Strategie di recupero delle ex-tabaccaie nel comune di San Miniato_Beatrice Bartali

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LA COLTIVAZIONE DEL TABACCO E L’ARRIVO NEL VECCHIO CONTINENTE

Fu grazie alla scoperta del nuovo Mondo che gli uomini al seguito di Cristoforo Colombo conobbero gli usi e le tradizioni della popolazione indigena che abitava le terre americane: una di queste era proprio l’usanza di arrotolare le foglie di tabacco, bruciarne un’estremità e aspirarne il fumo. Fu proprio il missionario Padre Bartolomé de Las Casas, che viaggiava con Colombo, il primo a testimoniare questa abitudine nel suo libro <<Historia de las Indias>>, che così scrive:

“[…] incontrarono questi due cristiani nel loro camino molta gente che gironzolava nei propri villaggi: donne e uomini; gli uomini sempre con un tizzone in mano e certe erbe secche per assaporare il loro profumo, che sono alcune messe entro un’altra foglia, anch’essa secca, a forma di cilindro affusolato, acceso da una parte e dall’altra, che si succhia, si aspira il fumo, che penetra nella gola con l’aria. Questi tipi di foglie arrotolate sono chiamate “tabacos “ dagli indiani”.

Numerose sono le varietà di tabacco che si sono diffuse su tutto il pianeta, grazie soprattutto alle caratteristiche di adattabilità della pianta a diversi ambienti. Quindi numerose le specie e numerosi i paesi nelle quali la coltivazione si è estesa: Asia (soprattutto in Cina, India, Turchia) e l’America (Stati Uniti, Brasile), ma è presente anche in Europa (Italia, Grecia, Bulgaria, Polonia, Russia), Africa (Zimbabwe, Malawi) e Oceania (Australia e Nuova Zelanda); in genere la coltura predilige tutte quelle località situate tra un arco di latitudine compreso tra 60° nord e 50° sud.

L’EUROPA è il quinto produttore al mondo di tabacco dopo Cina, Brasile, India e Stati Uniti d’America. L’ITALIA come singolo paese è ancora il decimo produttore mondiale, dopo Cina, Brasile, India, USA, Malawi, Indonesia, Argentina, Pakistan e Zimbabwe.

Le prime coltivazioni in Europa avvennero sicuramente nel giardino reale di Lisbona nel 1558 e in Francia nel 1560, quando un ambasciatore francese in Portogallo ne spedì i semi in patria.Furono due gli ecclesiastici che permisero la diffusione anche sul territorio italiano: il Cardinale Prospero Pubblicola di Santa Croce, anch’egli in Portogallo e il Vescovo Nicolò Tornabuoni, ambasciatore di Toscana alla Corte di Francia. Il Cardinale portò i semi direttamente a Papa Pio IV, che li fece coltivare ai monaci cistercensi in un monastero vicino Roma; il Vescovo, Nunzio di Papa Gregorio XIII, fece invece arrivare i semi fino Sansepolcro, avendoli consegnati direttamente allo zio, Vescovo di quella zona. La diffusione fu così molto veloce: i monaci cistercensi di Chiaravalle fecero giungere i semi fino nelle Marche, mentre i benedettini fecero circolare fino alla Valle del Brenta, in Veneto.Ad ogni modo fu solo nei primi anni del ‘700 che la coltivazione divenne in qualche modo di tipo industriale. Nella repubblica di Cospaia, un piccolo stato nato per errore nell’alta valle del Tevere, il tabacco veniva coltivato liberamente e con una quantità e regolarità tali da poter essere lavorato in blocco e venduto agli stati vicini. L’errore di delimitazione cartografica, commesso dal Papa Eugenio IV, che nel 1440 aveva ceduto Sansepolcro a Firenze, aveva reso libera questa terra: non inclusa nello Stato Pontificio, ma non incorporata all’area Fiorentina. La coltivazione, quindi, non sottomessa a nessun vincolo statale, costituì uno degli aspetti più notevoli dell’economia di questa piccola Repubblica. Le specie che più attecchirono su tutta la penisola furono sicuramente la Nicotiana Tabacum e la Nicotiana Rustica, dalle quali derivano più o meno tutte le diverse razze protagoniste della tabacchicoltura italiana. Diversi furono fin dal principio i diversi utilizzi: senza dubbio notevoli sono le qualità medicamentose della pianta, che divenne pertanto dominio dei farmacisti per lungo tempo, anche le dame di buona società ne facevano largo utilizzo come tabacco da fiuto, ma da non sottovalutare è soprattutto la moda del fumo, giunta dall’Inghilterra, e rivolta soprattutto al popolo e ai soldati. Molto rapidamente questa moda si trasformò in un vero e proprio problema sociale: i danni provocati dall’eccessivo consumo del tabacco, sotto forma di sigarette, erano addirittura letali. Pertanto l’abuso iniziò ad essere condannato: Papa Urbano VIII fu il primo a imporre delle limitazioni. Fumare, o comunque aspirare tabacco, divenne vietato in chiesa. Successivamente vennero anche imposte le prime limitazioni fiscali, che avvenivano tramite monopoli o appalti privati, utilizzando infatti il pretesto della tutela della salute del popolo per arricchire le casse statali. Il regime di monopolio vero e proprio, che imponeva notevoli vincoli, come la superficie coltivabile, quali varietà di tabacchi utilizzare, ma anche la qualità e quindi il prezzo del prodotto finito, si ebbe solo a partire dal XVIII secolo. Fu con l’Unificazione del territorio che lo Stato divenne il primo produttore di tabacco e diversi enti, che si sono succeduti nel tempo, hanno gestito direttamente l’esercizio del monopolio statale dei tabacchi: la Direzione Generale delle Gabelle (1826-1868), la Regia Cointeressata (1868-1883), la Direzione Generale delle Privative (1884-1927) e l’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato (1928-1970). Fu solo durante la Prima Guerra Mondiale che la tabacchicoltura raggiunse il suo momento più favorevole, prima di allora infatti, la maggior parte della materia prima necessaria veniva importato dall’estero e la produzione locale

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_CURATI AD ARIA CALDA (flue-cured) vi appartengono i tabacchi curati ad aria calda in appositi locali, detti bulk-curing, nei quali umidità e temperatura sono appositamente regolati. Il processo di cura dura circa 6-7 giorni, e determina processi fermentativi nel tabacco, con un colore variante dal giallo limone all’arancio scuro o rosso. Il prodotto è usato principalmente dall’industria delle sigarette. (Tipo: Virginia Bright)_CURATI A FUOCO (fire-cured) vi appartengono i tabacchi curati a fuoco in appositi locali in muratura, mediante l’esposizione delle foglie al fumo ottenuto bruciando legna secca di essenza forte e non resinosa (come la quercia): il fumo penetra lentamente nelle foglie del tabacco, che assumono un colore variante dal bruno al nero e un caratteristico aroma. I tabacchi sono utilizzati per sigari, per trinciati forti ed anche per sigarette scure. (Tipo: Kentucky)_CURATI AD ARIA (light-air cured/ dark-air cured) vi appartengono i tabacchi chiari e scuri trattati ad aria calda in condizioni atmosferiche naturali, ottenute generalmente con stendaggi in piani copertina fogli di plastica e opportunamente ventilati. Le foglie assumono un colore che varia dal marrone chiaro al rosso. Sono usati per sigarette e trinciati dolci. (Tipo light-air cured: Burley / Maryland, tipo dark-air cured: Havanna / Paraguay)_CURATI AL SOLE (sun-cured) vi appartengono i tabacchi curati esponendo le foglie direttamente al sole, nei mesi estivi, su telaini di legno all’aperto. Sono usati come componenti delle sigarette di gusto americano e per sigarette di tipo turco. (Tipo: Xanthi / Samsun)

La nicotiana tabacum si è diffusa in primo luogo nell’area Toscana, le provincie di Arezzo, Siena, Pisa, Grosseto e anche Firenze sono quindi secolari coltivatrici di questa specie, detenendone una tradizione di tutto rispetto. Negli ultimi venti anni, seppure sempre elevata, la produzione è in lento declino e anche oggetto di trasformazione: da una produzione se non esclusiva, sicuramente prevalente del tabacco di tipo Kentucky, al giorno d’oggi i due terzi della produzione sono occupati dal tabacco di tipo Bright, più adatto per la sigaretta e sicuramente meno bisognoso di attenzioni sia durante la coltivazione, che durante la cura, che viene effettuata con metodo ad aria calda. La produzione del Kentucky, seppur in declino, mantiene la sua importanza connessa alla produzione del sigaro scuro. Il Sigaro Toscano, famoso in tutto il mondo, nacque casualmente nel 1815 in seguito ad un violento acquazzone estivo che inzuppò una partita di tabacco Kentucky che poi, a causa del caldo, subì una fermentazione ammoniacale. Il Direttore della fabbrica, per non buttare via questo tabacco “andato a male”, pensò di utilizzarlo come ripieno per sigari da vendere a pochissimo prezzo. L’accoglienza per questo “sigaraccio puzzolente” fu calorosissima al punto che divenne produzione industriale. L’inizio ufficiale della produzione industriale avvenne, poi, nella Manifattura di Sant’Orsola. La produzione nella Manifattura Tabacchi di Lucca iniziò successivamente, verso la metà del 1848. Questo tipo di sigaro ha una superficie piuttosto irregolare che ne caratterizza un aspetto goffo (viene definito anche “LO STORTIGNACCOLO”); tale connotazione è determinata dalla fascia costituita da una foglia con una costola ben visibile e grossa. Il tabacco da sigaro si distingue in trinciato, ripieno e fascia. Il primo è quello che si trova comunemente in commercio per i fumatori di pipa e per coloro che si fanno le sigarette da soli. Per ripieno si intende il tabacco che si usa per riempire i sigari mentre per fascia si intende la parte esterna del sigari, costituita da un’unica foglia intera. La manifattura di Lucca, ad oggi produttrice ufficiale, mette in commercio quattro tipi principali di sigari: toscanello, toscano, antico toscano, toscano extra-vecchio. Il tabacco con il quale viene prodotto il sigaro toscano è quello delle provincie di Arezzo, Siena, Pisa e Firenze. La coltura si concentra principalmente nei comuni toscani di Cortona, San Sepolcro, Anghiari, Monterchi (in provincia di Arezzo), Montepulciano, Monteroni d’Arbia, Sinalunga (in provincia di Siena), che totalizzano oltre il 50% della produzione regionale. Le specie più rustiche di tabacco, come il Kentucky sono quelle che più si confanno al clima temperato italiano, sono quelle che permettono lo sviluppo di una foglia abbastanza ampia e con una costola abbastanza grande, adatte per la produzione industriale. L’allevamento della pianta, la raccolta e la consegna delle foglie ai magazzini dello Stato era e resta la forma di coltivazione cosiddetta “per manifesto”, da contrapporsi a quella “per concessione”, in base alla quale le aziende agricole curano anche l’essiccazione fornendo alle manifatture statali il prodotto secco.

IL TABACCO KENTUCKy

Il tabacco Kentucky è un tabacco derivato, per ibridazione e selezione, dal tipo flue-cured nordamericano, appartiene alla classe dei fire-cured, i tabacchi curati a fuoco diretto, da legni speciali il cui fumo penetra lentamente nelle cellule delle foglie del tabacco, conferendo uno specifico aroma al tabacco curato le cui foglie assumono un colore dal marrone al marrone scuro, fino al nero. Il Kentucky è una pianta di grande sviluppo, alta fino a 2metri, a fusto vigoroso e internodi brevi, con 18-20 ampie foglie di colore verde scuro. Le foglie hanno grande sviluppo, lunghe in media 70-80 cm e larghe 40-50 cm, ricche di resine, sono ovate alla base della pianta e lanceolate in cima. La costola della foglia e le nervature sono piuttosto pronunciate, e con infiorescenza aperta e corolla rosea. Il frutto è una capsula contenente circa 3.500 semi.

non era assolutamente valorizzata, di conseguenza anche lo sviluppo della coltura in se’ non diede i frutti sperati. Momento di rivalsa, appunto, i primi decenni del ‘900, quando la guerra provocò una grande difficoltà nell’acquisto di materia greggia all’estero, correlata a una crescente domanda di sigarette. Fu in questo momento che la funzione del monopolio divenne anche economica e non solo tecnica, ciò significò una notevole sviluppo. Se il primo conflitto mondiale aveva favorito la produzione e la coltivazione del tabacco, il secondo invece influì in modo assolutamente negativo: la scarsità dei beni alimentari e soprattutto di manodopera crearono un forte abbandono delle aree coltivate, connesso alla mancanza di prodotti fertilizzanti. Gli eventi bellici causarono non solo la distruzione di grandi quantitativi di prodotto, ma anche e soprattutto di gran parte dei locali di cura e delle manifatture stesse. La disintegrazione di prodotto, unita alla diminuzione della coltura provocarono una drastica riduzione delle scorte. Fu l’amministrazione, nel secondo dopoguerra, a permettere una rapida ripresa. Sul territorio erano infatti presenti addirittura 17 stabilimenti del Monopolio che si occupavano del prodotto finito, mentre numerose erano le cooperative e le aziende private che gestivano la semina, la raccolta e tutte le prime operazioni che riguardano il processo che porta dalla foglia al tabacco essiccato. Nel 1971 cessa infine il regime del monopolio, cambiamento notevolmente positivo per la diminuzione di controlli e di eccessivi vincoli fiscali, ma allo stesso tempo negativa, poiché l’assistenza tecnica, che precedentemente assicurava un’alta qualità del prodotto finale, adesso non è più garantita.

I DIVERSI UTILIZZI

I diversi utilizzi del tabacco sono principalmente quattro: trinciato nelle pipe, come polvere finissima da fiuto, sigari e sigarette. I più antichi sono senza dubbio i trinciati e la polvere da fiuto, famosa appunto, nei salotti aristocratici.Successivamente, intorno agli ultimi decenni del XVIII secolo, comparvero anche i primi sigari e più o meno mezzo secolo dopo anche le sigarette, divenute uso comune tra i soldati anglosassoni impegnati nella guerra di Crimea, che erano soliti arrotolare tabacco in pezzetti di carta e fumarlo accendendone un’estremità. Il successo vero e proprio della sigaretta, che ne consacrò la vera popolarità, si ebbe solo con l’invenzione della prima macchina industriale nel 1881, che consentiva una produzione ben tredici volte superiore a quella manuale. La sigaretta sbarcò presto in Italia, ma una vera e propria produzione locale, cessando le importazioni, si ebbe solo nel 1979. Già nel 1880, il prezzo era diminuito, grazie a un aumento di disponibilità di prodotto, merito dell’introduzione delle prime macchine meccaniche. Aldilà del successo della sigaretta, da citare è senz’altro un altro prodotto del tutto italiano: il sigaro toscano. Questo prodotto è nato nel 1815, nella manifattura tabacchi di Sant’Orsola a Firenze a seguito di un acquazzone, che ha inzuppato le foglie del tabacco contenute in botti lasciate aperte. Il tabacco sciupato non fu buttato, ma destinato alla produzione di sigari a basso costo che ebbero una grandissima fortuna, grazie al loro aroma. La produzione divenne un classico già a partire dal 1818.

CARATTERISTICHE DELLA PIANTA E METODI DI CURA

La pianta del tabacco, la nicotiana tabacum, è una delle specie appartenente alla famiglia delle Solanacee, molto diffusa. A tale famiglia appartengono moltissime specie di piante, circa 2.000, tra le più conosciute troviamo piante importanti per l’alimentazione umana (pomodoro, melanzana, patata, peperoncino), nella medicina (belladonna, scopolia, giusquiamo, stramonio), e a scopo ornamentale (petunia, salpiglossa).

“La nicotiana tabacum è un’erba annuale o talvolta poliennale, con fusto eretto, alto 1-3 metri, con foglie ellittiche o lanceolate, fiori raccolti in infiorescenze a pannocchia rosa o rossi, il frutto è una capsula contenente semi piccolissimi (circa 10.000 per grammo) di colore bruno, sferici o ellittici, non tossici e vitali per 4-5 anni in condizioni ordinarie di ambiente. La foglia verde produce sostanze importanti nel determinare l’aroma e il gusto del fumo del tabacco. Il contenuto del principale alcaloide, la nicotina, varia normalmente tra 0,2 e 5% del peso secco, ma alcune varietà raggiungono l’8%.”

In Italia si coltivano diversi tipi di tabacco della specie Nicotiana Tabacum con circa 13 varietà principali. Tra le principali vi sono il Virginia Bright (Veneto, Umbria), Kentucky (Veneto, Toscana), Burley (Lazio, Campania), Maryland (Lazio, Campania), Havanna (Lazio, Campania), Ibridi Badischer Geudertheimer (Lazio, Campania), Badischer Geudertheimer (Campania), Xanthi (Puglia), Perustitia (Puglia), Erzegovina (Puglia), Samsun (Puglia).

Il tabacco, in genere, viene diviso in base al metodo di cura al quale questo viene sottoposto dopo la raccolta ed al colore delle foglie curate.

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Il numero di semi per grammo è 13-14.000 circa. La semina si effettua in febbraio-marzo, usando 0,20 g di seme per metro quadrato di semenzaio. Da una superficie di 60 mq di semenzaio si ottengono piantine sufficienti per un ettaro di coltura. Le cure nel semenzaio consistono in frequenti irrigazioni, diradamento delle piantine, diserbo e difesa da parassiti animali e vegetali, soprattutto dalla muffa blu. Il trapianto delle piantine avveniva a mano (almeno fino all’arrivo delle macchine trapiantatrici), a fine di aprile e soprattutto nel mese di maggio.La maturazione delle foglie si raggiunge 40-50 giorni dopo la cimatura, avviene dal basso (foglie basilari) verso l’alto (foglie mediane e apicali), e comporta uno schiarimento del colore e la comparsa di macchie giallo-verdastre. La raccolta viene effettuata in foglie, le prime quattro collocate nella parte alta della pianta vengono staccate per prime; le quattro-sei foglie sottostanti vengono raccolte successivamente (ad intervalli di cinque-sette giorni), perché necessitano per la loro posizione di ulteriore luce e calore solare. Il processo di cura a fuoco avviene in autunno, nei mesi di settembre e ottobre; è un procedimento di affumicatura realizzato all’interno di un locale chiuso (forno di cura), sottoposto a calore variabile (bruciando legna di essenze dure, come quercia o rovere) e pervaso di fumo. I locali per la cura sono dotati di sistemi di stendaggio per le filze di foglie, e di prese d’aria per la regolazione dell’umidità durante la cura. Le foglie una volta legate e predisposte in filze su pali di legno, vengono sistemate su apposite travi di sostegno all’interno dei forni. Attraverso un flusso diretto di calore e fumo il Kentucky assume le sue tipiche caratteristiche organolettiche, di lucentezza e conservabilità. Agendo su fattori come temperatura e umidità, il tabacco perde il suo colore verde originale per divenire marrone brillante. La cura a fuoco diretto ha una durata complessiva di 15-20 giorni e si sviluppava in quattro fasi: ingiallimento, ammarronimento, essiccamento della lamina fogliare, essiccamento della costola.Durante l’ingiallimento le foglie di tabacco vengono sospese in un locale in muratura a temperatura ambiente e totalmente al buio. Dopo 3-4 giorni viene acceso il fuoco che scalda l’aria a 28-30°C completando così in 24 ore l’ingiallimento delle foglie. Per l’ammarronimento si alza la temperatura gradualmente fino ad arrivare a 40°C. I fuochi devono essere multipli per evitare di sviluppare calore in una sola zona (generalmente ogni ambiente ha 5 fuochi, dei quali quattro sugli spigoli ed uno al centro). Dopo 4-5 giorni le foglie diventano marroni, morbide e pastose. Quando la foglia è ormai completamente marrone, si procede al disseccamento dei lembi, che avviene mediante l’aumento ulteriore della temperatura fino ad arrivare a 50°C, attivando i processi di fermentazioni in massa che conferiscono profumo e aroma al tabacco. Opportuni controlli dell’umidità evitano fenomeni di surriscaldamento delle foglie che le renderebbero inutilizzabili. Il fumo in questa fase rende le foglie lucenti e di tessuto compatto. Nella fase di essiccamento della costola, della durata di circa tre giorni, la lamina fogliare diventa vitrea e fragile al tatto: il fuoco viene spento e si attende che la foglia torni morbida e pastosa. Il fuoco viene di nuovo acceso per portare gradualmente la temperatura fino a 50 °C e riottenere una lamina di nuovo vitrea. Per disseccare la costola, quindi, si spengono e si riaccendono i fuochi alternando così temperature di 50°c alla temperatura ambiente per 3-4 volte finché la costola non si è completamente seccata. Le foglie curate di kentucky sono ampie, gommose, lucide, di colore marrone, elastiche e resistenti, l’alto contenuto di nicotina (3-6%) conferisce gusto e aroma intensi. Una volta raggiunta l’essiccazione delle foglie di Kentucky, il tabacco seguiva due itinerari diversi: o veniva diviso in fascine e messo in scatoloni da consegnare al committente (che poteva essere lo stesso Monopolio, oppure altri come la Toscana Tabacchi), oppure veniva diviso per gradi di qualità e poi consegnato in COLLI (1 collo = 400 Kg circa) direttamente al Monopolio. Il Kentucky poteva essere di tipo A, B, C1, C2, D1, D2. La divisione in gradi serviva anche a determinare il futuro impiego del tabacco: per fascia, per ripieno e per trinciato. Nell’attività connessa al tabacco, il controllo del Monopolio era molto pesante. Prima del 1970 tale ente aveva un ruolo primario fin dal principio del processo produttivo: lo Stato decideva dove, chi, e in che quantità doveva coltivare la pianta; era un vero e proprio privilegio quello di poter produrre tabacco. La persona che aveva il permesso di essere tabacchicoltore, riceveva una concessione: era pertanto un “concessionario”. Quello di poter coltivare era allo stesso tempo un privilegio e un vincolo: da parte del concessionario c’era la consapevolezza di dover sottostare alle dure regole di coltivazione imposte dal Monopolio, che esercitava un controllo strettissimo, multando severamente ogni inadempienza. Il Monopolio svolgeva, però, anche funzione di assistenza e guida nella coltivazione, poiché gli ostacoli che si opponevano alla diffusione della coltivazione del Kentucky erano notevoli e si concretizzavano nei maggiori immobilizzi di capitale richiesti dalla costruzione dei locali di cura, nel maggior rischio legato al processo curativo e, spesso, nelle maggiori possibilità di scelta colturale esistenti negli ambienti dove si sarebbe dovuta espandere la coltivazione.

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Le origini medievali e la dominazione sveva

Le prime attestazioni documentarie relative all’abitato medievale di San Miniato risalgono ai secoli VIII-IX e vennero rogate in massima parte dalla cancelleria episcopale di Lucca, giacché il territorio sanminiatese era di pertinenza della sede lucchese. Il toponimo Sanctus Miniatus è attestato con sicurezza fin dal 783, anno in cui il presule lucchese Giovanni rendeva ragione dell’edificazione, avvenuta intorno dagli inizi del VIII secolo, ad opera di alcuni aristocratici sempre provenienti da Lucca e di tradizione longobarda (sedici persone, stando al documento), di un oratorio dedicato al protomartire armeno Miniato e posto sul crinale tufaceo, che oggi corrisponde al sito della chiesa sanminiatese di San Francesco. L’oratorio traeva l’intitolazione da un santo particolarmente venerato nella Tuscia dell’epoca e dipendeva dalla pieve di San Genesio, alias “insediamento di Vico Wallari”, che era cresciuto su una fara longobarda nel corso del VI secolo. La pieve di San Genesio rappresentava nella Tuscia del X secolo, un luogo di rilevanza e di antica ascendenza “arimannica”: faceva parte cioè di quel vasto complesso di insediamenti longobardi, a loro volta stratificatisi sui precedenti centri demici romani. San Genesio, come la futura San Miniato, era soggetta all’autorità del vescovo di Lucca. Sicuramente situata in un sito assai felice, anche per quanto concerne le vie di comunicazione poiché risultava compreso tra la strada che conduceva da Pisa a Firenze e la via Francigena nel tratto che univa Lucca a Siena. L’insediamento mantenne saldamente la propria importanza per tutto il XIII secolo e fu sede di importanti diete di popoli, congressi per paci, alleanze e sacri concili.Una struttura fortificata, ultimata nel 999, attribuì all’abitato il nome di “castello”: fu probabilmente Ottone I (962) a scegliere San Miniato come sede del vicariato imperiale della Tuscia, dopo averlo fortificato e cinto di mura, mentre dal secolo XI la città fu sede di un tribunale, di un vicario con scorta armata, nonché di un centro per la riscossione delle gabelle imperiali. Negli anni ‘30 del XI secolo la presenza di Federico Barbarossa si rese assidua: suo interesse primario era il consolidamento del potere imperiale nella regione, che vedeva in San Miniato un centro essenziale per il controllo del contado posto tra Pisa, Firenze, Lucca, Siena e Volterra. San Miniato e la sua rocca entrarono a far parte di quel sistema di controllo che gli imperatori Svevi attuarono in tutta la penisola con una serie di castelli e torri. Parallelamente al definirsi e perfezionarsi delle funzioni di presidio imperiale, San Miniato mutava e perfezionava il suo aspetto architettonico e urbanistico: le nuove fortificazioni finirono per enfatizzare la distinzione tra il borgo abitato, ovvero il castrum e la rocca, ovvero l’incastellatura. La borgata, cioè il castrum accoglieva dunque le nuove classi mercantili e artigianali, che vedevano l’ingerenza dell’autorità imperiale insediata nella rocca. La rocca era infatti destinata alla guarnigione del principe, quella medesima guarnigione che probabilmente depositò sul toponimo la memoria della propria provenienza, come riporta il cronista fiorentino Ricordano Malaspini nella sua “Istoria fiorentina”:

“Messer Romberto Tedesco Vicario dello imperatore Arrigo […] stava con le sue masnade Tedesche in San Miniato al Tedesco [che] fue così soprannominato, perché i Vicari dello Imperatore vi stavano dentro con le loro Masnade.”

Nonostante la fortuna di San Miniato derivasse quasi interamente dall’elezione imperiale a suo caposaldo, i rapporti tra gli ufficiali imperiali e la popolazione non furono affatto sempre stabili. Nel corso del 1100 l’autorità dei vicari imperiali crebbe parallelamente alle difficoltà di tenere sotto controllo le nascenti autonomie feudali e comunali, tanto che nel 1172 si ha notizia di una congiura di alcuni sanminiatesi che, a nome del loro comune, progettarono di tradire l’imperatore per stabilire un’alleanza con Firenze e Pisa. L’episodio era destinato a fallire, ma tali tendenze non erano comunque state sedate; esse erano il segno dell’inizio di un cambiamento radicale: San Miniato si avviava alla completa autonomia e augurava una politica tendenzialmente filo-fiorentina, nel clima di un mutato equilibrio sociale, politico ed economico del panorama toscano. Le prime testimonianze architettoniche risalgono alla fine del XII secolo: il palazzo dei vicari imperiali e la cosiddetta torre di Matilde, poi ridotta a campanile. All’ombra del castello fortificato, eretto a roccaforte politica e amministrativa del basso Valdarno, si era sviluppato il borgo: vero e proprio centro di potere, verso la fine del XII secolo la cittadina doveva essere ben delineata, cinta da mura e brulicante di attività, tanto che una in un bolla del Papa Celestino III del 1195 compaiono ben 8 chiese all’interno dell’abitato. Sebbene non sia propriamente corretto definire il governo di San Miniato a quest’altezza cronologica come “governo comunale” almeno fino agli ultimi decenni del XIII secolo, è certa la presenza di magistrature comunali almeno a partire dal 1197: in quell’anno l’assemblea tenutasi nella vicina San Genesio riunì i rappresentanti dei comuni toscani sotto la protezione di Papa Innocenzo III, per dar vita alla Lega Guelfa, parteciparono anche i due consoli del comune di San Miniato. L’autonomia comunale si dimostrò comunque limitata e contrastata per quasi un altro secolo: gli imperatori non furono mai disposti ad abbandonare una roccaforte così strategicamente collocata su un territorio di frontiera; fu a tale scopo l’imperatore Ottone IV fu a san Miniato nel 1209 confermandovi la sede dell’amministrazione per tutta la Toscana. L’apice del prestigio di San Miniato quale centro di potere imperiale fu l’epoca di Federico II: nel 1217 l’imperatore concesse ai sanminiatesi in perpetuum la proprietà del borgo di San Genesio e, contemporaneamente,

SAN MINIATO: CENNI STORICI

La Toscana annovera, tra le zone ad alta vocazione tabacchicoltifera, numerosi centri di produzione: la Valdichiana, la provincia aretina e l’entroterra senese costituiscono zone in cui la coltivazione del tabacco ha connotato con forza il paesaggio agricolo. Anche la zona del Basso Valdarno, lungo lo spartiacque delle provincie di Pisa e Firenze, si presenta come un’area in cui la tabacchicoltura ha lasciato un’impronta indelebile nella fisionomia rurale, con particolare riguardo per i Comuni di Montaione, Palaia e San Miniato.Almeno fino a qualche decennio fa, proprio il territorio samminiatese vedeva in attività circa trenta strutture adibite alla lavorazione del tabacco, distinte tra tabaccaie propriamente dette e locali di cura, predisposti all’essiccazione del prodotto: la conoscenza di questo territorio risulta dunque fondamentale, anche al fine di individuare i peculiari aspetti di interazione della tabacchicoltura in relazione alle coordinate storiche, sociali ed economiche presenti nel Comune di S. Miniato.

San Miniato è un comune italiano di 28.223 abitanti della provincia di Pisa. San Miniato è un importante centro economico ed industriale calato nel distretto industriale del Comprensorio del Cuoio, zona ad alta concentrazione di industrie manifatturiere; la città tuttavia non si è mai definitivamente votata all’industrializzazione ed ha mantenuto inalterata una vocazione agricola, come testimonia uno dei prodotti più celebri del territorio: il tartufo bianco di S. Miniato.Situato su un colle in posizione strategica, il paese è punto di snodo tra il Valdarno e la Valdelsa: proprio questa posizione ottimale, idealmente a metà strada tra Firenze e Pisa, ne favorisce l’attitudine turistica.San Miniato prende il nome dall’omonimo martire cattolico cui era dedicato un antico oratorio: rimangono tuttavia oscure le ragioni che contribuirono alla definizione del nome. Qualche ipotesi invece rimane su come sia stato aggiunto il ben noto appellativo di San Miniato “al Tedesco”: esso potrebbe infatti risalire a re Desiderio, il più antico regnante, o a Ottone I – che così iniziò a chiamare un suo vicario -, o ancora a Federico I Barbarossa, a Federico II, a Carlo V e all’arciduchessa Maria Maddalena, che dal 1620 al 1631 ne volle essere protettrice ufficiale al punto da ottenere che la città divenisse sede vescovile nel 1622. Non è tuttavia improbabile che l’aggiunta sia stata originata – ed in seguito divenuta consuetudinaria – per distinguere il paese del Valdarno dal poggio di San Miniato, sovrastante Firenze e detto appunto “San Miniato a Monte”.Lo stemma rappresenta un’antica arme raffigurante una leonessa armata di spada, argentea in campo rosso, forse a simbolo del martirio del santo patrono, esposto nel circo alle fiere e quindi decapitato. Alcune volte l’antico stemma porta le insegne degli Angioini.

Cenni antichità’ etrusco-romana

Che il bacino dell’Elsa, comprendente Il territorio dei comuni di Castelfiorentino, Certaldo, San Gimignano, Barberino, Gambassi, Poggibonsi, Colle Val d’Elsa, Casole, Monteriggioni, e gran parte di quelli dei comuni di San Miniato, Empoli, Montaione, Montesertoli, Tavarnelle val di Pesa, Castellina in Chianti e Sovicille, fosse abitato fin dai primoridi della civiltà di Toscana, è documentato da una serie di materiali di età preistorica, venuti via via alla luce. I numerosi reperti archeologici rinvenuti nel territorio di San Miniato dimostrano come etruschi e romani lo avessero fittamente abitato: lo testimonia una necropoli di circa 48mq, ricca di reperti (vasi di argilla, olle funerarie di forma ovoidale, utensili in bronzo e vetro e monete consumate dall’ossido). Si tratta dunque di un primo centro urbano non lontano dall’antica Via Clodia - poi Romea -, che dalla Valdelsa passava sotto San Miniato tagliando l’Arno presso Fucecchio e proseguendo per la Lunigiana.Il ritrovamento di una necropoli etrusca in località Fontevivo (nel 1934) ai piedi del colle verso l’Arno, nonché il rinvenimento di altri materiali - su tutti, una statua di marmo acefala e raffigurante una divinità femminile etrusca del III secolo a. C., rinvenuta in località Montappio - documentano la presenza etrusca, insediatasi tra l’attuale abitato e l’Arno. Ancora più consistenti le testimonianze romane: la testa di un imperatore, tracce di mosaici in una villa in località Montecalenne, ruderi di terme presso Fonti alle Fate; sono attestate anche molteplici iscrizioni di epoca augustea, nel quadro di un materiale numismatico ed epigrafico assai rilevante: tutto fa pensare all’esistenza di un borgo etrusco e poi romano sulle pendici dei colli, a breve distanza e in posizione dominante rispetto ai porti fluviali sull’Arno e sull’Elsa, entro una direttrice atta al trasporto insieme fluviale e terrestre. Non è da escludere la presenza, in prossimità dell’attuale rocca, di un castrum romano a controllo del territorio. Altri ritrovamenti nel territorio limitrofo risalenti per lo più all’età repubblicana e imperiale (tra il secolo I a. C. E il II secolo d. C.) nelle località di Balconevisi, La Catena, Montebicchieri e Stibbio, avvalorano l’ipotesi della centuriazione romana del Valdarno avvenuta tra il 41 e il 27 a. C., con l’assegnazione delle terre ai veterani da parte dell’imperatore Augusto.

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sulla strada e una considerevole profondità (3-4 metri in facciata contro i 9-12 metri in lunghezza). Agli albori del XIV secolo San Miniato si presenta finalmente come un comune autonomo, con ordinamenti guelfi, dotato di uno statuto che la rendeva una sorta di piccola “citta-stato”, con un’organizzazione molto complessa e definita fin nei minimi dettagli. La forma comunale stabilita garantiva tranquillità interna, prestigio e indipendenza dall’esterno (diversi patti ed alleanze avevano definito i confini comunali). Il comune era formalmente retto da un podestà straniero e guelfo, garante degli ordinamenti e dell’esatta applicazione delle leggi. La guarnigione militare era guidata da un Capitano del popolo anch’esso forestiero. Ma il reale potere comunale era gestito da tre organismi assembleari e rappresentativi: il Consiglio del popolo,vero e proprio parlamento in grado di legiferare, la Società di Giustizia, istituita a difesa dei diritti popolari e del comune, e i Signori Dodici, eletti dal consiglio e che avevano incombenze e poteri esecutivi e di amministrazione degli interessi comunali. Alla base di questi organismi rappresentativi stava una meticolosa suddivisione dell’abitato e dei relativi abitanti nei tre antichi terzieri e in sette contrade (Poggighisi, Santo Stefano, la Pieve, Fagognaga, Fuoriporta, Pancole, Sant’Andrea). Ogni contrada aveva insegne proprie ed era retta da due sindaci e un pennoniere. La maggiore espansione territoriale è stata raggiunta solo a metà del XIV secolo, quando del contado di San Miniato facevano parte numerose terre e castelli, ad esempio: San Romano, Collebrunacchi, Calenzano; Montebicchieri; Montaione, Moriolo, San Giovanni a Corazzano, Corniano, Stibbio, Cigoli, Castelfalfi, che coincide più o meno con l’espansione comunale odierna. Questo fu per la città un periodo assai fiorente: il borgo si presentava come completamente cinto da fortificazioni e al suo interno continuavano a sorgere non solo abitazioni e torri private, ma anche e soprattutto edifici civili e religiosi. Sono databili a questo periodo la chiesa e il convento di San Domenico, monumento architettonico più ricco della città, non solo per la posizione assolutamente centrale, ma anche per le opere d’arte in essi contenute. Più antichi invece, appartenenti al romanico sanminiatese, il duomo di Santa Maria coi bacini ceramici e la Pieve di San Giovanni a Corazzano, e successivo il convento di San Francesco, bell’esempio di gotico, costruito al di sopra del primitivo oratorio di San Miniato al Quarto.Negli anni ‘60 del 1300, il territorio sanminiatese divenne campo di battaglia nella guerra tra Pisa e Firenze e quindi la città si schierò a favore dei fiorentini. Una volta sconfitta Pisa, le mire espansionistiche di Firenze non accettarono di buon grado l’indipendenza sanminiatese e la costrinsero alla sottomissione nel 1370, quando perse anche l’appellativo “al tedesco”, che conservava troppi rimandi ghibellini. Le conseguenze della sottomissione furono tragiche: gran parte della fortuna della cittadina si era fondata sulle gabelle sulle merci in transito lungo le strade principali del territorio, che vennero soppresse, così come tutta la classe dirigente e imprenditoriale, che venne decapitata. I tentativi di liberarsi furono numerosi, soprattutto nei primi trent’anni, dal 1402 al 1432, dopodiché la città si piegò al volere fiorentino per circa un secolo. Lutti e distruzioni furono protagonisti indiscussi degli anni tra il 1527 e 1530, la popolazione fu decimata da una gravissima epidemia di peste. Nel 1529 infatti, Carlo V non incontrò quasi nessuna resistenza nell’assediare la città. Il progetto dell’imperatore era infatti quello, condiviso dal papa Clemente VII, di riportare i Medici a Firenze. La città di San Miniato, stremata dall’epidemia, fu quindi anche saccheggiata e sottomessa. La città divenne definitivamente dominio dei Medici, nonostante il tentativo di riconquista di Francesco Ferrucci, che ebbe esito positivo, ma davvero breve durata. Ugolino Grifoni, segretario e ispiratore di Cosimo I de’Medici, fu l’esempio di come i sanminiatesi cercarono di guadagnarsi i favori dei principi toscani, e di come la vita sotto il loro governo trascorresse tranquilla. Ugolino Grifoni costruì una notevole fortuna economica, che manifestò nella costruzione di tre diversi edifici, due dei quali a San Miniato: una galea, la “Grifona”, per l’ordine di Santo Stefano e due splendidi palazzi, dei quali uno in Via dei Servi a Firenze. Tra il ‘500 e il ‘600 San Miniato assistette ad un rinnovamento edilizio, a cui le costruzioni di Ugolino avevano dato il via e la tipica impronta che si ispirava all’arte manieristica fiorentina. Il tessuto urbano e architettonico della città furono profondamente segnati da queste modifiche e trasformazioni che riguardarono in gran parte edifici privati e non pubblici. Le uniche eccezioni furono infatti i monasteri di Santa Trinita e della Santissima Annunziata ed il Convento dei Cappuccini, che presentano uno stile architettonico particolarmente elevato ed erudito, figlio delle scuole umanistiche fiorentine. Oltre a palazzo Grifoni vennero costruiti anche i palazzi Roffia, Buonaparte, Ansaldi, Formichini e Piccolo.

Maria Maddalena d’Austria, la creazione della Diocesi e Napoleone Bonaparte

Particolarmente influente fu la presenza dell’arciduchessa Maria Maddalena d’Austria, che governò il vicariato dal 1620 al 1631, dopo la morte del marito, il Granduca Cosimo II. Fu proprio grazie al suo interessamento che nel 1622 papa Gregorio XV emise la Bolla relativa all’istituzione della diocesi e San Miniato, non solo divenne diocesi ma conseguì anche il titolo di “città”. La nuova Diocesi comprendeva 118 parrocchie, con 19 pievi e le Collegiate di Fucecchio, Santa Croce sull’Arno, Castelfranco di Sotto e Santa Maria a Monte, 13 conventi maschili e 10 monasteri femminili. Questo cambiamento influì notevolmente sulle sorti del territorio, destinato diversamente ad un futuro marginale e periferico, e che fu invece motivo di attrattiva per uomini di grande levatura morale.

ordinò la deviazione della strada tra Firenze e Pisa, che “avrebbe dovuto attraversare per intero il territorio di San Miniato” e che costituì la rovina del borgo, il cui processo di decadenza, iniziato nel XII secolo già per la deviazione dell’itinerario valdelsano della via Francigena, si accelerava nell’isolamento in cui veniva gettato a causa di questo ultimo spostamento.Nel 1236, un atto notarile testimonia Il trasferimento a San Miniato del fonte battesimale e del cimitero, nonché dell’abitazione del proposto: il borgo di San Genesio era ormai in rovina.Si deve sempre a Federico II il rifacimento dell’architettura militare del castello: nel 1220 è a San Miniato il cancelliere del re, che seguì l’andamento della ristrutturazione del castello e la costruzione della nuova torre già documentata nel 1223, quando viene usato il termine cassero per indicare ovviamente qualcosa di nuovo e di diverso rispetto all’antico castello di San Miniato. Nel 1226 fu lo stesso Federico II a soggiornare nella cittadina con il seguito della sua corte itinerante. Svariati furono i soggiorni di Federico II, che utilizzò le nuove strutture del cassero come prigione di stato: la tradizione vuole che anche Pier delle Vigne, notaio e uomo di fiducia dell’imperatore svevo, ricordato da Dante nel XIII Canto dell’Inferno della Divina Commedia, trovasse qui la morte nel 1249. Tra il 1226 e il 1240 fu ampliato anche il palazzo imperiale, che doveva essere una massiccia struttura poligonale in laterizio, scandito da una corte interna di forma trapezoidale e presidiato a nord da una torre (la torre di Matilde), appunto a pianta quadrata, che è divenuta poi la torre campanaria del duomo. Grazie a Federico II anche l’attuale duomo, la chiesa di Santa Maria, situata in prossimità del palazzo, acquisiva una nuova veste architettonica: in quegli anni assunse la volumetria e le caratteristiche architettoniche che conserva ancora oggi, ponendosi quale bell’esempio di romanico valdelsano a tre navate, con transetto e tribuna rettilinei. Sembra che lo specifico dell’intervento federiciano sia da ravvisare nell’ordinata teoria degli splendidi bacini ceramici che adornano la facciata. Si tratterebbe di trentadue bacini provenienti dal mondo arabo, quasi sicuramente dall’Africa del nord, che vanno a comporre un ordinato disegno geometrico. Mentre il castello-fortezza dominava e controllava l’Italia centrale, intorno gli abitanti del borgo si davano sempre di più la struttura di “libero comune”, guardando di non staccarsi troppo dalla protezione imperial-ghibellina. È in quest’epoca che iniziano a delinearsi le famiglie che per secoli avrebbero guidato la politica e l’economia sanminiatesi: i Ciccioni, i Mangiadori, i Bonincontri, i Malpigli, i Borromei, i Buonaparte, i Collegalli. L’autonomia comunale doveva sempre e comunque fare i conti con l’autorità imperiale: i rari tentativi di affrancazione o di politica autonoma ebbero breve durata: nel 1227 e nel 1232 i sanminiatesi firmarono alleanze con la guelfa di Firenze, ma pochi anni dopo, nel 1240 Federico II, venuto nel castello, ordinò la distruzione di tutte le torri del borgo abitato ribadendo chi era davvero al comando. L’unico episodio di vera indipendenza fu forse la distruzione definitiva della vicina San Genesio, un tempo temibile concorrente, ma ormai in disastroso declino. La distruzione del borgo portò alla sua completa scomparsa, solo gli scavi archeologici, iniziati nel 2001 e non ancora terminati, stanno portando alla luce i resti dell’antico borgo medievale. Si data infatti alla metà del VII secolo la costruzione della pieve alto-medievale, un edificio di dimensioni eccezionali (36m x 17.5m) triabsidato, che nel corso del XI secolo viene dotato di cripta e ampliato con l’aggiunta di una campata in facciata. Nello stesso periodo venne costruito anche un grande chiostro sul lato settentrionale della chiesa, mentre tutto intorno si va formando un abitato fatto di case con pareti di terra, destinato ad essere successivamente distrutto dagli abitanti del castello di San Miniato, appunto nel 1248.

L’autonomia comunale e la dominazione fiorentina

Successivamente alla morte dell’imperatore, la città di San Miniato partecipò alla lega guelfa contro Pisa e alla presa definitiva del castello di Montebicchieri, ma ben presto si schierò dalla parte avversaria, divenendo una delle principali roccaforti ghibelline in tutta la Toscana. Ciò le permise di ottenere benefici e franchigie dall’imperatore Manfredi e all’interno di essa si rifugiarono anche molti fiorentini fuoriusciti. In seguito alla disfatta della Meloria nel 1284, che vide la sconfitta di Pisa, San Miniato da sola non fu più in grado di sostenere le sorti ghibelline toscane e nel 1290 i vari imperiali scomparvero del tutto dalla città. Nel 1295 si può definire concluso ogni vincolo tra la città e l’impero e di conseguenza anche il ruolo della città come centro del potere imperiale. San Miniato a fine del XIII secolo aveva già assunto le connotazioni che ha mantenuto fino al giorno d’oggi: si presentava come un piccolo borgo fortificato, contornato da una solida cinta muraria e dominato dall’imponente sagoma della rocca federiciana. L’espansione del costruito, così come in gran parte dei borghi medievali, segue principalmente l’andamento delle curve di livello, piuttosto che rigide e preordinate regole di pianificazione urbanistiche, e conferisce un aspetto armonioso, nonostante sia stato ottenuto combinando funzionalità degli spazi e natura del suolo. L’abitato si sviluppa in lunghezza seguendo per quasi tutto il suo sviluppo la linea di crinale. Su questo lungo tratto stradale, principale asse cittadino, si succedono i tre terzieri sanminiatesi (le fonti citano questa suddivisione già nel 1281): “Fuoridiporta”, più a occidente, “Castelvecchio”, quello più antico, che costituiva tutto il nucleo centrale della città ed infine “Poggighisi”, nel settore orientale della città. Ognuno di questi settori, ben compartimentato e fortificato, funzionava come una piccola cittadina a se’ stante: ognuno di essi, oltre alle abitazioni, era dotato anche di porte, fortificazioni proprie, ma anche chiese ed ospedali. L’abitazione tipo aveva un breve fronte

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I DIVERSI AMBITI TERRITORIALI“In Toscana i diversi caratteri del territorio rurale, così come sono stati tramandati dalle precedenti generazioni, costituiscono la matrice fondamentale di un paesaggio fortemente riconoscibile ed in gran parte coincidente con l’immagine stessa della regione. Questo non significa certo che il paesaggio toscano sia dotato di omogeneità, al contrario, la grande ricchezza dei territori toscani risiede nella differenza, ovvero nella diversa combinazione evolutiva di fattori naturali ed antropici e nella percezione degli stessi da parte delle popolazioni locali.Certamente si riconosce al territorio rurale un ruolo fondamentale nella costruzione storica del paesaggio toscano e proprio per questo oggi la conservazione dei sui diversi caratteri è garanzia del mantenimento dei fattori produttivi agricoli e dei valori del paesaggio da esso generato.Il mantenimento delle prestazioni del territorio rurale può, quindi, generare economie fondate da un lato sul mantenimento e lo sviluppo produzioni agro-alimentari di eccellenza e dall’altro sulla fruizione turistica dei territori a forte connotazione paesistica. A livello comunale, oltre alla concentrazione del patrimonio storico-culturale nel centro di San Miniato ed in alcuni borghi collinari, si riscontra la presenza di un patrimonio edilizio di matrice rurale integro sotto il profilo identitario costituito da una rete di poderi, alcuni dei quali pienamente aderente ai modelli leopoldini, dai nuclei rurali sorti attorno alle grandi fattorie come nel caso di Castellonchio o di Palagio e dal sistema delle tabaccaie.La ruralità dei territori toscani si fonda su una matrice morfologica prevalentemente collinare in cui l’opera dell’uomo ha inciso profondamente modellando i suoli per usi agricoli e costruendo una struttura insediativa diffusa funzionale alla conduzione dei fondi. Questo sistema insediativo composto da ville, fattorie, pievi, borghi rurali, poderi, è testimone di una organizzazione spaziale del territorio riconducibile al sistema della mezzadria che ha interessato gran parte della Toscana centrale e interna a partire dal 1400 fino al dopoguerra. Questa forma di organizzazione, oltre a regolare i rapporti economici tra proprietari e conduttori, ebbe notevoli ricadute sotto il profilo della “strutturazione” dello spazio rurale.Nel territorio della piana, seppur persistano tipologie significative (leopoldine e case isolate con colombaie e profferlo), queste complessivamente risultano alterate dal punto di vista del loro uso rispetto alla funzione per la quale erano state realizzate ovvero l’attività agricola. La funzione di residenza civile si è progressivamente sostituita a quella rurale e questo ha comportato una modifica degli assetti delle pertinenze e del sistema dell’accessibilità, anche per effetto congiunto del recente processo di infrastrutturazione dell’asse Pisa- Firenze.Permane, tuttavia, la matrice territoriale fondata sulla trama leopoldina su cui si è sviluppato l’insediamento sparso fatto di poderi e case isolate, da alcuni nuclei rurali (Castellonchio) ed opifici (mulino di Capocavallo e le Tabaccaie) quali capisaldi dell’organizzazione territoriale.”

Questo estratto, dall’allegato al Quadro Conoscitivo del Piano Strutturale redatto dal comune di San Miniato nel 2005, che porta il nome di “Territorio rurale e paesaggio”, sottolinea l’importanza che il territorio rurale riveste per l’amministrazione comunale. Il Piano Strutturale suddivide l’area comunale in territori aperti e insediamenti antropizzati. Per quanto riguarda gli insediamenti possiamo riconoscere i centri storici (San Miniato e i centri minori), gli ambiti a dominante utilizzo residenziale e gli ambiti a dominante utilizzo industriale-artigianale. L’area comunale non antropizzata, definita come territorio rurale, ovvero un’area a esclusiva o prevalente attività agricola, invece, è stata suddivisa in sette diversi ambiti territoriali, per ognuno dei quali vengono specificate caratteristiche morfologiche, viabilità, insediamenti e risorse identitarie di valore paesaggistico e/o ecologico.Il riconoscimento di questi contesti paesistici locali è avvenuto attraverso l’integrazione critica dei sistemi di permanenze storiche significative, delle configurazioni ecologiche del paesaggio, degli ambiti funzionali del paesaggio e delle risorse sociali e simboliche che danno forma specifica e riconoscibile alle identità locali, mettendo in evidenza le più significative identità interne al territorio.Questi ambiti territoriali sono: ARNO, PIANE, COLLE DI SAN MINIATO, EGOLA, ELSA, COLLINE INTERNE, COLLINE OCCIDENTALI.

La supremazia vescovile significò anche un nuovo cambiamento architettonico e urbanistico, che regalò alla città un nuovo indispensabile seminario per la formazione dei sacerdoti, fondato nel 1650, ma che continuò ad ampliarsi (fino ad occupare l’intero fronte sulla piazza, oggi Piazza del Seminario) fino alla fine del secolo. La facciata principale fu adornata con medaglioni dipinti e massime educative. Nel 1717 fu anche dato il via alla costruzione della chiesa del Santissimo Crocifisso, per un voto fatto dai sanminiatesi per essere quasi del tutto scampati alla pestilenza del 1631. Nello stesso periodo fu anche ampliato e restaurato il palazzo comunale, e la necessità di nuovi uffici per le accresciute esigenze amministrative, portarono alla soppressione del cortile e alla soprelevazione dei volumi. Alla fine del ‘700, quando i Lorena subentrarono ai Medici, molte istituzioni religiose e civili vennero riformate: molte compagnie e confraternite vennero soppresse, così come gran parte degli ospedali presenti nella città, che vennero sostituiti da un nuovo ente che li riunisse. Il XVIII finì nel segno delle rivoluzioni, nel1796 Napoleone Bonaparte fece visita alla cittadina e il suo passaggio risvegliò gli animi dei giacobini sanminiatesi, che nel 1799 proclamarono la Repubblica e distrussero tutte le insegne regali e aristocratici. Si dice che Napoleone si fosse recato in città in visita al canonico Filippo Bonaparte, per visionare alcune carte relative ad antenati comuni. Ad ogni modo, se tanto rapida fu la rivoluzione, tanto rapida fu anche la controrivoluzione: un mito sanfedista costrinse solo un mese dopo i giacobini alla fuga. Gli anni successivi non furono assolutamente tranquilli, ma caratterizzati da instabilità politica fino al 1808, quando San Miniato cadde, insieme alla Toscana sotto l’Impero Francese.

Eta’ contemporanea

A seguito del Congresso di Vienna, nel 1814, le vecchie magistrature granducali vennero ripristinate, tuttavia San Miniato faticò molto a risollevarsi e difficile fu il tentativo di riacquistare l’antico splendore, almeno fino all’epoca di Leopoldo II, grazie al quale si concretizzarono novità favorevoli. Il merito va conferito anche ai cittadini stessi, soprattutto alcuni di loro, che si distinsero per la loro levatura morale: Pierazzi e Bagnoli, che nel 1822 costituirono l’Accademia degli Euteleti, e successivamente la fondazione della Cassa di Risparmio di San Miniato. L’accademia, una società scientifico-letteraria, prese il nome proprio di “Accademia degli euteleti”, ovvero uomini di buona volontà. La Cassa di Risparmio sorse invece nel 1831. Numerose le opere pubbliche, tra le quali la costruzione della stazione ai piedi della collina nel 1846, che diedero luce al nuovo vigore della vita sociale, economica e culturale, promossa proprio dalla nascita di queste due importati associazioni. Durante le due guerre di indipendenza, i sanminiatesi si schierarono prima a favore del granduca, poi nel 1859 aderirono al governo provvisorio toscano e quindi nel 1860 un plebiscito permise l’annessione al Regno di Sardegna. Nel corso della seconda metà dell’800, furono molti i personaggi illustri che vivacizzarono la vita sociale, culturale e politica della città. Tra questi ricordiamo Giosuè Carducci, che a San Miniato ottenne il suo primo incarico di insegnamento presso il Ginnasio. L’unico cambiamento di rilievo è sicuramente avvenuto a partire dal 1925, quando, a causa del consolidamento della provincia di Livorno, San Miniato passò dalla provincia di Firenze a quella di Pisa. In quegli anni la città è ancora prevalentemente agricola, con alcune personalità di spicco e una numerosa borghesia che si occupa del settore dei servizi. Gli anni ‘30 furono invece contraddistinti dai morsi di una crisi che non risparmiò nessuno. Non a caso le opere pubbliche finanziate dalla Cassa di Risparmio, in onore del suo primo centenario, furono proprio un orfanotrofio maschile e un blocco di case popolari situate nei pressi della stazione ferroviaria di San Miniato-Fucecchio. La seconda guerra mondiale colpisce duramente il comune, distruggendo o danneggiando gravemente oltre il 50% delle abitazioni, non risparmiando neppure antichi e prestigiosi monumenti come la Rocca federiciana, abbattuta dai tedeschi nel 1944 e ricostruita poi nel 1959. Da ricordare è anche la strage, avvenuta nel Duomo, causata da una granata alleata che penetrò per errore nella chiesa dove I tedeschi avevano radunato gran parte della popolazione.Terminata la guerra iniziò la lenta e faticosa opera di ricostruzione di tutti i settori della via sociale, economica e culturale. L’Istituto del Dramma Popolare, sorto nel 1947 con il programma di rappresentare moderni testi teatrali ad alto contenuto spirituale, sta a testimoniare in modo emblematico questa forte volontà di rinascita. Dagli anni ‘50 in poi si è assistito al crescente sviluppo industriale, particolar modo nel settore conciario, del territorio della piana dell’Arno, con il parziale spopolamento delle campagne e lo sviluppo di frazioni situate vicino al fiume. Tra queste Ponte a Egola ha avuto un ruolo decisivo nell’economia del territorio: è proprio qui che l’industria conciaria ha avuto un ruolo decisivo, tanto forte da assumere importanza anche a livello nazionale. San Miniato ha comunque mantenuto la sua importanza nel settore amministrativo e dei servizi e il turismo è senza dubbio uno dei principali fattori di pregio.

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1 – Arno

Il segno identitario dominante che da secoli caratterizza questo territorio è il corso del fiume Arno con le relative fasce riparali e il paesaggio fluviale di pertinenza. L’immaginario del fiume si è trasformato nel corso dei secoli ed è oggi fortemente associato dalle popolazioni locali al rischio ambientale di inondazioni e allagamenti. La realizzazione del bacino di Roffia e la sua fruizione legata ad attività sportive d’acqua e del tempo libero hanno favorito in parte il recupero del rapporto tra la popolazione locale e il fiume. Si ritiene, pertanto, che obiettivi di valorizzazione dell’immaginario del fiume siano conseguibili attraverso interventi di riqualificazione ambientale e paesaggistica legati alla riduzione del rischio idraulico e alla promozione di funzioni collettive a scala locale e sovra-locale.Morfologia: il contesto si identifica con la porzione della pianura alluvionale dell’Arno posta in riva sinistra del fiume. Si tratta del comprensorio pianeggiante delimitato a nord dal fiume, ad est dal tratto terminale dell’Elsa, a sud dal tracciato della ferrovia nel settore occidentale e da un tratto della strada comunale Ontraino nel settore orientale, fino alla frazione di Roffia.Uso del suolo e vegetazione: il territorio è sottoposto a colture di tipo seminativo, a cui si interpongono vigneti e, più raramente, pioppeti ed oliveti di piccola estensione; elementi caratteristici del paesaggio sono i salici rossi e i salici da vimini sparsi. A causa dell’espansione degli insediamenti urbani ed industriali, nel settore occidentale l’area agricola si fa più discontinua e meno estesa e permane con diversi lembi nelle aree non ancora edificate. Insediamenti: frazione di San Donato (settore occidentale); edilizia rurale isolata sparsa.Viabilità: il settore occidentale è attraversato in senso nord-sud dalla S.P. n.44 che si sviluppa a partire dallo svincolo della superstrada FI-PI-LI a sud, attraversa la frazione di San Donato e prosegue verso Santa Croce a nord, rappresentando l’unico attraversamento del fiume Arno nel tratto compreso entro i confini comunali; la via Arginale Est, individuata tra i tracciati storici strategici di piana, costituisce il limite orientale del settore ed il tracciato ferroviario FI-PI ne costituisce il limite meridionale. Il contesto, nel settore orientale, è caratterizzato dalla permanenza di una fitta maglia interpoderale di matrice storica. Risorse identitarie di valore paesaggistico e/o ecologico: fabbricati rurali isolati di valore storico-architettonico-testimoniale; viabilità interpoderale di matrice storica; corridoio fluviale dell’Arno; corridoi ecologici di potenziale collegamento tra le aree collinari boscate e il fiume Arno (tratto finale dei rii Pinocchio e Dogaia); bacino artificiale del Roffia. A livello comunale, oltre alla concentrazione del patrimonio storico-culturale nel centro di San Miniato ed in alcuni borghi collinari, si riscontra la presenza di un patrimonio edilizio di matrice rurale integro sotto il profilo identitario costituito da una rete di poderi, alcuni dei quali pienamente aderente ai modelli leopoldini, dai nuclei rurali sorti attorno alle grandi fattorie come nel caso di Castellonchio o di Palagio e dal sistema delle tabaccaie.La ruralità dei territori toscani si fonda su una matrice morfologica prevalentemente collinare in cui l’opera dell’uomo ha inciso profondamente modellando i suoli per usi agricoli e costruendo una struttura insediativa diffusa funzionale alla conduzione dei fondi. Questo sistema insediativo composto da ville, fattorie, pievi, borghi rurali, poderi, è testimone di una organizzazione spaziale del territorio riconducibile al sistema della mezzadria che ha interessato gran parte della Toscana centrale e interna a partire dal 1400 fino al dopoguerra. Questa forma di organizzazione, oltre a regolare i rapporti economici tra proprietari e conduttori, ebbe notevoli ricadute sotto il profilo della “strutturazione” dello spazio rurale.

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2 – Piane

Il contesto coincide con i territori compresi tra la fascia insediativa sviluppatasi lungo la Tosco Romagnola e l’ambito dell’Arno. La fertilità dei suoli, derivante dalla natura alluvionale, è sempre stata utilizzata per finalità agricole fino a quando l’ascesa dell’attività manifatturiera legata all’industria del pellame ha richiesto nuovi spazi sottraendoli all’agricoltura soprattutto nella parte più prossima alla SS Tosco Romagnola. Ciò ha generato una frammentazione del paesaggio agrario originario del quale permangono, tuttavia, alcuni valori riconoscibili nell’organizzazione spaziale degli insediamenti rurali, nelle trame agrarie e nei segni della centuriazione che, nella loro fragilità, appaiono comunque un patrimonio prezioso da salvaguardare. L’identità dell’ambito, oggi fortemente compromessa, potrà essere recuperata attraverso strategie mirate al mantenimento dell’attività agricola, alla valorizzazione dei segni storici sedimentati e alla riduzione dell’impatto paesaggistico delle aree industriali e delle grandi infrastrutture viarie.Morfologia: vasto territorio pianeggiante e coltivato della pianura alluvionale dell’Arno delimitato a nord dall’ambito “Arno”, a sud e ad ovest dalla strada statale Tosco Romagnola e dagli insediamenti urbani e industriali, ad est dal tratto terminale della valle dell’Elsa.Uso del suolo e vegetazione: il territorio è sottoposto a colture di tipo seminativo, a cui si interpongono frequenti vigneti anche di rilevante estensione, pioppeti e più raramente oliveti e frutteti di piccola estensione. Nel settore centrale l’area agricola si fa più discontinua e meno estesa fino ad assumere un ruolo marginale e residuale al confine con le aree urbanizzate.Insediamenti: la porzione occidentale si identifica con i centri urbani di San Romano e Ponte a Egola; lungo la S.S. Tosco Romagnola si sviluppa la ‘città nastro’, articolata nei centri urbani di La Catena, San Miniato Basso e La Scala. Nelle aree comprese tra i centri abitati della ‘città nastro’ e la superstrada FI-PILI si sviluppano le aree produttive. Sono presenti inoltre, al confine con l’ambito ‘Arno’ le due frazioni minori di Roffia e Isola. Tra i nuclei di matrice rurale si rileva la presenza del nucleo storico di Castellonchio e di ville, poderi ed edilizia rurale isolata sparsa.Viabilità: il contesto è attraversato in direzione est-ovest dal tracciato ferroviario FI-PI e, nella porzione orientale, dalla superstrada FI-PI-LI; il viale Marconi (fuori comune via Francesca), che corrisponde ad un tratto dell’antico tracciato della via Francigena, attraversa il settore centrale in direzione nord-ovest – sudest. È presente in tutto l’ambito una fitta rete di mulattiere e tracciati interpoderali di matrice storica; di notevole interesse il tracciato della S.P. n.40 Isola-San Miniato ed un tracciato storico secondario ad essa parallelo, che ripercorrono la direzione degli assi centuriali romani.Risorse identitarie di valore paesaggistico e/o ecologico: In questo ambito, investito pienamente dalle pratiche mezzadrili, si concentra il più alto numero di poderi ed un consistente numero di fabbricati rurali isolati dei quali circa la metà continuano ad essere utilizzati per finalità agricole, mentre l’altra metà ha subito il processo di progressiva conversione in civile abitazione, anche in risposta all’esigenza di riunione dei nuclei familiari, apportando interventi non pienamente coerenti coi caratteri propri dell’edilizia rurale. Tali fabbricati, per lo più ancora utilizzati in maniera permanente, risultano in gran parte parzialmente integri sotto il profilo fisico a causa di manomissioni e aggiunte determinate dal fenomeno sopra descritto e con livelli di efficienza funzionale assai ridotti: solo 1 podere e 2 fabbricati isolati continuano ad essere utilizzati come residenze rurali. Rilevante è pure la quantità di patrimonio in stato di abbandono (12 casi su 31, tra poderi e case isolate) che, seppur parzialmente integri sotto il profilo fisico, sono stati completamente dismessi a seguito della contrazione dell’attività agricola che si è registrata soprattutto negli anni Settanta. La fattoria di Castellonchio è l’unico nucleo rurale della pianura, generatore di un sistema di poderi e di case coloniche che ad esso facevano riferimento. E’ un complesso di indubbia rilevanza da tempo in stato di abbandono, parzialmente integro e naturalmente con efficienza funzionale nulla. Il mulino di Capocavallo, inserito all’interno di un podere, è l’unico edificio specialistico, legato alla trasformazione delle produzioni cerealicole, ancora attivo e che ha conservato nel tempo la sua integrità fisica. La coltivazione del tabacco, che negli anni ‘50 e ‘60 aveva trovato nella manodopera locale il presupposto per il suo sviluppo, ha lasciato in sul territorio di San Miniato una consistente quantità di opifici impiegati per l’essiccazione di questo prodotto. In pianura sono ancora riconoscibili tre strutture dal tipico profilo basilicale che pur mantenendo integro il proprio aspetto esteriore sono completamente svuotate della propria funzione, da tempo dismessa, per essere impiegate come depositi o addirittura non utilizzate. Per la natura simbolica, legata ad una tradizione economico-produttiva ma anche sociale, a tali strutture il piano attribuisce il valore di rilevanza. La rete delle mulattiere e dei tracciati poderali di matrice storica; tracciati storici in corrispondenza degli assi centuriali; presenza di corridoi ecologici di potenziale collegamento tra le aree collinari boscate e il fiume Arno nel loro tratto finale (rio San Bartolomeo, rio Pinocchio, rio Dogaia).

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3 – Colle di San Miniato

Il territorio del colle si caratterizza per l’elevato valore figurativo, evocativo e simbolico dovuto alla sostanziale permanenza dei tracciati, delle strutture insediative storiche e delle trame agricole, all’integrità delle relazioni tra morfologia e assetti agro-forestale e insediativo e alla presenza dell’emergenza storica e simbolica del centro di San Miniato sul crinale sommitale. Il valore del colle è da tutelare e salvaguardare attraverso il mantenimento delle risorse identitarie esistenti, la riqualificazione di quelle compromesse e lo sviluppo sostenibile delle sole opere di infrastrutturazione che non alterino in modo irreversibile i profili di identità riconosciuti.Morfologia: crinale principale di San Miniato che si sviluppa con andamento prevalentemente continuo in direzione est-ovest; sistema dei crinali secondari e delle incisioni vallive dei rii minori che si diramano a pettine a partire dal crinale principale di San Miniato e degradano a nord verso la pianura alluvionale, a sud verso la valle stretta del rio di San Maiano e la valle dell’Enzi e ad ovest verso la valle dell’Egola.Uso del suolo e vegetazione: i versanti caratterizzati da forti pendenze sono mantenuti a bosco; i versanti meno acclivi sono coltivati con un’alternanza di oliveti, vigneti e seminativi. Nelle porzioni occidentale e centrale prevale la coltivazione ad oliveto, caratterizzata da appezzamenti di piccola estensione; la porzione orientale si differenzia per la presenza di appezzamenti di maggiore estensione coltivati prevalentemente a vigneto. Insediamenti: centro storico di San Miniato, centro storico minore di Cigoli; ville, poderi ed edilizia rurale isolata sparsa; edilizia residenziale sparsa di nuova costruzione o in corso di realizzazione, in particolare sul versante settentrionale.Viabilità: tratto di viabilità storica sul crinale principale ad elevato grado di panoramicità; rete dei tracciati viari storici sui crinali secondari che collegano la S.S. Tosco Romagnola alla viabilità di crinale principale e San Miniato ai centri storici minori (Cigoli, Montebicchieri e Stibbio, Moriolo); il tracciato viario storico sul crinale secondario che costituisce il confine orientale del contesto corrisponde, nel suo tratto sud, al percorso della via Francigena. Presenza di mulattiere e sentieri storici di crinale e/o di adduzione ai crinali secondari.Risorse identitarie di valore paesaggistico e/o ecologico: emergenza visiva del centro storico di San Miniato, in particolare della torre di Federico II; nucleo storico minore di Cigoli; nucleo rurale di Marzana; sistema delle ville, dei poderi e dei fabbricati rurali isolati sparsi di valore storico-architettonico-testimoniale; sono presenti, infatti per lo più case isolate delle quali circa la metà abbondate di cui tre ridotte in stato di rudere o comunque diroccate, alcuni poderi nella maggioranza dei casi parzialmente integri a livello fisico e contaminati da funzioni diverse da quelle originarie (civile abitazione) e due tabaccaie. L’unico nucleo rurale presente è quello di Castelvecchio, più noto come villa Sonnino, composto dall’aggregazione di fabbricati funzionali all’attività agricola (cantine, depositi, residenze dei mezzadri) attorno al nucleo centrale della residenza signorile. Villa Brogi è l’unica villa autonoma presente in questo ambito tutt’ora permanentemente utilizzata e ben conservata a livello fisico e funzionale; presenza di filari di cipressi legati alle ville; viabilità storica di crinale ad elevato grado di panoramicità; trama dei tracciati storici di collegamento interno; tratto della via Francigena; oliveti e/o vigneti caratterizzati da sistemazioni del terreno quali terrazzamenti; presenza di corridoi ecologici di potenziale collegamento tra le aree collinari boscate e il fiume Arno. Aree a vocazione tartufigena nella porzione sud orientale.

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4 – Egola

Il territorio identitario dell’Egola, a forte connotazione rurale, si caratterizza per la compresenza delle attività agricole, degli affacci collinari con insediamenti storici di cresta e per la sua articolazione lungo due corridoi: l’uno naturale cui si riconosce il ruolo di connessione ecologica (torrente Egola) l’altro infrastrutturale con ruolo di connessione interna sia a scala locale che extra-comunale (strada Maremmana), che garantisce l’accessibilità all’ambito e la connessione con le risorse storico-culturali delle colline contermini.Morfologia: il contesto si identifica con l’area essenzialmente pianeggiante della valle del torrente Egola, a partire dal confine comunale sud fino al suo sbocco nel fiume Arno. Nel tratto di passaggio dal centro abitato di Ponte a Egola la valle si restringe notevolmente fino a divenire, in corrispondenza della Tosco-Romagnola, uno stretto passaggio in cui il torrente è incanalato in sponde artificiali. Superata la Tosco-Romagnola il torrente prosegue per il suo tratto finale nella pianura per poi affluire al fiume. Uso del suolo e vegetazione: Ambito quasi interamente coltivato. La coltura prevalente è il seminativo a cui si aggiungono frequentemente la pioppicoltura e, in misura minore, altre colture da legno e la vite in coltura specializzata o consociata al seminativo. Insediamenti: frazioni di La Serra (riva sinistra) e Corazzano (riva destra) costituite da un tessuto edilizio che si sviluppa lungo la Maremmana e da fenomeni di espansione edilizia recente con funzione residenziale e tipologia a schiera, incongrui con la tipologia prevalentemente in linea caratteristica dei due nuclei; nucleo storico di matrice rurale di Palagio; ville, poderi, edilizia rurale isolata sparsa; Questo è l’ambito in cui si concentra il maggior numero delle antiche tabaccaie, interessanti testimonianze della ormai abbandonata coltura del tabacco, se ne rilevano ben cinque. Nel caso specifico dei nove poderi individuati ben sette, ancorché in prevalenza dismessi, mantengono la destinazione rurale e risultano parzialmente integri a livello di integrità fisica. Viabilità: tracciato viario storico di comunicazione strategica di fondovalle della via Maremmana (dopo La Serra diventa S.P. n. 50 di Montaione) che si sviluppa a partire da Ponte a Egola lungo la sinistra idrografica dell’Egola; all’altezza di Balconevisi la strada provinciale attraversa il torrente e continua il suo percorso lungo la riva destra.Risorse identitarie di valore paesaggistico e/o ecologico: nucleo rurale di Palagio ; sistema delle tabaccaie; sistema delle ville, dei poderi e dei fabbricati rurali isolati di valore storico-architettonico-testimoniale; corridoio ecologico del torrente Egola.

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5 – Elsa

L’ambito, sebbene interessi in modo marginale il territorio comunale, si caratterizza per l’elevato valore identitario dell’ambiente fluviale dell’Elsa, di grande importanza nella storia, in cui sono da salvaguardare i caratteri paesaggistici e funzionali esistenti attraverso adeguate strategie di tutela e valorizzazione da concordare con i comuni contermini.Morfologia: il contesto si identifica con l’area essenzialmente pianeggiante della sponda sinistra del fiume Elsa, a partire dal confine comunale sud fino al suo sbocco nel fiume Arno.Uso del suolo e vegetazione: Ambito quasi interamente coltivato. La coltura prevalente è il seminativo a cui si aggiungono piccoli appezzamenti a vite in coltura specializzata. Insediamenti: frazione di Ponte a Elsa; mulino di Capocavallo; poderi ed edilizia rurale isolata sparsa.Viabilità: tracciati viari storici di fondovalle: viabilità che si dirama dalla S.S. Tosco Romagnola verso Ponte a Elsa e si sviluppa lungo la riva sinistra dell’Elsa fino a Poggio a Isola; l’Elsa, nel tratto compreso entro i confini comunali, è attraversato da cinque ponti carrabili: in corrispondenza della ferrovia, della superstrada FI-PI-LI e della S.S. Tosco Romagnola, all’altezza di Ponte a Elsa e di Canneto.Risorse identitarie di valore paesaggistico e/o ecologico: mulino e villa di Capocavallo; sistema dei poderi e dei fabbricati rurali isolati di valore storico-architettonico-testimoniale; corridoio ecologico dell’Elsa.

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6 – Colline interne

Il territorio delle colline interne è caratterizzato da un paesaggio rurale integro il cui valore è da attribuire prevalentemente ad una organizzazione del territorio fondata sull’equilibrio tra risorse naturali-ambientali e pratiche agricole. Lo sviluppo rurale sostenibile e la conservazione attiva dei valori paesaggistici esistenti sono gli obiettivi da perseguire per la conservazione dell’identità di questo contesto.Morfologia: la morfologia del contesto è caratterizzata dall’andamento frastagliato dei crinali principali e secondari e dalla presenza di poggi isolati; il limite settentrionale dell’ambito coincide con la valle essenzialmente pianeggiante del Rio Enzi (affluente del torrente Egola) che si sviluppa in direzione est-ovest; da essa si dipartono i crinali principali che si sviluppano con andamento assai frastagliato prevalentemente in senso nord-ovest – sud-est; essi costituiscono gli spartiacque dei sottobacini idrografici degli affluenti in sinistra idrografica del rio Enzi: il rio Bramasole, il rio Cafaggiolo, il rio Pilerno poi rio Enzino e il rio Santo Vecchio. Uso del suolo e vegetazione: alternanza di boschi ed aree coltivate. Le colture presenti sono quelle tipiche del paesaggio toscano: oliveti, seminativi e, in prevalenza, vigneti. I versanti sono qualvolta caratterizzati da balze franose che rendono tipico il paesaggio delle colline sanminiatesi. Insediamenti: il contesto è caratterizzato da una densità abitativa molto bassa e non presenta frazioni importanti; l’unica frazione presente è Cusignano, di estensione alquanto ridotta e di certa origine rurale; numerosa la presenza di ville, poderi ed edilizia rurale isolata sparsa.Viabilità: il contesto è attraversato da una fitta rete di trame storiche di crinale ad elevato grado di panoramicità, che si sviluppano prevalentemente in direzione nord-est – sud-ovest e costituiscono il collegamento interno tra i vari nuclei storici di matrice rurale; alcune di queste sono vere e proprie strade asfaltate e carrabili in buono stato di manutenzione, altre sono costituite da sentieri e presentano tratti dimessi e non sempre percorribili; tra queste ultime permane iI tracciato viario storico della via Francigena.Risorse identitarie di valore paesaggistico e/o ecologico: nuclei rurali di Canneto, La Selva e San Quintino; sistema delle ville, dei poderi e dei fabbricati rurali isolati sparsi di valore storico-architettonico-testimoniale; presenza di filari di cipressi legati alle ville e ai nuclei rurali; tracciato storico della via Francigena; trame viarie storiche ad elevato grado di panoramicità; aree a vocazione tartufigena nelle porzioni meridionale ed occidentale dell’ambito; presenza di corridoi ecologici (rio Enzi e suoi affluenti, affluenti dell’Elsa) di potenziale collegamento tra i territori collinari e quelli di fondovalle.

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7_Colline occidentali

Il contesto paesistico delle colline occidentali è costituito dai territori collinari che si sviluppano ad ovest e ad est della Val d’Egola ed è caratterizzato dall’elevata permanenza dei tracciati, delle strutture insediative storiche e delle trame agricole e dall’elevata integrità dei rapporti tra morfologia, assetti agro-forestali e insediativi e risorse ambientali. Il patrimonio identitario di questi territori potrà essere salvaguardato e valorizzato attraverso la creazione di un sistema integrato di risorse fondato sulla rete delle trame storiche che, opportunamente integrato al sistema di risorse della Val d’Egola, genererà un paesaggio fortemente evocatico delle condizioni di ruralità nella tradizione locale.

7a. Colline di Corazzano

Morfologia: il crinale principale si sviluppa in senso longitudinale nord-sud e costituisce il confine orientale del contesto; da esso si diramano a pettine il sistema dei crinali secondari e delle incisioni vallive dei rii minori.Uso del suolo e vegetazione: le colture sono quelle tipiche del paesaggio toscano: vigneti, seminativi ed oliveti. Rilevante la presenza di filari e di formazioni isolate di cipressi in corrispondenza dei nuclei storici rurali.Insediamenti: nucleo storico di matrice rurale di Moriolo; nucleo rurale di Collebrunacchi; ville, poderi ed edilizia rurale isolata sparsa. In questo ambito è prevalente la tipologia della casa rurale isolata che in gran parte non è più utilizzata (9 fabbricati su 17 sono infatti abbandonati). Tali nuclei rurali nel complesso sono dotati di buoni livelli di integrità fisica ma risultano contaminati per la presenza di funzioni che ne hanno alterato il senso originario come ad esempio l’eccesso di presenza residenziale esercitata sul nucleo di Palagio.Viabilità: trame storiche di collegamento interno ad alto grado di panoramicità: tracciato che parte dalla via Maremmana, sale fino a Moriolo e prosegue in direzione nord-est verso San Miniato; tracciato di crinale che collega Collebrunacchi, Cusignano e scende verso la valle dell’Enzi; rete dei sentieri storici che si sviluppano prevalentemente sui crinali secondari e collegano I nuclei rurali di collina al fondovalle dell’Egola.Risorse identitarie di valore paesaggistico e/o ecologico: nucleo storico minore di matrice rurale di Moriolo; chiesa ed oratorio di San Germano di Moriolo; nucleo rurale di Collebrunacchi; pieve di San Giovanni di Corazzano; sistema delle ville, dei poderi e dei fabbricati rurali isolati sparsi di valore storico-architettonico-testimoniale; presenza di filari di cipressi legati al nucleo di Moriolo ed alla villa-fattoria di Collebrunacchi; viabilità storica ad elevato grado di panoramicità; aree a vocazione tartufigena.

7b. Colline di Stibbio e Balconevisi

Morfologia: il crinale principale si sviluppa in senso longitudinale nord-sud; da esso si diramano a pettine il sistema dei crinali secondari e delle incisioni vallive dei rii minori che degradano verso la valle dell’Egola in direzione est e, con andamento più frastagliato, verso il torrente Chiecina in direzione ovest.Uso del suolo e vegetazione: Le colture presenti sono quelle tipiche del paesaggio toscano: vigneti, seminativi e, in prevalenza, oliveti frequentemente caratterizzati da sistemazioni del terreno a terrazzamenti. I versanti meridionali sono spesso caratterizzati da balze franose che rendono tipico il paesaggio delle colline sanminiatesi. Il contesto comprende la nuova Area Naturale di Interesse Locale di Germagnana e Montalto di elevato pregio naturalistico, caratterizzata dalla presenza di un paesaggio in gran parte ancora selvaggio; i pregi naturalistici principali sono legati alla presenza di un’elevata diversità ambientale e di habitat naturali relitti di interesse comunitario e regionale.Insediamenti: presenza di insediamenti abitativi di antica origine quali borghi e fattorie fortificate che in certi casi hanno avuto fasi di sviluppo anche recenti come Stibbio e Balconevisi, o che hanno mantenuto la loro struttura originaria seppur con adeguamenti alle attività agricole odierne come Montebicchieri e Bucciano; l’ambito è caratterizzato da una densità abitativa scarsa e concentrata in questi piccoli centri, risultando scarsa la presenza di edilizia rurale isolata sparsa. Viabilità: tracciati viari storici ad elevato grado di panoramicità che si sviluppano sul crinale principale e collegano i vari nuclei storici; il tracciato si mantiene pressoché integro da Stibbio a Montebicchieri e presenta alcuni tratti dimessi, in particolare in corrispondenza del collegamento tra i nuclei di Bucciano e Balconevisi; viabilità di fondovalle (S.P. n. 39 San Miniato-San Lorenzo) che attraversa il contesto in direzione est-ovest lungo il Torrente Chiecina.Risorse identitarie di valore paesaggistico e/o ecologico: nuclei storici minori di Stibbio e Balconevisi; nuclei storici di matrice rurale di Montebicchieri e Bucciano; nuclei rurali di Sassolo e La Casaccia; presenza di filari di cipressi legati ai nuclei storici di Montebicchieri e di Bucciano; viabilità di crinale di collegamento interno ad elevato grado di panoramicità; oliveti caratterizzati da sistemazioni del terreno a terrazzamenti; area di elevato pregio ecologico e naturalistico (proposta di ANPIL); aree a vocazione tartufigena; presenza di corridoi ecologici.(allegato “Territorio rurale e paesaggio” del Quadro Conoscitivo del Piano Strutturale)

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E1.2 Bonifiche storicheE2 Architettura paleoindustrialeE2.1 Impianti produttivi, molini, fornaci, opificiE3 Architettura di servizioE3.1 Impianti termali

F. Teatri

G. Zone di interesse archeologicoG1.1 Complessi archeologici, areeG1.2 Ritrovamenti archeologiciG1.3 Centuriazione

Elementi e complessi di interesse storico testimoniale “E”:- architettura infrastrutturale “E1”: edifici o infrastrutture che avevano, o hanno tuttora, una funzione di interesse storico-testimoniale sul territorio; nel territorio di San Miniato non è stata identificata questa categoria di edifici;- architettura paleoindustriale “E2”: edifici che, in ambito territoriale, hanno avuto o hanno una funzione produttiva con carattere specialistico;- architettura di servizio “E3”: l’individuazione riguarda esclusivamente le strutture termali, non identificate nel territorio comunale di San Miniato

A San Miniato sono stati individuati 6 centri storici, 51 beni tra chiese, oratori e pievi, un sepolcreto, 19 immaginette, un convento, 22 ville, 7 ville con parchi e giardini, 47 beni tra poderi, cascine ed edifici rurali, due beni nella categoria dell’architettura militare; 2 musei, un tracciato di viabilità storica (la via Francigena), 16 beni tra gli impianti produttivi (mulini, fornaci, tabaccaie); 13 complessi archeologici e 7 siti di ritrovamenti archeologici, per un totale di 195 beni catalogati e cartografati.

E ELEMENTI E COMPLESSI DI INTERESSE STORICO TESTIMONIALEE2 ARCHITETTURA PALEOINDUSTRIALEE2.1 Impianti produttivi, molini, fornaci, opifici158 E\2.1 Fornace Granchi S.Donato 159 E\2.1 Tabaccaia Ponte a Egola 160 E\2.1 Conceria Ponte a Egola 161 E\2.1 Tabaccaia Palagio 162 E\2.1 Tabaccaia La Serra 163 E\2.1 Tabaccaia Aia del Fieno 164 E\2.1 Tabaccaia Aia del Fieno 165 E\2.1 Tabaccaia Moriolo 166 E\2.1 Tabaccaia Cigoli 167 E\2.1 Tabaccaia Ponte Santuccio 168 E\2.1 Tabaccaia Corazzano 169 E\2.1 Tabaccaia Corazzano 170 E\2.1 Tabaccaia Roffia 171 E\2.1 Molino S.Donato172 E\2.1 Molino di Capobianco Molino di Capocavallo 173 E\2.1 Fornace Ponte a Elsa

Il Piano strutturale del comune di San Miniato sviluppa un’indagine mirata alla comprensione dei livelli di integrità e di rilevanza del patrimonio edilizio sparso nel territorio rurale. Ciò avviene mediante la valutazione dell’efficienza fisica e funzionale dei fabbricati, il loro grado di utilizzo, gli elementi di permanenza degli assetti originari. I criteri secondo i quali è avvenuta la lettura di questo patrimonio edilizio sono i seguenti:

Per l’identificazione dei beni appartenenti al sistema dell’architettura rurale, gli edifici sono stati classificati in base alla tipologia insediativa e ad ognuno è stato attribuito un giudizio di valore sintetico, che deriva dalla lettura integrata delle informazioni e che mira a definire i livelli di integrità fisica e di efficienza funzionale dei singoli fabbricati o dei nuclei, oltre a evidenziare quei fabbricati che per caratteristiche tipologico-architettoniche assumono un carattere di rilevanza rispetto agli altri. L’identificazione delle risorse sociali e simboliche si pone come obiettivo il riconoscimento di quei luoghi che raccolgono testimonianze tramandate dal passato, che concorrono alla valorizzazione delle identità locali e che, come tali, devono essere sottoposti ad una specifica disciplina di tutela e valorizzazione. Ai fini dell’identificazione delle risorse sociali e simboliche sono stati analizzati i luoghi o gli itinerari a forte carattere identitario per la comunità locale, sia di tipo naturale che artificiale (luoghi frequentati dalla collettività per manifestazioni organizzate periodicamente, per qualità intrinseche, per attività ludiche e di svago, etc.), i luoghi della produzione locale (produzione tipica e di qualità), i luoghi connotati da eventi particolarmente significativi per la storia locale per vicende storiche e/o mitologiche, e infine i caratteri percettivi del paesaggio (emergenze visive, aperture visive, punti e strade panoramiche, etc.). Tale indagine è stata condotta sulla base di conoscenze dirette. I luoghi di identificazione collettiva (individuati nella tav. 4 del piano strutturale come “luoghi a statuto speciale”) si articolano, in base alla prevalenza dei caratteri che li connotano, in segni storico culturali e segni sociali e simbolici. Tra i primi si riconoscono: il sistema delle tabaccaie, quale testimonianza storica di una produzione locale tipica del territorio nei primi del Novecento, che ha contribuito a conferire al paesaggio di San Miniato caratteri fortemente riconoscibili; l’obiettivo prevalente è la valorizzazione di questo patrimonio attraverso l’incentivazione del recupero architettonico funzionale con funzioni di tipo turistico, culturale e di vendita ed esposizione dei prodotti tipici locali.

I beni culturali identificati sono stati infatti suddivisi per categorie, ma non sono stati articolati in relazione alla fase storica di appartenenza e, spesso, la datazione relativa ad ogni singolo bene non è individuata dalla schedatura. È inoltre assente qualsiasi tipo di valutazione relativa alla permanenza dei beni, sia in termini di conservazione materiale, che di efficienza funzionale e capacità di tramando del senso originario o prevalente. I beni culturali identificati sono articolati in sette categorie principali, ulteriormente suddivise in classi e sottoclassi specifiche:

A. Complessi urbaniA1. Centro storico

B. Elementi e complessi isolati e non urbaniB1 Architettura religiosaB1.1 Chiese, pievi, oratori, cappelleB1.2 Cimiteri, sacrariB1.3 Edicole, immaginette, tabernacoliB1.4 Conventi, monasteri, abbazie, badie, eremi, santuariB2 Architettura civileB2.1 Ville, palazziB2.2 Villa con parchi o giardiniB3 Architettura ruraleB3.1 Nuclei rurali, corti, poderi, cascine, edifici ruraliB4 Architettura militareB4.1 Borghi fortificatiB4.2 Castelli, fortezze, bastioni, torri, mura, rocche

C. Sistema museale

D. Viabilità storica

E. Elementi e complessi di interesse storico testimonialeE1 Architettura infrastrutturaleE1.1 Manufatti idraulici, acquedotti, chiuse, chiaviche, ponti

LUOGHI A STATUTO SPECIALE APPARTENENTI AL SISTEMA DELL’ARCHITETTURA RURALE

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quindi alla produttività ma anche alla cura del territorio).- Travisato: è il caso di fabbricati di tipo specialistico come le tabaccaie, dismessi a seguito della forte contrazione dell’attività produttiva oggi utilizzati come deposito per i quali è stato stravolto l’uso originario e quindi il significato primitivo. - Dismesso: si tratta di fabbricati non più utilizzati.

Rilevanza: - Accertata: qualora il bene risulti inserito nelle categorie di vincoli discendenti da leggi nazionali (T.U. beni culturali)-regionali (elenchi ai sensi della 59/80). - Riconosciuta: qualora il bene, sulla scorta delle risultanze del Q.C. del PS e coerentemente con gli obiettivi di qualità paesistica, sia riconosciuto come caposaldo della struttura territoriale per il suo livello di integrità e per il suo carattere di permanenza. Nel caso specifico, per il territorio di San Miniato, rientrano in tale definizione: - Il sistema delle ville a prevalente carattere insediativo, non necessariamente legate all’attività agricola; - Il sistema delle tabaccaie; - I poderi o case sparse che corrispondono in pieno ai modelli insediativi descritti dalla variante (leopoldine a struttura quadrata compatta con colombaia, fabbricati rurali di impianto rettangolare allungato con scala a profferlo con o senza colombaia); - I nuclei rurali o ville fattorie generati dall’aggregazione di fabbricati residenziali generalmente di rilevante interesse, da edifici rurali che compongono il podere e da elementi dell’edilizia specialistica quali pievi o cappelle private.

COME INTERVENIRE SULL’ESISTENTE

Nell’ottica di intervenire su un patrimonio esistente che il comune di San Miniato si è occupato di schedare, catalogare e censire, è sembrato necessario fare una valutazione su quelli che sono gli indirizzi normativi del comune stesso. Il Regolamento Urbanistico, ponendosi come strumento operativo del Piano Strutturale, disciplina dettagliatamente l’attività urbanistica ed edilizia per il territorio comunale secondo i parametri e i criteri di sostenibilità già definiti dal PS. Citando direttamente l’art. 2 delle Norme Tecniche di Attuazione, estratto dal Titolo 1 (Disposizioni Generali, Capo 1 (Contenuti ed attuazione del regolamento urbanistico),

“1. Il RU si applica al territorio comunale modulando le sue previsioni per la disciplina degli spazi esistenti e per la disciplina degli spazi di trasformazione rilevante e delle infrastrutture;4. Ai sensi dell’art. 55 della L.R. 1/2005 e sue successive modificazioni ed integrazioni il R. U. contiene:- la disciplina per la gestione degli spazi esistenti;- la disciplina delle trasformazioni degli assetti insediativi, infrastrutturali ed edilizi del territorio;- la disciplina delle trasformazioni non materiali del territorio”

Di seguito si riportano altri estratti di articoli che esplicano come il comune prevede di comportarsi rispetto al problema del recupero urbanistico e architettonico delle tabaccaie:

“Art. 22.1 - Interventi ammissibili sui fabbricati schedati nell’allegato 31. I fabbricati oggetto di schedatura di cui all’allegato 3 sono edifici che, per il loro valore storico, architettonico, testimoniale, ambientale, tipologico e paesaggistico, sono meritevoli di essere conservati al fine di non perdere il valore identitario dello stato dei luoghi che ha da sempre caratterizzato il paesaggio agricolo;2. Alcuni di questi fabbricati, come già riportato nei precedenti artt. 12.2, 12.3 e 15.1 non sono ad oggi più siti in territorio rurale ma, date le loro riconosciute caratteristiche analoghe agli edifici di cui al presente articolo, sono stati inseriti nell’allegato 3 del presente R.U;3. Su tali fabbricati sono consentiti tutti gli interventi edilizi che tendono alla conservazione, alla manutenzione ed al riutilizzo evitando effetti di snaturamento dell’esistente;4. Sono ammissibili i frazionamenti ed i cambi di destinazione d’uso con le limitazioni definite all’art. 22.5.1, sempre che le modifiche edilizie da apportare non incidano sul fabbricato nell’aspetto esteriore dello stato dei luoghi tanto da manomettere e/o non far leggere più l’impianto originario;5. Sono pertanto sempre ammissibili le seguenti categorie di intervento, così come definite dalla L.R. 1/2005e successive modifiche ed integrazioni:manutenzioni ordinaria;manutenzione straordinaria;

Tipologia insediativa: - Fabbricato isolato: si riferisce all’organizzazione produttiva e spaziale elementare, si tratta di fabbricati isolati di dimensioni contenute, disposti su due livelli, in cui sono presenti locali funzionali all’attività agricola al piano terreno e residenza al piano superiore ma anche fabbricati legati a produzioni specialistiche come ad esempio le tabaccaie oppure a ville isolate mai legate o non più legate all’attività agricola che si connotano con caratteristiche più urbane. - Podere: si riferisce ad un livello più evoluto di organizzazione produttiva e spaziale, si tratta di un modello insediativo sviluppato attorno ad uno spazio comune (aia,corte) che comprende un fabbricato principale destinato alla residenza del conduttore agricolo e di annessi rurali in aderenza al fabbricato stesso o indipendenti da esso. - Fattoria/Nucleo rurale: si riferisce al livello più complesso di organizzazione spaziale e produttiva per cui, attorno ad un edificio principale con caratteri di notevole rilevanza storico-architettonica, di solito una villa padronale, si sviluppa un sistema di altri edifici propriamente connessi all’attività agricola (abitazioni rurali, annessi, magazzini) ma anche di locali e spazi esterni più propriamente legate alla permanenza stabile (la cappella o il parco).

Datazione storica: - Fabbricato presente al Catasto Leopoldino - Fabbricato successivo al Catasto Leopoldino - Non rilevato

Tipologia edilizia: - Fabbricato rurale (residenza-annesso) - Villa - Tabaccaia - Manufatto precario

Rispetto alla tipologia insediativa “fabbricato isolato” abbiamo compiuto una ulteriore distinzione rispetto alle diverse tipologie edilizie che possono essere ricomprese in tale definizione.

Destinazione d’uso: - Rurale: in cui l’attività agricola è esclusiva oppure in cui l’attività agricola è integrata dall’agriturismo - Non rurale: residenziale residenza non legata alla conduzione del fondo accessorio funzioni di supporto alla residenza o ad altre attività ricettivo o artigianale

Utilizzo: - Permanente - Saltuario - In abbandono

Integrità fisica del bene: - Integro: è il bene che ha mantenuto integro il suo aspetto ed il suo ruolo nel contesto e che pertanto è riuscito a tramandare pienamente i suoi valori originari.- Parzialmente alterato: ci si riferisce a quei fabbricati che, seppur mantengono leggibili i caratteri dell’edilizia rurale di base, hanno subito modifiche della struttura distributiva interna a seguito di una conversione per usi propriamente residenziale o che sono interessati da degrado architettonico diffuso. - Alterato: ci si riferisce a fabbricati sui quali si è agito con stratificazioni edilizie successe corrispondenti a diversi adattamenti fruitivi che hanno prodotto una complessiva alterazione dei caratteri peculiari del bene. - Rudere/diroccato: ci si riferisce soprattutto a fabbricati non più utilizzati per l’attività agricola che per l’incuria hanno subito fenomeni di forte degrado fisico e strutturale con parziali crolli delle murature e delle coperture, assenza di infissi. In generale i fabbricati, oggetto di schedatura da parte della variante, definiti come ruderi conservano la leggibilità dell’involucro murario, non esistono casi di fabbricati per i quali siano presenti solo brandelli di muratura.

Efficienza funzionale del bene:- Integro: è il caso di quei fabbricati per i quali la continuità d’uso determina una coincidenza dei propri caratteri all’immaginario collettivo.- Contaminato: è il caso di fabbricati o di complessi di matrice rurale, ancora leggibile, sui quali si è intervenuto per ospitare funzioni di tipo prevalentemente residenziale che hanno determinato una alterazione del significato corrispondente all’impiego originario (l’abitazione rurale si legava in modo inscindibile alla conduzione del fondo e

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indiretta del Piano di Recupero (PA);11. Tutti i progetti sulle tabaccaie che sono site all’interno degli ambiti Colle San Miniato, Arno, Colline occidentali devono essere esaminati da parte della commissione qualità (CdQ) come previsto dal titolo VI delle presenti NTA oltre all’esame di altre commissioni previste dal R.E.C. Per i progetti sulle tabaccaie site al di fuori di tali ambiti, l’esame da parte della CdQ come previsto dal medesimo titolo VI è dovuto solo per le categorie di intervento della sostituzione edilizia e della ristrutturazione urbanistica oltre all’esame di altre commissioni previste dal R.E.C..22.7 - Recupero del patrimonio edilizio per finalità turistico-ricettive1. Per i diversi ambiti del territorio rurale, sui complessi edilizi, sui nuclei rurali e su tutti gli edifici non più funzionali all’attività agricola legittimi o presenti al 1956, anche se schedati (allegato 3) e compresi tra i luoghi a statuto speciale nelle aree a destinazione agricola, il cambio di destinazione d’uso da rurale o residenziale a turistico ricettivo (albergo, villaggio albergo, residenze turistico – alberghiere, ostelli per la gioventù, case per ferie e rifugi escursionistici, residenze d’epoca, tutti come definiti dal PTC) è sempre ammesso nei limiti del dimensionamento fissato dal PS alla tabella IV;7. Nelle nuove strutture ricettive dovranno essere previsti spazi per la ristorazione e/o somministrazione bevande, per un numero di coperti almeno pari al 50% dei posti letto e per un massimo di 120 coperti.

22.10 - Caratteri tipologici e formali per gli interventi di trasformazione del patrimonio edilizio esistente e per la nuova edificazione1. Tutti gli interventi di manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia del tipo RTRI, RTR2 RTR3, RTR4, quando comportino modifiche sostanziali o sostituzione degli elementi strutturali sia orizzontali che verticali, dovranno adeguarsi ai dettati della normativa relativa alle zone sismiche attualmente in vigore; tale adeguamento dovrà comunque avvenire in modo particolare per gli interventi di manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo e ristrutturazione RTR1, nel rispetto delle caratteristiche storiche ed architettoniche dell’edificio in oggetto ed in modo da non alterare la caratteristica delle superfici esterne antiche, la partitura delle facciate, le decorazioni interne ed esterne. Nel caso in cui non sia sufficiente l’inserimento di tiranti orizzontali e verticali e si debba procedere all’inserimento di strutture diverse, tali elementi non dovranno essere visibili dall’esterno;2. Gli interventi dovranno rispettare il tessuto edilizio e agrario senza alterazione o modifiche tali da stravolgere il patrimonio agricolo, come evidenziato e specificato nell’allegato 2 “Schede di Paesaggio facente parte integrante delle presenti NTA alle quali si rimanda per le specifiche sull’utilizzo di materiali, le forme architettoniche e le caratteristiche tipologiche, da seguire per il recupero e/o la nuova edificazione in territorio agricolo al fine di salvaguardare i caratteri tipologici dell’edilizia e del territorio rurale.”

Gli articoli precedentemente estratti dal Capo II - Disciplina delle aree a prevalente ed esclusiva funzione agricola, spiegano chiaramente quali siano gli intenti dell’amministrazione comunale: sono ammissibili quindi, frazionamenti o cambi di destinazioni d’uso, purchè non incidano sull’aspetto esteriore del fabbricato o sullo stato dei luoghi tanto da non rendere più leggibile l’impianto originario.

restauro e risanamento conservativo;ristrutturazione edilizia, con le limitazioni illustrate nella seguente tabella:

RTR1 - ristrutturazione edilizia così come definita all’art. 79 comma 2 lettera d) punto 2 della L.R. 1/2005 e successive modifiche ed integrazioni, con la specifica che i volumi secondari devono essere evidenti ed esplicite superfetazioni non storicizzate ubicate in aderenza al fabbricato. La ricostruzione della SLP dei manufatti secondari è ammessa ad una distanza non inferiore di 20 m dal fabbricato;- interventi necessari al superamento delle barriere architettoniche così come definiti all’art. 79 comma 2 lettera e) della L.R. 1/2005 e successive modifiche ed integrazioni;- modifiche edilizie sulle strutture non portanti di tutto il fabbricato;- ripristino delle strutture delle coperture anche con eventuale introduzione di un cordolo di collegamento in c.a. da realizzare all’interno dello spessore delle murature perimetrali senza incrementarne l’altezza;RTR2 Oltre a quanto ammissibile al punto precedente:- ristrutturazione edilizia così come definita all’art. 79 comma 2 lettera d) punto 3 della L.R. 1/2005 e successive modifiche ed integrazioni, solo relativamente al rialzamento del sottotetto al fine di renderlo abitabile con altezza massima di 6,50 m dal piano di campagna originario;- parziali e limitate modifiche edilizie sulle strutture portanti di tutto il fabbricato, fermi restando i caratteri architettonici e decorativi dell’edificio, in particolare per quanto concerne la tutela e la conservazione dei fronti e l’esteriore aspetto dello stato dei luoghi.RTR3 Oltre a quanto ammissibile ai due punti precedenti:- ristrutturazione edilizia così come definita all’art. 79 comma 2 lettera d) punto 3 della L.R. 1/2005 e successive modifiche ed integrazioni, relativamente alle addizioni per la realizzazione di servizi igienici ed i volumi tecnici qualora non sussistano le condizioni per attuare gli interventi mediante l’utilizzo della SLP esistente;- sostanziali modifiche edilizie sulle strutture portanti interne al fabbricato, fino all’eventuale suo svuotamento con l’assoluto mantenimento della struttura portante dell’involucro esterno dell’edificio in modo tale da non alterare i caratteri architettonici e decorativi dell’edificio almeno per quanto concerne la tutela e la conservazione dei fronti e l’esteriore aspetto dello stato dei luoghi;RTR4 - ristrutturazione edilizia così come definita all’art. 79 comma 2 lettera d) punto 1 della L.R. 1/2005 e successive modifiche ed integrazioni, relativamente alla demolizione e fedele ricostruzione degli edifici, realizzata con gli stessi materiali almeno per quanto riguarda la finitura interna ed esterna, la stessa collocazione e lo stesso ingombro, con l’esclusione di ogni incremento della SLP esistente e l’assoluto divieto di realizzare locali interrati e/o seminterrati; [...]6. In ogni singola scheda è riportata la categoria di intervento ammissibile;7. Qualora si presentino necessità di modifica al grado di intervento ammissibile è possibile, previo parere obbligatorio e vincolante da parte della Commissione di Qualità, la modifica del grado di intervento stabilito nella scheda senza che ciò faccia variante al Regolamento Urbanistico. Tale azione potrà essere realizzata previa predisposizione di una specifica scheda che documenti i caratteri tipologici e formali dei singoli manufatti sui quali si interviene e degli eventuali elementi di valore storico presenti sulle pertinenze (pozzi, fontanili, fabbricati rustici assimilabili a quelli documentati nella schedatura) al fine di poter valutare la congruità dell’intervento rispetto al grado di trasformabilità del patrimonio edilizio interessato. La predisposizione della scheda è a cura del richiedente e la validazione dei suoi contenuti conoscitivi e disciplinari da parte della CdQ costituisce condizione preliminare ai fini della modifica del grado di intervento.La stessa scheda inoltre costituirà variazione del quadro conoscitivo del RU Il Consiglio Comunale ne prenderà atto al momento del monitoraggio di cui all’art. 8 del presente RU o al successivo Regolamento urbanistico;8. Sugli edifici schedati, ad esclusione di alcune tabaccaie di cui al punto successivo, sono sempre vietati gli interventi di sostituzione edilizia e di ristrutturazione urbanistica e gli interventi di ristrutturazione edilizia non rientranti nelle definizioni RTR1, RTR2, RTR3, RTR4 riportate nella precedente tabella;9. Nel caso in cui parte o tutta la volumetria o la SLP degli edifici schedati vada persa per qualsiasi causa omotivo involontario, o a causa di un evento calamitoso dimostrato almeno a livello comunale, è consentita lariedificazione alle condizioni di cui all’art. 22.5.4;10. Solo per l’eccezione delle tabaccaie non classificate come luogo a statuto speciale nella tavola 7.8 del PS sono ammesse tutte le categorie d’intervento definite dalla L.R. 1/2005 e successive modifiche ed integrazioni. Nel caso di progetti di sostituzione edilizia e di ristrutturazione urbanistica, questi ultimi da attuare mediante la procedura

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PARTE III_ CATALOGAZIONE

Veri e propri esempi di architettura industriale, i tabacchifici, chiamati TABACCAIE in Toscana, iniziarono a sorgere a partire dalla fine del XIX secolo. Queste grandi strutture mostrano molte affinità con tutte architetture ottocentesche legate all’industria, e non rappresentano esempio della sola cultura contadina. Le caratteristiche di queste strutture, la loro tipologia, i materiali che vennero utilizzati per erigerle, derivano essenzialmente dalle necessità di lavorazione del tabacco. Il tabacco Kentucky è infatti un tabacco che viene curato con la cosiddetta cura a fuoco diretto, che necessità di vani ampi e sgombri, nonché di strutture adatte a consentire l’uso sicuro del fuoco. Tali necessità e il processo produttivo non potevano in alcun modo essere soddisfatte dal riadattamento di altre strutture a questo scopo. La specificità della funzione, che prevede non solo l’essiccazione della foglia in vani conformi, ma anche la lavorazione e la trinciatura delle foglie, configura le strutture come a prevalente sviluppo orizzontale.Le strutture potevano essere di due tipi: locali di cura o tabaccaie. La funzione era, ed è, la stessa; l’unica differenza sta nelle dimensioni. Infatti, mentre il locale di cura è un vano unico, generalmente a pianta quadrata (5m x 5m), che costituisce un unico forno, la tabaccaia rappresenta l’unione di più forni (da un minimo di 6 a un massimo di 20) disposti uno di fianco all’altro, ma su due file opposte che si affacciano su un grande corridoio centrale, destinato a lavori attinenti. Le tabaccaie, generalmente imponenti e ben riconoscibili sul territorio per il loro tipico profilo basilicale, rispondono nella loro conformazione formale e tipologica all’organizzazione spaziale interna e alla funzionalità degli spazi. Sui prospetti principali in posizione centrale e simmetrica si trovano due grandi aperture, spesso ad arco ribassato, per consentire il passaggio dei mezzi agricoli per le operazioni di trasporto di materiale raccolto o finito. Dall’entrata principale si accede ad un unico grande vano centrale, detto corridoio, che, senza interruzioni, termina con l’altro prospetto ed è necessario per poter accedere facilmente ai vani forni che si affacciano su di esso lungo tutta la sua estensione. Il solaio del corridoio centrale, che pertanto presenta due lati lunghi ciechi in quanto vi si affacciano I forno e le due uniche aperture di accesso sui prospetti frontali, si presenta in genere con voltine volterrane. Anche al piano superiore il corridoio presenta un unico vano destinato al tabacco steso; l’illuminazione e l’areazione sono garantite da piccole aperture impostate lungo I lati longitudinali nella porzione di muratura che si sviluppa superiormente ai forni. I forni si affacciano sul corridoio centrale a piano terra e la comunicazione tra il corridoio e ogni forno avviene attraverso porte ad arco, spesso rinite in mattoni e numerazione progressiva segnata sulla chiave di volta. Tali accessi sono in genere sottodimensionati proprio per limitare l’escursione termica e la diffusione del fumo nel corridoio centrale. I forni non presentano solai intermedi e hanno altezze inferiori a quella del corridoio centrale , è proprio questa esigenza produttiva che fa somigliare la struttura nella sua interezza ad una basilica, con navata centrale e navate laterali più basse. L’areazione dei forni, necessaria per ottimizzare la temperatura del fumo è garantita da piccole finestre (una per ogni forno) posizionate in alto lungo entrambi I prospetti longitudinali. In alcune zone, come quella di San Miniato e Palaia, si preferiva la tabaccaia, in altre, come la zona di Valdichiana, si preferiva il locale di cura. Nella provincia di Pisa la maggior parte delle strutture sono state edificate nel periodo di maggior sviluppo della coltivazione del tabacco, ovvero tra la fine dell’Ottocento ed il primo trentennio del Novecento. Le tabaccaie nel territorio pisano non sono uniformemente distribuite, ma sono la loro ubicazione è legata al sistema di coltivazione e alla posizione dei campi da coltivare: la loro giacitura prevalentemente pianeggiante, vicino a corsi d’acqua e zone umide.Nel territorio del comune di San Miniato si riconoscono molte strutture che erano adibite al processo di essiccazione del tabacco. Il Piano Strutturale vigente individua NOVE tabaccaie, delle quali SEI vengono riconosciute come LUOGHI A STATUTO SPECIALE. Ad ogni modo la pubblicazione “Le tabaccaie nel comune di San Miniato. Valorizzazione e promozione” ne indica SEI ulteriori, che non ho potuto non inserire nel seguente elenco. La stessa amministrazione comunale ha riconosciuto il valore di questi edifici non schedati.

Complessivamente le tabaccaie esistenti e schedate sono:

1_MEZZOPIANO2_ROFFIA3_BADIA4_CATENA5_PONTE A EGOLA6_CIGOLI7_CAPECCHI8_BORGHIGIANA9_PALAGIO10_PALAGIO11_LA SERRA12_BUCCIANO13_CORAZZANO COLLAREDO14_CORAZZANO15_CORAZZANO

Il nome attribuito alle diverse tabaccaie dipende generalmente dalla denominazione riportata nel PRGC nelle immediate vicinanze degli edifici o, in mancanza di questo, al centro più vinco ad essi. La numerazione segue una sorta di percorso, che dal limite nord-orientale del comune (zona de La Scala e confine con il comune di Empoli), arriva fino a Ponte a Egola, San Miniato alto, quindi La Serra e Corazzano, ovvero il limite sud-occidentale col comune di Montaione.

Le tabaccaie inserite all’interno del Piano Strutturale e quindi del Quadro Conoscitivo, sono:

2_ROFFIA4_CATENA6_CIGOLI7_CAPECCHI9_PALAGIO10_PALAGIO

CATALOGAZIONE TABACCAIE

Veri e propri esempi di architettura industriale, i tabacchifici, chiamati “TABACCAIE” in Toscana, iniziarono a sorgere a partire dalla fine del XIX secolo. Queste grandi strutture mostrano molte affinità con tutte le architetture ottocentesche legate all’industria, e non rappresentano un esempio della sola cultura contadina. Le caratteristiche di queste strutture, la loro tipologia, i materiali che vennero utilizzati per erigerle, derivano essenzialmente dalle necessità di lavorazione del tabacco. Il tabacco Kentucky è infatti un tabacco che viene curato con la cosiddetta cura a fuoco diretto, che necessita di vani ampi e sgombri, nonché di strutture adatte a consentire l’uso sicuro del fuoco. Tali necessità e il processo produttivo non potevano in alcun modo essere soddisfatte dal riadattamento di altre strutture a questo scopo. La specificità della funzione, che prevede non solo l’essiccazione della foglia in vani conformi, ma anche la lavorazione e la trinciatura delle foglie, configura le strutture come a prevalente sviluppo orizzontale.Le strutture possono essere di due tipi: locali di cura o tabaccaie. La funzione era, ed è, la stessa; l’unica differenza sta nelle dimensioni. Infatti, mentre il locale di cura è un vano unico, generalmente a pianta quadrata (5m x 5m), che costituisce un unico forno, la tabaccaia rappresenta l’unione di più forni (da un minimo di 6 a un massimo di 20) disposti uno di fianco all’altro, ma su due file opposte che si affacciano su un grande corridoio centrale, destinato a lavori attinenti. Le tabaccaie, generalmente imponenti e ben riconoscibili sul territorio per il loro tipico profilo basilicale, rispondono nella loro conformazione formale e tipologica all’organizzazione spaziale interna e alla funzionalità degli spazi. Sui prospetti principali in posizione centrale e simmetrica si trovano due grandi aperture, spesso ad arco ribassato, per consentire il passaggio dei mezzi agricoli per le operazioni di trasporto di materiale raccolto o finito. Dall’entrata principale si accede ad un unico grande vano centrale, detto corridoio, che, senza interruzioni, termina con l’altro prospetto ed è necessario per poter accedere facilmente ai vani forni che si affacciano su di esso lungo tutta la sua estensione. Il solaio del corridoio centrale, che pertanto presenta due lati lunghi ciechi in quanto vi si affacciano i forni e le due uniche aperture di accesso sui prospetti frontali, si presenta in genere con voltine volterrane. Anche al piano superiore il corridoio presenta un unico vano destinato al tabacco steso; l’illuminazione e l’areazione sono garantite da piccole aperture impostate lungo i lati longitudinali nella porzione di muratura che si sviluppa superiormente ai forni. I forni si affacciano sul corridoio centrale a piano terra e la comunicazione tra il corridoio e ogni forno avviene attraverso porte ad arco, spesso rifinite in mattoni e con numerazione progressiva segnata sulla chiave di volta. Tali accessi sono in genere sottodimensionati proprio per limitare l’escursione termica e la diffusione del fumo nel corridoio centrale. I forni non presentano solai intermedi e hanno altezze inferiori a quella del corridoio centrale, è proprio questa esigenza produttiva che fa somigliare la struttura nella sua interezza ad una basilica, con navata centrale e navate laterali più basse. L’areazione dei forni, necessaria per ottimizzare la temperatura del fumo è garantita da piccole finestre (una per ogni forno) posizionate in alto lungo entrambi I prospetti longitudinali.In alcune zone, come quella di San Miniato e Palaia, si preferiva la tabaccaia, in altre, come la zona di Valdichiana, si preferiva il locale di cura. Nella provincia di Pisa la maggior parte delle strutture sono state edificate nel periodo di maggior sviluppo della coltivazione del tabacco, ovvero tra la fine dell’Ottocento ed il primo trentennio del Novecento. Le tabaccaie nel territorio pisano non sono uniformemente distribuite, ma la loro ubicazione è legata al sistema di coltivazione e alla posizione dei campi da coltivare: la loro giacitura prevalentemente pianeggiante, vicino a corsi d’acqua e zone umide.Nel territorio del comune di San Miniato si riconoscono molte strutture che erano adibite al processo di essiccazione del tabacco. Il Piano Strutturale vigente individua NOVE tabaccaie, delle quali SEI vengono riconosciute come LUOGHI A STATUTO SPECIALE. Ad ogni modo la pubblicazione “Le tabaccaie nel comune di San Miniato. Valorizzazione e promozione” ne indica SEI ulteriori, che non si è potuto non inserire nel seguente elenco. La stessa amministrazione comunale ha riconosciuto il valore di questi edifici non schedati.Il nome attribuito alle diverse tabaccaie dipende generalmente dalla denominazione riportata nel PRGC nelle immediate vicinanze degli edifici o, in mancanza di questo, al centro più vicino ad essi. La numerazione segue una sorta di percorso, che dal limite nord-orientale del comune (zona de La Scala e confine con il comune di Empoli), arriva fino a Ponte a Egola, San Miniato alto, quindi La Serra e Corazzano, ovvero il limite sud-occidentale col comune di Montaione.

Complessivamente le tabaccaie esistenti e schedate sono:

1_MEZZOPIANO2_ROFFIA3_BADIA4_CATENA5_PONTE A EGOLA6_CIGOLI7_CAPECCHI8_BORGHIGIANA9_PALAGIO10_PALAGIO11_LA SERRA12_BUCCIANO13_CORAZZANO COLLAREDO14_CORAZZANO15_CORAZZANO

Le tabaccaie inserite all’interno del Piano Strutturale e quindi del Quadro Conoscitivo, sono:

2_ROFFIA4_CATENA6_CIGOLI7_CAPECCHI9_PALAGIO10_PALAGIO11_LA SERRA13_CORAZZANO COLLAREDO14_CORAZZANO

Delle quali le tabaccaie di CIGOLI, entrambe quelle di PALAGIO, LA SERRA ed entrambe quelle di CORAZZANO, compaiono come “luoghi a statuto speciale”.

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murari si sono molto ben conservati. Sono infatti solo un paio i casi di crolli, dovuti principalmente alle piccole scosse telluriche verificatesi negli ultimi anni. Le murature, quindi, sono, generalmente in buone condizioni. Lo stato di conservazione degli infissi varia molto da tabaccaia a tabaccaia, ma in nessun caso sono del tutto assenti. Anche l’intonaco, laddove presente, in alcuni casi si è molto ben conservato (considerando che gli edifici sono stati costruiti intorno ai primi 25 anni dello scorso secolo, e che presumibilmente non hanno subito di interventi di manutenzione ordinaria negli ultimi decenni), in altri ne restano solo poche tracce. Molto diversa è la situazione dei manti di copertura: numerosi i crolli, che interessano quasi tutte le tabaccaie. Dall’osservazione è emerso anche che diverse tabaccaie sono già dotate di servizi, che siano di tipo idrico o elettrico. Al fine della catalogazione è sembrato necessario stabilire inoltre quale sia la destinazione attuale dell’edificio. Tre delle quindici tabaccaie sono state restaurate, e hanno subito un cambio di destinazione d’uso: attualmente due di queste ospitano abitazioni civili, una delle quali affianca alle residenze anche un ristorante, l’ultima è invece un’azienda vinicola. Per quanto riguarda le altre tabaccaie, il loro utilizzo, laddove non siano state abbandonate, è più che altro legato al deposito di macchinari agricoli, o di qualsiasi altro tipo di oggetti appartenente ai proprietari. Nessuna delle tabaccaie è ad oggi funzionante come essiccatoio di tabacco. Al momento della redazione del fascicolo “Le tabaccaie nel comune di San Miniato. Valorizzazione e promozione”, negli anni 1997/1998 le tabaccaie in funzione erano addirittura cinque: 2_ROFFIA, 4_CATENA, 11_PALAGIO, 13_CORAZZANO, 14_CORAZZANO.

Valore architettonico

Il piano strutturale conferisce una valutazione sul valore architettonico dell’edificio, che può essere semplice, rilevante o eccezionale.

Fonti bibliografiche

L’ultima parte della schedatura è dedicata alle fonti bibliografiche. Diverse sono infatti le fonti, che hanno permesso l’individuazione di questi manufatti all’interno del comune. Prima di tutti il Piano Strutturale del comune, che come già detto, non riconosce tutte le tabaccaie, ma solo alcune. All’interno di questa sezione si specifica non solo la presenza nel Piano, ma, laddove la tabaccaia sia schedata, anche il suo numero identificativo.Una seconda fonte fondamentale è stata la pubblicazione “Le tabaccaie nel comune di San Miniato. Valorizzazione e promozione”, di Elke e Saskia Cavazza, a cura della Regione Toscana. La pubblicazione, del 1998, infatti redige un’importantissima opera di catalogazione, che è stato necessario aggiornare. La sezione in questione quindi, riporta il numero di schedatura che la tabaccaia occupava all’interno della pubblicazione, in modo da rendere più facile, laddove necessario, la comparazione delle informazioni. Un’altra fonte importante, seppure riguardi semplicemente una delle tabaccaie, è il sito internet www.industriadellamemoria.it, uno dei progetti di valorizzazione dei beni del territorio promossi dalla provincia di Pisa e che si occupa di ottenere, attraverso il censimento di siti, luoghi, strutture, una migliore conoscenza del patrimonio culturale e con questa, una migliore fruizione e un’adeguata promozione pubblica. All’interno di questo percorso la professoressa Cristiana Torti, docente di Archeologia Industriale presso l’Università degli Studi di Pisa, ha avviato una ricerca ed un censimento sul patrimonio industriale nella provincia di Pisa. All’interno della mappa interattiva creata, compare anche un percorso tematico intitolato “Quelle rustiche cattedrali: tabacco e tabaccaie”, all’interno del quale si fa menzione delle diverse tabaccaie nel territorio samminiatese e una delle schede redatte riguarda proprio la Tabaccaia di Capecchi.

Criteri di catalogazione

Per ognuna delle tabaccaie selezionate è stata redatta una scheda identificativa.Ognuna delle schede presenta una fotografia dell’edificio, la localizzazione all’interno del territorio comunale (sono evidenziati anche i diversi ambiti territoriali) e una porzione di ortofoto, nella quale viene indicata la posizione precisa del manufatto. Si hanno quindi sei principali argomenti di rilievo: l’inserimento nel contesto ambientale, la tipologia prospettica, i caratteri costruttivi, gli elementi di arredo, lo stato di conservazione, il valore architettonico e le fonti bibliografiche.

Inserimento nel contesto ambientale

Per quanto riguarda il primo di questi, vengono analizzate la localizzazione della tabaccaia, quindi l’ambito territoriale di appartenenza, l’indirizzo e la località (che, come già detto, spesso da il nome alla costruzione), l’identificazione catastale (non sempre è possibile avere un indirizzo preciso, vista la posizione anche in zone rurali). Importante è anche specificare se gli edifici sono dotati di urbanizzazione primaria, quindi se sono presenti strade carrabili o meno e se sono asfaltate. In riferimento alle caratteristiche planivolumetriche possono distinguersi manufatti che si riscontrano come edifici singoli, oppure costruiti nelle vicinanze di altri edifici (spesso la tabaccaia sorgeva vicino ad un’abitazione). Un’altra caratteristica è la posizione: numerose sono le tabaccaie che si trovano in piano, dove la coltivazione era più semplice, ma diversi sono i casi di giacitura su di un poggio, oppure in un’area a maggiore o minore pendenza. Viene infine data un’indicazione rispetto alla data di costruzione, che può essere certa oppure presunta e quindi ricadere negli anni tra il 1900 e il 1925.

Tipologia prospettica

La seconda parte della schedatura riguarda le tipologie prospettiche, caratteristica che qualifica in modo inequivocabile la struttura. Le varie tabaccaie, possono avere infatti la tipica forma basilicale, con o senza l’apertura circolare sulla sommità della navata centrale, oppure possono avere semplicemente due falde e quindi una forma a capanna. Tuttavia, diversi sono i casi di tabaccaie che presentano un prospetto (spesso quello principale) con la forma basilicale e l’altro a capanna.

Caratteri costruttivi

Un’ulteriore argomento di analisi è rappresentato dalle caratteristiche strutturali. All’interno di questa sezione vengono analizzati la muratura, che può essere di mattoni a vista, di blocchetti di calce e ricorsi di mattoni e mista con mattoni e blocchi di ghiaia; successivamente si valuta l’intonaco, che può essere presente o meno; la copertura, con quattro falde parallele a due a due, oppure solo due, e infine, gli infissi, di legno tradizionale oppure prevalentemente non di tipo tradizionale.

Elementi di arredo

Numerosi sono gli elementi decorativi che possono essere presenti sui quattro prospetti esterni, tuttavia all’interno di questa sezione si specificano anche i casi laddove sia avvenuto un crollo di qualche parte del manufatto, che genericamente riguarda le coperture e solo in un caso (tabaccaia di La Serra), coinvolge gran parte della muratura. La decorazione che si riscontra nella maggior parte degli edifici è senz’altro la riquadratura delle aperture con fasce di mattoni disposti, spesso, ad arco, così come dei portali. Numerosi sono anche pilastri, timpani e lunette, realizzati anch’essi con mattoni. Diversi sono i casi in cui le aperture vengano protette con delle inferriate. La tabaccaia Palagio presenta un particolare elemento decorativo, rappresentato da un ricorso sottogronda di mezzane disposte a zig-zag. La stessa tabaccaia riporta anche la data di costruzione, realizzata con numeri in terracotta. La tabaccaia di Corazzano, oltre ad una fascia decorativa di mezzane sui prospetti laterali, presenta anche lo stemma in pietra dei Conti di Collaredo, presente anche nella tabaccaia di Capecchi.

Stato di conservazione

Un ulteriore argomento di interesse è lo stato di conservazione di tutti gli elementi costruttivi, quindi della muratura, dell’intonaco, laddove presente, della copertura, degli infissi e una valutazione più generica sul manufatto nel suo complesso. In generale, dall’osservazione dei manufatti è emerso che nella maggior parte di essi gli apparecchi

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SELEZIONE TABACCAIE

La maggior parte delle tabaccaie non sono più funzionali all’interno del processo produttivo del tabacco, proprio a causa del declino della coltivazione di questa pianta nella zona di San Miniato. Se fino a qualche decennio fa ancora qualche tabaccaia era in uso, al giorno d’oggi la coltivazione del tabacco è stata del tutto azzerata e alle tabaccaie, quindi in disuso, vengono meno non solo la manutenzione straordinaria, ma soprattutto quella ordinaria, con conseguenze di degrado fisico ma anche sociale di questi edifici. Molte sono le tabaccaie deteriorate, numerosi i crolli (soprattutto delle coperture, più fragili a causa della continua e maggiore esposizione e della deteriorabilità dei materiali che le compongono) e addirittura si è assistito ad alcune demolizioni. Questi edifici fanno parte della cultura e della tradizione agraria e lavorativa del territorio e se dovessero andare perduti, lo sarebbe anche una parte della storia del comune di San Miniato. La tutela di questi manufatti è assolutamente da garantire, anche se di difficile definizione è il tipo di intervento che si può ritenere “ammissibile” per strutture di questo tipo. Come sostengono anche Stefano Sodi e Elke Cavazza, nel loro articolo <<Coltivazione del tabacco e tabaccaie in provincia di Pisa. Aspetti storico-sociali e problemi di riuso>>, pubblicato all’interno del numero 74 del Bollettino Storico Pisano del 2005, è necessario riflettere sul tipo di intervento ammissibile affinché le tabaccaie riescano ad adeguarsi alle nuove richieste senza perdere la propria identità. È chiaro che non tutte le tabaccaie sono uguali nella dimensione, nei materiali usati, nello stato di conservazione: alcune sono effettivamente di difficile riconversione, in quanto prive di fondazioni e senza alcuna affidabilità statica dei materiali, altre sono solide e permetterebbero interventi di ristrutturazione attenta anche di un certo impatto. La sensibilità culturale e l’attenzione verso il recupero del patrimonio edilizio esistente sono molto cresciute degli ultimi anni, incentivate anche sia da un punto di vista politico che legislativo: la Regione Toscana in tutta la sua produzione legislativa in materia di governo del territorio ha tenuto come cardine e punto nodale la riduzione del consumo delle risorse essenziali del territorio, privilegiando, laddove possibile, il riuso e il recupero di ciò che esiste come segno dell’ingegno e del lavoro dell’uomo a partire dai borghi medievali, per passare a quelli rinascimentali fino ai fabbricati industriali dismessi. Si riportano anche le valutazioni contenute all’interno della pubblicazione <<Le tabaccaie nel comune di San Miniato. Valorizzazione e promozione>>, di Saskia ed Elke Cavazza, risalente al 1998:

“Le tabaccaie sarebbero un ottimo inizio per il comune di San Miniato per pensare ad un riqualificazione e ad una tutela del territorio in senso equilibrato. La tutela di questi edifici deve avvenire proprio perché si tratta di monumenti e come tali vanno conservati, non mediante il congelamento, cioè immobilismo e musealità (sempre più spesso esiste nella cultura locale la convinzione che la tutela ambientale limiti e ostacoli lo sviluppo), ma secondo il principio dell’adeguamento alle nuove esigenze e quindi della conservazione, ovvero “quell’insieme di attività volte alla tutela e alla attuazione di quelle scelte, che nella dinamicità delle trasformazioni delle città e del territorio, sono effettuate con la maggior libertà e creatività e pertanto esprimono l’identità soci-culturale di un luogo”. Se negli ultimi anni, sempre di più, si è assistito a interventi di ristrutturazione pesante o demolizione, non solo si sono persi dei volumi e dei contenitori edilizi, ma parti della storia del territorio. “

Nonostante l’importanza che ha rivestito la fase di catalogazione dei manufatti, necessaria è sembrata tuttavia anche un’opera di selezione, volta a individuare quali di tutti questi manufatti, che sono ancora oggi presenti sul territorio, possano essere davvero recuperati. Perché se davvero tutti questi manufatti sono a rischio, non tutti sono verosimilmente trasformabili. Le stesse logiche di mercato, impongono di fare una cernita e seguire alcuni criteri, che successivamente verranno elencati, e che andranno a individuare un numero totale di sette edifici “adatti ad un programma di recupero”.

Le tabaccaie selezionate e che quindi saranno oggetto del progetto di recupero sono:

5_PONTE A EGOLA7_CAPECCHI9_PALAGIO10_PALAGIO11_LA SERRA13_CORAZZANO COLLAREDO14_CORAZZANO

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Se all’elenco iniziale

1_MEZZOPIANO2_ROFFIA

3_BADIA4_CATENA

5_PONTE A EGOLA6_CIGOLI

7_CAPECCHI8_BORGHIGIANA

9_PALAGIO10_PALAGIO

11_LA SERRA12_BUCCIANO

13_CORAZZANO COLLAREDO14_CORAZZANO15_CORAZZANO

vengono tolte:

1_MEZZOPIANO2_ROFFIA

3_BADIA4_CATENA

6_CIGOLI8_BORGHIGIANA

12_BUCCIANO15_CORAZZANO

resteranno:

5_PONTE A EGOLA7_CAPECCHI

9_PALAGIO10_PALAGIO

11_LA SERRA13_CORAZZANO COLLAREDO

14_CORAZZANO

Criteri di selezione

Sicuramente non saranno oggetto di recupero le tabaccaie ad oggi già restaurate o per le quali è già previsto un progetto di recupero. Si tratta delle tabaccaie:

1_MEZZOPIANO3_BADIA6_CIGOLI8_BORGHIGIANA12_BUCCIANO

La tabaccaia di Mezzopiano è stata restaurata ed ospita attualmente la sede operativa della azienda vinicola “Cerester Wines”, un’azienda che lavora un’ampia quantità di vini sfusi sia pronti, per bottiglia, sia da taglio per migliorare la qualità del prodotto finale., totalmente vengono lavorati circa 20 mln di litri annui per una vasta gamma di vini nazionali (vini da tavola, igt, doc e docg). La capacità di stoccaggio è di 5 mln. di litri.La tabaccaia di Badia è destinata ad accogliere un nuovo centro OPG (Ospedale Psichiatrico Giudiziario), poiché una parte dei pazienti ricoverati attualmente nella struttura di Montelupo fiorentino, dovrebbe essere qui trasferita a causa dell’imminente chiusura di tale struttura. In un’area dell’ex-tabaccaia, già di proprietà dell’USL, dovrebbe quindi essere ricavata questa struttura di accoglienza, per la quale dovrebbe già esistere un progetto. La tabaccaia di Cigoli è stata recentemente restaurata e ospita attualmente un complesso residenziale.La tabaccaia Borghigiana è quella che senz’altro ha subito più trasformazioni nel tempo. Il suo cambiamento da ex-seccatoio a complesso residenziale, che ospita ad oggi in una sua parte anche un ristorante, è frutto della stratificazione nel tempo. Le singole unità abitative non sono state oggetto di un complessivo progetto di ristrutturazione, ma si sono succedute nel tempo fino a saturare lo spazio disponibile. Come già detto, in una parte si trova oggi anche il ristorante “Il podere del grillo”. Anche la tabaccaia di Bucciano è stata di recente oggetto di ristrutturazione: la struttura è stata infatti restaurata e costituisce parte di un agriturismo, chiamato “Il paradiso della natura”.

Un altro criterio di selezione considera la posizione dei manufatti nel territorio. Spesso infatti queste strutture, proprio a causa della loro vocazione produttiva legata al tabacco, sono localizzate vicino ai terreni coltivati e quindi non sempre vicino alle aree densamente costruite ed abitate. Due delle tabaccaie, quella di Roffia e quella della Catena, si trovano non solo abbastanza lontano dai centri abitati, ma soprattutto le si può raggiungere solo attraverso strade secondarie e nel caso della Catena, solo tramite una strada non asfaltata. Non si immagina quindi per tali manufatti una destinazione diversa da quella di locale annesso alla produzione agricola, soprattutto per quanto riguarda il caso di Roffia. Per l’ex-tabaccaia della Catena, si crede che la sua posizione non sia così vantaggiosa, da prevedere insieme al restauro anche l’onere di costruzione dell’urbanizzazione primaria. L’ultima tabaccaia non oggetto del progetto di recupero è la numero 15, la piccola tabaccaia di Corazzano. Questa tabaccaia, “ultima” considerata tra le tre di Corazzano, ha infatti dimensioni davvero ridotte, che precludono una qualsiasi nuova destinazione che non riguardi forse una piccola abitazione o un deposito. Inoltre questa struttura è all’interno di un lotto privato e la sua vicinanza ad un’altra costruzione esistente, destinata a residenza, ne rende ancora meno verosimile la ristrutturazione.

Per concludere, sono cinque le tabaccaie non considerate perché già restaurate o oggetto di un progetto di ristrutturazione, due sono quelle la cui localizzazione non è favorevole, e una con dimensione troppo ridotta.

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STATO DELL’ARTE

Per inquadrare al meglio il problema del recupero di questi splendidi manufatti è doveroso considerare lo stato dell’arte, ovvero come questo problema è stato affrontato da altri in contesti simili o appena diversi.È sembrato interessante studiare come sono stati affrontati e risolti tre casi di ex-seccatoi restaurati: il primo caso analizzato riguarda la ristrutturazione di una tabaccaia presente all’interno del comune (verrà analizzato il progetto di ristrutturazione dell’ex tabaccaia di CIGOLI), il secondo caso riguarda un manufatto che si trova in Toscana, ovvero una tabaccaia di Castelfalfi, in provincia di Firenze, che ospita ad oggi un albergo, che porta ovviamente il nome di “Hotel La Tabaccaia”, e infine, verrà riportato un esempio all’interno del panorama globale italiano, ovvero l’attuale Fondazione Palazzo Albizzini, sede espositiva della Collezione Burri, disposta negli Ex Seccatoi del Tabacco di Città di Castello in Umbria. Questi tre esempi esemplificheranno quelle che sono le strategie di recupero, o meglio alcune delle strategie di recupero, attuabili forse anche nelle altre ex-tabaccaie del Comune di San Miniato.

Tabaccaia 6_CIGOLI

La prima di queste tabaccaie, la Tabaccaia di Cigoli, ospita un complesso residenziale. Il progetto prevede lo svuotamento della navata centrale, che conserva la copertura solo a memoria dell’antica conformazione tipologica e che diviene area di distribuzione ai diversi alloggi, situati nelle vecchie navate laterali. Le dimensioni dei vecchi forni, in genere con una superficie poco inferiore ai 50mq e un altezza non inferiore in gronda ai 7m e al colmo di 9m, consentono e suggeriscono che si opti per abitazioni in duplex, ovvero su due piani. Le singole residenze finali, sono infatti spesso di circa un centinaio di metri quadri (qualora non vengano accoppiate per creare un alloggio più grande).Anche altri progetti, redatti per altre tabaccaie del comune di San Miniato, in particolare un progetto di ristrutturazione della tabaccaia n.14 di Corazzano, affrontano il problema approcciandosi al manufatto nella stessa maniera: svuotando la navata centrale e lasciandole la sua funzione iniziale di “spazio servente”, inserendo all’interno collegamenti verticali condivisi da tutti gli alloggi e configurandolo come spazio comune e di socializzazione. Le navate laterali, che ospitavano i forni, restano in questa configurazione ancora “spazi serviti”, ma vengono suddivisi in altezza da un solaio, che ne altera l’iniziale conformazione (spazio centrale diviso-spazi laterali unici diventa spazio centrale unico-spazi laterali divisi). Inoltre inserendo all’interno del manufatto la funzione residenziale devono assolutamente cambiare le condizioni di luce e di aerazione. Se i due prospetti hanno mantenuto le stesse aperture della struttura iniziale, i lati lunghi longitudinali non si presentano più come quasi ciechi, ma piuttosto scanditi da grandi aperture, sia all’attuale piano terra che all’attuale primo piano.

Hotel “La Tabaccaia”

La ristrutturazione della tabaccaia di Castelfalfi, una piccola frazione del comune di Montaione, nella provincia di Firenze, rientra all’interno di un grande programma di recupero e restauro per riportare in vita l’antico borgo, ormai in rovina, e la vasta tenuta circostante con criteri di massimo rispetto dell’ambiente, dell’architettura e della tradizione storica del cuore della Toscana. La ristrutturazione, progetto dell’arch. Letizia Chiarugi dello Studio Internazionale Opera di Firenze, ha previsto la trasformazione del manufatto in un albergo a tre stelle, dotato di trenta camere. Il progetto ha cercato di mantenere il più possibile la struttura originaria, nonostante l’originaria fabbrica di tabacchi fosse già stata predisposta in passato per ospitare un albergo e quindi la divisione delle varie camere fosse già stata predisposta. Ognuna delle camere vanta di un soffitto perfettamente ristrutturato recuperando i materiali ed il gusto tipici della regione, che presenta travi a vista e mattoni anneriti risalenti all’edificio originale. La dimensione delle camere varia dai 21mq delle camere standard ai 40-50mq delle suite. Il piano terra ha mantenuto l’ampiezza tipica degli ambienti industriali, poiché viene sfruttato come punto nevralgico di tutta la Tenuta di Castelfalfi, dove recarsi per ottenere tutte le informazioni.

Fondazione Palazzo Albizzini_Collezione BURRI

La Collezione Burri agli Ex Seccatoi è stata aperta al pubblico nel luglio 1990 a seguito dell’acquisizione e ristrutturazione dei capannoni industriali utilizzati fino agli anni sessanta, per l’essiccazione del tabacco tropicale. Nello spazio di 7.500 mq. circa, l’artista stesso ha curato l’esposizione di 128 opere realizzate dal 1970 al 1993. L’Istituzione può essere considerata una creazione dell’artista, a cui si devono la scelta degli spazi architettonici, i principi che ne hanno guidato il recupero per fini espositivi, la selezione delle opere e la loro sistemazione. Il complesso industriale è sorto fra la fine degli anni ‘50 e la metà degli anni ‘60 per l’essiccazione del tabacco, prodotto

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di una coltivazione particolare che aveva visto la valle coprirsi per vastissime zone di garza bianca, una coltura originale per la quale erano sorte strutture architettoniche irripetibili, che è stato possibile salvare da sicura distruzione grazie all’attuale destinazione a spazio espositivo. Lo stabilimento già in passato aveva avuto impieghi diversi. Nel 1966, a seguito dell’alluvione di Firenze, evento disastroso che comportò la perdita di documenti fondamentali per la storia della civiltà europea, la Fattoria Autonoma Tabacchi ebbe modo di dimostrare la sua attenzione verso i valori culturali non solo relativi alla città e al suo territorio, offrendo l’uso delle attrezzature tecniche e del personale per il prosciugamento dei preziosi libri danneggiati della Biblioteca Nazionale Centrale, del materiale cartaceo del Tribunale Civile e Penale e della società editoriale “La Nazione”. Negli anni ‘70 la coltivazione, non più redditizia, venne cessata e con essa anche l’uso dei seccatoi. Risale al 1978 la concessione in uso gratuito all’artista, da parte della società proprietaria, di un capannone, che nel 1979 fu aperto per la presentazione alla critica ed al pubblico del primo vasto ciclo pittorico denominato “Il Viaggio”. L’acquisto di tutto il complesso da parte della Fondazione Palazzo Albizzini, reso possibile nel 1989, ha dato l’avvio al progetto generale di recupero ed adattamento museale. Il criterio di restauro degli Ex Seccatoi del Tabacco ha il massimo riguardo delle peculiarità, in modo da mantenere integra l’antica dignità, e in qualunque momento possa tornare alla “destinazione d’uso iniziale” o trovare impieghi diversi. L’allestimento è sobrio, razionale, funzionale all’esposizione delle opere, disposte con grande misura negli ampi spazi, in modo che ci sia rapporto reciproco fra queste e l’architettura.La struttura degli ex-seccatoi di tabacco di Città di Castello è molto diversa dalla tipologia basilicale delle tabaccaie del comune di San Miniato e comunque dell’area toscana. La diversa conformazione deriva dalle diverse necessità del processo produttivo del tabacco: in Umbria e comunque nella zona di Città di Castello, infatti, non si coltiva e non si coltivava il tabacco di tipo Kentucky, ma la specie qui principale è il tabacco di tipo Bright e Virginia Bright. Questa specie di tabacco a differenza del Kentucky, che è sottoposto al metodo di cura a fuoco diretto, viene lavorato tramite il metodo ad aria calda. Se il metodo a fuoco diretto ha bisogno di appositi locali in muratura dove le foglie vengano a contatto con il fumo, per le foglie dei tabacchi che vengono curati ad aria calda, si utilizzano delle stufe, che vengono disposte in appositi locali, detti bulk-curing, e che immettono nell’essiccatoio aria calda e umida e nei quali umidità e temperatura sono appositamente regolati. Quindi a diversi metodi di cura corrispondono diverse tipoloigie di essiccatoi. Il museo di Città di Castello è frutto dell’unione di undici capannoni, suddivisibili in tre gruppi principali: i primi sei sono posti uno di fianco all’altro, altri tre e poi successivamente altri due sono disposti nella stessa maniera. Questi tre gruppi sono poi innestati l’uno all’altro perpendicolarmente. Ogni singolo seccatoio è composto da un grande parallelepipedo voltato a botte. Le dimensioni di ognuna di queste singole strutture sono davvero ingenti. Gli ambienti espositivi restano pressappoco vuoti, in modo da permettere la naturale fruizione delle opere d’arte da parte del visitatore.Il recupero della struttura, sotto il punto di vista tecnologico e strutturale, ha previsto lo scarico della muratura esistente, mediante l’inserimento di strutture verticali prefabbricate di cemento armato, che, poggiando a terra, e collegandosi tra di loro da grandi travi, anch’esse prefabbricate e di cemento armato, sostengono una copertura di capriate metalliche alle quali si appende il sistema di illuminazione.

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di questa, a creare un nuovo ambiente, che oggi non esiste, oppure all’interno delle navate laterali. Allo stesso modo possono essere aggiunti anche i solai-soppalchi. Riassumendo possiamo considerare due tipi diversi di solai, e tre tipi diversi di suddivisione verticale: divisione delle navate laterale, divisione della navata centrale com’era nelle vecchie tabaccaie e a creare un ambiente sulla sommità della stessa.

Sistema di distribuzione

Il sistema di distribuzione originario prevedeva, a piano terra, che agli ambienti si accedesse dalla navata centrale e che il transito fosse consentito sopra il solaio del primo piano. Per quanto riguarda la comunicazione tra gli ambienti a piano terra, questa potrebbe avvenire non solo tra il corridoio centrale e i vari forni, ma anche tra i vari forni adiacenti l’uno all’altro. Se si considera la distribuzione al piano superiore invece, potrebbero essere inseriti uno o due ballatoi nella navata centrale (non più suddivisa ma a tutta altezza), oppure la comunicazione potrebbe avvenire in modo localizzato, all’interno delle navate laterali (non più a tutta altezza ma divise da un solaio o con un ballatoio).

VARIANTI E INVARIABILI DI PROGETTO

La tesi si propone di creare una guida, capace di indirizzare il futuro progettista, il futuro committente, o chiunque si occuperà della trasformazione delle ex-tabaccaie, verso la conoscenza non solo della struttura, della sua storia, ma anche verso la consapevolezza di tutti quei cambiamenti che possono o che non possono essere attuati, e come riuscire ad attuarli.Nell’ottica di un cambio di destinazione, sicuramente notevoli e svariati saranno i cambiamenti che i diversi edifici dovranno subire. Opportuno appare quindi, stilare una lista, se così si può dire, di varianti e invariabili delle ex-tabaccaie. Ciò permette di definire in modo chiaro quali sono le caratteristiche delle strutture originarie che possono essere mantenute e cosa e come può variare e in che modo.Per quanto riguarda la definizione di cui sopra, è stato necessario studiare nei dettagli il manufatto originario e le singole unità tecnologiche di cui si compone.

Vengono considerate cinque categorie principali: la definizione volumetrica, il posizionamento dei solai e la divisione degli spazi verticali, il sistema di distribuzione, il sistema di illuminazione ed il sistema di collegamento verticale.

Definizione volumetrica

Per quanto riguarda la conformazione dell’edificio, si fa riferimento in questa sezione proprio alla suddivisione macroscopica in tre navate: quella centrale e le due laterali. Si presuppone come prima ipotesi quella di mantenere la volumetria così com’è allo stato attuale: ovvero con una navata centrale e due navate laterali “integre”. Le diverse configurazioni della tabaccaia una volta trasformata potrebbero essere ottenute mantenendo o meno le due navate laterali: una navata o una parte di questa potrebbe essere demolita; la demolizione potrebbe riguardare anche entrambe le navate laterali, completamente o parzialmente; ad essere smantellata potrebbe essere invece la navata centrale o una sua porzione, l’ultima possibilità di disfacimento potrebbe riguardare una porzione della navata laterale, ma questa volta in verticale, ovvero mantenendone una parte a un’altezza inferiore. Un’ulteriore possibilità di trasformazione volumetrica della configurazione totale dell’edificio concerne non la demolizione, ma l’aggiunta di volumi all’interno delle diverse navate.

Posizionamento solai e suddivisione spazi verticali

Anche in questa categoria, si considera come prima ipotesi quella di mantenere l’assetto attuale, che prevede la presenza di un solo solaio, che suddivide la navata centrale in due piani, e l’assenza di alcuna suddivisione nelle navate laterali, che si configurano quindi come ambienti a tutta altezza. Le diverse possibilità di questa sezione considerano le ipotesi di inserire solai di un maggiore spessore (che possano quindi contenere gli impianti) e solai più sottili, con i quali si possono creare degli ambienti soppalcati. Questi solai-impiantistici, se così si possono definire, possono essere inseriti a dividere la navata centrale, nella posizione che occupano adesso, nella sommità

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IPOTESI DI NUOVE DESTINAZIONI D’USO

Una volta stabilite le caratteristiche variabili e invariabili della struttura nel suo complesso, la tesi intende esaminare quali possono essere le destinazioni d’uso più compatibili con le antiche strutture. Occorre assolutamente stilare una lista di tutte le possibili destinazioni d’uso e di conseguenza fare un’ulteriore cernita in base alle esigenze particolari di ogni tabaccaia.Le destinazioni d’uso previste dal Regolamento Urbanistico del comune di San Miniato sono:

USO RESIDENZIALEUSO COMMERCIALEUSO DIREZIONALEUSO DI SERVIZIOUSO INDUSTRIALE E ARTIGIANALE USO TURISTICO-RICETTIVOUSO COMMERCIALE ALL’INGROSSO E DEPOSITIUSO AGRICOLO E FUNZIONI CONNESSE

Alcune precisazioni: per quanto riguarda la categoria “uso direzionale” sono state considerate due diverse sottocategorie: le cosiddette “attività direzionali” (sedi di enti e di società pubbliche o private) e le “attività di servizio a imprese e persone” (studi professionali e uffici). La destinazione di servizio può invece comprendere tutte le attività di terziario, quindi non solo le strutture ricreative (cinema, sale convegni, centri benessere, palestre ecc.), le strutture sanitarie (ospedali, presidi medici, ambulatori, studi medici), ma anche spazi espositivi, musei e strutture quali scuole e centri di formazione. Una valutazione globale sulla ridestinazione delle tabaccaie non può non tenere di conto di alcuni elementi di pregio, patrimonio del comune di San Miniato, che devono senza dubbio essere promossi e valorizzati.Il territorio di San Miniato offre, oltre alla bellezza delle sue colline e dei suoi territori, e, ovviamente, al bagaglio storico e culturale che ha creato nel corso dei secoli, anche diversi prodotti di altissima qualità: quali il cibo, il vino, l’olio e ultimo ma non ultimo il tartufo. Un altro elemento da valorizzare è senza dubbio l’importanza del distretto industriale del comprensorio del cuoio, che insieme a San Miniato comprende anche i comuni di Santa Croce sull’Arno, Castelfranco di Sotto, Montopoli in Val d’Arno, Santa Maria a Monte e Fucecchio.

Sistema di illuminazione

Il sistema attuale di illuminazione prevede, longitudinalmente, la presenza di piccole aperture nella parte superiore dei forni e sulla sommità della navata centrale, nello scarto di altezza che si ha tra le diverse parti della struttura. Le possibili modifiche consistono nell’aggiunta di lucernari in copertura, che portino una luce zenitale ai vari ambienti, oppure l’aggiunta di altre aperture, nella parte inferiore dei forni. La predisposizione di un’apertura potrebbe avvenire infine, non solo per soddisfare necessità di maggiore illuminazione, ma anche per permettere agli utenti di godere di un particolare panorama.

Sistema di collegamento verticale

Le strutture originarie prevedevano che il collegamento tra i due piani avvenisse mediante un piccolo corpo scala, realizzato spesso in legno e posizionato in una delle due estremità della navata centrale. Considerando possibile suddividere gli ambienti verticalmente in modo diverso, e aggiungendo quindi solai laddove adesso non ci sono, i corpi scale potrebbero trovare nuova posizione anche all’interno di una o di entrambe le navate laterali o addirittura esternamente alla struttura (idea plausibile ad esempio nel caso piano inferiore e piano superiore abbiano destinazioni d’uso diverse).

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QUADRO SINOTTICO

Riassumendo: vengono valorizzati i prodotti tipici del territorio considerando come probabili nuove destinazioni RISTORANTI, AGRITURISMI, AZIENDE AGRICOLE, FATTORIE DIDATTICHE, CANTINE VINICOLE, FRANTOI ed eventuali SPAZI PER SAGRE CITTADINE; si promuove l’importanza del distretto industriale del comprensorio del cuoio mediante l’istituzione della nuova sede della POTECO (Polo Tecnologico Conciario), che provvede ad attività di studio e di ricerca, che investono sia la formazione di scuola media superiore che quella universitaria, e realizza attività di formazione professionale e ricerca applicata nella filiera industriale della pelle; le nuove sedi dell’Archivio comunale, della “Fondazione centro studi Tardomedioevo” e “Accademia Euteleti”, potrebbero invece mettere in mostra l’importanza storica e culturale che il comune ha rivestito nel corso dei secoli.

QUADRO SINOTTICO

Il quadro sinottico (nella pagina a fianco) sintetizza quelle che sono le diverse varianti delle destinazioni d’uso e i casi in cui sarebbero attuabili.

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Hg: altezza di grondaHc: altezza di colmo

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SCELTA DI UN CASO STUDIO

Una volta analizzati i metaprogetti relativi a tutte le tabaccaie e a tutte le possibili destinazioni d’uso, la tesi si è pro-posta di giungere all’analisi più approfondita di uno dei progetti, appunto un caso studio.

Il progetto che si è deciso di definire in modo più dettagliato riguarda la tabaccaia CAPECCHI, nelle vicinanze del centro storico di San Miniato alto. La posizione del manufatto su di un poggio gli offre una vista senza dubbio privilegiata sul panorama collinare tipico della zona sanminiatese. L’ambito territoriale di appartenenza è quello del Colle di San Miniato (catalogato come il numero tre dei sette ambiti territoriali presenti al capitolo 2.Localizzazione).Situata precisamente sulla strada che collega il centro di San Miniato alto con la vicina Cigoli, la tabaccaia Capecchi (numero sette nella precedente catalogazione al capitolo tre) venne costruita dai Conti di Collaredo presumibilmente nel 1923, in analogia con l’altra tabaccaia di loro proprietà, ovvero la tabaccaia numero tredici, schedata col nome di Corazzano-Collaredo appunto. A dimostrazione di ciò è sempre presente lo stemma lapideo sulla sommità della facciata.La tabaccaia è il frutto dell’unione di otto forni, quattro su ogni lato del corridoio centrale. Una delle due facciate, la principale ha il tipico profilo basilicale, l’altra vanta invece di un profilo a capanna e l’affaccio sul panorama dei declivi collinari circostanti. Il manufatto è di proprietà privata e quindi non del comune. La tabaccaia non ha subito nel corso del tempo particolari crolli o dissesti, nonostante l’incuria dovuta all’abbandono della funzione principale di lavorazione del tabacco. Le murature sono quasi interamente intatte, e ciò vale anche per gran parte della copertura. Visivamente si può notare un solo crollo di lieve entità di una porzione di copertura all’intersezione tra la facciata posteriore (a forma di capanna) e uno dei muri perimetrali. All’interno dei forni sono sempre presenti i vecchi sistemi di ancoraggio delle filze delle foglie di tabacco, costutuiti da telai di legno. Anche il solaio del primo piano è intatto, così come la piccola scala di legno che si trova nella navata centrale. Gli infissi in vetro delle grandi aperture presenti nelle facciate sono entrambi andati distrutti.Il piazzale retrostante la tabaccaia, sul quale si affaccia la facciata a capanna, si presenta sgombro di alberi o di qualsiasi altro oggetto. Diversa la sorte dell’altro spazio, quello antistante la facciata principale di forma basilicale, che è reso inagibile dalla presenza di piante e arbusti lasciati all’incuria.

Il caso studio che si è deciso di approfondire riguarda il progetto per la nuova sede di un’istituzione culturale molto importante per il comune di San Miniato: la Fondazione Centro Studi Tardomedioevo.

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La Fondazione Centro Studi sulla Civiltà del Tardo Medioevo è sorta nel 1984 per iniziativa di alcuni grandi sto-rici medievisti e grazie ai contributi del Comune di San Miniato e della Cassa di Risparmio di San Miniato, ai quali si sono successivamente aggiunti quelli della Regione Toscana, della Provincia di Pisa, del Ministero dei Beni Culturali e e della Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato.Il Centro, che ha sede a San Miniato, ha come fini e compiti istituzionali la promozione di ricerche e pub-blicazioni scientifiche sulla storia della civiltà del Tardo Medioevo e l’organizzazione di convegni, seminari, conferenze e incontri dedicati al suddetto periodo.Il Centro Studi sulla Civiltà del Tardo Medioevo è molto noto negli ambienti accademici italiani ed in diversi contesti universitari europei; lo dimostra soprattutto il fatto che ai convegni biennali e ai seminari annuali partecipano sia studiosi italiani che docenti stranieri di chiara fama. Esso è infatti divenuto un punto di riferimento permanente per chi si occupa di questo periodo storico.Fini e compiti istituzionali del Centro sono: promuovere ricerche e pubblicazioni scientifiche sulla storia della civiltà tardo medievale; organizzare convegni, seminari di studio, conferenze e incontri dedicati al suddetto periodo; curare ogni altra iniziativa che integri le suddette attività. Fin dall’inizio, questi fini sono stati perseguiti attraverso iniziative articolate su tre diversi piani: convegni, a cadenza biennale, su grandi temi della storia medievale i cui atti vengono pubblicati nella collana ‘Studi e ricerche’ giunta al suo ottavo volume; seminari di studio residenziali, a cadenza annuale, incentrati su varie tipologie di fonti per la storia della civiltà italiana tardomedievale, ai quali partecipano, fruendo anche di borse di studio del Centro, giovani studiosi italiani e stranieri e funzionari di biblioteche e archivi statali inviati in missione dai rispettivi Uffici Centrali del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, i quali al mattino seguono le lezioni dei docenti e nel pomeriggio svolgono relazioni sulle ricerche che stanno conducendo intorno al tema del seminario: una novità, allora, nell’organizzazione della cultura storica italiana e che è stata di recente imi-tata da altre istituzioni; incontri, a cadenza biennale, fra gli ex seminaristi che proseguono i loro studi, con lo scopo sia di offrire ad essi, selezionati per gruppi di lavoro l’opportunità di discutere e confrontare le loro ricerche sotto la guida dei docenti che hanno coordinato i rispettivi seminari, sia di continuare a seguirli nel loro iter scientifico. Da alcuni anni, inoltre, avendo intuito le esigenze della classe insegnante del territorio, il Centro ha organizzato, su temi concordati con gli interessati, corsi di aggiornamento per insegnanti di scuole medie e medie superiori, il cui bacino di utenza spazia ormai da Empoli a Pisa. Dal 1998 si è iniziata anche la pubblicazione di un’altra collana, dal titolo ‘Biblioteca’, destinata ad ospitare le pubblicazioni diverse da quelle dei consueti convegni biennali e il cui primo volume è dedicato ad un tema particolarmente sentito nel nostro territorio: “Il cuoio e le pelli in Toscana: produzione e mercato nel tardo Medioevo e nell’Età moderna”. Seguendo queste linee, l’attività del Centro è andata sempre più imponendosi all’attenzione degli studiosi, tanto che ormai esso ha assunto un respiro internazionale, divenendo un punto di riferimento ineludibile per chi si occupa di questo periodo storico e instaurando rapporti con altre istituzioni analoghe italiane e straniere. Da tempo il Centro è associato alla Fédération Internationale des Instituts d’Études médiévales con sede a Lovanio. In virtù di tale attività, agli iniziali contributi del Comune e della Cassa di Risparmio di San Miniato, si sono aggiunti quelli della Regione Toscana, della Provincia di Pisa, del Ministero dei Beni Culturali che a partire dal 1993 ha inserito il Centro nella tabella triennale, e, di recente, quello della Fondazione della Cassa di Risparmio, enti tutti che hanno ritenuto opportuno il loro supporto finanziario, in relazione alla crescita delle iniziative e alla crescita dei rispettivi costi.

Si immagina il trasferimento della sede attuale, sopra ai loggiati di San Domenico in San Miniato alto, nella tabaccaia di Capecchi. La creazione di una nuova sede ha come intento quello di valorizzare e promuovere il grande valore di questa istituzione culturale all’interno di un manufatto rappresentativo della cultura locale. La tabaccaia, che dispone di spazi più ampi, non solo per la conservazione e il deposito del materiale archivistico e bibliografico posseduto dalla Fondazione, che consta di una parte di documentazione amministrativa di circa 15-20 metri lineari e di un patrimonio librario più voluminoso, attualmente conservato in un archivio di deposito del Comune stesso, di circa 500 volumi, ma offrirebbe anche ulteriori spazi non solo per la consultazione dei volumi, ma anche uno spazio per piccole conferenze (56-60 posti) e di aule didattiche utilizzabili dai seminaristi della fondazione. La tabaccaia si pone quindi come un nuovo contenitore di cultura.Le funzioni aggiuntive a quella di sola sede della fondazione potrebbero essere molteplici: la tabaccaia potrebbe porsi come un vero e proprio centro studi, per aumentare gli spazi studio fruibili da tutta la comunità e per occasioni saltuarie ospitare mostre, magari anche sul tema delle tabaccaie e del recupero di esse.

Il centro studi e nuova sede della Fondazione disporrà dei seguenti spazi: aule didattiche, aule per la con-sultazione, aula per convegni, area destinata agli uffici amministrativi della Fondazione, deposito materiale bibliografico e archivistico e servizi igienici.

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CENTRO STUDI E NUOVA SEDE FONDAZIONE TARDOMEDIOEVO

Il progetto per il nuovo centro studi non prevede per la tabaccaia alcuna trasformazione sugli esterni, come richiesto dal piano strutturale e dal regolamento urbanistico comunale. La vista che si avrà arrivando da Via Sforza è esatta-mente quella che si ha attualmente. L'area antistante la basilica di mattoni, una volta sgombra dalle piante incolte, ospiterà diversi parcheggi a servizio della fondazione e l'area di ingresso, dotata di panchine e spazi dove sostare all'ombra di nuove alberature. Diverse saranno anche le essenze che verranno piantate per schermare l'area dedita ai parcheggi dalla costruzione antistante la tabaccaia. L'area di ingresso appena descritta sarà probabilmente in lieve pendenza, in modo da collegare il livello dei parcheggi a quello dell'edificio. Sarà altresì garantita la presenza di una rampa che permetta in modo più comodo possibile l'arrivo dal parcheggio alla fondazione. L'area retrostante alla tabaccaia, privilegiata dal bellissimo intorno di colline verdi e dal favorevole orientamento a sud, su cui ha accesso diretto la sala convegni, sarà invece predisposta con sedute e aree in ombra per gli eventuali eventi all'aperto o semplicemente come area destinata alla socializzazione e allo svago. L'ingresso alla fondazione avverrà in corrispondenza dell'originario grande portone della facciata nord, che invece di essere in legno, sarà sostuito da un infisso in legno e vetro, che riprenderà precisamente il vecchio profilo, miglio-rando le condizioni di luce interne.Una volta all'interno si distingueranno diversi percorsi legati alle diverse utenze: personale amministrativo della fondazione, studente o visitatore del centro studi e l'eventuale partecipante ad eventi o lezioni. L'area dedicata al personale amministrativo è situata a piano terra, a destra dell'ingresso: tre degli ex forni conca-tenati l'uno all'altro ospiteranno gli uffici e la sala riunioni. Dall'ultimo dei tre forni si avrà accesso al deposito, che occuperò una parte del piano terra della navata centrale. I forni sulla sinistra invece ospiteranno le sale di consul-tazione, anch'esse collegate l'una all'altra. La terza sala consultazione è quella che da accesso alla grande sala convegni, realizzata occupando tutto il volume a capanna dell'originaria costruzione, ovvero gli ulimi due forni e la parte di corridoio centrale che li collega attualmente. In corrispondenza dei muri di spina demoliti non resteranno che grandi aperture. Di fronte il portone d'ingresso, la scala e l'ascensore condurranno al primo piano della struttura. La scala, che si avvolge attorno al volume dell'ascensore, è situata all'interno di uno dei quattro parallelepipedi di nuova costruzione inseriti all'interno della tabaccaia. Questo volume è l'unico dei quattro che arriva fino a terra ed è ruotato, rendendo l'accesso alle scale più diretto e visibile dall'utente. Una volta giunto a primo piano, il visitatore si troverà sempre all'interno delle pareti della navata centrale e potrà accedere alle tre aule presenti, che sporgono col loro volume verso l'interno del corridoio. I volumi delle tre aule, una delle quali più grande è suddivisa a sua volta in due di più piccola dimensione, si pronunciano sul corridoio interno e si sviluppano sporgendo all'interno dei doppi volumi delle aule di consultazione e degli uffici amministrativi. All'interno delle diverse sale e nei diversi uffici amministrativi, si potrà così godere della vista di questi imponenti cubi bianchi, che sporgono dai muri di spina in mattoni e restano sospesi a mezz'aria. Per quanto riguarda la scelta dei diversi materiali, la volontà progettuale è quella di rendere chiaro fin dal primo mo-mento il contrasto tra vecchio e nuovo, tra originale e di successiva costruzione. Per i muri esistenti, sia perimetrali che quelli di spina, sarà effettuata una pulitura dei mattoni facciavista, anneriti dal tempo e dal fumo dei fuochi per essiccare il tabacco. Per i nuovi volumi si opterà per un semplice intonaco bianco, così il contrasto renderà ancora più particolare e impossibile l'equilibrio di questi volumi sospesi. Il sistema di illuminazione esistente, che prevede oltre alle aperture presenti sulle due facciate principali anche una apertura inferiore a due metri quadrati sulla sommità della parete di ogni forno e corrispondenti a queste anche sulle murature della navata centrale, sarà implementato da delle aperture in copertura, opportunate schermate per evitare fenomeni di abbagliamento nelle sale di consultazione. Gli attuali infissi delle piccole finestre dei forni, costituiti da persiane in legno, verranno sostituiti da finestre a vetro fisso. Anche questo espediente ha come scopo finale quello di migliorare le condizioni di luce. Per il sistema di copertura si prevede di recuperare l'attuale sistema ligneo, restaurando laddove possibile travi, travetti e pianelle e sostituendo quelli ammalorati o danneggiati. All'esistente sistema verrà aggiunto uno strato di ventilazione, al fine di migliorare le condizioni climatiche interne. L'effetto finale che si vuole produrre nel visitatore è la commistione di vecchio e nuovo, che non snaturi l'esistente, permettendo di leggere ancora la struttura storica, con le sue peculiarità, i suoi materiali e le sue tradizioni costruttive, ma che allo stesso tempo riesca a creare un effetto sorpresa in chi si trova all'interno della fondazione.

CONCEPT ARCHITETTONICO

Il concept architettonico rappresenta l’insieme di tutte le principali idee, suggestioni e vincoli, frutto dello studio e delle analisi preliminari e che ha portato alla definizione dei principali elementi del progetto. Gli obiettivi principali che ci si è posti sono fondamentalmente due: la volontà di far coincidere all’aggiunta di nuove funzioni all’interno dell’antico manufatto, l’aggiunta di nuovi volumi e la volontà di valorizzare le peculiarità originali dell’edificio. Il primo di questi cerca di integrare all’interno della struttura esistente un nuovo impianto architettonico, preservando-ne comunque la spazialità. Ciò avviene inserendo all’interno della struttura quattro volumi, tre dei quali sono sospesi nello spazio a doppia altezza dei forni. Il secondo principio architettonico segue le linee guida imposte del comune e ha come scopo quello di non snaturare il manufatto, ma di conservarne la vocazione originaria. Si è deciso infatti di mantenere inalterati i rapporti verticali tra le diverse parti dell’edificio: originariamente i forni si presentavano come ambienti indivisi e a tutta altezza, mentre la navata centrale era divisa in due parti da un solaio. Anche il rapporto tra quelli che vengono definiti spazi “serviti” e spazi “serventi” (come classificati da Luis Kahn), ovvero rispettivamente gli spazi destinati ad usi specifici dell’edificio e gli spazi per i servizi e i collegamenti, non è stato modificato: la navata centrale sia a piano terra (dove sono collocati lo spazio d’ingresso, i servizi igienici e il deposito) che a primo piano (vero e proprio spazio di connessione tra le diverse aule) ha mantenuto la sua funzione di spazio servente, mentre i forni sono diventati aule e uffici amministrativi e quindi gli spazi serviti. L’impianto architettonico e strutturale della tabaccaia di Capecchi e di tutte le altre tabaccaie in genere è assoluta-mente regolare: l’accostamento dei forni più o meno di forma cubica con copertura inclinata a una struttura a forma di parallelepipedo con esigue dimensioni sulla base e un’altezza piuttosto pronunciata. La tabaccaia di Capecchi tuttavia presenta un irregolarità: la parete di uno dei forni è leggermente ruotata e fa si che la facciata nord abbia dimensioni più esigue di quella sud. Questo tratto peculiare, di possedere un solo elemento che rompe un sistema regolare è stato riproposto nel progetto: uno dei parallelepipedi inseriti ha la stessa inclinazione della parete prima descritta.

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CONCEPT STRUTTURALE

Dovendo affrontare un progetto di intervento su una struttura esistente, per quanto riguarda gli aspetti strutturali, si fa riferimento alle NTC 2008.Le NTC 2008, ovvero le norme tecniche per le costruzioni, raccolgono i criteri che “definiscono i principi per il pro-getto, l'esecuzione e il collaudo delle costruzioni, nei riguardi delle prestazioni loro richieste in termini di requisiti es-senziali di resistenza meccanica e stabilità, anche in caso di incendio, e di durabilità. Esse forniscono quindi i criteri generali di sicurezza, precisano le azioni che devono essere utilizzate nel progetto, definiscono le caratteristiche dei materiali e dei prodotti e, più in generale, trattano gli aspetti attinenti alla sicurezza strutturale delle opere”. Le NTC del 2008 raggruppano, quindi, i criteri di verifica della sicurezza per tutte le tecnologie costruttive unificando criteri di valutazione, livelli di sicurezza, modalità di progettazione, certificazione dei materiali, collaudi, norme per gli edifici esistenti. Secondo le norme, qualora si intervenga su un edificio esistente progettato antecedentemente ai moderni codici sismici, è obbligatoria la verifica sismica dell'edificio in esame e l'esecuzione dei calcoli strutturali col metodo semiprobabilistico agli Stati Limite (SL), basato sugli Eurocodici e non più sulle verifiche alle Tensioni Am-missibili. Il capitolo 8 della normativa, che tratta di edifici esistenti, prevederebbe, in caso di cambio di destinazione d'uso, una valutazione della sicurezza, preliminare alla redazione di un progetto sul manufatto stesso. La valutazione si basa su approfondite ricerche: un'analisi storico-critica dell'edificio, in modo da ricostruire il processo di realizza-zione e anche le principali trasformazioni che ha subito, un rilievo geometrico-strutturale, che permetta di individuare l’organismo resistente della costruzione, tenendo anche presente non solo la qualità e lo stato di conservazione dei materiali e degli elementi costitutivi, ma anche i dissesti, in atto o stabilizzati, ponendo particolare attenzione all’in-dividuazione dei quadri fessurativi e dei meccanismi di danno. All'interno di questa valutazione dovrà inoltre essere effettuata un'attenta caratterizzazione dei materiali, i quali valori delle resistenze meccaniche saranno sicuramente diversi da quelli dei materiali usati nelle nuove costruzioni. Sulla base degli approfondimenti effettuati nelle fasi conoscitive sopra riportate, saranno individuati i “livelli di co-noscenza” dei diversi parametri coinvolti nel modello (geometria, dettagli costruttivi e materiali), e definiti i correlati fattori di confidenza, da utilizzare come ulteriori coefficienti parziali di sicurezza che tengono conto delle carenze nella conoscenza dei parametri del modello. La valutazione di sicurezza effettuata permetterebbe di individuare il livello di carenza dell'edificio e di conseguenza di porre le basi per la progettazione di un intervento adeguato.La tesi in questione, include il progetto di riqualificazione di una delle tabaccaie come caso studio. Tuttavia tale studio, mancando non solo di un accurato rilievo geometrico-strutturale, ma soprattutto di analisi in situ riguardanti lo stato effettivo degli elementi tecnologici e dei materiali costruttivi, non si propone di redigere un vero e proprio progetto né di riparazione, né tantomeno di miglioramento o di adeguamento.Preso atto dell'impossibilità di effettuare una verifica sismica della struttura esistente, come sarebbe previsto dalle norme tecniche vigenti e assodato tuttavia che tale aspetto va al di là degli scopi primari della presente tesi, l'approc-cio progettuale è stato improntato nel rispetto dei seguenti criteri:

-l'intervento di cambio di destinazione non grava sulla struttura esistente: l'intervento previsto è di tipo conservativo. Laddove si intervenga sulla struttura originaria vengono ripristinate le condizioni di rigidezza esistenti. Nel caso in cui si prevedano nuove aperture nelle porzioni di muratura interna, verranno predisposti degli adeguati sistemi di cerchiatura realizzati con profilati metallici. Per quanto riguarda invece la copertura, per la quale si prevede di recu-perare non solo la tecnologia, ma anche, laddove possibile, i materiali originari, il progetto prevede di mantenere le condizioni di carico esistenti.

-gli elementi di nuova costruzione che verranno aggiunti saranno strutturalmente indipendenti dall'edificio preesistente e tali da interagire con esso in minima parte.Il caso studio segue la volontà, esplicitata nel concept architettonico, di far coincidere all'aggiunta di nuove funzioni all'interno di questo antico manufatto l'aggiunta di nuovi volumi, che permettano il mantenimento dei caratteri pecu-liari e la vocazione architettonico-strutturale dell'edificio senza snaturarla. Questi nuovi volumi sono specificamente quattro grandi parallelepipedi che si incastrano nella muratura esistente e che sporgono liberamente all'interno dello spazio vuoto e a tutta altezza dei vecchi forni. Uno dei quattro parallelepipedi contiene il blocco scale-ascensore, mentre gli altri tre, liberi di volare all'interno delle navate laterali, sono collegati da un solaio nella navata centrale. La struttura che si è scelto per questi tre grandi parallelepipedi senza copertura e per il solaio che li collega è una struttura metallica unica, composta di 12 pilastri, 8 travi principali a sbalzo, 6 travi principali doppiamente appoggiate, 4 travi secondarie a sbalzo e 32 travi secondarie doppiamente appoggiate. La scala si costituisce di una semplice struttura che crea internamente il blocco ascensore e alla quale si appoggiano gli scalini a sbalzo.Ognuno dei pilastri è dotato di una propria fondazione,così da rendere il tutto più indipendente possibile.

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TRAVI

Le verifiche che sono state effettuate per la progettazione della struttura in acciaio sono le seguenti: per le verifiche agli Stati Limite Ultimi (SLU) è stata considerata la resistenza delle membrature a FLESSIONE MONOASSIALE (detta anche flessione retta) e a TAGLIO, per quanto riguarda la verifica agli Stati Limite di Esercizio sono stati considerati gli SPOSTAMENTI VERTICALI.

Le verifiche sono state effettuate su tutti i tipi di trave: principale a sbalzo e doppiamente appoggiata, secondaria a sbalzo e doppiamente appoggiata. Per ognuno dei casi appena elencati è stata scelta la trave con condizioni più svantaggiose: carichi che gravano su di essa maggiori o luci di esercizio più elevate.

Preliminare alle verifiche è stata la scelta del tipo di solaio, che ha permesso l'analisi dei carichi necessaria per effettuare le verifiche. La scelta è caduta sulla tecnologia a secco, posata su lamiera grecata anch'essa a secco e quindi priva di getto di cls collaborante.Per verificare gli Stati Limite Ultimi si è così proceduto: una volta calcolato il carico distribuito gravante sulla trave, sono state calcolate le sollecitazioni flettenti e taglianti massime. Sucessivamente si valutano le resistenze di pro-getto, che dipendono dal tipo di acciaio che si sceglie (S450) e dal profilo IPE ipotizzato. La trave è verificata se le resistenze di progetto sono maggiori delle azioni sollecitanti.Per verificare la deformabilità della trave, e quindi lo Stato Limite di Esrcizio agli spostamenti verticali sono state confrontate le frecce massime con i valori limite forniti dalle norme ed espressi in funzione della luce della trave.

CERCHIATURA

L'apertura di vani nei muri esistenti comporta la necessità di ripristino della rigidezza muraria originaria. Le aperture principali e più rilevanti sono quelle in corrispondenza dei tre parallelepipedi. La dimensione di queste aperture è davvero ingente: le porzioni di muratura che si considerano asportate sono di circa 4 metri in entrambe le direzioni e in tutti i casi. La verifica è stata fatta mettendo a confronto la rigidezza della muratura asportata con quella della cerchia-tura sostitutiva. I portali di cerchiatura in acciaio che soddisfano la verifica sono quelli che garantiscono una rigidezza maggiore, e quanto più prossima, di quella originaria asportata.

VERIFICHE AGLI SLU E AGLI SLE_NTC 2008

La progettazione della struttura di acciaio ha seguito le indicazioni della NTC 2008, il capitolo n.4, riguardante le co-struzioni civili e industriali, e specificamente il paragrafo 4.2 contiene la trattazione specifica sulle strutture in acciaio.

Secondo le NTC 2008: “La sicurezza e le prestazioni di un’opera o di una parte di essa devono essere valutate in relazione agli stati limite che si possono verificare durante la vita nominale. Stato limite è la condizione superata la quale l’opera non soddisfa più le esigenze per le quali è stata progettata. In particolare, secondo quanto stabilito nei capitoli specifici, le opere e le varie tipologie strutturali devono possedere i seguenti requisiti: - Sicurezza nei confronti di stati limite ultimi (SLU): capacità di evitare crolli, perdite di equilibrio e dissesti gravi, totali o parziali, che possano compromettere l’incolumità delle persone ovvero comportare la perdita di beni, ovvero provocare gravi danni ambientali e sociali, ovvero mettere fuori servizio l’opera; - Sicurezza nei confronti di stati limite di esercizio (SLE): capacità di garantire le prestazioni previste per le condizioni di esercizio; -Robustezza nei confronti di azioni eccezionali: capacità di evitare danni sproporzionati rispetto all’entità delle cause innescanti quali incendio, esplosioni, urti.Il superamento di uno stato limite ultimo ha carattere irreversibile e si definisce collasso. Il superamento di uno stato limite di esercizio può avere carattere reversibile o irreversibile. “

(Cap.2 Sicurezza e prestazioni attese, paragrafo 2.1 Principi Fondamentali)

“2.2 STATI LIMITE 2.2.1 STATI LIMITE ULTIMI (SLU) I principali Stati Limite Ultimi, di cui al § 2.1, sono elencati nel seguito: a) perdita di equilibrio della struttura o di una sua parte; b) spostamenti o deformazioni eccessive; c) raggiungimento della massima capacità di resistenza di parti di strutture, collegamenti, fondazioni; d) raggiungimento della massima capacità di resistenza della struttura nel suo insieme; e) raggiungimento di meccanismi di collasso nei terreni; f) rottura di membrature e collegamenti per fatica; g) rottura di membrature e collegamenti per altri effetti dipendenti dal tempo; h) instabilità di parti della struttura o del suo insieme; Altri stati limite ultimi sono considerati in relazione alle specificità delle singole opere; in presenza di azioni sismiche, gli Stati Limite Ultimi sono quelli precisati nel § 3.2.1.

2.2.2 STATI LIMITE DI ESERCIZIO (SLE) I principali Stati Limite di Esercizio, di cui al § 2.1, sono elencati nel seguito: a) danneggiamenti locali (ad es. eccessiva fessurazione del calcestruzzo) che possano ridurre la durabilità della struttura, la sua efficienza o il suo aspetto;b) spostamenti e deformazioni che possano limitare l’uso della costruzione, la sua efficienza e il suo aspetto; c) spostamenti e deformazioni che possano compromettere l’efficienza e l’aspetto di elementi non strutturali, impian-ti, macchinari; d) vibrazioni che possano compromettere l’uso della costruzione; e) danni per fatica che possano compromettere la durabilità; f) corrosione e/o eccessivo degrado dei materiali in funzione dell’ambiente di esposizione; Altri stati limite sono considerati in relazione alle specificità delle singole opere; in presenza di azioni sismiche, gli Stati Limite di Esercizio sono quelli precisati nel § 3.2.1.

2.2.3 VERIFICHE Le opere strutturali devono essere verificate: a) per gli stati limite ultimi che possono presentarsi, in conseguenza alle diverse combinazioni delle azioni; b) per gli stati limite di esercizio definiti in relazione alle prestazioni attese. “

(Cap.2 Sicurezza e prestazioni attese, paragrafo 2.3 Stati Limite)

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