la correzione dell’errore di penombra nell’imma-

gine solare, formata dalla meridiana sul pavimento, si otteneva

114 E. MANFREDI, loc. cit., p. 3, traduzione di A. Gunella. 115 La particella era l’unità di misura di distanza usata nella meridiana di S. Petronio, pari alla centomillesima parte dell’altezza del foro gnomonica, corrispondente a 0.27 mm. 116 E. MANFREDI, loc. cit., p. 7, traduzione di Alessandro Gunella.

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aggiungendo il semidiametro del foro alla tangente del lembo boreale e sottraendolo a quello australe. Nel secolo successivo, questa prassi fu giudicata inesatta dal gesuita e fondatore dell’omonimo osservatorio fiorentino, Leonardo Ximenes, per tre motivi. Il primo, perché l’immagine solare diminuisce quando il cielo è velato e si allarga invece quando esso è terso; il secondo motivo è che quando l’interno del tempio è rischiarato da un’intensa luce diffusa, essa appare minore. Infine, essendo la piastra dove è praticato il foro dello gnomone in posizione orizzontale, la diffrazione, e quindi le dimensioni della penombra nell’im-magine proiettata sul pavimento, è ampiamente mutevole al cambiare dell’altezza del Sole.117 Naturalmente, questi tre fattori influiscono sulla precisione delle misure dei lembi lungo la linea meridiana ed alterano sensibilmente il diametro del Sole.

Nel grafico n. 1, riporto gli errori nelle distanze zenitali, riferiti alle osservazioni del periodo 1655-1660, in funzione della longitudine eclittica. Gli errori sono ottenuti dalla differenza tra le distanze zenitali solari, contenute nel De Gnomone di Manfredi, ed i calcoli svolti da un apposito programma al calcolatore. In quasi tutti i casi esaminati e riportati nel grafico, le distanze zenitali appaiono sottostimate, con un errore quadratico medio dell’insieme delle misure di 26”.

È opportuno precisare che nei calcoli ho utilizzato una latitudine dello gnomone di 44° 29’ 37”, seguendo un recente rilevamento GPS effettuato in corrispondenza del foro di ingresso dello strumento. 118 Se avessi invece adottato la latitudine di Cassini del 1695,119 l’errore quadratico medio delle circa 200 osservazioni riportate nel grafico si sarebbe dimezzato, passando a 12"÷13”. Dal grafico n. 2 abbiamo invece una conferma delle idee di Ximenes. In ordinata sono riportati gli errori dei diametri solari derivati dalle osservazioni meridiane in funzione della longitudine eclittica. Di nuovo ci troviamo di fronte ad una grandezza sottostimata, e ad un errore quadratico medio delle misure quasi coincidente con quello zenitale: 28”. Fin dalle prime osservazioni alla meridiana, Cassini si era accorto di questa apparente contrazione del disco solare, fenomeno riferito puntigliosamente dal Manfredi:

117 L. XIMENES, Del vecchio e del nuovo gnomone fiorentino e delle osservazioni astronomiche fisiche ed architettoniche fatte nel verificarne la costruzione, pp. 86-87, Firenze 1757. 118 Questa misura GPS della latitudine, eseguita dall’esperto di gnomonica Giovanni Paltrinieri, concorda perfettamente con i rilievi di inizio Novecento del grande geodeta Federigo Guarducci, che aveva trovato 44° 29’ 37”.6. Nel Settecento, Manfredi prima e Zanotti poi, adottarono, rispettivamente, valori estremamente simili: 44° 29’ 41” e 44° 29’39” (si veda: F. GUARDUCCI, La meridiana del Tempio di S. Petronio di Bologna riveduta nel 1904, p. 33, nota (1), Bologna 1905). 119 E. MANFREDI, loc. cit., p. 50. La latitudine di Cassini è 44° 29' 22" (valore corretto per la rifrazione), che differisce di 15” da quella adottata in questo lavoro.

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bisogna riconoscere che i diametri solari trovati con queste osservazioni [alla meridiana]… sono sempre minori che se li si misurasse negli stessi giorni per mezzo di un telescopio, sia raccogliendo l’immagine del Sole su un foglio di carta, sia utilizzando un mic rometro.120

Grafico n. 2: errori nel diametro solare nelle misure meridiane in S. Petronio (periodo 1655-1660)

-60

-45

-30

-15

0

15

30

0 30 60 90 120 150 180 210 240 270 300 330 360

Longitudine eclittica del Sole

erro

ri in

sec

ondi

d'a

rco

Solstizio estivo

Equinozio autunno

Equinozio primavera Solstizio

invernale

Poco oltre, il testo prosegue:

Cassini ha ritenuto che i diametri trovati per mezzo delle osservazioni dovessero essere corretti in aumento all’incirca della sessantesima parte.121 Io [Manfredi], che ho controllato moltissime osservazioni di quest’elenco122 fatte all’inizio dell’inverno quando il Sole non dista molto dal perigeo, e che ho fatto una specie di media fra le varie misure, ritengo che il criterio non si allontani molto dal vero; ma quando ho verificato le osservazioni relative all’inizio dell’estate, con il Sole vicino all’apogeo, ho trovato una differenza maggiore e non di poco.123

L’affermazione di Manfredi, di un errore maggiore nel diametro

solare apparente rilevato sul pavimento di S. Petronio durante il solstizio estivo, non è facilmente rilevabile dal grafico, forse perché il numero delle osservazioni riportate è troppo ridotto, solo una piccola

120 E. MANFREDI, loc. cit., p. 12, traduzione di Alessandro Gunella. 121 L’affermazione di Cassini è sostanzialmente confermata dal valore dell’errore quadratico medio sopra riportato. 122 Si riferisce alle osservazioni meridiane del Sole raccolte nel De Gnomone. 123 E. MANFREDI, loc. cit., p. 13, traduzione di Alessandro Gunella.

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parte delle quasi 5000 del De Gnomone. Per costruire le sue tabelle solari, Cassini, nel 1656, avviò una serie

di osservazioni tese a determinare l’esatta latitudine dello gnomone. Nel solstizio estivo dell’anno precedente aveva misurato alla meridiana la distanza zenitale del Sole, non correggendola però per la rifrazione (in questo seguiva ancora Tycho) e, giustamente, ipotizzò un valore trascurabile della parallasse solare a causa della sua notevole altezza sull’orizzonte. Quest’osservazione solstiziale gli consentì di determinare l’obliquità dell’eclittica. Disponendo di questi nuovi e fondamentali elementi, calcolò le longitudini, le anomalie del moto solare e la distribuzione della velocità durante l’anno. Probabilmente, e solo per un momento, fu convinto di aver elaborato una soddisfacente teoria solare ma, dopo aver raccolto ed esaminato le osservazioni meridiane dal successivo equinozio di primavera, si avvide, con disappunto, che le longitudini non concordavano con le sue effemeridi:

dopo che si ebbe osservato in S. Petronio l’Equinozio di Primavera dell’Anno 1656, mi parve di poter abbozzare con ques te, e con altre precedenti Osservazioni le Tavole del moto del Sole. E perciò pubblicai un saggio di Osservazioni comparate a queste Tavole, le quali io avevo fatto senza aver riguardo alle refrazioni dell’Aria, che mostrano il Sole più alto di quello che parrebbe senza di esse. Ma poi avendo comparato insieme le altezze Solstiziali, e tiratone l’obliquità dell’Eclittica, e le altezze dell’Equinoziale, trovai che queste non s’accordavano a quelle che aveva trovato, impiegandovi le altezze della Stella Polare, il che supposi procedere dalle refrazioni, che io aveva prima trascurate. 124

Dopo attente riflessioni e numerose verifiche, concluse che le tavole

delle rifrazioni di Tycho erano concettualmente sbagliate perché anche ad altezze superiori ai 45° le proprietà rifrattive dell’atmosfera non potevano essere trascurate, come invece l’astronomo danese erroneamente riteneva. La mancata applicazione delle rifrazioni nella correzione del-l’altezza apparente del Sole, infatti, avrebbe intollerabilmente falsato le grandezze che entravano nei calcoli del moto solare: l’altezza del polo, e quindi la latitudine geografica, l’obliquità dell’eclittica ed, infine, le longitudini stesse del luminare. Decise perciò di accantonare il problema del moto solare, almeno fino a

124 G.D. CASSINI, La Meridiana del Tempio di S. Petronio, tirata e preparata per le Osservazioni Astronomiche l’Anno 1655, rivista e restaurata l’Anno 1695, p. 21, Bologna 1695.

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quando non fosse stato in grado di ridefinire quantitativamente la rifrazione e la parallasse.

Di questi due fenomeni, anni dopo, descrive con chiarezza l’azione sull’altezza apparente del Sole:

comme les réfractions élevent les Planetes, et que les parallaxes les abbaissent, l’effet de l’une est effacé en tout ou en partie par l’effet de l’autre, et il n’y reste de sensible que la difference. Dans le Soleil dont la réfraction est ordinairement plus grande que la parallaxe, ce qui reste de sensible, est une partie de la refraction.125

La parallasse solare (che indicheremo con p”), oggi fissata in 8”.80,

era assai mal definita fin dai tempi di Tolomeo e, ancora nel tardo-medioevo, regnava sull’argomento una babele di pareri. I valori proposti erano tutti, sistematicamente, troppo elevati. Copernico, nonostante la sua rivoluzionaria teoria eliocentrica, non era andato oltre Tolomeo,126 per il quale p”=180”, a cui corrispondeva una distanza della Terra dal Sole solo un ventesimo del reale.127

Johannes Kepler compì un piccolo passo verso la vera parallasse nelle sue Ephemerides del 1617-1618, dove si diceva convinto che la distanza Terra-Sole corrispondeva a 1800 raggi terrestri, vale a dire 11.5 milioni di chilometri, e p”=117”. Introdusse una miglioria non sostanziale dieci anni dopo, nelle tavole rudolfine, dove p”= 60”, e ridefinì, per ragioni d’armonia matematica, le dimensioni del cosmo dal Primo Mobile in giù: le stelle fisse furono collocate alla strabiliante distanza di 400 miliardi di chilometri.

Ma, dopo Kepler, Longomontano ancora indicava p”=2’ 40”, van Lansberg 2’ 18”, Bullialdus 2’ 21”, Kircher 1’ 46”, e via di questo passo.128

All’epoca di Cassini, circolava già qualche valore migliore, in genere però, queste nuove parallassi erano viste con un certo sospetto sia per le incertezze legate all’esiguità dell’angolo in questione, sia per gli inquietanti interrogativi cosmologici riguardanti le dimensioni dell’universo, che iniziavano a tendere, in maniera preoccupante, verso

125 G.D. CASSINI, Les elemens de l’astronomie, Memoires de l’Academie Royale des Sciences depuis 1666 jusqu’à 1699, t. VIII, p. 86, Paris 1730. 126 TOLOMEO, Almagesto, lib. V, cap. 14. 127 N. COPERNICO , De Revolutionibus Orbium Coelestium, Libri VI , Basilae 1566, lib. IV, cap. XXI. 128 La più ampia rassegna dei valori antichi della parallasse, fino alla metà del Seicento, è nell’Almagestum Novum di Riccioli.

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l’infinito, così come aveva spesso affermato nelle sue opere il poco ortodosso Giordano Bruno. Non era ancora noto il lavoro di Jeremiah Horrocks che, partendo da presupposti sbagliati sulle dimensioni di Venere e della Terra, nel 1639, si era fortuitamente avvicinato alla realtà. Dall’osservazione del transito di Venere sul Sole egli aveva ricavato una parallasse di 14”, la stessa annunciata dall'astronomo belga Godfried Wendelin, un fervente copernicano assiduo osservatore della Luna e dei pianeti, valore che aveva ottenuto con il metodo della dicotomia lunare.

In che modo poteva allora districarsi, Cassini, tra rifrazioni e parallasse? Quale ipotesi doveva immaginare per individuare gli apporti quantitativi dei due fenomeni sull’altezza del Sole?

È l’astronomo stesso, molti anni dopo, ad esporre i dubbi che lo assillavano e le scelte che operò:

or il est extrémement difficile d’établir les réfractions et les parallaxes totales par la seule difference entre le unes et les autres, et on peut trouver diverses combinaisons de l’une et de l’autre qui fassent le mesme difference. On avoit proposé deux hypotheses qui dans les hauteurs Meridiennes du Soleil faisoient à peu prés le mesme effet dans les climats de l’Europe; de sorte qu’il n’y avoit pas de moyen assez certain de distinguer évidemment une hypothese de l’autre. L’une supposoit insensible la parallaxe du Soleil, ou au dessous de 12 secondes, et dans cette hypothese les réfractions estoient invariables par tout l’année. L’autre supposoit la parallaxe Horizontale du Soleil d’une minute, comme Kepler, et cette supposition obligeoit à varier la réfraction de toute l’année à proportion de la variation des déclinaisons du Soleil.129

Tra le due possibilità, inclinò per quella sbagliata, e non per ragioni

astronomiche ma, come confessò candidamente, perché «la distance du Soleil à la Terre qui en résultoit estoit incroyable». Nell’altra ipotesi, infatti, la parallasse sarebbe dovuta essere piccolissima e, di conseguen-za, la distanza del Sole, e quindi l’intero sistema solare, assumevano dimensioni assolutamente sbalorditive.130 Una volta accettato il valore

129 G.D. CASSINI, Les elemens de l’astronomie, Memoires de l’Academie Royale des Sciences depuis 1666 jusqu’à 1699, t. VIII, p. 86, Paris 1730. 130 Nel 1672 Cassini, dall’esame delle osservazioni di Marte eseguite alla Caienna da Jean Richer, confrontate con quelle eseguite in Francia da lui stesso e da Jean Picard, trovò che la parallasse solare era veramente piccola, circa 9”.5 (con un’incertezza di 2” o 3”), molto vicina al valore oggi accettato.

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di Kepler, al quale apportò solo irrisori aggiustamenti,131 avvertì l’im-prescindibile necessità di compilare non una, ma ben tre diverse tavole delle rifrazioni, ognuna con una validità stagionale, per compensare le variazioni della parallasse. È su queste ipotesi che si basano le sue tavole delle rifrazioni e le effemeridi pubblicate nelle Ephemerides malvasiane.

Del resto, la parallasse di Kepler faceva emergere delle simmetrie affascinanti, «elegantissimam exhibet orbium simmetriam»,132 palesemente ispirate al misticismo pitagorico di cui è permeato il Mysterium Cosmographicum dell’astronomo imperiale, alle quali il pragmatico e di solito concreto Cassini non fu affatto insensibile. L’«elegantissima simmetria tra le orbite», è spiegata nell’epistola introduttiva alle effemeridi solari, indirizzata all’amico, e generoso mecenate, Cornelio Malvasia. Egli ci mostra che dalla parallasse kepleriana discende una distanza media Terra-Sole di 3460 raggi terrestri (Ephem., p. 185) ed un’eccentricità del Sole di 0.017, il cui reciproco, 58.822, è esattamente la distanza Terra-Luna espressa in raggi terrestri:

così, il centro del moto annuale del Sole è un punto della circonferenza dell’orbita lunare, e questo punto è quello occupato dalla Luna quando essa è all’apogeo del Sole, vale a dire, al 7° grado del Cancro. Da ciò consegue che la più grande equazione semplice del Sole, la parallasse orizzontale della Luna, cioè il raggio della Terra visto dalla Luna, e il raggio dell’orbita lunare, visto dal Sole, sono ugualmente espressi dal numero 58’ 26”.20.133

Di Kepler, Cassini non accettò però la prima legge delle orbite plane-

tarie. Propose, infatti, invece dell’ellisse, una curva che Delambre, ai primi dell’Ottocento, ironicamente definì «cassinoide».134 La sua caratteristica è che se da un punto S della curva si conducono due raggi vettori r e R nei fuochi F e F’, e se chiamiamo rispettivamente AF e PF la distanza afelica e quella perielica, si avrà: rR=AFxPF= 1-e2, dove e è l’eccentricità (questa differisce poco dall’eccentrità dell’ellisse).

Le osservazioni meridiane in S. Petronio, epurate dalla rifrazione, gli fecero ritenere che l’obliquità dell’eclittica fosse soggetta ad una diminuzione di 6” l’anno.135 Sappiamo ore che il valore di questa

131 C. MALVASIA, loc. cit., p. 185: la parallasse media qui riportata è di 0’ 58”.37. 132 C. MALVASIA, loc. cit., p. 156. 133 J.B. DELAMBRE, Histoire de l’Astronomie moderne, t. II, p. 724, Paris 1821, (trad. dell’autore). 134 J.B. DELAMBRE, Astronomie théorique et pratique, Paris 1814, t. II, pp. 174-176. 135 C. MALVASIA, loc. cit., p. 185.

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librazione era sbagliato di un ordine di grandezza ma è in ogni caso rilevante il fatto che, per la prima volta, fosse stato possibile accertare, in modo inequivocabile, una sua variazione.

Il grafico n. 3 riprende sia la variazione dell’obliquità secondo le moderne conoscenze astronomiche sia seguendo l’ipotesi di Cassini.

Delambre, spesso ingiustamente critico nei suoi confronti, questa volta riconosce che «si può guardare a questa diminuzione annuale di 6” come dovuta quasi interamente agli errori d’osservazione». E, con insolita obbiettività, riconosce quanto sia «pregevole il fatto che la precisione delle osservazioni [alla meridiana di S. Petronio] fosse tale da rientrare in un errore così contenuto».136

Grafico n: 3: Variazione vera dell'obliquità dell'eclittica nel periodo 1500-2000 e la legge di variazione proposta da Cassini

nelle Ephemerides

22.40.48

22.55.12

23.09.36

23.24.00

23.38.24

23.52.48

1500 1600 1700 1800 1900 2000anni

ob

liqu

ità

eclit

tica

valori moderni obliquità

Obliquità di Cassini

Inoltre, Cassini riteneva possibile che anche la latitudine potesse

variare e, in una lettera al Manfredi, raccomanda l’uso della meridiana per osservazioni della Polare:

vi è anco qualche variazione apparente nell’altezza del polo in diversi giorni dell’anno che non aveva ridotta a regola, e dimanderebbe molte osservazioni fatte con un Gnomone si grande quale è quello di S. Petronio.137

Dopo quasi cinque anni d’osservazioni, calcoli e di un fuoco di fila di

accese contestazioni provenienti sia dall’ambiente dello Studio sia dai gesuiti di S. Lucia, Cassini fu finalmente in grado di compilare le sue precisissime effemeridi del Sole. Per valutare il loro livello qualitativo, 136 J.B. DELAMBRE, Histoire de l’Astronomie moderne, t. II, p. 724, Paris 1821. 137 Lettera di Cassini a E. Manfredi del 3 settembre 1699, Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna, collezione degli autografi, vol. XVI, pos. 1100, n. 4707.

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oltre a mostrare i risultati dei calcoli riguardanti gli errori138 di cui sono affette, procederemo ad un confronto con altre sette effemeridi alcune anteriori o di poco successive. Due di queste risalgono al secolo precedente, quelle di Luca Gaurico (fig. 41) e Giuseppe Moleti (fig. 42) che, basate sulle tavole alfonsine, hanno curve identiche e lo stesso errore quadratico medio: 14’ (tabella II). In entrambe, gli errori più elevati si hanno al perigeo, con la curva al minimo e le longitudini anticipate di una quantità quasi pari al diametro solare. Poco dopo l’apogeo, in estate, il Sole raggiunge il massimo ritardo in longitudine: 7’. Il periodo

Tabella II errore quadratico medio delle longitudini del Sole

cassiniane e in altre effemeridi del XVI-XVII secolo

delle curve degli errori è, naturalmente, annuale.

138 Gli errori nelle longitudini solari sono determinati sottraendo dalle longitudini calcolate con un programma per il calcolatore, i valori tabulati nelle effemeridi in esame. 139 G. MOLETI, L'effemeridi di Gioseppe MOLETO matematico per anni XVIII. Le quali cominciano dall'anno corrente di Cristo Salvatore, 1563 et si term inano alla fine dell'anno 1580 , in Venetia 1563. 140 B. CAVALIERI, Nuova Prattica astrologica di fare le Direttioni secondo la via Rationale, e conforme ancora al fondamento di Kepplero per via di logaritmi, pp. 142-144, Bologna 1639. 141 Naturalmente queste sono le effemeridi lansbergiane tabulate nelle Ephemerides Novissimae.

Autore dell’effemeride (periodo di validità)

Tavole utilizzate

Errore quadratico medio (‘)

L. Gaurico (1534-1538)

Alfonsine 14.3

G. Moleti139 (1564-1568)

Alfonsine 14.1

G.A. Magini (1617-1620)

Pruteniche 28.2

J. Kepler (1617-1620)

Rudolfine 5.4

B. Cavalieri140 (1600)

Rudolfine 5.1

C. Malvasia (G. Montanari)141 (1661-1665)

Lansbergiane 7.7

Cassini (1661-1665)

Tavole Proprie 0.7

A. Fabri (G. Montanari) (1674-1676)

Cassini 0.9

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Delude l’effemeride prutenica del Sole di Magini (fig. 43), la peggiore tra quelle esaminate in questo lavoro. Le sue longitudini sono sempre sottostimate, con un errore massimo al perigeo di 35’, che corrisponde alla posizione effettivamente occupata dal Sole 14 ore prima del passaggio al meridiano. Il minimo, raggiunto poco dopo l’apogeo, è di 17’, mentre l’errore quadratico medio è di ben 28’.

Le effemeridi kepleriane, il cui grafico degli errori è in fig. 44, anche se uscirono un decennio prima della pubblicazione delle tavole rudolfine, ne utilizzavano già i precetti. Esse esibiscono un errore con una periodicità annuale ben definita che, ad un primo esame, richiama alla mente quelle alfonsine, ma, innegabilmente, rappresentano un sostan-

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ziale progresso rispetto a tutte le precedenti effemeridi, grazie all’as-sunzione di un’orbita ellittica la cui eccentricità era stata discretamente definita dal grande astronomo. All’equinozio di primavera il Sole di Kepler ha il massimo anticipo (circa 7’), corrispondente a 2h 30m sulla sua vera posizione ed il massimo ritardo (ancora 7’) all’equinozio d’autunno. L’errore quadratico medio, 5’.4, che rappresenta una diminuzione dell’errore fornito dalle tavole alfonsine di quasi il 70%, ben sintetizza il fondamentale contributo all’astronomia moderna delle osservazioni planetarie di Tycho e delle successive leggi sui moti orbitali di Kepler. Nella fig. 45, il grafico mostra gli errori dell’effemeride solare per l’anno 1600 calcolata dal professore dello Studio e grande matematico, Bonaventura Cavalieri, seguendo i canoni delle tavole rudolfine. Naturalmente anche per questa vale quanto abbiamo rilevato per Kepler: la posizione del Sole anticipa di quasi 7’ all’equinozio di primavera e di altrettanto in quello d’autunno, e l’errore quadratico medio è di circa 5’.

Finalmente, arriviamo alle effemeridi di Cassini (fig. 46) che coprono il periodo 1661-1665. Colpisce, in primo luogo, la differenza abissale che c’è tra la precisione delle sue longitudini rispetto a tutte le precedenti, kepleriane comprese, superiori di quasi un ordine di grandezza. Per la prima volta nella storia dell’astronomia, l’errore medio di un’ef-femeride del Sole scende al disotto del primo d’arco: per l’esattezza 40”, molto vicino all’errore quadratico medio delle osservazioni zenitali in S. Petronio che, come abbiamo visto, era di 26”. E questo fatto è scientificamente rilevante e di per sé sufficiente a dimostrare l’abilità tecnica e la sagacia del grande astronomo. Il massimo anticipo delle sue longitudini, pari a 40”, si aveva intorno all’equinozio di primavera, mentre il ritardo massimo, che valeva circa il doppio, in prossimità di quello d’autunno. L’errore delle longitudini tendeva a zero intorno ai solstizi, e ciò indica la bontà del valore dell’eclittica trovato da Cassini. Se poi esaminiamo la fig. 47, che riporta nello stesso grafico le longitudini lansbergiane di Malvasia (calcolate da Montanari) e quelle di Cassini, (ricordiamo ancora una volta che ambedue sono riportate nelle Ephemerides) abbiamo l’ulteriore conferma del gran passo avanti fatto compiere alla teoria del moto solare. L’effemeride lansbergiana, ancora supportata da epicicli, qui si rivela, impietosamente, ben poca cosa: l’errore quadratico medio è di 7’.7, il 30% superiore alla kepleriana, pur essendone posteriore, e circa la metà delle alfonsine, ma è anche, e di ben dieci volte, peggiore della cassiniana.

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Infine, diamo un rapido sguardo agli errori delle longitudini del Sole inserite da Agostino Fabri nei taccuini dello Studio (fig. 48). Esse riguardano il periodo 1674-1678, e furono compilate seguendo i dettami di Cassini quando questi era già a Parigi da qualche anno. A promuovere a Bologna il loro uso e ad insegnarne gli elementi di calcolo fu Geminiano Montanari. Il loro errore quadratico medio è, com’è logico aspettarsi, non molto dissimile dalle cassiniane: 50”.

Il miglior commento alle effemeridi solari del grande astronomo ligure lo espresse il solito Manfredi, che dell’astronomo perinaldese fu sempre grande estimatore:

così l’astronomia poté disporre di queste tavole, le prime fra tutte corrispondenti alla vera posizione del Sole; infatti né le Filolaiche del Bullialdo né le Bolognesi del Riccioli e neppure le stesse Rudolfine di Kepler, anche se queste ultime erano costruite su un’ipotesi ben poco diversa… avevano potuto essere così precise, perché esse erano affette da osservazioni non corrette dall’errore di rifrazione e quindi erano state dedotte da valori sbagliati. E prosegue: era così grande la corrispondenza di quelle effemeridi con il cielo, che tutte le le volte che si trovavano due punti sopra questa linea meridiana, e dai punti trovati da entrambi i margini dell’immagine si calcolavano le effemeridi, l’indicazione delle tavole non era mai diversa.

7. La reticula nelle osservazioni astronomiche di Montanari e Malvasia

Il reticolo micrometrico, utilizzato nelle Ephemerides, consentiva

misure angolari abbastanza accurate e Montanari lo impiegò con particolare assiduità. Il passo seguente è di grande interesse storico, sia per l’illustrazione delle caratteristiche costruttive dello strumento e la procedura seguita per la sua calibrazione, sia per l’uso che ne fa nella misura della separazione angolare di una stella vicinissima a Saturno (si veda la nota n. 30), che inizialmente sospetta essere Titano, l’«assiduo compagno» del pianeta.

[ 4 luglio 1662, 1h 30m dopo il tramonto] abbiamo osservato di nuovo Saturno attraverso il telescopio e già distava dalla piccola stella osservata il giorno prima 2 minuti e 35 secondi. Portiamo a conoscenza del lettore, il metodo usato per misurare tale distanza dal momento che ce ne siamo serviti sia per un’altra stella fissa notata presso Giove, sia per il diametro della Luna e anche per tracciare con precisione, di questa, la selenografia… Eccolo dunque: con un

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sottilissimo filo d’argento abbiamo costruito un reticolo; i fili, che s’intersecano ad angolo retto, si distanziavano l’uno dall’altro con un intervallo tale che tutto lo spazio visibile in cielo attraverso il tubo ottico, mentre era messo a fuoco sulla lente oculare, appariva chiaramente diviso in dodici sezioni uguali in entrambi i sensi. Il reticolo veniva ruotato in modo che, ogni volta che fosse stato necessario, un ordine di fili potesse essere disposto parallelo al corso dei pianeti. Così, sia osservando una stella sia un pianeta, il reticolo poteva essere posizionato senza difficoltà sul momento. Tenendo immobile il telescopio, la stella che osservavamo muoversi verso occidente per il moto diurno, compiva il suo percorso in linea retta tra i due fili. In questo modo, attraverso lo spazio dei fili trasversali perpendicolari al percorso della stella, potevamo valutare le distanze e, a maggior ragione, se due stelle non si muovevano sulla stessa linea, eravamo in grado di rilevare le differenze di latitudine e di longitudine. Per calcolare quanto spazio nel cielo occupassero gli intervalli dei fili così disposti, più volte abbiamo puntato il telescopio verso alcune stelle prossime all’equatore…, e abbiamo posizionato il reticolo in modo che, come abbiamo detto, la stella avanzasse seguendo un percorso parallelo ai fili. Solo quando la stella si veniva a trovare sotto il primo dei fili trasversali di una sezione (col telescopio fisso), abbiamo cominciato a contare dal nostro orologio che batte i secondi di tempo, fino a quando la stella giungeva all’ottavo, al nono o al decimo intervallo successivo. Dopo aver ripetuto più volte tale osservazione, abbiamo scoperto che questo tipo di stelle che si trovano sotto l’equatore, percorrono otto intervalli precisamente in 110 secondi e tutto il campo del cannocchiale in 165 secondi, che, tradotti in misura angolare, fanno 41’¼. Un singolo intervallo di fili corrisponde a 3’ 26”.15.142

Il reticolo fu utilizzato dal Montanari anche per misurare l’altezza

delle montagne lunari con il metodo di Galileo e, in una sua lettera del 26 luglio 1676 al duca Francesco II, ne fornisce la testimonianza:

Hor questa di misurare i monti della Luna, quanto alla dimostrazione Geometrica, è del Galileo primo scopritore di essi monti…, ma quanto alla pratica e al modo di osservarla colla mia reticola, questa è mia invenzione, che fino dal 1661… con questa reticola misurava non solo le macchie, e il diametro lunare nelle osservazioni, ch’io faceva col Sig. March. Malvasia, ma la distanza delle stelle ancora.

Nonostante l’appena riportata rivendicazione sulla priorità del

142 C. MALVASIA, loc. cit., p. 196, traduzione di Sofia Petrantonakis.

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perfezionamento del metodo di Galileo delle altezze dei monti lunari con il reticolo, Montanari era perfettamente consapevole di non essere stato l’inventore dello strumento. 143 È però certamente lecito affermare che egli fu il primo a comprenderne appieno le straordinarie potenzialità scientifiche e, soprattutto, ad impiegarlo con profitto ed assiduità nelle più disparate osservazioni astronomiche, e nel tentativo, non riuscito, di determinare la parallasse di una cometa.144

Con ogni probabilità, attraverso Paolo del Buono, fratello di Candido, apprese l’esistenza di un dispositivo di misura, concettualmente di derivazione galileiana,145 dal quale aveva tratto sicura ispirazione per la realizzazione del suo reticolo.

Del Buono illustrò il ritrovato a Giovanni Alfonso Borelli che però non ne riconobbe l’importanza,146 se non dopo che Huygens fece conoscere la sua virgula nel Systema Saturnium.

Borelli fece ammenda in una delle sue opere più famose sui satelliti di Giove, uscita quattro anni dopo le Ephemerides malvasiane, descrivendo sia lo strumento di Candido del Buono, che lo aveva utilizzato per rilevare la distanza degli astri medicei, sia la virgula di Huygens.147

Montanari, tornerà sul suo reticolo anche molti anni dopo, quando lo applica a misure altimetriche e topografiche:

pongasi dentro la canna dell’oculare, nel concorso de’ fuochi, in vece

143 Intorno al 1670-1675 egli venne a conoscenza dei lavori che precedettero la sua invenzione, dal micrometro di Eustachio Divini, alla virgula di Huygens fino al reticolo a fili mobili di Auzout che fu però realizzato dopo la sua reticula. 144 Nella lettera a Magliabechi del 11 settembre 1682, Montanari dice che se la cometa si fosse lasciata vedere in siti assai alti, ond’io avessi potuto osservarla col mio Cannocchiale a reticola, avrei trovata facilmente la sua vera parallasse. 145 Nella III Giornata dei Massimi Sistemi, Galileo propone un modo per misurare il diametro delle stelle: «ho fatto pendere una cordicella verso qualche stella… e poi con l’appressarmi e slontanarmi da essa corda traposta tra me e la stella, ho trovato il posto, dal qual la grossezza della corda puntualmente mi nasconde la stella…e dalla proporzione della grossezza della corda alla distanza dall’occhio alla corda, ho immediatamente trovata la quantità dell’angolo». 146 R. CAVERNI, Storia del metodo sperimentale in Italia , tomo I, pp. 413-418, Firenze 1898. 147 G.A. BORELLI, Theoricae Mediceorum Planetarum, pp. 145-146, Florentiae 1666: «id ipsum praestari potest plaeclaro artificio nuper ab ingeniosissimo Christiano Hugenio editum (licèt multò priùs idipsum mihi Dominus Candidus Buonus Florentinus communicaverit) adaptatur in tubo optico propè lentem ocularem in eiusque foco tenuissimum filum aeneum, et tum si telescopio luminosum aliquod obiectum conspiciatur, veluti est Luna, aut Iuppiter, representatur in disco splendido stelle linea quaedam ombrosa distinta, et terminata, genita ab aeneo filo: huismodi linea transfertur moto, vel circumvolut o telescopio, ut fecet per centrùm, vel contingat discum Iovis, perpendicularisque fit ad lineam motus diurni, quam centrum Iovis percurrit, posteà brevissimo et celerissimo aliquo funependulo per eius oscillationes dimetitur tempus, dum supra filum umbrosum transit discus Iovis: demùm sequentes oscillationes numerantur, quosque stella Medicea Iovi propinquior pertingat ad eamdem fili umbram, eodemque modo proceditur in reliquis Mediceis».

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del cerchietto, ove dissi si ponesse il capello per livellare, un altro cerchietto guarnito di molti capelli… tutti equidistanti e paralleli fra di lo ro.148

Nel corso degli anni bolognesi, lo usò sistematicamente in occasione di ogni possibile evento astronomico. Durante il passaggio della luminosissima cometa del 1664, determina con il reticolo la distanza del suo nucleo da alcune stelle luminose. Il dispositivo era collocato al fuoco di un cannocchiale di 18 palmi romani di sua fabbricazione ed era diviso in otto intervalli che, complessivamente, coprivano in cielo un angolo di 43’ 12”.149

Egli continuò le sue osservazioni astronomiche con il reticolo almeno fino al 1675, come ci conferma Agostino Fabri nel registrare l’osserva-zione delle fasi dell’eclisse lunare avvenuta il 6 luglio 1675, eseguita insieme a Montanari con un

cannocchiale di palmi Romani 3 e mezzo, con una reticola, che divideva esattamente il diametro lunare in 12 parti uguali.150

In una lettera a V. Viviani del 13 agosto 1675151, Montanari lamenta

il fatto di aver trovato la sua reticola descritta in un bizzarro libro del gesuita Francesco Lana152 dopo che egli stesso aveva incautamente letto al gesuita Ferroni, grande amico del Lana, alcune parti manoscritte del suo trattato, che purtroppo non vide mai la luce, il De usu reticolae.

Il Lana, oltre a riprodurre un disegno del dispositivo (fig. 49), concepito principalmente per misure altimetriche, scrisse anche le istruzioni per realizzarlo.

Dalla sua descrizione appare però chiaro che esso era un’evoluzione di quello di Montanari, essendo mobile il filo di acciaio e in questo riprendeva il micrometro di Picard e Auzout.

Negli anni successivi, Montanari ebbe la vista indebolita a causa di un colpo apoplettico che accentuò la sua miopia e i gravi problemi di 148 G. MONTANARI, La livella diottrica , p. 17, Bologna 1674. 149 G. MONTANARI, Cometes Bononiae observatus anno 1664 et 1665 , p. 11, Bononiae 1665. 150 A. FABRI, Efemeride Premonizioni astronomiche, et Astrologico-Mediche per l’Anno Bisestile MDCLXXVI, p. 6 e p. 12, Bologna 1676. Sfogliando questo libretto si è colpiti dal fatto che il nome di Montanari, autentico castigamatti degli astrologi, si trovi nelle stesse pagine che riportano indicazioni di medicina astrologica sui giorni ritenuti «sospetti per cavar Sangue, ò esibir purganti». 151 Citato da S. ROTTA, Scienza e pubblica felicità in Geminiano Montanari, in Miscellanea Seicento, Firenze 1971, II vol., nota n. 39 a p. 146. 152 F. LANA, Prodromo overo saggio di alcune inventioni nuove premesso all’arte maestra, p. 242, Brescia 1670. Il libro del Lana fornisce precetti per fabbricare un orologio che si muova perpetuamente oppure, altra perla, come fabbricare una nave che «camini sostentata sopra l’aria a remi e a vele».

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visione che, ormai da molto tempo, lo affliggevano: «l’occhio destro va ottenebrandosi quasi affatto». 153 Da quell’infausto momento lui, che era un così abile ed intelligente osservatore del cielo, dovette ridurre le sue osservazioni al telescopio.

Per almeno un paio di secoli si sono cercate le prove per l’attribu-zione certa dell’invenzione del reticolo che astronomi francesi (i già citati de la Hire, Bailly, ecc.) accreditavano, almeno nella sua forma più primitiva, a Christian Huygens, mentre il reticolo micrometrico a filo mobile a Jean Picard e Adrien Auzout.154

Al contrario, l’inglese Bevis la prima delle due invenzioni la faceva risalire al proprio compatriota Gascoigne,155 contemporaneo di Jeremiah Horrox. In Italia, per qualche tempo, si ritenne che il dispositivo fosse stato realizzato da Francesco Generini,156 astronomo e scultore al servizio del Granduca di Toscana.

Delambre157 concorda con Bevis e sostiene che Gascoigne, già nel 1641, avrebbe utilizzato un micrometro nelle misure del diametro lunare, addirittura a due fili mobili per mezzo di viti e di un indice che segnava l’intervallo tra i fili.

Oggi si pensa, probabilmente a ragione che, almeno in Italia, il primo a proporre pubblicamente un accessorio micrometrico per misure angolari da applicare al cannocchiale sia stato Eustachio Divini, del quale abbiamo parlato per la disputa con Huygens sugli anelli di Saturno.

Il suo reticolo a fili fissi, di cui aveva compreso solo in parte l’impor-tanza in astronomia, indubbiamente aprì la strada al più evoluto micrometro a filo mobile.158

Così Divini, nel 1649, illustra, purtroppo con scarsa limpidezza, l'invenzione in un commento alla sua carta lunare:

Telescopio Palmorum 24 observatum, quo minimas et minutissimas Lunae maculas scrutatus est. Et altero palmorum 16 instructo versus oculum non Vitro Concavo, sed Lente Vitrea subtilissimis Filis ad instar Craticulae dispositis aperta, qua ipsas Lunae maculas

153 G. MONTANARI, L’astrologia convinta di falso , p. 112, Venezia 1685. 154 A. AUZOUT, Du micrometre, Mémoires de l'Académie Royale des Sciences, tome VII, premiere partie, pp. 95-112, Paris, 1729. 155 J. BEVIS, Philosophical Transactions for the Year 1753, n. 190. 156 G. ABETTI, Storia dell’astronomia, p. 122, Firenze 1963. 157 J.B. DELAMBRE, Histoire de l'Astronomie moderne, II vol., pp. 589-590 , P aris 1821. 158 G. GOVI, Della invenzione del micrometro per gli strumenti astronomici, Bullettino di Bibliografia di Storia delle Scienze Matematiche e Fisiche pubblicato da B. Boncompagni, t. XX, pp. 607-622, Roma 1887.

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delineavit et suo quamque loco propria manu exactissime posuit.159 Nel 1663 egli accenna di nuovo al reticolo quando fornisce ad un suo

cliente un cannocchiale per uso topografico:

Fui pregato da un amico molto virtuoso, se li potevo io in qualche maniera aggiustare un Occhiale, che con esso potesse pigliare le distanze per facilitarli la fatiga nel misurare, per pigliar le Piante, che stava facendo. Io ... li feci un occhiale di mediocre lunghezza, e nella lente oculare applicai in distanza dalla Lente poco meno che il Suo fuoco, due capelli, che formavano una croce... Per l'appunto nell'istesso modo, che feci, quando disegnai la mia Luna, che pubblicai del 1649 per accomodar le sue macchie giustamente ne' suoi luoghi, vi posi una craticola di minutissimi quadri nel modo accennato in detta Luna.160

Per McKeon,161 che, in un bel lavoro, ha studiato la storia degli strumenti astronomici nel XVII secolo, i due testi citati, così scarsi di dettagli informativi, appaiono discordanti e la loro interpretazione porterebbe a formulare le seguenti tre ipotesi. La prima è che il reticolo diviniano sarebbe stato collocato all'esterno del cannocchiale, con lo stesso sistema adottato da Francesco Maria Grimaldi e citato da Riccioli nel-l’Astronomia Reformata .

La seconda è che il dispositivo fosse impiegato come un vero e proprio reticolo nel fuoco del cannocchiale; la terza ipotesi è che i fili fossero posti dalla parte esterna dell’oculare. È oggi pressoché impossibile avere la certezza assoluta di quale sia stata la vera natura dello strumento del Divini. Prendiamo per buono quanto scrive egli stesso al conte bolognese Carlo Antonio Manzini: «quella è stata l'inventione mia».162

All’epoca della pubblicazione delle Ephemerides, 13 anni dopo la selenografia di Divini, il reticolo, nelle mani di Montanari, era già uno strumento maturo. Egli lo usa con sicurezza, come testimoniano le oltre cento misure micrometriche riportate nell’opera.

Abbiamo sopra riportato il brano delle Ephemerides riguardante l’os-

159 E. DIVINI, Mappa lunare delineata negli anni 1646-1649. 160 E. DIVINI, Lettera al Conte Carlo Antonio Manzini, dove si ragguaglia di un nuovo lavoro, e componimento di lenti, che servono à Occhialoni ò semplici ò composti, p. 58, Roma 1663. 161 R. MCKEON, Les Debuts de l'Astronomie de Précision, I, Historie de la Realization du Micrometre Astronomique, Phisis, 1971, XIII, n. 3, pp. 234-236. 162 E. DIVINI, loc. cit., p. 60.

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servazione della stellula hesterna163 che si trovava tra il disco di Saturno ed il satellite Titano. Fino al 18 di luglio continuò i rilevamenti della stella e la sua distanza da Saturno, intercalandoli, il 13 ed il 14 luglio, con le misure di posizione di Titano, che trovò, rispettivamente, 2’ 17” e 2’ 10” ad occidente di Saturno. Le posizioni del satellite erano però sottostimate di 37” e 33”.

Ma non si limita al solo Saturno, anche Giove, i suoi satelliti e le stelle più luminose casualmente all’interno del campo di vista, furono oggette di misurazioni. Ad esempio, il 12 giugno, 2h 10m dopo il tramonto, mentre seguiva Giove e i suoi satelliti (Ephem., p. 205) nota una stella fissa di magnitudine 6.6,164 a 6 ¾ intervalli del reticolo ad est di Giove (in misura angolare: 23’ 12”). Continua, con assiduità, l’osservazione anche nelle serate successive, fino al 23 luglio, quando ormai la stella non era più misurabile perché al di fuori del campo che comprendeva anche Giove.

Possiamo avere un’idea della qualità delle sue misure micrometriche esaminando le stime dei diametri di Giove e Saturno effettuate nello stesso anno. Nel mese di maggio (Ephem., p. 214), Montanari valuta il diametro di Giove pari ad un quarto d’intervallo del suo reticolo, equivalente a 51”. Noi sappiamo, invece che, in quel mese, il diametro del pianeta era, mediamente, 43”. Anche nel mese di settembre, sovrastima a 41” il diametro di Giove, quando questi era, all’inizio del mese, di 34” e di 32” alla fine.

Nel mese di maggio e giugno misura l’asse maggiore dell’anello di Saturno (Ephem., p. 203), trovandolo di 41”, valore pressoché identico al vero, e le stime di ottobre sono altrettanto corrette, 35”.

Si può ragionevolmente ipotizzare che le più accurate misure delle dimensioni di Saturno, siano dipese da una minor irradiazione dell’im-magine di questo rispetto a Giove. Ricordiamo che Giove, in quei mesi, superava in luminosità Saturno di ben sette volte. Il fenomeno dell’irra-diazione, accentuato dall’aberrazione sferica e dai difetti zonali delle lenti dei primi cannocchiali, produceva una dilatazione dell’immagine del disco planetario più brillante, falsandone quindi la misura.

Altre considerazioni si possono fare a proposito della misura di un pianeta dal diametro apparente assai minore, Marte. Il 7 luglio 1662 Montanari determinò il diametro di Marte a 25”, quando in realtà esso

163 Le coordinate equatoriali apparenti della stella, la HD144925, per l’epoca 1662, sono: A.R. 15h 49m 36s; decl. –18° 02’ 49”. 164 Le coordinate equatoriali apparenti della stella, la HD126766, per l’epoca 1662, sono: A.R. 14h 09m 33.25s; decl. –11° 48’ 36.3”.

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era di appena 5”. A mio parere, questo fatto dimostra, che il minimo angolo risolubile, a stima, del reticolo impiegato dallo studioso modenese, applicato al cannocchiale di Malvasia, era pari a circa un decimo dell’intervallo tra due fili, cioè 20”.

È ben noto che fino ai primi decenni del Seicento i diametri apparenti dei pianeti e delle stelle, erano largamente sovrastimati.

Tycho, in epoca pre-telescopica, riteneva che Saturno, alla distanza media dalla Terra, misurasse addirittura 1’ 50” appena un po’ meno van Lansberg, che già poteva disporre del cannocchiale ma che non era certo un abile osservatore.

Gli errori maggiori concernevano Venere, che per Tycho era di 12’ (circa dodici volte il vero) e per Kepler 7'. Nelle Ephemerides, Malvasia dichiara che non furono eseguite misure di Venere perché «non avevamo ancora scoperto l’uso del reticolo».165

I primi a darne una misura pressoché esatta del diametro apparente, furono Jeremiah Horrocks 166 e William Crabtree nel 1639, in occasione del famoso transito del pianeta sul Sole.

Abbiamo già avuto modo di accennare alla più ampia rassegna di determinazioni dei diametri planetari del Se icento (§2), compilata da Riccioli nell’Astronomia Reformata167 (che non riporta però il lavoro di Horrocks, ancora sconosciuto), opera nella quale ben si percepisce l’evolversi delle nuove tecniche d’osservazione astronomica tra il XVI e la prima metà del XVII secolo.

È qui che troviamo riunite le osservazioni di maggior interesse storico e scientifico. Il 22 aprile 1646, Hevelius, determina il diametro di Giove attraverso il confronto con una formazione lunare che, secondo la sua personale nomenclatura, era il monte Moschum nel Sinus Euxini. Questo monte lunare, alla sua base, misura 4’ e Giove era pari ad un suo terzo, cioè 1’ 20”. In realtà il suo sistema non si rivelò molto efficace, perchè il pianeta quella notte misurava appena 35”. Il 24 dicembre dello stesso anno Hevelius ripete la misura, migliorandola leggermente. Giove questa volta è comparato con il monte lunare Etna e trovato 1’; il suo vero diametro era di 45”. Infine, accenniamo all’ottima determinazione di Giove e a quella, meno buona, di Marte eseguite da Francesco Maria Grimaldi che il 22 luglio 1649 stimò il primo 42”, invece di 34”, e Marte di 21” (sovrastimato, era di soli 5”).

165 C. MALVASIA, loc. cit., p. 217. L’affermazione di Malvasia sembra far risalire la realizzazione dei primi reticoli di Montanari alla tarda primavera del 1662. 166 S.B. GAYTHORPE , Horrocks Observations of the Transit of Venus 1639 November (O.S.), Journal of the British Astronomical Association, 47 (1936-1937), pp. 60-68. 167 G.B. RICCIOLI, Astronomia Reformata, pp. 352 e segg., Bononiae 1665.

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Ma, indiscutibilmente, la via da seguire nelle misure angolari celesti era quella tracciata da Montanari con il suo reticolo. Nei decenni successivi, già universalmente adottato dalla comunità astronomica, si assistette ad un suo decisivo perfezionamento, con l’introduzione di fili mobili, sostenuti da carrelli e mossi da viti di precisione (fig. 50).

Purtroppo nessuno dei numerosi reticoli realizzati da Montanari, veri

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apri-pista della moderna astronomia di posizione, è giunto fino a noi. Pare, addirittura, che l’unico reticolo micrometrico del XVII secolo

ancora oggi esistente, un esemplare a filo mobile 168 datato 1677, sia quello conservato presso il Seminario Vescovile di Treviso. Lo splendido manufatto, recentemente restaurato, uscì dalla bottega di Giacomo Lusverg, un eccellente artigiano costruttore di strumenti di precisione, che operò a Roma tra il 1668 e il 1689. Tra Lusverg ed il suo contemporaneo Montanari, rileviamo un paio di curiose coincidenze, forse non casuali: entrambi erano d’origine modenese ed entrambi si occuparono, nello stesso periodo e tra i primi in Italia, di dispositivi micrometrici per misure astronomiche. 8. Selenografie del Seicento e la carta lunare di Montanari

8.1 Il primo periodo della selenografia (1609-1630) La selenografia,169 nell’accezione moderna, risale all’epoca dell’in-

troduzione del cannocchiale nell’osservazione astronomica, nel momento in cui la risoluzione dei dettagli percepibili sulla superficie lunare passò repentinamente da 1’ dell’osservazione ad occhio nudo ai 10”÷20” dei cannocchiali di Galileo nel 1609.

Nel primo periodo della selenografia, le primitive raffigurazioni del nostro satellite erano finalizzate a far conoscere l’esistenza delle sue terre, mari, vallate e imponenti montagne e che, in antitesi alle millenarie idee aristoteliche, essa era un mondo simile al nostro. Le mappe del primo periodo, tutte di piccole dimensioni, erano carenti di dettagli anche per la scadente qualità e la bassa risoluzione dei cannocchiali.

La prima raffigurazione conosciuta di una fase lunare vista al telescopio, che precede di qualche mese i disegni galileliani, fu eseguita dal geniale matematico e astronomo inglese Thomas Harriot che, però, non pubblicò nessuno dei suoi importanti contributi scientifici in numerosi campi, dall’astronomia, all’ottica, alla matematica (tra l’altro, trovò per primo la legge della rifrazione, precedendo Snell di alcuni anni). Le sue carte, ritrovate solamente nel XX secolo, comprendevano

168 P. TODESCO , Il Micrometro filare di Giacomo Lusverg (anno 1677), Nuncius, XII, 1997, fasc. 1, pp. 93-107. 169 Una bella definizione del termine selenografia è dovuta a Lalande: «la sélénographie est la description du disque apparent de la Lune, des ses taches, de ses points lumineux, des leurs situations et de leurs formes» (J.J. DE LALANDE, L’Astronomie, tomo 3, p. 308, Paris 1792).

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anche gli schizzi astronomici eseguiti al cannocchiale tra il 1609 e il 1613.

La sera del 5 agosto 1609 (il 26 luglio del calendario giuliano), nel-l’osservare la Luna crescente di cinque giorni, Harriot170 utilizzò un cannocchiale a sei ingrandimenti, forse di qualità inferiore a quello che Galileo impiegò qualche tempo dopo. L’immagine lunare che delineò, fu un frettoloso schizzo dove appena si riconosce il Mar Crisium e un accenno, malriuscito, del Mar Fecunditatis, a riprova delle sue scadenti doti di disegnatore.

L’osservazione al cannocchiale della Luna e degli altri pianeti diede il via ad infinite dispute scientifiche e teologiche quando Galileo, nel tardo autunno del 1609, si mostrò determinato a passare

la maggior parte delle notti …. più al sereno et al discoperto, che in camera o al fuoco.171

E i risultati di quelle interminabili, gelide notti invernali segnarono

una svolta epocale nella cultura e nella scienza. Galileo punta il suo strumento verso il cielo e ciò che vede e riferisce ai suoi, in larga parte increduli, contemporanei avvierà un’autentica rivoluzione intellettuale.

L’attenta esplorazione della superficie lunare con il suo primo cannocchiale che amplificava otto volte, presto seguito da un altro a venti ingrandimenti, gli riserva la prima incredibile sorpresa quando si accorge

non essere affatto la Luna rivestita di superficie liscia e levigata, ma scabra e ineguale, e allo stesso modo della faccia della Terra, presentarsi ricoperta in ogni parte di grandi prominenze, di profonde valli e di anfratti.172

Questa prima eccezionale osservazione fu il preludio alla scoperta di una serie di fondamentali novità celesti: tra le quali, la Via Lattea popolata da una miriade di stelle e

l’aver noi scoperto quattro stelle erranti … le quali hanno lor propri periodi intorno a una certa stella principale [Giove],

nel corso della notte del 7 gennaio 1610.

Si accinge quindi a redigere e stampare, in tempi strettissimi, il 170 T.F. BLOOM, Borrowed Perceptions: Harriot’s Maps of the Moon , in Journal for the History of Astronomy, pp. 117-122, giugno 1978. 171 Opere di Galilei, Ed. Naz. X, pag. 302. 172 Galileo Galilei, Sidereus Nuncius, Venezia 1610, tr. it. Di M. Timpanaro Cardini.

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Sidereus Nuncius, che contiene e chiarisce recenti osservazioni fatte per mezzo di un nuovo occhiale .

Galileo, timoroso di essere preceduto in questo straordinario scoop astrale, attese forsennatamente al suo libello dal 7 gennaio ai primi giorni di marzo. Il lavoro, uscito dai torchi il 13 marzo 1610 in 550 esemplari, si rivelò un successo editoriale senza precedenti tanto che, dopo una sola settimana, l’intera tiratura andò esaurita.

Le sue prime osservazioni della Luna risalgono al periodo tra luglio e dicembre 1609173 e i sette disegni autografi che ne ricavò, secondo Giorgio Tabarroni, «sono immagini pittoriche di rara efficacia impressionistica».174

Nel Sidereus la qualità grafica dei disegni lunari è, invece, piuttosto scadente, di molto inferiore alle illustrazioni manoscritte conservate alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze alle quali Tabarroni fa riferimento. Ciò si potrebbe giustificare con il tempo straordinariamente breve intercorso tra la redazione e la stampa, che non permise di curare a dovere le incisioni a corredo dell’opera.

Le immagini della Luna in fase contenute nel Sidereus sono solamente cinque, delle quali una ripetuta due volte. Una di queste ritrae la Luna al primo quarto e presenta un esteso cratere (forse Albategnius) sul terminatore nella zona australe, del tutto inesistente almeno con queste dimensioni apparenti. Si è spesso dibattuto sul perché Galileo amplificò le dimensioni di Albategnius e la giusta spiegazione è forse quella suggerita da S. Drake che, evidenziando le piccole dimensioni complessive dell’immagine lunare, appena 7 cm, ritenne che, per far risaltare l’illu-minazione del bordo del cratere e le zone in ombra, l’incisore fosse stato obbligato ad esagerarne l’estensione.175

Galileo così illustra i fenomeni ai quali la figura si riferisce:

Questa macchia medesima si vede, avanti la seconda quadratura, circondata da contorni più oscuri che, come catene altissime di monti, si mostrano più scuri dalla parte opposta al Sole, più luminosa in quella rivolta al Sole: accade l’opposto invece nelle cavità, delle quali appare splendente la parte opposta al Sole, oscura ed ombrosa quella situata dalla parte del Sole.

173 S. DRAKE , Galileo’s First Telescopic Observations, in Journal for the History of Astronomy, ottobre 1976, pp. 153-168. 174 G. TABARRONI, I disegni autografi della Luna e altre espressioni figurative dei manoscritti galileiani, in Novità celesti e crisi del sapere, p. 51, Firenze 1984. 175 S. DRAKE, Galileo - una biografia scientifica , p. 214, Bologna 1988.

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Inoltre, nel Sidereus, Galileo diede un’ampia spiegazione della luce

cinerea ed espose un metodo per determinare l’altezza dei monti lunari, ripreso e perfezionato, alcuni decenni dopo, da Geminiano Montanari che a questo scopo fece uso del suo reticolo.

Come abbiamo già anticipato, i successivi disegni della Luna del primo periodo sono tutti di scarsa qualità. Nel 1614, Christopher Scheiner S.J. riproduce il primo quarto lunare in uno schizzo di 9 centimetri di diametro che fu seguito, nel 1619, da un mediocre disegno di 5 centimetri di Charles Malapert S.J., di qualità nettamente inferiore a quelli di Galileo. L’anno successivo il bolognese Giuseppe Biancani S.J., pubblicò nell’opera Sphaera Mundi, che ebbe diverse edizioni nel Seicento, uno schizzo ancora di 5 centimetri, molto schematico, del primo quarto. L’elenco dei gesuiti che si dedicarono alla cartografia lunare non si esaurisce però con Biancani, anzi, esso comprende altre figure di notevole valore.

Uno di questi, il milanese Cristoforo Borri, in gioventù criticò pubblicamente il sistema tolemaico e fu un acceso sostenitore delle teorie copernicane. Moderò alquanto il suo entusiasmo per la nuova astronomia a seguito dell’aspra reprimenda dell’Ordine che gli costò il posto di matematico al collegio milanese di Brera, nel quale insegnava da alcuni anni. Nella sua opera Collecta astronomica,176 troviamo un’immagine lunare al primo quarto tracciata nel luglio del 1627. Il disegno è di fattura migliore rispetto a quelli di Malapert e Biancani ma inferiore all’icona lunare di Scheiner del 1614. 8.2 Il secondo periodo della selenografia e la Selenographia di

Hevelius Il secondo periodo della storia della selenografia, che termina alla

fine del Seicento, è caratterizzato da un’importantissima finalità pratica: il difficile problema di determinare le longitudini geografiche, specialmente in mare. Nel 1474, Regiomontano suggerì un metodo basato sulla posizione della Luna rispetto alle stelle fisse. Esso esigeva la disponibilità di un catalogo stellare piuttosto ampio e molto accurato. Per questo motivo in Inghilterra, nel 1675, fu fondato l’osservatorio di Greenwich ed il primo astronomo reale, John Flamsteed, fu incaricato di osservare il cielo e di compilare un preciso catalogo di 3000 stelle, 176 C. BORRI, Collecta astronomica ex doctrina P. Cristophori Borri Mediolanensis ex Societate Iesu; de tribus coelis, aereo, sidereo, empireo , Lisbona 1629-1631.

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che vide però la luce, dopo molte vicissitudini, solo nel 1725. Per trovare la longitudine con questo metodo, mancava ancora un’adeguata teoria del moto lunare, problema affrontato dal secondo astronomo reale, Edmond Halley. Nel frattempo, fu utilizzato un altro metodo per trovare le differenze di longitudine, quello basato sull’osservazione delle eclissi di Luna. Con questo secondo sistema, Pierre Gassendi e il ricco aristocratico provenzale Fabri de Peiresc, colsero un risultato di straordinario interesse, la determinazione delle reali dimensioni del Mediterraneo.

L’eclisse lunare del 27 agosto 1635 costituì l’occasione per attivare la prima rete d’osservazione astronomica simultanea a fini geografici. Grazie alle influenti conoscenze politiche di Peiresc, alcuni gesuiti, al Cairo, Aleppo, Cartagine, Malta e Italia, opportunamente addestrati nel-l’uso dei sestanti astronomici, parteciparono al progetto. 177 Il loro compito era di rilevare, con la massima precisione possibile, l’ora locale dell’inizio dell’eclisse lunare: la differenza dei tempi avrebbe fornito la differenza di longitudine tra le diverse località.

Le osservazioni raccolte, esaminate e confrontate, diedero un risultato che lasciò allibiti: il Mediterraneo si estendeva in longitudine 20° in meno di quanto creduto da Tolomeo, le cui carte geografiche erano ancora in uso.

Con questa misurazione , il Mar Nostrum si restringeva di ben 1000 chilometri e si scoprì poi che l’errore tolemaico era nella lunghezza della sua parte più orientale, da Cartagine ad Alessandria, ampiamente sovrastimata.

Per una miglior precisione, il metodo delle eclissi di Gassendi e Peiresc richiedeva la disponibilità di una mappa dettagliata del nostro satellite. A causa delle difficoltà nell’apprezzare il momento d’inizio del fenomeno, sarebbe stato preferibile che due osservatori seguissero il procedere dell’ombra della Terra su mari e crateri sicuramente individuati e, contemporaneamente, rilevassero il tempo locale di tali accadimenti.

È evidente che, anche in questo caso, la differenza dei tempi d’occul-tazione faceva conoscere la differenza nella longitudine degli osservatori.

Il progetto di Peiresc e Gassendi, rimasto largamente incompiuto per la morte del nobile provenzale, prevedeva la preparazione di un atlante,

177 P. HUMBERT, L’oeuvre astronomique de Gassendi, Exposés d’histoire et philosophie des sciences, Paris 1936.

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con numerosi disegni delle fasi della Luna, e di una nomenclatura utile per riconoscere le diverse formazioni.

Esso condusse, nel 1636, alla pubblicazione di tre soli disegni di 21 cm di diametro, eseguiti dall’incisore Claude Mellan: una Luna piena, un primo ed un ultimo quarto. Originale ed efficace la tecnica d’incisio-ne delle carte, che Mellan apprese in Italia durante un viaggio di studio, e che faceva uso di righe parallele di spessore variabile, in funzione del tratto da rappresentare.

Nel 1645, il belga Michel Florent van Langren, cosmografo del re di Spagna, con le stesse finalità dei due studiosi francesi, disegnò una carta lunare di 35 cm sulla quale erano tracciate 325 configurazioni con i relativi nomi (fig. 54a). Di questi, solo tre sono conservati nella moderna nomenclatura lunare, i crateri Pitagora, Endimione e quello che porta il suo stesso nome. Altre due carte di van Langren, probabilmente anteriori, sono assai meno accurate e complete. I lavori selenografici del cosmografo belga erano noti in tutta l’Europa e furono spesso riprodotti in testi scientifici o astrologici. In Italia, una sua selenografia di 7 centi-metri di diametro, con cenni della sua nomenclatura, apparve nel frontespizio della Selenoscopia178 di Ovidio Montalbani, professore dello Studio bolognese.

Nello stesso anno, il cappuccino Anton Maria Schyrleus de Rheita pubblicò una mappa della Luna di 19 cm, di non eccelsa qualità, anche se i contorni dei mari erano ben delineati.

Nel volume del 1646, Novae Coelestium terrestriumque rerum observationes, il napoletano Francesco Fontana, che con molta sfacciataggine si dichiara inventore del cannocchiale kepleriano e del microscopio, riporta 26 disegni ed una carta generale della Luna, tutti poco accurati e di dubbio valore scientifico.

Giungiamo quindi a Johannes Hevel o Howelcke, latinizzato in Hevelius, che realizzò la più bella e completa rassegna selenografica del Seicento.

Figlio di un ricco birraio, nacque nel 1611 a Danzica, della quale fu cittadino insigne e, a lungo, apprezzato amministratore pubblico con la carica di console.

Negli anni giovanili studiò in diverse città europee, a Leyden, Parigi e Londra, stringendo preziose amicizie con alcuni delle maggiori figure scientifiche del tempo: il padre Marin Mersenne, Pierre Gassendi,

178 O. MONTALBANI, Selenoscopia overo astronomicofisica specolatione circa la Luna , Bologna 1647.

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Ismael Boulliaud e molti altri. Il suo interesse per l’astronomia si manifestò a vent’anni, dopo che ebbe osservato l’eclisse di Sole del 30/31 maggio 1631. 179

Dotato di una non comune abilità manuale dedicò buona parte del suo tempo allo sviluppo della tecnologia degli strumenti di precisione,180 perfezionandosi contemporaneamente nel disegno e nell’arte del-l’incisione. Realizzò, con la collaborazione dell’ottico italiano Burat-tini, il gigantesco cannocchiale noto come maximus tubus,181 i quadranti e sestanti in dotazione alla specola, chiamata Stellaeburgum, che si era costruito nel 1641 su un ampio terrazzo sovrastante la propria abitazione, nel pieno centro mercantile di Danzica.

Si appassionò alla selenografia dopo aver letto il resoconto delle osservazioni di Gassendi nella Vita Peirescii.182

Presa la risoluzione di riprendere il progetto di Gassendi e Peiresc, si sottopose a lunghe veglie per osservare la Luna al telescopio.

Dal novembre 1643 all’aprile 1645 lavorò intensamente nella specola, poi si dedicò all’incisione delle tavole e, infine, alla redazione di un testo molto corposo, autentica summa delle conoscenze selenografiche del tempo. Al termine del lavoro, la sua accurata cartografia lunare, che non temeva il confronto con alcun altro lavoro precedente, fu pubblicata nel 1647 in uno splendido volume, Selenographia,183 subito considerato uno dei grandi monumenti della scienza seicentesca.

Il successo dell’opera fu immediato e clamoroso: a Roma Niccolò Zucchi la mostrò al Papa (nascondendogli però che si trattava dell’ope-ra di un eretico) ed anche l’eruditissimo padre gesuita Athanasius 179 P. MAFFEI sostiene erroneamente (loc. cit., p. 932), che l’eclisse parziale di Sole osservato da Hevelius avvenne il 1° giugno del 1631. Il massimo di quest’eclisse si ebbe, in realtà, verso le 0h 30m UT del 31 maggio. Nessuna fase del fenomeno fu visibile da Danzica; Hevelius, per poterlo osservare, doveva trovarsi in una località nei pressi del circolo polare artico. L’errore fu ripetuto da A. PALUZÌE BORRELL in Historia della cartografia lunar, Urania, julio – dicembre 1967, p. 221. 180 L’importante opera di Hevelius sulle tecniche costruttive degli strumenti astronomici è Machina coelestis, Gedani 1673. 181 G. MONACO, Alcune considerazioni sul "MAXIMUS TUBUS" di Hevelius, Nuncius, anno XIII, 1998, fasc. 2, pp. 533-550, Firenze 1998. 182 P. GASSENDI, Viri Illustris Nicolai Claudii Fabricii De Peiresc, Senatoris Aquiasextiensis Vita , Hagae-Comitum 1655. 183 J. HEVELIUS, Selenographia, sive Lunae Descriptio, atque accurata tam macularum ejus, quam motuum diversorum, aliarumque telescopii ope deprehensarum, delineatio: in qua simul caetorum omnium planetarum native facies, variaeque observationes, praesertim autem macularum Solarium et Jovialium, tubo specillo acquisitae, figuris sub aspectum ponuntur; necnon quam plurimae astronomicae, opticae physicae quaestiones resolvuntur. Addita est novae ratio lentes expoliendi, telescopia construendi, et horum adminiculo varias observationes exquisitè instituendi, Gedani 1647.

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Kircher, del Collegio Romano, autorità riconosciuta in materia di ottica e astronomia, mostrò di apprezzarlo. A Parigi, Mersenne, che aveva conosciuto il giovane Hevelius, manifestò meraviglia e ammirazione di fronte agli splendidi disegni della Luna, mentre numerose lettere di complimenti arrivavano a Danzica dalle università di Cambridge e Ox-ford.

Nei capitoli introduttivi della Selenographia, Hevelius descrive il modo di realizzare le lenti per il cannocchiale e i controlli da eseguire per la verifica della qualità ottica degli obiettivi. Spiega la tecnica per osservare il Sole senza arrecare danni alla vista e riporta la sparizione degli anelli nelle osservazioni di Saturno del settembre-ottobre 1642, da lui visto, con una certa meraviglia, perfettamente rotondo, senza alcuna traccia dei due misteriosi “globi” che sembravano ornare il pianeta.184 Poi accenna ad altre osservazioni planetarie: sul disco di Giove vede qualche tenue nuvola ovale, ma nessuna banda; dei satelliti medicei stima invece con buona precisione i periodi di rivoluzione e l’elonga-zione da Giove. Queste osservazioni sono illuminanti: dimostrano che i telescopi della specola di Stellaeburgum erano affetti da cromatismo e da un potere risolutivo ridotto, forse non molto migliore di 5”.

È nel capitolo VI che inizia la selenografia vera e propria. Hevelius introduce il lavoro con un’ampia digressione sulle opinioni degli antichi filosofi: si dilunga sulla natura speculare della Luna secondo l’ipotesi di Clearco, idea confutata dal fatto che le macchie sono fisse e non variabili («macula Lunares cùm non sint variabiles […] non possunt esse simulacra specularia»), riporta le teorie di Empedocle e degli stoici che la credevano una caliginosa miscela di aria e fuoco di carbone ed elenca le credenze di numerosi altri autori greci e latini, tra i quali Plutarco. A proposito della luce lunare e cinerea, non manca di citare anche i contemporanei, Galileo, per il quale ha un’autentica venerazione, e Kepler, poi François Aguilon e Scipione Chiaromonti. 185

Questi ultimi due di moderno avevano invece ben poco, essendo il primo sostenitore, ancora nel 1613, della Luna speculare di Clearco, il secondo un battagliero anticopernicano e antiticonico, irriducibilmente arroccato sulle più retrive posizioni dell’aristotelismo medievale.

Nel capitolo successivo esamina la parallasse e la rifrazione atmosfe-rica; ritiene che quest’ultima si annulli, alla maniera di Tycho, già al-

184 Nei 32 anni trascorsi tra le prime osservazioni di Saturno eseguite da Galileo e quelle di Hevelius dell’autunno 1642, la sparizione degli anelli si era verificato solamente altre cinque volte: nel giugno 1612, febbraio 1613, agosto 1626, maggio-giugno 1627, marzo 1642. 185 J. HEVELIUS, loc. cit., p. 122 e segg.

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l’altezza di 45°. Il capitolo VIII è invece dedicato alle ipotesi sulle macchie e i monti

lunari, ad una nuova nomenclatura delle sue formazioni e alla descrizione del fenomeno della librazione. Nell’accingersi a disegnare la Luna, della quale realizzò quattro cartografie generali e una splendida rassegna di ben quaranta aspetti delle fasi, si trovò a fronteggiare due difficili problemi. Il primo era l’accurato rilevamento delle dimensioni delle macchie e, il secondo, un corretto posizionamento reciproco, tutto questo senza poter disporre, nel corso delle osservazioni, di strumenti per una misura oggettiva delle configurazioni lunari. Solamente qualche anno dopo, come già abbiamo visto, Divini fece uso del reticolo in una selenografia.

La tecnica cartografica utilizzata dall’astronomo di Danzica richiedeva una notevole attenzione e pazienza certosina. Il disco lunare non rientrava in tutta la sua interezza nel telescopio, pertanto Hevelius cercava gli allineamenti formati dai crateri e il rapporto, che stimava ad occhio, tra la dimensione conosciuta del campo immagine e quella degli oggetti inquadrati al suo interno. Variando gli ingrandimenti poteva effettuare un controllo dimensionale dei particolari tracciati.

Delle quaranta immagini delle fasi, ciascuna con la Luna di 16.5 cm di diametro, quattordici sono del 1643, ventidue del 1644, due del 1645, mentre altre due non portano indicazione di data. Le quattro carte generali, indicate con le lettere O, P(fig. 53a), Q e R (fig. 52) hanno invece dimens ioni diverse: la prima un diametro di 16.5 cm, le altre 28 cm. Le figure O e P presentano l’aspetto della Luna piena vista al cannocchiale. La carta topografica R mostra anche le zone intorno al bordo, visibili grazie all’effetto di librazione, e con le ombre tutte orientate nella stessa direzione come se la luce provenisse dall’ovest lunare.

La selenografia moderna, pur rappresentando la Luna convenzionalmente con l’illuminazione unica, ha invece adottato il modello proposto da van Langren, con la luce proveniente dall’est lunare.

Nella carta R, la quantità di configurazioni che in realtà non esistono è consistente. Spesso, anche i crateri realmente esistenti hanno dimensioni e disposizioni errate. Esempi di scarso rispetto della topografia si riscontrano nel Mar Imbrium, nei pressi di Archimede, Aristillo e Autolico: Thimocharis è raffigurato molto più grande del vero, come pure la miriade di piccoli crateri a nord di Copernico che crateri non sono, bensì massicce strutture montuose. Appaiono

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certamente più vicine al vero le carte delle fasi, dalla 16 alla 19, che ritraggono la medesima zona. D’altra parte, sono improbabili e assai fantasiosi anche gli strani raggi intorno a Stevinus A e Furnerius A, con la loro forma a “orecchie di coniglio”.

Analizzando la carta R, si ha la viva impressione che Hevelius, quando la tracciò, fosse suggestionato dalla particolare rilevanza fotometrica di alcune strutture lunari che spesso non è però direttamente proporzionale alle loro reali dimensioni.

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Nella mappa indicata con Q, disegnata con la fantasiosa tecnica cartografica del tempo, è riportata la sua toponomastica, con una lista che comprende ben 274 formazioni. 186 Inizialmente aveva deciso di usare i nomi di astronomi antichi e moderni,187quali: Mar Kepplerianum, Lacum Galilei, Oceanum Coperniceum, ma vi rinunciò per timore di farsi dei nemici tra i contemporanei a causa di sempre possibili dimenticanze. La scelta cadde quindi su innocui soggetti geografici, come Appennini, Alpi, Carpazi, che, tra l’altro, della toponomastica di Hevelius, sono tra i pochissimi tuttora conservati.

Nel 1649 apparve la già citata selenografia di Eustachio Divini (fig. 54b), alla quale abbiamo fatto riferimento a proposito della controversia che coinvolse Huygens, Fabri e lo stesso Divin i, sulla natura degli anelli e dei satelliti di Saturno (§ 2, § 7).

L’ottico italiano, pessimo scienziato ma ottimo costruttore di cannocchiali, con questa carta, dedicata al granduca di Toscana Ferdinando II, intendeva provare le possibilità offerte dai suoi strumenti nell’osser-vazione astronomica. Essa fu disegnata al plenilunio del mese di marzo del 1649 con l’ausilio del reticolo e di due cannocchiali di 24 palmi (m. 5,4) e 16 palmi (m. 3,6). L’analisi della mappa svela come il suo autore si sia ampiamente ispirato alle selenografie di Hevelius. Ciò appare evidente nella regione intorno al cratere Kepler, nel triangolo del Lacus Mortis, nel sistema di raggi centrato su Tycho e nelle due aree rettangolari del Mar Tranquillitatis.188

Due anni dopo, nel suo monumentale Almagestum Novum (fig. 4),189 il gesuita Riccioli pubblicò due carte, di fondamentale importanza storica, disegnate dal confratello Francesco Maria Grimaldi, divenuto famoso per la scoperta della diffrazione della luce.190

Riccioli ci dà una descrizione del lungo lavoro d’osservazione che tenne occupato Grimaldi tra il 1647 e il 1650:

186 J. HEVELIUS, loc. cit., pp. 228-235. 187 J. HEVELIUS, loc. cit., p. 224. 188 O. VAN DE VYVER, Lunar Maps of the XVII th century, Vatican Observatory Publications, vol. I, n. 2, pp. 76-77, 1971. 189 G.B. RICCIOLI, Almagestum Novum astronomiam veterem novamque complectens observationibus aliorum, et propriis Novisque Theorematibus, problematibus, ac tabulis promotam , tavole fuori testo a p. 204, Bononiae 1651. Ristampata nell’Astronomia Reformata del 1665. Fu riprodotta spesso anche nel Settecento, ad es.: J. KEILL, Introductio ad veram Astronomiam, p. 118, Oxoniae 1718. 190 G. T ABARRONI, Padre Francesco Maria Grimaldi bolognese, iniziatore dell’ottica-fisica, nel terzo centenario della morte, Annuario dell’Istituto tecnico industriale Aldini-Valeriani, Bologna 1964.

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al telescopio [Grimaldi] esamina una ad una tutte le parti della superficie lunare, grandi, piccole e minime; immediatamente le confronta con i disegni di van Langren e di Hevelius che suole tenersi davanti; riconosce molti particolari resi anche da loro egregiamente; non pochi tuttavia ne rimangono, che sono da aggiungere o da correggere per quanto concerne la posizione, la grandezza, la forma, la simmetria o il chiaroscuro. Pertanto traccia nuovi disegni, e li ripete per migliorarli sempre più, senza smettere finchè non gli sembra di aver raggiunto la più perfetta somiglianza dei pur minimi particolari del volto della Luna. Per quanto poi riguarda i limiti, le zone e i periodi della librazione, ha fatto fino ad oggi tante osservazioni, che potrebbe scrivere da esse un intero volume.191

Nell’Almagestum, le carte selenografiche sono due, entrambe di 28 centimetri di diametro. La prima (fig. 54c) è contornata dai disegni di quattro fasi lunari, fortemente librate, due crescenti e due calanti, di 11 centimetri di diametro. L’altra, Pro Nomenclatura et Libratione Lunari, mostra, alla maniera della selenografia Q di Hevelius, quelle parti della sua superficie che si rendono visibili per effetto delle librazioni e contiene la nuova nomenclatura proposta dal grande elefante192 Riccioli.

A differenza di Hevelius, Riccioli non ebbe alcun timore di turbare la delicata sensibilità degli eruditi e dei potenti del suo tempo. La sua toponomastica, costituita da 248 nomi, ed infarcita di personaggi antichi e moderni, tra i quali Grimaldi e se’ stesso, ebbe gran successo e, dalla metà del secolo successivo, sostituì quasi integralmente quelle precedenti di Gassendi, van Langren ed Hevelius.

Risale invece al 1671 l’ultima carta lunare (fig. 54d) di cui ci occuperemo, opera del padre cappuccino Michel Lasséré, meglio conosciuto con il nome religioso di Chérubin d’Orléans, noto per i suoi studi sul cannocchiale binoculare, dei quali eseguì una trentina di esemplari, tra il 1660 e il 1670. Un inusuale binoculare marino, a lui attribuito, è conservato al Museo della Scienza di Firenze.

Le due selenografie di Chérubin apparvero nell’opera La Dioptrique

191 G.B. RICCIOLI, loc. cit., p. 203. (la traduzione di questo passo è apparsa in: G. TABARRONI, Bologna e la carta della Luna, Culta Bononia, n.1, pp. 104-105, 1969). 192 È il nomignolo, non certamente affettuoso, attribuitogli da un altro gesuita suo contemporaneo rimasto anonimo, dovuto all’imponenza e la pedanteria delle sue opere. Si veda: A. BATTISTINI, La cultura scientifica nel collegio bolognese, Dall’isola alla città. I gesuiti a Bologna (a cura di G.P. BRIZZI), p. 162, Bologna 1988.

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Oculaire,193 e servivano a valorizzare le qualità ottiche dei suoi cannocchiali. La prima carta, porta il titolo: Observation du disque de la Lune, en son opposition au Soleil faite par le Pere Cherubin d'Orleans Capucin, au moyen de l'instrument qu'il a nouvellement inventé . Il padre cappuccino, a commento della tavola, scrive che questa prima immagine lunare è confusa e priva di dettagli perché fu realizzata durante la Luna piena, mentre la seconda mappa (fig. 54-d), il cui titolo è Observation exacte des macules du disque de la Lune au moyen de laquelle ses phases peuvent estre facilment reconues, par leurs ombres, en leurs esloguements du Soleil depuis son opposition, disegnata lontana dal plenilunio, nel corso di alcune notti, rende giustizia alla bontà del suo nuovo cannocchiale . Egli dice di aver impiegato una specie di micrometro, di sua invenzione, per riprodurre al meglio le proporzioni degli oggetti celesti e terrestri osservati attraverso il cannocchiale.

La seconda mappa, che risente chiaramente dell’influenza della selenografia R di Hevelius, e il cui diametro è di 28 centimetri è, come vedremo, meno precisa di quanto il suo autore voglia farci intendere. 8.3 Caratteristiche dell’icon lunaris di Geminiano Montanari e il

confronto con altre carte del tempo Passiamo ora all’esame dell’icon lunaris di Geminiano Montanari

che Cornelio Malvasia, nell’ultima pagina delle Ephemerides, così introduce:

Alla fine dell’opera mostriamo l’immagine lunare tracciata da Geminiano Montanari, dottore in legge e nostro appassionato studioso di as tronomia. Le altre immagini dei pianeti, nella misura in cui sono stati da noi osservati quest’anno, abbiamo provveduto affinché fossero disegnate intorno a quella. Più volte abbiamo esaminato un gran numero di selenografie e, in particolare, quelle di Rheita e di Riccioli, per valutare se corrispondessero con precisione all’immagine della Luna che vediamo col nostro telescopio, riscontrando però un’ec-cessiva differenza. Per questo motivo, abbiamo voluto valorizzare lo studio di colui che ci sembra aver trovato un solido criterio per raffigurare la Luna in modo corretto e proporzionato e per collocare, nelle loro esatte

193 CHERUBIN D ’ORLEANS, La Dioptrique Oculaire, ou la Théorique, la Positive et la Méchanique de l’Oculaire Dioptrique en Toutes ses Espèces, tavole 37 e 38 alle pp. 296 e 298, Paris 1671.

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posizioni, tutti i particolari visibili. L’uso del nostro reticolo nel-l’osservazione del disco lunare offriva a lui, lo stesso vantaggio offerto ai pittori che, volendo riprodurre opere altrui, impiegano un reticolo proporzionato, adattato all’originale e alla copia. Allo stesso modo, infatti, era possibile osservare la Luna ‘reticolata’: dal momento che egli poteva far ruotare il reticolo, facilmente lo disponeva in qualunque posizione della Luna, in modo che un ordine di fili stesse sempre disteso dall’uno all’altro corno mentre gli altri li intersecava ad angolo retto. Alle differenze fra i diametri lunari (per cui variavano in qualche mo do anche le distanze fra le macchie) rimediava con una varietà proporzionata di reticoli. Così aveva a disposizione, per un qualunque diametro della Luna, un reticolo appropriato, dal quale la Luna appariva divisa in nove sezioni uguali in entrambi i sensi, sebbene in precedenza, per misurarne il diametro e le altre distanze, ci fossimo serviti sempre di un unico reticolo.194 Egli tracciava la prima fase con precisione su una carta, sulla quale era riportato il cerchio lunare proporzionatamente ‘reticolato’. Il giorno seguente aggiungeva ciò che nella Luna osservava più ampiamente illuminato rispetto al primo giorno e così procedeva fino all’opposizione. Spesso, però, la trasparenza dell’aria non fu tale da permettergli di tracciare un’opera completa nel corso di una sola lunazione, tranne che nel mese di ottobre, in cui neppure una volta trovò vapori che ostacolassero il suo studio. Iniziatala allora, spesso con noi presenti, proseguì. E solo quando anche la più piccola macchia era stata considerata e solo quando le posizioni di queste erano state aggiunte alle altre fasi tracciate in un altro momento, egli ha consegnato un’opera completa sotto ogni aspetto.195

Possiamo immaginare che nella bella serata del 15 ottobre del 1662,

86 ore dopo il novilunio (tab. III, col. 1), Montanari, con pazienza certosina, si accingesse a disegnare i particolari più rilevanti della superficie lunare. Premurosamente, Malvasia informa il lettore che, nei mesi precedenti, un certo numero di tentativi di realizzare una carta lunare fallì per le cattive condizioni atmosferiche.

Montanari aveva giustamente escluso di raffigurare la Luna durante il plenilunio, ciò che altri e, tra questi, il già citato Francesco Fontana, non avevano esitato ad attuare, con assai scarsi risultati. Lo avevano fatto desistere la pessima illuminazione del disco lunare e l’eccessivo appiattimento dell’immagine: troppi dettagli, nell’intenso chiarore diffuso senza ombre, sarebbero andati persi o snaturati.

Ogni sera, prima di iniziare il vero e proprio lavoro cartografico,

194 C. MALVASIA, loc. cit., p. 219. 195 C. MALVASIA, loc. cit., p. 220. Traduzione di Sofia Petrantonakis.

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determinava il diametro lunare (tab. III, col. 4) con un reticolo, impiegato per questo scopo fin dal mese di luglio, opportunamente inserito nel cannocchiale di 24 palmi.

Forse quello stesso cannocchiale è raffigurato nell’antiporta delle Ephemerides (fig. 2), anche se, il tubo, di sezione quadrata, appare di lunghezza minore dei 5 o 6 metri dichiarati da Malvasia.196

Un grave problema, evidenziato dalla bella tavola incisa dallo Stringa, è la precarietà del suo sostegno: con quel sistema di corde e pulegge non era agevole trasmettere al cannocchiale un movimento accurato e continuo, senza trascurare, poi, l’ulteriore complicazione di dover mantenere un filo del reticolo sempre tangente al bordo lunare.

Eseguita in pochi minuti la misura del diametro lunare, il cui errore medio, nelle dodici serate, è di 30”, Montanari sostituiva il reticolo, scegliendone un altro capace di dividere esattamente in nove intervalli, su entrambi gli assi, il disco del nostro satellite.

In questo modo, la Luna gli appariva coperta da un fitto reticolato di 81 quadratini perfettamente adattato alle sue dimensioni.

In precedenza, su di un foglio di carta di grande formato, aveva tracciato un cerchio di 38 cm di diametro al quale forse sovrappose un reticolato di 81 quadratini.

Dopo aver rilevato la posizione del terminatore lunare, lo riportava sul disegno con una linea tratteggiata e, finalmente, dava inizio al vero e proprio lavoro cartografico.

Seduto e immobile, fissava la Luna attraverso il cannocchiale mentre, con estrema delicatezza, per evitare oscillazioni dannose per la qualità dell’immagine, spostava il lunghissimo tubo per mantenerla nel centro del campo. Infine, determinate la posizione delle varie configurazioni rispetto al reticolato dei fili, una per una le riportava sulla carta.

Nelle prime due serate, la Luna tramontò assai presto e Montanari ebbe poco tempo a disposizione per disegnare. Il 15 ottobre, tracciò il terminatore lunare alle 17h 30m UT ed appena un’ora dopo il satellite toccò l’orizzonte. La sera successiva, il nuovo terminatore, che corrisponde a 110h dopo la neomenia, cadeva 40 minuti prima dell’inizio del tramonto lunare.

Evidentemente, queste prime sedute d’osservazione risentirono della necessità di disegnare velocemente: nessuna meraviglia, quindi, se

196 Forse l’unità di misura indicata nelle Ephemerides è il palmo romano di circa 20 cm, per cui la focale risulterebbe di 4,8 met ri. Paolo Maffei ipotizza invece che la misura fosse in palmi genovesi di 26.3 cm, pari a 6.32 metri di focale (P. MAFFEI, Carte lunari di ieri e di oggi, L’Universo, anno XLII, n. 4, luglio-agosto 1962, p. 936).

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qualche rilevante configurazione, nella regione del Mar Crisium, ad esempio, manca all’appello.

Per avere un’idea delle difficoltà affrontate da Montanari con la sua Tabella III

Tempi di realizzazione della carta lunare di Geminiano Montanari

a partire dal novilunio del 12 ottobre 1662 (4h 30m UT)

(1)

(2)

Data

(3)

Ora (UT)

(4)

Diam. Luna

(moderni)

(5)

Diam. Luna

(6)

Libraz. latit.

(7)

Libraz. longit.

(8)

Altezza Luna

86h 15 ott. 1662 17h 30m 29’ 27” 28’ 22” -5.6° -2.8° 10° 110h 16 ott. 1662 18h 30m 29’ 34” 28’ 39” -5.9° -4.1° 7° 133h 17 ott. 1662 17h 30m 29’ 45” 29’ 13” -5.9° -5.0° 19° 158h 18 ott. 1662 18h 30m 30’ 02” 29’ 38” -5.6° -6.0° 17° 183h 19 ott. 1662 19h 30m 30’ 24” 30’ 05” -4.9° -6.9° 17° 206h 20 ott. 1662 18h 30m 30’ 49” 30’ 56” -4.1° -7.1° 28° 230h 21 ott. 1662 18h 30m 31’ 18” 31’ 48” -2.9° -7.1° 31° 254h 22 ott. 1662 18h 30m 31’ 50” 32’ 19” -1.5° -6.8° 33° 279h 23 ott. 1662 19h 30m 32’ 23” 32’ 39” +0.2° -6.1° 38° 302h 24 ott. 1662 18h 30m 32’ 50” 33’ 00” +1.8° -4.7° 29° 326h 25 ott. 1662 18h 30m 33’ 13” 33’ 31” +3.4° -3.0° 29° 350h 26 ott. 1662 18h 30m 33’ 26” 33’ 48” +4.9° -1.0° 23°

NOTE ALLA TABELLA III: (1): Posizione del terminatore tracciato sulla carta lunare corrispondente al tempo

trascorso dal novilunio (in ore). (4): diametro lunare secondo i calcoli moderni. (5): misure del diametro lunare eseguite da Montanari con il reticolo (Ephem. p.

219).

carta lunare, ho eseguito disegni completi delle fasi, nel corso di alcune serate, a partire da tre giorni dopo la neomenia, con un piccolo rifrattore di 5 centimetri di apertura e 30 ingrandimenti, in montatura altazimutale e un reticolo inciso su vetro. Per correttezza, è necessario puntualizzare che questo strumento non ha assolutamente le caratteristiche tipiche del cannocchiale seicentesco, essendo molto più compatto, con una focale di soli 80 centimetri contro i 5 metri e più. Alcuni pregi dello strumento sono la notevole maneggevolezza e la buona correzione ottica; la montatura meccanica, però, è instabile e vibra ad ogni alito di vento. Nella mia simulazione mi sono dovuto accontentare: sarebbe stato troppo impegnativo realizzare un’apparecchiatura complessa come quella del marchese Malvasia

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all’unico scopo di valutarne le prestazioni. Nonostante qualche indubbio vantaggio tecnico in mio favore, per

tracciare il disegno di alcuni fusi ho impiegato, inclusi i tempi d’osser-vazione e la trasposizione su carta, mediamente 4 ore ciascuno, notando poi, con dispiacere, che i miei risultati sono qualitativamente inferiori a quelli conseguiti da Montanari 340 anni fa.

Posso quindi supporre che la sua carta richiese non meno di una cinquantina d’ore per essere completata. Il mio test ha anche fatto emergere le difficoltà e i problemi che hanno condizionato la qualità del suo elaborato e contribuito ad introdurre alcuni errori cartografici, prontamente rilevati da critici moderni che non credo abbiano mai tentato di calarsi nella routine di lavoro di un astronomo del XVII secolo.

Chi, come fece Montanari, intendesse raffigurare centinaia di partico-lari lunari, in un intenso tour de force di 12 serate consecutive (impresa mai prima tentata, neppure da Hevelius), con mezzi, dal punto di vista della scienza moderna, sostanzialmente inadeguati, è soggetto ad un notevole stress fisico e psicologico, indubbia causa di errori ed omissioni.

Il selenografo belga A. Piérot, molti anni fa, ha fatto notare che se si copre l’icon lunaris con un reticolo di coordinate ortografiche, non si trova alcuna concordanza con le carte moderne relativamente alla posizione dei diversi particolari selenografici. 197

Nella moderna selenografia, l’equatore è l’origine delle latitudini mentre, per la longitudine il meridiano centrale passa per il Sinus Medii. Con una semplice ispezione della carta di Montanari, vediamo che la posizione del suo meridiano centrale è ad ovest dell’origine delle moderne longitudini selenografiche. Esso sfiora il cratere raggiato Tycho, lascia alla sua sinistra i circhi di Tolomeo, Alfonso e Arzachel ed attraversa Plato. L’equatore invece passa poco a nord di Grimaldi, nell’ovest lunare, e lambisce Ipparco.

Dalla figura 58, dove sono indicate, in modo ovviamente appros-simativo, le posizioni dei meridiani centrali, della carta di Montanari e di quello oggi adottato, e i corrispondenti equatori, si evince che il punto di latitudine e longitudine zero dell’icon lunaris è collocato 6° a sud e 10° ad ovest dall’origine delle coordinate selenografiche. Per un osservatore terrestre, la separazione angolare dei due punti d’origine è

197 A. PIEROT, La carte lunaire de Montanari, Ciel et Terre, XLVII année, n. 2, p. 81, Février 1931.

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piuttosto consistente, sui 2’, un quindicesimo del diametro lunare apparente. Tradotta nell’unità di misura dei reticoli impiegati nelle Ephemerides (separazione tra due fili, che equivale a poco più di 3’), questa distanza è ? di un intervallo. Indubbiamente Montanari, mentre redigeva la sua carta, si accorse di quanto avveniva sotto i suoi occhi e certamente rammentava, dalla lettura della Selenographia di Hevelius, il tentativo, non riuscito, dell’astronomo di Danzica di spiegare e prevedere l’ammontare delle librazioni con una teoria adeguata.

Vediamo ora in che misura le librazioni possono avere influito sul-l’esatta disposizione dei particolari lunari nella sua carta. Nella prima serata d’osservazione, la librazione in latitudine era doppia di quella in longitudine (tab. III, coll. 6-7 e fig. 59) e l’origine delle coordinate selenografiche si trovava 5.6° nord e 2.8° est dal centro apparente.

Il 20 ottobre, Montanari disegna il fuso centrale: le magnitudini delle librazioni, questa volta, sono invertite, in longitudine è doppia di quella in latitudine. Tra le due date, l’origine delle coordinate si era spostato di 1.5° a sud e di 4.3° ad est. In altre parole, un cratere osservato al centro della Luna la sera del 20 ottobre, rispetto, ad esempio, a Langrenus, che fa parte invece del primo fuso, apparentemente era più vicino a quest’ultimo di 4.3° in longitudine e più a sud di 1.5°.

Nelle condizioni descritte, l’effetto delle librazioni sui due crateri porta a falsare la loro distanza di circa 1’. Naturalmente, quest’appa-rente alterazione delle distanze vale per tutti i particolari lunari raffigurati nei fusi di quei due giorni. Per verificare quanto detto, si misuri su una carta moderna e su quella di Montanari la distanza tra Langrenus e Tolomeo. Nell’icon lunaris la loro separazione è minore di circa 1’ dal reale, così come abbiamo sopra evidenziato. Questa è un’ulteriore prova del fatto che l’astronomo modenese, con il suo reticolo, era in grado di posizionare correttamente e con una precisione mai prima raggiunta, i dettagli lunari esattamente così come gli apparivano al cannocchiale, effetti de lle librazioni inclusi.

Dal confronto tra il fuso centrale del 20 ottobre con il penultimo del 25, si vedrà che le librazioni hanno spostato verso sud di 8° e di 4.2° verso ovest il centro medio lunare. Ciò significa che le distanze tra gli oggetti raffigurati in questi due fusi sono maggiori del vero. La selenografia di Montanari non è quindi un’istantanea dell’aspetto superficiale del nostro satellite valida per ogni epoca, bensì una sintesi che deriva dall’accostamento di immagini successive, a mo’ di collage, scaturite nel corso di osservazioni telescopiche di una ben precisata lunazione.

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Un’altra caratteristica distintiva di questa carta è lo stile cartografico, molto più moderno e meno fantasioso di quello dei predecessori. Carlo Bonacini rileva giustamente che:

l’esame comparativo della carta di Montanari con quelle dei suoi predecessori o contemporanei, fa subito riconoscere in quella del Nostro un nuovo stile. Lo stile del resto, che diverrà quello dei successori. Dallo stile a macchie si passa a quello a profili: da una rappresentazione globale, sintetica, si passa a quella scheletrica, analitica, si direbbe geometrica.198

Se eseguiamo un confronto tra una carta moderna della zona del Mar

Imbrium e della catena degli Appennini, con quella stessa zona raffigurata in quelle di Montanari, Hevelius e Grimaldi (fig. 55) è possibile comprendere la sostanziale differenza qualitativa esistente tra queste tre opere seicentesche. Hevelius e Grimaldi non esitano ad usare, per alcune catene montuose, un segno noto come mucchio di talpa o pan di zucchero,199 largamente impiegato nella tradizionale cartografia terrestre fin dai tempi di Tolomeo. Questo è un segno generico, letteralmente simbolico del rilievo, che

offriva indicazioni d’ordine qualitativo e suggeriva quindi il ‘tono’ del territorio, circoscrivendo una zona di ‘non pianura’.200

Montanari riproduce invece le irregolarità del suolo lunare con un

tratto fine e sinuoso che potrebbe essere confuso, a volte, con inesistenti e tortuosi corsi d’acqua. In questo stile riconosciamo gli elementi primevi di moderne tecniche cartografiche, come le linee di massima pendenza e le isolinee, che furono però codificate e generalmente adottate nel XIX secolo. Nell’icon lunaris la tormentata orografia lunare è spesso rappresentata con questa tecnica, certamente più efficace e vicina al gusto moderno di quanto non lo sia il mucchio di talpa, ed è particolarmente evidente negli Appennini e nei monti Rook.

Ma è nei crateri lunari, resi in modo eccessivamente schematico da Hevelius e Grimaldi (quest’ultimo è indubbiamente influenzato dai disegni selenografici dell’astronomo di Danzica), che si esalta lo spirito verista , marcatamente di scuola galileiana, di Montanari.

Anzichè strutture ellittiche a scodella prive di qualsiasi dettaglio, 198 C. BONACINI, Una carta lunare di Geminiano Montanari, Nel Primo Centenario della Fondazione dell’Osservatorio, p. 6 e segg., Modena 1927. 199 A. LODOVISI, S. T ORRESANI, Storia della Cartografia , p. 140, Bologna 1996. 200 A. LODOVISI, S. T ORRESANI, loc. cit., p. 140.

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tipiche della tecnica di tutti i suoi predecessori, i crateri raffigurati nel-l’icon lunaris danno ragione della loro tormentata genesi: Copernico, Aristillo, Autolico, Eratostene e numerosi altri, sono ben descritti, con i loro contrafforti accidentati e i picchi centrali in evidenza.

È ben percepibile, inoltre, lo sforzo dello scienziato modenese teso ad evitare il ripetersi di alcuni errori dei predecessori, cioè, con le paro-

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le di Bonacini, «quegli aspetti, più o meno fantastici, precedentemente fissati e tramandati da un disegnatore all’altro». Non v’è traccia, ad esempio, delle orecchie di coniglio , coppia di raggi dalla buffa forma, intorno a Furnerius e a Stevinus nel sud-est della Luna, che Hevelius, Divini e Grimaldi disegnarono; oppure di quella formazione a f nel Mare Serenitatis che lo stesso Cassini, amico di Montanari e conoscitore non superfic iale della sua carta, ancora riporta nella selenografia data alle stampe a Parigi del 1680.

Poi, come sottolinea ancora una volta con acutezza Bonacini,

le scie di irradiazione dei singoli circhi sono proporzionate al vero, e non esagerate come in carte precedenti o trascurate addirittura…Il grandioso irraggiamento di Tycho, se pur tradotto assai meglio che in ogni altra carta lunare del XVII sec., salvo quella del Cassini, può apparire non completo.

Qualcuno ha però fatto notare che nella sua carta vi è qualche

omissione ed errore di troppo. Non appare, ad esempio, la Vallis Alpes (fig. 55, indicata con una freccia nella prima figura in alto a sinistra), una profonda incisione nella catena alpina ben visibile, intorno al primo quarto, con telescopi di pochi centimetri di diametro e a basso ingrandimento. Anche se ciò non vale a giustificarne l’omissione, osserviamo che nessuno degli astronomi che lo precedettero diede una raffigurazione di quest’imponente frattura, compreso il più assiduo osservatore lunare del Seicento, il solito Hevelius, che non la riporta nelle sue carte generali e neppure in quelle delle fasi del 21 novembre 1643, del 19 dicembre dello stesso anno e dell’8 ottobre 1644 (fig. 53b). Fu Francesco Bianchini, allievo di Montanari, il primo a disegnare la Vallis Alpes in un volume apparso però nel 1728. 201

Non solo, mancano anche crateri luminosi quasi impossibili da ignorarare, con diametri compresi tra i 30 e i 40 chilometri, nella parte nord del Mar Tranquillitatis, quali Plinio, Vitruvio e Maraldi e, nel Mar Imbrium, i crateri Lambert e Mayer.

Evidenti errori di forma, non giustificati dalle librazioni, alterano la geometria di Plato, Grimaldi, Aristotele, Eudosso e il Mar Crisium. Essi si mostrano meno ellittici della realtà, mentre Albategnius (le cui 201 BIANCHINI, F., Hesperi et Phosphori, Nova Phaenomena sive observationes circa planetam Veneris unde colligitur 1. Descriptio illius macularum, seu Celidographia. 2. Vertigo circa axem proprium, vel Perieilesis spatio dierum 24 cum triente. 3. Parallelismus axis in orbita octimestri circa Solem. 4. et quantitas Parallaxeos methodo Cassiniana explorata nunc primum editae sub auspiciis sacrae regiae majestatis Joannis V, à Francisco Blanchino Veronensi, Romae 1728.

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dimensioni, come abbiamo visto, furono esagerate anche in un famoso schizzo di Galileo) è troppo grande e rivaleggia con l’attiguo Ipparco.

Pur riconoscendo l’esistenza di imperfezioni, errori ed omissioni, spesso pressoché inevitabili a causa della complessità e della ricchezza del soggetto ritratto, l’opera di Montanari non perde, per questo di valore.

Due affermazioni negative sulla carta dell’astronomo modenese, esternate da E.A. Whitaker in una recente rassegna selenografica del XVII secolo, a mio parere, non possono essere condivise.202 La prima, riguarda la presunta scadente qualità artistica dell’elaborato di Montanari, la seconda, più grave, perché dimostra che l’autore ha una modesta conoscenza di questa stessa cartografia (e, in effetti, non la riproduce), quando sostiene che la sua positional accuracy…[is] very low. Rigetto, come privo di un qualsiasi significato scientifico, l’adozione di un criterio “artistico” quale unico titolo di merito da considerare nella valutazione delle caratteristiche di una selenografia.

Non penso, ad esempio, che Hevelius, giustamente ammirato da Withaker, quando affrontò il suo poderoso lavoro di riproduzione degli aspetti della Luna in ogni sua fase, fosse stato motivato da ambizioni artistiche od estetiche al fine di ottenere l’approvazione postuma sul suo operato delle future generazioni di storici dell’astronomia. Erano ben altre le sue preoccupazioni e ben più concrete. Aveva ripreso il progetto, a quei tempi ritenuto di fondamentale importanza pratica, ma rimasto incompiuto, di Peiresc e Gassendi, per la realizzazione di selenografie che fossero proficuamente utilizzabili durante le eclissi al fine di determinare le longitudini terrestri e in mare.

Chi avesse fornito una soluzione accettabile a questo problema avrebbe ricevuto onori, gloria e denaro: Filippo III, re di Spagna, agli inizi del secolo, aveva offerto un premio di 6000 ducati e anche Galileo aveva proposto una soluzione, basata sulle occultazioni dei satelliti di Giove,203 poi largamente adottata dagli astronomi nei due secoli successivi.

202 E.A. Whitaker, Selenography in the seventeenth century, The General History of Astronomy, vol. 2°, p. 139, Cambridge 1989. Della carta di Montanari Whitaker scrive: the artistic quality and positional accuracy of this map are very low. 203 Galileo (Opere, Ed. Naz. V, Proposta della Longitudine, pp. 419-422), così scriveva: «quel problema massimo e meraviglioso [delle longitudini]… tanto desiderato in tutti i secoli passati per le importantissime conseguenze che da tale ritrovamento dipendono nella geografia e carte nautiche… ha eccitato a travagliare diversi ingegni… ma sin ora tutte le fatiche sono riuscite vane…La longitudine non è altro che un arco dell’equinozziale, preso tra il meridiano di un loco ed il meridiano di un altro: e perché comunemente da’ cosmografi si è stabilito che il meridiano che passa per le isole Canarie sia il primo meridiano, pertanto si dirà che la longitudine di un loco sia l’arco dell’equinozziale che viene intrapreso tra il meridiano che passa per le isole Canarie ed il meridiano del loco».

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Vediamo ora se l’idea di una scarsa accuratezza geometrica dell’icon lunaris, sostenuta da Whitaker, ha qualche fondamento di verità. Forse l’unico modo di procedere è confrontare la selenografia di Montanari con altre, scelte tra le migliori del secolo, e vedere come questa si colloca, per quanto concerne la disposizione geometrica dei dettagli, in quel panorama cartografico, in altre parole se regge tale confronto.

Tabella IV

Errori nelle distanze tra 60 coppie di crateri rilevati in alcune carte

lunari del sec. XVII

Autore della carta lunare, dimensioni e anno della

prima pubblicazione

Errore quadr. medio nelle distanze di 60 coppie di

crateri (in primi d’arco)

Errore in Km alla distanza media lunare

Van Langren (ø 35 cm), 1645204

0’.94 103 Km

Eustachio Divini (ø 30 cm), 1649205

0’.93 100 Km

F.M. Grimaldi- G.B. Riccioli (ø 28 cm), 1651206

0’.85 95 Km

Selenografia P di J. Hevelius (ø 27 cm), 1647

0’.76 85 Km

Geminiano Montanari (ø 38 cm), 1662

0’.64 70 Km

Cherubin d’Orleans (ø 28 cm) 1671207

1’.13 127 Km

La tabella IV riassume sinteticamente i risultati di quest’analisi che,

oltre al lavoro di Montanari, esamina quelli di van Langren, Divini, 204 VAN LANGREN, Plenilunii Lumina Austriaca Philippica, 1645. 205 Ho usato la carta del Divini riprodotta da A. KIRCHER, Mundus Subterraneus, t. I, p. 62, Amsterdam 1665. 206 G.B. RICCIOLI , Almagestum Novum , t. I, p. 204, Bononiae 1651. È curioso notare che, in alcuni luoghi delle Ephemerides, quando si parla di macchie lunari, non viene usata la nomenclatura di Riccioli, bensì quella di van Langren. Ad esempio, a p. 218, Malvasia e Montanari parlano di una occultazione di Aldebaran del 25 novembre 1662, non osservata perché la Luna era troppo vicina all’orizzonte (in realtà si trattò di un passaggio radente): «l’orlo più esterno [della Luna] che guarda la stella era quella parte di essa presso la macchia Caspia [il nome appart iene alla terminologia di van Langren, Riccioli lo aveva ribattezzato Mar Crisium], tanto che se qualcuno avesse tracciato una linea dalla stella al centro della Luna, avrebbe diviso circa la terza parte della macchia». (traduzione di Sofia Petrantonakis). 207 CHERUBIN D'ORLEANS, La Diotrique Oculaire ou la theorique, la positive et la mechanique de l'oculaire dioptrique en tout ses especes, p. 298, Paris 1671.

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Grimaldi, la selenografia P (fig. 53) di Hevelius e di Cherubin d’Or-leans. Su ognuna di queste carte, in formato digitale, ho steso un reticolato di meridiani e paralleli in proiezione ortografica, la cui origine non è mai, per i noti problemi prospettici dovuti alle librazioni, quella moderna.

Di 30 crateri, omogeneamente distribuiti, ho determinato le coordinate selenografiche relative con le quali, su ogni carta, ho ricavato le distanze di 60 coppie, poi confrontate con le distanze di ognuna di queste per mezzo delle coordinate selenografiche ufficiali della International Astronomical Union.

Ho così potuto calcolare l’errore quadratico medio delle misure delle distanze, espresse in primi d’arco e in chilometri. La carta lunare che presenta l’errore minore, 70 chilometri, è proprio quella di Montanari, seguita dalle selenografie di Hevelius, Grimaldi, Divini, van Langren e Cherubin d’Orleans. Queste ultime tre con un errore medio superiore ai 100 chilometri.

Mi pare quindi sufficientemente dimostrato che l’accuratezza geometrica della carta di Montanari non è certamente inferiore a quelle coeve, anzi. Essa è, come abbiamo appena visto, tra le migliori del secolo: l’affermazione di Whitaker è quindi da considerarsi priva di consistenza.

In conclusione, nonostante gli errori di posizione, di forma e le inevitabili omissioni dell’icon lunaris, possiamo serenamente sottoscrivere il giudizio di A. Piérot, il quale riconobbe che

l’œuvre de Montanari est digne de notre admiration. Pour l’époque où elle fut dressée, elle constitue un réel progrès.208

9. La tavola delle rifrazioni del Cassini

Il fenomeno della rifrazione astronomica non fu del tutto ignoto agli

antichi. Tolomeo, alla fine del libro VIII dell’Almagesto, afferma che vi sono delle differenze di posizione durante il levare e tramontare degli astri che dipendono dai cambiamenti dell’atmosfera. Nel X secolo, l’arabo Alhazen che riprese l’argomento dall’Ottica di Tolomeo, opera andata perduta, suggerisce un modo per determinare la grandezza della rifrazione facendo uso di armille polari. Il metodo dello studioso arabo209 impiegava sia la misura della distanza angolare di una stella dal 208 A. PIÉROT, loc. cit., p. 82. 209 ALHAZEN, Opticae thesaurus, Basilae 1572; lib. VII, cap. 4, n. 15, p. 251-252.

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polo celeste, allorché essa è zenitale al suo passaggio al meridiano, sia

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al suo sorgere sull’orizzonte: a causa della rifrazione atmosferica, la distanza dal polo, in questo secondo caso, è naturalmente minore.

Il primo a studiare il fenomeno in maniera quantitativa, tanto da poterne ricavare delle tavole, fu Tycho Brahe.210 Il grande astronomo danese aveva determinato l’altezza del polo rilevando le altezze superiori e inferiori della stella polare; egli la determinò anche con le altezze del Sole nei due solstizi, e trovò la seconda altezza del polo più piccola di 4 minuti. In un primo tempo attribuì tale differenza ad errori di misura, pertanto decise di costruire nuovi giganteschi sestanti sempre più accurati ma, naturalmente, l’effetto della rifrazione sulle altezze rimase. A seguito delle sue numerosissime osservazioni, Tycho si convinse, erroneamente, che la rifrazione del Sole si annullasse a 45° d’altezza e, quella delle stelle, a 20° (fig. 61). Nella figura, le rifrazioni per il Sole differiscono in modo sostanziale da quella lunare e delle stelle fisse perché Tycho utilizza una parallasse solare di ben 3’, cioè venti volte il vero.

Abbiamo già ripercorso, almeno in parte, la storia delle tavole delle rifrazioni di Cassini, quando abbiamo esaminato le sue effemeridi del Sole (§ 6). Nelle Ephemerides malvasiane egli suppone, alla maniera di Kepler, che la parallasse solare fosse pari a 58”.37 e ciò lo costrinse a compilare tre tavole distinte, con validità stagionale, con le quali tener conto dei diversi valori parallattici al variare della declinazione del Sole (fig. 65). Eloquenti le parole dello stesso Cassini:

avevo già esposto il motivo [nell’opera Specimen Observationum Bononiensium quae novissime in D. Petronii templo ad astronomiae novae constitutionem haberi caepere, Bononiae 1656], che mi faceva credere, che le parallassi del Sole fossero quasi insensibili, e calcolai prima su questa supposizione una Tavola delle refrazioni… e nondimeno volli anche tentare di rappresentare le medesime refrazioni nell’Ipotesi, che la parallasse del Sole montasse a un minuto, come suppone Keplero, e in tale Ipotesi mi parve doversi cambiare la refrazione del Sole dall’Estate all’Inverno (fig. 62), a proporzione della variazione della declinazione del Sole, e che quello facesse un medesimo effetto, che la prima, senza che fra l’una e l’altra vi fosse differenza sensibile.211

Nel 1672, le tre tavole stagionali furono unificate da Cassini, quando

le osservazioni di Richer a Cajenna confermarono che l’angolo

210 A.B. BOSSUT, Dizionario Enciclopedico delle Matematiche, t. V, p. 73-77, Padova 1800. 211 G.D. CASSINI, La Meridiana del Tempio di S. Petronio, tirata e preparata per le Osservazioni Astronomiche l’Anno 1655, rivista e restaurata l’Anno 1695, pp. 21-22, Bologna 1695.

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parallattico solare in realtà era solo la sesta parte del valore proposto da Kepler. I maggiori oppositori delle rifrazioni cassiniane erano annidati nell’am-biente scientifico bolognese. Tra i gesuiti spicca G.B. Riccioli e, nello Studio, Pietro Mengoli. Nel suo Almagestum Novum del 1651, Riccioli riportò degli esperimenti per determinare la rifrazione del vetro, criticati con ironia da Cassini:

[Riccioli misura] le refrazioni del vetro con vaso di vetro quadrilatero pieno d’acqua, da cui s’ha più tosto la misura delle rifrazioni nell’acqua.212

Quattordici anni dopo, Riccioli nell’Astronomia Reformata, mise in

dubbio l’efficacia ed il metodo delle rifrazioni cassiniane, subito fiancheggiato da Mengoli. Per evitare possibili equivoci, è bene porre l’ac-cento sul fatto che questi due personaggi non erano degli sprovveduti. Il primo, citato più volte in questo lavoro, figura di rilievo in un’epoca di trapasso tra due concezioni opposte del mondo, era di un’erudizione storico-astronomica straordinaria, con ammiratori anche nei secoli successivi.213 Non aderiva però alla teoria copernicana, alla quale preferiva il sistema tychonico, e osteggiava qualsiasi ipotesi sulla rotazione della Terra.214 Indubbiamente, egli era «una delle autorità più ascoltate tra gli scienziati fedeli alle direttive controriformistiche».215

Cassini così parla della contesa con Riccioli, sorta intorno alla meridiana di S. Petronio ed alle sue rifrazioni:

intanto il P. Riccioli, travagliando alla sua Astronomia Reformata, ebbe bisogno d’un buon numero d’Osservazioni fatte su questa Meridiana, per tirane gli Elementi delle sue Tavole, e compararle col calcolo da esse tirato. Io gli diedi le più scelte di quelle, che fin’allora aveva fatto, che le inserì nella sua Opera, e da esse egli cavò i luoghi del So le, senza ridurle per le rifrazioni da me trovate, che intraprese à rifiutare… [Nella lettera a Montanari] io feci vedere che il calcolo tirato dalle sue Tavole [di Riccioli] senza l’uso delle rifrazioni sopra li 45° d’altezza allontanava molto dalle osservazioni.216

212 G.D. CASSINI, De Solaribus hypothesibus et refractionibus epistolae tres. Epistola secunda à Carolo Rinaldino, p. 316, in Miscellanea Italica Physico-Mathematica, collegit Gaudentius Robertus, Bononiae 1692. 213 Uno dei suoi tardi ammiratori fu il francese J.J. Lalande, che ne esaltò spesso l’immensa erudizione storico-scientifica. 214 Scrisse due opere contro il moto delle Terra ed il sistema copernicano: Argomento contro il moto diurno della Terra , Bologna 1668, e Apologia contra systema copernicanum, Venetiis 1669. 215 A. BATTISTINI, La cultura scientifica nel collegio bolognese, Dall’isola alla città. I gesuiti a Bologna (a cura di G.P . BRIZZI), p. 157, Bologna 1988. 216 G.D. CASSINI, La Meridiana del Tempio di S. Petronio, tirata e preparata per le Osservazioni

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Mengoli, l’altro avversario di Cassini diede contributi matematici considerevoli,217 ed è un vero peccato che uno dei suoi più vistosi errori professionali riguardasse proprio la valutazione della rifrazione astronomica. Nel suo lavoro Refrattioni e parallasse solare, nel quale si definiva “principiante d’Astronomia”218 aveva compilato delle tavole delle rifrazioni con valori molto diversi da quelli del Cassini. Ad esempio, sottostimava grandemente la rifrazione orizzontale, che poneva pari a solo 1’ 58”.6 (contro i 32’ 20” della rifrazione estiva di Cassini), mentre esagerava di quattro volte i valori della parallasse orizzontale estiva ed invernale del Sole (valori comunque migliori di quello adottato provvisoriamente da Cassini), ponendola rispettivamente uguale a 38”.49 e a 40”.4.219 Mengoli, fermamente convinto che Cassini fosse in errore, ipotizzò che l’astronomo fosse stato fuorviato da uno spostamento della meridiana di S. Petronio 220 che avrebbe falsato le sue misure meridiane del Sole. L’intervento di Geminiano Montanari, che apertamente parteggiava per Cassini, impossibilitato a difendersi perché già da qualche anno a Parigi, risolse la contesa a favore di quest’ultimo, grazie al controllo pubblico

Astronomiche l’Anno 1655, rivista e restaurata l’Anno 1695 , p. 16, Bologna 1695. 217 M. MATTEUZZI, Mengoli e l’algebra della logica, in Atti Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, classe di Scienze morali, Memorie, LXXVII (1979-1980), pp. 79-99, Bologna 1980. 218 P. MENGOLI, Refrattioni e parallasse solare, si veda la dedica p. 5, Bologna 1670. Nello stesso luogo ironizza sull’ingrato e disagevole lavoro dell’astronomo: «Non è studio di Matematica più communemente curioso dell’Astronomia: e quest’anno, che per la vacanza di S. Chiesa, sono state chiuse le Scuole, per havere à casa Scolari, è stato necessario, che io mi diparta alquanto dalla mia Scuola meccanica, dove stavo allegramente trà canti, e suoni, con l’opera mia di Musica Speculativa; e che quasi entri nell’altrui, dove si suda, e gela, e si stà all’aria, e al vento, se bene non con titolo di Maestro, che non mi tocca, ma solo di principiante d’Astronomia». 219 P. MENGOLI, loc. cit., p. 8. 220 P. MENGOLI, loc. cit., pp. 25-26. A dire il vero le sue argomentazioni sull’incerta stabilità di S. Petronio non sono peregrine e, in una certa misura, il sospetto di assestamenti strutturali del Tempio furono confermati da successivi controlli. Ecco quanto riferisce Mengoli a proposito della testiomonianza di Bartolomeo Provalli: «Le catene della nave di mezzo trasversali [di S. Petronio], quando fu fatta la nuova fabbrica io vidi, dice egli, che erano molto ben tese, e diritte: adesso tutte sono curve: segno evidente, che i pilastri maestri della Chiesa si sono l’uno all’altro accostati; e che la volta sopra i capitelli de’ pilastri si è inalzata. Non so però se in tanto siano abbassati i capitelli, e i pilastri, per lo proprio peso. Si può dunque dubitare delle volte laterali, che non sono ligate con catene, che si vedano per traverso, se si sono inalzate, come quella di mezzo, come se tutta la fabrica nuova si fosse ristretta in dentro verso il centro, onde avvenga l’alzamento de gli archi: ò pure se le due laterali si sono abbassate, si che con l’abbassamento loro, habbiano occasionato l’alzamento, che si vede nella volta di mezzo. Che se la volta Orientale laterale è depressa, sarà diminuita l’altezza del Gnomone […] fatte minori delle notate nel pilastro: e alle tangenti osservate si doveranno ascrivere maggiori numeri de gli ascritti […] e oltre di tutto questo, si può dubitare, se il centro del buco [il foro di passaggio della luce solare] ancora persevera impendente sopra la linea delle tangenti: e se il piano per lo centro del buco, e per la linea delle tangenti è verticale».

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eseguito sulla meridiana.221 Cassini rispose ai detrattori con tre lettere, raccolte nella già citata

opera: De Solaribus hypothesibus et refractionibus Epistolae tres. La prima di queste, in latino, è indirizzata al Montanari, mentre le altre due, in volgare, hanno come destinatario, Carlo Rinaldini, professore a Padova, e l’ultima ad un anonimo A.P.

In quella a Carlo Rinaldini accenna alle ipotesi sulla rifrazione di Vitellione, Tycho, Descartes e Riccioli, tutte, in misura diversa, poco soddisfacenti. Espone poi i propri metodi di ricerca ed illustra, con dovizia di particolari, un compasso diottrico usato nei suoi esperimenti per definire l’indice di rifrazione dell’acqua e del vetro.

Nell’ultima epistola Cassini esamina i fondamenti delle rifrazioni e delle parallassi esposti da Pietro Mengoli. In primo luogo si rammarica di non essere riuscito a portare dalla sua parte alcuni astronomi, come il Riccioli, sul problema delle rifrazioni:

e benche io avessi à mio favore le ragioni e le esperienze Diottriche, e le osservazioni Celesti, che apparentemente discordi colle mie refrazioni si conciliano, non havea però potuto tirar nella mia sentenza, né il P. Riccioli, né qualche altro dottissimo Astronomo che stimavano più sicuro tenersi alle supposizioni Ticoniche, accettate senza contradizione nell’Astronomia, che alle mie nuovamente introdotte.222

Poi passa a criticare Mengoli, che gli è vicino nella teoria della

rifrazione fino alla distanza zenitale di 55° (fig. 63), dopo di che i valori si discostano dai propri in modo assolutamente inaccettabile. Egli si meraviglia

che [Mengoli] non habbia preso sospetto: non solo per trovarsi così lontano dalla comitiva di tutti gl’altri Astronomi, i quali se bene nella distinzione delle refrazioni possino errare di due, ò trè minuti, bisognerebbe poi, che tutti avessero le traveggole à far lo sbaglio di mezo grado in un affare di due minuti, mà ancora perche vi sono osservazioni immediate, che non han bisogno di molta sottigliezza, ne di grandi stromenti, mà solo della semplice vista, che fanno conoscere, che la rifrazione orizzontale è molto maggiore di due minuti. Per esempio la figura ovale del Sole procedente dal maggior

221 Si veda la lettera di Montanari a Cassini dell’8 febbraio 1673 in: F. BARBIERI, F. CATTELANI DEGANI, Tre lettere di Geminiano Montanari a Gian Domenico Cassini, Nuncius, anno XII, fasc. 2, pp. 439-441, 1997. 222 G.D. CASSINI, De Solaribus Hypothesibus et Refractionibus Epistolae tres, Epistola tertia ad Dominum A.P., in Miscellanea Italica Physico-Mathematica, p. 324, Bononiae 1692.

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alzamento apparente del lembo inferiore, che del superiore, per cagione della refrazione di 32 minuti, quanto è il diametro del Sole, è così sensibile, che vien facilmente avvertita da tutti.223

Prosegue descrivendo i vari modi di osservare il Sole, quasi volesse far lezione a Mengoli sulle corrette tecniche dell’osservazione astronomica, indispensabili per suffragare le teorie celesti.224 Di notevole interesse il passo seguente, che dimostra come, a pochi anni dall’uscita delle Ephemerides, il reticolo fosse già entrato a pieno titolo nell’arsenale di strumenti di maggior impiego dell’astronomo:

il diametro verticale del Sole…si misura col mezo del Telescopio, ricevendo la specie del Sole in una carta distesa su una tavola opposta, “ò con fili posti nel fuoco della lente obiettiva”

Infine Cassini tocca il vero punto dolente delle asserzioni di Mengoli:

l’errata formulazione della legge della rifrazione, che lo portava a sottostimare, di oltre un ordine di grandezza, il valore della rifrazione orizzontale. Infatti, nel suo Refrattioni, aveva formulato il seguente assioma: «i seni delle Refrattioni à i seni delle loro proprie Incidenze hanno un’istessa ragione».225

Cassini, sconcertato, al tal proposito rileva:

io m’arresto, e non senza stupore, al di lui primo assioma, su cui appoggia tutto il suo metodo… e dico, che prendendo l’incidenza, e la refrazione nel senso delle difinitioni del Signor Mengoli, tale assioma è evidentemente contrario all’esperienza.

Per mostrare l’errore di Mengoli porta quindi due ordini di prove: sperimentali e geometriche. Infine conclude:

ripugna dunque geometricamente alla natura delle refrazioni, che i seni delle refrazioni habbiano la medesima ragione à i seni delle incidenze.226

223 G.D. CASSINI, loc. cit., pp. 325-326. 224 Si veda: M. CAVAZZA, L’«oscurità» di Pietro Mengoli e i suoi difficili rapporti con i contemporanei, in Atti Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, classe di Scienze morali, Memorie, LXXVII (1979-1980), pp. 57-78, Bologna 1980. Cavazza scrive: «[Mengoli] era presumibilmente un osservatore poco accurato e, per essere un matematico di così grande valore, cadde in singolari errori di calcolo e di metodo». 225 P. MENGOLI, loc. cit., p. 10. 226 G.D. CASSINI, loc. cit., p. 335.

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E più avanti prosegue:

abbattuto il primo e fondamente Assioma del Sig. Mengoli, cade la machina delle proposizioni e operazioni sopra di esse fondate…Nella

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medesima maniera cadono i fondamenti di tutti calcoli algebratici da lui istituiti in quest’opera.

L’ipotesi delle rifrazioni di Cassini si basa su di una atmosfera

ritenuta di densità costante e questa sua arbitrarietà conduce a valori inammissibili per l’altezza dell’atmosfera: essa risulterebbe di appena 3 chilometri. Ciò non toglie però che, fino a 75° di distanza zenitale, le tavole rifrattive dell’astronomo perinaldese vadano d’accordo con quella posteriore di Bradley. Barnaba Oriani, nel 1788, dimostrò che l’ipo-tesi semplificata di Cassini non esercita alcuna apprezzabile influenza sull’importo della rifrazione, in quanto il valore della rifrazione complessiva dell’atmosfera terrestre dipende unicamente dalla densità del suo strato superiore ed inferiore. Il più volte citato Manfredi descrive così le ipotesi di Cassini:

egli affrontò l’indagine delle rifrazioni con un numero incredibile di tentativi, e giunse a ritenere che ogni elemento non potesse essere altrimenti congruente e coerente, se non ammettendo che la superficie dell’aria, in cui avviene la rifrazione, sia disposta ad un’altezza di 6095 parti del raggio della terra considerato di 10.000.000, e che la diminuzione di distanza di un raggio qualunque dal centro della terra, dovuta alla rifrazione, è di 2841 parti.227

RINGRAZIAMENTI: per questo lavoro, devo sentitamente ringraziare, i Proff. Ferdinando Taddei e Francesco Barbieri ed il personale dell’Accademia Nazionale di Scienze Lettere ed Arti di Modena per l’incoraggiamento e la disponibilità ad ospitarmi; Sofia Petrantonakis, per le accurate traduzioni di alcuni intricati passaggi delle Ephemerides Novissimae di Cornelio Malvasia, l’Ing. Alessandro Gunella che, con squisita disponibilità e gentilezza, mi ha concesso di utilizzare ampi brani della sua pregevole traduzione, inedita, del De Gnomone di Eustachio Manfredi, il Sig. Giovanni Paltrinieri, gnomonista in Bologna, per avermi sapientemente illuminato sui misteri della grande meridiana di S. Petronio, il Prof. Umberto Mario Lugli per le utili discussioni ed i commenti alla figura e alle opere di Geminiano Montanari, il Dott. Roberto Marchi, per avermi gentilmente concesso di riportare stralci della sua tesi di laurea, la Prof.ssa G. R. Levi-Donati per la lettura e la revisione di buona parte del manoscritto e, infine, A.M., per il preziosissimo aiuto nelle ricerche bibliografiche.

227 E. MANFREDI, loc. cit. p. 42. Traduzione di A. Gunella.