Tamil, l'identità negata

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Un breve video e un piccolo booklet per raccontare un'immane tragedia. Una guerra interminabile, conclusasi nel 2009 dopo oltre vent'anni di ostilità e combattimenti che hanno messo in ginocchio un intero popolo. Oggi una doppia realtà. Nello Sri Lanka, un'occupazione militare brutale dei territori tamil con le regioni del nord-est dell'isola trasformate in campi profughi nei quali la popolazione è privata dei più elementari diritti civili; in vari Paesi del mondo, una diaspora impegnata per richiedere alle organizzazioni internazionali e all'opinione pubblica di aprire gli occhi e rompere il silenzio sui crimini perpetrati, con intenti genocidi, sul popolo tamil.

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Tamil, l'identità negataTamil, l'identità negataa cura di Fabio Pettirino

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Prefazione

Non sono un attivista politico e non voglio diventarlo. Come antropologo culturale, è la prima volta che vengo coinvolto in un progetto che nasce direttamente dall’esigenza e dall’iniziativa di una comunità migrante. Sono venuto a conoscenza della lotta tamil qualche anno fa attraverso la frequentazione di alcuni membri della diaspora che hanno raggiunto l’Italia. La diaspora è la migra-zione di una cospicua parte di una popolazione costretta ad abbandonare la propria terra natale per disperdersi in diverse parti del mondo. I Tamil dello Sri Lanka lo hanno dovuto fare a causa della guerra e sono presenti anche in Europa, in comunità più o meno numerose, in Norvegia, Svizzera, Inghilterra, Francia, Olanda e in Italia dove importanti comunità si trovano a Palermo, Lecce, Napoli, Reggio Emilia, Genova e Biella.

Il con�itto e la conseguente diaspora ebbero inizio nel 1983. Da allora, in un panorama di comuni-cazione internazionale disattento e colpevolmente silenzioso nei confronti di una guerra atroce, essi sono divenuti gli unici portavoce della lotta tamil e dei crimini che lo Stato singalese ha perpe-trato ai danni di coloro che sono rimasti nella loro terra.

Prefazione

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Non sono mai stato nello Sri Lanka, per me i Tamil hanno il volto di Rajah, Sharmila, Sharmini, Thanushan, Jeyanthan, Bavani, Kumareshan, Basgaranarayanan, Sarah, Sinthujha, Manoharan. E’ per loro che ho accettato l’incarico di coordinare questo lavoro che è interamente pensato e svolto dalla comunità. Spero un giorno di poter ripagare l’accoglienza e la �ducia che mi hanno sempre accordato.

Cristiana Natali, antropologa culturale e Vainer Burani, avvocato, hanno contribuito al completa-mento del lavoro con dei commenti al video scaturiti dalla preziosa prospettiva della loro esperien-za professionale da sempre vicina alla causa tamil ed alla vita della comunità, anche nei momenti più di�cili.

27.11.2011 Fabio Pettirino

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L’identità negataL’identità negatadi Fabio Pettirino

Si tratta innanzitutto di una questione identitaria. E’ vissuta come tale. Per gli Italiani, gli abitanti dello Sri Lanka sono sempre stati semplicemente i Cingalesi o Singalesi. Si tratta di un’etichetta attribuita comunemente a tutti i cittadini dello Sri Lanka, indifferentemente. Essa è però una categoria tragicamente oltraggiosa per i Tamil costretti a portare anche sui documenti ufficiali l’impronta di una nazionalità nella quale non si possono riconoscere. Sin dal momento in cui lo Sri Lanka raggiunse l’indipendenza nel 1948, l’atteggiamento del governo singalese nei confronti dell’identità tamil è stato caratterizzato da una profonda intolleranza. Nella sua migliore impostazi-one liberale, la questione fu affrontata con intenti largamente assimiliazionisti riconoscendo alla minoranza la denominazione di Tamil srilankesi. Una definizione negoziata ed accettata di buon grado dalle élite tamil che già prima dell’indipendenza costituivano una schiera di burocrati al servizio della Colonia Inglese e godevano di una buona posizione sociale, ma non dalle classi subal-terne. Le élite tamil non videro nel progetto di costruzione nazionale una seria minaccia alla propria identità dal momento che una progressiva singalizzazione delle istituzioni non avrebbe comunque intaccato i loro interessi economici. Per l’ideologia nazionalista le classi subalterne tamil, composte dalle masse di contadini e lavoratori, costituivano invece una insanabile contraddizione nella costruzione di un progetto identitario unitario e coerente. Emerse così un versante maggiormente oscuro ed intransigente dell’ideologia governativa che, organizzata in un nazionalismo radicale,

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aumentò progressivamente le sue azioni discriminatorie nei confronti dei Tamil sino ad esprimersi in un palese razzismo nei confronti di una popolazione che vide la propria identità inserita in un processo di costante negazione. L’aria di discriminazione che si respirava durante i primi anni di costruzione dello stato post-coloniale divenne allora un forte vento repressivo durante gli anni sessanta e settanta con una progressiva colonizzazione istituzionale ed occupazione dei territori tamil. La discriminazione prese forma in maniera concreta ed evidente: ai Tamil, in quanto Tamil, erano necessari voti più alti di quelli richiesti ai Singalesi per poter accedere all’istruzione universita-ria e la lingua tamil non fu ufficialmente riconosciuta dallo Stato dello Sri Lanka impedendo di fatto l’accesso ad ogni impiego statale e obbligando molte persone a ripetere le classi scolastiche in una lingua diversa dalla propria. Queste profonde discriminazioni costituirono il sostrato sul quale le contrapposizioni misero le radici sino a produrre i germogli di violenze atroci. Le prime proteste tamil furono però intraprese secondo un modello di lotta non violenta seguendo le orme della resistenza pacifica insegnata da Gandhi, tanto è vero che molti dei maaveerar (gli eroi caduti per la rivendicazione della patria tamil celebrati il 27 di novembre) hanno trovato la morte dopo lunghi digiuni oppure per essersi dati fuoco come gesto estremo di protesta contro le ingiustizie subite dal loro popolo. La ahimsa (non violenza), riconosciuta comunemente da Induismo e Buddismo come un precetto fondamentale per i loro sistemi religiosi, è stato dunque il primo modello di riferimento

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Tamil per produrre una forma di resistenza nei confronti delle politiche razziste del governo singalese. Bisogna tenere presente che prima della radicalizzazione delle posizioni, la convivenza sociale non era caratterizzata da grandi contrapposizioni etniche o religiose, nei templi buddisti vi era spazio anche per altari che ospitavano divinità induiste. Va da sé che le atrocità di oltre vent’anni di guerra hanno ben poco a che vedere con le visioni religiose o culturali, ma sono piuttosto da ricondurre ad una loro strumentalizzazione. In più di una occasione le manifestazioni e le proteste pur pacifiche dei tamil furono represse in un bagno di sangue. Divenne allora evidente che era inutile parlare di cultura ed identità in astratto, ma bisognava iniziare a radicare i termini della questione nel concreto della lotta. I Tamil, calati nella nuova condizione sociale di profonda discriminazione e odio che puntava a negare la loro esistenza minando specificamente alle fondamenta della loro identità necessitavano ora di un nuovo para-digma di riconoscimento comune, di un nuovo modello di auto-rappresentazione. Una nuova retorica identitaria fu dunque posta in essere, nel corso degli anni settanta, dalla risoluzione di Vadukoddai dove nacque il primo riferimento al Tamil Eelam con la definizione e la rivendicazione di un territorio tamil autonomo e indipendente dove poter esercitare i diritti negati e calpestati dal governo singalese. In questo nuovo discorso i termini di riconoscimento identitario e la lotta si unirono in un’unica asserzione. Dopo anni di negoziazioni e tentativi di compromessi con gli

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oppressori, ora il modello auto-rappresentativo dei tamil narrava di una identità concepita in termini oppositivi verso coloro che non la volevano riconoscere. La nascita di un esercito difensore delle istanze della lotta per il Tamil Eelam proprio in quegli anni non fu certo una coincidenza. Dal momento che la rivendicazione identitaria e la lotta divennero inseparabili, l’assimiliazione al progetto identitario nazionale divenne impossibile. Anche la nuova simbologia politica e culturale si costituì per opposizione. La contrapposizione tra le tigri e il leone, tra agili felini disposti al martirio per rispondere alle ingiustizie dello Stato feroce (il simbolo del leone si trova rappresentato sulla bandiera nazionale dello Sri Lanka), è divenuto l’emblema di un revisionismo storico radicale che influenzò anche profonde riletture delle rispettive tradizioni culturali e religiose. Presero forma ideologie contrapposte, reciprocamente intolleranti, fu segnato il punto di non ritorno. La sfida delle Tigri tamil fu lanciata non solo agli oppressori singalesi, ma anche alle élite tamil di Colombo, a lungo considerate il volto ufficiale della cultura tamil ma, in verità, incapaci di rappresentarne le rivendicazioni popolari. I burocrati tamil difesero i loro privilegi attraverso una reiterata retorica di non violenza per la difesa di un’identità tamil srilankese debole contrastante con gli interessi delle masse popolari. Le élite tamil sarebbero state ironicamente disponibili a trattare il riconoscimento di una serie di diritti per la popolazione meno quello specifico per cui il popolo tamil aveva intrapreso la lotta. Nella sfida lanciata da un popolo di conta-

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dini e lavoratori contro le classi dominanti ed i loro interessi, gli oppressori non ebbero esitazioni. Non solo lasciarono inascoltate le rivendicazioni dei diritti di un intero popolo, ma istituirono un processo di negazione costante della loro identità con il proposito preciso di procedere ad un suo annichilimento, una sua totale distruzione. Queste furono le premesse storico-politiche, ma soprat-tutto identitarie ed ideologiche, che condussero alla guerra che scoppiò nel 1983. Diceva Voltaire: Chi crede in assurdità commetterà atrocità. E le guerre “etniche”, se possibile, sono ancora più terribili di altri conflitti. Sullo scenario bellico, oltre ai combattimenti, con i relativi morti e feriti, compaiono crimini specificamente orientati contro l’identità dell’Altro. Il ricorso sistematico allo stupro diviene infatti l’emblema non solo della sottomissione totale del nemico, ma anche il simbolo della sua sconfitta e subordinazione identitaria, del suo annientamento etnico. Una colo-nizzazione del futuro tramite una pratica barbara che costringe il nemico a portare in grembo il simbolo dell’odio “razziale” che contamina. La guerra non è più soltanto diretta a sconfiggere il nemico, ad eliminarlo, nella guerra etnica non si concede mai l’onore delle armi, l’umiliazione deve riuscire ad insinuarsi fin nel corpo del nemico impedendo la perpetuazione dei suoi geni. Gli atten-tati all’identità dei tamil divengono dunque implacabili e si riversano anche contro i loro morti. Il culto degli Eroi tamil (maaveerar) aveva spinto a modificare le tradizionali pratiche funebri (che prevedono la cremazione dei morti su pire) istituendo una nuova procedura di seppellimento per i

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martiri volta ad onorare la memoria del loro sacrificio. La memoria condivisa sarebbe divenuta il collante etnico ed identitario degli Eelam Tamils, inclusi quelli della diaspora, in opposizione alle persecuzioni degli oppressori. La strategia annichilente dello Stato srilankese, che trovò la sua più alta espressione nel massacro di Vanni del 2009, fu accompagnato da una sistematica distruzione delle tombe dei martiri tamil. In seguito a quell’attacco fu decretata la fine del conflitto. L’esercito delle Tigri tamil fu definitivamente sconfitto, inenarrabile il massacro dei civili tamil.

Per approfondire:

Sri Lanka, Ethnic Fratricide and the Dismantling of Democracy,di Stanley J. Tambiah, The University of Chicago Press, 1986.

Sabbia sugli dèi. Pratiche commemorative tra le Tigri Tamil (Sri Lanka) di Cristiana Natali, Il Segnalibro, 2004.

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E’ come in un sogno spaventoso, uno di quegli incubi in cui si scappa da qualcosa di terribile e si vorrebbe gridare, ma la voce non esce, nessuno sente, nessuno ascolta e l’angoscia cresce. E’ questo il presente angoscioso in cui vive la popolazione tamil dello Sri Lanka. Sono trascorsi oltre due anni dalla fine della guerra quando una terribile controffensiva dei militari singalesi mise fine definitiva-mente alle ostilità con l’ennesimo massacro terrificante di popolazione civile. L’esercito di liberazio-ne tamil LTTE venne sconfitto e la popolazione di quelle regioni fu ammassata in campi profughi recintati da filo spinato. Da allora solo indiscrezioni, filmati girati con mezzi di fortuna, qualche foto, alcuni sporadici racconti. Le città tamil sono attualmente presidiate da militari, violenze e stupri sono all’ordine del giorno. Nelle zone di guerra e nei campi profughi il governo singalese non tollera la presenza di stranieri, l’unica voce consentita è quella governativa. Gli ultimi rappresentati delle Nazioni Unite presenti nei territori tamil furono obbligati ad allontanarsi appena prima dell’attacco alla zona di Vanni. Quel giorno centinaia di persone si accalcarono davanti alla sede per pregarli di non farlo, di non andarsene. Agitavano silenziosamente le mani in segno disperato di supplica. Se anche gli ultimi stranieri avessero abbandonato quella zona, non sarebbe rimasto più alcun testi-mone dell’atto finale, del massacro annunciato dall’esercito singalese che stava preparando il campo per l’offensiva da attuare nei giorni immediatamente seguenti. Se ne andarono, e scese nuovamente il silenzio sull’ennesimo atto genocida. Da qui l’importanza della diaspora. Quasi tre

Dietro al filo spinatoDietro al filo spinatodi Fabio Pettirino

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milioni di tamil che dal 1983, data di inizio della guerra, iniziarono ad emigrare per trovare fortuna o rifugio altrove. Sono queste persone che oggi hanno il compito di conferire voce alla lotta denun-ciando le sofferenze e le discriminazioni a cui sono sottoposti i Tamil nello Sri Lanka sfidando un’imbarazzante indifferenza ed un silenzio mediatico complici di un massacro praticamente sconosciuto. Dar voce ai diritti di una popolazione massacrata ed umiliata non è compito facile, ma la diaspora produce ogni sforzo proprio in questa direzione. Il governo srilankese è indifferente alle voci provenienti dall’estero e con l’annientamento dell’esercito delle Tigri tamil ha di fatto segnato la sconfitta di ogni aspirazione di legittimazione politica dei Tamil. Se l’asserzione meschina “la guerra è guerra” poteva celare sotto una spessa coltre di ipocrisia i misfatti contro l’umanità perpe-trati dal Governo singalese ai danni della popolazione Tamil durante gli anni del conflitto, oggi non c’è spazio per gli indugi. In un territorio dello Stato dichiarato “pacificato” nel quale il nemico milita-re è stato sconfitto, non vi è più ragione per negare i diritti civili a persone (cittadini) la cui esistenza è consentita da oltre due anni soltanto in campi profughi di fortuna. Non solo, il trionfalismo, unito alla retorica negazionista ed estremista, continua spietatamente la medesima lotta ideologica che ha originato e nutrito un vero e proprio genocidio. Poco è stato fatto dalla comunità internazionale. Un documento dell’ONU del marzo 2011, al quale è stato conferito il compito di relazionare gli ultimi atti di guerra individua precise responsabilità nella condotta dello Stato dello Sri Lanka sia

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nella commissione di gravi crimini di guerra che nella violazione sistematica dei diritti umani. Nella parte conclusiva della relazione si legge che la paura e ed il silenzio sono nemici delle responsabilità e che si auspica che per il futuro che il governo singalese abbandoni le politiche discriminatorie su base etnica riconoscendo a Tamil e Musulmani i pieni diritti di cittadinanza. Si può chiedere al carne-fice di rispettare e proteggere la vittima delle sue persecuzioni e violenze? O si tratta di una ulteriore inutile ipocrisia? L’odio e l’ideologia che hanno causato il genocidio sono ancora presenti e, pur a guerra conclusa, non c’è ragione plausibile per pensare in una modificazione virtuosa dei rapporti etnici. Per la diaspora tamil l’unica via percorribile è quella di una sensibilizzazione internazionale che possa portare nel più breve tempo possibile a ripercorrere democraticamente i passi di quei nuovi Stati che sono riusciti ad ottenere l’indipendenza come recentemente hanno fatto il Kosovo ed il Sud Sudan. Lo scorso 19 ottobre 2011, davanti al palazzo delle Nazioni Unite di Ginevra, migliaia di Tamil della diaspora hanno manifestato affinché la comunità internazionale si impegnasse final-mente ad intraprendere azioni concrete. Le richieste fondamentali vanno dall’istituzione di una commissione indipendente che indaghi sulla condizione attuale dei Tamil dello Sri Lanka e sui crimini, con intento genocida, che su di loro sono stati commessi, alla cancellazione delle tigri tamil dalle liste nere del terrorismo internazionale. Quest’ultimo è un punto cruciale. Le Tigri tamil hanno da sempre rappresentato una delle anime del movimento di liberazione in grado di catalizzare

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tanto le aspirazioni politiche ed identitarie degli Eelam Tamils quanto di costituirne il braccio armato che ne ha difeso le istanze. Ma oltre alle azioni di battaglia intraprese durante la guerra civile, essi hanno anche sempre garantito alla popolazione l’accesso ai servizi di base tra cui quelli educa-tivi e sanitari creando istituzioni di un certo rilievo organizzate in uno Stato di fatto. Oggi, pur in assenza dell’esercito, continuano a funzionare alcune strutture organizzative, dotate di intenti democratici, volte ad ottenere l’indipendenza nella convinzione di poter continuare a lottare per i diritti umani e civili che sono ancora simboleggiati dalla tigre sullo sfondo rosso della bandiera che rappresenta l’identità e la dignità di un popolo intimamente umiliato. Il nuovo percorso di rivendi-cazione democratica è cominciato ufficialmente nel 2010 con la diaspora tamil che ha indetto un referendum mondiale (in ogni nazione dove è presente la diaspora) per la riconferma della risolu-zione di Vadukoddai e per l’elezione di singoli consigli nazionali con rappresentanti in grado di operare in modo trasparente per divenire i portavoce ufficiali dei Eelam Tamils della diaspora. Lo scopo a breve termine è quello di far cessare le violenze che ancora continuano nello Sri Lanka e di consentire ai giornalisti ed agli operatori umanitari di tornare a svolgere liberamente il loro lavoro in quelle zone. Ma l'obiettivo principale rimane quello di ottenere nel prossimo futuro la possibilità di indire un referendum democratico in Sri Lanka per il riconoscimento internazionale del Tamil Eelam.

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Le immagini di apertura del video ritraggono giovani tamil intenti a eseguire brani di danza bharata natyam, uno stile coreutico dell’India meridionale. Attraverso questa danza bambini e bambine, ragazzi e ragazze mettono in scena la guerra nello Sri Lanka, la sofferenza dei civili nei campi di internamento, la violenza dei militari governativi. Nell’ambito della diaspora tamil l’insegnamento della danza, insieme a quello della lingua, viene considerato uno strumento imprescindibile per apprendere la drammatica storia di un paese, lo Sri Lanka, che i giovani conoscono spesso solo attraverso i racconti dei genitori e le immagini dei media. Sono le associazioni tamil presenti in tutto il mondo a garantire che quella che viene definita dai tamil la propria “identità culturale” non venga smarrita.In Italia le attività delle associazioni prevedono innanzitutto corsi di lingua, che i tamil seguono regolarmente, fin dalla prima elementare, per due o quattro ore settimanali. Le insegnanti si occu-pano non solo di impartire lezioni sulla lingua e la cultura (in particolare sulla letteratura e sull’arte dell’India e dello Sri Lanka), ma provvedono anche a preparare i giovani per gli esami che si svolgo-no ogni anno secondo modalità stabilite a livello internazionale e che portano al conseguimento di un attestato che certifica le capacità acquisite.Un’altra attività che viene svolta in modo sistematico è, come abbiamo visto, l’insegnamento della

Le associazioni culturali tamilLe associazioni culturali tamildi Cristiana Natali

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danza bharata natyam. Rivolto soprattutto ma non esclusivamente alle ragazze, tale insegnamentoviene impartito da danzatrici diplomate. Le giovani si esibiscono regolarmente in occasione di feste e cerimonie orga-nizzate dalle associazioni.Sempre ai giovani sono rivolti i concorsi di disegno, pittura, canto, stesura e recitazione di poesie in lingua tamil che le associazioni promuovono tutti gli anni allo scopo di stimolare una memoria culturale che non sia solo quella del paese di accoglienza.Largo spazio viene inoltre dedicato all’inculturazione religiosa: sia le famiglie cristiane, sia le fami-glie induiste ritengono opportuno che i giovani conoscano la tradizione religiosa del paese d’origine e partecipino alle numerose cerimonie in onore delle divinità del pantheon induista. Tali cerimonie si svolgono spesso negli spazi delle associazioni, allestiti per l’occasione, ma talvolta viene organizzato un viaggio a uno dei templi induisti presenti in Italia.In occasione di eventi particolarmente drammatici le associazioni promuovono veglie di preghiera e giornate in ricordo delle vittime. Un esempio in tal senso è fornito dalle numerose cerimonie che sono state celebrate per le persone perite a seguito dello tsunami che ha colpito le coste dello Sri Lanka nel dicembre 2004: molti dei morti erano parenti di tamil residenti in Italia.

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Agli italiani sono rivolte attività che hanno lo scopo di fare conoscere la cultu-ra tamil nella sua ricchezza e complessità. In molte città vengono organizzati corsi di cucina, cene a tema, esibizioni di danze, incontri sulla situazione dello Sri Lanka promossi di concerto con istituzio-ni locali, associazioni di italiani e di stranieri e parrocchie.

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Con un video di pochi minuti la comunità tamil è riuscita a realizzare molti ambiziosi obiettivi: presentare la storia e la cultura del suo popolo e farne conoscere l’immane tragedia. I numeri che si sovrappongono alle immagini, ne gridano le dimensioni, ci dicono che si sta consumando, nella totale indifferenza di un mondo sordo e cieco, un vero e proprio genocidio. Le immagini ritraggono esecuzioni sommarie, cadaveri nudi abbandonati sulla spiaggia, mostrate quasi con parsimonia, non possono che indurre un profonda riflessione sulla colpevole inerzia di Stati e soggetti politici che continuano a tacere, pur sapendo che è in corso un’occupazione militare brutale, che si accani-sce sui più deboli, sugli inermi, in quella grande prigione che è diventato il nord-est dello Sri Lanka. Vi sono campi di concentramento nei quali sono racchiuse decine, centinaia di migliaia di persone, in totale balia dei corpi speciali, adusi ad ogni violenza, animati da un profondo odio etnico.Il popolo tamil rivendica il diritto alla sua identità, alla sua storia, alla sua vita e lo fa con dignità ed orgoglio, chiedendoci di prendere atto di quanto si sta consumando e di gridare a gran voce che il genocidio in atto deve essere subito fermato.

I campi profughiI campi profughidi Vainer Burani

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Difficile spiegare con parole o con immagini il dolore sofferto da un intero popolo; altrettanto difficile, raccontarne la sua storia e la sua identità. Questo, altro non è che un tentativo di portare alla luce ed alla conoscenza di tutti la tragedia consumata nello Sri Lanka. Il popolo tamil è stato completamente dimenticato mentre un atroce genocidio si stava e si sta tuttora attuando nei suoi confronti. La diaspora tamil continua però a voler ottenere giustizia, per affermare i propri diritti, per riavere la propria sovranità.Pur se non direttamente coinvolti, i giovani nati fuori dal paese, come per esempio qua in Italia, o venuti via da piccoli, non hanno ignorato le proprie origini e la storia del proprio popolo. Questo perché? Perché ricordare ancora qualcosa che non ci tocca e non ci toccherà probabilmente mai da vicino? Sicuramente perché in ogni famiglia un papà o una mamma è stato coinvolto direttamente o indirettamente nelle discriminazioni e nelle violenze condotte dal governo srilankese. Sin da piccoli si sente parlare della lotta del proprio popolo, delle sofferenze patite, delle ingiustizie. Sin da piccoli impariamo la nostra lingua, la nostra cultura e la nostra storia per essere a conoscenza della nostra identità. I giovani riconoscono il peso della loro identità e riconoscono il grande compito che incombe su di loro. In Italia i ragazzi tamil sono uniti sotto il nome dell’associazione Giovani Tamil, il cui scopo è quello di unire i giovani tamil in Italia ed agevolarli nel compito di preservare la loro doppia identità;

I giovaniI giovanidi Sinthujha Nagendram

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inoltre l’associazione ha come obiettivo principale quello di divulgare in Italia le notizie relative alle violazioni dei diritti umani in Sri Lanka. Altro organo significativo per la comunità tamil italiana è sicuramente il Consiglio dei Eelam Tamil d’Italia, comitato eletto democraticamente tra la diaspora tamil, che si occupa anch’esso di dar voce al suo popolo. Lavora nel contesto internazionale al fine di dare inizio ad un meccanismo indipen-dente internazionale per indagare sui gravi crimini di guerra e contro l’umanità commessi in Sri Lanka. Insieme hanno contribuito per la riuscita di questo progetto, sperando che sia un passo significativo per la diaspora tamil in Italia. Vogliamo poter credere che il silenzio di tante persone verrà rotto dalla visione di queste immagini crudeli, forti, vere.

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Ragioni di un conflittoRagioni di un conflitto

In accordo con le argomentazioni di Tambiah, noto antropologo srilankese, oggi docente alla università di Harvard, il conflitto Singalese-Tamil nella forma in cui lo conosciamo attualmente è un fenomeno di recente manifattura, un fenomeno assolutamente tipico del ventesimo secolo. In passato, infatti, prima delle dominazioni portoghesi ed olandesi dell’isola, il territorio era frammen-tato in regni nei quali la gente percepiva il senso di appartenenza rapportandolo ad un complesso di referenti identitari socio-politici territoriali, di impronta locale o regionale, piuttosto che in termi-ni di opposizione fra Tamil e Singalesi come è invece concepito oggi. La dinamica di opposizione etnica ha avuto luogo nel contesto dell’attività dello stato nazione nato dopo l’ottenimento dell’indipendenza dal potere coloniale inglese. In tale contesto, caratterizzato da gravi politiche discriminatorie, ha preso forma un movimento di rivendicazione di diritti fondato su base etnica. Anche in altre parti del mondo, la mobilitazione etnica ha caratterizzato ed evidenziato la debolezza delle politiche di costruzione nazionale. Nell’era dell’indipendenza i Singalesi, dopo anni di azioni discriminatorie nei confronti dei Tamil (che risultavano oltremodo rappresentati soprattutto nell’educazione e nell’impiego), sebbene avessero raggiunto il risultato di correggere lo squilibrio a loro favore hanno continuato con politiche selettive il cui esito è stato quello di portare la popola-zione tamil ad organizzare una disperata reazione violenta che è all’origine dei gravissimi disordini

di Fabio Pettirino

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che ne sono conseguiti. In una visione retrospettica, Tambiah riconduce l’attuale situazione al riusci-to tentativo di costruzione di una forte ideologia nazionale diffusasi fra alcuni strati di popolazione singalese caratterizzata da un robusto populismo, un intransigente sciovinismo (nazionalismo fana-tico) ed un buddismo militante capace di catalizzare le odierne tensioni. Insomma, basandosi sull’analisi degli eventi storici del periodo seguente alla indipendenza dello Sri Lanka si può dimo-strare come la crisi attuale sia il risultato di recenti problematiche sociali che riguardano specifica-mente l’espansione dell’educazione, le politiche linguistiche, la disoccupazione, gli usi contempora-nei dell’ideologia nazionale e religiosa, piuttosto che essere fondata su antiche ed oggettive diffe-renze razziali e religiose. Come in ogni altro conflitto etnico poi, è stato più semplice enfatizzare le differenze fra i gruppi in contrasto piuttosto che riconoscere i tratti che essi condividono. Se è dunque vero che le maggiori componenti identitarie quali la lingua singalese e la religione buddi-sta sono opponibili (nella dinamica di rivendicazione etnica) alla lingua tamil ed alla religione indui-sta, è pur vero che entrambe le popolazioni condividono tratti comuni che vanno dal sistema tradi-zionale di caste, alla parentela, ai riti religiosi popolari, alle usanze, etc. I due popoli sono dunque stati divisi soprattutto dalle loro tendenziose e mitiche interpretazioni del loro passato, originate e giustificate da tensioni che si sono prodotte nel contesto storico-sociale moderno.

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