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La strage di Caiazzo Un rivolo di sangue italiano segnò la via della ritirata nazista Di Vittorio Ricciardi Collana: I Quaderni

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Un rivolo di sangue italiano segnò la via della ritirata nazista Collana: I Quaderni Di Vittorio Ricciardi Anno 2007 Rilasciato sotto licenza Creative Commons by-nc-nd/2.5 http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/ Di Vittorio Ricciardi Sommario

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La strage di Caiazzo Un rivolo di sangue italiano

segnò la via della ritirata nazista

Di Vittorio Ricciardi

Collana: I Quaderni

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Di Vittorio Ricciardi

Edito da www.comunedipignataro.it Via Gramsci, Pignataro Maggiore (CE)

Rilasciato sotto licenza Creative Commons by-nc-nd/2.5

http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/

Anno 2007

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Sommario Sommario .............................................................................................................................................3 L’anti-eroe............................................................................................................................................5 La ricostruzione dei fatti dalla sentenza del tribunale di Santa Maria Capua Vetere ..........................7 Lucida follia omicida ...........................................................................................................................9 Un massacro di cui si occuparono le principali testate giornalistiche statunitensi ............................10 Le indagini degli alleati......................................................................................................................11 Braccato da Simon Wiesenthal ..........................................................................................................12 La denuncia dell’italo-americano Joseph Agnone – la sentenza e la successiva prescrizione. .........13 Il tributo della provincia di Caserta....................................................................................................14 L’Armadio della Vergogna ................................................................................................................15 Partigiani inesistenti per giustificare l’eccidio...................................................................................17 Una regia demoniaca durata decenni .................................................................................................18

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L’anti-eroe Nei pressi di Coblenza, nel paesino di Ochtendung, fino a pochi anni fa viveva un allegro vecchietto organizzatore di feste carnevalesche cui partecipava sornione ed allegro. Era , inoltre, componente di un comitato assistenziale per la cura degli anziani del paese. Un cittadino che nell’aspetto e dai modi faceva intuire la possibilità di trovarsi al cospetto di un’anima pia, buona e caritatevole. L’abito non fa il monaco, suol dirsi, ed è il caso del nostro gioioso anziano che presumibilmente aveva rimosso e forse non aveva rimpianti su chi era, chi era stato, allorquando giovane ventenne aveva partecipato in qualità di tenente della Wehrmacht alle tragiche vicende della seconda guerra mondiale. Era tanto buono ed impegnato, anche dal punto di vista politico, per i suoi concittadini, che gli era stata conferita una onorificenza del Land della Renania Palatinato. Il suo nome, che rimarrà, nella storia quale monumento alla vergogna per l’esercito tedesco era: WOLFGANG LEHNIGK EMEDEN, sottotenente all’epoca dei fatti che andremo a narrare. Dalla sentenza del Tribunale di Coblenza, che lo riguarda, apprendiamo che: figlio unico, di salute cagionevole, era nato a Calau il 10 dicembre 1922. Suo padre era stato Ufficiale di coperta della Marina militare durante la prima guerra mondiale…mentre la madre segretaria di un avvocato di Lipsia. Non riuscì a frequentare l’asilo nido che per una sola settima non sopportando la lontananza dalla famiglia e finì per essere accudito dalla nonna. Aveva, più tardi, frequentato il liceo linguistico e nel 1935 entrò nella gioventù hitleriana. Nonostante scartato per miopia alla visita di leva, riuscì ad entrare nell’esercito come allievo ufficiale. Assegnato al 29° Battaglione di fanteria in riserva ( mot. ), nel giugno del 1940 veniva trasferito nella Prussia orientale . Durante la campagna di Russia aveva attraversato la Lituania, la Lettonia e l’Estonia. Con la sua unità egli avanzò in direzione di Leningrado nei pressi della quale veniva ferito all’addome da un colpo di arma da fuoco. Ripresosi rientrava al suo reggimento alla fine di settembre 1941. Nel febbraio 1942 frequentò la Scuola di Guerra di Potsdam da dove uscì con il grado di Sottotenente. Nel luglio 1942 partecipò alla battaglia sul fiume Don per contrarre, verso la fine di ottobre, l’itterizia, rimpatriato e curato, dopo una quarantena, lo ritroviamo all’inizio del 1943 presso la sua unità – 29° Reggimento meccanizzato ricostituito – in Italia. Il suo reparto veniva qui impiegato per contrastare lo sbarco alleato in Salerno, subiva pesanti perdite e nell’ottobre 1943 lo ritroviamo nella zona di Caiazzo, Comandante di plotone del 1° plotone di una compagnia del 1° battaglione, facenti parte del 29° Regg. Mecc. della 3^ Divisione. Tutto quanto premesso per sottolineare che siamo al cospetto di un militare con notevole esperienza di guerra formatasi sul campo di battaglia e che l’esperienza stessa, si ha motivo di ritenere, lo avesse formato anche moralmente dotandolo di equilibrio e coscienza nell’assolvere ai propri compiti.

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Questa considerazione è però smentita ove andiamo a conoscere più da vicino la figura dell’uomo che qui ci interessa. Per meglio comprendere ora il sottotenente di cui sopra diamo uno sguardo agli eventi così come si ricavano dalla sentenza 25 ottobre 1994 della Corte di Assise di S. Maria C.V. nella quale risulta imputato con Schuster Kurt Artur Werner dei reati conseguenti la morte di 22 inermi civili italiani con l’imputazione al delitto di omicidio plurimo aggravato continuato e la condanna alla pena dell’ergastolo ed alle pene accessorie conseguenti - verbale 10 ottobre 1994.

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La ricostruzione dei fatti dalla sentenza del tribunale di Santa Maria Capua Vetere Tralasciamo, sul caso in esame, la pronuncia della Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione del 10 marzo 1993 circa la competenza nel giudizio da parte del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di S.Maria C.V. nonché della Procura Militare della Repubblica di Napoli datata 28 dicembre 1992. Dalla esposizione dei fatti si ricava che: “Durante il mese di ottobre 1943 si verificarono lungo il corso del fiume Volturno violenti combattimenti fra le truppe dell’esercito anglo-americano, che erano sbarcate a Salerno il 9 settembre e si accingevano a risalire la penisola italiana e le truppe germaniche appartenenti alla terza divisione corazzata Granatieri che, nel tentativo di contrastare efficacemente l’avanzata della Quinta Armata americana, si erano schierate sulla riva settentrionale del fiume, nella zona compresa tra Triflisco - frazione di Bellona - ed il punto di confluenza con il fiume Calore, con l’intento di difendere strenuamente tale importante linea difensiva. L’attacco simultaneo lungo tutto il corso del fiume Volturno, programmato ed eseguito con determinazione dalle forze della terza e trentaquattresima Divisione americana, ebbe esito favorevole: al termine dell’aspra battaglia svoltasi nelle giornate del 12 e 13 ottobre, le truppe americane riuscirono, infatti, a superare il fiume ed a conquistare la città di Caiazzo, la quale rappresentava un baluardo per le forze tedesche, che vi avevano organizzato una difesa efficace formata da unità di retroguardia sparse lungo la dorsale della collina. La mattina del 14 ottobre, allorché le truppe americane erano riuscite ad attraversare il fiume, dopo l’attacco sferrato durante la notte, e le truppe germaniche erano ormai in ritirata, si venne a conoscenza che VENTIDUE civili italiani, che avevano trovato rifugio in una casa colonica in località SS. Giovanni e Paolo, a breve distanza da altra casa sita in posizione dominante sulla collina, nella quale era insediato il posto di comando della divisione tedesca di stanza nella zona, erano stati BARBARAMENTE UCCISI “. Verso le ore 20 di sera del 13 ottobre 1943 il sottotenente Wolfang Lehnigk Emeden, con i sottufficiali Kurt Shuster e Hans Gnass si avvia verso la masseria sul Monte Carmignano, non distante dalla sede del comando tedesco. Secondo uno dei militari germanici dalla masseria si sarebbero visti dei segnali luminosi verso le postazioni anglo alleate. Giunti sul posto è subito strage. Sette persone vengono prelevate dalla loro abitazione, condotte al comando, e subito fucilate e seppellite in una fossa comune. Le vittime erano quattro uomini e tre donne. Qualche attimo di ripensamento ed il nostro eroe negativo con altri quattro militari ritorna alla masseria sul Monte Carmignano ed è ulteriore strage di 15 persone, appartenenti a quattro diversi nuclei familiari, facendo ascendere a 22 il numero complessivo delle vittime di quella tragica notte - questa volta quattro uomini e undici donne.

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Le età delle vittime vanno dai 4 anni di Elena Perrone, la più piccola; Margherita Perrone, 6 anni; Carmela D’Agostino, 7 anni; Orsola D’Agostino, 8 anni; Antonietta Perrone, 9 anni; Antonio D’Agostino, 10 anni; Saverio D’Agostino, 11 anni; Giuseppe Perrone, 12 anni; Angelina Albanese,12 anni; Antonio Albanese, 14 anni; Elena Albanese, 16 anni; Maria Albanese, 18 anni; Angela Albanese, 20 anni; Angelina D’Agostino, 34 anni e Orsola Santabarbara, 63 anni. Come si vede ben 13 minorenni su 15 ulteriori innocenti vittime.

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Lucida follia omicida Un gesto ed un comportamento esecrabile quello dello Emden e dei suoi collaboratori nell’impresa se si tiene conto della sua gratuità e della disapprovazione degli altri componenti il comando tedesco i quali ebbero a commentare, al rientro del gruppo, che quella azione non avrebbe onorato la wehrmacht. Perché ritornare alla masseria e dopo i sette fucilati trucidare in modo barbaro tredici minorenni e due donne adulte di cui una incinta ? Un testimone sembrerebbe aver visto da lontano, e ciò emerse anche il giorno successivo, che dopo la esecuzione, ammassate le vittime in una stanza terranea, da una finestra sull’aia, venissero lanciate sulle stesse due bombe a mano completando così lo scempio dei poveri corpi. La campagna di Russia aveva evidentemente abbruttito ulteriormente il giovane Emden al punto da fargli ignorare ogni e qualsiasi umana considerazione, ove mai lo stesso ne abbia avuto in origine. Le vittime, già tali per i rigori della guerra e per le modeste condizioni sociali, erano lì sfollate per i proclami nazisti di distruzione imminente del paese, a difesa contro l’avanzata anglo – americana, e non già a far da partigiani contro i tedeschi. Quale intendo partigiano potevano mai avere, oltretutto, ben tredici minorenni? Siamo dunque al cospetto di una vera follia, di una mente malata e di un crimine orrendo e inconcepibile. Un senza Dio malato di onnipotenza alla presunta ricerca di feticci – sentimenti privi di principi etici e morali comuni a molti uomini del regime hitleriano come il tempo e la storia hanno sentenziato.

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Un massacro di cui si occuparono le principali testate giornalistiche statunitensi La notizia del massacro varcò i confini italiani ed il corrispondente di guerra William Harem Stonemann, inviato del “Chicago Daily News“, il 18-10-1943, pubblicava un articolo dal titolo: “I nazisti allineano quattro famiglie, le uccidono“. Il “The New York Time“, il 24-10-1943, attraverso il suo corrispondente, pubblica un articolo sull’avvenimento dal titolo : “I nazisti massacrano cittadini di Caiazzo”. In un secondo articolo Stonemann, il 25-10-1943 pubblica, ancora: “Orrore inimmaginabile in Italia: le vittime del massacro vengono sepolte “.

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Le indagini degli alleati Nel novembre 43 il nostro stragista è fatto prigioniero dagli americani e condotto nel campo di prigionia ad Aversa. Vengono ricercati, tra i prigionieri, gli altri componenti la banda assassina con gli altri militari della compagnia tedesca in Caiazzo all’epoca dei fatti. Gli atti della rigorosa inchiesta alleata, con la confessione firmata dalla stesso Emden, furono trasmessi al governo italiano il 7 novembre 1946. Bisogna attendere il 29 ottobre 1969 perché si ripresenti, dopo oltre un ventennio, il ricordo di Caiazzo e delle sue vittime civili. Dagli interrogatori subiti dall’Emden nel campo di prigionia in Aversa nel 1943, ad Algeri nel 1944 e più tardi nel 1992 al cospetto del PM interrogante questi dà dell’evento versioni contrastanti nel tentativo di sfuggire alle proprie responsabilità. Tenta di scaricarle sul Tenente Draschke, che si era allontanato prima dell’eccidio, affermando che questi avesse impartito l’ordine di uccidere i civili italiani. Da deposizioni dei soldati May e Sikorski emergeva, al contrario, che le esecuzioni furono compiute durante la temporanea assenza del comandante Tenente Draschke. Afferma poi che vi era stata una unica fase dell’operazione e non già una fucilazione, quella degli uomini e tre donne, prima, per poi ritornare alla masseria e trucidare le rimanenti quindici persone. Che ad Algeri si limitò ad ammettere le proprie responsabilità per la eliminazione del gruppo più esiguo presso la sede del Comando e di ignorare che vi fossero state uccise anche altre persone presenti nel casolare. In un’intervista alla giornalista Maria Cuffaro di Rai Tre, fece un racconto ancora diverso. Tutte le affermazioni vennero confutate dalle prove testimoniali dei commilitoni e dall’analisi attenta delle verifiche e dai riscontri posti in essere dalla Corte di Assise del Tribunale di S. Maria C.V. oltre che dall’inchiesta della Commissione americana. I fatti erano stati quelli da noi raccontati e ormai noti ed acclarati. Lui ed i suoi uomini, inoltre, avevano seviziato le vittime, molte delle quali presentavano evidenti e vistosi tagli lungo parti del corpo.

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Braccato da Simon Wiesenthal Simon Wiesenthal, un ucraino scampato dai campi di concentramento nazisti, che spese tutta la sua vita alla ricerca dei criminali sfuggiti alla giustizia e che ne portò alla sbarra più di 1.100. Il suo impegno contribuì alla individuazione ed alla cattura da parte degli 007 israeliani di Adolf Eichman, l’ideatore della “soluzione finale“ per il popolo ebraico, poi processato e meritatamente giustiziato nel 1961 in Israele. Wiesenthal è deceduto il 19 settembre 2005, nella sua casa di Vienna, all’età di 96 anni, alla fine di una esistenza spesa alla caccia dei responsabili degli orrori nazisti. A lui si deve, inoltre, nel 1963 l’aver individuato l’assassino di ANNA FRANK. Grazie a Wiesenthal la coscienza dell’Olocausto vive attraverso la omonima fondazione da lui creata e oggi presente nelle città principali dei diversi continenti. Non sfuggì al nostro cacciatore di criminali di guerra, Wiesenthal, nemmeno il mostro di Caiazzo, che denunciò alle autorità tedesche. Purtroppo la denuncia di Wiesenthal non sortì l’effetto dovuto, forse così si preferiva, per le “errate generalità dell’esecutore e responsabile della strage” ed in data 6 marzo 1970, la Procura della repubblica di Monaco archiviava il procedimento penale non essendo riuscita a rintracciare il sottotenente Emden.

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La denuncia dell’italo-americano Joseph Agnone – la sentenza e la successiva prescrizione. Si giunge, così all’anno 1980 quando Joseph Agnone, italo-americano appassionato di storia, inizia una ricerca accurata in USA, alla scadenza del trentennio di segreto militare, riuscendo a raccogliere minuziosamente la documentazione agli atti degli archivi americani. Trasmette copia degli stessi alla Procura della repubblica del Tribunale di S. Maria C. V. che, in data 24-6-1992, emetteva attraverso il GIP, ordinanza di custodia in carcere per Lehnig Emeden Wolfgang e Schuster Johann, per il reato di omicidio continuato pluriaggravato. Il 30 settembre 1992 la Procura di Coblenza instaura procedimento penale ed emette mandato di cattura nei confronti di Emden risiedente ad Ohctendung. Il 12 0ttobre 1992 viene interrogato alla presenza del sostituto procuratore italiano, Dott. Paolo Albano. Nel gennaio 1994, il tribunale tedesco dichiara estinto per prescrizione il delitto attribuito all’imputato. Una prima vittoria di Pirro, anche, per la giustizia tedesca. Il sottotenente del 29° Reggimento Corazzato Granatieri può continuare la sua esistenza sorniona di libero cittadino ed ad organizzare feste carnascialesche.

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Il tributo della provincia di Caserta L’approccio con la conoscenza di tali avvenimenti lascia nello sconforto più acuto. Un popolo di milioni di cittadini lasciati senza tutela alla mercè di un esercito in armi, che anche da alleato non ha mai nutrito simpatie per gli italiani. Un esercito nazionale scompigliato, distrutto, lasciato senza ordini e senza guida. Cosa ancora più grave, nella maggioranza dei casi, le vendette, la ferocia degli occupanti si scaglia impunita su una popolazione impaurita, abbandonata ed affamata. Una scia di sangue italiano segnò la via della ritirata nazista. Molti conoscono i fatti più eclatanti per ferocia e numero elevato di vittime, ma ponendo l’attenzione alla nostra provincia ed al nostro circondario scopriamo il seguente triste elenco di vittime :

Città Data Vittime Teverola 13-9-1943 16Caserta 28-9-1943 7S. Prisco 27-9-1943 7Orta d’Atella 30-9-1943 25Caserta 4-10-1943 25Capua 5-10-1943 16S.Maria C.V. 5 e 6-10-1943 13Bellona 6-10-1943 54Castelvolturno 8-10-1943 9Pignataro M 12, 13 e 14-10-43 15CAIAZZO 13-10-1943 22Sparanise 22-10-1943 36Mondragone 28 e 29-10-943 30Prata Sannita 28, 29, 30 e 31-10-43 16Conca Campania 1, 2, 3 e 4-11-43 39

Un capitolo a parte meriterebbero le stragi di Bellona e quella di Teverola che, su 16 vittime, colpisce ben 15 Carabinieri della Sezione Porto di Napoli. Altro obolo, fra i tanti della Benemerita arma.

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L’Armadio della Vergogna E i colpevoli? i responsabili? molti episodi sono ascrivibili a crimini contro l’umanità e si sarebbero dovuti esaminare a livello di tribunali internazionali. Invece?..., invece molti fascicoli, dossier su tali fatti criminosi, per molti e molti anni, finiscono in un armadio, l’ormai noto armadio della vergogna. – Dal 1943 dopo decenni e solo grazie a iniziative private, mass media, ecc. si ha un risveglio dal colpevole torpore. Dagli atti parlamentari e da un intervento del Sen. Maurizio Eufemi, del 26-1-2006, in seno alla Commissione di inchiesta sulle cause dell’occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti, leggiamo. “…L’oggetto dell’inchiesta della Commissione sono dunque i 695 fascicoli occultati,..” Apprendiamo che: “Il trattato di estradizione e di assistenza giudiziaria tra Italia e Germania, siglato il 12 giugno 1942 e rimesso in vigore nel 1953, escludeva la consegna dei cittadini della parte richiesta e dunque impediva l’estradizione in Italia di presunti criminali ricercati che erano rientrati nel proprio paese“. Guarda caso, il nostro criminale di Caiazzo non occorreva estradarlo; una attenzione maggiore, un mancato occultamento, ed il nostro occhialuto vecchio Emden lo si poteva prelevare mentre si beatificava al sole ed al mare di Riccione. Ma ritorniamo al Sen. Maurizio Eufemi ed alle sue interessanti dichiarazioni in seno alla Commissione Parlamentare: “Dobbiamo tener conto di operare alla fine di un conflitto che aveva lacerato il paese, laddove l’intervento compiuto con l’amnistia del 1946 da parte del Ministro di Grazia e Giustizia, Palmiro Togliatti, aveva l’obiettivo di pacificare il paese e di rimarginare le ferite più profonde della guerra. Una grave lacuna appare il mancato richiamo all’amnistia Togliatti, seguita invece da una più forte attenzione ai successivi provvedimenti di clemenza degli anni cinquanta, quasi a voler significare che alcuni soggetti fondativi della nostra Repubblica erano protagonisti durante la guerra di liberazione, ma si dissolvevano quando il Governo Parri decideva di concentrare i fascicoli sui crimini nazifascismi presso la Procura militare generale. Alla luce delle risultanze della nostra indagine e dell’analisi dei documenti abbiamo rilevato alcune linee di giudizio prioritarie. Sono emerse negligenze complessive in seno alla magistratura generale militare, in capo ai procuratori generali, nel trattenere i fascicoli a palazzo Cesi, senza inviarli alle procure competenti, per effettuare i processi di rito, che si è perpetrata per ben cinquant’anni”. L’archivio dello ormai storico armadio della vergogna veniva rinvenuto nell’anno 1994. Strana procedura sembra apparire quella disposta il 14 gennaio 1960 di archiviazione provvisoria. Qualcuno adombra l’ipotesi di tener lontano i fantasmi della guerra per il mutato clima internazionale, senza alcuna considerazione verso i congiunti delle vittime innocenti lasciati ad attendere inutilmente una giustizia negata. Lasciamo comunque, ancora, la parola al Sen. Eufemi. “..appuriamo che il procedimento relativo a Caiazzo inizia grazie all’interessamento di un giornalista americano, William Stonemann. Costui si rivolse direttamente all’allora Ministro degli affari esteri, Carlo Sforza, fornendogli precise indicazioni sull’autore dell’eccidio, un certo Emden, che essendo stato catturato, aveva reso ampia confessione, ammettendo le proprie responsabilità. Dopo questa sollecitazione, il Ministro Sforza scrisse alla Procura

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Generale e quindi vennero attivate le indagini attraverso il Comando dei Carabinieri di Caiazzo. Ci fu anche un intervento del Ministro di Grazia e giustizia dell’epoca, Giuseppe Grassi, il quale richiese alla Procura generale di avere notizie su ogni eventuale iniziativa che fosse adottata al riguardo. I Carabinieri di Caiazzo risposero quasi subito. I fatti sono tragicamente noti perché io debba ancora una volta qui ricordarli, però vorrei segnalare che fra le ventidue vittime civili di Caiazzo figuravano dieci bambini, sette donne ed una bimba di appena tre anni, alla quale venne amputata una gamba, ritrovata soltanto a distanza di giorni nel granaio di una masseria. Ognuno di noi può consultare i fascicoli e venire a conoscenza di questi terribili fatti”. Notti insonni, abitate dai fantasmi, avrebbero dovuto scuotere l’animo e la coscienza di chi aveva letto, conosciuto e nascosto la tragicità dell’accaduto. La visione di una bimba di tre anni cui era stata amputata una gamba e gettata in un lontano granaio. Sorprende, ancora, che per tali eventi vien meno la obbligatorietà dell’azione penale del nostro ordinamento, impunemente e con il consenso di un nostro Ministro della giustizia. Sempre il Sen: Eufemi, afferma: “Nel maggio 1949, il procuratore generale Corsari rispose al Ministro della giustizia , e – nel comunicare che c’erano elementi per instaurare il processo – aggiunse che occorreva, però, ‘tener presenti le difficoltà di carattere generale ben note a codesto ministero, oltre al fatto che Emden è domiciliato in Germania nella zona sovietica’. Ricevuta la risposta chiaramente adesiva da parte del Ministero degli affari esteri, il Procuratore generale Borsari comunicò la decisione di NON AGIRE, cioè di non instaurare alcun provvedimento penale. Era il 16 agosto 1949. Ed è significativa anche la successiva nota del Ministero degli affari esteri che condivise tale decisione scrivendo testualmente ‘anche in considerazione della fase delicata che attraversano le trattative attualmente in corso con le autorità sovietiche, per la nota questione relativa ai presunti criminali di guerra detenuti in Italia, richiesti dal Governo dell’URSS’”. Cosa sorprendente ed alquanto incomprensibile; mentre presunti criminali di guerra erano in Italia detenuti, benché richiesti dall’URSS, i criminali colpevoli di orrendi eccidi a danno di cittadini italiani, non erano detenuti, non venivano richiesti, erano anzi liberi di godere il bel sole di Riccione.

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Partigiani inesistenti per giustificare l’eccidio Inutile sottolineare che l’Emden non aveva reso piena confessione; ricordava i fatti ed a sua giustificazione dichiarava presso il Tribunale di Coblenza che dalla casa colonica di monte Carmignano – nei pressi del Comando Compagnia – erano state viste luci intermittenti e che la squadra da lui diretta, all’avvicinarsi, era stata oggetto di colpi di mitraglietta di presumibili partigiani. Tale affermazione è palesemente falsa se si tien conto che il soldato tedesco Sikorski facente parte del gruppo presso il Comando germanico, nella deposizione resa alla Commissione di inchiesta americana nel gennaio del 44 affermava: “quella casa era sita in basso e sarebbe stato praticamente impossibile far lampeggiare delle segnalazioni visibili in qualsiasi posto”. Niente di più falso. Siamo a pochi giorni dall’otto settembre ed i partigiani oltretutto ancora non esistevano. Oltre le altre precedenti considerazioni sembra scorgere, inoltre, la esistenza di una voglia di vendetta, una mente paranoica e distorta, la disistima per gli italiani colpevolmente lasciati nella mani dei barbari dopo l’assurda precipitosa fuga dei Savoia. Un Re amato dal suo popolo che lo abbandonava, che abbandonava il suo esercito o quello che ne restava, privo di notizie, di ordini e di direttive per rifugiarsi a Brindisi nella parte del Sud ormai liberato.

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Una regia demoniaca durata decenni Ritornando all’eccidio delle persone rimaste nella fattoria occorre rilevare che in un documento della Commissione dei crimini di guerra delle Nazioni Unite, dell’anno 1946, lo stesso viene qualificato come omicidio comune nato da una iniziativa personale degli accusati. Sul proscenio di questa mefistofelica crudele tragedia danzano ombre sinistre ed evanescenti sulle quali sovrasta il demone Emden alla testa dei suoi uomini, beneficato questi dall’oblio, dalla morte gli altri o l’altro accusato. L’ottimo giornalista freelance Giuseppe Sangiovanni, che molto ha prodotto e scritto sull’eccidio di Monte Carmignano, parla di “scarsa memoria collettiva, di insabbiamenti, palleggiamenti, mal applicate ragioni di Stato “. Da un intervista a Joseph Agnone, più sopra citato, pubblicata dallo stesso giornalista Sangiovanni, rileviamo che il ricercatore italo americano originario di Castel di Sasso e che aveva il nonno barbiere in Caiazzo, prima di investire del problema la magistratura italiana aveva scritto a diversi uomini politici, “ma nessuno si interessò al caso“. Sarebbe oltremodo interessante se il Sig. Agnone pubblicasse le missive ed i nomi dei politici cui si rivolse. Avremmo ed avreste così modo di arricchire il proscenio di altre mefistofeliche figure. In questa che è una drammatica rappresentazione ci si è soffermati volutamente sulle date salienti degli avvenimenti, dell’incuria, insabbiamenti e palleggiamenti affinché ciascuno individuasse i colpevoli di tanto oblio. I politici che non avevano considerato le sollecitazioni dell’italo americano Agnone, i ministri che avevano palleggiato sulle segnalazioni della Commissione americana d’inchiesta, il responsabile della Procura generale militare che aveva disposto la provvisoria archiviazione ed i successivi responsabili di quell’ufficio, il vecchio Sen. Parri, Palmiro Togliatti, il Ministro Sforza che palleggiò sul problema e tanti , tanti altri, che non mostrano alcuna umana pietà. Tutti attori accomunati nell’arricchire il proscenio della tragedia. Lasciarono impunemente trascorrere gli anni insensibili al grido di dolore delle ventidue vittime. Nell’immaginario è possibile scorgerle, rivolte verso la terra, in un coro di un unico urlo come nell’urlo o grido di Munch, a monito è richiamo contro l’indifferenza. Ed è così, mi si perdoni la presunzione, che immaginerei in Caiazzo un monumento che li rappresenti e che ricordi il loro sacrificio. L’immane lavoro di ricostruzione dell’eccidio, escursione dei testi, analisi dei documenti ecc.. ha richiesto notevole ed accurato impegno da parte del Sostituto Procuratore della Repubblica, Dott. Paolo Albano. In una intervista il Dott: Albano sembrerebbe avesse affermato che l’azione criminale fosse stata più violenta a motivo del fatto che le donne si erano difese da tentata violenza carnale. Tale affermazione, se veritiera, ha trovato certamente la sua fonte nella mole di documentazione esaminata dal Sostituto Procuratore .

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La sentenza del 25 ottobre 1994 si conclude con la condanna all’ergastolo per Lehnigk Emden Wolfgang e Shuster Kurt Artur Werner. Quest’ultimo partecipò alla esecuzione con il Sergente Gnass, ed altri militari del gruppo, contribuendo coscientemente ed in modo apprezzabile alla realizzazione dell’evento. Dopo tanti anni si chiude il sipario su una tragedia dagli strani risvolti, dopo un lungo assordante silenzio e con un triste epilogo. Gli imputati, contumaci, senza alcuna richiesta di mandato di cattura europeo, non pagheranno mai il loro debito verso la giustizia ed alle vittime non resta altro che la possibile giustizia Divina. Emden è morto, nel frattempo, all’età di ottantaquattro anni, gennaio 2007, nel suo comodo letto. Resterà alle povere vittime l’incredulità e lo stupore di vedere, dall’alto, i possibili eredi di cotanti uomini calpestare il suolo caiatino memori delle “gloriose gesta dei propri antenati”, in un afflato di inglorioso gemellaggio.